Il mestiere del giudice, Cedam, 2020.
Collana Dialoghi di Giustizia Insieme diretta da R.G.Conti e P.Filippi
PREFAZIONE
di Paolo Grossi
È, questo nostro, un tempo in cui al giurista (teorico o pratico che sia) conviene qualche sosta di riflessione cercando di cogliere, nella transizione rapidissima che stiamo vivendo, che cosa movimento e mutamento abbiano eroso di vecchie certezze e quali siano i segni del nuovo che si va lentamente costruendo. Può darsi che la sosta debba necessariamente concretizzarsi in uno scoperto e fruttuoso esame di coscienza, nella speranza – però – che si abbia anche un più fruttuoso disegno progettuale.
È lo spessore singolare e apprezzabile del libro, che ho il privilegio di presentare al lettore. Esso, infatti, incarna proprio una sosta riflessiva, con il carattere prevalente di una impostazione serenamente critica, la quale consente al Coordinatore di raggiungere una lucida consapevolezza sull’itinerario in atto per il diritto italiano, sul senso di questo itinerario, sulle forze su cui contare per edificare un futuro coerente con le esigenze affioranti.
Rilevo con soddisfazione che l’iniziativa proviene da un giudice, a conferma che la dimensione giuridica – dove scienza e prassi, in grazia della sua ‘carnalità’, non possono non integrarsi armonicamente – è costantemente nutrita da conquiste teoriche recanti il timbro di una voce giudiziale. La riflessione, stimolata e sapientemente coordinata dal Consigliere della Cassazione Roberto Giovanni Conti, intende collocarsi in un osservatorio che vuole essere aperto, sia verso il passato, sia verso il futuro, con la positiva finalità di deporre dogmatizzazioni e mitizzazioni provenienti da lontano ma ancora munite di una loro carica virulenta, misuràndole alla luce delle odierne esigenze, spesso profondamente nuove per la incidenza che eventi rilevantissimi hanno avuto sulla storia giuridica recente e recentissima della Repubblica.
Azzeccata anche l’impostazione data al momento riflessivo, che si risolve in sette interviste, ossia in colloqui dove sono protagonisti docenti universitarii e magistrati interpellati su “questioni centrali…nell’esercizio quotidiano del mestiere di giudice” (p. XIII ). È chiaro che ci si propone di essere utili a ogni giudice, ma con una dichiarata (e commendevole) attenzione per il novizio, per “i giudici ragazzini”. Commendevole è anche la scelta di personaggi fra loro diversissimi. Ciò emerge nitidamente per quanto riguarda i docenti, nei quali le diverse adesioni teoretiche sono indubbiamente più palesi. I costituzionalisti Roberto Bin e Antonio Ruggeri mostrano con limpidità la loro origine da scuole assai differenziate, e così i filosofi del diritto Baldassarre Pastore, di matrice ermeneutica, e Giorgio Pino, di matrice analitica.
Scaturisce dalla assoluta maggioranza degli interventi l’immagine intensa del tempo giuridico che si vive oggi in Italia, un tempo posmoderno, intendendo con questa aggettivazione intrinsecamente vaga il carattere di un momento storico che sempre più si allontana dalle strutturazioni di un edificio giuridico tardo-settecentesco di impronta – insieme – illuministica e giacobina, frutto allora delle strategie del vittorioso ceto borghese ma consegnato ai posteri sotto il mantello di mitizzazioni indiscutibili e, come tali, tuttora dommaticamente circolanti tra la maggioranza pigra e inerte dei giuristi.
Le pagine, che grazie alla solerzia di Conti il lettore ha ora a sua disposizione, si segnalano – come abbiam detto - per una visione decisamente critica, offrèndoci una osservazione fedele dell’attuale movimento/mutamento. Quello che mi appare come il messaggio più rassicurante verte sulla complessità dell’assetto giuridico di un’Italia certamente ancora ben inserita all’interno del pianeta di Civil Law, ma finalmente affrancata dal piattume di parecchi anni addietro. Si dirà da taluno che mi esprimo con un autentico ossimoro, collegando strettamente la conquista di un atteggiamento di sicurezza psicologica alla percezione della complessità, e, quindi, di un paesaggio storicamente complicato. Sì! Ribadisco: rassicurante, perché continuare a blaterare oggi le decrepite pseudo-verità del credo illuministico incentrato su un accanito statalismo legalistico, senza accorgersi delle novità profondamente incisive degli ultimi settanta anni, ha per me l’insensatezza di continuare a maneggiare dei mulini di preghiera tibetani privi di un loro contenuto storicamente rilevante. Quel che si deve ammettere è che l’odierno paesaggio giuridico italiano è più difficile perché più complesso, e più difficile è il mestiere del giurista teorico o pratico; ma non possiamo, come lo struzzo di un vecchio aforisma, mettere sotto la sabbia la nostra testa e, quindi, i nostri occhi per non vedere quella che è – piaccia o non piaccia – la realtà circostante.
In questo felice libro si ha, invece, il coraggio di guardare, e di guardare dopo aver deposto degli occhiali protettivi ma deformanti. Quello che la maggioranza degli intervistati consegna all’intervistatore, e che costui raccoglie con piena soddisfazione, è la oggettiva percezione della complessità dell’attuale paesaggio. In queste pagine non si continua a raccontare favole consolanti ma irreali, e si prende atto senza edulcorazioni di una civiltà giuridica in cammino, faticoso, forse colmo di inciampi, ma costruttivo.
Il primo grande scenario, entro cui si muovono eventi e soggetti, è, come or ora si diceva, la coscienza della ritrovata complessità, complessità sotto diversi profili: si fa i conti, infatti, con il pluralismo giuridico che ravviva al suo interno la Repubblica; ma si fa i conti anche con le relazioni, spesso non facili, sempre problematiche, tra la nostra dimensione costituzionale e i pianeti della tormentata realtà eurounitaria, dell’Europa dei diritti con la sua sonora voce alsaziana, della globalizzazione giuridica in perenne crescita. Sono gli stessi curatori della Collana a parlare schiettamente nella ‘Introduzione’ dei “meandri di un diritto sempre più complesso” (p. XV). Spesso affiora negli interventi, come in quello di Ernesto Lupo (“questa maggiore complessità del diritto”, p. 285). Spesso è lo stesso coordinatore Conti a concludere sul punto; così, ed esemplarmente, commentando Pastore e Pino: “lo spaccato emergente è, forse, compendiabile con il rinvio al concetto di complessità” (p. 266); così, con riguardo ai contributi dei Presidenti Luccioli e Rordorf: la loro è “una prospettiva che si collega indissolubilmente al tema della complessità” (p. 326 ).
Quel che mi sembra di segnalare e anche segnare albo lapillo è l’acquisizione di un concetto di Costituzione straordinariamente aperto, un concetto che non si esaurisce in una legge autorevole composta di 139 articoli, ma piuttosto – così com’era nel progetto e nella realizzazione dei Padri costituenti – in una dimensione costituzionale, che si articola in più livelli, che è espressa nei 139 articoli della Carta, ma che è anche inespressa (ma parimente reale), consistente – come afferma il Presidente Rordorf – in “quel deposito di valori condivisi, che costituisce la base del vivere civile” (p. 288); un deposito che vive nella vita di un popolo e che, al pari di quella, è contraddistinto da una continua dinamica, lentissima perché di valori si tratta, ma non immobile.
Si può dire che il libro si sviluppa su questo dato nodale, e lo avverte acutamente il coordinatore Conti, quando, mettendo in conclusivo raffronto le posizioni teoriche di Bin e di Ruggeri, due costituzionalisti esprimenti concezioni diverse, le mette a fuoco con lucidità: “diversità di vedute non solo e non tanto sul ruolo del giudice, ma, prima ancora, sulla funzione e portata della Costituzione” (p. 35). Si riporta, così, su questo nodo tutto il ‘segreto’ del tempo giuridico posmoderno, e dallo scioglimento di esso si ottiene una più compiuta comprensione delle sue manifestazioni essenziali, prima fra tutte il mestiere del giudice e il suo ruolo nella odierna società civile. E’, insomma, dalla spiccata tipicità della nostra dimensione costituzionale che deriva il “mutamento di ruolo della giurisdizione” (Lupo, p. 284).
La Costituzione è còlta – ripetiàmolo, perché sta qui una soluzione davvero appagante – come testo e come sostrato valoriale, quasi un continente che affiora solo parzialmente alla superficie, ma la cui consistenza maggiore è sommersa (anche se perfettamente vitale). Realtà, dunque, di radici, di valori che non si irrigidiscono nella secchezza di comandi, ma divengono plastici principii con la immediata concretizzazione in diritti fondamentali del cittadino. Radici sì, ma già ab origine giuridiche, basamento del complesso diritto positivo della Repubblica. Lo puntualizza bene Gaetano Silvestri: “le Costituzioni rigide…cariche di valori etici e sociali, che assumono la veste giuridica di principii” (p. 204); precisando assai opportunamente: “premessa teorica fondamentale è che i principii abbiano contemporaneamente efficacia normativa e valore ermeneutico”, senza la quale “la Costituzione rimarrebbe un cappello posto sulla sommità”. Concetti determinanti ripresi dal coordinatore Conti nelle sue conclusioni sugli interventi dei due filosofi del diritto ed efficaci per sbarazzarsi di reliquie (monistiche perché statalistiche) ancora formalmente intatte nelle ‘Disposizioni preliminari’ al vigente Codice del 1942: i principii costituzionali “non più visti come ricavabili da norme particolari, ma nella loro dimensione elastica e potenziale, direttamente proveniente dal complesso e variegato sistema che va individuato attraverso operazioni ermeneutiche ben lontane dall’angusto piano dell’articolo 12 delle Preleggi al Codice Civile” (p. 271).
Quindi: la Costituzione italiana del 1948 quale breviario giuridico del cittadino. Non una filosofia posta quale cappello sopra l’organismo giuridico della Repubblica ma estraneo ad esso, bensì una nervatura interna ad esso, con una basilare funzione identitaria. Una Repubblica – quella italiana – che non si identifica nello Stato, anche se trova nello Stato il suo centrale motore politico-giuridico; una Repubblica plurale dinamicizzata al suo interno da una pluralità di ordinamenti giuridici raccolti e armonizzati da una base unitaria di valori, ordinamenti viventi e pertanto non immobili.
È da qui che scaturisce un “giudice partecipe delle dinamiche proprie di una società pluralista” (Pastore, p. 241) e, più specificamente, il “mutamento di ruolo della giurisdizione” còlto dal Presidente Lupo nella affermazione sopra riportata e ribadito, come rapporto causa/risultato, dal coordinatore Conti quando evidenzia “il peso che ricade sulla giurisdizione per effetto della Costituzione” (p. 271).
L’ordine giuridico è percepito, ormai, in tutta la sua naturale complessità, e complessità duplice: non si può immobilizzare nell’orizzonte esclusivo dei comandi dello Stato (a meno che non si abbia a che fare con problemi di sicurezza pubblica), e neppure nell’orizzonte a-storico di comandi avulsi dalla loro efficacia nel continuo mescolarsi con l’esperienza, sempre più lontana dal potestativo momento genetico e sempre più modificata. E si può ben comprendere la parabola attuale che quell’ordine vive in un paese di Civil Law, con un sensibile spostamento della sua asse portante dal legislatore (troppo spesso impacciato se non impotente) agli interpreti, sentiti questi come i garanti della coerenza tra forme giuridiche e società in cammino. La Presidente Luccioli è particolarmente eloquente in proposito: l’attuale momento “richiede all’interprete di convertirsi ad un approccio culturale che lo liberi definitivamente dalle incrostazioni dell’esegeta e di dotarsi degli strumenti idonei a coordinare i vari ordinamenti in un sistema armonico e coerente, assumendo tutti i rischi connessi alla sua complessità” (p. 279), “tenendo ben presente il contesto storico e sociale in cui la norma è nata e quello in cui è destinata ad operare nel tempo, intercettando i grandi cambiamenti sul piano culturale e del costume” (p. 280).
Il vecchio giudice, condannato ad essere ‘bocca della legge’ dai riduzionismi strategici degli illuministi (dapprima) e dei giacobini (successivamente), non può che togliersi volentieri di dosso la veste opprimente dell’esegeta, ormai del tutto inadatta, e indossare quella dell’interprete, dell’inventore, intendendo la sua operazione intellettuale irriducibile in deduzioni di semplice natura logica (come in una celebre pagina di Beccaria) e concretizzabile piuttosto in una ricerca, in un reperimento, con le conseguenti decifrazione e registrazione. Quello che mi sentirei, invece, di rifiutare, decisamente perché fonte di più che probabili malintesi, è il sintagma ‘creazione giurisprudenziale’, che usa Pastore (pp. 240 e 241) nel suo – peraltro, meditatissimo e condivisibile – intervento. Infatti, è proprio di ‘creazione ‘ e di ‘creazionismo’ che parlano gli adepti del legalismo statalistico stracciàndosi le vesti di fronte a un ruolo, innaturale perché para-legislativo, conferito (almeno secondo loro) ai giudici dalla riflessione ermeneutica. Insisterei, come ho fatto anche di recente, su un ruolo inventivo, marcando bene che si fa esclusivo riferimento alla inventio dei latini consistente appunto in un ‘cercare per trovare’.
Mi sembra che questo volume di interviste intitolato al ‘mestiere del giudice’ corrisponda pienamente alla finalità che i curatori della Collana “Dialoghi di giustizia insieme”, Roberto Giovanni Conti e Paola Filippi, hanno perseguito varàndola. Consapevoli “delle grandi responsabilità, degli enormi poteri e della vulnerabilità individuale” del giudice nell’attuale contesto italiano (p. XIII), hanno preteso di fornire “un affresco né troppo dogmatico né artificiale ed epidermico” (p. XIII), il solo che, proprio perché volutamente realistico, poteva fungere insieme da rilevazione critica e da orientazione pròvvida. Il ricorso, che il coordinatore Conti ha fatto, sia a docenti, sia a magistrati, è circostanza che reclama il nostro plauso, perché riafferma una grande verità: la scienza giuridica trova i suoi laboratorii indubbiamente nelle Università ma non meno in quelle autentiche officine rappresentate dalle curie giudiziali massime e minime. In questa unità di lavoro, che lega teorici e pratici in una preziosa collaborazione, ho sempre creduto, e tanto più oggi ci credo quando i mutamenti rapidissimi hanno nelle trincee della prassi le prime verifiche e le prime definizioni tecniche.
Introduzione
Le Interviste di Giustizia Insieme
"Giustizia Insieme" ha lanciato nel corso dell’anno 2019, in forma sperimentale, una rubrica periodica dal titolo “Interviste”.
Si è inteso dare così voce ad accademici e giuristi che per la funzione svolta e la specializzazione raggiunta possano offrire al pubblico dei lettori – giudici, giuristi e semplici lettori interessati al tema – un affresco né troppo dogmatico né artificiale ed epidermico su questioni centrali.
La prospettiva prescelta propone il confronto sull’essere operatori del diritto, rivolgendosi in particolare a quegli operatori del diritto silenziosi che offrono il loro contributo negli ambiti di rispettiva competenza alla macchina della giustizia.
Nascendo l’iniziativa all’interno di una rivista creata da magistrati, si è poi inteso rivolgere un’attenzione particolare ai giudici ragazzini, catapultati in una realtà estremamente complessa e ormai purtroppo assai lontana da vicende ed episodi che per la loro crudezza hanno segnato, ormai alcuni lustri fa, il DNA giudiziario di una generazione di “giudici ragazzini” che oggi la rappresenta la “classe di mezzo” dell’ordine giudiziario.
In questa prospettiva, la formula prescelta è stata quella di conversazioni scritte a più voci con la formulazione di domande alle quali è seguita una nota di chiusura dell’intervistatore.
Il format delle interviste è stato pensato proprio per individuare le problematiche e le criticità nell’esercizio quotidiano del mestiere di giudice, riflettendo sul come l’aspirazione e la fatica del giudice silenzioso si articoli pure in quel quotidiano, non facile coordinare umiltà e prestigio nella consapevolezza delle grandi responsabilità, degli enormi poteri e della vulnerabilità individuale nella quale ci si viene quando si decide da soli o si è lasciati soli.
La necessità di fissare l’argomento in brevi domande nasce dunque in una prospettiva di superamento del tradizionale modulo di approfondimento di temi scientifici, troppo spesso calibrato sulla trattazione di temi generali che, a volte, non consente di focalizzare l’attenzione sul cuore delle questioni che meritano, invece, una cura e riflessione particolari.
Si è qui utilizzato il sostantivo giudici volendo con esso intendere tutti i magistrati, sia quelli giudicanti che quelli requirenti, perché anche il procuratore è giudice quando svolge le indagini, quando si determina all’esercizio dell’azione penale o chiede la condanna. Giudice in quanto partecipe del potere giurisdizionale e perciò tenuto “per Costituzione” a decidere sempre senza condizionamenti e pregiudizi di parte, ma anche di questo ne parleremo nelle nostre interviste.
Crediamo che il contatto con l’accademia e con i “giudizi” da essa espressi sul ruolo del “giudiziario” possa contribuire ad avvicinare sempre di più quel mondo ai bisogni dei giudici e dei giuristi pratici, alle loro aspettative ed alle responsabilità crescenti che su di loro continuano ad aumentare per fattori indogeni ed esogeni, in tal modo garantendo una risposta giudiziaria migliore alle istanze della collettività.
Una linea di collegamento continua, inverata da un comune spirito di cooperazione, capace di costituire un terreno fecondo per chi accetta di dialogare in una prospettiva “di servizio”.
Il passaggio dalla pubblicazione sulle pagine della Rivista on line a quella cartacea che qui prende forma per la prima volta intende “raccogliere su carta” le riflessioni sono emerse dalla prime sette interviste dedicate a diversi temi relativi al ruolo del giudice.
In esse si sono avvicendati diversi accademici, confrontandosi volta per volta su aspetti che, in questa prima pubblicazione, hanno toccato con mano le difficoltà del mestiere del giudice in quanto proiettato in una dimensione del diritto che ha perso la tradizione caratterizzazione dei confini nazionali, per assumerne prepotentemente una sovranazionale, in modo continuo e magmaticamente alimentata da “diritti e sistemi che vedono il nostro paese come parte di un complesso ordine sovranazionale.
In questo contesto si inseriscono le interviste intorno Giudice o giudici nell'Italia postmoderna (Antonio Ruggeri, Roberto Bin), La Carta UE dei diritti fondamentali e i “giudici” chiamata ad applicarla (Giuseppe Martinico, Vincenzo Sciarabba e Lara Trucco), Giudici nazionali e giudici sovranazionali. Relazioni pericolose? (Roberto Mastroianni, Paola Mori e Bruno Nascimbene).
L’intervista su Il giudice disobbediente nel terzo millennio (Davide Galliani, Vincenzo Militello e Gaetano Silvestri) e quella su La retorica dei diritti fondamentali? (Baldassarre Pastore e Giorgio Pino) hanno indagato sulla particolare posizione nella quale viene a trovarsi il giudice di fronte ad un sistema multilivello di protezione dei diritti fondamentali, come anche quella su Quale futuro per il fine vita dopo Corte cost.n.207/2018 (Antonio D’Aloia, Giacomo D’Amico e Giorgio Repetto), nella quale è stata messo al centro del dibattito la spinosa questione del c.d. fine vita e del ruolo giocato dal giudice in tale contesto.
L’ultimo degli approfondimenti, nel quale si sono confrontati alcune delle personalità del mondo giudiziario più importanti dell’ultimo ventennio, ha chiuso il giro di interviste sul tema Diritti fondamentali e doveri del giudice di legittimità (Ernesto Lupo, Giovanni Canzio, Renato Rordorf, Maria Gabriella Luccioli).
È stata l’accoglienza riservata all’iniziativa apparsa sulla Rivista dai tanti giuristi che hanno apprezzato l’iniziativa a rendere quasi obbligata la pubblicazione cartacea dimostrando che c’è tanta voglia di dialogare con i giudici, ma al contempo di una magistratura particolarmente attrezzata e capace di muoversi con agilità e professionalità nei meandri di un diritto sempre più complesso.
Un grazie particolare a Lorenzo Miazzi che, silenziosamente, ha condiviso il compito di riportare il testo delle interviste, editato in una prospettiva di diffusione on line, ai canoni della pubblicazione in stampa.
I curatori della collana
Paola Filippi
Roberto Giovanni Conti