ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Relazione XXXV Congresso ANM, Roma, 14-16 ottobre 2022
di Giuseppe Santalucia, Presidente Associazione nazionale magistrati
Saluti
Signor Presidente della Repubblica, Signor Vicepresidente della Corte costituzionale, signor Vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura; Autorità, civili e militari; gentili ospiti; care colleghe, cari colleghi; cittadine e cittadini.
A nome dell’Associazione nazionale magistrati, che ho l’onore di rappresentare, do a voi tutti il benvenuto al nostro XXXV Congresso.
Rivolgo un deferente e grato saluto al Presidente della Repubblica, che ancora una volta ci onora e ci gratifica della Sua attenzione.
La Magistratura italiana, sig. Presidente, Le è riconoscente e coglie nella Sua vicinanza lo sprone ad operare sempre meglio nell’attuazione dei valori di cui, per Costituzione, è custode e interprete.
Un grazie sentito al Sindaco di Roma e al Presidente della Regione Lazio, per le parole, tutt’altro che di prammatica, con cui hanno voluto onorare questa nostra importante assise.
A distanza di poco meno di tre anni l’Associazione dei magistrati italiani torna a riunirsi in Congresso.
Lo fa a Roma per un duplice motivo: per un atto di omaggio alla magnificenza della città e per la sua centralità, non solo geografica, che esprime tradizionalmente una forza accomunante a cui abbiamo voluto affidarci per avere una partecipazione ampia.
I temi della giustizia hanno naturalmente un posto importante nel dibattito pubblico, ma oggi, per le ragioni a cui farò cenno, conquistano un rilievo che ci induce a ricercare un’attenzione ancora più forte.
Premessa
L’ultimo appuntamento congressuale di Genova cadde a pochi mesi dallo scandalo che interessò pesantemente il Csm e l’associazionismo giudiziario per le inaccettabili interferenze e commistioni nella gestione delle nomine dei cd. capi degli uffici.
L’imbarazzante dietro le quinte di quelle attività istituzionali conquistò la scena con le inevitabili ricadute sulla reputazione dell’istituzione consiliare e sull’immagine della Magistratura, con un carico di critiche e polemiche sull’Associazione magistrati di cui ancora portiamo il peso.
Da allora, altre crisi, di ben maggiore consistenza, hanno colpito la società intera.
La pandemia, che ha messo a dura prova la capacità delle Istituzioni democratiche di coniugare le istanze di sicurezza collettiva con le libertà individuali, dando occasione per riflessioni giuridico-filosofiche di particolare complessità.
Quindi, non appena si pensava di avere attraversato il peggio della crisi, con pesantissimi risvolti di carattere economico-sociale, sul percorso della appena avviata ricostruzione è piombata la crisi bellica.
Stiamo vivendo paure e ansie dimenticate. Si resta sgomenti nel sentir parlare del ricorso all’arma nucleare, nel veder infranto il tabù dell’indicibile, nel dover accettare l’idea che la memoria dell’orrore seminato nel secolo scorso non riesca a frenare l’incoscienza che conduce ad un domani in cui sarebbe impossibile distinguere vincitori e vinti.
Tutto ciò in un contesto reso ancor più cupo dai segni sempre più tangibili della crisi climatica, del disastro ambientale che fino a qualche anno fa porzioni consistenti della nostra società esorcizzavano collocandolo in un futuro remoto e che con una urgenza che sorprende i più ci impedisce di distogliere lo sguardo e ci impone di ragionare su cosa fare oggi, coscienti che è veramente breve il tempo a disposizione per invertire la rotta ed evitare tragedie che ciclicamente si ripetono – l’ultima quella che per il nostro Paese ha funestato le Marche –.
La crisi della Magistratura, e della Associazione che ne è voce unitaria, si colloca dunque in un quadro di una drammaticità epocale.
Ricordo questo non già per ridimensionare i problemi che si sono posti a noi magistrati con gli scandali venuti alla ribalta tre anni fa; ma credo che non si possa affrontare una discussione sulla Magistratura e sulla giurisdizione senza una corretta impostazione dei termini entro cui ragionare.
Non si può trascurare che l’amministrazione della giustizia è momento essenziale della vita della società e che non può essere esaminata prescindendo dai bisogni, dalle esigenze, dalle vicende che l’intera comunità vive e attraversa.
1. Le direttrici della reazione dell’associazione magistrati alla crisi
Si scorgono in tal modo, con la premessa della stretta relazione tra giurisdizione e società, le direttrici entro cui si è mossa l’Associazione magistrati, e che possono dirsi ambedue di metodo e di merito.
La prima si sostanzia nella convinzione che i problemi, le cadute, i passi falsi della Magistratura hanno immediata rifrazione sulla vita delle persone, anche quelli che appaiono i più interni e limitati all’assetto organizzativo.
Non dico che non sia stato e non sia doveroso evidenziare la differenza tra il piano della resa del servizio, del sentenziare su torti e ragioni delle parti, e quello della gestione delle carriere dei magistrati.
Occorre impedire che nella rielaborazione mediatica dei fatti incresciosi che lo scandalo ha portato ad emersione si alimenti confusione e si ingeneri la convinzione che i guasti hanno interessato non soltanto il pur delicato settore delle nomine agli incarichi direttivi ma anche e soprattutto le attività che si consumano nelle aule di giustizia.
Non è stato così!
È però innegabile che quegli episodi di malcostume non possano essere liquidati come interna corporis nell’illusorio tentativo di circoscriverne la portata.
Il dato centrale è che, al di là del settore di attività direttamente interessato, l’amministrazione della giurisdizione e non già la giurisdizione, hanno dimostrato, e non c’è da meravigliarsi, l’insidiosa capacità di intaccare la precondizione del render giustizia, ossia la fiducia della collettività nell’Istituzione, la sua credibilità sociale.
La seconda direttrice si rinviene nell’idea che l’avvio a soluzione dei problemi e la ricerca dei rimedi devono essere animati da un unico esclusivo fine, che è quello dell’agevolare, del rendere possibile il recupero della fiducia.
Non sfugge che l’obiettivo non può che essere per buona parte nelle mani dei magistrati, di tutti i magistrati.
La fiducia è un bene prezioso di cui non si può godere pro quota, non è frazionabile, al di là di quanto i singoli possano essere stimati per il proprio lavoro individuale.
Il rendere giustizia è un fatto ben più articolato, l’impegno e la fatica di ciascuno si innesta e si intreccia con l’attività degli altri, il prodotto è sempre plurale.
Bisogna esserne all’altezza come collettivo, e quindi nessuno si può consolare chiamandosi fuori da uno sforzo comune di riconquista del terreno perduto, ritagliandosi uno spazio vitale perimetrato dal proprio ufficio, dai propri fascicoli.
E però, la Magistratura, per quanto attore principale della ricostruzione, non può aver successo senza una alleanza, se così posso dire, con tutti gli attori della scena pubblica, e se non si diffonde la convinzione che l’istituzione è un bene collettivo e non affare dei magistrati.
La speranza è che sia finalmente messa da canto la pulsione, che in questi recenti anni abbiamo visto invece ravvivata, di poter mettere in riga l’ordine giudiziario, profittando delle difficoltà e del calo di credibilità.
Su questo terreno abbiamo insistito e lo faremo ancora non per difesa di corporazione, ma perché l’impulso di far pagare il conto ai magistrati non porta al superamento della crisi della giurisdizione ma apre al progressivo indebolimento di un suo connotato ideale, l’unico capace di alimentare e mantenere nel tempo la fiducia collettiva che tutti ricerchiamo: mi riferisco all’indipendenza dei magistrati dall’esterno e all’interno dell’ordine stesso.
Non è questo un artificio per sottrarmi ad un discorso sulla responsabilità della Magistratura.
2. Rapporti con la Politica
Al tema della responsabilità il Congresso ha dedicato la prima sessione, chiamando al tavolo esponenti autorevolissimi dell’Accademia, del Foro oltre che della Magistratura stessa.
Questo perché di responsabilità si vuole discutere, liberi da chiusure e da istinti di protezione e autoprotezione per gli errori dei singoli che sono stati anche errori di molti.
Non può negarsi però che l’analisi delle patologie sia stata condotta spesso a senso unico, che ad esempio nelle molte riflessioni critiche sulle degenerazioni all’interno del Csm si siano evidenziate soltanto le responsabilità della Magistratura e che poco spazio sia stato dedicato alla comprensione delle ragioni per le quali la cd. componente laica non ha esercitato con la necessaria continuità, come il Costituente si attendeva, quella benefica opera di interdizione delle possibili distorsioni corporative della maggioranza togata.
Una volta individuato il nodo nel rapporto tra la Magistratura e il Potere, tra il governo autonomo della magistratura e la politica, è mancata un’ampia e completa disamina delle loro relazioni, che sono state osservate solo da un’angolazione, quella appunto delle colpe dei magistrati.
Il risultato è che nell’ultima legge di riforma sono state oggetto di una riconsiderazione che mostra di esser figlia di una visione quanto meno parziale e pertanto inadeguata.
Mi permetto appena di rammentare:
- la norma delle ineleggibilità alla carica di parlamentare, anche europeo, di consigliere regionale e provinciale di quanti sono componenti del Csm o lo sono stati nei due anni precedenti, ma soltanto se magistrati;
- e l’espunzione dal disegno di legge di questa riforma della disposizione che faceva divieto di nominare componenti del Csm professori o avvocati con incarichi di governo o delle giunte regionali in atto o ricoperti nei due anni precedenti.
Mi sembra un chiaro indice di come il problema della contaminazione con il mondo della politica, intesa nel senso più ristretto dei rappresentanti di interessi di parte, sia stato affrontato nella prima occasione legislativa utile senza una messa a fuoco della complessità della vicenda.
Ma le norme non definiscono e non esauriscono ogni prospettiva di cambiamento, meno che mai in questi ambiti, ove un ruolo altrettanto significativo spetta alle scelte di ampia discrezionalità.
Per questa ragione siamo fiduciosi che, al di là delle previsioni di legge, il Parlamento saprà nominare una componente laica di alta statura che, per cultura giuridica e sensibilità istituzionale, agevolerà nel Consiglio che da qui a breve si insedierà il compimento di un processo di rinnovamento che, come sempre è accaduto, non può prescindere dalla buona volontà di donne e uomini.
Dico questo perché abbiamo a cuore le sorti del Csm, presidio dell’autonomia e della indipendenza della magistratura, titolare di attribuzioni alte che non sarebbe possibile esercitare sì come la Costituzione richiede, se fosse trasformato, come taluno vorrebbe, in mero esecutore di attività vincolate.
3. I contenuti della reazione dell’associazione agli scandali recenti
L’Associazione magistrati, esplosi gli scandali, ha cercato di muoversi nel tracciato che ho appena tentato di delineare. Non è rimasta inerte e frastornata dalla rivelazione degli intrecci tra mondo associativo, intromissione della politica e istituzione consiliare.
Ha reagito nel modo ritengo più corretto e soprattutto capace di assicurare effetti durevoli.
In tal modo ha forse deluso quanti al rumore degli scandali volevano che seguisse una reazione vistosa, altrettanto spendibile mediaticamente, e quanti anche in buona fede ritengono che la compostezza della reazione equivalga a debolezza e confusione, smarrimento e mancanza di progettualità.
L’Associazione magistrati si è ancor più impegnata, sulla falsariga dell’azione svolta dai gruppi dirigenti appena precedenti, nel ritornare nel suo alveo naturale, segnato da più di un secolo di Storia e descritto dalle indicazioni statutarie.
Ha perseguito la ricerca della normalità, come epilogo di una risolta elaborazione, obiettivo tutt’altro che banale perché posto all’esito di un costruttivo percorso autocritico.
In tutta sincerità, non ho visto fare altrettanto ad altre categorie professionali che hanno conosciuto e conoscono simili cadute.
Ciò ha condotto ad accentuare la vocazione comunitaria dell’azione associativa e a riscoprirne l’essenzialità in un sistema che vuole realmente assicurare indipendenza e autonomia della Magistratura.
Vari i versanti in cui ha scelto di operare.
Centralità del discorso sull’etica
a) Un primo versante è quello ove si è sperimentata la preminenza del discorso sull’etica professionale.
In una società democratica il potere della giurisdizione, che in nome della sua irrinunciabile indipendenza si sottrae al consenso, si legittima e si fa accettare non soltanto per la qualità tecnico-professionale ma anche e soprattutto per l’osservanza di quel complesso di regole di condotta, che a ben vedere non sono che la proiezione minuta degli stessi caratteri di imparzialità, neutralità e indipendenza, anche come lontananza da ogni centro di potere, che qualificano nel dover essere costituzionale la magistratura e che connotano, lo ribadisco, la sua azione come servizio e non come espressione della supremazia di un apparato.
I precetti etici sono di due tipi:
- quelli che tracciano una linea verso il basso, che individuano il contenuto minimo in mancanza del quale il comportamento merita una sanzione;
- e quelli che tendono verso l’alto, che delineano un modello ideale di magistrato, che hanno una funzione promozionale, che rinvengono le ragioni della loro effettività non nell’essere assistiti da una sanzione irrogabile dall’Autorità disciplinare ma dalla loro accettazione ad opera dei componenti del ceto professionale che li esprime.
Se le norme di responsabilità disciplinare sono riserva assoluta del legislatore, le norme di quell’etica che ho cercato di differenziare per la sua marcata funzione promozionale sono naturalmente il risultato di un comune sentire all’interno della Magistratura stessa.
Per questo ritengo che il Legislatore del 1994 ebbe una intuizione felice nell’affidare all’Associazione, che riunisce la stragrande maggioranza dei magistrati, l’elaborazione e l’adozione del codice etico.
Essa è stata chiamata a delineare il modello ottimale di magistrato nel confronto delle diverse sensibilità di cui la magistratura italiana è ricca, che sono ragioni di una unità ancor più consapevole e quindi più forte.
Negli anni meno recenti l’attenzione al tema dell’etica professionale non è stata costante. Si poteva forse fare di più per favorire una maggiore e diffusa conoscenza del codice etico sia all’interno che all’esterno della magistratura, in modo che potesse essere riconosciuto come fondamento di un rinnovato patto dei magistrati con la società.
Da ultimo, però, grazie anche alla stagione degli scandali, si è recuperato in fretta e sono state sfruttate in pieno le sue potenzialità anzitutto per mezzo di una modifica statutaria, intervenuta proprio nell’anno – 2019 – dell’esplosione degli scandali, che ha fatto della violazione delle relative norme un illecito disciplinare endo-associativo.
Attraverso la giuridificazione delle norme etiche di promozione, trasformate in precetti disciplinari, sono state poste le premesse per una accelerazione dei processi di sedimentazione nel vissuto giudiziario di quel complesso di regole.
L’impegno per l’etica è divenuto dei fronti più importanti di attività.
Ormai mensilmente, l’organo deliberante dell’associazione discute di violazioni e di sanzioni, ovviamente prive di contenuto afflittivo e tutte attestazione di quel sentimento di disapprovazione in cui si esprime e si rinnova l’adesione collettiva al modello di magistrato che il codice tratteggia.
Nel 2021 e nell’anno in corso sono stati aperti 102 procedimenti, ne sono stati ad oggi definiti 64, 16 con l’applicazione di sanzioni, le maggior volte della censura, 27 per sopravvenuti recessi dei magistrati dall’Associazione e 21 per insussistenza del rilievo deontologico.
Insomma, stiamo facendo i conti, e seriamente, con gli errori del passato. Sono anni importanti, in cui si stanno gettando le basi per una assai più efficace prevenzione delle cadute etiche attraverso un lavoro solo in apparenza repressivo e che ha il principale fine di irrobustire le autodifese culturali.
Ed è un bene che ciò avvenga nell’ambito dell’Associazione, in cui i magistrati si confrontano paritariamente al di là dei loro diversi ruoli, in cui un presidente di sezione della Corte di cassazione si può trovare a discutere e a confrontarsi con un magistrato in tirocinio senza beneficiare di alcuna posizione sovraordinata.
Proprio ciò che portava l’insigne giurista e Ministro Vittorio Emanuele Orlando a criticare, agli inizi del secolo scorso, la nascita della nostra Associazione è il suo più grande merito: la struttura schiettamente democratica della sua configurazione, che a ben vedere è il primo freno nei confronti del pericolo, sempre presente, di allentare la tensione etica verso la dimensione del servizio.
Non poche sono le difficoltà che si incontrano nella pratica applicativa.
La più importante è diretta conseguenza della natura privatistica dell’Associazione, che ne ostacola l’azione disciplinare perché essa è condizionata all’esistenza e alla permanenza della qualità di socio del magistrato incolpato, benché il codice sia della magistratura intera e non soltanto dei magistrati iscritti.
V’è poi quella di elaborare una giurisprudenza sul senso precettivo di norme giustamente dallo spettro ampio, molto ampio, appunto perché funzionali a tratteggiare il modello particolarmente virtuoso e non a tracciare la soglia oltre la quale si possa apprezzare l’inadempimento inaccettabile ai doveri minimi del ruolo.
E nuove difficoltà emergono sperimentando la necessità di arricchire il corredo di garanzie dell’incolpato, interrogandosi su quale possa essere il miglior equilibrio tra le esigenze di riservatezza del magistrato incolpato e il bisogno che il senso della sanzione si sostanzi non in un passaggio burocratico affidato al rapporto tra il singolo e l’organo statutario deliberante, ma in una consapevole, e quindi informata, reazione della intera comunità dei magistrati.
Nella reazione plurale al danno all’immagine dell’intero Corpo si coglie l’attitudine del codice a farsi concretamente fattore di promozione culturale, di orientamento dei comportamenti della magistratura intera.
Il discorso sull’etica è di importanza strategica, oggi più che in passato, ed è essenziale che di esso non si approprino luoghi altri, perché esso conservi i tratti di un impegno doveroso ma autonomo e quindi del tutto coerente con la fisionomia costituzionale di indipendenza.
Si deve allora essere consapevoli, devono esserlo i magistrati tutti, che cadute di attenzione su questo piano sarebbero assai poco tollerabili e potrebbero aprire al pericolo di attrarre porzioni più o meno consistenti di quelle raccomandazioni che guardano verso l’alto nell’area della rilevanza disciplinare con invitabile indebolimento degli spazi di libertà.
Rapporti con la società.
b) Un secondo piano di azione è quello della cooperazione con istituzioni ed enti per l’educazione alla legalità. L’Associazione ha intensificato la sua presenza nei luoghi ove le discussioni sul valore sociale della legalità sono più feconde e costituiscono un forte investimento nel futuro.
Ha sottoscritto con il Ministro dell’istruzione un protocollo di intesa per una cooperazione all’educazione e formazione alla legalità e ai valori della giustizia, con l’obiettivo della promozione della persona e della diffusione nel mondo giovanile della consapevolezza sui diritti e sui doveri che qualificano la cittadinanza.
Ha preso parte alla stipula di un accordo quadro intitolato “Educazione e formazione alla legalità” con il Ministero della Giustizia, il Consiglio nazionale forense e il Consiglio nazionale del notariato, condividendo la premessa, riporto testualmente, della opportunità che “i cittadini italiani e in particolare i giovani ricevano, da parte di coloro che sono interpreti della corretta applicazione della legge e dei valori a essa sottesi, una testimonianza che si possa tradurre anche in una attività di formazione e di educazione”. Di qui l’impegno all’organizzazione di attività educative in materia di legalità e giustizia, alla promozione di eventi formativi, alla collaborazione con il mondo scolastico
Ha siglato un altro protocollo con la Fipe-Confcommercio, la Federazione comparativamente più rappresentativa dei Pubblici esercizi italiani, per contribuire ad una compiuta conoscenza delle conseguenze, in termini di sanzioni di varia natura, della somministrazione di sostanze alcoliche ai minori e dei rischi, specie per la loro salute, a cui vanno incontro questi ultimi.
Ha stretto un rapporto di collaborazione con Legambiente, anche qui siglando un protocollo in vista dello svolgimento di comuni attività formative ed educative nelle scuole, rivolte sia ai docenti che agli alunni, per diffondere i principi e i valori della tutela dell’ambiente e così contrastare più efficacemente la cultura della illegalità
Non è stata questa una strategia per parlar d’altro e fare altro, per distrarsi da quel che ci tocca da vicino, perché è, al contrario, uno dei modi con cui si è cercato di evitare il pericolo di chiudersi, di allontanarsi dalla società, di pensare alla magistratura e quindi di pensarsi solo come un apparato del Potere.
La premessa sta nell’idea che la gestione di un potere rilevante come è quello di decidere i conflitti, di accertare responsabilità, di comprimere in nome della legge i beni primari della persona si deve accompagnare ad un costante riconoscimento dell’essere servizio.
Partecipazione al dibattito pubblico sui temi della giustizia
c) Un terzo – ma non certo in ordine di importanza – fronte di azione è quello della partecipazione al dibattito sulle riforme. La Magistratura associata ha cercato di essere presenza attenta, la sua azione è stata costantemente orientata all’obiettivo di poter concorrere a riforme di effettivo miglioramento del servizio.
È stata anche voce critica quando alcune di esse si sono mosse in direzione contraria a quel fine o hanno mostrato indifferenza per principi che disegnano l’architettura costituzionale della giurisdizione.
Non ha ricercato, nel periodo di sua maggior debolezza, la contingente convenienza, che suggeriva atteggiamenti di silenziosa compiacenza nella speranza di stemperare l’ondata di critiche con cui si è scontrata dall’indomani dello scandalo in poi.
Avrebbe potuto abbozzare, cedere a logiche egoistiche, evitare di esporsi, non affrontare il confronto reso assai più difficile da un’immagine pubblica appannata.
Ha adempiuto il dovere di prender parola, consapevole della difficoltà di comunicazione, nel rispetto massimo del ruolo e dei poteri del legislatore.
L’offerta di un contributo di idee e di esperienza nel corso dell’attività riformatrice non è una invasione del campo riservato alla Politica, non è un attentato alla sovranità parlamentare, ma un esercizio di democrazia partecipativa che consente, a beneficio di chi deve decidere, visioni più ampie e approfondite dei problemi.
4. Le recenti riforme
Si è appena concluso un periodo intenso di innovazioni legislative.
Sono stati riformati il codice di rito penale e il codice di rito civile, mentre l’intervento riformatore forse più delicato, la modifica dell’ordinamento giudiziario, è in attesa di attuazione.
Sul piano della riscrittura dei riti molte disposizioni chiamano i magistrati a nuovi e aggiuntivi incombenti.
Non tento sul punto neanche una sommaria esemplificazione, le sessioni congressuali di domani affronteranno diffusamente il tema.
Ciò accade in un frangente in cui si richiede alla Magistratura un massimo sforzo per abbattere i tempi dei processi in percentuali considerevoli, secondo le stringenti previsioni del Piano di ripresa e resilienza, e ciò mentre il suo organico si assottiglia.
I meccanismi di reclutamento sono stati fortemente rallentati durante il periodo di esplosione pandemica e gli sforzi attuali per lo svolgimento di nuovi concorsi produrranno effetti tra qualche anno ma non potranno rimediare alla carenza di risorse umane che intanto grava sul presente.
Non dimentico che sono stati immessi negli uffici giudiziari molti giovani giuristi, che compongono l’Ufficio per il processo, e non nego che si tratti di una risorsa importante, il cui ottimale utilizzo potrà dare i suoi buoni frutti.
Temo, però, che il loro apporto non potrà rimediare alle carenze del presente e non potrà esser d’ausilio, se non in misura modesta, nel fronteggiare i nuovi compiti che le riforme recenti assegnano.
È un difetto atavico della legislazione del nostro Paese la scarsa cura per le implicazioni organizzative che le innovazioni comportano. Si è attenti alle nuove architetture processuali e si trascurano i calcoli di sostenibilità, con l’effetto di scaricare su quanti quelle riforme dovranno attuare un surplus di responsabilità.
Se non si pone attenzione alla tenuta dell’impianto organizzativo, se non si provvede a dotare il sistema delle necessarie risorse il rischio di una riforma che voglia arricchire di diritti e garanzie gli ordinamenti, in questo caso processuali, è di produrre diritti e garanzie di carta.
Non è allora la scarsa volontà degli operatori pratici ad imbrigliare le riforme e ad impedire loro di esplicare il potenziale di innovazione, imprigionandole nelle prassi refrattarie ai cambiamenti. È piuttosto la scarsa attenzione del riformatore alla realtà delle condizioni di organizzazione che deprime la capacità di incidere sulle prassi che vorrebbe cambiare.
I magistrati, ciò nonostante, faranno tutto ciò che sarà nelle loro possibilità perché le riforme possano effettivamente migliorare il servizio.
Non hanno alcun interesse a mantenere ridotti livelli di efficienza, ed è evidente che in una stagione in cui la loro immagine è in crisi sanno di dover recuperare, e che ciò potrà farsi solo a condizione che le persone possano toccar con mano che la giurisdizione è una risorsa in termini di tutela dei diritti.
5. I nodi del nuovo ordinamento giudiziario
Le preoccupazioni maggiori hanno riguardato alcuni contenuti della legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario.
Su questo terreno l’Associazione ha manifestato con chiarezza il timore per la tendenza di quell’impianto normativo verso facili e affrettate soluzioni di organizzazione burocratica.
Questa riforma, animata dal fine di incrementare il servizio, fa correre il rischio di veder intaccato il modello di magistrato delineato in Costituzione: un magistrato che si distingue soltanto per diversità di funzioni, che non ha capi gerarchici, che segue logiche di giustizia e non logiche produttivistiche di aumento incontrollato delle statistiche.
Il disegno costituzionale di un magistrato non gerarchizzato con netta vocazione professionale non è per nulla incompatibile con un sistema giudiziario maggiormente capace di tenere il passo con i bisogni di una risposta rapida e di qualità.
La nostra convinzione è che l’efficienza non ha un metro di misura soltanto quantitativo e che si apprezza anche e forse di più sul terreno della qualità delle decisioni.
Cosa c’è di corporativo in questa posizione? Quale e dove la chiusura al nuovo e ai bisogni di modernizzazione?
Dalla riforma di ordinamento giudiziario ci si attendeva altro.
Forte era la speranza che rimediasse alle storture di una enfatizzazione della carriera e delle sue lusinghe, che per giudizio unanime sono state cofattore decisivo delle degenerazioni nelle attività del Csm e nelle relazioni tra associazionismo e sistema di governo autonomo della Magistratura.
Se il fine era di sopire l’ansia di far carriera, sarebbe stato necessario deprimere il peso e l’incidenza della carriera, riducendone gli spazi, disinnescando i meccanismi che ne hanno fatto crescere il fascino tra i magistrati, spinti a ricercare nelle promozioni e negli incarichi la compensazione delle frustrazioni per la quotidiana constatazione di farraginosità procedurali e organizzative che sono d’ostacolo alla gratificazione del rendere giustizia.
Qui si colgono le maggiori responsabilità della Politica, nel non aver ricercato le ragioni di un disagio, del malessere di parte della Magistratura, che si è manifestato nelle forme del carrierismo, patologia che è effetto e non causa del progressivo indebolimento della giurisdizione.
Non si è compreso che un discorso sulla responsabilità della Magistratura non si sviluppa utilmente imboccando la direzione di una revisione dell’organizzazione in senso accentuatamente gerarchico, con pagelle, fascicoli delle valutazioni onnivori ove si trova di tutto per poter dire di tutto, con capi che dispongono della leva del progressivo innalzamento dei livelli di produttività all’interno di programmi di gestione che non ammettono revisioni se non per ulteriori aumenti di numeri e di prodotto.
Non si è voluto comprendere che la giurisdizione non può essere ossessionata dagli obiettivi di efficienza, non deve essere schiacciata da una logica efficientista che punti tutto sul dato numerico dimenticando quel che un fascicolo di causa rappresenta: uno scorcio di vita, di sofferenza, di umanità ferita.
Il nostro auspicio è pertanto che, in sede di esercizio della delega legislativa, la Politica ascolti attentamente ciò che abbiamo da dire.
6. Cenni alla responsabilità della magistratura
Eppure, di responsabilità della Magistratura occorre ragionare.
La questione è però di come farlo, se con l’attenzione interamente rivolta al passato, a quel che si è commesso, oppure con lo sguardo al futuro, ponendo al centro del discorso quel che la Magistratura può fare in risposta alle attese e ai bisogni sociali in un tempo attraversato, innervato da instabilità e paure, incertezze e ansie per un avvenire sempre meno sicuro.
Un’avvertenza è doverosa, per evitare fraintendimenti.
La declinazione della responsabilità nei termini a cui ho appena fatto cenno non implica che i magistrati debbano misurare l’esercizio della loro discrezionalità interpretativa su un piano di valutazioni di opportunità del tutto soggettive e quindi arbitrarie o, per dirla, con il prof. Luciani, che il giudice debba giudicare non già in ragione dei presupposti, ma delle conseguenze auspicate o temute, secondo un’etica della responsabilità nel senso dell’orientamento alle conseguenze. L’orientamento è dato, piuttosto, dai principi e valori costituzionali, oltre che, ne siamo ormai consapevoli, da quelli convenzionali e sovranazionali.
Occorre, piuttosto, focalizzare l’attenzione su una responsabilità di metodo, sulla responsabilizzazione nell’uso degli strumenti dell’agire giudiziario.
Dall’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione la Magistratura, e con essa la sua Associazione, furono protagoniste nell’attuazione di quell’alto disegno di costruzione di una giurisdizione come presidio forte di garanzia dei diritti e delle libertà.
Autonomia e indipendenza, i “duri privilegi” di una giurisdizione democratica, furono progressivamente acquisiti al patrimonio ideale della Magistratura intera che superò, anche grazie al Legislatore del tempo, le incrostazioni verticistiche, autoritarie e conservatrici di un assetto che la vedeva, nei suoi gradi più alti, in stretto collegamento col potere.
Allo sforzo e all’impegno culturale di quei lunghi anni si deve la scoperta del significato autentico del dispositivo che dà identità costituzionale alla Magistratura.
Soggezione alla legge che non è subordinazione al Legislatore, alla politica, sì come nella dimensione prerepubblicana si era abituati ad intendere quel rapporto, ma si sostanzia nell’assenza di mediazioni di qualunque tipo nella relazione che lega il giudice-interprete alla legge.
Soggezione che non è asservimento meramente applicativo non foss’altro perché quel rapporto è animato democraticamente dal controllo diffuso di costituzionalità, che dà lo strumento per superare limiti non altrimenti valicabili di contrarietà alla legge fondamentale.
Quella formula, in un suo primo significato, è servita a bandire dal campo della giurisdizione ogni possibile interferenza che intendesse subordinarla al perseguimento di scopi altri e diversi dall’unico in cui si riconosce e si risolve, che è appunto l’attuazione del diritto, della legge nel suo essere parte di un sistema complesso che richiede – ed è qui il secondo significato della soggezione – una continua e faticosa ricerca interpretativa di coerenza.
Il periodo di grande crisi economica e sociale induce a riflettere con uno sforzo in più su quest’ultimo aspetto del vincolo di soggezione, a responsabilizzarsi rispetto al bisogno di maggiore prevedibilità delle decisioni.
Non si tratta ovviamente di rinverdire una assoluta primazia della legge quando l’ordinamento si compone di una pluralità di fonti, per buona parte non ordinate gerarchicamente, e la Costituzione ha occupato il posto di vertice prima assegnato alla legge.
In gioco è piuttosto la consapevolezza di muoversi all’interno di un mondo delle norme spesso complicato. Una complessità che richiede impegni interpretativi rivolti a contrastare spinte disgregatrici e a prevenire il rischio di confusione, di sovrapposizioni, di interferenze incoerenti, di contraddizioni che disorientano.
Da qui l’esigenza di prudenza e cautela interpretativa che si traduce nell’attenzione al precedente, al diritto cd. vivente, alla legge e al suo testo che, per quanto aperto ad una pluralità di letture, contiene pur sempre un numero finito di significati.
Prudenza e cautela che, nella prospettiva di concorrere alla tenuta sistematica del diritto, non sono espressioni di un conservatorismo di ripiego verso lidi che evitino la sovraesposizione di responsabilità, quanto piuttosto fattori che rafforzano nel compito di presidiare gli spazi in cui i conflitti sono più aspri e i bisogni di tutela più impellenti.
Oggi più che mai, nel tempo dell’incertezza che angoscia, occorre sfruttare la capacità ordinante del diritto, che non ingabbia e non deprime l’evoluzione ma consente al nuovo, se sapientemente e prudentemente costruito, di radicarsi e proporsi come momento di un sedimentato percorso di progresso.
Per questa via la giurisdizione, se mostrerà comprensione dell’esigenza diffusa di stabilità, potrà recuperare meglio e più in fretta quella fiducia di cui oggi si avverte la mancanza, e così volgere la crisi a suo vantaggio.
Concessioni “balneari” e la persistente necessità della pronuncia della Corte di Giustizia
di Ruggiero Dipace
Sommario: 1. Premessa - 2. I problemi sollevati dall’ordinanza e i quesiti sottoposti alla GUCE - 3. L’accertamento dei requisiti dell’interesse transfrontaliero e della scarsità della risorsa - 4. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
La complessa vicenda delle proroghe delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative (di seguito “concessioni balneari”) approda alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Il Tar Puglia, sez. Lecce, con ordinanza 11 maggio 2002, n. 743 ha sottoposto alla Corte alcuni quesiti che riguardano innanzitutto il valore da attribuire alla direttiva 2006/123 (c.d. Bolkestein) e le relative conseguenze sulla possibilità di disapplicare la normativa nazionale sia da parte del giudice sia da parte dell’amministrazione[1].
Come noto, la questione è stata recentemente sottoposta alla valutazione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le decisioni 17 e 18 del 20 ottobre 2021, ha affermato in particolare che le norme di proroga automatica delle concessioni sono in contrasto con il diritto europeo stabilendo la loro decadenza una volta spirato il termine individuato dal giudice stesso[2]. Tali decisioni, però, al di là dell’affermazione della applicabilità del principio della concorrenza in materia, sono state oggetto di critica in relazione al ruolo di “supplenza” che il giudice amministrativo ha svolto in assenza di una normativa chiara e inequivoca. E invero, le continue proroghe stabilite normativamente hanno creato confusione e incertezze nella loro applicazione da parte delle amministrazioni concedenti alcune delle quali, in ossequio alla normativa europea favorevole alle procedure a evidenza pubblica, hanno negato le proroghe, disapplicando la normativa nazionale; altre amministrazioni hanno deciso in senso diametralmente opposto concedendo proroghe in applicazione della disciplina nazionale. Ciò perché è mancata e tutt’ora manca una disciplina attuativa della direttiva Bolkestein atta a dipanare i dubbi interpretativi in un settore certamente strategico per l’economia del nostro Paese. Da ciò deriva che il contenzioso scaturito dalle decisioni ondivaghe delle amministrazioni ha contribuito non poco a rendere complessa la situazione, che non è stata del tutto chiarita dalle decisioni del Consiglio di Stato.
Tale situazione non si è risolta neppure con la legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) che, lungi dal definire il nuovo sistema di affidamento delle concessioni, si è limitata a delegare il Governo alla revisione della materia[3].
La persistente incertezza in ordine alla disciplina della materia, soprattutto con riferimento ad alcuni punti come il tema dell’accertamento della scarsità della risorsa e il legittimo affidamento per il concessionario uscente, induce a ritenere che un pronunciamento della Corte di giustizia sia quantomai attuale oltreché opportuno. Ciò anche alla luce del dibattito non solo giuridico ma anche politico sul tema nel quale si confrontano visioni diametralmente opposte che non rende certo l’approdo verso l’applicazione del principio di concorrenza.
2. I problemi sollevati dall’ordinanza e i quesiti sottoposti alla GUCE
L’ordinanza del Tar Lecce pone come prima questione quella dell’ambito di immediata e diretta applicabilità di una direttiva cd self executing. In particolare se, in coerenza con i principi generali di buona fede nei confronti degli amministrati, l’ambito di applicazione si limiti all’effetto verticale e non possa quindi essere invocato dalle Autorità nazionali, responsabili del suo mancato recepimento, in danno degli operatori privati.
Altro problema sollevato dall’ordinanza è se, in assenza di disposizioni specifiche dettagliate, tali da non lasciare residuare alcuna discrezionalità allo Stato membro e tecnicamente idonee a regolare in via diretta e automatica i rapporti tra pubbliche amministrazioni e privati, una direttiva possa imporre la disapplicazione delle disposizioni interne incompatibili con i principi da essa affermati, determinando una situazione di oggettiva incertezza. In particolare, con riferimento alla Direttiva 123/06, l’ordinanza sottolinea che, alla stregua dell’interpretazione autentica desumibile dal § 61 della sentenza Promoimpresa e confermata dalla sentenza CGUE, Grande Sezione, del 30 gennaio 2018 sulle cause C-360/15 e C-31/16 (§106) in relazione al “chiaro tenore letterale del Considerando n. 7”, essa è una “direttiva di armonizzazione”, che, se prescrive agli Stati membri l’adozione di disposizioni attuative di contenuto specifico e determinato (cd “armonizzazione esaustiva”), non è auto-esecutiva. Ne dà prova anche l’art. 12, della stessa direttiva che, come rimarcato dall’ordinanza, “prescrive l'adozione di una specifica determinata normativa nazionale di attuazione, ipotizzando evidentemente come necessaria e imprescindibile” per dettare “regole uniformi per l’effettuazione delle gare, relative ai requisiti di partecipazione e ai criteri di aggiudicazione, nonché criteri uniformi di determinazione eventuale ‘indennizzo’ in favore del concessionario uscente”.
Per cui in assenza di una di una tale specifica e dettagliata disciplina, che tenga conto anche della necessaria tutela di interessi pubblici prevalenti su quello della concorrenza, la tesi secondo cui i dirigenti dei singoli comuni - cui le regioni hanno delegato la competenza amministrativa in materia - dovrebbero indiscriminatamente disapplicare la normativa nazionale di proroga e procedere in piena autonomia alla indizione e gestione delle procedure selettive per l’affidamento delle nuove concessioni senza neppure regole di tutela della posizione dei gestori uscenti sarebbe incompatibile con “i principi fondamentali di completezza dell’ordinamento giuridico (così come etero-integrato dal diritto dell’Unione europea) e di certezza del diritto”, nonché con il principio di tutela del legittimo affidamento e con i principi a tutela del diritto di proprietà e del diritto d’impresa.
Peraltro lo stato di incertezza, afferma l’ordinanza, non è stato neppure fugato dalle decisioni dell’Adunanza Plenaria che nonostante la ritenuta immediata applicabilità della direttiva, hanno disposto un differimento degli effetti della sentenza determinando una proroga automatica della scadenza delle concessioni al fine di sollecitare un intervento del legislatore, ritenendo, quindi, necessaria l’approvazione di una normativa nazionale di concreta attuazione della direttiva.
Su questi punti l’ordinanza appare condivisibile.
Innanzitutto, occorre rilevare che la direttiva Bolkestein non contiene specifiche norme riferibili alle concessioni balneari e all’applicazione alle stesse del principio della concorrenza e questo qualunque posizione si voglia prendere sulla natura autoesecutiva o meno della stessa.
Inoltre, nel nostro ordinamento alla direttiva è stata data una formale e parziale esecuzione da parte del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e tale normativa di recepimento non prevede l’applicazione del principio della concorrenza alle concessioni balneari né tantomeno prevede norme sulle procedure di selezione.
Tali disposizioni attuative specifiche sono vieppiù necessarie allorché si definisca di “armonizzazione” la direttiva.
L’applicazione della direttiva alla fattispecie delle concessioni balneari deriva piuttosto dall’interpretazione fornita dalla sentenza Promoimpresa, la quale ha affermato la natura autoesecutiva del solo art. 12 della direttiva stessa[4]. Ma tale norma impone la gara solo nelle ipotesi in cui le autorizzazioni riguardino risorse limitate e chiaramente rimandano agli Stati membri l’individuazione di una normativa specifica sulle modalità di effettuazione delle procedure di selezione.
Nel nostro ordinamento, quindi, manca una disciplina di attuazione chiara in relazione all’applicazione del principio della concorrenza alle concessioni balneari, una disciplina dei parametri per stabilire la “limitatezza” della risorsa al fine di applicare il disposto dell’art. 12 della direttiva.
Ciò ha comportato un’inammissibile situazione di disorientamento delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, dei Comuni ai quali spetta la competenza al rilascio delle concessioni che hanno assunto decisioni spesso contraddittorie generando un contenzioso ingestibile.
3. L’accertamento dei requisiti dell’interesse transfrontaliero e della scarsità della risorsa
L’ordinanza, inoltre, sottopone alla Corte di Giustizia alcuni quesiti riguardanti temi che le stesse decisioni gemelle dell’Adunanza Plenaria non avevano risolto in maniera soddisfacente. Si tratta della verifica del requisito dell’interesse transfrontaliero certo e di quello della limitatezza della risorsa ai fini dell’applicazione del principio dell’evidenza pubblica.
Le decisioni dell’Adunanza Plenaria avevano ritenuto in via generale sussistente il requisito dell’interesse transfrontaliero certo e della scarsità delle risorse prendendo a parametro l’intero territorio nazionale senza svolgere alcun approfondimento istruttorio. Da ciò scaturiva la considerazione della generalizzata limitatezza del numero di autorizzazioni disponibili e, quindi, la necessità di applicare in ogni caso il principio dell’evidenza pubblica.
Il tema delle modalità di verifica dei requisiti dell’interesse transfrontaliero certo e del requisito della limitatezza della risorsa ai fini dell’applicazione del diritto eurounitaria appare assolutamente dirimente considerato che nessuna normativa nazionale, né quella di attuazione della direttiva 2006/123 né la recente legge di delega, stabiliscono criteri per l’accertamento della sussistenza di tali requisiti.
È da condividere, quindi, l’ordinanza del Tar allorché ritiene di investire la Corte di giustizia in merito alla corretta interpretazione della direttiva sui punti indicati.
Invero, le decisioni dell’Adunanza Plenaria non sono apparse del tutto convincenti in quanto hanno effettuato analisi generiche.
Infatti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, svolgendo alcune considerazioni generali sul “mercato” delle concessioni demaniali con finalità turistico ricreative, ha specificato che in questi casi a venire in rilievo come strumento di guadagno offerto dalla pubblica amministrazione non è il prezzo di una prestazione, né il diritto di sfruttare economicamente un singolo servizio. Ciò che contraddistingue queste concessioni dagli appalti o dalle concessioni di servizi è che la pubblica amministrazione mette a disposizione dei privati un complesso di beni demaniali che costituiscono uno dei patrimoni naturalistici più attrattivi nel mondo. Per il Consiglio di Stato la potenzialità economica del mercato delle concessioni balneari dimostra che queste non possono essere sottratte al regime della concorrenza e dell’evidenza pubblica in quanto avrebbero un interesse transfrontaliero certo ai sensi dell’articolo 49 del TFUE, che disciplina la libertà di stabilimento nei paesi membri della Unione europea.
Sul punto occorre rilevare che la “presunzione” della sussistenza del requisito dell’interesse transfrontaliero per tutte le ipotesi di concessioni “balneari” deriva da un ragionamento effettuato in via del tutto astratta dal Consiglio di Stato, frutto anche di una incertezza qualificatoria dell’istituto, che ha equiparato autorizzazioni, concessioni e contratti. E da questa equiparazione ne è discesa l’applicazione del requisito dell’interesse transfrontaliero certo che invece si riferisce prioritariamente all’attività negoziale delle pubbliche amministrazioni. D’altra parte, l’Adunanza Plenaria, per precisare il concetto di interesse transfrontaliero, prende in esame la giurisprudenza europea sui contratti della pubblica amministrazione.
Ma oltre a questo argomento, il Consiglio di Stato afferma che l’obbligo di evidenza pubblica discende direttamente dall’applicazione dell’articolo 12 della direttiva servizi, che prescinde dall’individuazione dell’interesse transfrontaliero certo e si incentra sul requisito della “limitatezza” della risorsa.
Anche in relazione a tale requisito il Consiglio di Stato percorre una strada non condivisibile. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il concetto di scarsità deve essere interpretato tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio. Tali considerazioni, però, vengono effettuate con un riferimento generico a tutto il territorio nazionale allorché si afferma che sussiste il requisito della scarsità della risorsa poiché la maggior parte delle coste sono occupate da stabilimenti balneari. E ciò senza neppure il supporto di dati certi derivanti da una mappatura del territorio nazionale.
Se, però, la valutazione in ordine alla sussistenza di tale requisito è, così come previsto dall’art. 12 della direttiva, presupposto indefettibile per l’indizione di una procedura a evidenza pubblica è evidente che devono essere le singole amministrazioni comunali, che hanno la competenza alla indizione delle gare a stabilire quando nel loro territorio ci si trovi dinanzi a risorse cd “scarse”. Non si ritiene possibile, quindi, che la valutazione su tale presupposto venga operata in via generale e “sostitutiva” da parte di una decisione del giudice senza alcun dato tecnico certo.
Questa valutazione, peraltro, non può essere effettuata in via generale e astratta, ma la legge deve indicare alle singole pubbliche amministrazioni quali siano i parametri, anche di tipo tecnico, per operare tale accertamento e quindi decidere se nel territorio comunale debbano essere indette o meno procedere a evidenza pubblica.
4. Considerazioni conclusive
Da quanto esposto si può concludere che sia auspicabile un rapido intervento della Corte di giustizia per avere una interpretazione autentica del diritto UE e nella specie della direttiva 123, dirimendo quindi i numerosi dubbi intrepretativi in materia che, come chiaramente affermato dall’ordinanza del Tar, hanno determinato “lo stato di caos e di assoluta incertezza del diritto connesso all'effetto di esclusione o disapplicazione meramente ostativa risulta devastante”.
D’altra parte occorre osservare che il tema dell’obbligo di disapplicazione per le pubbliche amministrazioni, così come affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, se in via astratta appare soluzione conforme ai principi generali più volte ribaditi dalla giurisprudenza, è tuttavia nel concreto di difficile attuazione in quanto comporta valutazioni molto spesso caratterizzate da un elevato livello di complessità e opinabilità spesso non alla portata degli uffici tecnici di amministrazioni comunali, in molti casi di piccole dimensioni, per giunta in un contesto in cui non è del tutto sicura la natura autoapplicativa della direttiva servizi. Ciò potrebbe indurre i funzionari pubblici a privilegiare soluzioni chiaramente imposte da norme nazionali (come le proroghe), disinteressandosi del diritto europeo di incerta applicazione per evitare rischi di contenzioso e di responsabilità.
[1] L’ordinanza è resa su un ricorso per l’annullamento degli atti con cui il Comune di Ginosa, in applicazione delle disposizioni di cui alla legge 145/2018 e al d.l. 34/2020, hanno disposto la proroga al 31 dicembre 2033 delle concessioni “balneari” in essere sulle proprie coste. Il ricorso è stato proposto dall’AGCM, ai sensi dell’art. 21 bis della l. 287/1990, per asserita inapplicabilità delle suddette disposizioni di legge in quanto contrastati con gli artt. 49 e 56 TFUE e 12 Direttiva 2006/123/CE.
[2] In relazione alla questione dell’applicazione della disciplina dell’evidenza pubblica alle concessioni balneari, anche alla luce delle sentenze dell’Adunanza Plenaria 17 e 18 del 2021, la dottrina si è molte volte soffermata; basti richiamare solo alcuni contributi presenti in questa rivista: M.A. Sandulli, Sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, 2, 2022; F. Francario, Se questa è nomifilachia. Il diritto amministrativo 2.0. secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 1, 2022; E. Zampetti, Le concessioni balneari dopo le pronunce Ad. Plen. 17 e 18 2021. Definito il giudizio di rinvio innanzi al C.G.A.R.S. (nota a Cgars, 24 gennaio 2022 n. 116), 1, 2022; E. Cannizzaro, Demanio marittimo. Effetti in malam partem di direttive europee? In margine alle sentenze 17 e 18/2021 dell’Ad. Plen, 12, 2021; F. P. Bello, Primissime considerazioni sulla “nuova” disciplina delle concessioni balneari nella lettura dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 11, 2021; R. Dipace, All’Adunanza plenaria le questioni relative alla proroga legislativa delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, 7, 2021. Al tema è stato anche dedicato un numero speciale della Rivista Diritto e Società n. 3/2021: “La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenza 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria”, con scritti di M.A. Sandulli, F. Ferraro, G. Morbidelli, M. Gola, R. Dipace, M. Calabrò, E. Lamarque, R.Rolli - D. Sammarro, E. Zampetti, G. Iacovone, M. Ragusa, P. Otranto, B. Caravita di Toritto - G. Carlomagno.
[3] La l. 118/2022 5 agosto 2022 ha delegato il governo a riordinare e semplificare la materia definendo alcuni criteri della nuova disciplina (art. 4). In sintesi, tali criteri attengono alla determinazione dei parametri per l'individuazione delle aree suscettibili di affidamento in concessione; all’affidamento delle concessioni sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità; all’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell'impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali, nonchè valorizzazione di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori, della protezione dell'ambiente e della salvaguardia del patrimonio culturale; alla definizione di una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni; all’adeguata considerazione, ai fini della scelta del concessionario, della qualità e delle condizioni del servizio offerto agli utenti; alla valorizzazione e adeguata considerazione dell'esperienza tecnica e professionale già acquisita in relazione all'attività oggetto di concessione, secondo criteri di proporzionalità e di adeguatezza e, comunque, in ma niera tale da non precludere l'accesso al settore di nuovi operatori; alla considerazione della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l'avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito; alla previsione di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato nell'attività del concessionario uscente, nel rispetto dei principi dell'Unione europea e nel quadro della promozione e garanzia degli obiettivi di politica sociale; alla previsione della durata della concessione per un periodo non superiore a quanto necessario per garantire al concessionario l'ammortamento e l'equa remunerazione degli investimenti autorizzati;alla definizione di criteri uniformi per la quantificazione di canoni annui concessori; all’introduzione di una disciplina specifica dei casi in cui sono consentiti l'affidamento da parte del concessionario ad altri soggetti della gestione delle attività, anche secondarie, oggetto della concessione e il subingresso nella concessione stessa; alla definizione di criteri uniformi per la quantificazione dell'indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante.
[4] Corte di giustizia UE, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15) secondo la quale l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE “deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”.
Discorso di Liliana Segre al Senato della Repubblica, 13 ottobre 2022
Oggi sono emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. A ottobre ricorre il centenario della marcia su Roma, che dette avvio alla dittatura. Il valore simbolico di questa circostanza si amplifica in me perché ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre. Fui costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il banco della scuola elementare. Oggi per uno strano destino mi trovo sul banco più prestigioso del Senato.
Dare l'esempio non vuol dire fare solo il nostro dovere, servendo le istituzioni e non servirci di esse. Si lasci fuori dall'Aula la politica urlata, interpretando una politica alta e nobile, che dia prova di rispetto degli avversari, con mitezza e gentilezza.
In Italia il nostro popolo deve mostrare il suo ancoraggio alla Costituzione.
La Costituzione non è un pezzo di carta, ma il testamento di migliaia di morti per la libertà, che vede come capofila Matteotti.
Anche la costituzione è perfettibile e può essere emendata. Ma se le energie che vengono spese per cambiare da decenni la costituzione con risultati modesti e peggiorativi, fossero state usate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e felice.
Le grandi nazioni dimostrano di essere tali riconoscendosi coralmente nelle festività civile, ritrovandosi affratellate nelle ricorrenza scolpite nella storia della patria. Perché per il popolo italiano queste date dovrebbero essere vissute come divisive?
25 aprile, Festa della Liberazione. 1° maggio, Festa del Lavoro. 2 giugno, Festa della Repubblica. Anche su questo tema, della condivisione delle date che scandiscono un patto tra generazioni, grande potrebbe essere il valore dell'esempio.
Altro passaggio è quello della lotta al linguaggio dell'odio, dell'imbarbarimento del dibattito pubblico.
Auspico che tutto il Parlamento, con unità di intenti, sappia mettere in campo un impegno straordinario per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e imprese, che si battono contro l'inflazione e contro i costi dell'energia.
Non c'è un momento da perdere, dalle istituzioni arrivi il segnale che nessuno sarà lasciato solo.
Senatrici, senatori, cari colleghi: buon lavoro.
Liliana Segre
Senato della Repubblica,
13 ottobre 2022
Movimento per la Giustizia: la sua storia di Armando Spataro [1] - seconda parte
Sommario (seconda parte): 1. Magistrati del Movimento componenti del CSM, del CDC dell’ANM, del Direttivo dell’ADM e del Direttivo del Movimento stesso. - 2. Fusione del Movimento ed Articolo 3: nascita del Movimento per la Giustizia-Articolo 3. Alcune iniziative del gruppo. - 3. La rivista Giustizia Insieme, il sito web, la mailing list e la chat del Movimento. - 4. L’ esperienza del Movimento all’interno di MEDEL. 5. Dal Movimento e da MD ad Area Democratica per la Giustizia.
Segue a "la nostra storia" pubblicato il 10 ottobre 2022.
1. Magistrati del Movimento componenti del CSM, del CDC dell’ANM, del Direttivo dell’ADM e del Direttivo del Movimento stesso
Vorrei ricordare a questo punto quali sono stati i magistrati del Movimento per la Giustizia eletti alla carica di componenti del CSM, partendo dall’inizio degli anni ottanta, cioè da quando ancora il Movimento non esisteva ma già cresceva il dibattito che avrebbe portato alla sua fondazione nel 1988, nonché degli organi direttivi della Associazione Nazionale Magistrati, del Movimento stesso e dell’A.D.M.I.
Consiglio Superiore della Magistratura Epoca anteriore alla nascita del Movimento:
- CSM 1976-1981: Mario Almerighi;
- CSM 1981-1986: Vladimiro Zagrebelsky e Giovanni Tamburino;
CSM eletto in epoca anteriore alla nascita del Movimento, ma in carica durante i suoi primi anni di attività:
- CSM 1986-1990: Pietro Calogero, Vito D’Ambrosio (che annunciarono in plenum la fondazione del Movimento e la loro adesione al nuovo gruppo) e Stefano Racheli;
CSM per la cui elezione il Movimento presentò una lista propria:
- CSM 1990-1994: Alfonso Amatucci, Luigi Fenizia e Nino Condorelli;
- CSM 1994-1998: Vladimiro Zagrebelsky, Saverio Mannino, Paolo Fiore, Sergio Lari e Mario Chiarolla (che subentrò a V. Zagrebelsky, dimessosi in prossimità della scadenza della consiliatura, per assumere presso il Ministero della Giustizia la direzione dell’Organizzazione Giudiziaria, lasciata da Ernesto Lupo, e poi dell’Ufficio legislativo fino al 2001);
- CSM 1998-2002: Gioacchino Natoli, Ippolisto Parziale e Armando Spataro
- CSM 2002-2006: Ernesto Aghina, Paolo Arbasino e Giuseppe Fici;
- CSM: 2006 -2010: Dino Petralia, Ciro Riviezzo e Mario Fresa. Ernesto Lupo, quale Primo Presidente della Corte di Cassazione, ne fu membro di diritto dal 13.7.2010;
- CSM 2010-2014: Aniello Nappi, Paolo Carfì, Roberto Rossi. Ernesto Lupo, quale Primo Presidente della Corte di Cassazione, ne fu membro di diritto fino al 20.5.2013
CSM per la cui elezione, dopo consultazioni primarie ed elaborazione di un programma comune, i magistrati del Movimento si candidarono nella lista di Area o Area Democratica per la Giustizia, di cui si farà cenno più avanti:
- CSM 2014-2018, che vide ben sette candidati eletti, di cui cinque provenienti dal Movimento): Antonello Ardituro, Valerio Fracassi, Fabio Napoleone, Ercole Aprile e Nicola Clivio;
- CSM 2018-2022, che vide cinque candidati eletti, di cui uno proveniente dal Movimento): Mario Suriano;
- CSM 2022-2026, che ha visto eletti ben sei candidati di Area (pur a fronte dell’aumento a venti unità dei componenti togati), di cui due di “matrice movimentista”: Marcello Basilico e Tullio Morello.
Associazione Nazionale Magistrati: organi direttivi Sono stati ovviamente numerosi i magistrati del movimento per la giustizia che sono stati eletti componenti del Comitato Direttivo Centrale dell’ANM e della Giunta Esecutiva Centrale[2], così come di Consigli Giudiziari e Giunte Distrettuali dell’ANM. Impossibile elencarli tutti, almeno da parte di chi scrive, ma ben si può ricordare che in epoche diverse sono stati:
- Presidenti dell’ANM Mario Almerighi e Ciro Riviezzo;
- Vice Presidenti Giovanni Tamburino, Pietro Martello, Antonello Ardituro e Gioacchino Natoli (che è stato anche Vice Segretario).
Purtroppo Mario Almerighi (fondatore del Movimento, scomparso nel 2017), il 18 ottobre 1998, subito dopo essere stato eletto Presidente dell’ANM, decise di dimettersi sull’onda delle reazioni ad una intervista pubblicata sul Corriere della Sera, certamente non felice, che aveva rilasciato, ma la cui veridicità è sempre stata da lui contestata, anche in sede giudiziaria. Almerighi, come ha ricordato più volte Vito D’Ambrosio suo fraterno amico, visse quella vicenda con coinvolgimento talmente forte da spingerlo ad uscire dal Movimento, lamentando di non essere stato “difeso” associativamente da quella che era soprattutto una sua creatura. Il Movimento restò privo di un punto di riferimento molto importante.
Nel corso degli anni sono stati eletti componenti del CDC e/o della GEC dell’ANM anche Franco Roberti, Alfonso Amatucci, Aldo Celentano (che è stato Direttore de La Magistratura), Leonardo Agueci, Fortunato Lazzaro, Modestino Villani, Nino Condorelli, Armando Spataro, Mario Suriano, Mario Fresa, Nello Nappi, Ippolisto Parziale, Dino Petralia, Nicola Di Grazia, Alessandra Camassa, Alessandra Galli, Luigi Picardi, Marcello Basilico, Manuela Fasolato, Luisa Savoia, Giovanni Tedesco, Lilly Arbore.
Sempre per quanto riguarda le Associazioni nazionali, va qui anche ricordato che nel 1990 è stata fondata l’A.D.M.I. – Associazione Donne Magistrato Italiane, del cui Comitato Direttivo è componente Donatella Salari, attualmente anche vice presidente del Movimento per la Giustizia.
Movimento per la Giustizia: organi direttivi
Quanto alla carica di Presidenti, Segretari e Dirigenti del Movimento, fu costituito, dopo la fondazione del Movimento, un Comitato provvisorio allargato, di cui facevano parte Ernesto Aghina, Mario Almerighi, Nino Condorelli, Luciano Gerardis, Giovanni Kessler, Piero Martello, Sergio Materia, Memo Nataloni, Piervalerio Reinotti, Gioacchino Natoli, Roberto Sciacchitano, Giovanni Antonio Tabasso, Giorgio Vitari.
Negli anni successivi furono Presidenti, Segretari e Vice Presidenti del Movimento i seguenti magistrati.:
- Presidenti: V. Zagrebelsky, Mario Almerighi, Giovanni Tamburino, Ubaldo Nannucci, Nino Condorelli, Pietro Martello, Ernesto Aghina, Patrizia Morabito, Antonella Magaraggia, Dino Petralia, Claudio Gittardi, Bruno Giordano, Angelo Costanzo;
- Segretari: Mario Almerighi, Ippolisto Parziale, Ciro Riviezzo, Mimmo Carcano, Stefano Racheli, Armando Spataro, Nino Condorelli, Carlo Citterio, Valerio Fracassi, Nicola Di Grazia, Carlo Sabatini, Morena Plazzi;
- Vice Presidenti: Gioacchino Natoli, Pietro Martello, Patrizia Morabito, Antonello Spanu, Federico Mazza, Donatella Salari
Oltre tutti i Presidenti, Segretari e Vice Presidenti del Movimento sopra indicati (alcuni dei quali hanno fatto parte del Direttivo in più occasioni), sono stati eletti componenti dei vari Direttivi del Movimento succedutisi nel tempo: Roberto Rossi, Marcello Basilico, Maria Monteleone, Federico Mazza, Luca Ramacci, Rosanna Allieri, Giovanni Nardecchia, Luigi Patronaggio, Giacomo Nonno, Angelo Bozza, Franco Roberti, Christine Von Borries, Giuseppe Locatelli, Mino Lanzellotto, Gianni Caria, Daniela Troja, Giovanni Liberati, Angelo Mambriani, Luigi Picardi, Roberto Parziale, Anna Mantovani, Maria Teresa Orlando, Piero Padova, Paola Filippi, Giuseppe Sepe, Federico Mazza, Lucia Casale, Giuseppe De Gregorio, Marco Gianoglio, Natina Praticò, Mario Suriano, Paola Ghinoy, Anna Rita Mantini, Pasquale Serrao D’Aquino, Maria Teresa Gentile, Antonello Ardituro, Ignazio Fonzo, Tullio Morello, Stefano Civardi . Anche alcuni dei magistrati qui elencati hanno fatto parte in più occasioni del Direttivo[3].
Ho avuto anche io l’onore di esercitare il ruolo di segretario nazionale del Movimento per la Giustizia alla fine del 2002 e di essere stato eletto a far parte del Comitato direttivo centrale dell’ANM nel 2004, cioè dopo la cessazione della mia esperienza nel Csm (un “carrierismo” evidentemente al contrario secondo i duri e puri dell’associazionismo!). Voglio qui citare tali incarichi, soprattutto il primo, perché ciò mi consente di ricordare alcune vicende importanti, nonchè significativi interventi e iniziative del Movimento per la Giustizia.
2. Fusione del Movimento ed Articolo 3: nascita del Movimento per la Giustizia-Articolo 3. Alcune iniziative del gruppo
Certamente uno dei momenti più importanti della nostra storia fu prima l’avvicinamento e poi la fusione che si verificò tra il Movimento ed Articolo 3. Una storia che ricorda la fusione con Proposta ’88, ma che è più articolata di quella. L’ha ben raccontata Giovanni Tamburino per Giustizia Insieme nel 2008 e di seguito ne utilizzo le parti più significative.
La storia di Articolo 3 è innanzitutto la storia dei Ghibellini o di alcuni di essi. Il Ghibellin Fuggiasco era un foglio edito per la prima volta nel marzo del 1999, come “foglio critico-informativo” di Unità per la Costituzione, da giovani rappresentanti di quel gruppo del distretto della Corte d’Appello di Napoli, diretti da Modestino Villani. La metafora dantesca era utilizzata per stimolare il dibattito sui principali temi dell’ANM, dell’autogoverno e della giustizia con l’auspicio che quel movimento potesse allargarsi ai contributi di magistrati di altri distretti. Ben presto alcuni dei magistrati “Ghibellini” lasciarono Unità per la Costituzione per “incompatibilità ambientale” rispetto alla gestione dell’importante sezione napoletana di quella corrente. Tralasciando vicende delicate che si verificarono a Napoli in quel periodo e che riguardavano il locale Consiglio Giudiziario, la gestione della Procura e la Giunta distrettuale dell’ANM che si dimise (le nuove elezioni dell’ottobre del 2001 registrarono un clamoroso successo della “Lista 1 marzo”, composta da magistrati facenti riferimento a MD, Movimento e Ghibellini), va ricordato che i Ghibellini si caratterizzarono subito per il loro movimentismo, la trasversalità dei contributi e delle partecipazioni e la critica al correntismo come metodo per l’occupazione degli organi di autogoverno. Il gruppo si arricchì nei mesi successivi grazie alla partecipazione dei magistrati del distretto di Salerno aderenti a “Impegno per la legalità”. I Ghibellini furono protagonisti di un accordo con Movimento ed MD in vista della elezione del CSM nel 2002 (furono 8 i togati conseguentemente eletti in base alla nuova legge elettorale) e nell’ottobre del 2003, assumendo per la prima volta formalmente la denominazione di Articolo 3 (di cui presidente fu Antonello Ardituro), parteciparono alle elezioni per il rinnovo del CDC, ottenendo l’elezione di Modestino Villani e Mario Suriano. L’attività di Articolo 3 si estese progressivamente a livello nazionale e prese corpo un rapporto privilegiato con il Movimento per la Giustizia: a Napoli venne istituita la sezione “Movimento per la Giustizia – Articolo 3” che ottenne importanti successi nelle elezioni per la giunta locale e per il Consiglio Giudiziario. Quell’esperienza ormai nota a livello nazionale determinò la presentazione di una lista unica per il rinnovo del 2007 del CDC e la conseguente formazione in quell’ambito di un gruppo unico composto da G. Natoli, A. Ardituro, V. D’Ambrosio, L. Picardi e N. Di Grazia.
Ormai la strada era spianata e finalmente, nel corso dell’Assemblea di Roma del 13 e 14 dicembre 2008, fu formalmente ratificata la fusione in un unico gruppo, il Movimento per la Giustizia – Articolo 3: ancora e sempre in movimento, tutti, per offrire ai magistrati italiani una specifica proposta di impegno professionale e di cultura della giurisdizione, dell’associazionismo, del governo autonomo.
L’attività del gruppo continuava intanto a svilupparsi negli anni grazie a convegni, seminari di studio, pubblicazioni, assemblee.
Impossibile citarle tutte, sicchè preferisco ricordare solo alcune iniziative molto importanti, risalenti all’inizio di questo millennio, il periodo forse di maggiore e più intensa attività del gruppo anche quale conseguenza del difficile periodo politico che il Paese stava vivendo.
Diffondemmo i seguenti documenti:
- il 4 ottobre 2002, Il diritto dei forti (pubblicato anche su Avvenimenti), denunciando riforme e progetti di riforma in tema di giustizia (leggi sulle rogatorie e sul rientro anonimo dei capitali occulti costituiti all’estero, opposizione al mandato d’arresto europeo, legge delega sui reati societari, progetti di riforma del CSM e del sistema elettorale, ddl Cirami sul legittimo sospetto, il ddl Pittelli ed il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario) che stavano superando ogni più pessimistica previsione, in alcuni casi facendo arretrare l’Italia nella considerazione della comunità internazionale;
- nel dicembre del 2002, Quali riforme per l’ordinamento giudiziario (pubblicato su La Magistratura, organo dell’ANM), in cui, pur auspicando ogni possibile dialogo, ancora affrontavamo il tema delle riforme in discussione, caratterizzate da un prevalente intento punitivo, accentuatosi con le polemiche conseguenti alla sentenza di condanna del sen. Andreotti per l’omicidio Pecorelli emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia;
- il 18 luglio 2003, Carriere separate, riforma rancorosa (pubblicato anche su Avvenimenti), concernente la “secolare” questione che ciclicamente affligge l’Italia, come avvenuto anche con il referendum abrogativo del 12 giugno 2022. Anche in quella occasione gli avvocati penalisti furono invitati invano ad un confronto pacato che tenesse conto della centralità della questione e della sua pertinenza al tema delle garanzie dei cittadini;
- il 18 settembre 2003, Sulle aggressioni di Berlusconi alla Magistratura, Presidente del Consiglio dei Ministri, note in Italia ed all’estero, fino alla sua “celebre” convinzione espressa il 4 settembre, secondo cui “I giudici sono matti, anzi doppiamente matti. Per prima cosa perché lo sono politicamente e, secondo, sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche . Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dalla razza umana”. Al di là del loro modesto livello, si tratta di affermazioni che allora non potevano far sorridere;
- il 3 ottobre 2003, “I magistrati tra bocche cucite ed interpretazioni creative” (pubblicato anche su Avvenimenti dello stesso giorno) in cui – a proposito del disegno di legge delega per la riforma dell’Ordinamento giudiziario approvato dalla Commissione Giustizia del Senato – attaccavamo duramente la previsione del divieto per i magistrati di “attività di interpretazione di norme di diritto che palesemente sia contro la lettera e la volontà della legge o abbia contenuto creativo”. Insomma, interpretazione della legge possibile solo in termini graditi alla maggioranza di turno ! ;
- il 17 ottobre 2003, “Libertà di associazione e manifestazione del pensiero: i diritti negati del cittadino-magistrato” (pubblicato anche da La Rinascita dello stesso giorno), in cui – sempre a proposito del disegno di legge delega appena citato ed al di là del condiviso divieto di iscrizione a partiti politici, già presente nello Statuto dell’ANM ed affermato nella giurisprudenza disciplinare – analizzavamo il divieto di partecipazione dei magistrati “…ad attività o iniziative di carattere interne ovvero ad ogni altra attività che non abbia carattere scientifico, ricreativo, sportivo o solidaristico”, ovviamente elencando i diritti costituzionali negati, specie a magistrati che – come quelli del Movimento e non solo – intendevano partecipare a dibattiti ed iniziative della cd. “società civile”;
-ottobre 2003, La giustizia in Italia: gli errori degli ultimi anni, i problemi reali, le riforme possibili” (autori Giovanni Melillo ed A. Spataro, pubblicato sul Giornale di storia contemporanea, n. 1 del gennaio 2004), in cui, partendo dal pubblico interesse quale stella polare di ogni riforma della giustizia, venivano presi in esame l’alluvionale produzione legislativa di quegli anni, il “giusto processo” all’epoca dello scritto, il diritto penale sostanziale, le riforme ad personam del secondo governo – Berlusconi, il contesto internazionale, il controllo del PM, l’efficienza del sistema, le riforme ordinamentali effettivamente utili, il processo civile e la riforma del diritto minorile;
-l’11 novembre 2003, “Il caso Pizzorusso al Consiglio Superiore della Magistratura”, in cui prendevamo posizione a favore ed a sostegno del prof. Alessandro Pizzorusso, in quanto, da docente in un corso di formazione per giovani magistrati, era stato accusato da certa stampa di avere diffuso un “libretto rosso del Politburo sparando pagine più dirompenti delle pallottole..con il preciso obiettivo di diffondere tra i giovani magistrati la faziosità e l’odio di parte…” ovvero con l’obiettivo “…di indottrinamento marxista-stalinista subdolamente compiuto nei confronti dei giovani magistrati”. La questione era stata sollevata da due consiglieri laici del Polo, che avevano anche minacciato le dimissioni sia per le espressioni loro rivolte nella relazione che per i presunti attacchi nei confronti del PdCM. Esprimemmo gratitudine al prof. Pizzorusso per le sue critiche, prive di espressioni insultanti, ai progetti in cantiere di riforma dell’ordinamento giudiziario, CSM incluso, ed aderimmo all’appello di importanti costituzionalisti in favore dell’accademico e della libertà di manifestazione del pensiero, di scienza ed insegnamento;
-il 28 novembre 2003, “La giornata della giustizia dell’ANM al Brancaccio di Roma: chiudere i cantieri aperti per la demolizione della giustizia” (pubblicato anche su La Rinascita dello stesso giorno), in cui si richiamava l’impegno di tutti alla diffusione di una corretta informazione, “di gruppo in gruppo, di persona in persona”, sui gravi rischi per l’assetto costituzionale che sarebbe arrivati in caso di approvazione della “controriforma” ordinamentale che era stata messa a punto dalla Casa della Libertà. La stessa ANM, unitariamente, aveva organizzato a Roma una imponente manifestazione pubblica durante la quale erano intervenuti il Presidente Oscar Scalfaro, l’ex Presidente della Consulta Elia, nonché giuristi come Coppi, Silvestri ed intellettuali come Flores d’Arcais, Camilleri, G. Bachelet, P. Ginsbourg, M. Ovadia, rappresentanti di sindacati ed altri ancora;
- l’11 dicembre 2003, La controriforma prussiana alla stretta finale (pubblicata su Avvenimenti lo stesso giorno), documento in cui, sempre a proposito delle riforme in cantiere, denunciavamo anche l’ambiguità di ampi settori del centrosinistra dichiaratisi d’accordo sulla necessità di una penalizzante riforma della giustizia. Marco Boato si era addirittura dichiarato aperto verso un’ipotesi d’inchiesta su Mani pulite ed il sen. Elvio Fassone spingeva per un confronto sulla riforma ordinamentale, proponendo una serie di modifiche all’insegna di una possibile “riduzione del danno”;
- Inaugurazione dell’anno giudiziario 2004: il dovere della memoria, in cui venivano citati alcuni passaggi della Cronaca della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario del 1940 in epoca fascista (tratti da “Annali di diritto e procedura penale” 1940, Storia d’Italia, Einaudi) e descritti i magistrati che inneggiavano al Duce, nonché della Relazione del 1984 della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2 nella parte relativa ai Rapporti con la magistratura. il Movimento invitava magistrati e cittadini ad una mobilitazione permanente in difesa dei principi costituzionali di legalità, della separazione dei poteri, della autonomia della magistratura e della eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, così da “… non perdere memoria in difesa della democrazia”;
- 4 luglio e 7 luglio 2004, rispettivamente La controriforma dell’ordinamento giudiziario dopo la mozione di fiducia alla Camera dei Deputati e Gli obiettivi reali della Riforma della Costituzione e dell’Ordinamento giudiziario, in cui veniva ribadita la necessità di un impegno diffuso contro i predetti progetti di riforme, di cui alcuni politici (i cd. “quattro saggi”) avevano individuato i principi fondanti durante quattro giorni di vacanze in Valle di Cadore.
Mi fermo qui per non superare i confini temporali della rievocazione delle prese di posizione del Movimento che mi sono imposto, ricordando però gli auguri che, come Presidente (Nino Condorelli) e Segretario (chi scrive) del Movimento, rivolgemmo in occasione del Natale 2003 “ai magistrati italiani, a tutti” al termine di un altro anno di attacchi alla magistratura: “Cari colleghi ed amici stiamo attraversando l' "inferno": un premier "sequestra" la TV pubblica per oltre due ore di propaganda (così l'editoriale di Repubblica del 22 dicembre), dichiara di non essere interessato alle ragioni per cui il Capo dello Stato ha rifiutato la firma ad una legge incostituzionale, preannuncia di voler stravolgere il principio della par condicio tra i partiti nella propaganda politica attraverso la TV. Di fronte a questo allarmante scenario, risulta evidente l'errore di chi ignora che gli attacchi e le ingiurie alla Magistratura ed al principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge costituiscono solo una parte - forse neppure la più significativa - di una concezione privatistica del rapporto tra potere e diritti dei cittadini. Nè consola, purtroppo, la difesa dei principi costituzionali da parte di chi aspira ad essere in futuro forza di governo: nei contenuti e nelle modalità, essa appare spesso debole, burocratica, contraddittoria, ambigua. Ma né rabbia, né sconforto devono indebolirci”.
Parafrasando le parole con cui Marco Polo (in "Le città invisibili" di Italo Calvino), dopo avergli raccontato i suoi viaggi e descritto le città irriconoscibili visitate, risponde a Kublai Khan che gli chiede: "Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quale di questi futuri ci spingono i venti?”, Nino ed io così chiudemmo il nostro messaggio : A voi, a noi tutti un solo augurio, forte e convinto: non accettiamo l'inferno (fino a diventarne parte); stiamo insieme, cerchiamo contatti e comunicazione con chiunque abbia a cuore i valori che ci animano e per cui abbiamo scelto di fare questo lavoro. Come auspica il Marco Polo di Calvino, non smettiamo di cercare la città cui tende il nostro viaggio; impariamo a cercare, a saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno; per farlo durare, per dargli spazio e farlo crescere. Dobbiamo crederci senza arretrare di un solo passo. Auguri a tutti, dunque, sinceramente e con forza!”
Naturalmente, oltre alla produzione di documenti ed a pubbliche prese di posizione, il Movimento per la Giustizia ha organizzato molti eventi di grande impatto e successo.
Tra i tanti, voglio qui citarne citarne solo un paio, limitandomi a quelli di anni lontani:
- sempre a difesa della Costituzione, il Movimento per la Giustizia - con le associazioni della società civile Articolo 21 e Libertà e Giustizia - organizzò il 15
gennaio del 2004, nell’Auditorium della Provincia di Milano un convegno pluritematico su “Controriforme e diritti dei cittadini”, preceduto dalla diffusione di documenti in cui venivano affrontati i problemi che riforme e progetti di riforme in quel periodo stavano determinavano nei settori pubblici dell’istruzione e della ricerca, della informazione, della sanità e del lavoro. Nella sala affollatissima della Provincia, con centinaia di persone impossibilitate ad entrarvi, furono molte le voci autorevoli che intervennero sulle sofferenze del settore pubblico, introdotte da Sandra Bonsanti, Nino Condorelli e Federico Orlando: Carlo Bernardini sulla crisi della ricerca, Rosy Bindi sulla sanità, Giuseppe Casadio sul mondo del lavoro, Tullio De Mauro su quello dell’istruzione pubblica, Paolo Ferrua sulla giustizia, Alessandro Pizzorusso sui progetti di riforma della Costituzione, Sergio Zavoli sull’attacco a stampa ed informazione televisiva. Paolo Flores d’Arcais intervenne su «Passione civile, storia e verità di Stato». La manifestazione registrò, soprattutto, un grande intervento finale di Oscar Luigi Scalfaro, capace anche quella sera di sintetizzare le ragioni della perdurante modernità della nostra Carta Costituzionale: i quotidiani diedero grande rilievo all’evento e La Repubblica parlò di un nostro “trionfo”;
- pochi giorni dopo, il 24 gennaio 2004, a Catania, il Movimento per la giustizia organizzò un magnifico evento in ricordo di Gabriele Chelazzi, magistrato fiorentino anch’egli fondatore del gruppo, deceduto nel 2003, esperto di mafia e terrorismo e cultore del coordinamento investigativo[4]. Il convegno era intitolato Lo stato della risposta istituzionale alla mafia ed al terrorismo, settori criminali in cui moltissimi magistrati del Movimento hanno lavorato per anni ed anni. Introdotti da Ignazio Fonzo e coordinati da Gianni Melillo, intervennero Virginio Rognoni (Vice Presidente del CSM), Pierluigi Vigna (Procuratore Nazionale Antimafia), i prof.ri Eligio Resta ed Alfredo Galasso, gli on.li Enzo Bianco, Anna Finocchiaro, Ignazio La Russa, Giovanni Burtone ed i magistrati Franco Roberti (altro storico “movimentista”), Gioacchino Natoli, Giuseppe Gennaro, Gaetano Paci, Luigi De Ficchy e Roberto Alfonso;
- il 3 ed il 4 ottobre 2008, a Reggio Calabria, il Movimento organizzò un altro importante convegno intitolato “La nuova dirigenza degli uffici giudiziari. Progetto per una gestione partecipata”, riguardante, cioè, un tema particolarmente caro al gruppo. Vi parteciparono i dirigenti del Movimento dell’epoca, nonchè componenti del CSM e del CDC (appartenenti al Movimento e ad altri gruppi), altri magistrati esperti ed avvocati che dedicarono molta attenzione alla organizzazione e gestione degli uffici giudicanti e requirenti. Questa la presentazione del convegno:
La riforma dell’ordinamento giudiziario, che ha disposto tra l’altro la temporaneità degli incarichi dirigenziali e la conseguente decadenza di molti magistrati che li ricoprivano, ha imposto al C.S.M. un rapido rinnovo dei vertici di tanti uffici giudiziari. E l’organo di autogoverno non si è lasciato sfuggire l’occasione di procedere ad un profondo cambiamento anche generazionale, stabilendo il principio che l’anzianità costituisce soltanto presupposto di legittimazione per la partecipazione al concorso.
Ciò comporta che per la prima volta sono chiamati a responsabilità dirigenziali numerosi magistrati che finora hanno svolto altre funzioni. Si viene così a determinare un radicale cambiamento culturale. Intanto, la consapevolezza della temporaneità dell’incarico e dell’ineludibilità della verifica dell’operato e dei risultati impone una costante attenzione al progetto organizzativo. Inoltre, viene meno il convincimento, finora assai radicato, che l’accesso ai vertici dirigenziali sia riservato soltanto ai magistrati più anziani che senza demerito abbiano percorso una sorta di cursus honorum. E finalmente si fa strada l’idea che la stessa organizzazione degli uffici non sia appannaggio esclusivo dei dirigenti, ma coinvolga, sia pure con funzioni e responsabilità differenti, tutti i magistrati, anche i più giovani, chiamati da subito a fornire ogni utile apporto.
Il convegno vuole appunto riflettere, partendo da angolature diverse per ufficio e per funzioni, sulla nuova cultura della gestione, come momento di partecipazione di tutti i magistrati all’organizzazione degli uffici.
In questa prospettiva s’impone un fecondo confronto tra dirigenti e magistrati che svolgono diverse funzioni, nel convincimento che sia ormai tempo di cambiare profondamente i moduli organizzativi degli uffici giudiziari
Evidente l’attualità e l’importanza degli argomenti trattati in quella occasione.
3. La rivista Giustizia Insieme, il sito web, la mailing list e la chat del Movimento
Un ulteriore salto di qualità segnò la storia del Movimento tra la fine del 2008 ed il 2009, allorchè, dopo la fusione con Articolo 3, i due gruppi unificati diedero vita alla rivista quadrimestrale in cartaceo “Giustizia Insieme” (Aracne Editrice srl): il primo numero risale al dicembre 2008 (n. 0/2008). Direttore ne fu inizialmente il segretario Valerio Fracassi, mentre la redazione fu costituita da Ernesto Aghina e Carlo Citterio (coordinatori scientifici), nonché da Alfonso Amatucci, Ferruccio Auletta, Pasquale D’Ascola, Salvatore Dovere, Paola Filippi, Camilla Gattiboni, Luigi Lanza, Luca Perilli, Antonio F. Rosa, Giuseppe Sepe e Modestino Villani. Dal n. 2.3/2012, assunse il ruolo di direttore Nicola Di Grazia, nuovo segretario generale del Movimento-Articolo 3.
Sin dalle prime pubblicazioni, la rivista è stata una piattaforma “aperta” ai contributi non solo degli appartenenti al gruppo, ma anche di avvocati, accademici, giornalisti: il modo migliore per parlare di giustizia e dei suoi rapporti con la società senza isolarsi in una grotta.
Dopo vari anni di pubblicazione in cartaceo, con copertina rigidamente verde, l’ultimo numero (nn. 2.3/2013) fu pubblicato nel dicembre 2014, ma da quel momento – grazie anche all’infaticabile Luca Ramacci - la rivista iniziò ad essere diffusa solo sul web (https://www.giustiziainsieme.it/) e diventò, unitamente a Questione Giustizia che fa capo ad MD, una delle più importanti sedi di dibattito su temi giuridici di ogni natura, incluse la giustizia dell’U.E., quella amministrativa e tributaria, la materia ordinamentale, la tematica dei diritti umani etc. La sua periodicità è giornaliera e, come per le antiche edizioni in cartaceo, è aperta ad ogni tipo di contributo. Direttrice scientifica è Paola Filippi (inizialmente con Bruno Giordano), direttore responsabile Marcello Basilico, ma redazione e comitato scientifico[5] sono ricchi di saperi di diversa estrazione, a partire (gli altri non me ne vorranno) da quelli di Roberto Conti che della rivista è stato ed è ancora una colonna, pur essendosi recentemente dimesso dalla funzione di codirettore scientifico. È interessante leggere “gli obiettivi” di Giustizia Insieme nella homepage (anch’essa con sfondo verde e logo immutato):
“Giustizia Insieme”, si propone l’ambizioso progetto di realizzare una piattaforma permanente dedicata al confronto tra magistrati, avvocati, studiosi del diritto e società civile. L’originale obiettivo della rivista cartacea: diffondere il modello di magistrato non autoreferenziale ma capace di ascoltare e confrontarsi con la società e che trovava massima espressione comunicativa nella “doppia voce” del togato a confronto sul medesimo tema con il non togato, rimane immutato, pur nel cambiamento della veste grafica e delle regole redazionali.
“Giustizia insieme” si offre così come proscenio on line ove voci diversamente togate o in abito borghese potranno trovare il loro luogo di confronto sui temi giuridici tenuti insieme dal filo rosso della giustizia al servizio della società, una tavola rotonda, accessibile a tutti, finalizzata a contribuire al dibattito sui temi della giustizia.
Un Filo rosso da dipanare in termini di aspirazione al miglioramento dell’esercizio della funzione giurisdizionale nella consapevolezza della molteplicità degli effetti diretti e indiretti che ognuna delle decisioni del magistrato, dell’avvocato così come di tutti gli attori del processo, determina nell’individuale e nel sociale.
L’evoluzione della nostra società ha mutato le nuove generazioni e con esse i giovani magistrati, i giovani avvocati e gli attori del processo. Ai giovani, per primi, si rivolge “Giustizia insieme” con l’impegno di ricordare che tra l’essere e l’apparire la scelta va rivolta all’essere con tutte le responsabilità connesse perché solo ciò che “è” incide e solo “su ciò che è” si incide, ciò che appare rimane sugli schermi e infine disorienta.
“Giustizia insieme” per collaborare alla formazione di un modello di magistrato che ascolti, osservi e si confronti al fine di incidere efficacemente con la sua giurisprudenza e l’organizzazione del suo ufficio nel percorso della legalità del nostro paese.
“Giustizia insieme” per offrire un luogo di confronto duttile ai cambiamenti quale eredità per le future generazioni che, come noi, continueranno ad aspirare ad una magistratura che non sia corporativa, autoreferenziale e ripiegata su sé stessa bensì che sia impegnata ad ascoltare le parti del processo, a studiare, a ricercare soluzioni e a confrontarsi per poi decidere, nel silenzio della camera di consiglio, senza mai distogliere lo sguardo dal destinatario della sua decisione.
Il potere determina grandi responsabilità e, come è scritto nella prima presentazione della rivista, “la giustizia è una questione troppo importante perché se ne occupino solo i giudici”; Giustizia insieme” allora perché insieme si interpretino e si applichino le norme e si utilizzino gli strumenti a nostra disposizione per rendere tempestiva e efficace l’azione giurisdizionale.”
Davvero incredibile il numero e la varietà degli argomenti trattati a più voci nella rivista nel corso della sua storia: essendone impossibile un dettagliato elenco di argomenti ed autori, mi limito a citare, a solo titolo di esempio, interventi su riforme della Giustizia e del CSM (con dibattito sull’ipotesi anticostituzionale e strampalata del sorteggio dei suoi componenti), ruolo dell’avvocatura nei Consigli giudiziari, criterio delle “pari opportunità”, carichi e condizioni di lavoro dei magistrati, rapporti tra mafia, politica e mondo degli affari (storico intervento di Franco Roberti, all’epoca Procuratore a Salerno), temi connessi dell’immigrazione e dei diritti fondamentali, sicurezza ed igiene sul lavoro, giudici e letteratura, approccio dei giovani magistrati ed avvocati al mondo della giustizia, comunicazione e giustizia nel mondo del web, processi e informazione, giustizia disciplinare, magistratura onoraria, ricordi non retorici di G. Falcone e P. Borsellino a vent’anni dalla loro morte, l’esperienza dei magistrati nelle scuole, l’esperienza all’interno di Medel, Associazione sovranazionale dei magistrati progressisti (di cui si dirà appresso), rapporto tra diritto comunitario e diritto interno, la storia di Area e della sua carta dei valori approvata nell’Assemblea di Roma dell’8 giugno 2013, l’organizzazione degli uffici giudiziari ed in particolare delle Procure (contrastandone la tendenza a considerarla una struttura verticistica in nome di una gestione partecipata) ed il loro rapporto con i cittadini, pubblico ministero e polizia giudiziaria, giurisdizione e politica tra società e istituzione, diritto del lavoro. Ma, considerata l’importanza storica dell’apporto di G. Falcone al Movimento, voglio citare l’articolo di Gioacchino Natoli del maggio 2022 dal titolo Nascita e storia del pool anti-mafia: il problema del metodo, in cui l’autore narra dettagliatamente la storia delle complicità e contiguità tra mafia e istituzioni sin dall’inizio degli anni 60, del superficiale metodo di lavoro che Falcone criticò ed innovò dando vita a quello che fu chiamato “il metodo-Falcone”, del ruolo di Borsellino, Di Lello, Chinnici e Caponnetto nella creazione del pool specializzato etc.. Ma Natoli ricorda anche la mancata nomina di Falcone a Consigliere Istruttore di Palermo, la creazione e le competenze di DDA e DNA, la testimonianza di Alfredo Morvillo sul sistema delle “carte a posto”, concludendo con l’auspicio che non sia dispersa “la grande storia di un grande Uomo, né quelle di una “lunga guerra” sui modelli organizzativi più efficaci per contrastare Cosa Nostra, che insieme hanno formato, però, la storia giudiziaria dell’Italia e di Palermo”.
A proposito del citato passaggio della rivista dal formato cartaceo alla versione sul web, va detto – ricordando le parole di Luca Ramacci (Giustizia Insieme n. 2/2010) – che il Movimento per la Giustizia ha promosso, in anni lontani ed in epoca di incompatibilità tra informatica e pubblica amministrazione (uffici giudiziari in particolare), varie iniziative per indirizzare al meglio i magistrati all’utilizzazione di Internet e delle infinite risorse che offre. Tra queste, una serie di incontri ideati da Ernesto Aghina ed organizzati presso alcuni uffici con il titolo “Il magistrato nella Rete, navigare nel diritto” che ebbero un buon successo con grande partecipazione dei magistrati, cui si cercava di fornire informazioni sugli strumenti disponibili per migliorare il lavoro attraverso una capillare ricerca di testi di legge, sentenza, consultazione di siti Internet.
Il Movimento per la Giustizia ha sempre avuto un’attenzione particolare per l’informatica ed è stato forse il primo gruppo dell’ANM, grazie al webmaster Luca Ramacci, ad utilizzare internet dando vita al sito www.movimentoperlagiustizia.it.
Ed è stato sicuramente il primo gruppo, sin dai suoi primi anni di vita e grazie anche all’intervento di Federico Mazza, a realizzare una “comunità informatica” attraverso una mailing list di discussione che raggiunse rapidamente un numero considerevole di iscritti, consentendo, cosa mai avvenuta prima, la possibilità di discutere e scambiarsi opinioni in tempo reale: una vera e propria “piazza virtuale”, peraltro da subito aperta a persone estranee alla magistratura, ma comunque interessate al mondo della giustizia (avvocati, docenti, giornalisti) ed allo scambio anche di documenti. L’uso delle mailing list si è poi rapidamente propagato all’interno della magistratura, agli altri gruppi associativi e, mediante la realizzazione di liste dedicate, ha favorito l’approfondimento di materie specifiche così determinando la creazione di più siti Web.
Oggi il Movimento-Articolo 3 si è dotato anche di un’interessante chat su WApp che consente il tuning immediato tra tutti i partecipi: il tempo di postare, di leggere e – se si vuole – di ripostare ed il dibattito è avviato ed è alla portata di tutti. Nella chat scorre la vita del Movimento così come essa è ed è così realizzato pienamente il sogno di trent’anni fa, cioè l’immediata conoscenza dei fatti per tutti e la possibilità di intervento in linguaggio corrente: ciò ne ha fatto uno strumento di libertà insostituibile che va difeso pur se, ma questa è l’opinione di chi scrive, non si può ignorare l’importanza della mailing list che consente un dibattito forse meno rapido ma più approfondito.
4. L’ esperienza del Movimento all’interno di MEDEL (Magistrats Européens pour la Démocratie et les libertés)
Dopo un periodo di attenzione alle sue attività e sulla scia di MD, il Movimento si è iscritto nel 2004 a Medel, fondata a Strasburgo nel 1985 e dotata di statuto consultivo presso il Consiglio d’Europa, operandovi con successo e convinzione grazie, in particolare, all’impegno di Gioacchino Natoli, Luca De Matteis, Marcello Basilico, Christine Von Borries, Alessandro Sutera Sardo, Carlo Sabatini ed altri.
MD è stata una delle associazioni fondatrici di Medel (Vito Monetti l’ha presieduta) ed ormai ne fanno parte 23 associazioni di giudici e pubblici ministeri di 16 stati europei, cui aderiscono circa 20.000 magistrati.
L’impegno in Medel è tuttora oggi uno dei punti qualificanti dell’attività del Movimento, consentendo di sviluppare ed arricchire una comune cultura europea fondata sui valori propri dello Stato di diritto, del rispetto delle libertà fondamentali, della difesa dell’indipendenza della magistratura. Si tratta di un impegno che deve essere intensificato, specie in un periodo come questo in cui si manifestano aggressioni nei confronti di magistrati in vari Stati sovranisti (già il 16.11.2006, il Movimento fece sentire la sua voce a Madrid nel corso di un incontro di Medel intitolato “Colloquio sulla trasformazione del diritto in una società globalizzata”) ed in cui il problema dell’immigrazione richiama la necessità di difesa di principi e diritti come solidarietà, diritto all’asilo e ad altre forme di protezione. Non a caso, sempre Medel è stata co-organizzatrice dello stupendo evento di Lampedusa del 2009 che sarà appresso citato
5. Dal Movimento e da MD ad Area Democratica per la Giustizia
Vista la loro indiscutibile vicinanza culturale e le “alleanze” spesso attuate in occasioni di elezioni associative (distrettuali e nazionali), Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia-Art.3, con atto fondativo (la Carta Dei Valori) approvato dall’Assemblea di Roma l’8 giugno 2013, formalizzarono la nascita di “Area”, fino a quel momento mero “cartello elettorale”, divenuta, proprio con l’approvazione di quella Carta, e grazie all’esperienza di lavoro comune maturata negli organi di autogoverno centrali e locali e nell’Associazione Nazionale Magistrati, un gruppo autonomo della magistratura associata[6].
In realtà, una parte del Gruppo ebbe delle perplessità quanto all’avvio del percorso che ha condotto ad Area. Alle molte e ai molti che dicevano con entusiasmo “contaminiamoci” ve ne erano altri che vedevano difficoltà di amalgama tra MD, che appariva organizzazione rigidamente strutturata, ed il Movimento, che ha sempre tratto il suo appeal dalla mancanza di una strutturazione forte e dunque oggettivamente da una maggiore libertà, se non una pluralità, di discussioni interne ed esterne e di giudizio sugli eventi.
Comunque, era stato il 2012 l’anno di svolta di AREA (già presente – come si è detto - in molte realtà locali), atteso che per le elezioni del CDC dell’ANM del febbraio 2012, per la prima volta MD e MOV3 presentarono una lista unica appunto denominata AREA e non due separate.
Area elesse propri esponenti nel Consiglio Superiore della Magistratura, nei Consigli Giudiziari e in tutti gli organi rappresentativi dell’Associazione Nazionale Magistrati. Il Coordinamento di Area fu inizialmente composto da rappresentanti delle due predette correnti, facenti parte dei rispettivi Direttivi.
Nel corso dell’Assemblea veneta del Movimento – Articolo 3 del 22 dicembre 2014, Lorenzo Miazzi formulò un documento-proposta per la necessaria struttura e precisazione dei fini di Area, da intendersi come un soggetto autonomo rispetto ai gruppi che vi avevano dato vita, il che non implicava l’esaurimento della loro esperienza o il superamento dell’appartenenza essendo evidente che quei gruppi continuavano ad essere la spina dorsale della nuova esperienza, un esperimento senza precedenti per l’associazionismo giudiziario, che richiedeva però struttura ben precisa e la scelta di cosa Area doveva essere.
Sulla base di tali riflessioni, nel giugno 2015 fu approvata una carta di organizzazione in forza della quale, ad ottobre dello stesso anno, furono eletti i componenti del Coordinamento Nazionale di Area, chiamando al voto diretto tutti i magistrati aderenti.
Il 21 giugno 2016 Area si costituì formalmente come associazione con atto notarile e si diede uno Statuto, approvato dall’Assemblea Nazionale il 27 novembre 2016.
Il 26 e il 27 maggio 2017 si è tenuto a Napoli il Primo Congresso Nazionale che ha segnato una svolta, icasticamente rappresentata dal mutamento del nome: “Area” è diventata “Area Democratica per la Giustizia” (AreaDG), ha assunto dunque un’identità più chiara, ha dato avvio ad una campagna di iscrizioni ed ha contestualmente aperto il proprio sito internet. Non ha però mutato la propria natura di associazione plurale aperta al contributo di tutti.
Questa la sua auto-presentazione:
Dal sito di “Area Democratica per la Giustizia”
“Siamo magistrati italiani ed europei, orgogliosi di far parte di una magistratura indipendente e autonoma, che, proprio perché tale, è stata capace di far fronte al terrorismo e alle mafie e di tutelare i diritti fondamentali delle persone. Siamo consapevoli che l’evoluzione del ruolo del magistrato e il crescente rilievo della giustizia nella vita collettiva sottolineano l’esigenza della professionalità, della responsabilità e della deontologia del magistrato. La Costituzione è il nostro punto di riferimento nell’esercizio della giurisdizione e nell’autogoverno. Area nasce da un’idea di giustizia come esigenza inalienabile di ogni persona, bene comune e funzione pubblica al servizio della società. Vogliamo realizzarla, partendo e beneficiando dell’esperienza e del patrimonio storico e ideale di Magistratura Democratica e del Movimento per la giustizia-Art. 3.”
Con queste parole il nostro primo atto fondativo – la Carta Dei Valori, approvata dall’Assemblea di Roma l’8 giugno 2013 – descriveva l’identità e lo scopo di “Area”, nata come “cartello elettorale” tra Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia-art.3, e divenuta, proprio con l’approvazione di quella Carta, e grazie all’esperienza di lavoro comune maturata negli organi di autogoverno centrali e locali e nell’Associazione Nazionale Magistrati, un gruppo autonomo della magistratura associata.
Dall’approvazione della Carta dei Valori molto cammino è stato fatto. Area ha eletto propri esponenti nel Consiglio Superiore della Magistratura, nei Consigli Giudiziari e in tutti gli organi rappresentativi dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Nel giugno 2015 ha approvato una carta di organizzazione in forza della quale, ad ottobre dello stesso anno, ha rinnovato il precedente organo rappresentativo e, per la prima volta, ha eletto i componenti del Coordinamento Nazionale chiamando al voto diretto tutti i magistrati aderenti. Il 21 giugno 2016 si è costituita come associazione e si è data uno Statuto, approvato dall’Assemblea Nazionale il 27 novembre 2016. Il 26 e il 27 maggio 2017 si è tenuto a Napoli il Primo Congresso Nazionale che ha segnato una svolta, icasticamente rappresentata dal mutamento del nome: “Area” è diventata “Area Democratica per la Giustizia” (AreaDG), ha assunto dunque un’identità più chiara, ha dato avvio ad una campagna di iscrizioni ed ha contestualmente aperto questo sito internet.
Con le iscrizioni Area Democratica per la Giustizia diventa anche economicamente autonoma, ma non cambia la propria natura di associazione plurale aperta al contributo di tutti.
Area Democratica per la Giustizia si riconosce nell’Associazione Nazionale Magistrati e nella sua funzione di presidio dell’autonomia e indipendenza della magistratura italiana, ma aspira a rinnovarla uniformando la sua azione di rappresentanza ad alcuni principi ispiratori: l’apertura alla società, la trasparenza nel funzionamento della giurisdizione e del governo autonomo, l’affermazione dei principi di eguaglianza, solidarietà e giustizia.
Crediamo in una magistratura attenta ai diritti, particolarmente a quelli dei più deboli ed emarginati, sensibile alle nuove istanze di tutela che nascono dall’evoluzione della società.
Pensiamo che un soggetto collettivo aperto alla collaborazione di persone diverse (anche non iscritte) possa contribuire ad una miglior comprensione della realtà nella quale i magistrati sono chiamati ad operare, renderli liberi da pericolose spinte corporative, aiutarli a non trasformarsi in burocrati. Possa, soprattutto, renderli protagonisti – insieme agli avvocati, al personale amministrativo e a tutti gli operatori del settore - del quotidiano sforzo per migliorare il funzionamento della Giustizia: che è per noi – oggi come sempre – un bene comune, strumento imprescindibile ed essenziale perché i valori Costituzionali possano trovare attuazione.
Anche in questo caso, visto l’oggetto di questa relazione, può essere utile ricordare quali sono stati i magistrati che, da componenti del Movimento per la Giustizia – Articolo 3, hanno fatto parte del Coordinamento (organo sostanzialmente equivalente ad un Direttivo) di Area (fase iniziale) e poi di Area Democratica per la Giustizia:
Coordinamento dal 2013 Giuseppe De Gregorio, Antonello Spanu, entrambi all’epoca facenti anche parte del Direttivo del Movimento
Coordinamento dal 2015 Paola Filippi, Giorgio Falcone, Mario Suriano (poi dimessosi), Giuseppe De Gregorio (in sostituzione di M. Suriano)
Coordinamento 2017-2019 Morena Plazzi e Marco Gianoglio
Coordinamento 2019-2021 Giuseppe De Gregorio, Donatella Salari, Stefano Civardi,
Coordinamento in carica dal 2022: non ne fa parte alcun magistrato di “estrazione – Movimento”[7].
E’ comunque utile ricordare che la norma transitoria dello Statuto di AreaDG (Art. 24 - Norma transitoria) prevede che “per il biennio 2015-2017 sono componenti di diritto del Coordinamento Nazionale anche i segretari dei gruppi fondatori, Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia-Art.3. Fino al 31/12/16 hanno diritto di voto in assemblea anche tutti coloro che sono già iscritti a Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia-art. 3).” Questa previsione, proprio perchè transitoria, lascia intendere come, ab initio, fosse previsto che AREADG, dopo la spinta dei gruppi che maggiormente l’avevano ideata, dovesse tendere – ove possibile - ad avere vita autonoma e propria identità.
Dall’approvazione della Carta dei Valori, comunque, molto cammino è stato fatto, ma non sono mancate dialettiche e polemiche interne: ad esempio, pur riconoscendosi unitariamente nell’Associazione Nazionale Magistrati e nella sua funzione di presidio dell’autonomia e indipendenza della magistratura italiana, MD, nonostante molti dei suoi iscritti “militassero” ormai convintamente in Area, ha determinato uno strappo interno non marginale autonomamente decidendo di presentare una propria lista di candidati in occasione delle elezioni del settembre del 2022 dei componenti togati del CSM. Il Movimento, pur continuando ad esistere, non lo ha fatto, riconoscendo solo ad Area la gestione della politica associativa ed elettorale.
Pur convinto della necessità perdurante di preservare il patrimonio culturale e storico di corrente all’interno di Area, ritengo che la scelta di MD nella predetta fase elettorale, indipendentemente dai risultati (6 gli eletti di Area, 2 quelli di MD, di cui uno candidatosi da indipendente nella lista di MD, al pari di una storica ed autorevole esponente del Movimento) non costituisca una bella pagina nella storia di Area Democratica per la Giustizia e non sia nemmeno giustificata dalla modifica dell’art. 1, punto 2, della citata Carta dei Valori intervenuta il 26.9.2021[8] che secondo, una interpretazione che non condivido (forse a causa della quasi quadriennale mia lontananza dai palazzi di Giustizia), avrebbe trasformato AREA in un gruppo autonomo di cui MD ed il MOVIMENTO non farebbero più parte (o quasi) !
È troppo presto per un commento ampio ed approfondito dell’esito di queste elezioni, ma a parere di chi scrive vi sono dei punti fermi nella storia e nella struttura di Area Democratica per la Giustizia che non possono essere ignorati e che servono per valutare quanto accaduto:
- MD e MOVIMENTO sono le due correnti che hanno fondato AREA (poi AREA – DG) e non si sono mai impegnate ad autosciogliersi per questo, pur se al nuovo gruppo hanno via via aderito magistrati che non appartenevano né all’una, né all’altra corrente;
- è stata per questa ragione prevista la possibilità di doppia tessera (AREA-MD oppure AREA-MOVIMENTO), con versamento di una doppia quota associativa;
- la dialettica interna e quella associativa hanno permesso che i due gruppi fondatori manifestassero talvolta opinioni divergenti su alcune questioni, ma mai in misura da determinare incompatibilità per la loro convivenza in AREA;
- il MOVIMENTO, anzi, ha scelto di rinunciare sostanzialmente ad assumere posizioni autonome o a diffondere documenti a propria firma, “delegando” ogni pubblica presa di posizione ad AREA. Qualcuno, all’interno del MOVIMENTO (tra cui chi scrive) non ha condiviso tale scelta, ritenendo che l’identità della corrente non dovesse andare dispersa, né con lo scioglimento formale del gruppo, né con il silenzio, salvo che, in un improbabile e non vicino futuro, una simile scelta non fosse stata comune e contestuale anche da parte di MD;
- è certo però che la “difesa” ed il significato della diversa identità storica dei gruppi (MD è stata costituita nel 1964 e il Movimento per la Giustizia nel 1988), pur potendo determinare una corretta interlocuzione interna, non hanno sin qui impedito l’importante cammino in comune delle due correnti “per” Area – “in” Area: lo dimostra la loro costante “alleanza” in occasione delle elezioni per il CSM e per gli organi direttivi dell’ANM. Ed è bene aggiungere che quando un “cartello elettorale” è fondato su comunanza di principi non è affatto disdicevole, anzi;
- la scelta di MD per le ultime elezioni dei membri togati del CSM costituisce invece un inevitabile segnale di “rottura” : se AREA ha sempre avuto una comune lista di candidati ed MD oggi si sfila e se ne crea una propria, è evidente che ci si trova dinanzi ad una ingiustificata rottura, non si sa se e quanto sanabile. Due liste “contro” non sono un segnale di unità e di comune sentire.
- non è un caso il fatto che molti storici magistrati aderenti ad MD, che hanno sin dalla fondazione di Area lavorato in modo convinto per la nuova comune realtà associativa, si siano dimessi da Magistratura Democratica.
In ogni caso, è bene attendere lo sviluppo di questa complessa vicenda per trarne conclusioni definitive riguardanti la storia ed il futuro del Movimento per la Giustizia (che deve recuperare il suo spirito originario e riappropriarsi di una quota di autonomia politica, pur all’interno di Area), di Magistratura Democratica (che dovrebbe tornare a credere in Area DG) e di Area Democratica per la Giustizia, che deve porre al centro del suo agire la questione morale, l’impegno sociale e la resa della giustizia in senso non burocratico, attraverso una dirigenza capace di meglio ascoltare e valutare anche il dissenso interno. Continuerà o riprenderà, in tal modo, un auspicabile cammino comune.
A seguire, nel prossimo numero di Giustizia Insieme, la III^ ed ultima parte del testo.
[1] Armando Spataro è stato uno dei fondatori del Movimento per la Giustizia nel 1988. Questo intervento contiene riflessioni ed ampi brani in parte già pubblicati in un suo libro (Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e Mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa, Laterza, 2010), nonché in interviste ed articoli vari, tra cui quelli pubblicati su Giustizia Insieme, Questione Giustizia, I diritti dell’uomo, Politica del Diritto e in relazioni predisposte per Corsi di aggiornamento della SSM. Vengono anche riportati, con l’assenso degli autori, brani tratti da due interventi di Giovanni Tamburino e Vito D’Ambrosio, pubblicati sulla rivista “Giustizia Insieme” 0/2008, in occasione del ventennale della fondazione del Movimento per la Giustizia. Anche ogni più limitata citazione di interventi ad altri attribuibili, comunque, è qui riportata con l’assenso dei rispettivi autori. Va precisato, infine, che – ai fini della redazione del presente documento – sono risultati utili i suggerimenti di altri vari “storici” appartenenti al Movimento per la Giustizia – Art. 3.
Durante il suo intervento a Scandicci (SSM), l’autore – secondo lo schema previsto anche per gli altri tre relatori (Mario Cicala per Magistratura Indipendente; Wladimiro De Nunzio per Unità per la Costituzione e Vittorio Borraccetti per Magistratura Democratica) - è stato intervistato da Antonella Magaraggia, co-fondatrice e già Presidente del Movimento per la Giustizia.
[2] Può essere utile qui ricordare i magistrati che sono stati Presidenti e Segretari dell’ANM dal periodo di fondazione del Movimento per la Giustizia fino ad oggi e con i quali, dunque, il gruppo si è sempre lealmente confrontato.
Si tratta di dati acquisiti presso l’ANM che non dispone invece dell’elenco di tutti coloro che sono stati componenti del CDC :
Periodo | Presidenti ANM | Segretari ANM |
17 aprile1988 | Raffaele Bertoni | Edmondo Bruti Liberati |
Aprile 1989 | Raffaele Bertoni | Antonio Martone |
2 dicembre 1991 | Giacomo Caliendo | Mario Cicala |
10 maggio 1992 | Mario Cicala | Franco Ippolito |
22 gennaio 1994 | Elena Paciotti | Marcello Maddalena |
4 marzo 1995 | Antonio Abbate | Edmondo Bruti Liberati |
14 dicembre 1996 | Elena Paciotti | Wladimiro De Nunzio |
17 ottobre 1998 | Mario Almerighi | Paolo Giordano |
18 ottobre 1998 | Francesco Castellano (ff) | Paolo Giordano |
28 febbraio 1999 | Antonio Martone | Mario Cicala |
7 novembre 1999 | Mario Cicala | Claudio Castelli |
15 aprile 2000 | Giuseppe Gennaro | Francesco Lo Voi |
16 marzo 2002 | Antonio Patrono | Lucio Aschettino |
25 maggio 2002 | Edmondo Bruti Liberati | Carlo Fucci |
25 maggio 2003 | Edmondo Bruti Liberati | Carlo Fucci |
30 aprile 2005 | Ciro Riviezzo | Antonio Patrono |
12 marzo 2006 | Giuseppe Gennaro | Nello Rossi |
24 novembre 2007 | Simone Luerti | Luca Palamara |
17 maggio 2008 | Luca Palamara | Giuseppe Cascini |
24 marzo 2012 | Rodolfo Maria Sabelli | Maurizio Carbone |
9 aprile 2016 | Piercamillo Davigo | Francesco Minisci |
1 aprile 2017 | Eugenio Albamonte | Edoardo Cilenti |
24 marzo 2018 | Francesco Minisci | Alcide Maritati |
6 aprile 2019 | Pasquale Grasso | Giuliano Caputo |
16 giugno 2019 | Luca Poniz | Giuliano Caputo |
5 dicembre 2020 | Giuseppe Santalucia | Salvatore Casciaro |
[3] L’autore si scusa con altri componenti del Direttivo del Movimento eventualmente qui non nominati. Si scusa anche se, per una scelta necessaria di sintesi, non sono qui riportati i periodi di esercizio delle funzioni di coloro che sono stati componenti di organi direttivi dell’ANM e del MOVIMENTO, citati nella pagina precedente ed in questa.
[4] Sempre alla memoria di Gabriele Chelazzi fu dedicato il libro intitolato “Il coordinamento delle indagini di criminalità organizzata e terrorismo” (Giuffrè, 2004), a cura di Giovanni Melillo, Armando Spataro e Piero Luigi Vigna, con cessione dei proventi all’Associazione Libera.
[5] Redazione: Direttrice scientifica Paola Filippi, Direttore Responsabili Marcello Basilico. Coordinatrice di Redazione Ilaria Buonaguro. Componenti: Ernesto Aghina, Marta Agostini, Gabriele Allieri, Giuseppe Amara, Maria Cristiana Amoroso, Andrea Apollonio, Elisa Arbia, Elisa Asprone, Beatrice, Chiara Bicchielli, Franco Caroleo, Carlo Citterio, Angelo Costanzo, Costantino De Robbio, Franco De Stefano, Marco Dell’Utri, Giovanni Di Giorgio, Carlo Vittorio Giabardo, Riccardo Ionta, Giovanni Liberati, Enrico Manzon, Lorenzo Miazzi, Werner Mussner, Alessandro Nazzi, Sibilla Ottoni, Ilaria Palmieri, Donatella Palumbo, Michela Petrini, Isabella Pierazzi, Luca Ramacci, Filippo Ruggiero, Sandro Saba, Federica Salvatore, Francesca Urbani.
Comitato Scientifico: Alfonso Amatucci, Mirzia Rosa Bianca, Bruno Capponi, Corrado Caruso, Roberto Conti, Mariella De Masellis, Pasquale Fimiani, Fabio Francario. Giacomo Fumu, Gabriella Luccioli, Giuseppe Melis, Vincenzo Militello. Dino Petralia, Oreste Pollicino, Giuseppe Santalucia, Mario Serio, Giorgio Spangher.
[6] Sintesi tratta dal sito web di Area Democratica per la Giustizia
[7] Attualmente il Coordinamento di Area Democratica per la Giustizia è composto da Egle Pilla (presidente), Eugenio Albamonte (segretario) e da Roberto Arata, Ilaria Casu, Daniela Galazzi, Luca Minniti e Chiara Valori
[8] Nell’assemblea generale di Cagliari del 26.9.2021 di Area DG, il testo previgente dell’articolo 1, punto 2 della Carta dei Valori di Area DG è stato modificato nella parte in cui affermava che “Area è un’associazione plurale, che comprende persone e gruppi, con la loro identità ed autonomia”. Il nuove testo è il seguente: “Area è un’associazione plurale, che comprende magistrati che si riconoscono nei valori espressi nella presente Carta”.
Movimento per la Giustizia: la sua storia* di Armando Spataro[1] - terza e ultima parte
Sommario (terza parte): 1. Il Movimento per la Giustizia e l’impegno civile del magistrato quale forma di partecipazione alla vita associativa. - 2. Altri temi di discussioni e polemiche, la posizione del Movimento per la Giustizia. - 2.1. Il sorteggio o il pre-sorteggio dei magistrati componenti del Csm. - 2.2. Questione morale ed abolizione delle correnti. - 2.3. Il potere dei dirigenti degli Uffici Giudiziari e, in particolare, dei Procuratori della Repubblica. - 2.4. Il rapporto con l’Avvocatura. - 2.5. Giustizia, informazione e comportamenti dei magistrati. - 2.6. “Carrierismo”, automatismi e incarichi fuori ruolo. - 3. Movimento per la Giustizia: possibili critiche ed autocritiche. - 4. Conclusioni ed auspici: il rifiuto del compromesso sui principi.
segue a "la nostra storia" -prima parte- pubblicato il 10 ottobre 2022 e a "la nostra storia" - seconda parte- pubblicato il 13 ottobre 2022.
1. Il Movimento per la Giustizia e l’impegno civile del magistrato quale forma di partecipazione alla vita associativa
Spesso si sente dire che i giovani magistrati non sono più, come un tempo, animati da spirito di sacrificio e di servizio e che, anche per questo, non partecipano alla vita associativa e non sono particolarmente interessati ai temi inerenti l’amministrazione della giustizia. Sarebbero condizionati da un eccesso di burocratizzazione del loro lavoro che spesso induce anche i migliori a rinchiudersi nel proprio ufficio (sempre che ne abbiano uno), prestando attenzione solo ai procedimenti loro assegnati, ai carichi medi di lavoro ed ai parametri per positive valutazioni della loro professionalità.
Ciò produrrebbe disaffezione anche rispetto alla necessità di una loro testimonianza fuori dai palazzi di giustizia su diritti e doveri dei cittadini.
Personalmente credo che le ragioni di una tale disaffezione risiedano innanzitutto nel tremendo periodo che la magistratura sta vivendo, a partire dall’esplodere del caso Palamara, e nella connessa disinformazione, spesso dolosamente finalizzata a ledere il principio di indipendenza della magistratura ed il senso stesso dell’associativismo, accusando indiscriminatamente tutti i giudici ed i pubblici ministeri di sistematiche violazioni dei loro doveri.
Orbene, preciso subito che credo fortemente nell’impegno civile del magistrato, ovviamente all’interno dei confini tracciati dalla Costituzione e la storia dell’Associazione Nazionale Magistrati e di alcune sue componenti (tra cui sicuramente il Movimento per la Giustizia) dimostra come tale impegno rafforzi la fiducia dei magistrati nel proprio ruolo e faccia crescere quella dei cittadini nella Giustizia.
Alcuni fatti servono: a partire dalla fine degli anni ’80, ad esempio, molti magistrati che si occupavano del contrasto del terrorismo interno, sostenuti dall’ANM si dedicarono anche al racconto pubblico della verità. Quei magistrati, cioè, proprio nella temperie degli anni di piombo, sentirono il dovere di uscire dai loro palazzi per discutere di legalità in scuole e università, in circoli di quartiere e nelle fabbriche, in sedi di associazioni culturali e ovunque fosse possibile, allo scopo di diffondere la conoscenza della perversa ideologia terroristica e così contrastare con fermezza il verbo di chi teorizzava la neutralità («né con lo Stato, né con le Brigate Rosse»).Negli anni seguenti, un identico doveroso impegno è stato messo in campo contro la logica mafiosa, la corruzione, nonché a difesa dei principi costituzionali e del principio di solidarietà. Ed è così ancora oggi. Tra la fine del 2002 e la primavera del 2006 sono state numerose le iniziative cui ho preso parte come dirigente e/o a nome del Movimento per la Giustizia. Il 14 settembre del 2002, ad es., ancora nel limbo postconsiliare e in attesa di tornare alla Procura di Milano, partecipai alla indimenticabile manifestazione di Roma, dinanzi alla basilica di San Giovanni in Laterano. Centinaia di migliaia di persone erano arrivate da ogni parte d’Italia sia per manifestare contro quelle che ormai venivano definite, anche da accademici, le «leggi vergogna», sia – soprattutto – per esternare le loro preoccupazioni per le sorti della democrazia in Italia. C’erano anche numerosi magistrati e questo scatenò le reazioni di molti politici della maggioranza: nonostante io e Juanito Patrone, all’epoca segretario di Magistratura democratica, al cui fianco partecipai alla manifestazione, avessimo tentato di spiegare a qualche importante quotidiano le ragioni della nostra presenza e la sua piena compatibilità con l’esercizio imparziale della nostra funzione, si sprecarono le affermazioni di chi riteneva quella partecipazione la prova della degenerazione della magistratura italiana.
Tra il 2004 e la primavera del 2006, i dirigenti del Movimento parteciparono ad iniziative tese a contrastare la pessima riforma costituzionale messa in cantiere e poi approvata dalla maggioranza di centrodestra che governava il paese in quegli anni. Furono moltissimi i colleghi che si “schierarono”, oltre a varie associazioni e confederazioni sindacali, all’Anpi ed a chiunque altro fosse sensibile al tema. Il Movimento per la Giustizia e Magistratura democratica aderirono anche formalmente al Comitato per la difesa della Costituzione di cui fu nominato presidente Oscar Luigi Scalfaro. A qualche collega e a consistenti spezzoni della Associazione Nazionale Magistrati pareva improprio, se non addirittura inaccettabile, che i magistrati potessero impegnarsi – e impegnandosi, esporsi – nella campagna per spingere i cittadini a votare «No» nel referendum confermativo di quella riforma approvata che si sarebbe tenuto nel giugno del 2006. Tentammo di spiegare come, invece, quell’impegno appariva doveroso, continuando comunque a dialogare con i cittadini (soprattutto i più giovani) e ad intervenire nelle scuole, nelle università, nei centri sociali e nei quartieri, anche attraverso strumenti informatici e moderne tecnologie. E fino al giugno del 2006 fu tutto un susseguirsi frenetico di manifestazioni, convegni, dibattiti e interventi organizzati sempre per lo stesso fine : il «No» vinse con il 61,3%, riforma bocciata !
Fu per le stesse ragioni che a gennaio del 2005, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, tutti i magistrati italiani vi parteciparono stringendo in mano, ben visibile, una copia della Costituzione quale forma di protesta contro le riforme messe in cantiere dal governo. Ancora non sapevamo che allo stesso modo e per le stesse ragioni ci saremmo comportati a gennaio del 2010 in occasione della stessa cerimonia e che, anzi, indossando la toga, avremmo abbandonato le Aula Magne dei nostri palazzi al momento del discorso del rappresentante del ministero della Giustizia.
Nonostante le accuse di politicizzazione che ci piovevano addosso, molti magistrati del Movimento per la Giustizia e di MD si impegnarono con successo, sempre a sostegno del “NO”, anche nella campagna referendaria del 2016 contro la pessima riforma costituzionale definita “renziana” e messa in campo da uno schieramento politico di orientamento apparentemente opposto rispetto al 2006.
Potrei continuare ad elencare varie altre importanti occasioni di impegno civile del Movimento per la Giustizia, ma mi limito a citare quelle che hanno riguardato il tema dell’immigrazione, tuttora oggetto di dispute politiche e sociali dai toni aspri e spesso offensivi. E’ noto che, nel 2008 e 2009 da un lato e nel 2018 e 2029 dall’altro, i governi pro tempore vararono rispettivamente “pacchetti sicurezza” e “decreti sicurezza”, colmi di inaccettabili previsioni lesive di valori costituzionali.
Orbene, anche in quel caso a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, cioè nel 2009 Movimento per la Giustizia e Magistratura Democratica e nel 2019 Area Democratica per la Giustizia organizzarono due splendidi convegni a Lampedusa, luogo di tragedie e sofferenze, ma anche simbolo dell’accoglienza. Entrambi avevano lo stesso titolo: “La frontiere del diritto ed il diritto della Frontiera”, ma al titolo del secondo era aggiunto la frase “Dieci dopo ancora insieme a Lampedusa”
Vi parteciparono – da noi invitati - avvocati, giornalisti, magistrati, alti ufficiali della Guardia Costiera nonchè il Vescovo di Agrigento ed il sindaco che aprirono quegli incontri dedicati alla solidarietà. Intervennero anche ex presidenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Costituzionale, il responsabile dell’Alto Commissariato dell’ONU-UNCHR, il Vice Presidente della Commissione Libertà Civili del Parlamento Europeo ed un componente del Tribunale permanente dei popoli.
Sullo stesso tema, il 20 e 21 febbraio 2015, Area, Movimento per la Giustizia e Magistratura Democratica, organizzarono a Catania un altro splendido convegno (“L’immigrazione che verrà. Dal respingimento a Mare Nostrum, dall’Italia all’Europa”), cui avevano partecipato eminenti studiosi ed esperti e che fu chiuso da Anna Canepa e Nicola Di Grazia, rispettivamente segretari di MD e del Movimento.
Spero che ciò che ho sin qui raccontato possa servire a rispondere a tutti coloro che accusano i magistrati impegnati fuori dai palazzi di giustizia di parlare e scrivere al di là di quanto sarebbe loro esclusivamente concesso, cioè solo con sentenze ed atti giudiziari. E ciò farebbero – si dice – per ragioni legate alle personali convinzioni politiche, finendo con il compromettere l’autorevolezza e l’immagine di terzietà della magistratura. Di fronte a tali accuse vorrei chiedere a chi le formula di evitare ingiustificate generalizzazioni: la Costituzione non prevede solo principi e diritti astratti, ma impone anche doveri per i cittadini che vi si riconoscono, come l’impegno per la difesa dei diritti fondamentali.
È questo il modello di magistrato che auspico per il futuro delle correnti dell’ANM, a partire ovviamente dal Movimento per la Giustizia, un futuro caratterizzato cioè da un impegno civile perfettamente compatibile con la professione e con la vita associativa, ed anzi capace di “purificare” l’Associazione stessa.
Del resto, già ad anni precedenti la fondazione nel 1909 dell’Associazione generale tra i magistrati italiani, risalgono le resistenze del ceto politico rispetto a questo tipo di impegno dei magistrati: precisamente nell’agosto del 1907, il guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando aveva diramato una circolare ai capi delle Corti nella quale rilevava con rammarico la diffusione tra i magistrati del «costume di pubblicamente interloquire intorno a questioni attinenti l’esercizio dell’ufficio loro, sia sotto forma di interviste, sia con lettere o con articoli», e concludeva minacciando sanzioni in caso di abusi. Lo stesso ministro, in una intervista al «Corriere d’Italia» del 23 agosto 1909, a proposito della ormai intervenuta fondazione dell’Agmi, esprimeva «dubbi gravissimi sulla possibilità che l’iniziativa produca frutti utili e degni[2]».
La rottura della separatezza della casta, l’apertura alla politica, la messa in crisi del principio gerarchico e della stessa dipendenza della magistratura rispetto all’esecutivo erano appunto la stessa ragione d’essere della Associazione. Del resto, proprio nella seduta di fondazione dell’Agmi, Giovanni Sola, appena assunta la presidenza, esordì osservando: «La magistratura italiana, già da tempo, sente il bisogno di uscire dal suo isolamento di fronte allo sviluppo economico e sociale del paese e ai complessi problemi che tuttora gravano insoluti sugli ordinamenti della giustizia». Sono parole e concetti che riecheggeranno negli anni successivi e che si devono considerare attuali ancora oggi.
Sono orgoglioso di appartenere a un’associazione che ha questa storia e che non a caso raccoglie il 94% dei magistrati italiani. Dunque, pur dando per scontato che anche al nostro interno si manifestano talvolta condotte incompatibili con il codice deontologico che ci siamo dati (tra cui contiguità politiche, insufficiente operosità e scarsa sensibilità al pubblico interesse), non comprendo come oggi sia possibile per molti magistrati dimenticare le nostre radici, reclamare per l’Anm una prevalente attenzione agli aspetti economico-sindacali e snobbare indifferenti i valori alti che ci legano, in nome di riforme o progetti di riforme che hanno il sapore del populismo.
Il Movimento per la Giustizia non lo ha mai fatto.
2. Altri temi di discussioni e polemiche, la posizione del Movimento per la Giustizia
Affronto di seguito alcuni dei temi di maggior rilievo del dibattito pubblico riguardante la Giustizia. Ovviamente, lo sono quelli riguardanti la separazione delle carriere e la giustizia civile, ma, vista l’impossibilità di trattarli sinteticamente in questo già lungo documento, basta ricordare :
- sulla separazione delle carriere, tema che tanto affascina alcuni settori della politica e l’Unione delle Camere Penali, che gli argomenti che vi si oppongono sono numerosi e vincenti, riguardando principi costituzionali, l’assetto prevalente a livello internazionale, la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sul “Ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento penale”. Non vale la pena, pertanto, rispondere ad affermazioni di segno opposto, anche se provenienti da settori minoritari di altre correnti e da ex magistrati, in quanto infondate, incolte e talvolta offensive (come quella secondo cui i giudici, per effetto della già limitata possibilità di interscambio delle funzioni, sarebbero portati ad accogliere le tesi dei p.m.);
- sulla giustizia civile, che, insieme ad MD, il Movimento ha costituito il “Gruppo sul civile”. Si tratta di un esempio di collaborazione tra le due correnti voluta da Carlo Verardi, che ne vantò l’importanza in un suo intervento a fine duemila al congresso di MD, l’ultimo prima della sua prematura scomparsa avvenuta il 15 settembre del 2001. Il gruppo gradualmente è stato assorbito nell’attività degli Osservatori per la giustizia civile cui molti magistrati del Movimento partecipano con entusiasmo e di cui Gianfranco Gilardi è animatore dopo la scomparsa di Verardi.
Altri temi appresso trattati continuano a suscitare aspre polemiche e parlarne consente di meglio precisare storia e posizioni del Movimento per la Giustizia. A tal proposito, se alcuni dei dirigenti o degli appartenenti al gruppo non dovessero condividere le mie affermazioni, mi scuso con loro: io parlo della storia che ho vissuto e delle scelte del Movimento cui, con molti altri colleghi, ho contribuito. Poi, è ben possibile che tutto cambi, ma io non me lo auguro, specie rispetto a quanto segue.
2.1. Il sorteggio o il pre-sorteggio dei magistrati componenti del Csm
La riforma di cui più frequentemente si discute è quella del Csm. All’inizio dell’estate del 2009, i quotidiani avevano pubblicato una notizia capace di dar corpo ai peggiori fantasmi che potessero aleggiare sulla magistratura italiana: il ministro della Giustizia Alfano stava infatti studiando l’ennesima possibile modifica del sistema di designazione dei componenti togati del Csm. Si voleva introdurne la nomina per sorteggio, allo scopo di distruggere il peso delle correnti: una cinquantina di nomi di candidati sarebbero stati estratti «dall’urna» (immagino grazie alla manina di una dea bendata) e solo tra questi i magistrati avrebbero potuto esercitare il loro diritto di eleggere i membri togati del Csm. Un diritto previsto dalla Costituzione (art. 104, comma 3) che, secondo gli strateghi di questo disegno, sarebbe stato preservato grazie al voto finale da esprimersi rispetto alle poche decine di nomi estratti dall’urna. Ma la Costituzione prevede elezioni vere e libere, senza alcuna possibilità di eluderne o limitarne la portata. I magistrati, infatti, hanno il diritto di interloquire sul funzionamento della giustizia, sulla sua organizzazione, sulla difesa della propria indipendenza: è meglio nominare un dirigente più anziano o uno più dinamico e capace (vecchio tema di discussione)? È meglio privilegiare la specializzazione o la pluralità delle esperienze professionali? È giusto organizzare corsi di aggiornamento professionale aperti alle esperienze esterne alla magistratura? O è meglio evitarlo? In che senso interpretare la possibilità di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale ecc.? E – passando alle valutazioni dei disegni di legge – è accettabile che in nome della sicurezza si sacrifichino i diritti fondamentali delle persone?
E tuttora non vedo perché dovrebbe essere vietato o criticabile che anche i magistrati riconoscano le proprie affinità con taluni colleghi e ai colleghi affini preferiscano far riferimento per elaborazioni culturali o per designarli – attraverso il voto – a compiti di rappresentanza nell’Associazione o a funzioni istituzionali in seno al Csm. È normale, infatti, che le correnti, in vista delle elezioni dei dirigenti dell’Associazione magistrati o dei componenti togati del Csm designino i propri candidati ed elaborino programmi sottoponendoli al giudizio dei magistrati elettori. È logico, dunque, che al momento di eleggere i componenti del Csm il magistrato elettore che intenda esprimere un voto consapevole voglia conoscere le opinioni e i programmi dei candidati. Ed è altrettanto logico che costoro, per presentarsi agli elettori, si aggreghino per omogeneità di vedute e vogliano rendersi riconoscibili con un programma, una sigla. Sono le regole fondamentali della democrazia. E la democrazia rappresentativa non riguarda solo il Parlamento e le elezioni politiche, riguarda anche l’elezione dei comitati di quartiere. Ecco perché all’interno dell’Associazione magistrati si sono formate le tanto vituperate correnti: luoghi di aggregazioni ideali, delle quali va contrastata non la ragion d’essere, ma solo la deriva corporativa.
Il sorteggio, insomma, è una ipotesi di riforma offensiva ed umiliante per i magistrati, con il Csm ridotto al rango di una bocciofila di quartiere e i magistrati al livello di persone che non sanno giudicare, orientarsi, scegliere, partecipare alla vita democratica e che sono costretti ad accettare che le alte funzioni consiliari siano esercitate da colleghi selezionati in base al caso. Naturalmente, il sorteggio – secondo chi ne è sostenitore - dovrebbe riguardare solo i componenti togati del Csm e non quelli di nomina politico-parlamentare! Ancora una volta si conferma, in tal modo, un convincimento diffuso in politica: i magistrati sono persone da punire, anche privandoli del diritto di voto.
Ricordo con orgoglio, pertanto, la posizione assunta dal Movimento per la Giustizia, fermamente contraria ad ogni tipo di sorteggio per selezionare i componenti del CSM, una fermezza mantenuta anche negli ultimi anni quando, riforma ordinamentale Cartabia alle porte, una parte della magistratura (tra cui anche pm e giudici noti che qui non vale la pena di nominare) ha continuato incredibilmente a sostenere, ed ancora sostiene, la necessità del sorteggio per vincere le degenerazioni correntizie .
La soluzione dei problemi emersi in questi anni sta nel pretendere che i magistrati, a partire dai più giovani, esercitino il diritto di voto in modo consapevole, premiando gli sforzi di chi si adopera – nel Csm, nell’Associazione e nel suo lavoro quotidiano – nell’interesse dei cittadini e della giustizia, anziché del gruppo di appartenenza.
Si deve però chiedere a politici, a studiosi, alla stampa ed a chi osserva la realtà che ci circonda di evitare ingiustificate generalizzazioni e strumentalizzazioni delle criticità nel tempo emerse.
2.2. Questione morale ed abolizione delle correnti
Altra proposta populista che periodicamente torna di attualità è quella di abolire le correnti dei magistrati, non si comprende se con legge o con atto interno dell’ANM. Prescindendo dalle già ricordate ragioni storiche e culturali della nascita e dello sviluppo delle correnti, fondate su diverse visioni del ruolo del CSM e della stessa idea di organizzazione e gestione della giustizia, ci si deve chiedere se chi formula tale ipotesi conosca la Costituzione ed il principio di libertà di associazione previsto nell’art. 18.
Tra i magistrati circolano spesso sconcerto e rabbia, essendo tutti consapevoli che, ad es., le note conversazioni e gli incontri di cui si è parlato negli ultimi tempi costituiscono quanto meno le specchio di relazioni personali a dir poco improprie e di interessi di singoli, di correnti e di esponenti di partiti che si intrecciano al di fuori degli ambiti istituzionali.
Ma deve essere chiaro che non esistono bacchette magiche per rigenerare le correnti e l’impegno associativo così come la “questione morale” non cesserà mai di esistere, così come sarà sempre impossibile eliminare una quota di discrezionalità nelle scelte consiliari e mi spiace che anche all’interno del Movimento per la Giustizia-Articolo 3 e di Area Democratica per la Giustizia non si manifesti compattezza su questi temi. Le correnti, allora, tornino ad essere luoghi di discussione ideale e culturale come erano e come possono esserlo ancora, a partire da un impegno civile che, ovviamente collegato a questioni giuridiche, le spinga a schierarsi innanzitutto a tutela dei diritti fondamentali delle persone ed a difesa dei principi costituzionali su cui si regge ogni democrazia. Non si tratta di un’affermazione retorica e scontata: devono essere cancellati i frutti marci dell’associazionismo, vivendolo virtuosamente nel quotidiano. Per le correnti deve valere – e non solo in occasione delle scadenze elettorali - più la coerenza dell’agire in relazione ai principi cui si ispirano ed alla propria identità culturale, piuttosto che la ricerca del consenso o la politica dei “passi felpati” e degli accordi ad ogni costo. Questa è almeno l’idea delle correnti in cui hanno sempre creduto coloro che hanno contribuito a fondare ed a far crescere il Movimento per la Giustizia.
Il pericolo, insomma, è che le conseguenze di quanto è sotto i nostri occhi diano nuovamente fiato a chi vuol umiliare la magistratura riducendola al rango di un ordine sottoposto agli altri due poteri, teoria costituzionale “innovativa” rispetto ai rudimenti della educazione civica, ma in epoca berlusconiana cara persino a due ministri della Giustizia.
L’irrinunciabile pre-requisito di ogni riforma – che da sé non potrà mai essere la panacea di tutti i mali - riguarda comunque i magistrati elettori per i quali, ai fini di un voto libero e motivato va invocata, così come per i cittadini nelle elezioni politiche, una più approfondita conoscenza dei programmi e dei profili dei candidati, verificandone successivamente – se eletti – la fedeltà e la coerenza rispetto ai principi dichiarati . Lo ripeterò fino alla noia.
2.3. Il potere dei dirigenti degli Uffici Giudiziari e, in particolare, dei Procuratori della Repubblica
Esiste indiscutibilmente un “potere” specifico dei dirigenti degli Uffici Giudiziari, cioè Procuratori della Repubblica, Presidenti di Tribunali, Corti di Appello e Corte di Cassazione. Orbene, anche rispetto all’esercizio di questo tipo di potere si sono sviluppate discussioni e polemiche tra chi è convinto che, soprattutto per i Procuratori della Repubblica, si tratti di un potere sostanzialmente gerarchico e chi ritiene – a mio avviso correttamente – che si tratti invece di un potere organizzativo che richiede una costante interlocuzione con i magistrati componenti dell’Ufficio.
Qui mi riferirò all’esercizio del potere dirigenziale all’interno delle Procure, sia perché è in tali uffici che si è consumata l’intera mia esperienza professionale, sia perché per la dirigenza degli uffici giudicanti è davvero insignificante la posizione di chi sposa l’idea di un Presidente-Capo di Tribunali e Corti.
Personalmente non ho mai accettato, neppure quando ho diretto la Procura di Torino, la definizione di “Procuratore Capo della Repubblica”, al punto da farla rimuovere dall’accesso al mio ufficio.
Non ho dubbi sul fatto che il Movimento per la Giustizia abbia sempre sostenuto tale convinzione perché, indipendentemente dalle dimensioni dell’ufficio, un Procuratore della Repubblica non può ispirarsi ad una concezione gerarchica dell’esercizio delle sue funzioni: egli deve operare in piena armonia con tutti i componenti dell’ufficio stesso, non solo con i Procuratori Aggiunti, di cui va valorizzato appieno il ruolo co-organizzativo, ma anche con i Sostituti, rispettandone autonomia, professionalità e dignità. A tal fine, principale strumento è ovviamente quello delle Assemblee periodiche e frequenti.
E l’obbligo di esercitare l’azione penale previsto nell’articolo 112 della Costituzione deve intendersi come obbligo del Pubblico Ministero come ufficio! Con tale principio devono armonizzarsi l’interpretazione e l’applicazione del testo dell’art. 2 del D. Lgs. 20 febbraio 2006 n. 106 (come modificato dall’art. 1 L. 24.10.2006 n. 269) secondo cui “Il procuratore della Repubblica, quale titolare esclusivo dell'azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell'ufficio”, esercitando anche i suoi doveri in tema di selezione delle priorità nel rispetto della legge.
Ciò significa che la gerarchia di tipo organizzativo da praticarsi deve essere soprattutto capace di esprimere un potere di indirizzo circa l’adozione, da parte degli aggiunti e dei sostituti, di criteri omogenei ai fini delle determinazioni inerenti il promovimento dell’azione penale e circa l’utilizzo delle risorse disponibili: un problema reale, presente in ogni Procura, che va affrontato “facendo squadra” .
Di conseguenza, il “corretto, puntuale ed uniforme” esercizio dell’azione penale, che deve essere la prima preoccupazione di un Procuratore, rimanda ad un cammino che tutti i componenti dell’ufficio devono insieme progettare e costruire, facendosi poi carico della sua manutenzione, cioè dell’aggiornamento e della ulteriore messa a punto delle scelte, anche per effetto del diluvio di leggi, convenzioni e sentenze che ci piovono addosso intensamente, persino da terre lontane! Ed il Procuratore, in questo, riveste un decisivo ruolo di spinta.
Insomma, i “procuratori-mandarini” sono esistiti in passato, ma rischiano di rivivere in futuro se dovesse prevalere una visione gerarchica dei poteri dei procuratori, non estranea a vari magistrati che rivestono tale ruolo.
Non è un caso che Area Democratica per la Giustizia sia impegnata costantemente sul tema dell’organizzazione degli uffici in nome della loro trasparenza ed efficienza, pur se si tratta di un impegno non sempre gradito ad alcuni dirigenti.
2.4. Il rapporto con l’Avvocatura
Importante è il tema dell’attenzione che i magistrati devono riservare ai rapporti ed al confronto con l’Avvocatura, co-protagonista della giustizia, al fine di poter individuare e superare, anche per quella via, criticità organizzative degli Uffici Giudiziari, a partire dal deficit di personale amministrativo.
Sono pertanto auspicabili incontri tra dirigenti di tali uffici ed i rappresentanti dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati e delle Camere Penali che possono favorire, ad es., alcune scelte organizzative come quelle concernenti l’assetto dei gruppi specializzati dei Pubblici Ministeri e delle Sezioni di Tribunale, l’elaborazione dei criteri di priorità nella trattazione degli affari penali, le modalità di svolgimento delle udienze, l’accesso informatico a taluni atti e l’acquisizione di copie digitalizzate di atti, l’inoltro reciproco informatizzato di istanza ed atti.
In questa cornice, trovo condivisibile che nella cd. Riforma Cartabia, che ovviamente non è possibile qui prendere in considerazione nella sua interezza, si preveda il coinvolgimento di avvocati e professori in alcune delle competenze dei Consigli giudiziari, tra cui le valutazioni di professionalità, ove comunque il voto degli avvocati deve essere unanime e conforme alla valutazioni del Consiglio dell’Ordine forense competente. Del resto le decisioni sull’avanzamento in carriera dei magistrati spettano al Consiglio Superiore della Magistratura, che da sempre decide con la partecipazione dei membri laici.
Sarebbe certo auspicabile, a parere di chi scrive, sulla base del principio di reciprocità, l’intervento e il possibile parere della componente togata del Consiglio Giudiziario in occasione di delibere, come quelle organizzative, di competenza dei Consigli dell’Ordine forense, ma non è condivisibile elevare muri – come alcune correnti e vari magistrati hanno fatto – contro questo aspetto della riforma, ipotizzando atteggiamenti vendicativi (o quasi) di avvocati, conseguenti a precedenti “scontri” processuali con i magistrati da valutare. Trovo quest’ argomento offensivo nei confronti della classe forense, quasi che la dialettica processuale tra le parti, che può essere spesso accesa, condizionasse il dovuto leale rapporto tra Avvocatura e Magistratura.
Il Movimento per la Giustizia, al di là di isolate e criticabili eccezioni, non ha assunto fortunatamente questa posizione, pur non rinunciando ad un confronto con il Ministro della Giustizia – come del resto ha fatto l’ANM – in ordine a criticità rilevabili nella riforma.
2.5. Giustizia, informazione e comportamenti dei magistrati
È questo un argomento di discussione rispetto al quale il Movimento per la Giustizia può rivendicare una linea coerente, che ha portato i suoi componenti, indipendentemente dagli incarichi direttivi eventualmente rivestiti, a rifuggire da insopportabili eccessi di retorica e di autoreferenzialità.
Tali eccessi sono individuabili negli atteggiamenti, nelle conferenze stampa e nelle parole di alcuni magistrati, pur se lodevolmente impegnati in indagini difficili e pericolose e per questo meritevoli della gratitudine di tutti. Non sono apprezzabili, infatti, quanti si propongono (o accettano che altri li propongano) come eroi solitari e isolati, unici custodi e ricercatori della verità, sicché chiunque osi esprimere critica e dissenso rispetto al loro operato viene solo per questo collocato nello schieramento dei nemici del bene e della verità.
Ad avviso del Movimento, si deve evitare di incorrere, sia pure in buona fede, in simili atteggiamenti, espressione di una errata concezione del potere e dei doveri che la legge attribuisce ai magistrati. Ciò rischia, peraltro, di indurre in errore la pubblica opinione, facendole credere che la giustizia sia terreno riservato ad una eroica élite di magistrati ed investigatori: il nostro, invece, è un lavoro normale come tanti altri e la Giustizia è un “bene comune” che può affermarsi solo con l’impegno quotidiano di una collettività sensibile, qualunque sia il lavoro ed il sistema di vita di quanti la compongono.
Si spiega dunque come il D. lgs. 8 novembre 2021, n. 188, conosciuto come “legge sulla presunzione di innocenza” di (parziale) recepimento della direttiva UE 2016/343, abbia inteso, con minime criticità e senza introdurre affatto alcun bavaglio all'informazione, contrastare prassi inaccettabili, come conferenze stampa teatrali, commenti che anticipano le decisioni quasi che i provvedimenti restrittivi equivalgano a vere e proprie sentenze.
Il dovere di informazione va esercitato nei limiti della legge, rispettando la privacy, le regole deontologiche, e ovviamente la presunzione di innocenza, facendo piazza pulita di quella furia comunicativa che porta alcuni magistrati ad esaltare le proprie inchieste o quelle del proprio ufficio.
2.6. “Carrierismo”, automatismi e incarichi fuori ruolo
Tralasciandone altre, chiudo l’elenco delle problematiche di rilievo che dividono spesso anche l’ANM, citandone ancora tre che hanno visto il Movimento per la Giustizia discuterne apertamente, pervenendo a scelte apprezzabili, anche se, purtroppo, non sempre del tutto condivise al suo interno.
Si è già detto nel par. “2.2” quanto assurda possa essere l’ipotesi di abolizione delle correnti dell’ANM, esistenti o future, descritte quali aggregazioni di potere senza ideali, che agiscono per favorire i rispettivi iscritti nelle nomine e nelle progressioni in carriera, condizionate da amicizie, localismi geografici e permeabilità a pressioni politiche. Si invoca innanzitutto, per porvi rimedio, la trasparenza piena delle motivazioni di ogni scelta consiliare e su questo non si può non essere d’accordo, pur se la pubblicità delle sedute delle Commissioni consiliari non può certe bastare a vincere le deviazioni che si vogliono contrastare e non è certo idonea a far emergere possibili influenze esterne.
Ecco allora che molti magistrati e spezzoni associativi, condizionati dal dominante populismo (sostantivo che giudico il più appropriato per definire il nuovo e pessimo modo di discutere e sostenere le proprie opinioni nelle società moderne), contrastano l’aspirazione ad assumere incarichi direttivi o semidirettivi in un ufficio requirente o giudicante (definendola riprovevole “carrierismo”), auspicano automatismi di ogni tipo nelle nomine ad incarichi direttivi e semidirettivi in modo da cancellare la discrezionalità delle scelte e penalizzano i magistrati che hanno svolto - o sono disponibili a svolgere - attività fuori ruolo, quasi che ciò comportasse un marchio eterno di inaffidabilità.
In realtà, queste posizioni sembrano ispirarsi alla logica della rassegnazione ed insieme della risposta rabbiosa: Claudio Castelli ha recentemente parlato, in modo condivisibile, della “demonizzazione dei magistrati fuori ruolo accusati, delle più varie nefandezze” o delle accuse che provengono da certi settori della politica secondo cui essi sarebbero anche “il braccio armato della magistratura nei Ministeri, che in tal modo imporrebbe ad un Parlamento, evidentemente inconsapevole, opzioni gradite alla magistratura”[3]. Si deve allora reagire con intelligenza sia a certe offensive posizioni, che alle derive presenti effettivamente nei comportamenti di taluni magistrati collocati fuori ruolo.
Nulla autorizza a dimenticare, infatti, la cultura istituzionale di magistrati che hanno svolto importanti incarichi fuori ruolo, inclusi quelli politici, rientrando con onore ed apprezzamento diffuso nell’esercizio delle precedenti funzioni ordinarie di magistrato. Per limitarmi a quelli “movimentisti”, voglio qui ricordare i nomi di G. Falcone, V. Zagrebelsky, G. Lattanzi, E. Lupo, V. D’Ambrosio, D. Carcano, G. Melillo, ma tanti altri potrebbero essere citati, anche appartenenti ad altre correnti. E’ così che “si fa giustizia di demagogiche quanto diffuse, all’esterno e all’interno della stessa magistratura, crociate contro i magistrati fuori ruolo, che in molte situazioni assicurano una competenza professionale non altrimenti reperibile”[4].
Inoltre, non credo affatto che, in nome di un presunto rigore morale, sia corretto penalizzare l’aspirazione a ricoprire funzioni direttive da parte dei magistrati, senza neppure distinguerne la natura.
È al CSM che tocca bocciare le ambizioni di carriera fondate sul poco o sul niente valorizzando esperienze e professionalità positive, anche se riguardanti incarichi fuori ruolo ministeriali, o di natura istituzionale o di livello internazionale, in ordine ai quali è pur sempre possibile valutare il grado di indipendenza dimostrato da chi li ha rivestiti.
Compito nient’affatto semplice, tanto che ogni CSM tende ad emettere nuove circolari per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, allo scopo di rendere le nomine più semplici (mentre spesso avviene il contrario) e di eliminare ogni possibile discrezionalità, proposito – quest’ultimo - assolutamente surreale visto che per tali nomine non si potrà mai procedere premendo uno o più tasti per ottenere un valore matematicamente incontestabile e una conseguente graduatoria di meritevoli.
La condanna che si vuol comminare a chi ha svolto o intende svolgere incarichi fuori ruolo ed a chi aspira ad esercitare ruoli direttivi o semidirettivi, non può in alcun modo dar luogo a misure preventive o a “cure” fondate su automatismi o su generalizzati e non mirati divieti.
Ed il Movimento per la Giustizia, per quanto noto a chi scrive, si è sempre battuto per tutto questo, senza rinunciare a corretto confronto con chi sostiene opinioni diverse, senza rinchiudersi in certezze prive di dubbi e senza evitare le necessarie autocritiche
3. Movimento per la Giustizia: le possibili critiche ed autocritiche
Mi avvio alla fine e mi sembra necessario domandarmi se, fin qui, sia stato troppo sbilanciato nel sottolineare i tanti aspetti positivi della storia del Movimento per la Giustizia, tacendo su possibili criticità.
Non intendo, infatti, apparire un mero “laudator temporis acti”: non mi sento un “conservatore” guidato dal mero rimpianto del passato, quanto – piuttosto - un critico per antitesi di certi aspetti del presente.
Sulla chat e sulla mailing list del Movimento circolano in proposito affermazioni importanti (anche quando non si condividono), così come su Giustizia Insieme sono stati pubblicati articoli (due per tutti: quelli di Giovanni Tamburino e Vito D’Ambrosio nel numero 0/2008) che spingono a riflettere: V. D’Ambrosio affermava, rientrato in magistratura dopo dieci anni, “di avere trovato un Movimento cambiato e non di poco..con mutamenti che non erano semplici effetti degli anni passati…un percorso che è stato un susseguirsi di stop and go, freno ed acceleratore che ha confuso la nostra immagine”. Parlava, anche dell’atteggiamento di fronte alle polemiche politiche riaccese contro la Magistratura ed alle minacce alla sua posizione istituzionale.
E Giovanni Tamburino citava coloro che, tra i magistrati, avevano “nel frattempo scelto strade diverse per ragioni che comunque sono state utili per riflettere sull’idoneità attuale del Movimento a dare risposte efficaci per una figura di magistrato adeguato alla domanda di giustizia secondo i valori della Costituzione Repubblicana, sempre più impellente, e per un associazionismo giudiziario all’altezza delle sfide che vengono sia dall’interno della stessa magistratura, che dalla società e dalla politica, attento al servizio e non al corporativismo in ogni sua forma”.
D’Ambrosio e Tamburino, comunque, credevano nel Movimento e nella forza della sua laicità e libertà nell’approccio ai temi della giustizia. E’ quello in cui anche io oggi credo, pur se non ci si può limitare ad “etichettare festosamente le nostre scelte di vent’anni fa”[5]. Le parole dei due illustri colleghi ed amici potrebbero essere citate ancora oggi a 34 anni dalla fondazione del Gruppo.
Le vicende generazionali e la modernità influiscono certamente anche sull’associazionismo e per i giovani magistrati contano il clima sociale e culturale negli anni della formazione: ma, considerando che forse è giunto il momento per un nuovo 1988, può ben dirsi che la difesa del passato diventa talvolta un ritorno al futuro.
Ecco perché deve chiedersi all’ANM ed al Movimento di evitare il ripetersi di scelte che talvolta si sono manifestate e che non sono condivisibili: non si deve, cioè, prestare attenzione solo agli aspetti impiegatizi e corporativi della funzione del magistrato.
Il Movimento per la Giustizia, in particolare, deve interrompere e ribaltare un percorso di fatto che sembra intrapreso e che sembra poter prevedere alla fine “lo scioglimento di fatto del gruppo” quasi che il proprio compito associativo sia stato raggiunto o “appaltato ad Area Democratica per la Giustizia”[6], che – come si è detto - solo in futuro potrà diventare una corrente se tutte le originarie componenti fondatrici decideranno di autosciogliervisi o se taluna di esse decidesse in modo trasparente di “sfilarsi”.
Ma fino a quel momento, occorre preservare la identità del Movimento, esprimendo in autonomia le proprie posizioni ed altrettanto consentendo di fare agli iscritti, pur dissenzienti rispetto alle scelte dei dirigenti. La “doppia tessera” non è un falso, ma una realtà possibile e sin qui praticata, e la cultura progressista consente momenti diversi di impegno, crescita e coinvolgimento delle nuove generazioni di magistrati.
Non a caso la definizione del gruppo rimanda al comune impegno delle due correnti fondatrici: “Area” (termine che indica un terreno ampio e senza netti confini in cui operare), “democratica” (parola finale della denominazione di MD), “per la Giustizia” (parole finali della denominazione del Movimento).
Tutti insieme, dunque, per un percorso comune, per un rinnovato impegno civile, nonché per individuare (o rinforzare: ndr) “nuove idee forti della cultura della giurisdizione servizio, professionale e responsabile” che ha sempre caratterizzato il gruppo, “da proporre ai magistrati italiani ed alla magistratura associata, confidando che per esse possa realizzarsi una condivisione di obiettivi più tempestiva di quanto accaduto in passato”, quali quelli su cui “il Movimento si sta oggi impegnando, in particolare: gestione partecipata degli uffici giudiziari, corresponsabilizzazione dell’avvocatura anche nei temi ordinamentali; ricerca dii un metodo di confronto permanente, caratterizzato da libertà, trasparenza e spirito costruttivo, sia nella vita interna del gruppo che nell’azione associativa con le altre correnti..; promozione di un’area di azione politico-associativa che vada oltre le specifiche appartenenze e si incontri e realizzi su valori condivisi, obiettivi specifici, azioni coerenti, senza remore o riserve o eccezioni che trovano la reale giustificazione solo nella regola dell’appartenenza”[7].
In questo quadro la “questione morale” non può e non deve mai perdere il ruolo di “stella polare” dell’agire del gruppo.
E, aggiungo, perché non scendere in campo con chiarezza, forza e continuità, con iniziative simili a quelle messe in campo già vent’anni fa contro “leggi vergogna” e progetti di riforma punitivi nei confronti della Magistratura (si rimanda al par. 4)? La situazione, oggi, non sembra affatto migliorata, anzi !
Forza Movimento!
4. Conclusioni ed auspici: il rifiuto del compromesso sui principi
Ovviamente la giusta decisione nel settore penale e civile, al termine di una corretta e rapida trattazione di indagini e procedimenti, costituisce la stella polare del lavoro dei magistrati, ma altre luci devono illuminarlo ed una di queste è la storia e la ragione d’essere dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, nella quale - mi auguro – devono essere soprattutto i giovani giudici e pubblici ministeri ad impegnarsi per ridarle piena credibilità.
Proprio ai tanti giovani colleghi che progressivamente perdono fiducia in chi li rappresenta ed ai quali ho qui già raccomandato di esercitare il loro diritto di voto in modo consapevole, mi permetto di raccomandare di tenersi lontani da ogni forma di populismo. Ma chiedo loro anche di conoscere e ricordare la storia della nostra Associazione, che è una storia bella e ricca e che non deve essere infangata da comportamenti interni vergognosi o da accuse ingiustamente generalizzanti ed interessate.
A tal proposito, vorrei ricordare che a Napoli, nel quartiere San Lorenzo, vi sono lapidi in marmo che affollano i muri della chiesa di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta. La piazzetta dove la chiesa si trova è tagliata, manco a farlo apposta, da via dei Tribunali. I testi stupendi delle lapidi sono scritti in latino. Suscitano tutti un’eco profonda, ma due, in particolare, mi hanno sempre colpito e sempre rileggo quando passo in quella zona. Il primo dice: Excellentium virorum est improborum negligere contumeliam a quibus etiam laudari turpe [È degli uomini migliori non curarsi degli insulti degli improbi, giacché persino essere lodati da costoro è motivo di vergogna]. Il secondo è ancor più significativo: Audendo agendoque Respublica crescit non iis consiliis quae timidi cauta appellant [La cosa pubblica cresce con coraggio e con l’azione, non con le decisioni che i pavidi chiamano caute][8].
Rileggo ancora: «La cosa pubblica cresce con coraggio e con l’azione, non con le decisioni che i pavidi chiamano caute». Il pensiero va subito a quanti, ovunque collocati, nelle istituzioni o nei partiti, ma anche nell’Associazione Nazionale Magistrati, conoscono solo la prudenza come criterio-guida della propria azione politica. La prudenza, sia ben chiaro, è virtù per chiunque, ma quando assume i caratteri del compromesso sui principi diventa vizio da evitare, quasi sempre un peccato che è difficile perdonare.
[1] Armando Spataro è stato uno dei fondatori del Movimento per la Giustizia nel 1988. Questo intervento contiene riflessioni ed ampi brani in parte già pubblicati in un suo libro (Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e Mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa, Laterza, 2010), nonché in interviste ed articoli vari, tra cui quelli pubblicati su Giustizia Insieme, Questione Giustizia, I diritti dell’uomo, Politica del Diritto e in relazioni predisposte per Corsi di aggiornamento della SSM. Vengono anche riportati, con l’assenso degli autori, brani tratti da due interventi di Giovanni Tamburino e Vito D’Ambrosio, pubblicati sulla rivista “Giustizia Insieme” 0/2008, in occasione del ventennale della fondazione del Movimento per la Giustizia. Anche ogni più limitata citazione di interventi ad altri attribuibili, comunque, è qui riportata con l’assenso dei rispettivi autori. Va precisato, infine, che – ai fini della redazione del presente documento – sono risultati utili i suggerimenti di altri vari “storici” appartenenti al Movimento per la Giustizia – Art. 3.
Durante il suo intervento a Scandicci (SSM), l’autore – secondo lo schema previsto anche per gli altri tre relatori (Mario Cicala per Magistratura Indipendente; Wladimiro De Nunzio per Unità per la Costituzione e Vittorio Borraccetti per Magistratura Democratica) - è stato intervistato da Antonella Magaraggia, co-fondatrice e già Presidente del Movimento per la Giustizia.
[2] Come è noto, nell’aprile 1904, un gruppo di 116 magistrati in servizio nella Corte d’Appello di Trani sottoscrisse un proclama per rivendicare la dignità della funzione e sollecitare la riforma dell’ordinamento giudiziario. Quel documento, conosciuto come il «Proclama di Trani», è considerato il primo passo sulla strada della successiva formale fondazione dell’Associazione magistrati nel 1909. Il testo di questo documento può essere letto nel già citato libro Cento anni di Associazione magistrati, a cura di Edmondo Bruti Liberati e Luca Palamara, Ipsoa, Milano 2009. La storia dell’Anm è anche dettagliatamente narrata nel sito dell’Associazione (www. associazionemagistrati.it).
[3] “Contro la demonizzazione dei magistrati fuori ruolo”, in Questione Giustizia, 9.9.2022. Claudio Castelli, in tale importante articolo, affronta tutti gli aspetti oggetto della “demonizzazione”, ricordando l’interesse dell’amministrazione di appartenenza allo svolgimento di tali incarichi e precisando alla fine che, dall’ultimo censimento (30 aprile 2021) effettuato dal CSM sui magistrati ordinari fuori ruolo, tolti i ruoli elettivi (16 componenti del CSM e 4 parlamentari), ne risultano 42 impegnati presso organi costituzionali (CSM, Corte Costituzionale e Presidenza della Repubblica, tra cui due Giudici costituzionali) e 161 in altri incarichi di cui ben 28 con incarichi internazionali (spesso direttamente giurisdizionali), 80 presso il Ministero della Giustizia ed i restanti – 131 – presso altri Ministeri ed organi.
[4] Csm e ordinamento giudiziario. Quali riforme? (Edmondo Bruti Liberati, in Politica del Diritto, n. 4/2021)
[5] Vito D’Ambrosio, articolo citato del 2008.
[6] Le riflessioni in corsivo sono di Luisa Savoia, qui utilizzate con il suo consenso
[7] Le parti in corsivo sono tratte dal citato articolo di G. Tamburino del 2008.
[8] La prima frase è una traduzione di Plutarco di volgari offese che gli abitanti di Chio arrecarono ai magistrati spartani. La seconda è di Livio che parla della guerra di Roma con Cartagine.
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