Il contributo si inserisce nell'approfondimento del tema Accesso in magistratura, precedenti contributi Accesso alla magistratura -, Riflessioni sul concorso in magistratura di Mario Cigna Il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. n. 69/2013 di Ernesto Aghina, Il procedimento per la nomina e selezione dei giudici e pubblici ministeri nella Repubblica Federale Tedesca di Cristiano Valle, Percorsi di accesso alla magistratura in Ungheria di Anna Madarasi, L’accesso alla magistratura francese di Antonio Musella[*] sotto la voce della rivista Ordinamento giudiziario.
Accesso alla magistratura - 1. Pensieri sparsi sul concorso in magistratura di Giacomo Fumu
È sempre complesso parlare del concorso in magistratura, selezione di quella parte della classe dirigente impegnata nella giurisdizione, funzione istituzionale propria di uno dei poteri dello Stato; e prova che, per questo, richiede al candidato solida preparazione, capacità espositiva, equilibrio, resistenza all’emozione e contemporaneamente pretende dall’amministrazione efficienza e progettualità, perché le attività concorsuali non vengano alterate da inconvenienti e disagi tali da limitare la possibilità dell’aspirante magistrato di esprimere al meglio le proprie potenzialità o da rendere difficoltoso alla commissione esaminatrice lo svolgimento del proprio compito con regolarità e serenità.
La recente modifica legislativa della normativa sull’ingresso in magistratura apportata con il decreto-legge 23 settembre 2022, n. 144 (art. 33), non a caso in tema di realizzazione del PNRR e quindi necessariamente collegata al perseguimento dell’obiettivo di riduzione del contenzioso pendente «anche tramite la celere assunzione di nuovi magistrati», ha abbreviato i tempi del percorso per sostenere l’esame; ormai non si può più ritenere che l’accesso in magistratura sia governato (e garantito quanto a specializzazione degli aspiranti) da un concorso di secondo grado: venute meno le referenze consistenti nell’avvenuto conseguimento del diploma della scuola per le professioni legali, nell’abilitazione alla professione forense, nel dottorato di ricerca o nello svolgimento con successo del tirocinio presso gli uffici giudiziari, a far data dal concorso bandito con il decreto ministeriale del 18 ottobre 2022 si può accedere a sostenere la prova avendo come titolo esclusivamente la laurea in giurisprudenza.
Si è molto discusso sulla opportunità di simile riforma: l’intenzione del legislatore del 2006 (d.lgs. n. 160/06) era chiaramente quella di operare una preselezione in ammissione fondata sui titoli e quindi sul merito, nell’ambito di una complessiva rivisitazione dell’ordinamento giudiziario nella quale si prevedeva per i magistrati una periodica valutazione di professionalità ed, ai fini del conferimento degli uffici, era attribuito un limitato rilievo al criterio dell’anzianità.
Ma la delimitazione della platea dei concorrenti così perseguita era funzionale non solo all’ingresso in magistratura di elementi già in possesso di una formazione giuridica propria, bensì anche a ragioni di carattere organizzativo: eliminata la preselezione informatica che era stata introdotta con il d.lgs. n. 398/97, si intendeva contenere il numero degli ammessi alle prove allo scopo di renderle materialmente gestibili anche con un contenimento della spesa (si tenga conto che per il concorso bandito con il D.M. 29 ottobre 2019, appena concluso, erano state presentate 13.283 domande di partecipazione, mentre per il primo concorso post-riforma le domande sono state 21.768).
La diversa opzione legislativa ha comunque certamente avuto il pregio di eliminare quella che appariva essere un’inaccettabile disparità fra aspiranti magistrati fondata sul censo, poiché i tempi non brevi per l’acquisizione del titolo abilitante alla partecipazione al concorso, uniti ai fisiologici ritardi del suo svolgimento, di fatto favorivano chi si trovasse in possesso di un’indipendenza economica che potesse consentire di dedicarsi esclusivamente e senza impedimenti alla preparazione della prova ed attendere l’esito del suo svolgimento.
Ed è invero possibile tuttavia che il neolaureato abbia maggiore vivacità e freschezza intellettuale di chi ha lasciato da anni gli studi universitari e possa quindi affrontare la necessaria preparazione e la prova di esame con brillantezza e migliori possibilità di successo, fresco di studi ma soprattutto di metodo, facendo ingresso in magistratura in un’età ancora giovane magari portatrice di quell’ entusiasmo per la funzione che va sempre più scemando.
Viene qui in rilievo, immediatamente, la questione centrale della preparazione al concorso: che tuttavia non muta a seconda di quali requisiti di ammissione siano richiesti, perché per gli uni (titolati) e per gli altri (semplicemente laureati) la prova da superare è la medesima.
L’esperienza concreta ha dimostrato una assai limitata utilità, a tal fine, delle scuole di specializzazione per le professioni legali, sostanzialmente ripetitive dei corsi universitari. L’iniziativa della preparazione è rimasta dunque essenzialmente in mano al singolo ed alla sua capacità di autorganizzazione.
La scelta operata dagli aspiranti magistrati appare essere regolarmente quella di frequentare una scuola di preparazione a gestione privata (anche se spesso legittimamente facente capo a magistrati non ordinari).
È noto che intorno alla preparazione del concorso è sorta una fitta rete didattica, di regola collegata anche a specifiche iniziative editoriali concernenti codici e manuali, nella quale di regola all’insegnamento si affianca l’esperienza concreta della scrittura di elaborati con relativa correzione e, a volte, un’analisi precisa sia dello storico degli argomenti già oggetto delle tracce nei concorsi passati sia della produzione giurisprudenziale o scientifica dei componenti della commissione per riuscire a cogliere quali argomenti potranno essere oggetto del tema assegnando.
L’esperienza di presidente della commissione del concorso, ruolo che ho svolto in due diverse occasioni, mi ha indotto a meditare su quali possano essere individuati come i limiti dell’attuale metodo di preparazione.
L’impressione che ho globalmente tratto è che non si induca più lo “studente”, o che questi a ciò non sia in grado di provvedere in autonomia, a conoscere e comprendere il sistema ed a ragionare per principi.
Lo studio dei principi e delle dottrine generali del diritto civile, del diritto penale e del diritto amministrativo consente invero al candidato, qualsiasi argomento venga individuato dalla commissione, di ragionare - con l’aiuto delle norme - sull’istituto intorno al quale è chiamato a discutere: e la mancanza di una preparazione sistematica si mostra palesemente quando, consistendo di regola la traccia nell’indicazione di una parte generale e di una parte più specifica a questa collegata, il candidato sia in grado di argomentare, eventualmente anche con compiutezza, sulla prima e si dimostri invece non più all’altezza sulla seconda, sì da cadere nel giudizio di inidoneità per incompletezza (parlo di incompletezza in quanto nessuna commissione ha mai dichiarato inidoneo un elaborato nel quale il candidato, pur non esponendo teorie rientranti nell’ ”ortodossia”, abbia mostrato conoscenza della materia e capacità di argomentazione giuridica).
A mio avviso questa è il segnale di una preparazione che ormai si consuma “per compartimenti stagni”: si affronta un argomento, si studia un istituto, ma senza inquadrarlo nel sistema e coglierne i collegamenti e tutte le implicazioni, pur sempre teoriche, che dai principi generali derivano nella sua applicazione ovvero nella sua “vita” nell’ordinamento.
È così tali limiti si sono palesati per esempio quando, dovendo il candidato esaminare la problematica del contratto preliminare ad effetti anticipati, non è stato poi in grado di affrontare adeguatamente le connesse questioni, al cui esame pur era chiamato dalla traccia, concernenti la tutela del promissario acquirente immesso nel godimento anticipato del bene; ovvero quando, richiesto di parlare della natura della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, con riferimento in particolare ai delitti colposi, ha trascurato di affrontare la questione dirimente della compatibilità fra un reato per definizione “contro l’intenzione” e il presupposto di detta responsabilità consistente in una condotta posta in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Questo è momento centrale del contenuto della preparazione del concorso in magistratura: occorre conoscere i principi generali per inquadrare nel sistema che lo comprende l’istituto sul quale si è chiamati a discutere nonché mostrare nell’elaborato di essere in grado di ricostruirlo ed illustrarne caratteristiche ed applicazione, lasciando da parte qualsiasi argomentazione di contorno estranea alla traccia.
La circostanza che dopo la parentesi dovuta alla pandemia sia (ri)entrata in vigore la normativa ordinaria, la quale non opera alcun riferimento alla consegna di un “sintetico elaborato teorico” (come si leggeva nei decreti-legge n. 44/21 e 118/21), non significa certo che non debba perseguirsi l’essenzialità e che la preparazione del candidato non debba essere finalizzata anche ad affinare la capacità di esporre il proprio ragionamento con sintesi e chiarezza, così mostrando conoscenza, consapevolezza ed insieme capacità di espressione (auspicabilmente con grafia non ostile).
Né, tanto meno, può concludersi nel senso che possa essere proposto ai concorrenti, anziché un elaborato teorico, un compito con risoluzione di un caso pratico: la storia stessa del concorso e delle tracce succedutesi negli anni esclude questa eventualità e mi conferma nella considerazione, che già ho avuto modo di esternare (Migliorare il CSM nella cornice costituzionale, atti del convegno di Giustizia Insieme, Padova 2020, 59), per cui il concorso in magistratura debba continuare ad avere la natura di selezione di giovani giuristi; non vale ricercare che l’aspirante magistrato sappia ben confezionare un decreto ingiuntivo o un decreto di sequestro preventivo per equivalente: la prova di selezione dei magistrati deve tendere ad individuare coloro che conoscono l’ordinamento, che si orientano nel sistema, che sanno ragionare e trarre le conclusioni dai principi generali nonché discutere con linguaggio tecnico e comprensibile la questione racchiusa nella traccia del tema da svolgere.
A questo deve tendere la preparazione e questi devono prospettarsi come criteri di selezione anche nella discussione orale, in cui la varietà dei temi (diciassette materie, alcune raggruppate nel voto) consente di cogliere e valutare la cultura generale del candidato.
Tornando rapidamente alle questioni nell’ordine in cui sono state più su esposte è opportuno soffermarsi sullo svolgimento delle prove scritte, che costituiscono un momento topico non solo per il concorrente ma anche per il ministero della Giustizia e per la commissione esaminatrice.
Con il prossimo concorso bandito per 400 posti (DM 18 ottobre 2022) si rivede l’antico: superata l’emergenza pandemica non operano più le regole derogatrici del regime ordinario che prevedevano una contrazione del tempo a disposizione per la consegna degli elaborati (rispettivamente quattro e cinque ore nelle prove scritte tenutesi rispettivamente nel 2021 nel 2022) e la redazione, come si è detto, di un “ sintetico elaborato teorico” da parte dei candidati: si torna così alle canoniche otto ore a disposizione per lo svolgimento del tema.
Si prospettano tuttavia alcune novità con riferimento alla selezione dei testi di legge consultabili durante la prova scritta, poiché il legislatore ha ritenuto di semplificare e rendere omogenea e per tanti versi più sicura un’operazione che da un lato impegna per più giorni la commissione esaminatrice ed il personale amministrativo e da un altro si mostra come possibile fonte di disparità di trattamento e comunque oggetto di controversie con le case editrici.
È noto che in base ad una risalente disposizione contenuta nell’art. 7 del regio decreto n. 1860 del 15 ottobre 1925 è consentito ai candidati di consultare durante la prova i semplici testi dei codici, delle leggi e dei decreti dello Stato da essi «preventivamente comunicati» alla commissione e da questa posti a loro disposizione «previa verifica».
Tutto ciò implica evidentemente un notevole dispendio di energie ed è fonte di disagio per gli stessi concorrenti, i quali si devono recare anche alcuni giorni prima della prova presso la sede del concorso onde eseguire detto deposito atteso che la “preventiva comunicazione” si sostanzia nella materiale presentazione alla commissione esaminatrice, da parte di ciascun candidato, dei codici e dei testi di legge dei quali egli intende servirsi per la stesura del tema; e che la “previa verifica” consiste nel controllo da parte dei commissari dei testi depositati, non potendo avere ingresso codici illustrati, annotati e/o commentati con dottrina e giurisprudenza.
Ma tale “verifica” ha assunto livelli di difficoltà - e qui si è posto il delicato problema che il legislatore si è orientato a risolvere – per la valutazione di ammissibilità di quei codici i quali, pur non dimostrando all’evidenza i caratteri vietati di illustrazione e annotazione delle norme, sono dotati di indici così diffusi e particolareggiati tali da suggerire percorsi argomentativi e dunque fornire al candidato un aiuto non consentito.
La questione ha assunto aspetti problematici sotto un duplice profilo. Innanzitutto, considerato il numero sempre elevato dei concorrenti che depositano i testi e la necessaria distribuzione dei commissari in più sottocommissioni addette alla ricezione e al controllo (pluralità che ha raggiunto livelli elevati nello svolgimento delle prove degli ultimi due concorsi, tenutesi in varie sedi) si è evidenziata la difficoltà di rendere omogenei tra le diverse commissioni, magari allocate in città diverse, i criteri di valutazione dell’atipicità o anomalia degli indici come su descritta, tenendo conto dell’ormai rilevante numero di case editrici specializzate nella pubblicazione di codici destinati essenzialmente alle prove di concorso.
Appare evidente come in siffatta situazione possa avvenire che, nonostante le sempre utili previe intese e le indicazioni tese all’uniformità provenienti dal presidente della commissione, possa essere ammessa o rifiutata da una sottocommissione l’utilizzazione di un codice che è stata invece rispettivamente rifiutata o ammessa da un’altra, con il rischio concreto di non frequenti e non volute ma pur sempre deprecabili disparità di trattamento.
Peraltro il giudizio di incompatibilità con le regole legge disciplinanti l’ingresso dei testi normativi nelle aule di concorso non riguarda solamente il singolo candidato: sono particolarmente interessante a questa valutazione le case editrici, per le quali un giudizio di esclusione ha evidenti conseguenze sul piano dell’immagine e su quello economico. Da ciò un contenzioso amministrativo che ormai da tempo accompagna le decisioni delle commissioni sulla ammissibilità dei testi.
Il legislatore, come si è detto, ha inteso risolvere la questione con una disposizione che, interpolando l’art. 7 del regio decreto n. 1860 del 1925, ha previsto come alternativa alla ordinaria procedura di deposito e controllo dei codici la possibilità che il decreto ministeriale di adozione del diario delle prove scritte (il quale, per il concorso in atto, sarà pubblicato il 31 marzo 2023) consenta la consultazione dei testi normativi «mediante modalità informatiche», da individuarsi con decreto del Ministero della giustizia da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge 21 ottobre 2021, n. 147, di conversione del decreto legge n. 118/2021.
Della emanazione del predetto decreto attuativo tuttavia non si hanno ad oggi notizie: si comprende quale difficoltà sia insita non solo nella predisposizione di circa 22.000 adeguate postazioni informatiche, equivalenti al numero dei candidati che hanno presentata la domanda di partecipazione e che teoricamente potrebbero presentarsi a sostenere la prova scritta, ma anche nella individuazione di quale criterio di selezione delle norme da porre a disposizione dei candidati debba essere seguito.
Si deve riconoscere che la realizzazione di simile obiettivo risolverebbe in radice entrambi i problemi di cui si è detto, perché la banca dati sarebbe la medesima per tutti i concorrenti, così eliminando qualsiasi disparità sull’accesso alla conoscenza dei testi, e perché non si porrebbe più la questione di un’editoria privata borderline che offre strumenti elusivi dei divieti di legge; tuttavia sembra di comprendere che per ora l’amministrazione ministeriale non sia ancora in grado di dotarsi degli strumenti adeguati, per cui continuano a valere tutte le considerazioni sull’argomento che sono state finora svolte.
Altro momento di particolare delicatezza nelle cadenze iniziali del concorso è quello della riunione plenaria della commissione, da tenersi prima dell’inizio delle correzioni, per la fissazione dei criteri di valutazione degli elaborati.
Si deve riconoscere che la formula descrittiva dei criteri utilizzata e trascritta nei verbali è, risalendo nel tempo, sostanzialmente la medesima. Tuttavia tale riunione è un’occasione fornita ai commissari per riflettere ancora sugli argomenti proposti con le tracce, per approfondire ulteriormente i temi da svolgere rispetto a quanto già meditato in “camera di consiglio” al momento della scelta, per individuare quali possano considerarsi i punti chiave che indefettibilmente devono essere trattati dal candidato per raggiungere la valutazione di idoneità
Proprio per favorire la miglior conoscenza reciproca ed il maggior approfondimento delle questioni da parte di tutti i commissari, la riunione plenaria di cui si parla è stata nei miei concorsi l’occasione per ascoltare le relazioni, svolte dai componenti professori universitari e magistrati esperti della materia, sugli argomenti oggetto delle tracce e ricevere da loro indicazione sul materiale di studio rilevante, distribuito anche in copia per la consultazione. È invero attraverso la condivisione delle problematiche da affrontarsi che i criteri astrattamente definiti cominciano a prendere forma reale, e la messa alla prova dell’importanza ed efficacia dello studio comune si presenta immediatamente dopo, cioè quando, come prevede la legge, si procede alla correzione in assemblea plenaria dei compiti di almeno 20 candidati.
È in questo momento che gli astratti criteri cominciano a concretizzarsi ed a rendersi attuali di fronte alle evidenze degli elaborati.
Sono personalmente convinto che per ottenere il miglior risultato delle prime operazioni, che cinicamente si potrebbero definire “di prova”, sia opportuno procedere ad una correzione comune di un “pacchetto” che vada ben al di là degli elaborati di 20 candidati; per questo motivo le mie commissioni hanno superato abbondantemente questo numero, con un esito realmente significativo di una raggiunta condivisione dei criteri di valutazione che ha portato in entrambi i concorsi a mantenere costante, fin dal primo mese dei lavori, la media delle idoneità.
La medesima esperienza vale per le prove orali e per la determinazione dei relativi criteri di apprezzamento. Anche qui le formule si ripetono da tempo ma anche qui la preventiva riunione plenaria dei commissari, lo scambio franco delle opinioni e degli intendimenti, la capacità di lavorare in gruppo trovano la sintesi che può consentire lo svolgimento di una prova orale in cui siano condivise ed applicate con costante equità non solo le regole di valutazione ma anche e soprattutto le modalità di espletamento della prova, che rivestono un ruolo rilevante per la tenuta psicologica del candidato in un momento di particolare impegno ed emozione.
Tutto ciò con l’auspicio che il Ministero e, per la sua parte, il Consiglio superiore della magistratura, consentano che le commissioni di esame possano operare in condizioni logistiche che favoriscano l’efficienza dell’azione e quindi la bontà dei risultati anche sotto il profilo della tempestività degli esiti: l’esperienza di chi scrive è stata sotto questo aspetto perfetta nel primo concorso, per il quale alla commissione vennero dedicati gli uffici di un intero piano in un edificio ministeriale allocato in uno dei più bei quartieri di Roma, e disastrosa nella seconda occasione, in cui i commissari sono stati costretti ad operare nonostante il virus in locali di via Arenula angusti e malsani.
E che su ventinove commissari solo undici siano stati contagiati dal Covid è stato veramente un gran risultato.