ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sulla natura delle misure protettive nel CCI
Pubblichiamo un'ordinanza di rimessione ex art. 363 bis cpc alla S.C. del 3.12.24, su un tema di rilievo attuale ovvero quello della natura “cautelare” o “non cautelare delle misure protettive nel (nuovo) CCI.
A fronte di un dato normativo generico e laconico, che si affida a previsioni spesso prive di effettivo contenuto definitorio, si impone la necessità di un intervento chiarificatore della Suprema Corte, reso imprescindibile dall’estremo caos interpretativo, al fine di chiarire quale natura giuridica abbiano le misure protettive (tipiche e tipiche) e, in particolare, se le stesse siano ascrivibili o meno al genus delle misure cautelari atipiche ex art. 700 cpc. Da tale qualificazione conseguirebbe la necessità di accertare, ai fini della loro concessione, i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, seppur da vagliare secondo la peculiare declinazione che gli stessi assumono per le misure cautelari endoconcorsuali.
Si evidenzia la restrizione dell’accesso alla tutela speciale che tal ultima opzione esegetica è idonea a determinare rispetto all’ipotesi in cui il vaglio giudiziale debba limitarsi al generico profilo funzionale dell’utilità o necessità per il buon esito della procedura concorsuale e, dunque, al risanamento dell’impresa che appare la ratio immanente all’intero impianto del microsistema della Crisi e alla Direttiva Insolvency che ne costituisce il substrato normativo.
Si evidenzia, altresì, come il fatto che venga in rilievo una materia c.d. a competenza "mista", in cui sono, cioè, competenti anche gli organi con funzione legiferante dell’Unione, dovrebbe indurre a ritenere preferibile la tesi della natura non cautelare delle misure protettive, anche perché maggiormente in linea con il già evidenziato principio (comunitario) di effettività della tutela.
In ultimo, rimangono le questioni, altrettanto controverse, relative: 1. alla sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati, cosi come, in generale, dei pagamenti, dovuti ai terzi, non essendo chiaro se la stessa debba essere qualificata quale misura protettiva atipica o quale misura cautelare, con conseguente riconducibilità del provvedimento suddetto al novero delle une o delle altre; 2. se l’impresa istante possa o meno beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta, conseguita e che sia già scaduta.
Ciò in considerazione del limite, perentorio e improrogabile, di 12 mesi cui soggiacciono le (sole) misure protettive.
A tal riguardo, l'alleggerimento probatorio in capo all'istante e la maggiore conformità al principio di effettività della tutela renderebbero preferibile la qualificazione in termini di misure protettive atipiche della richiesta di sospensione dei pagamenti.
Lo stesso principio dovrebbe indurre a ritenere praticabile il ricorso alle misure cautelari una volta che siano esauriti gli effetti di quelle protettive.
D'altronde, in tal senso depone anche la necessità di un'interpretazione comunitariamente conforme in una materia, qual è quella di specie, soggetta alla competenza concorrente dell'Unione.
Quesiti sottoposti al vaglio della S.C.:
1. Quale natura giuridica abbiano le misure protettive (tipiche e tipiche) e, in particolare, se le stesse:
a) siano ascrivibili, in alternativa, al genus delle misure cautelari atipiche ex art. 700 cpc, o siano, comunque, accomunabili alla species delle misure d’urgenza endoconcorsuali, connotate dalla c.d. strumentalità attenuta, con conseguente necessità di accertare in relazione ad esse il duplice requisito del fumus boni iuris e del periculum in mora;
b) abbiano natura non cautelare, con conseguente esenzione dal suddetto vaglio.
2. In ogni caso, quali debbano ritenersi i presupposti applicativi per la concessione delle misure protettive (tipiche e tipiche);
3. Se la sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati debba essere qualificata quale misura protettiva atipica o quale misura cautelare, con conseguente riconducibilità del provvedimento suddetto al novero delle une o delle altre e quali ne siano i presupposti applicativi;
4. Se l’impresa istante possa o meno beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta, conseguita e che sia già scaduta. Ciò, in considerazione del limite, perentorio e improrogabile, di 12 mesi cui soggiacciono le (sole) misure protettive.
Immigrazione, rimpatri e incolumità del richiedente asilo. Intervista a Rita Russo
di Paola Filippi
L’intervista a Rita Russo, consigliera della Corte di Cassazione, Prima Sezione civile, e formatrice decentrata della Scuola Superiore della Magistratura in tema di protezione internazionale e procedure di rimpatrio, è finalizzata a far conoscere alle lettrici e ai lettori della Rivista, anche non giuristi, le questioni sottese alle procedure di rimpatrio dei cittadini di Paesi extra unione.
I provvedimenti giurisdizionali di non convalida dei provvedimenti di trattenimento balzano agli onori delle cronache appena vengono depositati, ma spesso le notizie giornalistiche si concentrano più sugli effetti indiretti di questi provvedimenti e sui commenti che vengono espressi al riguardo da personalità di pubblico rilievo, a volte anche da esponenti del Governo. Con la particolarità che i mezzi di comunicazione, quali la stampa ed i social media hanno dato largo spazio a notizie sulle persone dei giudici che hanno adottato i provvedimenti, alle loro opinioni personali e persino alle loro vicende private o familiari, ma molto meno spazio ai contenuti dei provvedimenti stessi ed al sistema normativo, invero complesso, che ne sta alla base.
L’insieme normativo che regola la “questione migranti” è effettivamente complesso, intrecciandosi norme europee e norme nazionali, tuttavia alcuni passaggi fondamentali possono essere spiegati in modo semplice, in modo che tutti possano acquisire una conoscenza sufficiente della questione per formarsi una propria opinione personale sul contenuto dei provvedimenti; anche al fine di criticarli, come è diritto di ciascun cittadino di un paese democratico, ma su base oggettiva e a ragion veduta.
Una considerazione preliminare: è seriamente preoccupante che poche voci parlino della necessità di bilanciare il diritto dello Stato di controllare i flussi migratori con il diritto di chi afferma di essere esposto a rischio di persecuzioni o di trattamenti inumani e degradanti nel suo paese di origine di trovare un giudice che lo ascolti, in piena indipendenza e con il tempo necessario ad esaminare diligentemente la sua domanda. Anche per respingerla, se infondata, ma con la limpida consapevolezza di avere trattato i diritti umani con l’attenzione che meritano e di avere assicurato a tutti l’accesso ad un ricorso effettivo. Si dice, e a ragione, che queste decisioni devono essere rapide, quanto più possibile, ma rapidità non significa superficialità di giudizio; trovare la formula di un giusto processo che concili queste le esigenze di rapidità ed efficacia è anch’essa una operazione di bilanciamento che spetta indubbiamente al legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, ma seguendo il solco tracciato dalle norme costituzionali ed europee.
In definitiva, tutti parlano di clandestini e di trattenimenti ma essendo una materia estremante specialistica solo gli addetti ai lavori comprendono a fondo le ragioni dei decreti emessi in questi ultimi mesi sia con riferimento ai molteplici rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia sia con riferimento alla decisione di “non convalida del trattenimento” e l’implicazione sottesa alla definizione di paesi sicuri; tutti però possono comprenderne i passaggi fondamentali.
Riteniamo che l’intervista alla consigliera della Corte di Cassazione Rita Russo per la sua conoscenza della materia e la sua particolare attitudine a spiegare e semplificare sarà estremante utile per tutti coloro che vogliono capire cosa significa “trattenimento” dello straniero, e qual è la posta in gioco nel giudizio di convalida e infine l’incidenza complessiva dei decreti di non convalida del trattenimento.
1. Se il cittadino di uno Stato, non compreso tra quelli dell’Unione, entra in Italia senza permesso qual è il procedimento da adottare ai fini del suo rimpatrio nel paese di origine?
R.R. Il cittadino di uno Stato non appartenente alla UE, se non ha titolo di soggiorno, deve essere allontanato dal territorio nazionale. I provvedimenti di allontanamento si dividono in due categorie: i respingimenti, nei confronti di chi sta tentando di entrare, e le espulsioni, nei confronti di chi è ormai entrato sul territorio nazionale, ma non ha titolo per restarvi. Le espulsioni spesso riguardano cittadini stranieri che nel passato avevano regolare permesso di soggiorno poi scaduto e non rinnovato, oppure persone che si sono dimostrate pericolose; molti sono stranieri che hanno fatto domanda di asilo, che fino a quando la loro richiesta non viene decisa, possono soggiornare regolarmente; ma se la richiesta viene definitivamente respinta sono espulsi. I provvedimenti sono adottati dal Questore del luogo (o anche dalla polizia di frontiera) e sono esecutivi. Il rimpatrio avviene con l’accompagnamento alla frontiera, ma se non può farsi immediatamente lo straniero può essere trattenuto in un apposito centro. Il trattenimento dello straniero è un provvedimento amministrativo che priva l’interessato della libertà personale e quindi deve essere assistito dalle garanzie di cui all’art. 13 della Costituzione italiana, vale a dire: essere previsto per legge, essere convalidato dal giudice competente entro 48 ore dalla sua trasmissione, e avere una durata massima prevista per legge. Dicendo “legge” si intende un atto del Parlamento e non del Governo. Il Governo può adottare atti aventi forza di legge (i decreti legge) in casi di urgenza, ma devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti decadono. Le scelte di fondo spettano sempre al Parlamento. Ci sono poi specifici accordi di rimpatrio con i singoli paesi extra UE per facilitare il rientro del cittadino nel suo paese. La cooperazione con i paesi d'origine in tutte le fasi della procedura di rimpatrio è una condizione preliminare per un rimpatrio efficace e sostenibile.
2. Cosa accade se viene formulata richiesta di protezione internazionale?
R.R. Il cittadino straniero che fa richiesta di protezione internazionale (asilo) non può essere rimpatriato se prima la sua domanda non viene esaminata e ritenuta infondata; in prima battuta la decisione spetta a un organo amministrativo che si chiama Commissione territoriale; contro questa decisione si può fare ricorso al Tribunale (sezione specializzata immigrazione) e contro la decisione del Tribunale si può proporre ricorso in Cassazione.
Di regola lo straniero ha diritto di restare sul territorio nazionale fino alla decisione definitiva, tranne nel caso delle c.d. procedure accelerate dove il diritto è limitato alla fase di esame amministrativo, e non anche se si ricorre al Tribunale e in Cassazione. Inoltre il cittadino straniero non può essere respinto o espulso se è esposto a rischio di persecuzioni (come definite dalla Convenzione di Ginevra), oppure a serio rischio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura oppure ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (come definiti dalla Carta dei diritti fondamentali della Unione europea e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo). Le persecuzioni riguardano le persone che fanno parte di gruppi specifici che in determinati luoghi sono minoritari, discriminati o in posizione di debolezza economica e sociale rispetto al gruppo più forte, ad esempio comunità religiose, etniche, genere femminile o infanzia, oppositori politici, comunità LGBTQUIA+. A volte le persecuzioni riguardano anche persone che pur non essendo in senso stretto appartenenti a questi gruppi, vengono identificati come tali, ad esempio i familiari stretti dell’oppositore politico o colui che manifesta per i diritti delle persone omosessuali. Il rischio di trattamenti inumani e degradanti invece si valuta con riferimento a specifiche posizioni individuali: per esempio una persona detenuta, anche legittimamente, ma in condizioni disumane, senza cibo sufficiente o di che ripararsi dal freddo. Inoltre, non si possono respingere le persone che provengono dai paesi interessati da conflitto armato, cioè la guerra, quando il conflitto genera violenza indiscriminata e quindi espone a rischio una persona, anche un semplice civile, per il solo fatto di essere presente sul territorio interessato dal conflitto. In questo caso, ai fini del diritto alla accoglienza e all’asilo, è sufficiente accertare che la persona venga dal paese in guerra, senza necessità che questa spieghi le ragioni individuali della migrazione. Tutti gli altri invece devono spiegare le ragioni della migrazione, raccontando la loro storia individuale nei dettagli, in modo che le autorità amministrative prima e i giudici dopo possano verificare se effettivamente hanno diritto alla protezione internazionale. Ma c’è una particolarità: prima di invitare la persona a spiegare le ragioni della migrazione, lo Stato, tramite i suoi funzionari, deve informare queste persone che hanno diritto di presentare la richiesta di asilo. Ciò è previsto per legge ed è stato chiaramente affermato dalla Corte di Cassazione, anche sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
3. La procedura previste dalle leggi italiane sono analoghe a quelli di altri paesi dell’Unione? Nei paesi dell’Unione sono previsti procedimenti di convalida e procedure accelerate?
R.R. Qui occorre fare una premessa. Asilo, immigrazione e controlli delle frontiere sono di materie di competenza dalla Unione Europea (artt. 77-80 del Trattato sul funzionamento della Unione) e gli Stati membri della UE si sono vincolati ad una politica comune in queste materie. Ciò vuol dire che ci sono norme minime comuni per il trattamento di tutti i richiedenti asilo e delle loro domande e per la gestione dei flussi migratori. L’UE ha potestà legislativa in queste materie che esercita tramite le Direttive (che devono essere recepite in una legge nazionale) e i Regolamenti (direttamente efficaci); le norme UE prevalgono sulle norme nazionali. In alcuni settori specifici (ad es. il permesso di soggiorno per motivi umanitari) la stessa normativa europea riconosce spazi di discrezionalità ai legislatori nazionali, ma l’idea di fondo è quella di uniformare il trattamento dei migranti e richiedenti asilo, non solo in tema di diritti sostanziali, che peraltro sono assicurati anche da Convenzioni internazionali, ma anche in materia di procedure. In tema di procedure per il riconoscimento dell’asilo e di rimpatri vi sono specifiche norme della Unione europea che vincolano lo Stato italiano e i suoi giudici. Se un giudice dubita della compatibilità tra una norma italiana e una norma europea può rivolgersi (la Corte di Cassazione deve) alla Corte di giustizia della Unione europea, con sede a Lussemburgo, per avere una interpretazione certa del diritto europeo da applicare al caso (questione pregiudiziale). Se è invece è già certo che una norma di legge italiana è in contrasto con una norma europea, ad esempio perché la Corte UE si è già pronunciata, il giudice italiano disapplica la prima perché prevale la seconda. Il giudice italiano che non applica una norma europea è sottoposto a procedimento disciplinare. Infine, per garantire la uniformità di trattamento, si applica il principio del mutual trust (reciproca fiducia). Se il giudice di un paese europeo competente a decidere la domanda di asilo di un migrante ha accolto o negato la protezione internazionale, il giudice italiano deve riconoscere questa decisione, e viceversa.
In tema di trattenimento vi sono più Direttive: la Direttiva rimpatri (2008/115/CE) prevede casi e modi del trattenimento del cittadino di un paese terzo, non richiedente asilo, sottoposto a procedure di rimpatrio; la Direttiva procedure e la Direttiva accoglienza e rifusione (2013/32/UE e 2013/33/UE) disciplinano il trattenimento del richiedente asilo. Il cittadino straniero in attesa di rimpatrio (non richiedente asilo) può essere trattenuto se c’è rischio di fuga oppure se evita od ostacola la preparazione del rimpatrio. Il cittadino straniero richiedente asilo può essere trattenuto solo in circostanze eccezionali, ad esempio se ha presentato la domanda quando era già stato raggiunto da provvedimento di espulsione e la sua domanda appare strumentale (nondimeno sarà esaminata, anche se con la procedura accelerata) oppure se proviene da un “paese sicuro”; anche in questo caso la sua domanda sarà esaminata, sia pure con la procedura accelerata. In ogni caso, si prevede che il trattenimento amministrativo debba essere sottoposto a “un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'inizio del trattenimento stesso”. In Italia questo riesame si chiama convalida e deve avvenire entro 48 ore dalla trasmissione al giudice del provvedimento di trattenimento che a sua volta va trasmesso entro 48 ore dalla sua adozione (96 ore complessive, come dispone l’art. 13 della Costituzione). Il riesame giudiziario in tempi brevi del provvedimento di trattenimento è comunque una garanzia comune in tutti i paesi europei, anche se i dettagli dipendono dal diritto nazionale. Procedure accelerate e trattenimento sono quindi due istituti collegati.
In parole semplici: in certi casi si presume che la domanda di asilo sia infondata e quindi la si esamina con una procedura più veloce, non c’è diritto a restare in Italia dopo la decisione della Commissione territoriale anche se si è fatto ricorso al Tribunale (che può però dare una sospensiva) e lo straniero può essere trattenuto in vista del (probabile) rimpatrio. Le procedure si possono anche svolgere alla frontiera e questa è una ipotesi che interessa l’Italia che ha le frontiere accessibili da terra e da mare (i cd. sbarchi); naturalmente lo straniero è ammesso a dare la prova del contrario e cioè che nonostante provenga da un paese sicuro o ha presentato la domanda solo dopo l’espulsione ha comunque diritto all’asilo.
4. Alla luce del ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di decreti di trattenimento quanti sono i casi di non convalida?
R.R. Non conosco le statistiche generali delle “non convalide”; posso dire però che si vedono raramente in Corte di Cassazione, perché più frequentemente i ricorsi sono presentati da cittadini stranieri che si lamentano della avvenuta convalida e deducono che non è stato fatto un adeguato controllo di legalità. Per quanto riguarda le “non convalide” e per quanto a mia conoscenza, di recente vi è stato il ricorso del Ministero sulle non convalide dei trattenimenti da parte del Tribunale di Catania, per omesso versamento da parte del migrante delle garanzie finanziarie, processi ove le sezioni unite della Corte di Cassazione in data 8 febbraio 2024 hanno sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia della UE e dove il Ministero ha poi rinunciato ai ricorsi, per cui i relativi procedimenti sono stati dichiarati estinti (decreti del 17 luglio 2024). Di recente vi sono stati i ricorsi del Ministero sulle non convalide dei trattenimenti in Albania, sulla questione dei “paesi sicuri” trattati alla udienza del 4 dicembre 2024 e rinviati a nuova data in attesa che si pronunci la Corte di Giustizia dell’UE, perché vi sono molte questioni pregiudiziali sollevate non solo da giudici italiani ma anche da un giudice tedesco; pur rinviando la Corte di Cassazione ha voluto offrire ai giudici europei alcune riflessioni sulla questione di c.d. “paesi sicuri”.
4.1. Di quali riflessioni si tratta?
R.R. Il Ministero dell’interno si è opposto alla non convalide, da parte del Tribunale di Roma, dei trattenimenti in un centro sito in Albania (ma gestito da autorità italiane, in virtù di un accordo col governo albanese) di cittadini a egiziani e del Bangladesh ritenuti provenienti da “paesi sicuri”.
Esiste infatti un elenco dei paesi sicuri, che in passato era contenuto in un decreto ministeriale, attualmente invece è contenuto in una norma di legge. Sulla base di informazioni raccolte da affidabili agenzie internazionali (ad es. UNHCR) si valuta se un certo paese si può considerare sicuro e lo si inserisce nell’elenco. Se si proviene da un paese sicuro si presume che la domanda di asilo non sia fondata, salvo prova contraria.
La questione attuale è se si può designare un paese come sicuro se ci sono delle eccezioni soggettive e cioè eccezioni individuali o per categorie di persone: cioè se si può dire che il paese è sicuro eccetto, ad esempio, per gli oppositori politici, o per certe comunità religiose. Il punto dubbio è se in questo caso l’interessato, deve necessariamente affermare di appartenere a quella categoria che fa eccezione oppure basta anche affermare che per il fatto di non tutelare una certa categoria o più categorie il paese non possa considerarsi “sicuro” in generale e cioè anche per chi non appartiene a quel gruppo o categoria.
La questione è alla attenzione della Corte di Giustizia UE, ma la Corte di Cassazione pur rinviando i processi, ha rilevato che la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro potrebbe essere legittimante effettuata con eccezioni soggettive, però con due limiti: il primo è che la persona può sempre invocare gravi motivi per i quali quel paese pur sicuro in via generale non lo è nel suo caso specifico; il secondo è che le eccezioni non possono essere così estese, costanti o endemiche da divenire generalizzate, né possono essere di tale intensità, pervasività e gravità, da mettere a repentaglio la dignità umana, dal momento che gli Stati democratici devono tutelare anche le minoranze.
Inoltre, in un separato ma collegato e contemporaneo processo, la Corte di Cassazione ha affermato che l’elenco dei paesi sicuri è sempre soggetto a controllo da parte del giudice, ma con effetti limitati al caso concreto quando la designazione operata dall’autorità governativa contrasti con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Il giudice opera un controllo di legittimità dell’attività amministrativa legata al caso concreto.
Questo però vale per il passato, quando l’elenco paesi sicuri era contenuto in un decreto ministeriale e cioè un atto del Governo non avente forza di legge. Al momento attuale invece l’elenco, almeno in Italia, è contenuto in una norma di legge (decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, poi assorbito dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187 che ha convertito anche il c.d. decreto flussi). Ciò ha portato alcuni giudici italiani ad interrogare nuovamente la Corte europea chiedendo se sia compatibile con il diritto europeo che questi elenchi siano fatti con un atto avente forza di legge.
5. Esiste una definizione Unionale di Paese Sicuro?
R.R. In atto non esiste un elenco unico dei paesi sicuri, ma solo dei criteri generali comuni, dati dalle Direttive europee, in base ai quali ogni Stato forma il proprio elenco. L’Unione europea ha però approvato un insieme di norme (c.d. Patto europeo sull’asilo) che entreranno in vigore a far data dal febbraio 2026 che prevedono, tra l’altro, che l’elenco dei paesi sicuri divenga unico e redatto a livello centrale europeo. La Corte di giustizia UE ha già precisato alcuni criteri di esclusione e cioè che un paese non può definirsi sicuro se parti del suo territorio non lo sono. Per adeguarsi a questa sentenza (4 ottobre 2024) lo Stato italiano ha eliminato dall’elenco alcuni paesi, come la Nigeria, che hanno parti del territorio insicure. Bisogna però chiarire che la provenienza da un paese “non sicuro” non garantisce l’accoglimento della domanda di asilo, così come la provenienza da un paese sicuro non è ostativa all’accoglimento della domanda stessa. La valutazione delle domande di asilo avviene sempre su base individuale, ed anche questa è una regola europea. La differenza è che nel caso di provenienza da paese sicuro l’esame della domanda si svolgerà con la procedura accelerata, sulla base di presunzioni che il ricorrente può smentire, e il richiedente può essere trattenuto. Inoltre, il ricorso al Tribunale non ha effetto sospensivo automatico del rimpatrio se la domanda di asilo è stata respinta in via amministrativa. Su questo però la Corte di Cassazione a sezioni unite si è pronunciata in modo rigoroso. Se una persona proviene da pase sicuro e la sua domanda viene esaminata e respinta con la procedura accelerata, ma la Commissione territoriale non ha rispettato i termini, la impugnazione di questo provvedimento davanti al Tribunale si terrà con la procedura ordinaria e quindi si avrà il diritto a restare sul territorio (effetto sospensivo automatico del ricorso al Tribunale).
6. Cosa accade in caso di non convalida del trattenimento? Il richiedente protezione internazionale è autorizzato a rimanere in Italia?
R.R. Se il trattenimento non è convalidato il richiedente viene immediatamente liberato, ma si può disporre un nuovo trattenimento se ci sono i presupposti. Dipende dalle ragioni per cui non si è convalidato il trattenimento. Facciamo un esempio: il trattenimento non viene convalidato perché è stato fondato sulla provenienza da paese sicuro e il giudice accerta che quel paese non è sull’elenco o è stato eliminato dall’elenco (ad esempio si tratta della Nigeria, da poco eliminata) e quindi rifiuta la convalida. In questo caso non si può più disporre un nuovo trattenimento per questa stessa ragione, ma eventualmente per altre, se ve ne sono. Invece se il trattenimento non è stato convalidato per ragioni contingenti, ad esempio perché è scaduto il termine di 48 ore per la trasmissione o per la convalida, si può riproporre il trattenimento rispettando i termini di trasmissione e il giudice può convalidarlo purché rispetti anch’egli i termini. Il richiedente non è però “autorizzato” a restare in Italia solo perché il trattenimento non è convalidato: è sempre necessario che ottenga un permesso di soggiorno e ciò avviene se la sua domanda è accolta o durante il tempo necessario ad esaminarla.
7. Il procedimento di convalida è compatibile con il rinvio pregiudiziale?
R.R. Se il giudice della convalida solleva il rinvio pregiudiziale alla Corte UE deve sospendere il giudizio, procedimento che è incompatibile con i termini di convalida; ciò significa che l’interessato viene liberato, come in tutti i casi in cui non si può rispettare il termine complessivo di 96 ore.
8. Chi è il giudice competente alla convalida del trattenimento?
R.R. Prima delle recenti modifiche normative (ottobre -dicembre 2024) la competenza sulla convalida del trattenimento si divideva tra il giudice di pace -che era e resta competente per convalidare i trattenimenti degli stranieri che non richiedono asilo – e la sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale, competente a convalidare i trattenimenti di quegli stranieri che richiedono asilo. Per effetto del decreto-legge n. 145 dell’11 ottobre 2024 convertito in legge n. 187 del 9 dicembre 2024, la competenza a convalidare i trattenimenti dei richiedenti asilo è stata spostata alle Corti d'appello. Ciò significa il passaggio da un giudice specializzato, nella cui formazione la Scuola Superiore della Magistratura ha già investito molte risorse, ad un giudice non specializzato. Per i magistrati la formazione è comunque un impegno importante e sicuramente anche i giudici della Corte di appello seguiranno percorsi di formazione, che verranno predisposti per loro, ma che richiedono tempo e impiego di altre risorse. Vi è da dire inoltre che riguardo le nuove competenze delle Corte d’appello (estese anche al reclamo avverso la sospensione della efficacia esecutiva del provvedimento amministrativo di rigetto della domanda di asilo) tutti i presidenti delle Corti d'appello italiane hanno espresso preoccupazione per questi nuovi carichi di lavoro che potrebbero interferire con il raggiungimento degli obiettivi del PNRR.
9. Possono farsi previsioni per il futuro in merito alla questione dei paesi sicuri?
R.R. Non è semplice fare previsioni per il futuro perché da un lato l’Unione europea ha già approvato un nuovo Regolamento (facente parte del c.d. Patto europeo) applicabile dal 12 giugno 2026, secondo cui la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, a livello sia dell’Unione che nazionale, può essere effettuata con eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili e in base a una lista unica. Dall’altro però si deve tenere presente che i paesi europei sono vincolati non solo dalle rispettive Costituzioni nazionali, ma anche dalla c.d. Costituzione europea (Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea o Carta di Nizza) e dalle varie Convenzioni internazionali che abbiamo firmato tra cui la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la convenzione di Ginevra.
Queste “Carte” riconoscono l'esistenza di principi fondamentali ai quali non si può derogare e definiscono anche la struttura di uno Stato democratico, e ciò che all'interno di uno Stato democratico si può fare o non si può fare. A questo riguardo si può ricordare che nella recente ordinanza sui paesi sicuri la Corte di Cassazione ha voluto mettere in chiaro un concetto, così esprimendosi: “La democrazia, infatti, non si esaurisce nel procedimento elettorale. Un paese democratico, basato sulla rule of law, assicura anche, con un adeguato meccanismo di contrappesi, che i diritti fondamentali espressione della dignità della persona umana siano rispettati”.
Si ritiene utile allegare all'intervista l'ordinanza interlocutoria della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione n. 34898/2024, di rinvio della causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione della Corte di giustizia sul rinvio pregiudiziale disposto, nell’ambito di altro giudizio principale, nelle cause C-758/24 e C759/24, Alace e altri, dal Tribunale di Roma; la sentenza della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione n. 33398/2024, che sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale: "Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro, il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale” e la Relazione del Servizio novità del Massimario a cura di Alessandro Farolfi.
Sul tema si vedano anche Corte di giustizia: l’Egitto non è un paese sicuro, Paesi sicuri e categorie di persone “insicure”: un binomio possibile? Il Tribunale di Firenze propone rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE di Cecilia Siccardi, Il Tribunale di Bologna chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sul DL paesi sicuri, La sentenza della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024, causa C-406/22, secondo una prospettiva “interna” e di diritto dell’Unione Europea di Marcella Cometti, Un giudice a Roma. Gli immigrati, il governo e la protezione dello stato di diritto di Cataldo Intrieri.
Ancora un anno
di Paola Filippi
Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento,
senza un grido levato a vincere d’improvviso un giorno.
(Salvatore Quasimodo in “Già la pioggia è con noi”)
Il 2024, l’anno del centenario di Giacomo Matteotti, si chiude, purtroppo, con altri delitti destinati a commemorazioni future.
Il 16 febbraio 2024, nella colonia penale IK-3, oltre il circolo polare artico russo, è stato ucciso Aleksej Navalny, temuto oppositore di Vladimir Putin (rieletto pochi giorni dopo come Presidente della Federazione Russa alle elezioni presidenziali del 2024). Mosca ha smentito il delitto, archiviando la sua morte come conseguenza di presunte malattie pregresse. Navalny aveva appena 47 anni (La mia paura e il mio odio di Aleksej Navalny - giustiziainsieme.it).
I bombardamenti a Gaza hanno scandito tragicamente il 2024.
«Gaza ormai è diventata un cimitero per bambini e famiglie», ha scritto Edouard Beigbeder, direttore regionale dell'Unicef, nel suo accorato, quanto inascoltato, appello affinché cessino le violenze contro i civili inermi e sia garantito l'afflusso degli aiuti umanitari nella Striscia. «Nessun bambino che fa la fila per il pane o si rifugia in una tenda dovrebbe essere calpestato a morte o ucciso da un attacco aereo», ha significativamente affermato.
«Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, per quasi 14 mesi, Gaza è stata un inferno sulla Terra.»
Secondo il ministero della Sanità palestinese, dall'inizio della guerra sono state uccise almeno 43.000 persone, mentre la macchina umanitaria è ormai al collasso a causa dei continui ostacoli posti alla consegna degli aiuti internazionali (L’inferno sulla Terra. Unicef: Gaza è un cimitero di bambini e famiglie - Stefano Leszczynski, Vatican News).
La violenza genera altra violenza, e l’odio si diffonde come un vento impetuoso. Il mondo è attraversato da rivoli di antisionismo, spesso mescolati a rigurgiti di antisemitismo. Ad Amsterdam, ad esempio, sono stati aggrediti i tifosi della squadra israeliana Maccabi, pare che cantassero: “non ci sono scuole a Gaza perché non ci sono più bambini.”
I giudici per le indagini preliminari della Corte penale internazionale dell'Aja (CPI) hanno convalidato le richieste del procuratore Karim Ahmad Khan del 20 maggio scorso, relative ai presunti crimini di guerra e contro l’umanità commessi il 7 ottobre 2023 nel sud di Israele e, successivamente, nella Striscia di Gaza.
Con decisione unanime, la Corte ha emesso mandati di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, per l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e per l’ex capo militare di Hamas, Mohammed Deif, che però sarebbe stato ucciso a luglio.
La guerra in Ucraina è proseguita senza tregua. Secondo il Wall Street Journal, a settembre 2024 si stimava un totale di oltre un milione di vittime, tra morti e feriti, su entrambi i fronti. Nel frattempo, il territorio ucraino è stato disseminato di mine – vietate dalla Convenzione di Ginevra – che scoraggiano la speranza di ritorno alla normalità a guerra finita.
In Afghanistan, si è consolidata la persecuzione contro le donne. Si tratta, secondo la definizione di Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel Paese, di un “deterioramento senza precedenti dei diritti delle donne” si tratta di un “sistema istituzionalizzato di discriminazione e segregazione”, si legge nell’ultimo rapporto dello Special Rapporteur dell’Onu sui diritti umani in Afghanistan. Gli fanno eco le parole di Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea Onlus che, raggiunta da Alley Oop in occasione del terzo anniversario dal ritorno al potere del movimento fondamentalista islamico, ha spiegato: «Per le adulte, le ragazze e le bambine, la vita sotto i Talebani comporta una miseria e una solitudine sempre più profonda e drammatica da affrontare quotidianamente». Tutti gli aspetti della vita delle donne a ogni età sono limitati: l’istruzione, l’occupazione, l’abbigliamento, ma anche l’accesso al sistema giudiziario e le uscite da casa. L’ultimo editto ha aggiunto il divieto per le donne di cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico. Sono state cancellate dalla vita pubblica. Si chiede che l’apartheid di genere venga riconosciuto come crimine nel diritto internazionale (il tema, già trattato, continuerà ad essere approfondito; si veda Il decalogo dell'oppressione di Maria Teresa Covatta)
Intanto, in Italia, la lotta alla violenza di genere prosegue con successo: il numero dei femminicidi dal 2018 a 2024 è dimezzato (v. www.femminicidioitalia.info). Il successo non deve rilassare.
Per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne abbiamo pubblicato un contributo per ricordare Franca Rame stuprata dai fascisti per ragioni politiche (Storia di uno stupro. Il corpo e le parole di Franca Rame di Sibilla Ottoni).
Il 7 dicembre il regime di Bashar al-Assad è caduto dopo un quarto di secolo e il presidente siriano è fuggito. Mohammed al-Bashir è stato nominato premier ad interim del "governo di transizione" siriano che "avrà una durata di tre mesi", fino al prossimo marzo. La guerra civile sembra conclusa, il tiranno è scappato. Il futuro dei diritti fondamentali, soprattutto quelli delle donne, rimane però incerto. Ci auguriamo che non abbiano inizio nuove persecuzioni e che la caduta del regime consacri i diritti e le libertà di cittadine e cittadini tutti.
Biden, prima di lasciare la carica, ha concesso la grazia al figlio Hunter, in attesa di sentenza in due processi per possesso illegale di un'arma e evasione fiscale – la grazia negli Usa è come un’amnistia ad personam. «Avevo detto che non avrei interferito con le decisioni del dipartimento di Giustizia e ho mantenuto la parola – ha spiegato il presidente – ma Hunter è stato perseguito in modo iniquo per colpire me». Il tema sarà approfondito dalla rivista con un contributo diretto dalla prof.ssa Graziella Romeo che sarà pubblicato in febbraio.
In Italia la giudice Iolanda Apostolico si è, silenziosamente, dimessa dalla magistratura.
È l’effetto degli attacchi da parte di esponenti del governo e giornalisti dei quali è stata fatta bersaglio dal settembre del 2023 (Una giudice a Catania. Il caso Apostolico e le conseguenze degli attacchi politici alla magistratura di Cataldo Intrieri).
La persecuzione (Il tempo della profilazione: le ultime sul caso Apostolico di Vittorio Gaeta) era iniziata a seguito del deposito del decreto del Tribunale di Catania 29.9.2023, al quale sono seguiti decreti di analogo tenore. (Difetto di motivazione: questa la ragione della non convalida dei provvedimenti di trattenimento del Questore di Ragusa). Il Ministero degli interni aveva rinunciato al ricorso per Cassazione contro il decreto.
Dopo il dossieraggio contro la magistrata Apostalico, abbiamo visto divulgare dati sensibili relativi ad altri magistrati. (Giudici che dispiacciono. Come liberarsene di Vladimiro Zagrebelsky, L’imparzialità del magistrato e l’uomo di vetro di Federica Resta, Lettera del giudice Marco Gattuso al presidente dell’ANM Giuseppe Santalucia).
Il casus belli è la definizione di paese sicuro – concetto relativo da esaminare in concreto – come ha spiegato bene Marco Gattuso attraverso il richiamo alla Germania nazista paese sicuro per i tedeschi ariani, ma insicuro per gli ebrei tedeschi (v. Il Tribunale di Bologna chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sul DL paesi sicuri). La questione pregiudiziale in tema di paese sicuro – con riferimento a decisione assunta prima del dl n. 187/24 – è stata sciolta dalle Sezioni unite con l’affermazione secondo la quale «il giudice ordinario, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale». (Cass. Civ. n. 33398 del 19.12.2024). Deve ancora pronunciarsi la Corte di giustizia. Sulla questione immigrazione sarà pubblicata all’inizio del nuovo anno un’interessante intervista a Rita Russo.
Alto il conflitto tra magistratura e politica in tema di immigrazione, la competenza in materia è stata trasferita dal Tribunale alla Corte di appello.
In materia di immigrazione appare sempre più evidente che in gioco non sono i confini della patria e la sicurezza delle persone ma l’umanità dei popoli, la solidarietà e l’inclusività.
Le riforme della giustizia o meglio della magistratura caratterizzeranno il 2025, il tema delle riforme (Il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle “distinte carriere” dei magistrati. Eterogenesi dei fini, aporie e questioni aperte di Giovanni Canzio)
continuerà ad essere oggetto di approfondimento.
Nel 2024, anche in Italia, sono state molte le manifestazioni per la pace in Palestina.
A Pisa manifestanti delle scuole superiori sono stati caricati dalla Polizia. Una brutta pagina della nostra storia. Netta è stata la presa di posizione del Quirinale contro i metodi violenti usati dalla polizia contro i giovani manifestanti a Pisa e Firenze. Una nota dell'ufficio stampa della Presidenza della Repubblica ha reso noto che «il Presidente della Repubblica ha fatto presente al Ministro dell'Interno, trovandone condivisione, che l'autorevolezza delle Forze dell'Ordine non si misura sui manganelli, ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». (Giacomo Matteotti: il suo e il nostro tempo di Licia Fierro).
È stato introdotto il reato “universale” di maternità surrogata. L’Italia, unico paese nel mondo, non solo ha sancito l’indisponibilità dell’utero, ma ora punisce la surrogazione della maternità anche fuori dal territorio nazionale (Surrogazione di maternità come “reato universale" di Gabriella Luccioli; Le persistenti ragioni del divieto di maternità surrogata e il problema della tutela di colui che nasce dalla pratica illecita. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di Arnaldo Morace Pinelli https://www.giustiziainsieme.it/it/minori-e-famiglia/2518-le-persistenti-ragioni-del-divieto-di-maternita-surrogata-e-il-problema-della-tutela-di-colui-che-nasce-dalla-pratica-illecita-in-attesa-della-pronuncia-delle-sezioni-unite)
Il 2024 è stato l’anno nero delle morti bianche (Controlli amministrativi e sanitari. Il contrasto agli infortuni in via preventiva di Francesco Agnino).
Il 19 giugno l’Italia si è indignata per la morte di Singh Satnam. Singh, bracciante di 38 anni, è morto dopo essere stato abbandonato agonizzante dal datore di lavoro a seguito di un incidente avvenuto in un’azienda agricola di Latina.
In Italia per i detenuti il 2024 il bilancio è negativo. Come emerge dal documento redatto a cura dell'Associazione Antigone nel 2024 «sono aumentati i detenuti e il sovraffollamento della popolazione detenuta continua a crescere. Al 16 dicembre 2024, in Italia erano 62.153 le persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di 51.320 posti. Di questi posti, però, 4.462 in effetti non erano disponibili, per inagibilità o manutenzioni, e dunque la capienza effettiva scende a circa 47.000 posti, ed il tasso di affollamento effettivo arriva al 132,6%. Il tasso di crescita della popolazione detenuta è ormai insostenibile. Un anno fa i detenuti erano 60.166, circa 2.000 in meno di oggi». Dall’inizio del 2024 si sono tolte la vita 88 persone detenute. Il numero più alto mai registrato. È stato superato il tragico primato del 2022 con 84 suicidi. «Delle 88 persone morte suicide, due erano donne, una detenuta a Torino e una a Bologna. Molti sono i suicidi commessi da persone giovanissime. Nel 2024 se ne contano almeno ventitré di età compresa tra i 19 e i 29. Tante le persone straniere, almeno 40. Secondo il Garante Nazionale, più della metà delle persone toltosi la vita in carcere erano coinvolte in altri eventi critici. Tra queste, 21 avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio. Molte le persone con disagio psichico e con passati di tossicodipendenza». Sono numeri che raccontano enorme sofferenza e marginalità.
Il 2024 è stato anche l’anno con il maggior numero di decessi in carcere: 243 da inizio gennaio. In questo contesto ha fatto scalpore la frase del sottosegretario alla giustizia on. Delmastro «l’idea di far sapere ai cittadini come non lasciamo respirare chi sta dietro il vetro oscurato dell'auto della polizia penitenziaria è per il sottoscritto un’intima gioia». Così come il calendario della polizia penitenziaria del 2025 con foto di esercitazioni per operazioni anti sommossa e con armi, molto diverse dalle foto dei precedenti anni ove le foto riprendevano gli agenti della polizia penitenziaria portare doni ai detenuti con un messaggio di inclusività.
Nel 2024 si sono intensificati gli eventi climatici estremi – a conferma che il fenomeno climatico va affrontato con determinazione. In Italia l’alluvione in Emilia Romagna e in Spagna l’alluvione a Valencia ci restituiscono la concreta rappresentazione del rischio crescente del verificarsi di cataclismi naturali e ci hanno fatto toccare con mano l’impotenza dell’uomo davanti alla natura che si fa nemica. I soccorritori hanno fatto la differenza.
La solidarietà dei volontari che ha riempito le strade invase da detriti, e dato forma a un’onda buona fatta di braccia e di gambe con maniche e pantaloni rimboccati, corpi a lavoro determinati a cancellare l’onda di fango che aveva inghiottito persone e cose.
La solidarietà ci ha fatto riconciliare con l’uomo.
Essere inclusivi, accoglienti, solidali e generosi è possibile.
Inclusività, accettazione degli altri e solidarietà sono emozioni, atteggiamenti, moti dell’anima che generano comportamenti virtuosi che vanno coltivati contro le emarginazioni, la guerra le discriminazioni.
Se fossimo più generosi non ci sentiremmo sotto attacco per un pugno di fragili naufraghi che approdano in Italia.
Gli episodi passati in rassegna che hanno caratterizzato il 2024 sono spunto per il tema da affrontare nel 2025.
Il tema principale sarà il corpo quale imprescindibile ed essenziale oggettivazione dell’essere. Il corpo può essere osservato attraverso molteplici fili conduttori. La disponibilità del proprio corpo, in termini di capacità a disporne; vengono così in rilievo questioni di bioetica, l’aborto, la maternità surrogata, l’eugenetica, l’eutanasia. Il corpo quale oggetto di limitazioni esterne, vengono il rilievo la tratta degli esseri umani, i trattenimenti degli immigrati e le misure detentive.
Il corpo quale strumento della guerra, viene in rilievo la limitazione esterna massima e l’uso del corpo del soldato per uccidere e al tempo stesso quelli della popolazione civile che viene “eliminata”.
L’obiettivo è sempre lo stesso, quello di offrire uno spunto per discutere in senso costruttivo di limitazioni e rimedi. I temi saranno affrontati con specifici contributi e con un convegno che si terrà il 16 maggio 2025 in Roma.
Promettiamo di impegnarci per un confronto costante sui temi della giustizia e delle riforme ordinamentali, come sulle riforme costituzionali.
Le garanzie della nostra Costituzione sono così importanti che con riferimento a qualsiasi anche minimo cambiamento si potrebbe mettere a rischio lo stato di diritto.
In questo contesto una particolare riflessione richiede la decisione n. 32 del 6 dicembre 2024 della Corte costituzionale rumena, con la quale è stata rilevata d'ufficio l’inosservanza dei principi essenziali delle elezioni democratiche con riferimento alle elezioni del Presidente della Romania. La compromissione in tutte le sue fasi determinate da irregolarità e violazioni della legislazione elettorale ha distorto la natura libera ed equa del voto espresso dai cittadini e le pari opportunità dei concorrenti elettorali, minato la trasparenza e la correttezza della campagna elettorale e disatteso le norme legali sul finanziamento della stessa. Riferendosi a ciascuna delle irregolarità così enumerate, la Decisione, adottata all’unanimità, si è basata sulla declassificazione di diversi “Rapporti Informativi” di vari Servizi di Intelligence rumeni, precedentemente richiesti dal Presidente della Romania, Klaus Iohannis. La decisione della Corte Rumena, in un contesto legislativo e ambientale evidentemente diverso da quello italiano, ci ricorda l’importanza degli usberghi a protezione dello stato di diritto e delle garanzie costituzionali, per questo le riforme costituzionali devono essere oggetto di profonda riflessione e partecipazione popolare. Non ci stancheremo mai di ripetere che «I sistemi democratici non nascono una volta e per sempre, vanno costruiti e ricostruiti ogni giorno» (Giacomo Matteotti: il suo e il nostro tempo di Licia Fierro).
Il 2025 si apre con molte sfide, ma anche con la speranza che un dialogo costruttivo e una visione condivisa possano guidarci verso nuove conquiste. A tutti voi, lettrici e sostenitrici, lettori e sostenitori, va il nostro più sentito ringraziamento. Continuiamo insieme, per una giustizia davvero universale.
Immagine: Cueva de las manos, Argentina.
Audizione presso la Commissione Giustizia del Senato in data 10.12.2024 in materia di D.L. 178 del 2024.
Osservazioni sugli interventi in materia di liberazione anticipata e misure in materia penitenziaria di cui al Decreto legge n. 178 del 29/11/2024 Disegno di legge n.1315/ 2024.
Per quanto di interesse in relazione al settore dell’Esecuzione penale, il Decreto legge n. 178 del 29/11/2024 introduce alcune importanti novità in materia edilizia penitenziaria e di lavoro di pubblica utilità sostitutivo, in relazione alle quali una prima lettura critica suggerisce le osservazioni di seguito esposte.
Art.6 Disposizioni urgenti in materia di edilizia penitenziaria e per la funzionalità del sistema giudiziario
L’art. 6 del Decreto apporta una serie di modifiche all’art. 4 bis del Decreto legge n. 92 del 4 luglio 2024 che prevede un nuovo “Piano carceri” e la nomina del Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria indicata tra le misure necessarie ed urgenti per fronteggiare l’emergenza del sovraffollamento carcerario.
È doveroso osservare che siffatta misura non appare idonea né nel breve, né nel medio periodo idonea ad incidere sul sovraffollamento carcerario.
Secondo le rilevazioni statistiche del Ministero della Giustizia, alla data del 30.11.2024 il numero di detenuti presenti negli istituti penali italiani era complessivamente pari a 62.427.
Orbene, se si considera la serie storica delle presenze dei detenuti negli istituti di pena riportate nelle rilevazioni del Ministero della Giustizia[1], si nota come dal 2021 il tasso di sovraffollamento sia in costante crescita, assumendo carattere strutturale e non episodico: al 31.12.2021: n. 54.134, al 31.12.2022: n. 56.196, al 31.12.2023: n.60.166, al 30.11.2024: n. 62.427.
Dal confronto dei dati pregressi con l’attuale tasso delle presenze, si evince come rispetto allo scorso anno si sia registrato un aumento di + 2261 unità, mentre dal 2022 l’aumento delle presenze alla data attuale è pari a + 5.231 unità, dal 2021 alla data attuale l’aumento ascende a + 8.293 unità.
Ne consegue che da qui a due anni, ossia nello spazio temporale del mandato del Commissario straordinario fissato al 31.12.2026, è realistico che il tasso delle presenze sarà ulteriormente implementato di non meno di 4000/5000 nuove unità; sicché, quando anche, nella più favorevole delle ipotesi sottese alla previsione normativa, il Commissario riuscisse a realizzare nel tempo del suo mandato alcune nuove carceri, realisticamente esse potrebbero assorbire al più una parte dei nuovi ingressi, ma in alcun modo potrebbero assorbire la parte restante delle 4/5000 nuove incarcerazioni e, ancor meno, incidere sul tasso attuale di sovraffollamento.
In assenza di interventi normativi realmente utili ad affrontare la drammatica crisi del sovraffollamento carcerario, questo è destinato a crescere come è avvenuto negli ultimi tre anni, sia perché i processi si stanno definendo più rapidamente e il numero delle definizioni penali è in crescita, sicché aumenta il numero delle sentenze in esecuzione; inoltre, la nuova penalità introdotta con le pene sostitutive sta avendo una modesta applicazione; infine, negli ultimi anni sono aumentati i casi di ostatività e gli automatismi che aprono la strada al carcere, spesso a prescindere dalla reale pericolosità del condannato; cresce, infine, il disagio sociale e la crisi del sistema sanitario con riduzione dell’offerta terapeutica sia per i malati psichiatrici, sia per i tossicodipendenti.
La riforma della procedura per la concessione del beneficio della Liberazione anticipata di cui al D.L. 92/2024, indicata come misura utile ad abbattere in breve tempo il tasso di sovraffollamento carcerario, non ha sortito alcun effetto, mentre i Tribunali e gli Uffici di Sorveglianza sono in attesa del Regolamento ministeriale che dovrebbe garantire operatività alla riforma: sono ormai quasi trascorsi i sei mesi entro i quali per la previsione di cui al comma 4 dell’art. 5 del D.L. 92/2024 doveva essere adottato tale regolamento, ma di esso non si ha notizia e appare difficile che il termine, vista l’imminente scadenza del semestre al 4 gennaio 2025, venga rispettato.
In tale situazione, appare evidente che la realizzazione di nuove carceri, sempre che ciò possa avvenire in soli due anni, non costituisce una misura efficace rispetto all’obiettivo della riduzione del tasso di sovraffollamento e appare, invece, necessaria e improcrastinabile l’adozione di altre misure di carattere normativo.
Ci si permette di suggerire al riguardo l’elevazione del limite di concessione della detenzione domiciliare ordinaria, ora fissata in due anni, a quattro anni, così da omologare tale limite a quello previsto per la detenzione domiciliare sostitutiva e all’affidamento in prova, unitamente all’eliminazione del divieto di concessione della detenzione domiciliare ordinaria previsto per i reati cosiddetti ostativi.
Il divieto di concessione della detenzione domiciliare ordinaria oltre i due anni crea una disparità di trattamento irragionevole sia in relazione all’omologa pena sostitutiva concedibile fino a quattro anni di pena effettivamente irrogata, sia rispetto alla ben più ampia misura dell’affidamento in prova al servizio sociale; il superamento di tale irragionevole limite, allargherebbe notevolmente la platea di coloro che possono essere ammessi alla misura alternativa, peraltro in condizioni di più stringente controllo da parte dell’Autorità di P.s. e con maggiore sicurezza per i cittadini di quanto non avvenga nel caso dell’affidamento in prova; ciò eviterebbe un numero non modesto di carcerazioni e consentirebbe una più rapida fuoriuscita dagli istituti penitenziari di tutti coloro che non hanno una particolare pericolosità, specie di chi è ormai nella fase finale di esecuzione della pena[2].
Passando ora all’esame del testo della disposizione, una prima annotazione deve farsi con riferimento agli obiettivi posti al Commissario, i quali a mente della previsione del comma 2 dell’art. 6 del decreto, consistono nel compimento di tutti gli atti necessari a realizzare
1) interventi di manutenzione straordinaria, ristrutturazione, completamento e ampliamento delle strutture penitenziarie esistenti;
b) i nuovi istituti penitenziari e di alloggi di servizio per la polizia penitenziaria, al di fuori delle aree di notevole interesse pubblico sottoposte a vincolo ai sensi dell'articolo 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
c) destinazione e valorizzazione dei beni immobili penitenziari;
d) subentro negli interventi sulle infrastrutture programmati o in corso alla data del provvedimento di nomina, se esso non pregiudica la celerità degli interventi medesimi.
Tuttavia, tra gli obiettivi del Commissario, la norma non ne contempla alcuni che appaiono urgenti e, in particolare:
a) la realizzazione di luoghi nei quali il detenuto possa coltivare in modo riservato le relazioni affettive in coerenza con quanto stabilito dalla sentenza n. 10/2024 della Corte Costituzionale;
b) gli interventi di edilizia penitenziaria necessari a realizzare circuiti penali differenziati, come previsto dall’ordinamento penitenziario; uno dei problemi attuali del carcere e della sua funzionalità è nel fatto che la maggior parte di essi, specie quelli di grandi dimensioni, sono dei grandi contenitori in cui l’assegnazione delle persone alle sezioni persegue esclusivamente logiche legate alla sicurezza (alta/media), e non la condizioni dei detenuti ed i loro bisogni di cura e trattamentali: secondo le rilevazioni contenute nella Relazione annuale al Parlamento sulle tossicodipendenze[3], il 30/32% della popolazione carceraria è tossicodipendente, alto è il numero di soggetti con patologie psichiatriche e in doppia diagnosi; i soggetti in custodia cautelare in carcere sono ospitati nelle stesse celle dei definitivi. Sarebbe quindi indispensabile per recuperare una migliore qualità di vita in carcere e rendere efficace il trattamento, la realizzazione di quegli interventi, anche strutturali che consentano di realizzare i circuiti penali differenziati, prevedendo così l’apertura di Ser.D interni e delle Articolazioni di tutela della salute mentale, rendendo possibile l’assegnazione dei detenuti anche in relazione alla loro diversa posizione giuridica e, quindi, alla differente offerta trattamentale.
-Ampliare gli spazi destinati alle attività trattamentali: lavoro, istruzione, formazione, cultura, ricreazione, spazi oggi assolutamente carenti in tutti gli istituti e la cui mancanza preclude il compimento di quelle azioni che maggiormente favoriscono la rieducazione, la risocializzazione e il contrasto alla recidiva.
Di converso, gli obiettivi posti al Commissario appaiono forse eccessivamente ambiziosi, ove si tenga conto del limitato tempo del mandato e della mancata allocazione di risorse straordinarie aggiuntive: aprire nuove carceri in due anni appare un obiettivo francamente irrealistico ove si consideri la complessità dell’impresa, che va dalla ricognizione dei bisogni, l’individuazione dei progettisti, l’iter progettuale, l’espletamento delle procedure amministrative, urbanistico-edilizie e paesaggistiche, gli espropri da realizzare, la realizzazione, il collaudo, etc.
Basta al riguardo rinviare all’iter del precedente “Piano carceri”[4] che aveva visto nel 2008 la nomina del Commissario Straordinario e la delibera del “Piano” nel giugno 2010, con la previsione della creazione di nuovi 9.150 posti detentivi (le previsioni iniziali prevedevano nuovi 18.000 posti) con risorse pari a 675 milioni di euro. Come è noto l’apertura delle nuove carceri avvenne solo diversi anni dopo, in alcuni casi ben oltre il 2013 e con un piano di investimenti predeterminato e congruo, laddove, nel caso attuale come si evince dal successivo comma.
Alla luce di tali considerazioni, sarebbe opportuno conferire un mandato su obiettivi realistici e fattibili, con l’ indicazione di precisi ordini di priorità da individuare nella realizzazione degli interventi di edilizia penitenziaria destinati al restauro degli edifici, molti dei quali anche per le nuove strutture sono già ammalorati, e la ristrutturazione dei più vecchi istituti penitenziari, il recupero dei carceri mandamentali, oggi chiusi, nonché il perseguimento di quegli obiettivi più sopraindicati, oggi non previsti dal decreto e che sono indispensabili per assicurare una migliore qualità di vita ai detenuti.
Nella previsione dell’apertura di nuove carceri, oltre a non essere chiaro se e in quale misura vi sia copertura finanziaria, non si tiene conto in alcun modo di un aspetto fondamentale, che sono le dotazioni di personale di Polizia penitenziaria, del ruolo dei direttori, educatori, assistenti sociali ed esperti psicologi, figure già oggi gravemente carenti e che sono indispensabili per aprire nuove carceri. Lo scorrimento delle graduatorie per i soli direttori, già previsto nel D.L. 92/2024, basterà forse a colmare i vuoti in organico già oggi esistenti.
Il contingente di mille unità di agenti di Polizia penitenziaria (peraltro in due tranches di 500 unità + 500 unità al 2025 /2026), tenuto conto delle attuali scoperture della Polizia penitenziaria (al gennaio 2024 secondo i dati diffusi dal Dipartimento mancavano oltre 7000 persone), saranno forse sufficienti a compensare i pensionamenti, ma non certo a consentire l’apertura di nuove carceri.
Quanto alla struttura commissariale, il confronto con la precedente e assai meglio strutturata previsione del Piano carceri 2010, evidenzia una complessiva fragilità del progetto odierno e suscita più di una perplessità in ordine alla effettiva idoneità di esso alla realizzazione degli ambiziosi obiettivi prefissati.
Forti perplessità suscita la disciplina delle procedure per la realizzazione degli obiettivi. Al di là dei tempi, che appaiono irrealistici, la previsione dello strumento del silenzio assenso e la contrazione dei tempi per le procedure autorizzatorie per la tutela di beni di rilievo ambientale, paesaggistico e culturale (che non si esauriscono nelle aree di notevole interesse pubblico sottoposte a vincolo ai sensi dell'articolo 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) e, soprattutto, la soppressione nel testo dell’attuale comma 4 delle Intese con i Presidenti delle regioni previsto, invece, nell’originario testo del D.L. 92/2024, si espone a rilievo di incostituzionalità per violazione delle prerogative delle Regioni territorialmente competenti, alcune delle quali, come le regioni a statuto speciale, non solo hanno in materia urbanistico-edilizia competenza legislativa primaria, ma prevedono nel loro Statuto, che ha rango di norma costituzionale, l’obbligatorietà dell’Intesa Stato-Regione per le materie di concorrenti ambiti competenziali.
La mancata previsione dell’intesa, prevista nel Piano carceri 2010 e richiamata nel precedente testo dell’art. 4 D.L. 92/2024 appare poi integrare violazione del principio di copianificazione che obbliga al suo rispetto non solo le Regioni, ma lo stesso Stato, anche per le opere strategiche.
Non a caso, il Piano carceri 2010 prevedeva espressamente momenti e spazi di intesa tra il Commissario straordinario e i presidenti delle Regioni, che in tal modo non venivano esautorati dalla procedura; ciò che, invece, sembra prospettarsi nel caso odierno, in cui proprio tale mancanza potrebbe condurre le Regioni all’impugnazione con successo della legge davanti alla Corte.
Il richiamo, contenuto nel successivo comma 5 all’art. 17 ter del Decreto legge 195/2009, norma che nel disciplinare i poteri del Commissario straordinario nominato nel 2008 richiamava le intese con le regioni, nel quadro di una interpretazione testuale e sistematica non pare riferibile anche alla materia regolata dal comma 4 del D.l. 92/2024 che ha una sua autonomia e non rinvia in alcun punto all’art. 17 ter citato, a differenza di quanto fa il successivo comma 5 dello stesso art. 6 del D.L.178/2024.
Parimenti, suscita più di una perplessità il potere generalizzato conferito dal comma 5 al Commissario di agire in deroga, con la sola esclusione delle norme, penali, antimafia, anticorruzione, costituzionali e convenzionali. Il richiamo contenuto nella parte finale della norma all’art. 17 ter del D.L.195/2009 convertito dalla legge n. 26/2010, finisce con l’aggiungere un elemento di ambiguità, giacché tale disposizione, oltre a prevedere, come già illustrato, lo strumento dell’intesa con i Presidenti delle regioni, specificava correttamente gli ambiti normativi oggetto della deroga. Legittimo il dubbio interpretativo: il richiamo al 17 ter citato vale a limitare i poteri in deroga del nuovo commissario straordinario o i poteri di questi, come descritti dalla prima parte del comma 5 sono (straordinariamente) più ampi di quelli del 17 ter? E in quest’ultimo caso sarebbe legittima sul piano costituzionale una norma che attribuisce ad un Commissario straordinario incaricato di realizzare interventi di edilizia penitenziaria pressoché indiscriminati poteri in deroga persino rispetto alle norme sanitarie e di sicurezza sul lavoro, dei diritti soggettivi dei terzi, etc.?
Quanto, infine, alle risorse finanziarie, salvo errore, la lettura del comma 11 parrebbe indicare il mancato stanziamento di risorse aggiuntive oltre quelle previste per gli stanziamenti annualmente disponibili per l’edilizia penitenziaria; ove così fosse, si appalesa un ulteriore e grave elemento di maggiore fragilità rispetto al precedente Piano carceri 2010.
Invero, le uniche risorse aggiuntive previste sono quelle relative al compenso del Commissario e della sua struttura composta da dieci collaboratori, per un costo complessivo asceso, rispetto al precedente testo, ad oltre un milione e trecentomila euro.
2) Art. 9 Copertura assicurativa di determinati soggetti impegnati n lavori di pubblica utilità
La previsione che estende l’accesso al Fondo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il pagamento degli oneri Inail anche in favore dei soggetti che svolgono i lavori di pubblica utilità come pena sostituiva è certamente apprezzabile, perché interviene a colmare una grave lacuna del sistema, che costituiva una delle ragioni della resistenza dei datori di lavoro pubblici e del terzo settore al ricorso al L.p.u. sostitutivo.
La misura, peraltro, pur intervenendo su un aspetto certo importante, non è da sola sufficiente a favorire l’accesso a tale misura, che risulta a tutt’oggi ancora piuttosto deludente. Alla rilevazione statistica del Ministero della Giustizia alla data del 31.7.2024, i soggetti in carico in L.p.u. sostitutivo erano appena 3.224.
Il funzionamento della nuova penalità richiede l’adozione di misure strutturali e di innovazione organizzativa, nonché politiche attive del lavoro estese a tale settore.
[1] Fonte Statistiche Ministero giustizia in https://www.giustizia.it
[2] Non contraddice tale ipotesi la sentenza n.176/2024 della Corte Costituzionale, da cui non pare in alcun modo inferirsi l’illegittimità costituzionale di una norma di legge che elevasse la detenzione domiciliare ordinaria a quattro anni
[3] Relazione annuale al Parlamento sulle tossicodipendenze Fonte www.governo.it
[4] Fonte https://leg16.camera.it
L’Idea dentro di me. Giacomo Matteotti per le nuove generazioni.
di Paola Filippi
Sommario: 1. Il progetto della Fondazione Circolo Rosselli. - 2. Il vizio della memoria. - 3. Il pensiero di Matteotti come strumento per educare i giovani alla partecipazione politica. - 4. Conclusioni.
1.Il progetto della Fondazione Circolo Rosselli.
Concludiamo il 2024, dedicato dalla Rivista al ricordo di Giacomo Matteotti[1], con la recensione del saggio “L’idea dentro di me. Giacomo Matteotti per le nuove generazioni. Una proposta didattica orientativa” scritto dalla professoressa Francesca Tramonti, con la collaborazione delle docenti Cristiana Ciari, Laura Noccioli e Claudia Ortenzi, della studentessa Martina Meoli e degli studenti Davide Binetti, Lorenzo Luconi e Gregorio Rasi.
Il saggio è stato pubblicato nell’ambito di un progetto più ampio, sviluppato della Fondazione Circolo Rosselli – dedicata a Carlo e Nello Rosselli, giornalisti e politici, entrambi motivati alla lotta e alla militanza politica dal sacrificio di Giacomo Matteotti, uccisi a Parigi nel 1937. Nell’ambito del medesimo progetto la fondazione ha dato corso, tra l’altro, anche all’iniziativa didattica “Da grande voto anche io, chi voglio! Giacomo Matteotti per le nuove generazioni”, per ricordare ai giovani l’importanza della partecipazione politica, come scrive, nella prefazione, Valdo Spini Presidente della Fondazione.
Il testo, pubblicato in occasione della celebrazione del centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, contiene una proposta didattica orientativa estremamente interessante, diretta agli studenti delle quinte superiori, finalizzata a far conoscere il pensiero e le opere di Matteotti e, per tale via, avvicinare gli studenti al confronto politico e alla partecipazione.
Lo scopo del testo non è dunque solo quello di raccontare, con tecnica sistematica e contestualizzata, la vicenda dell’Uomo, né quello di puntualizzare – nei limiti dello spazio di un libro didattico – le linee essenziali del pensiero del genio Matteotti, l’eroe del secolo breve, ma l’obiettivo, che possiamo senz’altro asseverare come raggiunto, è quello di rendere la vicenda umana, i discorsi e gli scritti di Giacomo Matteotti strumenti atti a stimolare l’attitudine all’elaborazione collettiva di idee politiche (secondo una nozione di politica rispettosa del senso etimologico della parola ovvero quale etica della polis), a educarli all’utilizzo del metodo del confronto, alla formulazione dell’argomento e, infine, all’uso del ragionamento critico per la costruzione del pensiero proprio.
Il tratto peculiare del libro è quello di concentrare l’attenzione attorno alle idee di Matteotti su temi politici sempre attuali, quali l’istruzione universale e l’apprendimento, il lavoro e i diritti dei lavoratori, la democrazia e il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e infine la pace e la solidarietà tra i popoli.
Attraverso l’approfondimento della dottrina di Matteotti gli studenti vengono sollecitati all’approfondimento e all’elaborazione, collettiva e individuale, del pensiero alla sua [2] concettualizzazione e infine all’esposizione dell’idea propria così come se la sono formata. Sotto questo profilo è significativo e, al tempo stesso tempo, evocativo il titolo dell’opera: “L’idea dentro di me”.
È colto nel saggio, in modo innovativo, il valore inestimabile dell’eredità di pensiero di uno dei più grandi studiosi del ‘900, eredità conservata nelle pubblicazioni scientifiche, negli articoli, nei discorsi, nelle lettere alla moglie Velia Titta e all’amico Filippo Turati. Eredità rimasta per troppo tempo nell’ombra dell’enormità del sacrificio dell’Uomo. Martirio che, dopo l’occultamento del corpo, si è perpetuato con la sigillazione della tomba con piombo e cemento, con le restrizioni imposte alla famiglia e alle persone a lui devote. Martirio proseguito, anche dopo la caduta del regime fascista, attraverso l’oblio rassegnato alle opere intellettuali e all’idea di socialismo riformista propugnata da Giacomo Matteotti.
Dopo la liberazione dal regime fascista, nei programmi scolastici, la figura di Matteotti è stata trattata solo superficialmente come se la storia e il pensiero dell’uomo fosse tutta contenibile nella narrazione del rapimento e dell’assassinio, come se ricordarlo per il delitto fosse osservanza sufficiente ad adempiere al dovere della memoria. Al tempo stesso, come se, con il fermarsi nel particolare del martirio, si volesse contenere la grandezza senza limiti del grande politico e pensatore; come se ancora si temesse la lucidità delle sue idee precorritrici e l’attitudine a combattere al prezzo della vita per senso di responsabilità verso l’umanità.
2. Il vizio della memoria.
La vicenda Matteotti, forse più di altre persecuzioni del regime, offre una plastica testimonianza di quanto gli italiani non abbiano voluto, o saputo, fare i conti con il fascismo. Il tentativo di Renzo De Felice degli ultimi anni del secolo scorso di aprire il dibattito sul fascismo a un pubblico non di soli specialisti non ha avuto seguito e, come ha scritto Salvatore Lupo, “il fascismo è l'argomento più studiato della nostra storia novecentesca, in Italia e nel mondo. Ma i risultati di queste ricerche restano fuori dagli spazi del dibattito pubblico”. Utile l’apertura del dibattito stimolata da Antonio Scurati con i romanzi storici, M. Il figlio del secolo, M. L’uomo della Provvidenza, M. L’ora del destino e gli ultimo giorni dell’Europa. [3]
Di questo non sapere fare i conti con il passato, in una sorta di orda iconoclasta contro l’argomento potenzialmente divisivo, ne ha fatto le spese non solo la dottrina del socialismo riformista elaborata da Matteotti ma anche il suo pensiero, ad esempio, in materia di fiscalità (già propugnava il principio della contribuzione fiscale proporzionale al reddito), di diritti fondamentali, di giustizia e pena (antesignano del principio della finalità rieducativa della pena) e in materia di pace e unione degli Stati Europei (già europeista).
L’esiguità delle celebrazioni nazionali pubbliche per i cento anni dalla sua morte costituisce una chiara manifestazione del perpetuarsi del vizio della memoria.
Peraltro proprio in occasione della celebrazioni per il centenario dell'ultimo discorso pronunciato da Giacomo Matteotti, tenutosi alla Camera il 30 maggio 2024, in ricordo del famoso discorso del 30 maggio 1924, abbiamo assistito all’ennesimo tentativo di distorsione della memoria.
Il 30 maggio 2024 alla commemorazione tenutasi alla Camera dei deputati con consacrazione dello scranno dal quale parlò per l’ultima volta, avremmo voluto sentire “Oggi siamo qui a commemorare Matteotti, Deputato del Regno d’Italia e Segretario del partito socialista unitario ucciso dai sicari di Mussolini per la sua opposizione al regime fascista” invece la frase della Presidente del Consiglio è stata “Oggi siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee". Questa frase offende la memoria di Giacomo Matteotti sotto tre distinti profili.
Il primo: Matteotti, Deputato del Regno d’Italia e Segretario del partito socialista unitario all’epoca dell’omicidio, è stato un pensatore cosmopolita, un politico e un giurista eccelso, oltre che un eroe. Definirlo , semplicemente, “un uomo libero e coraggioso” svilisce il ruolo rivestito al momento dell’omicidio e la sua straordinarietà, lo decontestualizza rispetto al Partito socialista, e tacendone le peculiarità finisce per ridurre drammaticamente la portata della lesione subìta dall’umanità a causa dell’omicidio (v. Giacomo Matteotti. Il giurista di Giovanni Canzio, Note su Giacomo Matteotti ed il penale costituzionale: la legalità dalla crisi dello Stato liberale alla «dominazione fascista» di Floriana Colao, Un Matteotti poco conosciuto di Enrico Manzon, Il metodo per la riforma fiscale, preziosissima eredità di Giacomo Matteotti di Francesco Tundo).
Il secondo: Matteotti non è stato, semplicemente, ucciso per le sue idee ma perché era il più strenuo degli oppositori del fascismo [4].
La “causale politica, consistente nell’interesse, ed anzi nella necessità, di eliminare nel Matteotti il più formidabile avversario del fascismo è così evidente che ogni altra causale non può che apparire infondata” come si legge nella sentenza della Corte d’Assise speciale del 4 aprile 1947 [5].
Il terzo, strettamente collegato al secondo: Matteotti non è stato, banalmente, vittima di squadristi fascisti ma fu rapito e ucciso dalla Ceka, corpo speciale di polizia segreta del regime fascista agli esordi, che agì per ordine di Mussolini.
Dire che Matteotti fu “ucciso da squadristi fascisti” è un’ affermazione che, ancora una volta, dopo cento anni, piega la testa all’ordine di depistaggio impartito da Mussolini e avalla, inopinatamente, la sentenza del Tribunale di Chieti, emessa all’esito del famoso processo farsa che si concluse con la condanna degli esecutori materiali per omicidio preterintenzionale – dopo l’amnistia per il reato di sequestro di persona – così separando gli autori materiali dal loro mandante Mussolini (v. La magistratura al tempo di Giacomo Matteotti di Giuliano Scarselli; A margine del Processo Matteotti: la coerenza di un magistrato in tempo di regime di Costantino De Robbio; , "Il delitto Matteotti" e quel giudice che voleva essere indipendente (nel 1924) di Andrea Apollonio)
Nonostante la legge 10 luglio 2023, n. 92, intitolata “Celebrazioni per il centesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti”, abbia indetto la celebrazione nazionale della “figura di Giacomo Matteotti nella ricorrenza dei cento anni dalla sua morte” anche attraverso la promozione e la valorizzazione della conoscenza e dello studio della sua opera e del suo pensiero, in ambito nazionale e internazionale, le iniziative celebrative di rilievo sono state promosse e gestite da associazioni privati e non dal governo, a parte quella del 10 giugno 2024 alla Camera dei Deputati di cui si è detto.
3. Il pensiero di Matteotti come strumento per educare i giovani alla partecipazione politica.
La proposta didattica sviluppata nel saggio L’idea dentro di me ha il grande pregio di far conoscere Giacomo Matteotti alle giovani generazioni e, al tempo stesso, far conoscere la sua dottrina.
Il saggio rende giustizia alla memoria di Matteotti e lo consacra come esempio di uomo straordinario che con fermezza portò avanti le proprie battaglie a difesa dei diritti fondamentali dell’uomo, quegli stessi diritti che nel ’48, a ventiquattro anni dalla sua morte, sarebbero stati consacrati nella nostra Costituzione.
L’Idea dentro di me restituisce Matteotti agli studenti “tutto intero” un uomo, un politico, uno studioso, un giurista, un cittadino al servizio della democrazia, e lo consacra al ruolo di pensatore simbolo senza tempo.
Nell’introduzione alla menzione del sondaggio da quale emerge la desolante constatazione che gli italiani conoscono Matteotti soltanto in quanto martire (e così la profonda ignoranza delle opere dell’Uomo) segue l’esposizione dell’obiettivo della proposta didattica che costituisce il filo conduttore delle tematiche affrontate nel saggio.
Il primo paragrafo intitolato “Una vita”, contiene la narrazione dei punti salienti della vita di Matteotti. È tratteggiata la famiglia di origine, il percorso di studi, la particolare metodologia di approfondimento, il rapporto con la moglie Velia Titta, il rapporto con l’amico Filippo Turati e infine le ragioni sottese alla scelta dell’impegno politico che lo sottrasse alla carriera accademica, alla quale, forse, se non fosse stato ucciso sarebbe tornato. Seguono le proposte didattiche che stimolano all’approfondimento delle vicende che lo portano alla maturazione del pensiero politico, ai rapporti con la moglie Velia, al ruolo dell’amico Filippo Turati, all’impatto dell’omicidio nei suoi contemporanei.
Significativa e stimolante la lettera di Sandro Pertini a Matteotti, simbolica, perché scritta al compagno già morto per chiedergli l’iscrizione al Partito socialista unitario.
Il secondo capitolo si intitola il diritto di apprendere. Contiene, in nuce, l’illustrazione della dottrina di Giacomo Matteotti in tema di istruzione.
Si tratta di uno degli aspetti più significativi dell’impegno politico-sociale di Giacomo Matteotti, nella piena consapevolezza che “favorire l’alfabetizzazione e l’istruzione di tutti significa dare vita a una società realmente libera, uguale e socialista”.
Interessante il passaggio sulla scuola dell’intervento di Giacomo Matteotti del 1919 al Congresso dei Comuni: “Deve essere qualcosa per cui almeno per quattro o cinque anni la gente del popolo non pensi alla propria preparazione del lavoro manuale. Impari qualche cosa che sia fuori dal lavoro immediato. Impari anche delle attrazioni. Non dobbiamo essere quelli che vogliono la preparazione del ragazzo all'abilità tecnica, vogliamo che questo insegnamento sia libero, poetico, astratto, perché ne godano per una piccola parte di tempo e ne portino con sé il ricordo”. Nelle direttive del PSU del 1923 Matteotti scrive: “Il socialismo parte dalla realtà dolorosa del lavoratore che giace nell’abiezione e nella servitù materiale e morale. Intende e opera a sollevarlo, a condurlo a miglioramenti economici e intellettuali. A libertà sociale e libertà spirituale sempre più alte. Vuole cioè formare e realizzare in lui l'uomo che vive fratello e non lupo con gli uomini in una umanità migliore per solidarietà e giustizia”.
Le proposte didattiche correlate al tema del diritto di apprendere sono particolarmente interessanti, attraverso le proposte di lavoro viene stimolata la riflessione degli studenti sul tema dell’attuale livello di istruzione in Italia, dei rischi derivanti dal cosiddetto analfabetismo di ritorno; viene stimolata la riflessione in ordine ai reali bisogni degli studenti e all’utilità di percorsi formativi personalizzati; viene sollecitato il dibattito in ordine all’adeguatezza dell’attuale formazione scolastica nonché sull’opportunità del coinvolgimento degli stakeholder.
Il terzo capitolo è dedicato al lavoro. L’analisi ha ad oggetto gli scritti e i discorsi su un tema focale dell’azione del socialismo riformatore propugnata da Giacomo Matteotti. Secondo il suo pensiero era fondamentale che i lavoratori acquistassero coscienza in ordine alle effettive possibilità di cambiamento, sempre nell’ottica che è indispensabile garantire una società pacifica nella quale vi sia l'uguaglianza di tutti. Matteotti ha ben chiara l’idea che la lotta – mai guerra – di classe “non deve essere finalizzata a distruggere, in un'eterna contesa, le fonti della produzione, ma per aumentare la produzione regolandola nell'interesse della collettività operosa e non di un'oligarchia sfruttatrice dei lavoratori e dei consumatori. Lotta di classe non per emancipare una classe opprimere un'altra, ma perché tutti i privilegi di classe siano aboliti e tutti i cittadini siano uguali di fronte all'obbligo di cooperare alla produzione della ricchezza e al maggior interesse economico”.
Le idee e l’aspirazione di Matteotti e, soprattutto, l’essenzialità per lo Ζῷον πολιτικὸν della solidarietà sociale si scontrarono – e non poteva essere diversamente – con la politica autoritaria, fascista, una politica che dalla marcia su Roma mirava a negare in misura crescente libertà di parola, opinione e associazione. Nel suo libro Un anno di dominazione fascista, con la lucidità e il rigore che gli erano propri il Segretario del partito socialista unitario mise in evidenza quanto era divenuta difficile la condizione dei lavoratori in quanto il regime fascista negava loro voce e possibilità ogni chance di rivendicazione (v. L'ultimo articolo di Giacomo Matteotti - cento anni dopo di Margherita Occhilupo).
Le proposte didattiche, con riferimento a tale tematica, sono mirate a stimolare la riflessione degli studenti in ordine alle attuali sfide del mondo del lavoro ai fini della realizzazione di una società equa, libera e democratica. Viene richiamata l’attenzione sul tema dei proletari di oggi; vengono sollecitate ricerche in ordine alla storia dei sindacati italiani. È poi estremante interessante e utile la posposta diretta all’organizzazione della discussione, delle questioni, più concretamente, collegate al lavoro. Viene proposta la divisione della classe in due gruppi, uno che rappresenti gli interessi dei datori di lavoro, l’altro che rappresenti gli interessi dei lavoratori, chiamati a discutere in ordine ai contrapposti interessi attraverso un confronto destinato a concludersi con accordo su orario di lavoro e salari.
Interessante, infine, l’invito a individuare negli attuali conflitti sindacali i punti nodali, le questioni chiave, le strategie e le possibili soluzioni.
Come si legge nel quarto paragrafo intitolato “Sulla pace e sulla guerra”. il pacifismo di Giacomo Matteotti è un elemento fondamentale e un tratto che contraddistingue la dimensione politica e umana di Matteotti, un europeista ante litteram che aveva ben chiara l’idea che la pace tra gli stati può essere preservata solo attraverso l’unione nell’ottica del bene comune. Era contrario alla guerra di Libia “perché unico guadagno per chi ad essa tiene è la gloria militare della quale certo non si nutrirà il proletariato d’Italia”. All’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale, con estrema lucidità, cercò, inutilmente, di convincere i contemporanei dell’irreversibilità del danno cagionato dai conflitti tra i popoli “gli egoismi patriottici nazionalisti non consentiranno di togliere il piede dal collo dei popoli vinti militarmente o soggetti economicamente. Se non fosse, quando l'abisso sarà irrimediabilmente aperto”[6].
Le proposte di didattiche riguardano l’esame dei conflitti e le ragioni degli stessi, con l’analisi storica delle condizioni che portarono al primo conflitto mondiale, e poi al secondo conflitto mondiale; contengono altresì l’invito a discutere in ordine alle ragioni in base alle quali la pace va sempre anteposta a qualsiasi scelta di politica estera e in quest’ottica immaginata la visione di Matteotti sul futuro dell’Italia.
Il quinto paragrafo riguarda il tema della “democrazia e dei diritti”. Per Matteotti il fascismo è un fenomeno che corrompe la società, ne produce un regresso e distrugge l'idea stessa di libertà. Egli non considerava il regime solo dal punto di vista del metodo di governo, ma come un elemento che minava le basi morali ed etiche del paese.
Secondo Matteotti “Politiche e morali non sono aspetti separati del vivere civile (come era stato teorizzato da grande filosofo Benedetto Croce) ma costituiscono una coppia inscindibile, impossibile quando una delle due componenti viene meno”.[7].
La prima delle attività didattiche in tema Democrazia e libertà, secondo l’idea di Matteotti, invita gli studenti alla riflessione su un passaggio del discorso tenuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione 97° anniversario dell’uccisione dei Giacomo Matteotti.
“La Resistenza e la Liberazione che hanno conquistato libertà e democrazia al paese, affondano le proprie radici proprio nella testimonianza di personalità come Giacomo Matteotti. I valori che la Costituzione è riuscita a portare nelle nostre vite erano per lui ideali ai quali dedicare ogni impegno ed energia. Questo rende Matteotti un esempio che ancora parla ai giovani e sprona a tutti i cittadini ad avere cura della nostra Repubblica”. Attraverso la lettura di tale passaggio del discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella viene stimolata la riflessione sul significato del concetto di democrazia e di quanto sia importante la sua strenua difesa.
La seconda proposta riguarda l’approfondimento della Repubblica di Weimar e dei motivi della caduta, il contesto politico della salita al potere di Hitler. Dopo l’analisi delle ragioni storiche che portarono all’affermazione del Terzo Reich, come in what if, gli studenti sono invitati a immaginare come sarebbe stato possibile evitare la salita al potere di Hitler. Nell’ambito della trattazione di tale tematica è interessante la sollecitazione a passare in rassegna i sistemi democratici in vari paesi, per coglierne le differenze.
Il sesto paragrafo è dedicato all’ultimo discorso di Giacomo Matteotti, tenuto alla Camera del 30 maggio 1924 (v. Discorso alla Camera del Deputati del 30 maggio 1924 di Giacomo Matteotti). Come ha scritto Sandro Pertini egli aveva ben compreso il giro di boa che l’Italia aveva compiuto con le elezioni del 1924 e di qui l’ardimento nella richiesta dell’annullamento delle elezioni. “costante fu la sua esaltazione del Parlamento, cui si meditava di infliggere il colpo mortale […] quando le tenebre della tremenda notte di schiavitù diventarono irrimediabilmente più fitte, Giacomo Matteotti si era sentito sempre più attratto dalla luce non ancora spenta del Parlamento, e in quel bagliore di tramonto ebbe a concludere la sua vita di combattente della libertà”.
La proposta didattica correlata al discorso del 30 maggio 1924 stimola un’approfondita analisi del testo, con riflessioni mirate, riferite ai singoli passaggi menzionati nel discorso, alla quale viene fatta seguire l’elaborazione di confronti e paragoni con altre occasioni in cui, con discorsi pubblici, sono state denunciate violazioni dei diritti umani, viene infine sollecitata l’individuazione e l’approfondimento di analoghe testimonianze storiche.
Interessante la proposta di redigere un discorso contro le violenze e le irregolarità del regime fascista, incentrare su fatti realmente accaduti come se fosse Matteotti a scriverlo.
Utile a far calare gli studenti nello snodo storico e nei ruoli dei parlamentari presenti in aula il 30 maggio del 1924 la proposta di drammatizzazione del discorso.
Il settimo capitolo costituisce un approfondimento rivolto alla stampa; il capitolo si intitola Breaking news. Lo studio si incentra sulle notizie dei giornali dell’epoca pubblicate la sera del rapimento e, successivamente, al momento del ritrovamento della salma. Viene dato rilievo al fatto che le notizie dei quotidiani non risultano univoche e come emerga, con evidenza, la difformità, nell’interpretazioni dei fatti, quanto alle ragioni della scomparsa di Matteotti in ragione dell’orientamento politico del giornale.
Lo spoglio delle principali testate giornalistiche dell’epoca, a partire dal rapimento fino al rinvenimento del corpo, si rileva particolarmente significativo al fine di evidenziare le diverse, e opposte, posizioni politiche dei giornali e l’effetto del differente orientamento politico sulla formazione dell'opinione pubblica. I punti chiave delle diverse informazioni, i sistemi moderni di comunicazione che hanno sostituito la stampa, la storia delle principali testate giornalistiche italiane, l’analisi dei cambiamenti nel mondo dell’informazione sono i temi dei quali è suggerita la trattazione in collettivo.
L’ultimo capito è dedicato ai luoghi del ricordo. Il manuale si conclude con foto e unità didattiche interdisciplinari in lingua inglese, francese e spagnola.
4.Conclusioni
Ci auguriamo che il saggio di Francesca Tramonti, professoressa di letteratura e storia presso l’Istituto di istruzione Superiore Salvemini Duca d’Aosta, autrice, tra l’altro, del romanzo La danza della vita per Porto Seguro editore, nonché curatrice del volume Vite fuori non rimanga uno strumento di nicchia ma che invece venga diffusamente adottato nelle scuole secondarie superiori nazionali, affinché la dottrina di Matteotti sia divulgata tra i giovani e da questa i giovani apprendano l’utilità del confronto politico e l’importanza della partecipazione.
Come ha scritto Primo Levi bisogna ricordare perché quello che accaduto una volta può accedere ancora. “Tutto ciò che è accaduto può ripetersi, e i meccanismi del genere umano non mutano con il passare del tempo” in quanto “I sistemi democratici non nascono una volta e per sempre, vanno costruiti e ricostruiti ogni giorno” come ha scritto Licia Fierro in Giacomo Matteotti: il suo e il nostro tempo.
La partecipazione, “il fare politica”, dei giovani è fondamentale per assicurare il rispetto della Nostra carta costituzionale, la res publica non può essere lasciata nelle mani di pochi perché la storia ci insegna che le oligarchie degenerano.
Come ci ha insegnato Matteotti l’istruzione è il passaggio fondamentale e imprescindibile perché l'uomo viva fratello e non da lupo “per una umanità migliore per solidarietà e giustizia”.
[1] Il IV convegno di Giustizia Insieme, "La magistratura e l'indipendenza", Roma 12 aprile 2024
[2] L’opera La recidiva di Matteotti è menzionata solo in una nota dell’Antolisei. In quella nota il nome di Matteotti è vicino a quello di Manzini, giurista di sicura fede fascista, che scrisse la prefazione per la pubblicazione dell’arringa di Farinacci in difesa di Dumini, e degli altri sicari, davanti al Tribunale di Chieti. Nella prefazione Manzini spiegava le ragioni dell'omicidio nel senso che era stato lo stesso Matteotti, con le sue idee rivoluzionarie, a renderlo ineluttabile.
[3] "M." di Scurati: il fascino discreto del fascismo (di ieri e di oggi) di Andrea Apollonio.
[4] Questo è il termine utilizzato nel libro “Il nemico di Mussolini” di Marzio Breda e Stefano Caretti, ed. Solferino.
[5] Archivio di Stato di Roma, Corte d'Appello di Roma, Corte d'Assise Speciale, Procedimento contro Giunta ed altri, Atti del secondo processo Matteotti [1944-1947], sentenza 4 aprile 1947 copia dattiloscritta, pp. 163-164.
[6] L’Avanti XXIV, 6 marzo 1920, p.1.
[7] Democrazia e fascismo, a cura di Caretti e Makuc.
Francesca Tramonti, L’idea dentro di me. Giacomo Matteotti per le giovani generazioni. Una proposta di didattica orientativa, Pacini, 2023.
Nell'immagine, l'installazione luminosa che il Comune di Bologna ha dedicato a Giacomo Matteotti in occasione del centinario del suo assassinio, collocata in via Matteotti a Bologna.
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