Lo stato dell’arte sui criteri di priorità nell’azione penale: evoluzione storica e prospettive future
di Federica Antonia Orlacchio
Abstract
Il contributo intende ripercorrere brevemente il percorso dei criteri di priorità nell’azione penale, dai primi sforzi organizzativi dei Procuratori, passando per le questioni relative all’assenza di una certa base normativa, sino alla recente valutazione di quest’ultima proposta da parte del Legislatore.
Evidenziando i punti più importanti di questo lungo dibattito, si vorrà da ultimo soffermarsi sulle varie proposte che hanno preceduto l’emanazione della l. 134/2021, meglio nota come Riforma Cartabia che ha, per la prima volta, introdotto una disciplina organica dei criteri di priorità, lasciando tuttavia aperti vari interrogativi. Di questi si sta attualmente discutendo in Commissione Giustizia, ove si sta valutando il testo del d.d.l. S-933, che intende completare il percorso avviato dalla riforma: esaminando il progetto, il presente contributo vorrà evidenziarne alcune criticità, interrogandosi sulle possibili soluzioni proposte in dottrina.
The article intends to briefly retrace the path of the priority criteria, starting from the prosecutors’ first organizational efforts, passing through issues related to a lack of a certain regulation, all the way to the recent evaluation of this proposal by the lawmaker.
By highlighting the most important points of this long debate, the article will lastly focus on the various proposals that preceded the emanation of the law no. 134 of 2021, better konwn as the Cartabia Reform, that for the first time introduced an organic discipline to the priority criteria, however leaving some questions open. These questions are currently being discussed by the Judiciary Committee where the text of the draft law no. S-933, which intends to complete the process started by the Reform, is being evaluated: by examining the project, this article aims to highlight some critical issues, questioning on the possibile soluzione propose in the doctrine.
Sommario: 1. I criteri di priorità quale possibile soluzione alla lenta erosione dell’art. 112 Cost. – 2. Gli sforzi organizzativi della Procura torinese – 3. L’opinabile assenza di una base normativa: un quadro incerto – 4. L’insoddisfazione resta: è necessaria una cornice legislativa – 5. Il modello statico del d.d.l Bonafede: una delega in bianco per le Procure – 6. Le scelte della Commissione Lattanzi – 7. La stabile cornice parlamentare della l. 27 settembre 2021, n. 134 – 8. I dubbi permangono – 9. Considerazioni a caldo sul d.d.l S-933 – 10. Valutazioni conclusive: i nodi da sciogliere
1. I criteri di priorità quale possibile soluzione alla lenta erosione dell’art. 112 Cost.
Lungo e tortuoso è stato il cammino che la proposta dei criteri di priorità ha dovuto affrontare in più di trent’anni di acceso dibattito, coinvolgendo importanti soggetti istituzionali sino a persuadere lo stesso Legislatore, finalmente intervenuto di recente dopo anni di colpevole inerzia, con un passo che, tuttavia, non sembra essere risolutivo.
È la legge n. 134 del 2021, meglio nota come Riforma Cartabia, a porre fine al silenzio sino ad ora serbato sul punto, nell’ottica di una più ampia aspirazione di ricostruzione organizzativa della giustizia penale, tentando di ovviare alla profonda crisi di efficienza, effettività e autorevolezza che essa patisce[1].
Una ritrosia, la sua, non da denunciare completamente, se solo vuol pensarsi alla grande tensione che l’“operazione priorità” ha da sempre presentato con il principio di obbligatorietà dell’azione penale e, soprattutto, con le interpretazioni rigide, a tratti esasperate, che dello stesso, ancor oggi, la letteratura giuridica si ostina a dare: nell’affermare, alquanto laconicamente, che “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”, la norma detta un principio ontologicamente irrealizzabile, nella misura in cui pretende che la pubblica accusa assicuri paritaria e soprattutto dignitosa attenzione a tutte le notitiae criminis verosimilmente riconducibili a fattispecie criminose.
Ecco che la possibilità di assicurare prioritaria trattazione a taluni procedimenti rispetto ad altri cerca di ergersi da tempo quale possibile soluzione rispetto all’annoso problema dell’ingolfamento della macchina processuale, impiegando al meglio le poche risorse materiali e umane disponibili.
Insomma, per assicurare effettività non soltanto alla regola di cui all’art. 112 Cost. ma anche ai valori ad esso sottesi è indispensabile assumere un approccio realistico, acquisendo consapevolezza del discrimen intercorrente tra la dimensione concreta del principio di obbligatorietà (e, dunque, spazi valutativi fisiologici connaturati al dovere di agire) e patologiche deviazioni dalla ratio della scelta costituzionale[2].
In questo senso deve interpretarsi la proposta qui in commento, testimonianza più evidente dello sforzo di dottrina e magistratura di lasciare inalterato il principio della legalità dell’agire, permettendo tuttavia allo stesso di adeguarsi alla realtà.
Dunque, l’idea è semplice: dinanzi all’impossibilità ormai riconosciuta di analizzare con la stessa tempistica tutte le notizie di reato, la migliore soluzione, ponendosi in una prospettiva pragmatica, sarebbe quella di individuare, sulla base di canoni obiettivi, un ordine di preferenza nello svolgimento delle indagini[3].
2. Gli sforzi organizzativi della Procura torinese
Trattasi di un’impostazione particolarmente suggestiva, emblematicamente suggerita dagli stessi uffici inquirenti: la paternità del problema è ascrivibile alle famose circolari torinesi, essendo state le prime ad aver avuto il “pregio di affrontare senza reticenze ed ipocrisia il problema”[4].
Fu Vladimiro Zagrebelsky, allora a capo della Procura torinese, ad inaugurare, nel 1990, questa nuova filosofia dell’organizzazione del lavoro, proponendo una “risposta trasparente ad uno stato di necessità”[5]: egli, partendo dal dato fattuale concernente l’eccessivo sovraccarico della procura torinese e la limitata capacità di lavoro dell’ufficio, anelava ad una programmazione dello stesso sotto il profilo quantitativo, affermando per questa via l’ineluttabilità dell’elaborazione dei criteri di priorità nella conduzione delle indagini preliminari. Sottolinea, tra l’altro, che tale modus operandi non sarebbe in contrasto con con il dettato costituzionale in tema di obbligatorietà, posto che il mancato esercizio dell’azione penale per tutte le notizie non infondate deriverebbe non tanto da considerazioni di opportunità relative alla singola notitia criminis, quanto piuttosto dall’oggettiva incapacità di smaltimento del lavoro dell’organismo giudiziario nel suo complesso.
Assolutamente lontano sarebbe pertanto il pericolo di sconfinare in arbitrio assoluto dell’ufficio, impedito a monte dai principi costituzionali di eguaglianza da un lato, e di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione dall’altro.
In sostanza, nell’ottica di Zagrebelsky, i criteri di priorità si articolano verso l’alto, e dunque nella direzione di un’elevata prelazione per i reati più gravi in base alle pene edittali, alle singole tipologie di reato, alla posizione della vittima e all’attualità cautelare[6].
Qualche anno più tardi, è ancora una volta la Procura di Torino ad offrire un ulteriore spunto sul tema, riaccendendo in chiave critica il dibattito: la “Circolare Maddalena” del 2007[7], successiva all’approvazione della legge 31 luglio 2006, n. 24, recante “Concessione di indulto”[8], articolava diversamente i criteri, questa volta verso il basso, in virtù di valutazioni meramente procedimentali, postergando procedimenti a citazione diretta, con indagati irreperibili o quando ancora fosse prossima la prescrizione del reato.
Evidenziata la difficile situazione in cui versavano il sistema giudiziario in generale e facendo emergere le disastrose inefficienze provocate proprio dal provvedimento clemenziale, il Procuratore riteneva “contrario ad ogni logica insistere nel trattare tutti e comunque i procedimenti pendenti”: invitava pertanto ad un uso parsimonioso dell’azione penale, privilegiando “la strada della richiesta di archiviazione (anche generosa) ogni qualvolta appaia praticabile e anche solo possibile”[9].
Lungi dunque dal guardare al futuro, come la precedente, la circolare in questione si fermava al presente[10], mirando ad esaurire le pendenze inattive e affermando, per la prima volta, la regola dell’accantonamento degli affari non prioritari, tenuto conto di una serie di fattori legati “all’oggettività del fatto, alla gravità della lesione degli interessi protetti, alla soggettività del reo, all’ interesse all’azione dell’indagato o imputato o delle persone offese, alla irreperibilità dell’indagato etc. etc.”[11].
3. L’opinabile assenza di una base normativa: un quadro incerto
I provvedimenti torinesi fanno da precedente e divengono con il tempo un indiscusso punto di riferimento per altrettante Procure della Repubblica, le quali dimostrarono, negli anni a venire, un regolare attivismo a riguardo. Emulando i propositi delle circolari cui si è fatto cenno, sono stati adottati nel tempo provvedimenti simili, ispirandosi a scelte prioritarie sulla base di specifiche esigenze e tenuto conto delle rispettive realtà circondariali: tutto ciò ha dato vita alle cd. buone prassi, ossia delle prassi organizzative che tentano di smaltire nel modo più efficace il flusso di affari[12].
Esse hanno ricevuto il placet da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, che ha sposato la causa in maniera sempre più convinta, arrivando al punto di interpretare l’adozione dei parametri orientativi nella gestio degli affari penali (di cui valorizzava la natura prettamente organizzativa) in termini di sostanziale doverosità, nell’ottica di maggiore efficienza della giustizia e anche di uniformità dell’azione penale[13].
Tuttavia, per quanto encomiabili fossero gli sforzi organizzativi delle Procure – essendo testimonianza di una forte responsabilizzazione e presa di coscienza da parte degli stessi operatori del processo – i medesimi venivano censurati dai più, per la mancanza di una norma che conferisse alle loro scelte oggettività e predeterminazione: è proprio questo, anzi, il passaggio che ha concentrato le principali contestazioni della dottrina più ostile poiché – si diceva – una gestione orizzontale avrebbe rischiato di scalfire i contorni di una regola costituzionale sempre più in crisi.
Non può comunque nascondersi che, negli anni, vi sono stati degli interventi che hanno dato alla luce nuove norme nelle quali, non senza difficoltà e sforzo interpretativo, si è cercato di trovare un appiglio all’“operazione priorità”: il massimo risultato a cui è pervenuto il Legislatore in tempi più lontani sta nella norma dettata in tema di riforma del giudice unico, ossia l’art. 227 del d. lgs. 19 febbraio 1998, n. 51[14]. Con la disposizione de qua si è, per la prima volta, normativamente accreditata l’idea che la selezione delle notizie di reato potesse rappresentare, in una prospettiva futura, la soluzione alla malvista discrezionalità di fatto incontrollata[15].
Poco dopo il Legislatore è intervenuto nuovamente sul tema, attraverso il d. l. 24 novembre 2001, n. 341[16], che ha introdotto l’art. 132-bis tra le disposizioni di attuazione del codice di rito, con il quale sono state create corsie preferenziali per taluni procedimenti ai fini della formazione dei ruoli d’udienza da parte degli uffici giudicanti, inizialmente per ragioni spiccatamente processuali, ossia là dove si pongono gravi ragioni d’urgenza con riferimento alla scadenza dei termini cautelari. Nondimeno, l’attuale profilo contenutistico risulta sensibilmente diverso, essendo stato oggetto di ripetuti interventi normativi[17] che ne hanno mutato l’originale assetto, risultando ora comprensivo di ipotesi così eterogenee che pare difficile rinvenire per le stesse una base comune.
Per quanto apprezzabile fosse l’intento legislativo di regolamentare, secondo canoni oggettivi e soprattutto verificabili, delle priorità, nessuna delle due norme oggetto di precedente disamina ha permesso di individuare una copertura legale alle prassi.
Anzitutto militava in senso opposto l’incontestabile circostanza che entrambe fossero non tanto rivolte ai pubblici ministeri, bensì agli uffici giudicanti[18]; e, ancora, che le medesime fossero prospettate ad un momento successivo all’esercizio dell’azione penale, dunque in quanto tali non avevano rilevanza alcuna per la determinazione delle priorità, che invece si pone nei primi momenti del segmento meramente procedimentale.
4. L’insoddisfazione resta: è necessaria una cornice legislativa
L’indiscutibile incertezza derivante dall’assenza di una solida base normativa ha quindi da sempre rappresentato un’evidente criticità della teoria dei criteri di priorità, messa in discussione da quanti guardavano alle attività delle Procure come eccentriche, difettando queste ultime di fonte legislativa di rango primario.
Fondamentalmente, la predeterminazione legislativa delle precedenze da seguire nella trattazione delle notizie di reato sarebbe l’unica via per ridurre l’inventiva della magistratura inquirente, alla cui libera scelta verrebbe altrimenti rimessa la sorte di taluni procedimenti.
A dire il vero, quest’ultima strada è stata percorsa in passato, addirittura dall’Organo di autogoverno della Magistratura, tanto in sede disciplinare[19] che in altre occasioni: anzi, rebus sic stantibus, questa sarebbe apparsa per taluni la migliore soluzione poiché il magistrato inquirente disporrebbe di maggiore conoscenza, rispetto ad un legislatore lontano e distratto[20], della realtà delinquenziale del territorio di sua competenza, pertanto sarebbe maggiormente in grado di calibrare la risposta alla tracotanza degli autori del reato[21].
Quella della definizione dal basso delle priorità si sarebbe allora presentata come soluzione necessitata dinanzi alla non più tollerabile neghittosità del legislatore, che è invece intervenuto su altri settori – depenalizzazione, deproccessualizzazione, potenziamento dei riti alternativi – con scarsi risultati.
Una tale affermazione viene tuttavia – opportunamente – contestata da quanti paventano il pericolo che una giustizia a macchia di leopardo possa presentarsi sì più vicina ai cittadini, ma effettivamente pericolosa. Permettere agli uffici di Procura di provvedere ex se porrebbe le basi per una differente applicazione della legge penale e per una disparità di trattamento tra individui che si troverebbero ad essere trattati in maniera assai diversa, a seconda del luogo in cui abbiano commesso il medesimo reato. Il che, a tacer d’altro, non soltanto determinerebbe momenti di tensione con l’art. 112 Cost., ma anche con gli artt. 3 e 25 Cost.[22].
Se allora la fissazione delle priorità diviene espressione di indirizzo politico in materia criminale, l’unica scelta da prendere in considerazione sarebbe quella di un coinvolgimento attivo del Parlamento: anzi, questa risulta essere la via maestra per quanti si dicono favorevoli all’introduzione dei criteri di priorità. In uno Stato di diritto ed in base ad un elementare principio di separazione di poteri, tale organo dovrebbe essere l’unico a poter regolare il sistema penale, decidendo di volta in volta, in base a trasparenti criteri di politica giudiziaria, a quale categoria di reati dare l’eventuale precedenza[23].
Una soluzione del genere avrebbe un indubbio pregio nell’ottica di conferire legittimazione democratica alle scelte di politica criminale compiute dalla pubblica accusa, anzi le assicurerebbe il massimo grado: l’idea di un collegamento tra quest’ultima e il Parlamento poggia sull’opinione per cui, all’organo che rappresenta in maniera diretta i cittadini, spettano poteri di controllo democratico su tutte le attività di rilevanza pubblica e conseguenzialmente, su una delle più importanti, ossia l’esercizio della funzione requirente[24].
Ecco che, allora, l’unico soggetto legittimato alla definizione delle priorità non può che essere proprio l’organo legislativo: calzante e significativa l’osservazione secondo cui come solo quest’ultimo può provvedere alla predisposizione di fattispecie criminose, così non può non essergli devoluto l’eventuale compito di dettare priorità ai fini dell’esercizio dell’azione penale, attraverso uno strumento suscettibile anche di controllo di costituzionalità[25].
5. Il modello statico del d.d.l Bonafede: una delega in bianco per le Procure
Gli interrogativi posti dalle precedenti riflessioni non hanno ricevuto integrale soddisfazione nel d.d.l. Bonafede, presentato dal Governo Conte II alla Camera il 13 marzo 2020: l’AC 2435[26], nell’intento di assicurare l’efficacia della risposta giudiziaria, assegnava – all’art. 3, comma 1, lett. h) – al legislatore delegato il compito di “prevedere che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre”. Si continuava poi che “nell’elaborazione dei criteri di priorità, il Procuratore della Repubblica, curi in ogni caso l’interlocuzione con il procuratore generale presso la corte d’appello e con il presidente del tribunale e tenga conto della specifica realtà criminale e territoriale, delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili e delle indicazioni condivise nella conferenza distrettuale dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti”.
Una novità, come si è detto, rilevante ma non sconvolgente[27]: difatti, non è difficile cogliere l’aderenza del disegno qui prospettato alle prassi che si sono andate formando[28], e la sua perfetta rispondenza alle indicazioni del C.S.M. succedutesi negli ultimi quindici anni.
Il circuito ivi delineato si colloca infatti interamente nell’ambito giudiziario, dall’individuazione all’applicazione, sino al controllo sull’attuazione dei criteri di priorità[29]: in un’ottica “autoreferenziale”[30] si prevedeva che l’elaborazione dei medesimi fosse devoluta alle Procure e ai progetti organizzativi redatti dai dirigenti degli Uffici del pubblico ministero. Venne attivamente coinvolto anche lo stesso C.S.M che avrebbe assicurato trasparenza nella gestione dell’azione[31]: si anelava dunque ad un dialogo ed una costante comunicazione che avrebbe dovuto – nelle intenzioni del progetto – assicurare maggiore omogeneità.
Siffatta impostazione venne tuttavia caldamente osteggiata dalla dottrina maggioritaria, la quale le muoveva aspre critiche per aver sostanzialmente sottratto al legislatore una sua funzione.
Le voci dei più auspicavano per contro un ruolo maggiormente significativo per il Parlamento, evidenziando profonde criticità della proposta: anzitutto il meccanismo delineato dal d.d.l. Bonafede avrebbe assegnato un ruolo politico alla magistratura, responsabilità che non le compete[32]; quest’ultimo sembrava poi essere insensibile a tutte le criticità derivanti da un conferimento del compito di predeterminazione dei criteri alle singole Procure, poiché non avrebbe scongiurato il rischio di una perseguibilità dei reati a macchia di leopardo[33].
Insomma, un disegno poco convincente. Ciononostante, un qualche consenso pur lo meritava e nello specifico con riferimento al meccanismo di individuazione dei criteri di priorità, nella misura in cui si chiamava il Procuratore della Repubblica a raccordarsi con gli uffici giudicanti – naturali destinatari dei provvedimenti in cui si concretizza la scelta di agire – e anche quella opposta affidata alla richiesta di archiviazione, collocando le sue determinazioni nella più ampia dimensione del distretto.
Osservandolo più attentamente, questo modello partecipato non negava totalmente il ruolo del Parlamento, ma lo articolava diversamente: la sua tipica funzione di controllo sarebbe stata invero assicurata dalla previsione secondo cui il Ministro della giustizia avrebbe provveduto all’illustrazione dell’andamento della gestione dell’azione nei vari distretti giudiziari, nel più ampio ambito delle comunicazioni annuali sull’Amministrazione della giustizia ex art. 86 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12[34].
Il Legislativo avrebbe così verificato la congruità dei dati acquisiti, ora chiedendone la correzione, ora valutando l’eventuale necessità di un intervento del Governo, volto ad assicurare un maggiore stanziamento di risorse per la revisione di taluni criteri.
6. Le scelte della Commissione Lattanzi
Per ovviare comunque alle permanenti perplessità verso il progetto sopra delineato, con la formazione del Governo Draghi, la Ministra della giustizia Prof. Marta Cartabia insediò una nuova commissione di studio per elaborare proposta di riforma: con il decreto del 16 marzo 2021 venne infatti costituita presso l’ufficio legislativo del Ministero una commissione “per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in tema di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge AC 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizone dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello”.
Le modifiche presentate intendevano quindi accogliere tutte le critiche avanzate all’originaria proposta, provvedendo ad un’intensificazione del ruolo del Parlamento: ne risulta un progetto di profonda distanza culturale e tecnica[35].
La Commissione Lattanzi, “in piena aderenza con un’architettura costituzionale nella quale le valutazioni di politica criminale non possono che essere affidate al Parlamento”[36], intendeva dunque rimettere a quest’ultimo organo il delicato ruolo delle priorità: lo avrebbe fatto attraverso un’indicazione periodica di criteri generali necessari a garantire efficacia e uniformità, che avrebbe fatto riferimento all’apposita relazione del C.S.M. sugli effetti prodotti nel periodo precedente.
Una volta poi definita la cornice dell’alto, si sarebbero mossi i singoli uffici giudiziari che avrebbero provveduto autonomamente, stabilendo dei criteri “dinamici” che tenessero conto della realtà locale – tanto sotto il profilo criminale quanto sotto quello organizzativo – per assicurare concretezza alle scelte parlamentari. In quest’ottica, dunque, sarebbe stato superato l’elenco di criteri statici contemplato all’interno dell’art. 132-bis disp. att. c.p.p. che – si sottolinea nella Relazione – hanno dimostrato negli anni “tutta la loro inidoneità a garantire razionale ed effettiva trattazione degli affari penali”.
Si evidenziava, pertanto, da parte dei primi commentatori, la contrapposizione tra le periodicità delle regole parlamentari e la dinamicità dei criteri dei singoli uffici di Procura, espressione di scelte di politica criminale e di una puntuale concretizzazione delle stesse sul piano territoriale. La Commissione, com’è stato evidenziato, si è mossa dunque con condivisibile cautela e delicatezza, cercando di non urtare la sensibilità degli uffici giudiziari, privati di quella competenza esclusiva che riservava loro il d.d.l. Bonafede[37].
Ad ogni modo, bisognava tessere le lodi del disegno qui in commento per la scelta di rendere obbligatorio l’intervento del Parlamento nella definizione delle priorità, considerata la loro afferenza alla materia di politica criminale. Un tratto che rendeva di gran lunga preferibile quest’ultimo rispetto al precedente, non foss’altro per una sua evidente armonia con il fisiologico rapporto tra potere legislativo e giudiziario: il primo dà le determinazioni di principio, ed il secondo, lungi dal vedersi attribuito un ruolo di mero esecutore di direttive altrui, le specifica concretamente[38].
Opinabile era invece l’eccessiva genericità della formula con cui veniva devoluto al Parlamento il compito di dettare criteri generali: essa risultava particolarmente equivoca nella misura in cui, non parlando expressis verbis di legge, lasciava aperta l’ipotesi che vi si provvedesse per il tramite di un atto di indirizzo. Atti che non difficilmente dimostrano la loro inattitudine ad assumere tali connotati: basti qui ricordare che trattasi di atti per loro natura fluidi, nel contenuto e nelle forme, dunque in quanto tali maggiormente esposti alle fluttuazioni derivanti dalle mutevoli congiunture politiche[39].
7. La stabile cornice parlamentare della l. 27 settembre 2021, n. 134
Finalmente si approda all’emanazione del testo definitivo[40], il quale assegna al legislatore una traccia sensibilmente differente: si legge nell’art. 1, comma 9, lett. i) che “gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforma esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili”. Si conclude poi per la necessità di “allineare la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti”[41].
In continuum rispetto alle scelte precedenti, si ritiene indispensabile quell’elemento interlocutorio interno alle stesse realtà circondariali, volto ad assicurare maggiore omogeneità. Salta, tuttavia, subito all’occhio una fondamentale differenza rispetto alle proposte della Commissione Lattanzi: la determinazione dei criteri da parte del Parlamento non viene affidata all’atto periodico di indirizzo politico; bensì allo strumento solenne, impegnativo e soprattutto stabile della legge che dunque, in quanto tale, risulterà vincolante per tutti gli operatori[42].
Una legge cornice rigida – dunque non periodica – completata dalle successive scelte dei capi degli uffici, sembra essere quindi un buon tentativo di mediazione, che lasci giusti spazi di manovra ai Procuratori della Repubblica ma al contempo impedisca loro di tirare troppo, con il rischio che si spezzi “la corda dell’irresponsabilità politica”[43].
Per dare attuazione alla delega, è intervenuta la minimale disciplina contenuta nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150[44], la quale ha preso posizione su poche questioni. In effetti, per dare seguito alla delega sono state adottate una serie di disposizioni non tutte contemplate all’interno del decreto legislativo che intende adempiervi: la Relazione di accompagnamento sottolinea che, nelle more dell’adozione dell’atto avente forza di legge, il Parlamento è intervenuto con la legge 17 giugno 2022, n. 71, prevedendo una modifica dal punto di vista ordinamentale[45]. Il doppio intervento supporta l’idea che i criteri di priorità abbiano una duplice rilevanza, non avendo questi essenzialmente natura procedimentale, bensì incidendo anche su scelte organizzative, sin dall’attività successiva all’iscrizione della notizia di reato[46].
Dal punto di vista procedimentale, l’art. 1, comma 1, lett. a) interviene allora sulle disposizioni di attuazione attraverso l’introduzione dell’art. 3-bis, ove si prescrive che il pubblico ministero, tanto nella trattazione delle notizie di reato quanto nell’esercizio dell’azione penale, debba conformarsi ai criteri di priorità contenuti all’interno del progetto organizzativo della Procura. Contestualmente viene introdotto l’art. 127-bis disp. att. c.p.p. dove si prevede che, nell’esercizio dei poteri di avocazione che spettano al Procuratore generale, si tenga conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio della Procura della Repubblica. Un’introduzione, si dirà, assolutamente doverosa per assicurare coerenza tra la neo-introdotta disciplina delle priorità con quanto previsto in tema di avocazione: in mancanza, vi sarebbe un paradosso nell’“avocazione per inazione”, rispetto ad un’inazione che trova giustificazione proprio nei criteri di priorità[47].
La norma necessita tuttavia di una lettura in combinato disposto con la novellata disciplina ordinamentale, secondo cui la predisposizione dei criteri, all’interno dei progetti organizzativi adottati a cadenza quadriennale e nel più ampio ambito dei criteri generali stabiliti dal Parlamento, dovrà tener conto del “numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili”. A dire il vero, dalla norma risulta un ingranaggio procedurale particolarmente complesso, cui viene data voce a diversi soggetti[48], provvedendo così ad una procedimentalizzazione dei criteri di priorità: i progetti organizzativi dovranno infatti essere approvati, fatte eventuali osservazioni del Ministro della giustizia, dal C.S.M. in quanto conformi agli standard dallo stesso dettati; dovranno poi essere ascoltati i dirigenti degli uffici giudicanti e il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati.
8. I dubbi permangono
Se per alcuni il risultato così raggiunto può rappresentare un punto di arrivo, esso altro non è che un punto di partenza.
Ciò è maggiormente chiaro laddove si tenga presente che quello che dai più era stato definito come intervento epocale, si limita a prevedere lo stretto necessario per consentire la redazione e l’operatività dei criteri di priorità: vengono infatti pericolosamente lasciati aperti taluni – o meglio, troppi – interrogativi, che non permettono di dirimere i contrasti che hanno sempre caratterizzato la proposta dei criteri di priorità, anzi, potrebbero essere in grado di potenziarli. Il Legislatore, piuttosto che lasciare al non detto davvero poco, va in tutt’altro senso: nulla dice, ad esempio, circa la periodicità o “fissità” della legge cornice. Propenderebbe nel primo senso la mutevolezza, nel tempo, della criminalità e delle esigenze della sua repressione[49]; nel senso opposto, invece, plurimi fattori: anzitutto, si dice, se il Legislatore avesse realmente voluto rendere periodica la legge cornice, lo avrebbe fatto expressis verbis[50], o ancora, la circostanza che pur proposta durante i lavori parlamentari, non è stata inserita nel testo definitivo.
Ulteriori incertezze concernono il riferimento ai “criteri generali”, ponendo una locuzione così generica una serie di questioni: dovrebbe essere sia evitata una mera predisposizione di elenco di reati da preferire, direttamente proveniente dal Legislativo, tanto una statuizione eccessivamente vaga, tale da riconoscere ampio spazio discrezionale alle Procure.
Difficoltà tutte avvertite dal Parlamento che, a distanza di quasi due anni dalla delega, tarda a stilare una griglia di criteri generali: le Procure, nel frattempo, attendono, tant’è che si è reso doveroso per l’Organo di autogoverno intervenire nuovamente[51].
Le acque sembrano tuttavia cominciare a smuoversi: in questi mesi si sta discutendo, in Commissione Giustizia, del d.d.l. S-933, intitolato “Disposizioni di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, in materia di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale” di iniziativa dei senatori Zanettin e Stefani. Nell’ottica di ovviare ad una serie di lacune ed incongruenze della disciplina attuativa della delega, i proponenti intendono, tra le altre cose, affiancare all’art. 3-bis disp. att. c.p.p. un nuovo articolo 3-ter, prefiggendosi di cristallizzare il rispetto del principio per cui il pubblico ministero debba attenersi ai criteri di priorità inseriti nei progetti organizzativi, a tal fine indicandoli specificamente[52]:
- Gravità dei fatti, anche in relazione alla specifica realtà criminale del territorio e alle esigenze di protezione della popolazione;
- Tutela della persona offesa in situazioni di violenza domestica, o di genere e di minorata difesa;
- Offensività in concreto del reato, da valutare anche in relazione alla condotta della persona offesa e al danno patrimoniale e/o non patrimoniale ad essa arrecato, nonché alla mancata partecipazione da parte dell’indagato a percorsi di giustizia riparativa.
9. Considerazioni a caldo sul d.d.l S-933
Questa (tardiva) iniziativa legislativa – non semplicemente opportuna, ma assolutamente necessaria – si espone nondimeno ad una serie di critiche.
Anzitutto si evidenzia, da parte dei primi commentatori, un vizio di fondo: la proposta sembra infatti alterare l’equilibrato meccanismo compromissorio delineato dalla l. 134/2021 prima e dalla l. 71/2022 poi, che unisce una valutazione preventiva definita all’interno di una legge cornice alla concretizzazione di quelle stesse indicazioni da parte dei Procuratori, i quali vi provvedono attraverso un procedimento partecipato.
A ben vedere, il d.d.l qui in commento introduce direttamente – come parametro di riferimento dell’attività dei pubblici ministeri – i criteri di priorità, non facendo più comprendere quale sia il rapporto tra i criteri generali di spettanza del Legislatore e quelli “di dettaglio” contenuti nel progetto organizzativo[53].
Non convince, poi, l’estrema vaghezza che lo contraddistingue: in effetti le lett. a) e c) sembrano sposare una logica piuttosto ampia, ispirata a criteri formali e oggettivi, che sebbene appaia coerente con l’intento del Legislatore di definire dei “meta-criteri”, risulta essere eccessivamente generica. In effetti, il criterio della “gravità dei fatti” appare poco specifico, sino al punto di divenire privo di contenuto precettivo. Tale problema interpretativo, tuttavia, potrebbe trovare una soluzione se si facesse riferimento alle previsioni edittali: un Legislatore attento e sensibile, si dice, è colui che gradua la pena sulla base della gravità del reato[54].
I medesimi problemi si pongono poi per il riferimento all’ “offensività in concreto del reato” che, anzi, rischia addirittura di sovvertire ogni criterio generale di priorità sulla base di una valutazione concreta, effettuata caso per caso dall’Autorità Giudiziaria procedente[55].
Un’ispirazione diversa sembra invece connotare la lett. b) che identifica singole fattispecie di reato, sicuramente coerente con l’ottica del “doppio binario” che, in aderenza a direttive sovrananzionali, intensifica la tutela di vittime di taluni reati, velocizzando i tempi dei relativi procedimenti. Nondimeno, essa non soltanto rischia di determinare una disomogeneità e poca chiarezza del dettato legislativo, ma accentua il pericolo di cavalcare, per questa via, l’onda dell’emotività dell’opinione pubblica, molto instabile e soprattutto particolarmente suggestionabile.
Discutibile risulta poi il richiamo, nella lett. a), “alla realtà criminale e alle esigenze di protezione della popolazione”: una scelta, questa, giustificata dai proponenti in virtù del forte legame tra le medesime e i criteri di priorità e, tra le altre cose, perfettamente rispondente alle indicazioni dell’Organo di autogoverno nella “super-circolare” del 2017, che riconosce ai pubblici ministeri un compito di mediazione tra le istanze del territorio e l’azione penale[56]. Orbene, un soggetto politicamente irresponsabile e privo di legittimazione democratica come la pubblica accusa non potrà misurare sic et sempliciter la maggiore o minore sensibilità della comunità rispetto alla persecuzione di taluni reati: quest’ultime integrerebbero valutazioni di carattere politico, in quanto tali in collisione con l’art. 112 Cost., che ammette tutt’al più una discrezionalità tecnica.
Così come formulato, allora, tale “meta-criterio” non convince: per allontanare i pericoli di una regionalizzazione del sistema a scapito dell’uniformità dell’azione penale, sarebbe necessaria una cornice legislativa più stringente e stabile – la cui completezza presupporrebbe un’analisi di vari fenomeni criminali e peculiarità regionali – che potrà essere poi adeguatamente dettagliata dai singoli Procuratori.
Tantomeno condivisibile la seconda parte della lett. c), nella misura in cui raccorda la previsione dell’offensività in concreto alla condotta della persona offesa: una lettura poco approfondita lascerebbe addirittura intendere che sia la volontà di quest’ultima a condizionare la determinazione delle priorità, in palese contrasto con i principi del nostro sistema[57].
Più chiaro invece si presenta forse il richiamo al “danno patrimoniale o non”, riferendosi ad un concetto di gravità in concreto del fatto, desumibile dal danno provocato; mentre del tutto inopportuno è il profilo della mancata partecipazione dell’indagato ai percorsi di giustizia riparativa: certo, una lettura – troppo – generosa potrebbe permettere di ricavarne indirettamente una valorizzazione in positivo per l’indagato che decida di parteciparvi. Ma, comunque, più forti sono i dubbi di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’inviolabilità del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., che non può vedersi così condizionato.
A prescindere dal discutibile profilo contenutistico, ciò che desta maggiori perplessità è il mancato coordinamento con il nutrito catalogo di reati cui dare una precedenza nella formazione di ruoli d’udienza e trattazione dei processi, ossia l’art. 132-bis disp. att. c.p.p[58]: quandanche la norma abbia costituito guida irrinunciabile per la fase investigativa, essa risponde ad una logica del tutto differente, per cui sarebbe necessaria un’armonizzazione tra gli uffici requirenti e giudicanti che sia rispettosa della razionalità del sistema e dunque degli artt. 3 e 111 Cost. Anzi, si osserva, l’occasione potrebbe essere proprizia per una riscrittura dell’infelicissima norma che, a dire il vero, non ha mai funzionato: certo, l’operazione è alquanto delicata e difficile.
10. Valutazioni conclusive: i nodi da sciogliere
Le riflessioni che precedono dimostrano come l’acceso dibattito sui criteri di priorità fatichi a trovare soluzione.
Certo è che sul Parlamento grava un compito delicatissimo: per quanto lacunosa, la recente iniziativa legilsativa ha l’indubbio merito di aver preso dichiaratamente posizione in questo articolato dibattito, in cui ancora forti sono le voci dottrinali che si dicono assolutamente contrarie all’introduzione dei criteri di priorità all’interno di un ordinamento, come quello italiano, governato dal principio di obbligatorietà dell’azione penale.
Si tratta di un veicolo normativo da trasformare secondo talune direttive per far sì che diventi un vero e proprio statuto dei criteri di priorità. Ecco, dunque, i nodi da sciogliere.
Si auspica una maggiore chiarezza del dettato normativo, che definisca anzitutto cosa debba intendersi per fascicolo prioritario: ciò, infatti, non significa semplicemente “metterlo davanti” ad altri, ma destinare ad esso le migliori risorse umane e materiali; sono scelte da ponderare attentamente, per allontanare il rischio di condannare i reati “secondari” ad una sicura prescrizione. Doveroso sarà poi il coordinamento con l’art. 132-bis disp. att. c.p.p., per assicurare omogeneità tra priorità investigative e quelle da seguire nella fase giudicante: il traino dovrebbe essere individuato nelle prime, cui facciano seguito i criteri nella formazione dei ruoli d’udienza.
Ulteriore tratto su cui la proposta rimane discutibilmente silente è quello relativo alle conseguenze della mancata osservanza dei criteri definiti dai progetti organizzativi: è una questione particolarmente delicata, poiché si tratterebbe di capire se, ad esempio, possa essere sottoposto a procedimento disciplinare il magistrato che non abbia osservato la scala delle priorità, esercitando l’azione penale che il dettato costituzionale proclama obbligatoria; non si dimentichi che è tuttavia possibile valorizzare a tal fine un rimedio processuale già presente nel nostro ordinamento, qual è quello dell’avocazione, la cui disciplina è stata già adeguata alle novità di cui qui si sta tenendo conto.
Si tratta, insomma, di questioni che non possono essere lasciate aperte, ma che al contrario necessitano di un approfondito esame.
[1] Di Vizio, L’obbligatorietà dell’azione penale efficiente ai tempi del PNRR. La Procura tra prospettive organizzative, temi istituzionali e scelte comportamentali, in Quest. giust., 2021, p. 55.
[2] Fiandaca-Di Chiara, Il pubblico ministero e l’esercizio dell’azione penale, in Una introduzione al sistema penale: per una lettura costituzionalmente orientata, Jovene, 2003, p. 248.
[3] Catalano, Introduzione, in Quando perseguire. Aspetti costituzionali delle scelte sui criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, Giappichelli, 2023, p. 1 ss.
[4] Ceresa-Gastaldo, Dall’obbligatorietà dell’azione penale alla selezione politica dei processi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, p. 1427.
[5] Rossi, Per una concezione “realistica” dell’obbligatorietà dell’azione penale, in Quest. giust., 1997, p. 315. L’espressione in realtà è una costante in tutte le delibere del Consiglio Superiore della Magistratura tese ad esprimere un favor verso gli sforzi organizzativi degli uffici inquirenti.
[6] Si specifica infatti che non è possibile definire le priorità sulla base del mero criterio cronologico, nè tantomeno è possibile affidarsi alla debole indicazione della semplicità e della rapidità della trattazione dell’indagine preliminare, occorrendo una valutazione maggiormente approfondita. Punto di riferimento indiscusso saranno considerazioni rivenute all’interno dello stesso ordinamento e sulla ragionevolezza su cui esso si fonda.
[7] Circolare della Procura della Repubblica, Tribunale di Torino, 10 gennaio 2007, “Direttive in tema di trattazione dei procedimenti in conseguenza della applicazione della legge 31 luglio 2006 n. 241 che ha concesso l’indulto”, in Quest. giust., 2007, p. 621 ss.
[8] L’approvazione della legge di indulto, non essendo stata accompagnata da un parallelo provvedimento di amnistia, aveva sollevato non pochi problemi, avendo comportato l’immediata liberazione dei detenuti, ma senza tuttavia aver alleggerito gli uffici dal carico giudiziario esistente.
[9] Maffeo, I criteri di priorità dell’azione penale tra legge e scelte organizzative degli uffici inquirenti, in Proc. pen. e giust., 2022, p. 62 ss.
[10] Una differenza sottolineata dallo stesso autore della circolare nel su intervento al Convegno La circolare Maddalena e il futuro dell’obbligatorietà dell’azione penale (Torino, 12 marzo 2007), organizzato dalla Camera Penale “Vittorio Chiusano” del Piemonte Occidentale e Valle D’Aosta. Qui afferma infatti che “è profondamente diversa dalla circolare Zagrebelsky perchè tra la mia e quella antecedente passa la stessa differenza che c’è tra futuro e passato: mentre la prima impostava una prospettiva futura, la mia si è limitata a prendere atto di una certa situazione, di un certo provvedimento che sicuramente introduceva una nota di minore utilità in una situazione in cui, di fatto, gli uffici giudiziari torinesi sarebbero arrivati inevitabilmente a seguito del formarsi delle serie di discrezionalità che si sommano”. Si ascolti l’intero intervento in https://www.radioradicale.it/scheda/220013/la-circolare-maddalena-e-il-futuro-della-obbligatorieta-dellazione-penale.it.
[11] Circolare della Procura della Repubblica, Tribunale di Torino, 10 gennaio 2007, “Direttive in tema di trattazione dei procedimenti in conseguenza della applicazione della legge 31 luglio 2006 n. 241 che ha concesso l’indulto”, cit., p. 621 ss., punto 7.
[12] Così Sottani, Organizzazione degli uffici di procura. Modelli organizzativi e bilanci delle Procure della Repubblica, in L’obbligatorietà dell’azione penale. Atti del XXXIII Convengo Nazionale di Verona 1-12 ottobre 2019 dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale, Giuffrè, 2021, p. 64.
[13] Sul punto, si veda l’analisi di Russo, I criteri di priorità nella trattazione degli affari penali: confini applicativi es esercizio dei poteri di vigilanza, in Dir. pen. cont., 9 novembre 2016, p. 7 ss; Spataro, La selezione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale: la criticabile scelta adottata con la legge 27 settembre 2021, n. 134, in Quest. giust., 2021, pp. 86-91.
[14] Secondo la norma “Al fine di assicurare la rapida trattazione dei processi pendenti alla data di efficacia del presente decreto, nella trattazione dei procedimenti e nella formazione dei ruoli di udienza, anche indipendentemente dalla data del commesso reato o da quella delle iscrizioni del procedimento, si tiene conto della gravità e concreta offensività del reato, del pregiudizio, che può derivare da ritardo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti, nonché dell’interesse della persona offesa”.
[15] Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2002, p. 557. Effettivamente, l’intervento normativo qui in commento si pone come un’importante risposta, in ambito penale, alle difficoltà organizzative che già gravano sul sistema e che maggiormente si sarebbero poste in virtù della ristrutturazione degli uffici giudiziari secondo il modello del giudice unico. In un tale contesto, il legislatore non si è semplicemente limitato ad operare su un piano prettamente organizzativo, ma è piuttosto intervenuto sulla disciplina processuale, allo scopo di stimolare la rapida definizione dei procedimenti in corso attraverso l’introduzione di specifici meccanismi acceleratori. Si legga sul punto il prezioso contributo di Bresciani, Commento all’articolo 227 d. lgs. 19/2/1998 – Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado, in Leg. pen., 1998, p. 475 ss.
[16] “Disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’Amministrazione della giustizia”, convertito con modifiche nella l. 19 gennaio 2001, n. 4.
[17] D. l. 23 maggio 2008, n. 92 (“Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”), conv. con modif. dalla l. 24 luglio 2008, n. 125; d. l. 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema id protezione civile e di commissariamento delle province), conv. con modif., dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119; l. 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice di penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) e la l. 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate); l. 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa).
[18] Così, Catalano, La lunga marcia dei criteri di priorità, in Quando perseguire. Aspetti costituzionali delle scelte sui criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, Giappichelli, 2023, p. 56; Frioni, Le diverse forme di discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen¸ 2002, p. 557; Ferrua, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Cass. pen.¸ 2020, p. 12 ss; Maffeo, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale tra legge e scelte organizzative degli uffici inquirenti, cit., p. 65.
[19] Conviene qui ricordare il famoso “Caso Vannucci” riportato in Cass. pen., 1998, p. 1490 ss.
[20] Deganello, Notizie di reato ed ingestibilità dei flussi: le scelte organizzative della procura torinese, cit., p. 1592 ss.
[21] Catalano, L’individuazione dell’organo cui affidare la fissazione dei criteri di priorità, in Quando perseguire. Aspetti costituzionali sui criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, Giappichelli, 2023, p. 155.
[22] Così Maffeo, I criteri di priorità dell’azione penale tra legge e scelte organizzative degli uffici inquirenti, cit., p. 61 ss. Si fa poi notare in dottrina, tra le altre cose, che come la magistratura non potrebbe dar vita a fattispecie penali di derivazione giurisprudenziale, per le stesse ragioni non potrebbe allestire criteri gerarchici che accelerino o decelerino la persecuzione dei reati, poiché così facendo le si riconoscerebbe una discrezionalità politica che non le si addice. Si tratta di un passaggio opportunamente evidenziato da Ferrua, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, cit., p. 16 il quale continua che “non bisogna confondere i progetti semplicemente organizzativi, al cui elaborazione spetta alle procure, con i criteri di priorità che incidono sulla persecuzione dei reati, sino a comprometterla di fatto per reati collocati nella fascia inferiore”.
[23] Petrelli, Azione penale, non basta la super-circolare, Il Mattino, 26 novembre 2017.
[24] Vicoli, Scelte del pubblico ministero nella trattazione delle notizie di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 286.
[25] Ferrua, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, cit., p. 16.
[26] “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso la corte d’appello”.
[27] Tarli Barbieri, Stato di diritto e funzione requirente in Italia: un unicum europeo?, in Quest. giust., 2021, p. 50.
[28] Anzi, sarebbe chiara la volontà di fornire alle medesime una base normative ad hoc. Così Gialuz-Della Torre, Il progetto governativo di riforma della giustizia approda alla camera: per avere processi rapidi (e giusti) serve un cambio di passo, in Sist. pen., 2020, p. 164 ss. Questi ultimi Autori criticano la suddetta proposta, aspettandosi che si intervenisse diversamente, e cioè attribuendo ruolo centrale al Parlamento: anelavano, per questa via, che fosse “lo stesso Parlamento a rivendicare a sé la responsabilità di dettare le direttive generali in tema di criteri di priorità, le quali potrebbero poi essere specificate, tenuto conto delle peculiarità territoriali, a livello di procure. È evidente la difficoltà di tale prospettiva, ma sarebbe certamente più rispettosa dell’architettura costituzionale. Ove una tale strada non sia considerata politicamente percorribile, quantomeno è auspicabile che venga chiarito in modo esplicito nel testo della legge delega, per come oggi configurato l’obbligo in capo alle procure della Repubblica di rispettare nella stesura dei criteri di priorità le indicazioni del Consiglio superiore della magistratura, onde assicurare così almeno una certa uniformità tra i parametri adottati a livello locale”.
[29] Si veda sul punto Rossi, I criteri di priorità tra legge cornice ed iniziativa delle procure, in Quest. giust., 2021, p. 78; Monaco, Riforma della giustizia penale e criteri di priorità nell’esercizio dell’azione, in Federalismi.it, 2022.
[30] Rossi, I criteri di priorità tra legge cornice ed iniziativa delle procure, cit., p. 76 ss.
[31] Giarda-Spangher, Art. 3-bis – Priorità nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale, in Codice di procedura penale commentato, Wolters Kluwer, 2023, tomo IV, p. 3152 ss.
[32] Catalano, La lunga marcia dei criteri di priorità, cit., p. 59.
[33] Tarli Barbieri, Stato di diritto e funzione requirente in Italia: un unicum europeo?, cit., p. 50.
[34] Maffeo, I criteri di priorità tra legge e scelte organizzative degli uffici inquirenti, cit., p. 61 ss.
[35] Rossi, I “criteri di priorità” tra legge cornice e iniziativa delle procure, cit., p. 78.
[36] Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. AC 2435, 24 maggio 2021, p. 20, consultabile presso https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_LATTANZI_relazione_finale_24mag21.pdf.
[37] Ferrua, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Verso quale modello processuale?, in Proc. pen. e giust., 2021, p. 1401 ss.
[38]Ancora Ferrua, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Verso quale modello processuale?, cit., p. 1043 il quale si pronuncia positivamente circa le scelte della Commissione Lattanzi poiché “alle procure ben può essere offerta la possibilità di intervenire in funzione consultiva nel procedimento legislativo, fornendo dati sul carico penale e sulle risorse disponibili, avanzando proposte e suggerimenti. I pubblici ministeri continueranno inoltre a godere di una notevole discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, perché i criteri saranno necessariamente fissati con direttive generali, presumibilmente per categorie di reati in base all’interesse leso; all’interno delle quali saranno sempre gli uffici giudiziari ad individuare reati cui applicare le priorità”.
[39] Rossi, I criteri di priorità tra cornice ed iniziativa delle procure, cit., p. 79. E ancora, Vicoli, Scelte del pubblico ministero nella trattazione delle notizie di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, cit., p. 287 ss. L’Autore infatti evidenzia come la risoluzione sia strettamente connessa alla funzione di indirizzo politico e dunque volta ad arricchire il rapporto Camera-Governo; parimenti per l’ordine del giorno, laddove se ne valorizzi la natura di atto di indirizzo, essendo rivolto prioritariamente all’Esecutivo. In definitiva, si tratta di atti che pur potendo essere adottati per specifici scopi, afferiscono al legame fiduciario tra Parlamento e Governo, controllando il primo che l’attività del secondo sua conforme al programma stilato al momento della fiducia. Anzi, si dice, l’inattitudine degli atti de quibus ad assurgere a strumenti per la definizione delle priorità dovrebbe già dedursi dalle loro caratteristiche strutturali, assumendo spesso il carattere dell’accessorietà.
[40] Legge 27 settembre 2021, n. 134 contenente “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.
[41] Si espressero in questo senso già risalenti voci dottrinali, tra cui Illuminati, Come adattare la “domanda” all’“offerta” di giustizia, in La ragionevole durata del processo; garanzie ed efficienza della giustizia penale, Giappichelli, 2005, p. 92 ss.
[42] Opzione, conviene ricordarlo, avente un duplice pregio: non solo limita i problemi di eguaglianza, ma rende controllabili dalla Corte Costituzionale le scelte prioritarie.
[43] Queste le parole di Caprioli, I criteri di priorità nella trattazione delle notizie di reato tra “Delega Cartabia” e legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, in Cass. pen., 2024, p. 1427 ss.
[44] “Attuazione della legge 27 settembre, n. 134. Recante al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione die procedimenti giudiziari”.
[45] Più nello specifico, l’art. 13 ha direttamente sostituito i commi 6 e 7 dell’art. 1 del d. lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, in materia di organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero: si prevede ora che il progetto organizzativo dell’ufficio inquirente, predisposto dal procuratore della Repubblica, contenga criteri di priorità finalizzati alla selezione delle notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali indicati con legge del Parlamento, “tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale, e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziari disponibili”.
[46] “Relazione illustrative al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, p. 253, consultabile in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/10/19/22A06018/sg.
[47] Queste le parole di Marzaduri, durante la sua audizione informale sul d.d.l. S-933 (Disposizioni in materia di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale) in 2a Commissione (Giustizia), martedì 16 gennaio 2024. Si ascolti il suo intervento in https://webtv.senato.it/4621?video_evento=244509.
[48] Caprioli, I criteri di priorità nella trattazione delle notizie di reato tra “Delega Cartabia” e legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, cit., p. 1427 ss.
[49] Spataro, La selezione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale: la criticabile scelta adottata con la legge 27 settembre, n. 134, in Quest. giust., 2021, p. 94.
[50] A favore di questa soluzione è Rossi, I “criteri di priorità” tra legge cornice ed iniziativa delle procure, cit., p. 80.
[51] Si legga la Delibera del 3 maggio 2023 consultabile presso il sito del Consiglio Superiore della Magistratura.
[52] Si legga la Relazione introduttiva del presente disegno di legge, consultabile in https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01394143.pdf.
[53] Così il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, il Dott. Santalucia, intervenuto in videoconferenza in 2a Commissione (Giustizia) sul d.d.l. S-933 (Disposizioni in materia di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale), martedì 30 gennaio 2024. Si ascolti il suo intervento in https://webtv.senato.it/4621?video_evento=244677. Prima ancora anche il Prof. Gialuz, secondo cui tale proposta rappresenterebbe un passo indietro rispetto ai risultati conquistati con la l. 134/202, innestandosi sul modello statico che prevede la definizione delle priorità direttamente da parte del Parlamento, e di cui già v’è traccia nel nostro ordinamento, stante la disposizione di cui all’art. 132-bis disp. att. c.p.p, https://webtv.senato.it/4621?video_evento=244509.
[54] Ancora, Marzaduri, cit.
[55] Criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale: l'audizione di UCPI, 30 gennaio 2024, https://www.camerepenali.it/cat/12286/criteri_di_priorità_nellesercizio_dellazione_penale_laudizione_di_ucpi.html.
[56] Circolare sull’organizzazione degli Uffici di Procura (Delibera del Pelunum in data 16.11.2017, così come modificata alla data del 16.6.2022), www.csm.it, p. 2.
[57] Criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale: l'audizione di UCPI, cit., p. 2.
[58] Conviene ricordare che l’art. 4 del d.d.l. S-933 intende ampliare notevolmente il catalogo della norma qui in commento inserendovi la lett. a)-quater (processi relativi ai delitti di cui agli articoli 558-bis, 583-quater, e 612-ter del codice penale).
Immagine: William Turner, Pioggia, vapore e velocità, 1844, olio su tela, cm 91×122, National Gallery, Londra.