Nell’infinito dibattito sulla compatibilità della gestazione per altri con il nostro ordinamento è forse giunto il momento di porre un punto fermo. La maternità surrogata, sanzionata penalmente dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40, è una pratica che offende, in ogni sua conformazione, la dignità della madre e quella del bambino: della prima, in quanto ridotta a mero contenitore di una vita destinata per contratto ad altri e soggetta ad un controllo proprietario che investe la salute, il vitto, al fumo, lo stile di vita, le frequentazioni, del secondo in quanto reso oggetto di scambio fin dal momento del suo concepimento, gestito alla stregua di un bene cedibile o donabile, mero strumento per soddisfare il desiderio di genitorialità degli adulti, deprivato alla nascita dei suoi dati anagrafici, nonché del diritto fondamentale di conoscere da adulto la propria identità biologica[1].
Come è noto, la Costituzione e le Carte dei diritti attribuiscono al concetto di dignità un contenuto ampio, nel quale coesistono una dimensione soggettiva, ancorata alla sensibilità, alle esperienze ed alla percezione dei singoli individui, ed una oggettiva, che attiene al valore originario e non comprimibile di ciascuna persona; la dignità ferita dalla maternità surrogata chiama in gioco la sua dimensione “oggettiva”, identificata con la dignità innata, che appartiene al patrimonio irrinunciabile di ciascuno e non può essere oggetto di scelte di volontaria rinuncia, perché ogni ferita di quella dignità è una ferita a tutto il genere umano. Nella visione di Kant la dignità di ogni persona, elemento coessenziale al suo status, esprime la dignità dell’intera umanità; ogni essere umano è diverso dagli altri, ma tutti sono eguali in dignità. Soccorre al riguardo l’ esempio del “lancio dei nani”, sparati da un cannone in una gara che vede vincente quello lanciato più lontano, in uno spettacolo praticato in passato nelle discoteche d’ oltralpe, ritenuto dal Consiglio di Stato francese lesivo della dignità umana quale valore innato da riconoscere a quelle persone, utilizzate proprio in quanto portatrici di un handicap che facilitava il loro impiego nel gioco, nonché l’episodio più recente della giovane donna coperta di cioccolato ed esposta in un buffet pieno di dolciumi per il diletto degli ospiti di un hotel della Sardegna.
La lesione del valore supremo della dignità comporta che la trascrizione automatica dell’atto di nascita del bambino nato all’estero da tale pratica illecita, che finirebbe per legittimare in modo indiretto detta pratica, non sia consentita per il suo irriducibile contrasto con l’ ordine pubblico internazionale.
Lo hanno affermato a chiare lettere le Sezioni Unite della Cassazione con le note sentenze n.12193 del 2019 e n. 38162 del 2022, lo ha ribadito la Corte Costituzionale nelle pronunce n. 272 del 2017 e n. 33 del 2021. E’ peraltro evidente che il rilievo giuridico che si pretenderebbe di attribuire con la trascrizione automatica al progetto genitoriale dei committenti implicherebbe necessariamente l’assorbimento dell’ interesse del figlio con quello degli aspiranti genitori.
Tali conclusioni vanno infine assunte come principi definitivamente acquisiti nel nostro ordinamento: lo richiede l’esigenza di certezza del diritto e di stabilità e prevedibilità delle decisioni, lo impone l’urgenza di porre un argine a quella molteplicità di iniziative scoordinate che vanno dalla emissione di circolari ministeriali rivolte ai sindaci, tramite i prefetti, perché non trascrivano certificati di nascita emessi all’estero, alle proposte di “sanatoria” per i bimbi già nati, alle iniziative di alcuni p.m. dirette ad impugnare il riconoscimento di certificati relativi a due madri, in un quadro di notevole incertezza della giurisprudenza di merito.
Il Parlamento ha scelto di rafforzare la configurazione della surrogazione quale fattispecie criminosa introducendo - al momento soltanto con voto della Camera, lo scorso 26 luglio - una sorta di reato universale[2], attraverso l’aggiunta al comma 6 dell’ art. 12 della legge n. 40 del 2004 del seguente periodo: le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all’estero. Tra le varie proposte di legge presentate alle Camere fin dalla scorsa legislatura la scelta di voto è dunque caduta su quella, di contenuto assai stringato e di semplice articolazione, che non ha altro oggetto che l’ estensione della punibilità alle condotte di surrogazione dei cittadini all’ estero.
Non si è intervenuti quindi né sulla struttura della fattispecie né sul trattamento sanzionatorio, il quale in ragione della sua non elevata entità sembra diretto a porsi come strumento repressivo dell’esercizio organizzato della pratica in discorso piuttosto che come misura di dissuasione dei committenti nella loro aspirazione alla genitorialità[3].
La scelta operata dal Parlamento, che nella sua nettezza solleva questioni complesse sul piano del diritto penale internazionale, appare del tutto impropria, di chiara ispirazione propagandistica e di evidente matrice identitaria, nonché priva di ogni utilità sul piano concreto.
In primo luogo va considerato che secondo la norma generale di cui all’ art. 6, comma 2, c.p. il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione: in ragione dell’ampio collegamento con la giurisdizione italiana così accolto resta integra la punibilità secondo il nostro ordinamento, oltre che nel caso di nascita del bambino in Italia, in tutti i casi in cui l’ accordo di surrogazione sia stato concluso in territorio italiano o comunque sia stata posta in essere in Italia qualsiasi condotta (ad esempio il pagamento del corrispettivo pattuito) eziologamente collegata all’evento della nascita.
Va altresì ricordato che ai sensi dell’art. 9, comma 2, c.p. qualsiasi delitto comune punito con pena inferiore nel minimo a tre anni, e quindi anche la gestazione per altri, è già punibile se commesso da cittadini italiani all’estero, a richiesta del Ministro della Giustizia, ovvero a istanza o a querela della persona offesa.
L’ art. 7 c.p. ha inoltre attribuito il crisma della universalità ad alcuni specifici reati che esigono la punizione del colpevole, cittadino o straniero, in qualsiasi luogo siano stati commessi in considerazione della loro capacità lesiva di interessi fondamentali dello Stato o perché l’applicabilità incondizionata della legge penale italiana è prevista da leggi speciali o da convenzioni internazionali: si tratta di fattispecie criminose importanti, per nulla assimilabili alla gestazione per altri, sanzionata in modo molto meno grave rispetto a quelli per i quali è prevista la punibilità da parte dello Stato italiano.
Va inoltre considerato che la conclamata volontà di configurare la gestazione per altri come reato “universale”, in deroga al principio generale della “ territorialità”- che delimita la sfera di efficacia della legge penale nel territorio dello Stato - confligge con il dato di fatto che detta pratica nel panorama internazionale è disciplinata in modo assai diversificato, essendo consentita in alcuni Stati solo per fini altruistici, in altri anche per fini commerciali, in altri ancora essendo sanzionata in qualunque sua forma: non sussiste pertanto in relazione a tale fattispecie il carattere di universalità.
Del tutto estraneo alla previsione in esame è infine l’ art. 8 c.p., secondo il quale è punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell’art. 7.
È altresì da osservare che secondo la dottrina maggioritaria e parte della giurisprudenza il citato art. 9 c.p. consente di punire all’estero un reato comune commesso da cittadini solo dove sussista la doppia incriminazione, configurato tale elemento come regola dei rapporti di cooperazione internazionale tra i vari Paesi. Il Parlamento sembra aver voluto prescindere da tale requisito, non ponendosi il problema della implausibilità di una fattiva collaborazione dello Stato estero per l’accertamento di un fatto considerato lecito nel suo territorio.
La sollecitudine nell’introdurre una modifica siffatta all’art. 12, comma 6, della legge n. 40, che appare giustificata soltanto dalla finalità di rafforzare lo stigma dell’illiceità penale della gestazione per altri e di escogitare uno strumento volto a disincentivarne l’utilizzo, scoraggiando il turismo procreativo, appare altresì del tutto disallineata rispetto alle sollecitazioni rivolte al legislatore dalla Corte Costituzionale a trovare in tempi rapidi uno strumento di definizione dello status dei minori.
Dietro la scelta del Parlamento si legge il rifiuto di apprestare soluzioni normative ai problemi nuovi scaturiti dall’utilizzo delle nuove tecniche riproduttive, seguendo una linea politica tesa soltanto alla individuazione del nemico comune da sconfiggere. Una scelta siffatta non solo esprime l’ indifferenza del legislatore rispetto al dovere di rispondere ad una esigenza sociale che ha a che fare con i diritti fondamentali delle persone, ma segna una grave frattura tra le istituzioni, per il mancato rispetto delle decisioni della Corte costituzionale, che è organo di garanzia dei diritti, e per l’incapacità della classe politica di assumere la responsabilità di completare il sistema di tutele del quale detta Corte ha segnalato le carenze.
Occorre invece separare la valutazione della fattispecie illecita dalle sue ricadute sul rapporto di filiazione.[4]
Eppure quei bambini sono nati, esistono ed hanno il diritto di avere uno status, quello status del quale l’art. 315 c.c. ha sancito inequivocabilmente l’unicità. Come ha ricordato Silvana Sciarra al recente meeting di Rimini, la politica deve porsi con sollecitudine il problema di quei nati, che cercano identità all’ interno di un contesto familiare di affetti e di cura che consenta loro una crescita dignitosa e felice, e non può continuare ad eluderlo inseguendo i fantasmi di un facile populismo, deprivando quei bambini del diritto alla continuità del rapporto con entrambi i soggetti che hanno condiviso la decisione di farli venire al mondo e costringendoli in una sorta di limbo, penalizzandoli per il modo in cui sono nati.
Non sembra inutile al riguardo ricordare[5] che il 14 marzo 2023 la Commissione politiche europee del Senato ha approvato una risoluzione che, svolgendo rilievi critici alla proposta di Regolamento europeo in tema di filiazione e certificato europeo di filiazione, dopo aver ampiamente richiamato la recente sentenza delle Sezioni Unite ha affermato che appare … condizione essenziale che la proposta preveda esplicitamente la possibilità di invocare la clausola dell’ordine pubblico in via generale su tutti i casi di filiazione per maternità surrogata, a condizione di assicurare una tutela alternativa ed equivalente, quale quella del citato istituto dell’adozione in casi particolari, e che ciò valga esplicitamente anche con riguardo al certificato europeo di filiazione.
È allora necessario riprendere il percorso tracciato dalla Corte Costituzionale ed apprestare un sistema che garantisca ai minori uno status. La richiamata pronuncia n. 33 del 2021 della Consulta ha a chiare lettere affermato che l’ istituto dell’adozione in casi particolari - unico strumento reperibile nell’ordinamento vigente a tutela del bambino nei confronti del genitore di intenzione - costituisce un rimedio non appagante in ragione dei suoi limiti, in quanto non ingenera un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante (ma tale limite può considerarsi venuto meno per effetto della sentenza della stessa Corte costituzionale n. 79 del 2022), presuppone inoltre l’ iniziativa dell’aspirante adottante e richiede l’assenso del genitore biologico, ed ha affermato, in linea con le indicazioni fornite dalla Corte EDU, che l’ interesse del minore deve essere tutelato senza automatismi, attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino.
Occorre pertanto coltivare l’ opzione per lo strumento dell’adozione, eliminando le criticità che denotano l’inadeguatezza di quella “in casi particolari”, e pensare ad un nuovo modello, simile a quello dell’adozione legittimante, ma che si configuri sotto alcuni profili “speciale” - in quanto diretto a regolare situazioni del tutto diverse da quelle postulate dall’adozione ordinaria - che possa coniugare l’ esigenza di mantenere fermo il divieto della maternità surrogata con l’ attribuzione ai figli nati da tale pratica di una tutela piena.
Penso insomma ad un modello di adozione affettiva a presidio di una genitorialità non di sangue che forse definire “di intenzione” può essere riduttivo e fuorviante, atteso che non è la mera intenzione che può rilevare, ma la condivisione piena e definitiva di un progetto genitoriale che comporti responsabilità ed impegni di cura. La procedura dovrebbe essere estremamente semplificata, improntata ad una tempistica rapida, diretta a garantire quanto prima al nato lo stato di figlio della coppia, previa valutazione da parte del giudice della rispondenza dell’adozione al superiore interesse del minore, e quindi con esclusione di ogni automatismo.
Tale soluzione appare pienamente coerente con gli insegnamenti della Corte di Strasburgo, che con la recente sentenza Giuliano Germano c/ Italia del 22 giugno 2023 (appl.n.10794/12) ha giudicato inammissibili le istanze di varie coppie omosessuali ed eterosessuali che chiedevano la condanna dell’Italia perché non permette di trascrivere gli atti di nascita emessi all’ estero osservando che il rifiuto della trascrizione automatica come genitore del partner di una persona che ha avuto un figlio con la surrogata non viola i diritti fondamentali, essendo possibile ricorrere all’ adozione, e che quindi l’ Italia non ha superato l’ ampio margine di valutazione di cui dispone nel reperimento dei mezzi che permettono di stabilire o riconoscere la filiazione. Per tale via la Corte EDU ha ancora una volta individuato nell’adozione un valido strumento per il riconoscimento della doppia genitorialità, secondo un approccio chiaramente incompatibile con quello diretto a configurare la gestazione per altri come reato universale.
Un’ utile indicazione ai fini della soluzione dei problemi in esame può essere fornita da quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ribadito di recente da Cass. 2023 n. 23527, che ha negato la possibilità di trascrizione nel nostro ordinamento dell’ atto di nascita del figlio nato da due madri affermando il seguente principio di diritto: «In caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 79 del 2022 (Cass. n. 22179/2022; conf. prec. Cass. nn. 7668 /2020, n. 6383/2022, n. 7413/2022)>>.
Con tale ordinanza la Cassazione, equiparando espressamente la fattispecie della pretesa genitorialità di due madri a quella di due padri, ha evitato ogni difformità di disciplina tra le due ipotesi, entrambe frutto di violazioni della legge n. 40, sebbene sanzionate in modo diverso. Tale soluzione comporta il superamento della distinzione tra doppia paternità e doppia maternità, che finisce con il creare una discriminazione tra i figli in dipendenza delle modalità della procreazione e che appare incompatibile con il principio della unicità dello status: se è vero infatti che la trascrizione automatica per il caso di doppia maternità non si pone in contrasto con l’ ordine pubblico e si fonda su una violazione della legge n. 40 di minore gravità, è altrettanto vero che quella diversificazione delinea una inaccettabile contaminazione del profilo della sanzione con quello della tutela.
La soluzione unitaria di una forma “speciale” di adozione piena avrebbe inoltre il pregio di evitare dubbi di incostituzionalità, gli stessi dubbi già emersi nell’ordinamento francese a seguito dell’approvazione della legge entrata in vigore nel settembre 2021, denominata PMA per tutte, che aprendo le tecniche di inseminazione artificiale anche alle donne single ed alle coppie omoaffettive femminili ha previsto il riconoscimento anticipato del nascituro da parte di dette coppie alla presenza di un notaio, così risolvendo positivamente il problema della doppia maternità, ma ha tenuto fermo nel code civil il divieto della surrogata, con la conseguente preclusione della possibilità di trascrizione dei relativi certificati di nascita emessi all’ estero.
[1] Cf, r. sul punto, volendo, LUCCIOLI, La maternità surrogata di nuovo all’ esame delle Sezioni Unite. Le ragioni del dissenso, in Giustizia Insieme, 28 ottobre 2022.
[2] V. in senso critico CALVANESE, La surrogazione di maternità realizzata all’ estero e la sua punibilità in Italia, in giudicedonna.it, n. 1-2/2023; GATTA, Surrogazione di maternità come “reato universale”? A proposito di tre proposte di legge all’ esame del Parlamento, in Sistema Penale, 2 maggio 2023.
[3] V. sul punto PELLISSERO, Surrogazione di maternità: la pretesa di un diritto punitivo universale. Osservazioni sulle proposte di legge n. 2599 (Carfagna) e 306 (Meloni), Camera dei Deputati, in Sistema Penale, 29 giugno 2021.
[4]. In tal senso v. MORACE PINELLI, Le persistenti ragioni del divieto di maternità surrogata e il problema della tutela di colui che nasce dalla pratica illecita. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, in Giustizia Insieme, 3 novembre 2022 ; SESTA, La maternità surrogata: il perfetto equilibrio delle Sezioni Unite, in Riv.dir.civ., 2/2023, p. 387.
[5] V. SESTA, loc. cit., p. 404.