ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Atomo scisso e silenzio prefettizio: tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario (nota a TAR Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini***
Sommario: 1. Breve ricostruzione della vicenda contenziosa; 2. Sull’autonomia funzionale tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario; 3. Il silenzio dell’autorità prefettizia tra legislazione e giurisprudenza.
1. Breve ricostruzione della vicenda contenziosa
Il rapporto tra controllo giudiziario e interdittiva antimafia conduce l’operatore del diritto a porsi interrogativi sempre differenti. Detto binomio impone costante attenzione, al fine di cogliere appieno la portata dei due istituti nella loro sfera individuale e nella loro sinergia; nonché al fine di individuare e superare i limiti che si palesano nella loro applicazione [1].
Nella pronuncia in commento, il giudice di prime cure, è stato investito dal ricorso dell’impresa individuale che chiedeva l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’autorità prefettizia a fronte dell’istanza di revisione della valutazione interdittiva.
Nonostante il susseguirsi dei solleciti, l’amministrazione si limitava a confermare la pendenza dell’istruttoria finalizzata all’aggiornamento dello status dell’impresa.
Intanto l’impresa otteneva dal Tribunale delle Misure di Prevenzione l’ammissione alla misura del controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis D.lgs. n. 159/2011 e sulla scorta di ciò l’amministrazione eccepiva l'improcedibilità del ricorso per difetto d'interesse, motivandola in ragione della dichiarata insussistenza, da parte della Prefettura, dell’obbligo di definire l’istanza di riesame fino all'esito della misura di cui all’art. 34 bis Codice antimafia.
Il giudice, argomentando per come segue, concludeva per l’accoglimento del ricorso con contestuale dichiarazione d’illegittimità del silenzio della Prefettura e ordinava di provvedere in maniera espressa.
2. Sull’autonomia funzionale tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario
Occorre indagare l’estensione dell’istituto del controllo giudiziario ex art. 34-bis del decreto legislativo n. 159 del 2011, segnatamente riguardo ai riflessi che si producono sulla sfera giuridica dell’impresa destinataria di provvedimento interdittivo antimafia.
Risulta necessario segnalare la presenza di un ampio ventaglio di misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa nell’economia che variano di intensità e pervasività in modo proporzionale al livello di contagio mafioso.
L’applicazione di tali misure, ha posto nel tempo interrogativi sempre differenti, ai quali la dottrina e la giurisprudenza hanno tentato di rispondere ponendo a sistema i due istituti.
La soluzione più convincente appare quella secondo cui i due istituti risultano vasi comunicanti che non si riversano l’uno nell’altro bensì mantengono il proprio contenuto a comparti stagni.
Così, il massimo organo della giustizia amministrativa, recentemente, ha indagato il rapporto che intercorre tra il provvedimento interdittivo antimafia e il controllo giudiziario con le pronunce dell’Adunanza Plenaria n. 6 e 7 del 2023 [2].
Ora, risulta chiaro come il controllo giudiziario volontario può essere chiesto dalle «imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto», quando, ai sensi del comma 1, l’agevolazione di soggetti indiziati di appartenere ad organizzazioni di stampo mafioso «risulta occasionale».
Già all’indomani dell’introduzione dell’istituto del controllo giudiziario è stato messo in discussione anche da chi scrive il potere-dovere del giudice amministrativo di decidere i ricorsi avverso il provvedimento interdittivo antimafia, ove l’impresa abbia ottenuto dal Tribunale della prevenzione la misura del controllo giudiziario.
Sul punto l’Adunanza Plenaria ha ritenuto che, in forza della normativa vigente, è valido l’orientamento che riconosce l’autonomia dei procedimenti e che l’ammissione al controllo giudiziario non impedisca che vada definito senza ritardo il giudizio amministrativo di impugnazione avverso quest’ultima.
A conferma di ciò, è condivisibile l’orientamento secondo cui si ritiene che, ove anche l’interdittiva non venga annullata all’esito del giudizio di impugnazione devoluto al giudice amministrativo e, dunque, risulti accertata sulla scorta del principio del più probabile che non l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, non per questo si deve ritenere venuta meno l’esigenza di risanare la stessa. È in tale circostanza altresì necessario intervenire con gli strumenti vigenti al fine di dare la possibilità all’impresa di reinserirsi nell’economia sana.
In tal senso, oltre alla lettura della disposizione normativa, depone la sua funzione risanatrice. Il controllo giudiziario si avvia a seguito del provvedimento prefettizio antimafia ma si fonda su un’autonoma valutazione prognostica del Tribunale della prevenzione di superamento delle circostanze occasionali di condizionamento [3].
Dunque, postulare la sospensione del giudizio di impugnazione avverso il provvedimento interdittivo condurrebbe a snaturare la funzione intrinseca del processo tramutandolo in uno strumento per l’attivazione di ulteriori mezzi di tutela allontanandolo dalla naturale ratio di tutela di situazioni giuridiche.
Sicché, l’Adunanza plenaria ritiene che non è rilevabile alcun rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario.
Pertanto, è altresì fermo che l’attivazione del controllo giudiziario non inficia la possibilità di ottenere la liberatoria dall’informativa antimafia.
L’intero apparato si fonda e si giustifica sull’autonomia funzionale dei due istituti. Il controllo giudiziario trae origine dal provvedimento interdittivo e ne risulta atomo scisso ma orbitante dal momento successivo.
Ribadita l’autonomia degli accertamenti di competenza del Tribunale della prevenzione penale rispetto a quelli svolti dall’autorità prefettizia, in sede di rilascio delle informazioni antimafia, deve a fortiori ritenersi libera la decisione prefettizia circa la liberazione dell’impresa destinataria di interdittiva [4].
In conclusione, risulta evidente come l’interdittiva antimafia si fonda su una valutazione statica di elementi da cui può scaturire l’attivazione del controllo giudiziario ex art. 34 bis cd. Codice antimafia. Quest’ultimo viaggia, da questo momento in poi, su un binario parallelo.
3. Il silenzio dell’autorità prefettizia tra legislazione e giurisprudenza
La staticità della valutazione dell’interdittiva antimafia impone un contemperamento degli interessi coinvolti al fine di evitare inutili ed ingiuste compressioni di diritti costituzionalmente garantiti.
Così, la Corte Costituzionale [5] fonda la legittimità dell’informativa interdittiva antimafia, riconoscendo la sua funzione avanzata nella lotta contro il condizionamento mafioso, nella sua funzione anticipatoria della difesa della legalità.
Solo una misura così camaleontica risulta essere idonea a recidere ogni legame con l’ambiente mafioso ove ciò risulta più probabile che non[6].
Ciò rappresenta un allontanamento dallo stato di diritto che si giustifica esclusivamente nella volontà di intervenire e tutelare il preponderante interesse pubblico.
Pertanto, l’invasività di tale strumento impone la necessaria ponderazione dei contrapposti valori, escludendo circostanze in cui il soggetto destinatario di provvedimento interdittivo sia privato della sua identità d’impresa.
Insieme a pochi altri, una delle previsioni normative necessarie ad assicurare la sopravvivenza e il corretto esercizio dell’attività economica è certamente il “carattere provvisorio della misura”, per come previsto dall’art. 86 comma 2 D.lgs. n. 159/2011, cui segue l’obbligo della Prefettura di provvedere all’aggiornamento degli elementi posti a base della stessa, per come espressamente previsto dal successivo art. 91 comma 5.
Sicché, una delle forme di tutela del privato è rinvenibile nella validità temporale limitata a dodici mesi del provvedimento interdittivo, al termine del quale, l’autorità prefettizia è tenuta a procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze fondanti l’interdittiva, con il diretto effetto, nella positiva ipotesi, del reinserimento dell'impresa nel mercato libero e sano.
Al fine di scongiurare la compressione ingiustificata di un diritto costituzionalmente garantito quale la libertà d’impresa in modo prolungato è necessario che l’amministrazione proceda senza indugio alla rivalutazione dell’apparato che sorregge il provvedimento interdittivo.
Nondimeno, l’impresa ha il diritto ad ottenere una rivalutazione della sua posizione nel mercato al fine di evitare inutili limitazioni che risulterebbero illegittime.
Nel caso di specie, il comportamento inerte dall’autorità prefettizia risulta dunque in contrasto tanto con il più generale principio previsto all’art. 2 L. n. 241/90, tanto con la disciplina speciale del codice antimafia in tema di rinnovazione di valutazione del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91 comma 5 D.lgs. n. 159/2011, a mente del quale il “prefetto, anche sulla documentata richiesta dell'interessato, aggiorna l'esito dell'informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa” [7].
La pronuncia in commento merita pertanto di essere segnalata per l’affermazione dell’obbligo dell’amministrazione di evadere le istanze di aggiornamento dell’informazione antimafia per scongiurare il rischio di inutili compressioni che possono comportare la morte economica dell’impresa e per non penalizzare proprio le imprese che si siano dimostrate più collaborative al risanamento.
In conclusione, il rapporto di condizionamento tra il controllo giudiziario ed il procedimento amministrativo di revisione ex art. 91 comma 5 del Codice Antimafia, entrambi in itinere nei confronti dell’impresa ricorrente, muove nel senso diametralmente opposto a quello posto in essere dall’autorità prefettizia nel caso di specie.
*** Seppur frutto di un lavoro unitario è possibile attribuire il terzo paragrafo al Prof. Renato Rolli i restanti alla dott.ssa Martina Maggiolini.
[1] Si rinvia ampiamente a M.A.Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell'informativa antimafia e l'istituto del controllo giudiziario, L’Amministrativista, 2022
[2] Si consenta il rinvio a R. Rolli, V. Bilotto, F. Bruno, Interdittive antimafia e controllo giudiziario volontario: l’adunanza plenaria mette la parola fine (?) al dibattuto rapporto tra i due istituti, RatioIuris, 2023; R. Rolli, V. Bilotto, F. Bruno, Interdittive antimafia e il loro difficile (e travagliato) rapporto con il controllo giudiziario volontario: un quadro di insieme in attesa dell’adunanza plenaria, Ratio Iuris, 2023
[3] Sul punto si segnala la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite penali, 19 novembre 2019, n. 46898, che ha affermato che quest’ultimo istituto costituisce una «risposta alternativa da parte del legislatore: perché alternativa è la finalità di queste, volte non alla recisione del rapporto col proprietario ma al recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo», contraddistinta dal presupposto dell’«occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi» e dalla valutazione prognostica incentrata «sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano», sulla base del ‘controllo prescrittivo’ del Tribunale della prevenzione penale.
Così Adunanza plenaria 7/2023: “ la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva”.
[4] Così Adunanza plenaria 7/2023: “ la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva”.
[5] Sentenza del 26.03.2020, n. 57
[6] Si consenta il rinvio a R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), in Questa rivista, 3 luglio 2020
[7] cfr., tra le tante, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 3.08.2023, n. 661; 23.09.2022, n. 633
Il nuovo Tribunale persone minori e famiglie: cosa occorrerebbe fare entro il 17 ottobre 2024 perché possa funzionare
PARTE PRIMA
di Domenico Pellegrini
Sommario: 1. Premessa: riepilogo sintetico delle attività preliminari per l’avvio del TPMF e ipotesi di cronoprogramma - 1.1. Ipotesi di cronoprogramma - 1.2. Ipotesi circa il fabbisogno di risorse - 1.2.1. Ipotesi 1: lo studio del Dog - 1.2.2. Ipotesi 2: un calcolo secondo i carichi esigibili - 1.2.3. Osservazioni su fabbisogno, aumento dei carichi di lavoro e gestione pendenze ante 17 ottobre 2024.
1. Premessa: riepilogo sintetico delle attività preliminari per l’avvio del TMPF e ipotesi di cronoprogramma
1.1. Ipotesi di cronoprogramma
1.2. Ipotesi circa il fabbisogno di risorse
Rinviando al § 7 per una analisi di dettaglio delle possibili modalità di determinazione del fabbisogno di risorse magistratuali e amministrative per il nuovo TPMF si riportano sinteticamente di seguito alcune ipotesi di calcolo.
1.2.1. Ipotesi 1: lo studio del Dog
Nel 2022 il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria del Ministero della Giustizia (DOG) ha condotto un primo studio per determinare l’organico del personale di magistratura necessario per l’avvio del TPMF.
Il risultato complessivo di tale studio proponeva la seguente dotazione organica:
Nello studio del DOG si evidenziava una dotazione complessiva e le modalità di recupero di tali risorse in parte dalle piante organiche degli uffici giudiziari e in parte da un aumento del personale di magistratura.
Per quanto attiene al personale amministrativo nello stesso studio il DOG evidenziava i seguenti fabbisogni:
Per quanto attiene ai dirigenti amministrativi il fabbisogno complessivo era stato quantificato dal DOG in 65 unità complessive.
1.2.2. Ipotesi 2: un calcolo secondo i carichi esigibili
Questa ipotesi considera il numero di iscrizioni nazionali in materia di famiglia e di procedimenti in gestione al giudice tutelare (tutele/ads/curatele/vigilanze): il numero delle sopravvenienze viene diviso per il numero di iscrizioni/gestioni stabilite dal CSM nella circolare sui carichi esigibili.
Nel valutare il numero di iscrizioni si è attribuito un peso alle procedure consensuali pari a 1/10 delle procedure contenziose.
Dei carichi esigibili vengono considerate l’ipotesi minima, mediana e massima (per il GT è stato ipotizzato un ruolo di 1000/1800/4000 procedimenti in gestione).
In base al dato mediano occorrono 634 giudici nelle sezioni circondariali.
Per i dati dei giudici distrettuali e per le Procure si rinvia allo studio del DOG e quindi per il nuovo TPMF servono:
1.2.3. Osservazioni su fabbisogno, aumento dei carichi di lavoro e gestione pendenze ante 17 ottobre 2024
In relazione alle ipotesi di fabbisogno si osserva che:
a) la previsione del Dog prevedeva, tanto per i magistrati che per il personale amministrativo, che il fabbisogno fosse soddisfatto sia da risorse sottratte alle Corti di Appello che ai Tribunali ordinari, sia da nuove risorse aggiunte con un aumento della pianta organica nazionale;
b) tale aumento veniva incontro alla esigenza di non sottrarre risorse dai (numerosi) tribunali più piccoli, dove vi è una sola sezione civile ed a volte una sola sezione promiscua: in tali uffici la perdita anche di una sola unita può portare alla paralisi dell'ufficio;
c) inoltre evitava di gravare in modo eccessivo su quegli uffici che oggi destinano da 1,1 a 1,9 risorse full-time equivalent al settore famiglia: invero poiché i giudici del TPMF svolgono funzioni esclusive nella materia di competenza a tali uffici potrebbe essere sottratta un numero di risorse fisiche superiore alla quota full time equivalent.
Va poi evidenziato che con la sottrazione ai giudici onorari esperti del TM delle competenze in materia di ascolto del minore e delle parti processuali e quindi di celebrazione delle udienze più impegnative il lavoro di questi ultimi si riverserà sui giudici ordinari.
I giudici onorari esperti sono 770: lavorando due giorni a settimana il loro lavoro equivale a quello di circa 250 giudici togati.
L’aumento di carico di lavoro stimabile, sui giudici ordinari, considerate le attività già devolute ai giudici esperti, può essere stimato nel 30%: tale dato non è stato preso in considerazione nel calcolo del fabbisogno che sotto tale profilo è sottostimato.
In ogni caso, qualunque decisione sulla pianta organica presuppone la risoluzione del tema delle cause pendenti presso i tribunali ordinari.
La attuale soluzione normativa prevede la permanenza di tali cause presso i tribunali ordinari che quindi dovranno organizzare specifiche sezioni anche qualora i giudici delle sezioni specializzate si trasferiscano presso il nuovo TPMF. In tale caso la copertura della pianta organica del TPMF potrebbe essere ridotta, inizialmente, ma con necessità di adeguare la copertura ogni 6 mesi per evitare la formazione di un forte arretrato.
Viceversa, ove con modifica normativa si adotti la soluzione opposta (ossia che i nuovi TPMF gestiscano anche le pendenze dei tribunali ordinari in materia di famiglia al 17 ottobre 2024, la pianta organica dei TPMF dovrà non essere adeguata ma adeguatamente coperta.
Va segnalato che con l’attuale normativa le Corti di Appello rimarranno competenti sugli appelli nei confronti dei provvedimenti del TO ben oltre il 31-12-2029: calcolando un tempo di definizione di 2 o 3 anni per gli appelli contro i provvedimenti di primo grado si può stimare una competenza residua della Corte fino al 2032/2033. È pur vero che la CDA rimane competente per gli appelli contro i provvedimenti collegiali del TPMF ma questi ultimi, a normativa invariata, non riguardano nessun procedimento dell’attuale TO.
Tale residualità della competenza della CDA, il cui peso diminuirà nel tempo, rischia di determinare, come per i TO, l’affidamento delle cause a sezioni non più specializzate.
La creazione di due circuiti giudiziari per le cause di famiglia determina la possibilità che mentre le separazioni introdotte prima del 17 ottobre verranno decise dal collegio TO con appello alla CDA, i divorzi introdotti il 17 ottobre 2024 dopo vengano decisi dal TPMF circondariale con appello al TPMF distrettuale, con tempi diversi e non coordinabili tra loro.
SEGUE QUI LA PARTE SECONDA https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/3152-il-nuovo-tribunale-persone-minori-e-famiglie-domenico-pellegrini-parte-seconda
(Immagine: José Ferraz de Almeida Júnior, Scena di famiglia, 1891, Pinacoteca di Stato di San Paolo, Brasile)
Il tema dei criptofonini, vicenda ormai notissima, è approdato alla Corte di Giustizia, su iniziativa del Landgericht Berlin, che si è pronunciata nella Grande Sezioni il 30 aprile 2024.
I termini della decisione erano noti alla luce delle argomentazioni sviluppate dal procuratore generale. In Italia, anche questo dato è noto, a sciogliere i forti contrasti interpretativi espressi in materia, soprattutto in punto di utilizzabilità del materiale trasmesso dalla Francia, sono intervenute le Sezioni unite che, rispondendo ai quesiti prospettati dalla Sez. III e dalla Sezioni VI, hanno fissato i seguenti punti di diritto.
In relazione alle questioni sollevate dalla Sez. III hanno deciso:
a) se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234 bis c.p.p. o di documenti ex art. 234 c.p.p. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all’acquisizione di prove;
b) se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
In relazione al primo che il trasferimento di cui sopra rientra nell’acquisizione di atti di un procedimento penale che, a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento negli artt. 78 disp. att. c.p.p., 238, 270 c.p.p. e, in quanto tale, rispetta l’art. 6 della Direttiva 2014/41/UE; in relazione al secondo quesito sostenendo che rientra nei poteri del pubblico ministero quello di acquisizione di atti di altro procedimento penale e in relazione al terzo quesito affermando che l’Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo (informazione provvisoria n. 3 del 2024).
In relazione alle questioni sollevate dalla Sez. VI hanno stabilito: a) se l’acquisizione, mediante ordine europeo d’indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l’ipotesi disciplinata, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 270 c.p.p.;
b) se, ai fini dell’emissione dell’ordine europeo di indagine finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
In relazione al secondo ricorso le Sezioni Unite hanno convenuto che si trattava di un atto riconducibile all’art. 270 c.p.p. che l’oie può essere richiesto dal p.m.; che l’Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo (informazione provvisoria n. 4 del 2024).
Siamo in attesa delle motivazioni anche se nel frattempo con le decisioni n. 13535 della Sez. I e n. 13819 della Sez. IV del 2024 due sezioni della Cassazione si sono già pronunciate relativamente ai ricorsi davanti ad esse pendenti.
La sentenza della Corte di Giustizia è importante perché, al di là di possibili variabili, fissa i punti di diritto della Corte sovranazionale destinati ad essere efficace per le situazioni che si dovessero prospettare, ma soprattutto perché ad essa dovranno adeguarsi le Corti dei vari Paesi interessati nel valutare l’utilizzabilità delle attività probatorie sviluppate in Francia.
La motivazione della Corte è molto ampia, come sempre, ma è possibile individuare le risposte alle questioni prospettata dai giudici tedeschi, che non differiscono da quelle che sono prospettate nelle sedi giudiziarie dei vari Paesi dove la questione si presenta.
In premessa: si da per acquisito che il materiale probatorio sia costituito da esiti di intercettazioni.
Secondo i giudici di Strasburgo, tenuto conto del fatto che nessuna disposizione della direttiva 2014/41 contiene una definizione della nozione di “telecomunicazione” utilizzata all’art. 31, par. 1, di tale direttiva, né un rinvio espresso al diritto degli Stati membri per determinare il senso e la portata di tale nozione, si deve ritenere che tal disposizione debba ricevere un’interpretazione autonoma e uniforme nel diritto dell’Unione.
Conseguentemente, sulla scorta dei dati deducibili dal contesto dell’art. 31 della direttiva 2014/41, ne deriva che l’infiltrazione in apparecchiature terminali volta ad estrarre dati di comunicazione, ma anche dati relativi al traffico o all’ubicazione, a partire da un servizio di comunicazione basato su Internet costituisce un’”intercettazione di telecomunicazioni” ai sensi dell’art. 31 della direttiva 2014/41.
Venendo alle puntuali questioni sollevate dai giudici tedeschi, va in premessa detto che la Corte pur ritenendo che spetti a lei dare al giudice la risposta che gli consenta di dirimere la controversia, ritiene che spetti ai giudici europei trarre dalle motivazioni della decisione gli elementi del diritto dell’Unione europea.
Sotto questo profilo, nel rispondere alla richiesta relativamente al presupposto dei gravi indizi da porre a fondamento dell’OIE, allo svolgimento della difesa in relazione alla segretezza delle procedure; alle stesse condizioni sostanziali applicate nello stato di emissione, la Corte fissa i seguenti punti di diritto.
In primo luogo, in relazione all’individuazione l’autorità competente all’emissione dell’OIE, la Corte precisa che un ordine europeo di indagine inteso a ottenere la trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione non deve essere adottato necessariamente da un giudice quando, in forza del diritto dello Stato di emissione, in un procedimento puramente interno a tale Stato, la raccolta iniziale di tali prove avrebbe dovuto essere ordinata da un giudice, ma competente ad ordinare l’acquisizione di dette prove è il pubblico ministero.
Conseguentemente, l’art. 6, par. 1, della direttiva 2014/41 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un pubblico ministero adotti un ordine europeo di indagine inteso a ottenere la trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, qualora tali prove siano state acquisite a seguito dell’intercettazione, da parte di tali autorità, nel territorio dello Stato di emissione, di telecomunicazioni dell’insieme degli utenti di telefoni cellulari che permettono, grazie a un software speciale e a un hardware modificato, una comunicazione cifrata da punto a punto, purché un tale ordine di indagine rispetti tutte le condizioni eventualmente previste dal diritto dello Stato di emissione per la trasmissione di tali prove in un caso puramente interno a detto Stato.
La conclusione si poggia sul concetto di autorità giudiziaria che definisce l’autorità di emissione e che ricomprende anche il pubblico ministero.
Va subito detto che l’affermazione è in linea con quanto precisato dalle due decisioni delle Sezioni unite, anche sulla scorta di quanto previsto dall’art. 270 c.p.p., relativamente alle intercettazioni disposte in un procedimento separato. Sul punto bisognerà tener conto sia dell’evoluzione normativa, sia dei più recenti orientamenti giurisprudenziali anche a sezioni unite.
La Corte afferma, altresì, che in forza di tale art. 6, par. 1, lett. a), tale autorità deve accertarsi che l’emissione dell’ordine europeo di indagini sia necessaria e proporzionata ai fini del procedimento di cui all’art. 4 di detta direttiva, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagine o della persona imputata. Dall’altro, in forza di detto art. 6, par. 1, lett. b), tale autorità deve verificare che l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’ordine europeo di indagine avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo. Naturalmente il rispetto della integrità della prova dovrà essere valutato solo nel momento si disporrà delle prove e non in una fase anteriore.
In conclusione, un siffatto ordine può essere emesso unicamente a condizione che tale trasmissione avrebbe potuto essere disposta “alle stesse condizioni in un caso interno analogo”: impiegando i termini “alle stesse condizioni” e “in un caso interno analogo”, l’art. 6, par. 1, lett. b), della direttiva 2014/41 subordina al solo diritto dello Stato di emissione la determinazione delle specifiche condizioni richieste per l’emissione di un ordine europeo di indagine.
Ne consegue che, qualora un’autorità di emissione intenda acquisire prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, tale autorità deve subordinare un ordine europeo di indagine al rispetto di tutte le condizioni previste dal diritto del proprio Stato membro per un caso interno analogo.
Del resto, l’art. 14, par. 7, della direttiva 2014/41 impone agli Stati membri di assicurare che, nel procedimento penale avviato nello Stato di emissione, siano rispettati i diritti della difesa e sia garantito un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite tale ordine europeo di indagine.
A questo elemento si salda anche l’affermazione dei giudici della Corte di Giustizia a mente della quale, sulle possibili ricadute di un ordine europeo di indagine illegittimo.
La Corte affronta anche il problema delle conseguenze della possibile violazione delle garanzie difensive del giusto processo e dei diritti fondamentali.
Pur riconoscendo che spetta agli stati membri definire le condizioni di ammissibilità e di valutazione di prove acquisite in violazione delle norme dell’Unione, afferma che il giudice penale nazionale deve espungere, nell’ambito del procedimento penale avviato a carico di una persona sospettata di atti di criminalità, informazioni ed elementi di prova su tale persona, grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su tali informazioni ed elementi di prova e questi ultimi siano idonei ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti.
Non può al riguardo negarsi una certa evanescenza del riferimento al “preponderante” peso dell’attività svolta in modo “efficacemente” carente delle garanzie individuali.
La Corte, infine, affronta anche il tema delle intercettazioni effettuate in un altro Paese, nei confronti di un cittadino di quella nazione, affermando che il fatto deve essere notificato allo stato del cittadino straniero, il quale (stato membro) ha la facoltà di segnalare che tale intercettazione di telecomunicazioni non può essere effettuata o che si deve porre fine alla medesima qualora essa non possa essere autorizzata in un caso interno analogo.
Questo dato non è affrontato, allo stato, dalle decisioni delle Sezioni Unite, non potendosi escludere, tuttavia, che possa essere prospettato in una qualche vicenda processuale pendente. Non sembra, tuttavia, che notificazioni in tal senso siano state effettuate, prospettandosi, pertanto, se del caso, il problema della loro utilizzabilità.
Se una riflessione conclusiva si può trarre è che Corte di Giustizia e Corte di Cassazione si collocano in sintonia confermando quel processo di dialogo tra le Corti, confermato da quel paragrafo del comunicato della Corte nel quale si afferma che il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione, ma che la Corte non risolve la controversia nazionale, spettando al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tuttavia, tale decisione vincolerà egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
(Immagine: Christo e Jeanne-Claude, Telefono impacchettato, 1962)
Il 19 gennaio 2024, giorno in cui Paolo Borsellino avrebbe compiuto 84 anni, a Marsala è stato inaugurato il “Museo Borsellino” su iniziativa promossa e condivisa dalla Sottosezione ANM di Marsala.
Lo spazio espositivo è stato realizzato nell’ufficio del vecchio Palazzo di Giustizia che dal 4 agosto dell’86 al 5 marzo 1992 fu destinato al Procuratore Borsellino: sono state utilizzate la sua stanza e l’antisala recuperandone gli arredi del tempo - poltrona, scrivania, divani, libreria, foto alle pareti ed anche i pacchetti delle sue immancabili sigarette - insieme ai faldoni in originale di alcuni procedimenti penali da lui promossi a Marsala.
È proprio tra queste carte poste sulla scrivania della stanza museo che il visitatore attento potrà trovare la misura di prevenzione personale e patrimoniale che, nel gennaio 1990, fu proposta a firma del Procuratore della Repubblica nei confronti di Francesco Messina Denaro, padre di Matteo. Si tratta di una delle prime applicazioni della normativa antimafia in materia, testimonianza della nuova attenzione investigativa nei confronti della criminalità organizzata che l’arrivo di Paolo Borsellino avrebbe comportato su quel territorio.
Paolo Borsellino si insedia alla Procura di Marsala una volta conclusa l’esperienza al Pool dell'Ufficio Istruzione di Palermo, dove, con Giovanni Falcone, aveva predisposto e sottoscritto l’ordinanza-sentenza nei confronti di “Abbate Giovanni + 706” che diede vita al grande processo a “Cosa nostra” – unico ed irripetibile nella storia giudiziaria italiana – passato alla storia come Maxiprocesso per il numero elevatissimo – 475 – di imputati con vari capi d’accusa tra cui quello di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Il suo “essere magistrato” si era immediatamente caratterizzato per il piglio rivoluzionario rispetto al contesto, sia interno che esterno alla magistratura di allora: pool, organizzazione mafiosa, criminalità economica, accertamenti bancari, riscontri a dichiarazioni eteroaccusatorie e condivisione professionale non erano termini solitamente usati già dentro i Palazzi di Giustizia.
Paolo Borsellino - così come Rocco Chinnici, e come anche tutti coloro che con lui composero il Pool antimafia, Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello – furono dei veri innovatori per l’intera magistratura, capaci di stabilire regole deontologiche prima che professionali, di far prevalere il NOI sull'IO, superando così gelosie, protagonismi, vittimismi e soprattutto, di svolgere l’attività con curiosità investigativa e riscontri necessari, nel segno di una cultura di indagine dove la prova sovrasta la cultura del sospetto o del pre-giudizio.
Ed è con tale spirito che le attività investigative si arricchiscono, attraverso scambio di notizie ed informazioni, sia all’interno dell’ufficio che con altre Procure, adottando un metodo che, soprattutto in ambiti di fenomeni delittuosi pervicaci e di organizzazioni criminali che operano senza distinzione di competenze e/o territori, diventa chiave di successo affermando il principio che processi e indagini non appartengono al singolo Pubblico Ministero o al singolo magistrato, ma sono (o dovrebbero essere) - patrimonio comune.
L’esempio che il Procuratore Borsellino ha fornito alla Procura di Marsala – testimoniato il 19 gennaio scorso dai preziosi e commossi ricordi di Alessandra Camassa, Giuseppe Salvo e Luciano Costantini tra i protagonisti del gruppo marsalese di quel periodo - invita a rifiutare il ruolo del magistrato-burocrate, attendista e superficiale, appiattito al formale rispetto dell’orario di lavoro o delle “carte a posto” (oggi, “numeri e dati statistici a posto”!) o del magistrato isolato nella sua torre eburnea o al contrario, di quello che gareggia all'interno di una scenografica arena incoraggiando tifoserie, dimentico di “essere” un servitore dello Stato.
Egli ha svolto il ruolo di Procuratore, di coordinatore di indagini, senza schermarsi dietro formalismi o rispetto del “quieto vivere”, operando a tutela dei colleghi e, al tempo stesso, con l’autorevolezza derivata dalla sua professionalità e dall’impegno etico nel rispetto assoluto delle norme su assetto organizzativo e strutturale della Procura, individuando itinerari investigativi rispettosi delle norme e del doveroso coordinamento tra i vari organi investigativi, senza ingerenze o stress test di natura aziendale sul corretto sviluppo delle indagini.
Il suo agire si caratterizzava per il modo di affrontare le indagini: indagare “senza se e senza ma”, penetrando nel circuito criminale grazie agli strumenti normativi del processo e del diritto penale, facendo emergere fenomeni delittuosi di non facile e immediata acquisizione; egli infatti, ha indagato dove altri non indagavano nel rispetto del principio di autonomia e indipendenza della magistratura, riconosciuto costituzionalmente non quale prerogativa e privilegio di libertà da vincoli, ma, piuttosto, come principio che ne contraddistingue e delimita competenze e ruoli rispetto agli altri poteri dello Stato.
Così Paolo Borsellino è stato al servizio dello Stato e della Giustizia, protagonista indiscusso e autorevole della nostra storia giudiziaria senza scrivere libri su indagini svolte, né esibire od ostentare il proprio servizio; senza tessere relazioni con poteri estranei alla magistratura alla ricerca di vacui consensi o di prebende e incarichi; ha svolto le indagini nel rispetto della legge, senza esitazioni né personalismi, svelando sacche di impunità e facendo emergere reti di protezione o clientele, senza tatticismi o titubanze, preoccupazioni o retropensieri.
Egli ha acquisito credibilità, autorevolezza e riconoscimento solo indossando la toga per entrare nelle aule di Giustizia; non ha fatto ricorso a scorciatoie, raccomandazioni, relazioni per far valere il suo “essere” magistrato.
Tutto ciò Paolo Borsellino l’ha fatto mantenendo sempre quel sorriso accogliente e trasparente che mostra nelle foto esposte nel Museo, luogo di doverosa memoria, aperto a studenti, a marsalesi, a cittadini e a tutti coloro che hanno voglia di “vedere” i luoghi di questa illustre storia, per recuperare e meglio comprendere il valore che rappresentano questi Uffici non per (o almeno non solo per) statistiche, buone prassi, monitoraggi – più facilmente riferibili alla produttività aziendale – ma, piuttosto, per la capacità di condurre e sviluppare indagini che, nel rispetto delle regole penali e processuali e di fronte a prove verificate, configurino ipotesi di reato senza sacrificare le reali esigenze della persona sottoposta alle indagini e della persona offesa da sottoporre al vaglio del Giudice nel contraddittorio tra le parti.
Paolo Borsellino è stato un dirigente innamorato della funzione requirente in un momento storico nel quale tale figura cominciava ad essere al centro di polemiche tempestose degenerate in ingiuste e irragionevoli delegittimazioni, poiché molteplici sono stati e continuano ad essere i tentativi di assoggettare la Procura della Repubblica allo scopo di esercitare poteri di controllo e condizionamento o peggio, di indurre a forme di obbedienza.
Oggi a destare le preoccupazioni maggiori sono le preannunciate linee di fondo del progetto di riforma della giustizia penale che mirano a coinvolgere (o forse, a sconvolgere) l'assetto costituzionale che è proprio del Pubblico Ministero proponendo in modo ossessivo la separazione delle carriere giudicanti e requirenti, l'istituzione di due distinti Csm, l'incremento della percentuale della componente non togata in entrambi a scapito di quella togata, la prova psicoattitudinale, l'introduzione di un nuovo meccanismo disciplinare, un diverso rapporto tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, in balia di un legislatore frenetico e allo stesso tempo contraddittorio perché sempre orientato a sanzionare esclusivamente in sede penale – con delega diffusa al P.M. e al Giudice penale - ogni accadimento ritenuto illegittimo o in contrasto con le regole democratiche.
In tal modo, viene svilito il ruolo del Pubblico Ministero additandolo come il male di tutti i guai del valore Giustizia, tristemente affermando una palese sfiducia nel suo operato con il desiderio di delegittimarlo.
Il Museo dedicato a Paolo Borsellino, riecheggiando il convincimento proustiano secondo il quale "la memoria è l'unico strumento in grado di cogliere le trasformazioni che il tempo causa alle cose e alle persone; conservare la memoria, quindi, significa conservare l'identità" ci aiuta a recuperare il reale significato della funzione della Procura: ricca, appassionata, capace di intervenire in favore della vittima e nel rispetto della persona indagata, affermandone l’identità secondo il principio di un’azione della magistratura inquirente svolta dentro la cultura della giurisdizione e della prova, distante ed estranea – per il bene della collettività - a ogni forma di controllo e influenza, diverse da quelle fisiologiche delle regole del Processo.
L’auspicio è che il Museo diventi, in tal senso, anche un luogo di riflessione attenta, dove, attraverso oggetti della memoria, possa cogliersi l’essenza di “esser magistrato” di una Procura della Repubblica che, nella sua, apparentemente, semplice quotidianità, nasconde fatica, impegno, passione, riuscendo a realizzare risultati che possono aiutarci “a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Sommario: 1. La lavorazione del “dato” e la “cassetta degli attrezzi” del giurista. - 2. L’algoritmo non è uno strumento “neutro”. - 3. L’importanza di una governance condivisa dell’innovazione tecnologica nella giurisdizione: l’esperienza di PCT e di APP - 4. Il caso delle Banche Dati di merito (Pubblica e Riservata). – 5. IA e anonimizzazione dei provvedimenti nella BDP e in PRO.DI.GI.T. – 6. IA e i rischi della giustizia predittiva. – 7. I diversi approcci sistemici nella regolazione dell’IA. - 8. Il “metodo” Osservatorio per migliorare la governance dell’innovazione giudiziaria.
1. La lavorazione del “dato” e la “cassetta degli attrezzi” del giurista.
Viviamo nell’era dei dati e dell’informazione – come ha ricordato recentemente anche il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali (P. STANZIONE) – e le nostre politiche, le nostre economie, le nostre vite sono condizionate dal flusso di dati e da tecnologie che corrono più veloci della regolamentazione necessaria a garantirne uno sviluppo sostenibile.
Questo vale per tutti i cittadini, ma in particolar modo per il mondo dei giuristi, la cui professionalità consiste nel partire da un dato rilevante per il diritto, il fatto, verificarlo attraverso lo studio, l’esperienza, l’istruttoria se del caso, per poi sussumerlo e porlo a base di una informazione complessa, cristallizzando il processo logico-associativo in un atto giudiziario che contiene una domanda o una eccezione o in una sentenza che regola in diritto il dato iniziale rispondendo alla domanda e alla eccezione.
Il complesso e affascinante procedimento dello ius dicere si è svolto per molto tempo attraverso supporti materiali da organizzare, ma di per sé non tali da incidere sulla formazione del contenuto dell’atto o della decisione finale (D. PELLEGRINI) e, come tali, sono stati a lungo privi di reale interesse per i giuristi. Quando sono state adottate le Carte che tracciano la costellazione dei nostri diritti fondamentali, come la dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’ONU (approvata 10 dicembre 1948), la Convenzione Europea Dei Diritti dell’Uomo (firmata il 4 novembre 1950) e la stessa Costituzione della repubblica italiana (in vigore dal 1.1.1948), l'intelligenza artificiale non era conosciuta.
Allora, la collocazione degli Uffici nei Tribunali o negli studi legali, la presenza di solide scrivanie, di supporti cartacei al diritto contenuti in libri, fascicoli e faldoni, erano elementi nella “cassetta degli attrezzi” dell’operatore da ordinare con cura, ma tendenzialmente “neutri” per il procedimento ermeneutico della giurisdizione, ossia non idonei ad incidere in maniera significativa sul contenuto del dato giuridicamente rilevante e sulla sua lavorazione finale.
2. L’algoritmo non è uno strumento “neutro”.
Quel mondo antico è cambiato. Nel 1950 viene pubblicato sulla rivista Mind il geniale saggio (A.M. TURING) Computing machinery and intelligence in cui si descrive quello che poi sarebbe stato denominato come “il Test di Turing”, sul quale si basa la gran parte degli studi successivi sull’intelligenza artificiale. Fin dalle prime battute il paper si incentra sulle definizioni del significato dei termini “macchina” e “pensiero”, giungendo alla convinzione che si può raggiungere un'intelligenza artificiale, farlo imitando la mente umana e alimentarla seguendo i normali insegnamenti che si danno ad un bambino, efficiente ricettore di nuove informazioni.
Oggi, l’utilizzo del supporto tecnico-informatico attraverso il quale l’associazione del dato e la lavorazione dell’informazione giuridica avviene nell’ambito di un processo largamente dematerializzato, è divenuto un elemento decisivo sia sul piano dell'efficienza complessiva e dei tempi di risposta alla domanda di giustizia, sia sul piano della qualità del risultato. L’intelligenza artificiale amplifica esponenzialmente questa tendenza, nei suoi aspetti positivi e in quelli deteriori: pensiamo alla salute del lavoratore esposto a lunghissimi periodi di permanenza a video, al progressivo svuotamento dei tribunali come luoghi socialmente riconosciuti deputati al controllo dello ius dicere. Pensiamo ancora alla massificazione della giurisdizione, deriva in cui l’atto giudiziale e la sentenza rischiano di diventare agli occhi di molti dirigenti della stessa organizzazione giudiziaria un prodotto seriale di cui conta essenzialmente la quantità da esibire in statistica in assenza di vistose anomalie formali, elementi che rischiano di prevalere sulla funzione creativa e di garanzia nello specifico caso concreto e, in ultima analisi, sull’idoneità dell’atto giudiziale ad assicurare una reale e concreta composizione individualizzata della controversia.
Tutti noi giuristi dobbiamo rivendicare che l’informatica giuridica e l’intelligenza artificiale ad essa applicata non venga considerata un mero servizio che il Ministero della Giustizia deve erogare agli utenti degli Uffici giudiziari con adeguata continuità su tutto il territorio nazionale, dalla Sicilia alla Lombardia, obiettivo comunque non sempre raggiuto. È fondamentale che gli organi rappresentativi della Magistratura e dell’Avvocatura e consolidati corpi intermedi come l’Osservatorio Nazionale sulla Giustizia Civile, i quali realizzano quotidianamente da molti anni una sintesi interdisciplinare tra Accademia, Avvocatura e Magistratura, rivendichino e siano presenti ai tavoli di lavoro ministeriali sull’intelligenza artificiale, per condividere le responsabilità e contribuire a stabilizzare un segmento fondamentale per la governance della giurisdizione, dal momento che lo strumento dell’IA non è affatto neutro rispetto ai tempi e alla qualità del risultati attesi.
3. L’importanza di una governance condivisa dell’innovazione tecnologica nella giurisdizione: l’esperienza di PCT e di APP
Sul terreno della governance condivisa dell’innovazione tecnologica nella giurisdizione, l’Ufficio innovazione del Tribunale di Milano, l’Ordine degli avvocati di Milano e l’Osservatorio sulla Giustizia civile hanno messo a fuoco negli anni attraverso l’esperienza del processo civile telematico un metodo di lavoro straordinario, cui merita data ulteriore continuità. A partire dal 2011 è stato finalmente attuato il d.P.R. n.123/2001, recante le prime regole sul PCT e allora la Cancelleria dell’Ufficio (P. BOVE), pur all’avanguardia nelle sperimentazioni sin dal 2006 sui decreti ingiuntivi telematici, nutriva molte perplessità sulle reali possibilità che il Processo Civile Telematico potesse funzionare. Tuttavia, il Tribunale e l’Ordine degli avvocati, hanno sorpreso tutti gli addetti ai lavori, dimostrando che il processo civile davvero poteva essere dematerializzato. Fondamentale è stata la sinergia con l’Avvocatura, sia per le risorse umane che per quelle intellettuali impiegate, ad esempio ai fini del training capillare dei magistrati da parte di avvocati-formatori, molto più esperti di molti magistrati sugli applicativi. A distanza di oltre un decennio dal lancio di Consolle, il PCT ancora richiede continua lavorazione, non solo a livello di reingegnerizzazione dell’applicativo da parte del Ministero, ma anche on-the-job e ancora – nonostante l’aquis di esperienze ormai diffuse tra i colleghi - la collaborazione con l’Avvocatura è importante.
Molto diverso è il caso del Processo Penale Telematico, che per il momento non pare aver sfruttato a pieno il bagaglio di conoscenze, di errori e di emendamenti maturati dal suo omologo civile in sede di concezione, sviluppo e implementazione. Nel 2024 il PPT è un esempio di come la carenza dell’apporto multidisciplinare alla governance dell’innovazione crei consistenti difficoltà. L’elaborazione del PPT è avvenuta negli ultimi anni sostanzialmente “in vitro” nelle stanze della società appaltatrice e del Dicastero, in vista del perseguimento degli obiettivi PNRR dopo l’emergenza Covid-19. L’Applicativo per il Processo Penale (APP) è stato presentato in alcuni Uffici di Procura per la sperimentazione solo nel novembre 2023, quasi contemporaneamente sono stati coinvolti i RID e i MAGRIF, magistrati esperti di informatica in poche unità presenti in ciascun distretto, e il 1° gennaio 2024 lo strumento è stato lanciato in tutta Italia, riducendo per ora le iniziali ambizioni alle sole archiviazioni penali. È mancata una condivisa sperimentazione, protratta per un periodo di tempo significativo. Cospicue sono le criticità emerse sin da subito – certificate da un gruppo di analisi sul PPT individuato dal Consiglio Superiore della Magistratura - e gli sviluppi futuri sono affidati ad una nuova versione dell’applicativo in corso di progettazione “2.0”. La materia penale è sicuramente un terreno difficile per l’informatica giuridica, non è un caso che sconti un forte ritardo nella digitalizzazione, ma, in disparte da questo, è evidente che nella concezione di APP è stato seguito un metodo non inclusivo non solo nella definizione del “dominio” dell’applicativo e nel suo “disegno concettuale”, ma anche nel disegno “logico” e, infine, in quello “fisico”, metodo escludente apporti esterni che non ha permesso al Ministero e alla appaltatrice di individuare per tempo numerose criticità progettuali. Questa è una lezione per il futuro e in particolare per applicativi che fanno uso di intelligenza artificiale applicata al diritto: un’eccessiva rigidità di progettazione, escludente interlocutori fondamentali come un consistente numero di utenti primari, rischia di compromettere la fruibilità dello strumento alle prime prevedibili difficoltà nel suo utilizzo concreto.
4. Il caso delle Banche Dati di merito (Pubblica e Riservata).
Per il momento le problematiche che investono APP non hanno avuto molta eco al di fuori della Magistratura perché nell’immediato l’applicativo investe essenzialmente gli Uffici di Procura e la sua introduzione risponde ad esigenze amministrative di rispetto delle milestones fissate in sede di PNRR, ma l’attuale metodo di concezione unilaterale di primarie innovazioni tecnologiche destinate a rivoluzionare il lavoro quotidiano dei giuristi non pare isolato. Significativo è il caso della Banca Dati di merito Pubblica (BDP), on line dal 14 dicembre 2023, e quello della Banca Dati di merito Riservata (BDR) a disposizione dei magistrati. La base dati fa uso, tra l'altro, anche di intelligenza artificiale generativa per l'ausilio alla massimazione: ad esempio, l'algoritmo è abilitato a proporre al massimatore un completamento automatico della frase iniziata dal redattore, e così di sintetizzare il contenuto della decisione da massimare. Il risultato è più un sommario (summary in Common Law) che una vera e propria massima secondo gli standard in uso presso il Massimario della Corte di Cassazione o del Foro italiano. Prevede anche, attraverso una gestione dei permessi, un meccanismo di validazione della massima da parte del Dirigente e poi la pubblicazione e inserimento nella base dati. C'è un OCR per il riconoscimento di testi non nativi digitali con possibilità di indicizzazione di sezioni dei documenti più corposi.
È previsto anche un "chatbot", che fornisce tramite l'intelligenza artificiale risposte a quesiti giuridici posti con linguaggio naturale. Risponde sulla base delle massime contenute nella base dati e, in prospettiva, anche dei sommari delle sentenze di merito caricate: si dichiara che circa 3 milioni di provvedimenti sono già censiti, e oltre 1600 massime. La risposta individua anche la fonte, ossia la sentenza o ordinanza, da cui ha tratto le informazioni, per consentire una verifica da parte di chi legge e limitare i rischi di inganni (hallucinations). Tuttavia, non rende evidenti i bias, ossia i pregiudizi discriminatori che si annidano tra i criteri scelti dall'algoritmo per la selezione della giurisprudenza ritenuta rilevante.
Inoltre, come l’Osservatorio Nazionale sulla Giustizia Civile di Milano ha osservato in un recente condivisibile documento del Gruppo Europa IA e Diritto (E. RIVA CRUGNOLA, S. TOFFOLETTO), particolarmente disfunzionale pare la scelta, da un lato, di mettere a disposizione del pubblico la BDP, previa autenticazione tramite Spid, CIE e CNS, nonché di mettere a disposizione dei magistrati la BDR, e, dall’altro lato, di chiudere, sia per i magistrati che per gli avvocati, l’accesso, tramite Consolle PCT, all’Archivio Nazionale della giurisprudenza. Numerose sono le criticità riscontrate, soprattutto in materia di anonimizzazione dei provvedimenti da parte dell’IA e anche la query e il reperimento dei provvedimenti risultano difficili per gli utenti, abituati alla ricerca dei provvedimenti secondo criteri preimpostati di data, numero di registro, parti, relatore, con conseguente scarsa fruibilità e reperimento del dato raffinato. È stata riscontrata anche la non completezza della conservazione dei provvedimenti dichiarati, anche recenti, nell’archivio di BDP e BDR.
Un altro tema non pienamente messo a fuoco e da non sottovalutare è quello della sicurezza della Banca Dati Riservata, sia civile che penale, che riguarda anche le decisioni già prese, dense di dati sensibili.
Si può ragionevolmente ritenere che diverse delle criticità emerse avrebbero potuto tempestivamente essere individuate in presenza di una interlocuzione specifica con i giuristi interessati e soprattutto di una adeguata sperimentazione, coinvolgendo in specifici tavoli di lavoro permanenti anche l’Ordine Nazionale Forense e una pluralità di esponenti dell’Accademia.
5. IA e anonimizzazione dei provvedimenti nella BDP e in PRO.DI.GI.T.
L’intelligenza artificiale è strumento molto utile nei processi lavorativi e nell’analisi statistica del dato, anche negli Uffici giudiziari (B. FABBRINI). Ad esempio, è utilissima ad individuare i punti critici ove vi sono gravi falle di efficienza nella sequenza organizzativa, come nel caso si tratti di individuare, attraverso l’esame del dato strutturato, la ragione per cui un gran numero di notifiche non vanno a buon fine in un determinato Ufficio.
È invece opportuna la cautela nell’utilizzo dell’IA con riferimento alla lavorazione ed elaborazione del dato testuale dei provvedimenti: può essere utile per ricerche di base e per riassunti su questioni giuridiche, ma sempre da verificare attraverso le lenti di un giurista qualificato.
Anche per obiettivi apparentemente circoscritti come l’anonimizzazione delle decisioni l’IA pare uno strumento ancora non pienamente affidabile e il cui uso è utile a supporto del giurista, ma non in sistemico automatismo. Algoritmi ancora non raffinati e oggetto di training su dati non accuratamente scelti rischiano di dare risultati che possono incrinare la fiducia nella qualità della professione legale e della giurisdizione, consentendo da un lato la diffusione di dati sensibili sfuggiti nel testo e, dall’altro, oscurando parti delle decisioni essenziali per comprendere la motivazione. In tal senso vi sono esempi tratti anche da laboratori di diritto comparato: le banche dati in Austria (RIS-Justiz) sono accessibili da tutti anche non da avvocati e, per tale ragione, gran parte delle sentenze inserite on line sono anonimizzate su indicazione spontanea dei collegi giudicanti. In altri termini, non opera un meccanismo di anonimizzazione “a richiesta” dell’interessato, proprio per fronteggiare i rischi connessi ad una banca dati ad accesso indiscriminato. Orbene, è significativo che l’anonimizzazione non avvenga tramite IA, bensì manualmente e, a specifica interrogazione dell’Evidenzbüro - EB, l’Ufficio del Massimario della Corte Suprema d’Austria, è stato confermato che si tratta di una precisa scelta di prudenza, in quanto gli algoritmi disponibili sono ritenuti strumenti non ancora sufficientemente evoluti e idonei ad evitare rilevanti falle. La sfida è coniugare l’anonimizzazione generalizzata delle sentenze con la comprensibilità e controllabilità pubblica della motivazione a supporto della decisione.
L’Osservatorio sulla Giustizia Civile in Italia ha una vastissima esperienza in materia di Privacy, frutto di un attento approfondimento scientifico, oltre che di una raccolta del dato molto ampia e stratificata, ed è una risorsa per chi voglia intervenire in questo settore attraverso l’IA.
È discussa l’efficacia dell’IA adoperata nell’anonimizzazione dei provvedimenti inseriti nella Banche Dati di merito Pubblica, dove secondo alcuni autori (P. F. MONDINI) la generale estensione dell’”accecamento” alle date rende talvolta molto difficile comprendere lo sviluppo temporale delle vicende controverse e l’individuazione degli estremi delle sentenze citate nella motivazione attraverso la loro data, con nocumento per la stessa finalità della motivazione come strumento di controllo della decisione giudiziale.
Vi è almeno un altro caso importante di banche dati di merito destinate ad ampio pubblico in cui l’algoritmo con IA è chiamato ad operare per favorire il rispetto della Privacy, senza nuocere alla comprensione della motivazione, ed è quello dell’applicativo PRO.DI.GI.T., il progetto digitale sulle banche dati di merito della Giustizia Tributaria. Il progetto è incentrato su una banca dati di merito con sommari di decisioni di primo e secondo grado degli ultimi anni, scandagliate da un algoritmo che mira a rafforzare trasparenza e prevedibilità della Giustizia Tributaria, puntando a rendere 4.0 la nuova giurisdizione in materia, alla luce della l. n.130/2022 e del d.lgs. 220/2023. Il progetto è stato finanziato per 8 milioni di euro da PON Governance e React UE ed è stato portato a conclusione nel dicembre 2023, anche se non sono esclusi sviluppi futuri. PRO.DI.GI.T.è un progetto elaborato dal Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria in collaborazione col Ministero dell’Economia e delle Finanze e prevede che le banche dati siano accessibili a tutti, non solo a giudici e professionisti, ma anche a cittadini. L’anonimizzazione dei provvedimenti è disposta dall’intelligenza artificiale, ma con caratteristiche pare diverse da quelle proprie dell’algoritmo in uso per le Banca Dati di merito. Lo strumento al momento non è ancora di accesso pubblico.
6. IA e i rischi della giustizia predittiva.
PRO.DI.GI.T. presentata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze alla fine del 2023 pare concepita per assicurare un’accessibilità ampia, e potenzialmente rivolta ad ogni cittadino. L’uso dell’intelligenza artificiale in questa prospettiva può porre un vero e proprio tema di giustizia predittiva (R. E. KOSTORIS). La banca dati, una volta accessibile, potenzialmente potrebbe essere consultata autonomamente da contribuenti che hanno ricevuto una cartella di pagamento per contestate evasioni fiscali al fine di cercare in autonomia di individuare una possibile traiettoria decisoria, evitando di rivolgersi ad un avvocato affinché studi la questione giuridica e proponga al cliente una possibile soluzione, giudiziale o stragiudiziale. La finalità di rafforzare la “trasparenza” nella giurisdizione e l’accesso alla giudice attraverso l’algoritmo (F. CONTINI) è condivisibile, ma la questione è complicata dal fatto che in materia fiscale la giurisprudenza di merito elaborata dalla giurisdizione tributaria è spesso non in linea con la giurisprudenza di legittimità, esercitata anche in questa materia dal giudice ordinario. Ad esempio, le statistiche della Sezione tributaria della Corte di Cassazione da anni riportano il maggior tasso percentuale di cassazioni con rinvio tra tutte le sezioni civili della Corte: molte sentenze di merito vengono riformate.
Una visione complessiva del contenzioso tributario, ai fini dell’utilizzo della banca dati come strumento maggiormente aderente alla realtà dell’intero processo e dunque del suo ragionevole esito, suggerisce di tener conto anche della giurisprudenza di legittimità, ma questo richiederebbe la lavorazione e la predisposizione di sommari anche su di un vasto numero di sentenze della Sezione V Civile della Cassazione, affinché possano essere sottoposte al trainingdell’algoritmo di intelligenza artificiale, il “bambino” che assorbe qualsiasi informazione, per usare l’espressione cara a Turing.
In assenza di questo passaggio, il rischio è di fornire un’informazione parziale ad un utente non esperto che interroghi il sistema, circa il possibile esito del giudizio. Si pensi al caso di un cittadino privo delle cognizioni tecniche proprie del professionista del diritto, tanto più necessarie in una materia ad elevato tecnicismo. Il rischio è paradossalmente di contribuire ad aumentare l’entropia e non a rendere più prevedibile l’esito del processo. Il coordinamento in materia è particolarmente complesso anche perché i primi due gradi di giudizio sono amministrati da una giurisdizione, quella tributaria, diversa da quella ordinaria che esercita l’ultimo grado giurisdizionale, segmenti che la recente riforma sul giudice specialistico tributario rischia di separare in modo ancora più netto.
È evidente l’importanza di un metodo, come quello dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile che, nella sintesi tra membri dell’Accademia, foro e giudici può svolgere quel ruolo di cerniera culturale indispensabile perché l’artificiale generativa sia uno strumento efficace per il cittadino in una materia fortemente specialistica e peculiare anche quanto all’organizzazione giudiziaria. Non si tratta di tornare ad imprigionare il “genio nella lampada”, ma serve molta cautela sull’uso della giustizia predittiva ed è consigliabile il mantenimento della fondamentale mediazione culturale di un professionista del diritto, quale è l’avvocato, al fine di indirizzare correttamente le query che interrogano l’algoritmo e di valutarne gli esiti.
7. I diversi approcci sistemici nella regolazione dell’IA.
Il tema dell’intelligenza artificiale, di enorme rilevanza per il mondo della giustizia, presenta anche rischi considerevoli per i diritti della difesa e per molti diritti fondamentali come la Privacy, il giusto processo, la terzietà e indipendenza del giudice, il controllo pubblico della decisione attraverso la motivazione, il diritto all’oblio ecc...
Per governare questi rischi, nel mondo occidentale si confrontano attualmente diversi approcci, che, volendo semplificare per chiarezza espositiva, si possono individuare in un binomio: eurounitario e atlantico.
L’UE pare aver scelto un approccio normativo e di disciplina regolamentare al fenomeno. Un primo settore di intervento normativo da parte dell’UE riguarda l’AI Act. Il voto definitivo del Parlamento europeo è intervenuto il 13 marzo 2024, ma lo stesso relatore (B. BENIFEI) ha schematizzato i blocchi di disciplina precisando che la loro entrata in vigore non è imminente:
1) entro sei mesi dal voto definitivo è prevista la vigenza dei “divieti assoluti” quali il divieto - salvo eccezioni - all'uso di sistemi biometrici, il divieto di sistemi di social scoring e di sistemi di controllo delle emozioni, il divieto di sistemi di polizia predittiva;
2) entro un anno dal voto definitivo vi sarà la vigenza degli obblighi di sicurezza per i sistemi più potenti creatori a loro volta di sistemi, degli obblighi di trasparenza per i contenuti creati tramite AI, e la vigenza della disciplina relativa alla tutela dei contenuti protetti dal diritto d’autore;
3) entro due anni dal voto definitivo è poi prevista la vigenza dell'intero sistema relativo ai cd usi sensibili, la certificazione di conformità ecc...
La dilazione della vigenza delle previsioni normative è stata giustificata dallo stesso relatore con la necessità di elaborare nel frattempo degli standard omogenei, e soprattutto di predisporre adeguati sistemi di governance.
Una seconda area di intervento UE normativo sull’IA riguarda la proposta di direttiva in tema di lavoro su piattaforme tecnologiche. La proposta della Commissione prevede in sintesi una presunzione relativa di subordinazione in presenza di dati-indice e di principi generali in tema di monitoraggio umano dei risultati algoritmici. È stato osservato (M. BARBERA) che la proposta è attualmente avversata da lobby molto agguerrite ed ostacolata da interventi governativi, e quindi per il momento il percorso di approvazione è ancora lungo.
Un terzo settore di intervento normativo UE riguarda la nuova direttiva sulla responsabilità da prodotti difettosi aggiornata all’IA (B. CAPPIELLO).
L’approccio atlantico, in parte diverso da quello UE e che è stato definito più cauto (G. PELLICANO), è attualmente adottato da Regno Unito e, soprattutto, da Stati Uniti, i quali privilegiano l’autoregolamentazione dei giganti digitali, veri e propri campioni nazionali da non penalizzare nella competizione tecnologica globale, non presenti nel contesto europeo (G. CARULLO).
L’Executive Order on Safe, Secure, and Trustworthy Artificial Intelligence, emanato il 30 ottobre 2023 dal presidente degli Stati Uniti, perimetra l’ambito dell’intervento prioritario del governo, circoscrivendolo alla cybersecurity, alla prevenzione dei rischi relativi a cd infrastrutture critiche, e ai rischi derivanti da un uso improprio di elementi chimici, biologici, radiologici e nucleari. È previsto che il 94 percento delle attività di programmazione e definizione di standard affidate alle diverse Agenzie sia completato entro ottobre 2024. Se tali milestones verranno rispettate a ridosso dello snodo elettorale delle presidenziali 2024, il governo USA avrà predisposto, quindi, il suo sistema di promozione e gestione dei sistemi di intelligenza artificiale, in anticipo rispetto ai tempi di completa implementazione dell’apparato normativo dell’UE sull’intelligenza artificiale. Il piano americano mira ad attuare da subito interventi per attrarre esperti di intelligenza artificiale nella sfera pubblica, ma, anche in questo caso, la governance distingue in maniera pragmatica i campi di intervento immediato e quelli cui rivolgere uno sforzo continuativo entro un lasso di tempo più ampio.
Un simile tipo di governance ha punti di forza e di debolezza. Si tratta di un’impostazione che può essere definita privatistica, critica che è stata mossa anche all’AI Act unionale (G. DE MINICO), ossia è un approccio che affida a autodichiarazioni e autovalutazioni momenti fondamentali della regolazione dell’IA. Nondimeno, è stato notato (C. FICK) che i casi di regolamentazione volontaria presentano vantaggi per più profili: in primo luogo non inibiscono la capacità di innovare in un importante settore soggetto a costante evoluzione tecnologica e, in secondo luogo, un approccio volontario è rapido, anche se realisticamente è solo un primo passo verso la costruzione di una struttura di regolazione che possa dirsi davvero solida, oltre che dinamica e flessibile.
Non è l’unica diversità di approccio rispetto al metodo normativo UE. Al di là delle norme programmatiche, nei contenuti la governance dipende molto dall’ordine di priorità sull’IA e dal concreto bilanciamento dei diritti fondamentali in gioco che verrà trovato sui tavoli tecnici, soprattutto in materie sensibili come sicurezza e immigrazione.
La normativa può prevedere determinati standard di accuratezza dei dati utilizzati per fare il training dei sistemi di IA. Maggiormente selezionati e accurati sono i dati, minori sono i rischi di un risultato impreciso e affetto da bias (U. GALETTA), ossia da pregiudizi discriminatori, ad es. per gruppi di migranti e minoranze religiose. Ma, sull’altro versante, si osserva che i risultanti travolgenti raggiunti sino a ora dall’artificiale generativa (A. GARAPON) derivano in gran parte da un utilizzo indiscriminato di enormi quantità di dati reperiti sulla rete e in banche dati precompilate, senza particolari controlli sulle fonti e sulla attendibilità. Una selezione e un controllo effettivo sul rispetto del diritto d’autore, così come rendere ostensibili le fonti dei dati posti a base degli esiti dell’elaborazione incide sull’efficacia e la rapidità di sviluppo dell’IA, senza contare che l’output algoritmico, ad esempio in caso di reti neurali artificiali, non sempre è replicabile.
La recente iniziativa sull’intelligenza artificiale della presidenza italiana del G7 sembra essere un passo nell’adozione di un approccio più vicino a quello atlantico. I lavori del forum sono in corsoil 14 marzo 2024 a Verona e il 15 marzo a Trento, con un focus speciale sulla pubblica amministrazione. È un G7 dei ministri dell’industria-tecnologia-digitale di Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America – esteso a rappresentanti dell’Unione Europea -, e l’Italia ha la presidenza del forum per il 2024. L’obiettivo del Summit, rende noto la Presidenza del Consiglio dei ministri, è promuovere lo sviluppo e l’uso sicuro e affidabile dei sistemi di intelligenza artificiale. Il risultato delle discussioni sarà un compendio incentrato sulla fornitura e sull’accesso a servizi pubblici digitali efficienti, inclusivi e sicuri e un compendio sui Sistemi Pubblici Digitali adottati dai membri del G7. La Presidenza italiana realizzerà anche una cassetta degli attrezzi (Toolkit) per lo sviluppo e l’uso etico di applicazione di IA nel settore pubblico e integrerà i progressi del Processo di Hiroshima sull’Intelligenza Artificiale HAIP, frutto della presidenza giapponese del G7 nel 2023. Si mira anche a sviluppare meccanismi per il monitoraggio volontario dell’adozione del Codice di Condotta Internazionale per le Organizzazioni che Sviluppano Sistemi di IA Avanzati.
8. Il “metodo” Osservatorio per migliorare la governance dell’innovazione giudiziaria.
L’approccio atlantico all’IA punta essenzialmente sul ruolo dei privati e sul concorso di responsabilità volontaria nella gestione dell’innovazione. Ma anche l’approccio regolamentare UE richiederà un sistema di governance adeguato sia a livello europeo che nazionale, destinato a coinvolgere soggetti esterni al perimetro delle istituzioni statali, perché si tratta sì di una "sfida istituzionale", ma coinvolgente competenze plurime (F. DONATI). È difficile pensare che queste risorse materiali ed intellettuali possano trovarsi tutte solo ed esclusivamente all’interno dell’Amministrazione in un settore tecnologico sviluppato da enormi investimenti privati. È possibile prevedere, dopo l’adozione dell’AI Act da parte dell’UE, un ruolo di rilievo delle corti nazionali ed europee nella fase applicativa del regolamento (C. SCHEPISI), anche in considerazione del lasso di tempo che occorrerà alla sua piena attuazione. Ma gli interpreti del diritto che da tempo si occupano di IA, ben prima delle Corti, anche in Italia sono gli avvocati e i centri di studi dei migliori atenei, spesso interconnessi con l’industria.
Ecco, dunque, l’importanza del “metodo Osservatorio” per l’implementazione dei progetti in corso sull’intelligenza artificiale. Contribuire ad una sinergia multidisciplinare magistrati-avvocati-Accademia significa investire su di un asset utilissimo per l’introduzione e il successo degli applicativi italiani sull’IA. Le esperienze raccolte in oltre un decennio di PCT suggeriscono che oltre al problema della concezione, disegno e ingegnerizzazione di un applicativo informatico, c’è tutto l’enorme impegno della messa a terra che richiede un lavoro culturale costante su migliaia di operatori del diritto: solo il numero degli avvocati in Italia è di circa 240.000 e quello dei magistrati ordinari è di poco inferiore a 10.000. Persone non sempre entusiasticamente ricettive dell’innovazione tecnologica, con necessità di un lasso di tempo significativo di formazione, parte di un costante e progressivo miglioramento dello strumento via via emendato dalle disfunzioni che solo nell’utilizzo quotidiano emergono compiutamente. Serve una formazione e un’assistenza all’uso capillare che il Ministero della Giustizia da solo non può assicurare in tempi brevi e che, da sola, anche la Scuola Superiore della Magistratura difficilmente può assolvere, perché fatta inevitabilmente di mille questioni concrete e quotidiane che richiedono una presenza e assistenza on-the-job. L’Avvocatura e l’Accademia hanno interesse a rendere l’infrastruttura efficace, user friendly e maggiormente rispettosa dei diritti fondamentali, e costituiscono nell’Osservatorio sulla Giustizia Civile un forum sperimentato da anni, dotato di risorse intellettuali e materiali utili a contribuire al successo dell’applicativo.
Non basta però la buona volontà, sono necessarie anche strutture chiare di governance. Vi è necessità di un tavolo tecnico permanete sui temi della digitalizzazione e sull’intelligenza artificiale applicata alla giurisdizione, in cui si possano confrontare non solo la DGSIA – attualmente spacchettata (C. CASTELLI) in una parte che gestisce la contrattualistica e un'altra che gestisce la tecnologia – e altre articolazioni del Ministero in paritetico con il CSM, ma anche le società appaltatrici dei servizi, il Consiglio Nazionale Forense, la Dirigenza amministrativa degli Uffici, l’Associazione Nazionale Magistrati. Come del resto è stato per il PCT dieci anni fa, seguendo una metodologia che permette anche un’adeguata pubblicità e condivisione dei passaggi e delle strategie necessarie. Vi è altrimenti il rischio di rallentare il processo di tecnologizzazione degli Uffici giudiziari da qui al 2026, mettendo in dubbio gli obiettivi del PNRR in materia di giustizia e rendendo il loro perseguimento molto più gravoso.
L'autore è consigliere della Corte di Cassazione. Le opinioni espresse sono strettamente personali e non impegnano in alcun modo la Corte. Il contributo riprende i contenuti della relazione svolta al convegno tenuto il 14 marzo 2024 presso il Palazzo di Giustizia di Milano, sul tema “Intelligenza Artificiale nella Giustizia Civile: Norme, Principi, Effetti e Strumenti”, organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, dall’Università degli Studi di Milano e dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile.
(Immagine: Ipparco di Nicea nell'Osservatorio di Alessandria, xilografia tratta da Hermann Göll, Die Weisen und Gelehrten des Alterthums, 2nd Ed. Leipzig, (Otto Spamer) 1876, p. 169, Berlin, Sammlung Archiv für Kunst und Geschichte e colorata successivamente)
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