In tema di decreto legge 92 del 4 luglio 2024 “Carcere Sicuro” si veda anche D.L. 92/2024 “Carcere Sicuro”, note sparse ad una prima lettura: nulla di straordinario, poco di necessario, scarsamente urgente di Ezio Romano, pubblicato il 9 luglio 2024, e Il decreto legge 4 luglio 2024 n. 92 “Carcere sicuro” e le attese del mondo penitenziario di Fabio Gianfilippi, pubblicato il 10 luglio 2024.
Osservazioni sugli interventi in materia di Liberazione anticipata e misure in materia penitenziaria di cui al Decreto legge n. 92 del 4 luglio 2024. Audizione presso la Commissione Giustizia del Senato in materia di D.L. 92 del 2024, 10 luglio 2024.
di Maria Cristina Ornano
Il Decreto legge n. 92 del 4.7.2024 introduce alcune importanti novità in materia penitenziaria, in relazione alle quali una prima lettura critica suggerisce le osservazioni di seguito esposte.
Art.1 Assunzione di personale
L’art. 1 del Decreto prevede l’assunzione di mille operatori di Polizia penitenziaria da farsi in due scaglioni di 500 unità ciascuno tra il 2025 ed il 2026. Si tratta di un intervento apprezzabile e, tuttavia, non sufficiente, né adeguato. Non sufficiente, ove si considerino le scoperture degli organici del personale di Polizia penitenziaria e i tempi effettivi dell’immissione in ruolo, che ragionevolmente non potrà avvenire per il primo scaglione prima del 2027 nonostante il previsto periodo di formazione ridotto rispetto all’ordinario, previsione, questa, che preoccupa data la delicatezza dei compiti assegnati agli operatori di Polizia Penitenziaria.
Non adeguato, perché ripropone un’idea di sicurezza del carcere affidata al solo controllo ed alla vigilanza, trascurando del tutto il profilo trattamentale: il decreto, infatti, non prevede nuove assunzioni di funzionari giuridico pedagogici, psicologi e mediatori culturali. Figure tutte indispensabili per il trattamento e la rieducazione e, con essi, per la stessa sicurezza all’interno degli istituti di pena, la quale, all’evidenza deve fondarsi, anzitutto, sull’osservanza del patto trattamentale che proprio le figure richiamate sono istituzionalmente chiamate a stimolare.
Art. 5 Interventi in materia di liberazione anticipata
Entrando nel vivo della riforma, apprendiamo dalle premesse del decreto che l’obiettivo perseguito con l’intervento riformatore è, tra gli altri, quello della semplificazione delle procedure e dell’accesso ai benefici penitenziari.
Tuttavia, l’esame dell’articolato conduce a ritenere che l’effetto che si produrrà, al netto dell’eliminazione di qualche onere procedurale di scarso impatto, sarà assai diverso: appesantimento della procedura, tempi di definizione più lunghi e un aggravio dei carichi di lavoro dei Tribunali e degli Uffici di Sorveglianze, mentre è facile prevedere che non ci sarà il pur auspicato ed atteso effetto di alleggerimento del sovraffollamento carcerario.
In dettaglio:
A) L’art. 5 comma 1: Obbligo di indicazione del fine pena “virtuale” nell’ordine di esecuzione
Con il comma 1 dell’art. 5 si novella l’art. 656 c.p.p. con l’introduzione del comma 10 bis, con il quale si gravano le Procure dell’obbligo di indicare nell’ordine di esecuzione, accanto al fine pena effettivo, quello figurativo o virtuale, ossia quello derivante dal calcolo delle detrazioni di pena che sarebbero applicate in caso di regolare condotta inframuraria e di partecipazione alla proposta rieducativa. A fronte di una informazione che appare di scarsa utilità pratica per i detenuti ai quali è già oggi ben chiara la possibilità di conseguire uno sconto di pena in caso di comportamento esente da rilievi disciplinari, le Procure saranno onerate di un calcolo che dovrà farsi, per così dire, manualmente, perché il sistema informatico non fa questo genere di elaborazioni, le quali possono presentare in concreto profili problematici, in caso, ad esempio, di plurimi titoli e di periodi di “presofferto”; è facile che si possa incorrere in errori e v’è il rischio che, paradossalmente, si possano ingenerare equivoci negli operatori e negli interessati.
Quindi un adempimento che finisce inutilmente col creare un nuovo onere, non irrilevante, su Procure che già oggi faticano ad emettere tempestivamente gli ordini di esecuzione, senza un reale vantaggio per alcuno.
Nulla, poi, dovrebbe essere previsto per i detenuti in espiazione dell’ergastolo, non essendo rispetto agli stessi ipotizzabile una riduzione di pena “virtuale”.
B) L’art.5 comma 2: La nuova liberazione anticipata
L’art. 5 comma 2 elimina l’obbligo di comunicazione delle liberazioni anticipate concesse d’ufficio. La previsione, volta a sgravare le Sorveglianze di un adempimento di cancelleria, pone due ordini di problemi. Anzitutto, non considera che in tal modo le Procure non sono poste in condizioni di conoscere il provvedimento concessorio e di esercitare tempestivamente la facoltà di reclamo, che non è stata abrogata. Ove confermata in questi termini, la disposizione presenta profili critici, anche di legittimità costituzionale. In secondo luogo, essa pare in insanabile contrasto con la previsione di cui al comma 4 del nuovo art. 69 bis O.P. a mente del quale: “Il provvedimento che concede o nega il riconoscimento del beneficio… è comunicato o notificato senza ritardo ai soggetti indicati nell’art. 127 del codice di procedura penale…”.
Si tratta di una evidente contraddizione che si auspica venga emendata in sede di conversione.
C) L’art. 5 commi 3 e ss.: la nuova procedura di Liberazione anticipata
La nuova disciplina della Liberazione anticipata presenta molteplici profili problematici sia sul piano tecnico giuridico, sia della semplificazione dell’accesso ai benefici che la riforma afferma di voler realizzare.
La disciplina antecedente alla riforma prevedeva una procedura che attivabile solo su istanza di parte fin dal maturare del primo semestre utile. Un meccanismo siffatto ha diversi vantaggi:
-per il detenuto, il quale ha modo di veder concretamente maturare le detrazioni di pena da scontare nel progredire del suo percorso detentivo e, nel contempo, di comprendere, in caso di rigetto, come deve modificare il suo comportamento se vuole accedere al beneficio.
La liberazione anticipata, infatti, non è finalizzata solo alla determinazione della pena finale da scontare in funzione della scarcerazione definitiva o della maturazione del quantum di pena per l’accesso a certi benefici ove richiesto, ma da un lato, come chiarito dalla Corte costituzionale, assolve anche alla finalità della rieducazione, dall’altra favorisce l’osservanza di comportamenti inframurari corretti; essa rassicura il detenuto perché gli fornisce una prospettiva concreta e periodicamente aggiornata rispetto al suo fine pena, e, in tal modo aiuta a stemperare le tensioni che la carcerazione produce; ciò che giova anche alla sicurezza ed alla qualità della vita all’interno degli istituti di pena.
- Per gli uffici la progressiva e tempestiva maturazione delle liberazioni anticipate, semplifica la loro gestione e assicura la determinazione di un fine pena certo, utile non solo ai fini di evitare ritardi nelle scarcerazioni, ma anche ai fini della decisione dell’istanza di misura alternativa o altri benefici premiali.
I problemi attuali della gestione delle Liberazioni anticipate sono legati al numero dei procedimenti pendenti, oggi elevatissimo, e alla dilatazione dei tempi dell’istruttoria quando il detenuto attende periodi lunghi per richiedere la Liberazione anticipata. Il cumulo dei semestri, infatti, complica molto e allunga l’istruttoria per la necessità di chiedere a tanti istituti di pena le relazioni comportamentali e gli atti relativi ai procedimenti disciplinari necessari per la decisione; questi atti non sono disponibili nelle banche dati accessibili al Magistrato, che ha a sua disposizione il solo elenco delle sanzioni disciplinari inflitte, ma devono essere richieste a ciascun carcere, perché ciascun istituto ha gli atti relativi ai periodi che il detenuto ha trascorso in esso, ma non anche quelli delle altre carceri.
Il problema attuale della gestione è però la conseguenza del numero ridotto dei Magistrati di Sorveglianza dovuto al sottodimensionamento degli organici e della cronica carenza di personale nei Tribunali e Uffici di Sorveglianza, costantemente scoperti e financo esclusi dalle risorse del P.n.r.r. per la Giustizia.
Il decreto legge innova profondamente l’impianto procedurale, prevedendo come ipotesi ordinaria la concessione della Liberazione anticipata ex officio, ma collegata a predeterminati snodi processuali (istanza di misura alternativa o di altro beneficio e scarcerazione definitiva), e su istanza di parte solo residualmente, in presenza di uno specifico interesse che il detenuto dovrà allegare ai fini dell’ammissibilità dell’istanza.
La prima ipotesi di concessione ex officio (medio tempore) è delineata al comma 1 del nuovo 69 bis O.P.) il quale prevede che, allorquando sia formulata richiesta di misura alternativa o di altro beneficio, il Magistrato accerta la sussistenza dei presupposti per la liberazione anticipata in relazione ad ogni semestre antecedente, ove rilevante.
In questo caso l’istanza può essere presentata solo a decorrere dal termine di novanta giorni antecedenti al maturare dei presupposti per l’accesso alla misura alternativa alla detenzione o altri benefici premiali, termine individuato applicando “virtualmente” le detrazioni di pena di cui il detenuto beneficerebbe ove gli venissero concesse le detrazioni di pena relative ai semestri di pena fino a quel momento espiata.
La seconda ipotesi di concessione ex officio (finale) è quella prevista al comma 2 del nuovo art. 69 bis O.P., il quale prevede che il Magistrato nei novanta giorni antecedenti al fine pena virtuale (ossia determinato considerando le possibili detrazioni in caso di concessione della liberazione anticipata relativa ai semestri non ancora valutati), accerta la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata, e ciò all’evidenza in funzione di stabilire se sia maturato il tempo della scarcerazione definitiva.
La terza ipotesi (su istanza) è meramente residuale. L’interessato, infatti, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 69 bis O.P. potrà richiedere la concessione di L.A. solo quando vi abbia uno specifico interesse, diverso dai casi in cui il magistrato deve accertare la L.A. d’ufficio, pena l’inammissibilità.
In tal modo, tuttavia, collegando l’accertamento della Liberazione anticipata ad alcuni predeterminati momenti processuali, si crea proprio quell’effetto di cumulo di semestri da valutare che allunga e complica i tempi di istruttoria. Non potendo il detenuto formulare l’istanza se non in casi del tutto residuali e, peraltro, di difficile individuazione, ed essendo il Magistrato tenuto a fare l’accertamento solo in alcuni momenti processuali, questi, di regola, si troverà ad accertare la Liberazione anticipata in relazione a molti semestri e, quindi, la relativa istruttoria sarà di regola sempre complessa e richiederà tempi lunghi.
La circostanza che nell’ipotesi di accertamento medio tempore o incidentale, ossia connesso alla richiesta di misura alternativa o di un beneficio, incomba sul Direttore dell’istituto nel quale il detenuto richiedente è ristretto, l’onere di trasmettere gli atti istruttori, ciò non vale certo a sveltire l’istruttoria; il Direttore, infatti, ha le sole relazioni e gli atti disciplinari relativi ai periodi trascorsi dal detenuto nel suo istituto, ma non anche quelli relativi alla condotta inframuraria dei periodi trascorsi nelle altre carceri e, perciò, dovrà mandare la richiesta di informazione e trasmissione degli atti agli altri istituti e poi fornirli al Magistrato. E poiché il trasferimento del detenuto nel corso della sua carcerazione in diversi istituti è situazione assai frequente, ben si comprende come più numerosi sono i semestri da valutare, più si complica l’istruttoria e si allunga il tempo di definizione del procedimento.
E, analogamente, ciò accadrà quando il Magistrato dovrà procedere d’ufficio nel caso del comma 2 art. 69 bis O.P., ossia in funzione della scarcerazione definitiva, ovvero, quando deve decidere sull’ istanza dell’interessato nell’ipotesi residuale sopra delineata.
Ma v’è di più. La nuova disciplina delineata al comma 1 dell’art. 69 bis O.P. (medio tempore) non solo finisce col dilatare i tempi di istruttoria della Liberazione anticipata, ma incide, aggravandola, sull’istruttoria della misura alternativa o sulla concessione di un beneficio penitenziario. Tali procedimenti, infatti, prima della riforma erano del tutto autonomi dalla liberazione anticipata, in virtù del fatto che il detenuto poteva formulare periodicamente, parallelamente al progredire del suo percorso detentivo, la richiesta di concessione del beneficio, sicché il fine pena era generalmente aggiornato al dato effettivo risultante dalle detrazioni per le L.A. effettivamente concesse. E, in casi in cui al momento di valutazione di una misura alternativa o di un beneficio penitenziario vi fossero istanze di liberazione anticipata pendenti il cui esito fosse rilevante ai fini della determinazione del quantum di pena, nulla vietava all’interessato di segnalarlo all’ufficio ed a quest’ultimo di trattare l’istanza con priorità.
La riforma collega ora l’accertamento ex officio “medio tempore” alla istanza di misura alternativa o di beneficio; nel caso in cui la competenza sulla richiesta di misura alternativa sia del Tribunale di Sorveglianza, l’accertamento della L.A. resta tuttavia del magistrato; comunque si voglia costruire questa sequenza procedimentale (bifasica/incidentale/autonoma), vi sarà comunque la necessità di iscrivere un nuovo procedimento monocratico, all’ esaurimento del quale potrà essere decisa la misura alternativa. E poiché questo rappresenta la regola, tale sequenza “bifasica” sarà l’ipotesi più frequente, con conseguente ulteriore aggravio della procedura.
Problematica appare poi la nuova Liberazione anticipata in caso di procedure di misura alternativa di competenza del Magistrato di Sorveglianza, ossia in caso di esecuzione della pena presso il domicilio di cui alla legge n. 199/2010 per soggetti detenuti che debbano espiare pene inferiori ai diciotto mesi e in caso di richiesta di applicazione in via provvisoria della misura alternativa. Orbene, non è chiaro se in questi casi il Magistrato , investito della richiesta, debba preventivamente accertare la Liberazione anticipata rilevante; in caso affermativo, ci si troverebbe dinanzi ad una contraddizione del sistema, trattandosi di procedure nate per essere concesse con rapidità e, nel caso della provvisoria, sul presupposto dell’urgenza, situazioni entrambe non compatibili con l’ appesantimento e le lungaggini che possono scaturire dall’istruttoria per la valutazione della nuova Liberazione anticipata.
Si può, quindi, con ragione concludere che la nuova disciplina delineata al comma 1 dell’art. 69 bis O.P., ossia quella che interviene medio tempore, non solo finisce col dilatare i tempi di istruttoria della Liberazione anticipata, ma incide, aggravandola, sull’ istruttoria della misura alternativa o sulla concessione di un beneficio penitenziario, giacché la decisione sull’istanza di misura alternativa o su altro beneficio richiede il preventivo accertamento, ove rilevante, di una liberazione anticipata con una istruttoria ora di regola più complessa del passato, quando il fine pena era generalmente aggiornato al dato effettivo risultante dalle detrazioni per le L.A. effettivamente concesse.
V’è, inoltre, il rischio di accertamenti sulla Liberazione anticipata che si traducono in un inutile istruttoria della procedura per la concessione di misure alternative ed altri benefici, perché con la riforma, mancando il costante aggiornamento del fine pena “reale”, l’istanza potrà essere formulata anche da soggetti i quali, pur non avendo ancora raggiunto il quantum di pena effettiva, alleghino tuttavia che con gli sconti di pena della Liberazione anticipata avrebbero il requisito temporale : salvo poi scoprire ad esito di una laboriosa istruttoria che la Liberazione anticipata non può essere concessa per uno o più semestri e che l’istanza di misura alternativa o di altri benefici, alla cui istruttoria si è doverosamente dato corso, è inammissibile. Istruttorie inutili, quindi, che appesantiscono senza motivo i carichi di lavoro delle Sorveglianze.
La seconda ipotesi di concessione ex officio (finale) presenta profili di grave criticità, specie alle luce delle condizioni in cui versano i Tribunali e gli Uffici di Sorveglianza e desta grande preoccupazione in quanto il meccanismo messo in atto potrebbe addirittura favorire ritardate scarcerazioni.
Il comma 2 dell’art. 69 bis O.P. statuisce che entro novanta giorni dalla scadenza del fine pena “virtuale” (ossia quello figurato derivante dall’astratta detrazione dei periodi di liberazione anticipata non ancora valutati), il Magistrato deve valutare i presupposti per la concessione della Liberazione anticipata in relazione ai semestri non ancora valutati.
Si pone qui un problema analogo a quello posto dall’altra ipotesi di accertamento d’ufficio (medio tempore)di cui al comma 1 dell’art. 69 bis O.p., ossia che, essendo ora la Liberazione anticipata d’ufficio concentrata in due soli snodi processuali, si crea quell’effetto di cumulo dei semestri in valutazione che renderà difficilmente osservabile il termine dei novanta giorni per l’espletamento dell’attività istruttoria e la concessione in tempo utile ad evitare scarcerazioni fuori termine.
Ma soprattutto la norma ragiona come se il sistema informatico a disposizione del Magistrato fosse strutturato per tenere uno scadenziario che consenta di monitorare e aggiornare per ogni detenuto il suo fine pena virtuale: ciò che non è, sicché lo scadenziario andrebbe redatto attraverso un laboriosissimo calcolo manuale per ogni persona detenuta.
Si tratta di un adempimento che i Tribunali e gli Uffici di Sorveglianza non sono in grado di sostenere con le risorse attuali.
V’è poi il serissimo rischio di ritardi legati all’istruttoria, ritardi legati ad un’organizzazione dell’esecuzione penale che sconta una scarsissima informatizzazione (si pensi che i registri informatici a distanza di oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore della riforma Cartabia non sono aggiornati per l’annotazione delle pene sostitutive, non esiste fascicolo informatico e il processo è ancora tutto cartaceo) e carenze croniche di personale.
Il nuovo sistema costruisce un meccanismo farraginoso, che rischia di essere confusivo e di ingenerare incertezza su un punto su cui occorre certezza e che occorre costantemente monitorare: ossia l’effettivo ed aggiornato fine pena, in assenza del quale il rischio di ritardi nelle scarcerazioni è elevatissimo.
L’ ipotesi residuale, ossia su istanza di parte di cui al comma 3 dell’art. 69 bis O.P., sanziona a pena di inammissibilità la richiesta di concessione di Liberazione anticipata non motivata da uno specifico interesse. È difficile immaginare quale interesse diverso da quelli sottesi alla procedura ex officio possano configurarsi, sicché l’ipotesi è realmente residuale.
Nondimeno, è ragionevole prevedere che essa darà luogo a molte inammissibilità, perché i detenuti possono comunque presentare la richiesta di un beneficio, salvo poi vedersela dichiarare inammissibile.
Già oggi le ipotesi di inammissibilità rappresentano una parte non insignificante delle procedure iscritte e costituiscono un costo “secco” per tutto il sistema : per il detenuto che vede frustrata la sua aspettativa, per i Tribunali e gli uffici che devono comunque iscrivere, inviare per il parere al Procuratore generale, fare il decreto di inammissibilità e poi notificarlo alle parti; per le difese, alle quali in caso di ammissione al Patrocinio a spese dello Stato ove il procedimento si definisca con la declaratoria di inammissibilità non possono essere liquidati i compensi.
Il sistema delineato dalla riforma appare nel complesso fortemente peggiorativo del preesistente, non solo per gli uffici, come si è più sopra cercato di illustrare, ma anche per la persona detenuta.
Ed invero, chiunque abbia conoscenza del carcere, sa quanto sia importante per le persone detenute poter vedere la loro pena concretamente ed effettivamente ridursi per effetto del riconoscimento delle liberazioni anticipate in parallelo al progredire della loro detenzione.
Dà loro una prospettiva e alimenta una speranza di una vita futura fuori dal circuito penitenziario, aiuta a stemperare la tensione che l’ambiente carcerario inevitabilmente crea, favorisce l’adesione alla proposta rieducativa, inducendo a tenere un comportamento inframurario corretto e rispettoso delle persone e delle regole, pena la perdita del beneficio della decurtazione della pena.
Questo vale anche per coloro che devono scontare pene molto lunghe o addirittura l’ergastolo ed anzi, a maggior ragione, perché si tratta di detenuti che per molto tempo non possono adire ad altri benefici che non sia la liberazione anticipata.
Lo strumento della liberazione anticipata vigente prima del D.L.4.7.2024, ha assolto anche ad un’altra fondamentale funzione, ossia quella di contribuire al mantenimento dell’ordine e della sicurezza negli istituti di pena.
Il sistema delineato dalla riforma, ancorando la concessione del beneficio a determinati momenti processuali, priva le persone detenute della possibilità di conseguire la riduzione della pena cui possono ambire in concomitanza col maturare dei semestri, rinviando l’accertamento al maturare dei requisiti per accedere a misure alternative o a benefici, ovvero all’approssimarsi di un fine pena virtuale. E, accanto a ciò, si aumenta il rischio di incorrere in istanze inammissibili.
È facile prevedere che tutto ciò si tradurrà in un sentimento di diffusa frustrazione e di disillusione, che facilmente tracima nella tensione che alimenta la violenza dentro il carcere, della quale a farne le spese saranno gli stessi detenuti e le persone che in carcere lavorano, ad iniziare dagli operatori di Polizia penitenziaria.
Infine, è da segnalare che manca una disciplina transitoria e, stante la natura “mista” dell’istituto in parola, ciò genera (e in concreto sta già determinando) una grave incertezza sulle questioni di diritto intertemporale. Si tratta di una vistosa lacuna normativa che dovrà essere colmata in sede di conversione.
In conclusione, il sistema delineato dalla riforma, al netto dell’unico snellimento procedurale derivante dalla soppressione della previsione del parere obbligatorio del Pubblico ministero, appare sotto ogni aspetto peggiorativo del regime preesistente : penalizza i detenuti e su essi e sulla sicurezza nelle carceri rischia di avere un impatto molto negativo, dilata i tempi delle procedure istruttorie, onera gli uffici della necessità di adempimenti non sostenibili, non semplifica le procedure, non alleggerisce i carichi di lavoro delle Sorveglianze. E, soprattutto, aggrava esponenzialmente il rischio di ritardi nelle scarcerazioni.
In questo quadro, infine, appare davvero difficile che la nuova disciplina possa produrre l’effetto da tante parti auspicato di ridurre il tasso di sovraffollamento carcerario e v’è anzi il rischio che l’effetto finale prodotto dalla nuova disciplina sia quello di rendere più difficile la fuoriuscita dal circuito penitenziario.
C) L’art. 6: Interventi in materia di corrispondenza telefonica
È apprezzabile la previsione di una implementazione del numero dei colloqui telefonici e settimanali con l’equiparazione della relativa disciplina a quella di cui all’art. 37 D.P.R. n.230/2000. Tuttavia, a fronte della previsione dell’incremento, che sarà comunque futuro e condizionato all’adozione di un apposito regolamento, è indispensabile garantire l’effettività della previsione, la quale è tutt’altro che scontata, tenendo presente che già oggi la fruizione dei colloqui telefonici è penalizzata da una disciplina che impone un lavoro aggiuntivo al personale di Polizia penitenziaria per l’accompagnamento alle sale e la vigilanza; oggi la scarsità di personale rende sempre più difficile assicurare la fruizione dei colloqui telefonici nella misura prevista dalla disciplina vigente e costringe in molti casi a contenere la concessione dei colloqui aggiuntivi previsti dall’art. 39 comma 2 R.E..
Va poi segnalato che molti istituti hanno problemi di connessione e questo penalizza la concreta possibilità di svolgere i colloqui in modalità audiovisiva.
Occorrerebbe in questa materia adottare un deciso cambio di passo. La recente sentenza n.10/2024 della Corte Costituzionale, la quale ha riconosciuto come diritto fondamentale del detenuto quello all’affettività, fornisce una autorevole base per avviare una profonda rivisitazione del sistema dei colloqui, che consenta ai detenuti, con le debite esclusioni, di poter fruire di apparecchi telefonici nelle camere detentive, così da consentire di coltivare quotidianamente la relazione affettiva con i prossimi congiunti e umanizzare la carcerazione. Si tratta di esperienza già ampiamente e positivamente collaudate in altre realtà che, pure, non riservano ai loro detenuti un trattamento meno severo del nostro.
Tale soluzione porrebbe anche fine al traffico di telefonini all’interno del carcere, apparecchi detenuti abusivamente e non controllati e, questi sì, suscettibili di essere impiegati per traffici illeciti.
D) L’art. 8. Disposizioni in materia di strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale dei detenuti
La previsione di elenchi delle comunità terapeutiche e riabilitative per soggetti con dipendenze e soggetti affetti da patologie psichiatriche articolati in sezioni regionali ed il loro monitoraggio è previsione apprezzabile nella logica di una informazione aggiornata sulle risorse presenti sul territorio, come positiva è la previsione di strutture da destinare all’accoglienza di soggetti in condizione di indigenza.
Si tratta, però, di una previsione avente scarsa ricaduta pratica nella gestione dei detenuti tossicodipendenti e di quelli affetti da patologie psichiatriche, soggetti che costituiscono una parte cospicua della nostra popolazione carceraria.
I problemi che quotidianamente la Magistratura di Sorveglianza si trova ad affrontare, prima ancora della carenza delle strutture residenziali, è la mancanza di servizi all’interno del carcere, dal Ser.D al C.S.M., e la mancanza di rete tra la sanità penitenziaria ed il territorio, situazioni che rendono difficile e per alcuni detenuti impossibile la presa in carico, la strutturazione del PRTI ( programma riabilitativo terapeutico individualizzato) e la maturazione di adeguata compliance rispetto ad una offerta terapeutica che contempli l’inserimento comunitario.
Assenti in molte Regioni sono poi le A.T.S.M. - Articolazioni di tutela della salute mentale- destinate alla presa in carico di detenuti che manifestino in carcere gravi patologie psichiatriche ed all’osservazione psichiatrica, di talché i detenuti affetti da patologie psichiatriche anche quando in fase di acuzie, devono essere gestiti nelle sezioni ordinarie con un’offerta terapeutica che, quanto alla psichiatria, è sempre più scarsa, mentre pressoché assente è quella psicoterapeutica e socioassistenziale, le quali, invece, sono indispensabili per costruire dei percorsi di cura alternativi al carcere.
L’elenco delle strutture, pertanto, non risolve alcuno dei problemi esistenti e non servirà in concreto per favorire l’uscita dal circuito penitenziario di detenuti tossicodipendenti e affetti da patologie psichiatriche.
E) L’art. 7. L’esclusione dei detenuti in regime di 41 bis dai programmi di giustizia riparativa
Scarsamente comprensibile appare la ragione per la quale l’art. 7 del D.l. 92/2024 abbia inteso precludere ai soggetti ristretti in regime di cui all’art. 41 bis O.P. l’accesso ai programmi si giustizia riparativa; appare un divieto irragionevole, posto che si preclude una opportunità trattamentale che appare estremamente utile proprio per questa categoria di soggetti, per la cui rieducazione occorre fare un profondo lavoro di stimolo alla riflessione e all’introspezione per favorire processi di revisione critica, quali anche i programmi di giustizia riparativa possono favorire.
Per la sua irragionevolezza la norma presenta profili di criticità costituzionale, sicché è auspicabile che l’esclusione sia eliminata in sede di conversione
F) L’art. 10. La riforma in materia di procedure semplificate
La riforma è apprezzabile, realizzando per questo tipo di procedura l’auspicata semplificazione e snellimento.
Va comunque segnalato che queste procedure riguardano esclusivamente i condannati liberi e non i detenuti, sui quali quindi la novità introdotta non ha alcun effetto. La mancanza di norme di diritto transitorio porrà anche in questo caso problemi interpretativi, con il rischio di orientamenti difformi tra gli uffici.
Proposte di emendamenti e integrazioni
A) Sulla liberazione anticipata
1) L’idea di fondo della riforma, ossia di una liberazione anticipata concessa d’ufficio, appare senz’altro apprezzabile e andrebbe confermata, ma con alcuni importanti aggiustamenti della disciplina.
A) Una prima ipotesi potrebbe essere quella di prevedere che in caso di regolare condotta inframuraria al maturare di uno o più semestri (auspicabilmente non oltre i due), il Direttore dell’istituto trasmetta al Magistrato di Sorveglianza la relazione comportamentale positiva (ossia che attesti l’assenza di condotte di rilievo disciplinare), a seguito della quale l’Ufficio giudiziario provvede con immediatezza concedendo il beneficio.
Si dovrebbe a questo punto riservare all’istanza di parte solo l’accertamento dei semestri non concessi, eventualmente collegando la proposizione della istanza all’indicazione di un interesse specifico; in questi casi il detenuto, che conosce i fatti di rilievo disciplinare che sono stati di ostacolo al riconoscimento del beneficio, valuterà l’opportunità di fare richiesta di L.A. anche per tali semestri; è probabile che in molti casi lo stesso detenuto rinunci, consapevole che il beneficio non sarà concesso a cagione del comportamento gravemente irregolare tenuto.
B) Una ipotesi alternativa potrebbe essere quella per cui, mantenendo fermo il regime ex officio previsto dalla riforma, si reintroduca la Liberazione anticipata su istanza di parte, senza preclusioni; il doppio regime consentirebbe di recuperare i vantaggi del sistema previgente (fine pena reale costantemente aggiornato grazie alle richieste di parte e semplificazione della procedura) e avrebbe in più la garanzia della sua applicazione quando, per i più diversi motivi, l’interessato, pur meritevole, non abbia richiesto l’applicazione del beneficio.
In tutti i casi, occorre essere consapevoli che qualunque sia la scelta in sede di conversione, in mancanza di implementazione del personale addetto alle liberazioni anticipate, l’arretrato già cospicuo si aggraverà, con tutte le conseguenze illustrate del rischio di scarcerazioni tardive.
Sarebbe sufficiente assegnare agli Uffici qualche unità aggiuntiva del personale di Polizia Penitenziaria, magari attingendo dal personale femminile del corpo che non può essere impiegato nelle sezioni maschili, per consentire agli uffici di abbattere l’arretrato e lavorare sul corrente.
In alternativa, occorrerebbe in via d’urgenza disporre l’obbligo di applicazione di personale dell’amministrazione giudiziaria da altri uffici i quali in questi anni si sono giovati, a differenza delle Sorveglianze, degli addetti all’Ufficio per il Processo.
2) Comunicazioni delle Liberazioni anticipate concesse
Occorre eliminare la contraddizione presente nel testo, prevedendo che anche le L.A. concesse ex officiovadano comunicate, specie alle Procure, ciò sia ai fini dell’eventuale reclamo, sia soprattutto, ai fini dell’aggiornamento del fine pena.
3) Disciplina transitoria
Manca del tutto una previsione sul regime intertemporale, la quale è, invece, indispensabile, pena il caos negli uffici e difformità di orientamenti tra gli uffici nell’interpretazione del regime applicabile, tenendo presente delle centinaia di migliaia di istanze tuttora pendenti.
4) Sulle strutture terapeutiche
È indispensabile prevedere l’obbligatoria costituzione dentro gli istituti penitenziari di adeguati presidi sanitari per i tossicodipendenti e i malati psichiatrici, quali il Ser.D e il C.S.M. con la previsione del necessario raccordo con il territorio, indispensabile per la costruzione di programmi terapeutico riabilitativi credibili e sostenibili dal detenuto.
5) Sul 41 bis O.P.
Occorrerebbe eliminare l’esclusione dei soggetti detenuti in regime di cui all’art. 41 bis O.P. dai programmi di giustizia riparativa, così evitando il rischio di recepire una norma di dubbia legittimità costituzionale.
Proposte integrative finalizzate a favorire l’alleggerimento del sovraffollamento carcerario
L’intervento riformatore sulla liberazione anticipata non avrà e non potrà favorire l’alleggerimento del sovraffollamento carcerario, ma, al contrario, potrebbe finire col rallentare la uscita dal circuito penitenziario anche da parte di chi abbia espiato la sua pena.
Un intervento semplice e che potrebbe introdursi in sede di conversione è quello che preveda l’elevazione del limite di pena entro il quale è possibile concedere la detenzione domiciliare ordinaria, portandolo dai due anni attuali ai quattro anni.
Ciò consentirebbe di ampliare la platea dei soggetti detenuti che potrebbero ambire alla misura alternativa alla detenzione, peraltro in una situazione di maggior sicurezza perché sottoposti a più stringenti limitazioni e controlli, ed ai quali potrebbe anche, nei casi necessari, applicare anche speciali modalità di controllo con il cosiddetto “braccialetto elettronico”.
La procedura per la concessione della detenzione domiciliare è, peraltro, più rapida e semplice di quella volta alla concessione dell’affidamento in prova, sicché un tale riforma potrebbe avere un effetto immediato sul sovraffollamento carcerario.
I dubbi di legittimità costituzionale di una tale soluzione non paiono fondati, maggiormente dopo l’entrata in vigore della nuova penalità introdotta con la riforma Cartabi.
Quest’ultima, infatti, ha previsto la possibilità, ad esito del giudizio, della concessione della detenzione domiciliare sostitutiva quando la pena irrogata sia inferiore ai quattro anni. Omologare il limite di pena anche per la corrispondete misura alternativa non solo servirebbe a restituire razionalità al sistema, ma lo renderebbe più equo consentendo a tutti quei soggetti che per la loro pericolosità sociale o per la mancanza di un valido programma non possono ambire alla misura alternativa, di adire alla più rigorosa misura alternativa della detenzione domiciliare, magari con la previsione di poter dopo la metà della pena espiata in D.D. fare istanza di misura alternativa.
Un meccanismo così congegnato consentirebbe anche un più penetrante monitoraggio del detenuto domiciliare e di testarne l’affidabilità in funzione dell’ammissione a misure più ampie secondo un criterio di gradualità o, viceversa, di constatarne l’inaffidabilità.
Gli interventi della Corte costituzionale sulla detenzione domiciliare non ostano ad una eventuale modifica normativa ove rivolta, come qui si propone, ad ampliare la platea degli aspiranti alla misura quale alternativa alla detenzione in carcere e ad una riscrittura della stessa nel nuovo quadro delineato dalla riforma Cartabia.
Immagine: Interior View of the Main Hall of Prison, East Side, which is 6 Stories High, and Contains 600 Cells, 1860/69. Albumen print, stereocard, no. 4318 from the series " Sing Sing Prison Views".