GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​Ricorso alla surrogazione di maternità da parte di una coppia di donne e condizione giuridica del nato. Commento a Trib. Bari, decr. 7 settembre 2022

    Ricorso alla surrogazione di maternità da parte di una coppia di donne e condizione giuridica del nato. Commento a Trib. Bari, decr. 7 settembre 2022

    di Emanuele Bilotti

    Sommario: 1. Il caso e la decisione del Tribunale di Bari - 2. Contestazione dello stato, rettifica di un titolo di stato illegittimo ed ordine pubblico - 3. La pretesa conformità all’ordine pubblico dell’atto di nascita estero - 4. La necessità di rispettare il self-restraint della Corte costituzionale - 5. L’ipotesi della cancellazione integrale della trascrizione - 6. La prospettiva di una duplice adozione in casi particolari - 7. Spunti per una possibile soluzione de iure condendo.

    1. Il caso e la decisione del Tribunale di Bari  

    Nel corso del 2018 l’ufficiale di stato civile del Comune di Bari ha provveduto a trascrivere nell’apposito archivio comunale un atto di nascita formato all’estero – in particolare, nello Stato della California – recante l’indicazione della maternità di due donne. Queste ultime, dopo aver contratto matrimonio nello Stato di New York, avevano infatti stipulato un contratto di maternità surrogata con una terza donna, commissionandole la gestazione di un embrione formato col seme di un cd. donatore (anonimo) e con l’ovocita prelevato da una di esse.

    Dopo un iniziale diniego, l’autorità amministrativa competente ha provveduto alla trascrizione in autotutela. E ciò nonostante che l’art. 65 della l. n. 218 del 1995 disponga che i provvedimenti stranieri relativi all’esistenza di rapporti familiari hanno effetto in Italia – e sono perciò suscettibili di trascrizione nei registri dello stato civile – solo se non siano contrari all’ordine pubblico.

    Invero, tale contrarietà è divenuta un dato acquisito nel diritto vivente solo a seguito dell’importante decisione della Corte di cassazione a sezioni unite del maggio del 2019[1]. Nondimeno, fin dal 2014 la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto un principio di ordine pubblico nel divieto di maternità surrogata di cui all’art. 12, co. 6, della l. n. 40 del 2004. In particolare, in quell’occasione, la Suprema Corte aveva affermato che quel divieto, la cui violazione è tuttora penalmente sanzionata, deve ritenersi posto a tutela di “beni giuridici fondamentali”: “la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione”, al quale soltanto “l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”[2]. Inoltre, alla fine del 2017, anche la Corte costituzionale aveva avuto modo di affermare che la pratica della maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”[3].

    Già certe prese di posizione dovevano dunque far ritenere che anche l’accertamento ab initio dello status artificiale perseguito dai committenti non potesse considerarsi una soluzione conforme all’ordine pubblico. Come poi hanno chiarito anche le sezioni unite, infatti, un simile accertamento non è compatibile con la scelta proibizionista dell’ordinamento, giacché consente di realizzare proprio il risultato avuto di mira dagli adulti attraverso il ricorso alla maternità surrogata. Né questa soluzione poteva apparire pregiudizievole per l’interesse del minore alla stabilità dei rapporti affettivi in atto, dato che, fin dal 2016, proprio al fine di garantire tale stabilità la giurisprudenza di legittimità aveva fatto proprio l’orientamento favorevole al ricorso all’adozione in casi particolari[4].

    Già all’epoca della trascrizione poteva allora ritenersi quanto poi comunque affermato con chiarezza dalle sezioni unite nel maggio del 2019: la contrarietà all’ordine pubblico dei provvedimenti stranieri che accertino certi rapporti genitoriali puramente intenzionali. E perciò anche l’impossibilità di procedere alla loro trascrizione nei registri dello stato civile. E con ciò anche l’illegittimità della trascrizione eseguita.

    Nondimeno alla trascrizione operata dall’ufficiale di stato civile del Comune di Bari non ha fatto séguito alcuna iniziativa volta a contestarne la legittimità. Solo nel corso del 2021, quando già da alcuni anni quella trascrizione autorizzava a ritenere che l’atto di nascita californiano producesse effetti anche nell’ordinamento italiano, entrato in crisi il rapporto di coppia tra le due “madri”, i genitori della donna legata geneticamente al nato – nel caso di specie una bambina – hanno chiesto al pubblico ministero di attivarsi per la cancellazione dalla trascrizione del solo nominativo della cd. madre intenzionale (rectius: della committente priva di legame genetico col nato).

    A tal fine il pubblico ministero ha ritenuto di proporre un ricorso ex art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000, avviando così, dinanzi al competente Tribunale di Bari, un procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile. Il giudice adìto ha deciso per il rigetto della domanda sulla base di un ragionamento piuttosto articolato. Al suo interno sembrano comunque potersi distinguere due percorsi argomentativi sostanzialmente autonomi, ciascuno dei quali, a ben vedere, ove corretto, sarebbe stato sufficiente a giustificare la decisione assunta.

    In particolare, un primo percorso argomentativo avrebbe potuto condurre a una pronuncia di rigetto già in virtù dell’asserita impossibilità di azionare il procedimento di rettificazione per ottenere la cancellazione del solo nominativo della cd. madre intenzionale. Un secondo percorso argomentativo avrebbe invece potuto condurre al medesimo risultato in virtù della pretesa necessità di una lettura “costituzionalmente orientata” dell’art. 8 della l. n. 40 del 2004: una lettura che, allo scopo di superare la decisione delle sezioni unite del 2019, il Tribunale di Bari tenta di accreditare sulla scorta dei recenti pronunciamenti in materia della Corte costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

    Senonché, come si cercherà sùbito di chiarire, nessuno dei due percorsi indicati appare davvero fondato. E forse è proprio la consapevolezza della debolezza dell’uno e dell’altro ad aver fatto sì che il Tribunale di Bari li abbia proposti entrambi, sebbene si tratti di due argomentazioni autonome ed assorbenti. L’esito attinto non sembra comunque condivisibile. Ma forse, come si proverà a chiarire, neppure la soluzione prospettata dal pubblico ministero – la cancellazione del nominativo di una sola delle committenti – sarebbe stata davvero adeguata. 

    2. Contestazione dello stato, rettifica di un titolo di stato illegittimo ed ordine pubblico  

    Il primo percorso argomentativo seguìto dal Tribunale di Bari – quello emergente dalla lettura dei paragrafi 3, 4 e 5 del decreto – muove dalla constatazione che il pubblico ministero “si è limitato a chiedere la sola cancellazione della indicazione del genitore d’intenzione e non già dell’intero atto” (rectius: della sua trascrizione). Per il giudice adìto, allora, la questione posta alla sua attenzione riguarderebbe “non già la legittimità della trascrizione ex se ma l’attribuzione dello status di figlio del nato rispetto alla madre intenzionale”.

    Si tratterebbe insomma – se ben s’intende il ragionamento del Tribunale di Bari – di una questione direttamente relativa allo stato e non al titolo di esso. In effetti, sempre secondo il Tribunale di Bari, nel caso di specie “la possibilità di azionare il procedimento ex art. 95 [andrebbe] esclusa”. Nel decreto in esame, del resto, si legge pure che “la Procura ha contestato lo stato di figlio in relazione al genitore intenzionale secondo la legge italiana…”. E si sostiene invece che tale “contestazione” avrebbe dovuto essere effettuata in base alla legge dello Stato della California ai sensi dell’art. 33 della legge n. 218 del 1995.

    La legge californiana dovrebbe infatti essere considerata come “legge più favorevole per la minore”, dato che le consente “di ottenere lo status filiationis con riferimento a entrambi i soggetti che hanno partecipato – sebbene mediante gestazione per altri – al progetto genitoriale”. Per il giudice barese, infatti, legge “più favorevole” è senz’altro “quella che garantisce il maggior riconoscimento [dello] status [filiationis]”.

    Il Tribunale di Bari ritiene, in sostanza, che, in virtù dell’identificazione della “materia del contendere” operata con la domanda del pubblico ministero (“la sola cancellazione della indicazione del genitore di intenzione e non già dell’intero atto”), “il profilo della conformità all’ordine pubblico della trascrizione di atti implicanti l’utilizzo di tecniche di concepimento non ammesse nell’ordinamento italiano” sarebbe destinato a perdere qualsiasi rilevanza. La domanda proposta sarebbe volta piuttosto alla contestazione dello status filiationis rispetto al cd. genitore intenzionale: contestazione che dovrebbe però farsi valere in base alla legge nel cui rispetto è stato formato l’atto di nascita trascritto, e dunque in base alla legge californiana. Si tratterebbe allora, con ogni evidenza, di una domanda priva di fondamento.

    Il ragionamento svolto dal Tribunale di Bari, soprattutto nella sua porzione più propriamente internazionalprivatistica (quella sull’applicabilità della legge californiana), appare invero piuttosto confuso. Non sembra tuttavia utile tentare qui una sua più precisa ricostruzione. Né sembra produttivo attardarsi nell’analisi critica di certi svolgimenti. E ciò perché è la stessa premessa del ragionamento a non sembrare condivisibile, e cioè l’idea che il pubblico ministero, limitando la domanda alla sola cancellazione della genitorialità puramente intenzionale accertata all’estero, avrebbe in realtà sollevato una questione relativa allo stato e non al titolo di esso. Né sembra minimamente condivisibile, d’altra parte, che la questione dell’ordine pubblico potrebbe perciò essere messa da parte.

    Sul primo punto è bene osservare anzitutto che, nel presupposto della contrarietà all’ordine pubblico di certi provvedimenti stranieri, la loro trascrizione non può che ritenersi contra legem, almeno nella parte relativa al rapporto genitoriale puramente intenzionale. Ora, non vi è dubbio che il rimedio deputato alla rimozione di tale illegittimità, sia essa totale o parziale, è comunque il procedimento di rettificazione di cui all’art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000. In effetti, anche la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire in più occasioni che quel procedimento serve ad eliminare le difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quella che risulta dall’atto di stato civile: una difformità dovuta a un vizio, comunque e da chiunque originato, nel procedimento di formazione dell’atto stesso[5].

    Ebbene, nel caso di specie, la domanda del pubblico ministero, nonostante la sua formulazione parziale, è volta pur sempre a ripristinare la conformità tra lo stato del nato secundum legem e quanto invece pubblicamente documentato contra legem dal titolo dello stato che si è formato in conseguenza della trascrizione di un atto estero contrario all’ordine pubblico. In ogni caso, dunque, non si tratta, con ogni evidenza, di una domanda che pone una questione di stato. In discussione è pur sempre l’illegittima formazione del titolo. E quindi la necessità di ripristinarne la conformità alla legge. Non si vede allora come si possa sostenere che il “profilo della conformità all’ordine pubblico della trascrizione” debba o meno rilevare a seconda della maggiore o minore ampiezza della domanda formulata del pubblico ministero, che comunque è e resta una domanda di rettificazione.

    In ogni caso, poi, anche a voler assecondare l’originale idea del Tribunale di Bari – quella per cui il pubblico ministero, essendosi limitato a chiedere la sola cancellazione del nominativo del genitore intenzionale, avrebbe in realtà contestato lo stato della bambina rispetto alla cd. madre intenzionale – e l’ulteriore svolgimento argomentativo secondo cui la contestazione dello stato dovrebbe essere decisa dal giudice italiano in base alla legge straniera di formazione dell’atto trascritto, il limite dell’ordine pubblico verrebbe comunque in considerazione nell’applicazione di questa legge.

    Appare così manifesta l’inconcludenza del tentativo del giudice barese di risolvere la questione posta alla sua attenzione eludendo il problema della contrarietà o meno all’ordine pubblico dell’accertamento estero di uno status genitoriale puramente intenzionale in caso di ricorso alla surrogazione di maternità.

    3. La pretesa conformità all’ordine pubblico dell’atto di nascita estero

    Ciò posto si può passare a considerare il secondo percorso argomentativo proposto dal Tribunale di Bari: quello che, nei paragrafi 6 e 7 della motivazione del decreto, affronta direttamente la questione indicata da ultimo, provando a sostenere che, dopo le sentenze n. 32 e n. 33 del 2021 della Corte costituzionale[6], l’accertamento estero di un rapporto genitoriale puramente intenzionale non potrebbe considerarsi contrario all’ordine pubblico neppure in caso di nascita da una madre surrogata.

    Il tentativo di mettere in discussione la soluzione delle sezioni unite del 2019 muove più precisamente da quanto affermato dalla Corte costituzionale in ordine all’insufficienza dell’adozione in casi particolari quale meccanismo deputato alla formalizzazione del rapporto di cura genitoriale intercorrente de facto tra il nato e chi abbia fatto ricorso a una pratica fecondativa vietata senza però offrire alcun contributo genetico alla generazione.

    Infatti, a dire del giudice barese, “le sentenze della Corte Costituzionale n. 32 e 33 [avrebbero] di fatto confutato la pronuncia delle Sezioni Unite n. 12193/2019 nella parte in cui ritiene che l’interesse del minore nato da GPA sia adeguatamente tutelato mediante lo strumento dell’adozione in casi particolari da parte del genitore intenzionale, auspicando un adeguato intervento del legislatore”. E ciò perché – così si legge ancóra nel decreto in esame – “l’adozione ex art. 44, lett. d), l. 184/83 non [sarebbe] uno strumento di tutela del minore idoneo e rapido, ed in quanto tale [sarebbe] incompatibile con i principi costituzionali (art. 2, 30 Cost.) e con l’art. 8 CEDU”.

    Il Tribunale di Bari ritiene quindi che, in conseguenza di certe decisioni del Giudice delle leggi, si sarebbe prodotto un “vuoto legislativo” e che tale vuoto “[potrebbe] e [dovrebbe] essere superato dal giudice del caso concreto” attraverso “una lettura costituzionalmente orientata della legge n. 40/2004”, in particolare dell’art. 8. Per il giudice di Bari, infatti, questa norma, nell’interesse del nato, dovrebbe consentire l’accertamento ab initio di rapporti genitoriali puramente intenzionali non solo nelle ipotesi ora eccezionalmente ammesse dalla legge di ricorso alla fecondazione eterologa, ma anche in ogni caso di ricorso a tecniche vietate, e dunque anche in caso di surrogazione di maternità[7].

    L’idea del Tribunale di Bari è dunque che, finché il legislatore non avrà dato séguito all’invito del Giudice delle leggi, elaborando un adeguato meccanismo di formalizzazione dei rapporti di cura genitoriale puramente intenzionali conseguenti al ricorso alla surrogazione di maternità, la trascrizione dei provvedimenti stranieri che accertino il carattere propriamente genitoriale di quei rapporti non potrebbe più considerarsi contraria all’ordine pubblico. E ciò perché, allo stato, in caso di nascita all’estero da una madre surrogata, la trascrizione del provvedimento straniero rappresenterebbe il solo meccanismo attraverso cui impedire un pregiudizio grave a carico di un valore primario della persona.

    L’idea che l’intervento della Corte costituzionale avrebbe aperto un vuoto di tutela che dovrebbe ora essere colmato dall’interprete, ridefinendo – e superando – il limite dell’ordine pubblico, accomuna l’argomentazione del giudice barese a quella recentemente elaborata dalla prima sezione civile della Suprema Corte in un’ordinanza interlocutoria di gennaio 2022, con la quale si è chiesto un nuovo intervento delle sezioni unite affinché possano riconsiderare la propria decisione di maggio del 2019, tenendo conto della denunciata inadeguatezza dell’adozione in casi particolari a farsi carico delle esigenze connesse al superiore interesse del minore[8].

    L’approdo del Tribunale di Bari appare invero assai meno circoscritto di quello cui perviene l’ordinanza indicata. Infatti, mentre il Tribunale di Bari non sembra porre alcun limite alla trascrivibilità dei provvedimenti stranieri, per i giudici della prima sezione civile della Corte di cassazione l’eccezione di ordine pubblico potrebbe invece essere disattivata soltanto laddove il ricorso alla maternità surrogata appaia rispettoso di una serie di condizioni: il carattere libero e consapevole della scelta della madre surrogata, la sua indipendenza da contropartite economiche, la sua revocabilità fino alla nascita del bambino, la possibilità per la coppia committente di accedere alle procedure di adozione nel rispetto delle prescrizioni di legge, la sussistenza di un contributo genetico alla procreazione da parte di almeno uno dei committenti[9].

    4. La necessità di rispettare il self-restraint della Corte costituzionale

    Le due pronunce – il decreto del Tribunale di Bari e l’ordinanza della Suprema Corte – muovono evidentemente da una comune lettura delle indicate decisioni della Corte costituzionale: una lettura che non sembra però condivisibile e che appare anzi parziale e tendenziosa.

    Beninteso, è certamente vero che il Giudice delle leggi ha denunciato con chiarezza l’insufficienza della tutela dei nati contra legem che si realizzi per il tramite dell’adozione in casi particolari. Ma è vero anche che quel Giudice non ha comunque fatto proprie le prospettazioni dei giudici rimettenti che avrebbero condotto ad avallare soluzioni come quelle accolte nel decreto del Tribunale di Bari o prefigurate nell’ordinanza interlocutoria della Suprema Corte di gennaio del 2022, e cioè l’ipotesi di un accertamento ab initio di una “genitorialità” puramente intenzionale anche in casi di ricorso a pratiche vietate, e dunque anche in tutti i casi o in taluni casi di nascita da una madre surrogata.

    In effetti, se il Giudice delle leggi avesse considerato praticabili certe soluzioni al fine di garantire l’interesse alla stabilità affettiva dei nati contra legem, si sarebbe espresso nel senso dell’accoglimento delle questioni di legittimità prospettate. O avrebbe pronunciato delle sentenze di rigetto interpretative. Ed invece, sia nel caso di nascita in Italia a seguito di ricorso vietato alla fecondazione eterologa sia nel caso della nascita da madre surrogata, la Corte costituzionale ha mostrato di riconoscere in certi automatismi un elemento di grave contraddizione con i divieti di legge. Al Giudice delle leggi, in altri termini, non è sfuggito che l’automatismo della formazione dell’atto di nascita o della trascrizione dell’atto straniero finiscono comunque per dar corso a una legittimazione surrettizia di pratiche vietate[10].

    Certamente l’interesse della persona alla stabilità dei rapporti affettivi in atto può e deve essere tutelato dal legislatore in maniera piena. E questo risultato anche per la Corte costituzionale non sembra davvero raggiungibile mediante l’adozione in casi particolari, almeno per come essa è attualmente disciplinata. Ciò non significa però che l’ordinamento debba arrendersi alla logica del fatto compiuto.

    L’indicazione che emerge dalle decisioni della Corte è chiaramente nel senso che una soluzione deve essere comunque individuata dal legislatore in una prospettiva “rimediale”: una prospettiva nella quale, lasciando da parte ogni automatismo, deve essere possibile realizzare insieme la tutela piena del nato e il giusto rigore nel rispetto delle scelte proibizioniste dell’ordinamento. Si tratta, più precisamente, di riconoscere al nato tutti i diritti del figlio anche nei confronti del cd. genitore intenzionale ma solo all’esito di una concreta verifica giudiziale di conformità all’interesse del minore[11].

    È pur vero, come si diceva, che una pronuncia di inammissibilità per non invadere gli spazi della discrezionalità del legislatore ha richiamato l’attenzione di quest’ultimo su taluni profili di inadeguatezza del “rimedio” escogitato dalla giurisprudenza ordinaria attraverso il riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari. Non sembra però corretto affermare che, nell’attesa di un intervento finalmente risolutivo del legislatore, la decisione della Corte costituzionale ha prodotto un “vuoto legislativo”. Ed infatti “una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali” – così si esprime il Giudice delle leggi – non può comunque essere considerata una tutela inesistente.

    Non si vede, d’altra parte, come un giudice ordinario possa penetrare quell’ambito di discrezionalità del legislatore che la decisione di self-restraint della Corte costituzionale ha invece inteso preservare[12]. In effetti, se il Giudice delle leggi ha potuto indicare un simile percorso di collaborazione istituzionale, è perché ha valutato che, in termini di garanzia dei valori primari della persona, il costo di una tutela dei nati contra legem “ancora non del tutto adeguata” è comunque più sopportabile del costo connesso a un automatismo nell’accertamento genitoriale che contraddice ipocritamente la scelta proibizionista dell’ordinamento ed i valori ad essa sottesi.

    Il giudice ordinario non può dunque pretendere di contrapporre ad una simile valutazione della Corte costituzionale una propria valutazione alternativa. Certamente non può farlo col mezzo dell’interpretazione costituzionalmente conforme. Tale tecnica ermeneutica, infatti, nei limiti consentiti dall’elasticità del dato normativo, può – e deve – essere utilizzata dalla giurisprudenza al fine di evitare l’incidente di costituzionalità, ma non al fine di rimettere in discussione un equilibrio di valori già indicato con chiarezza dal Giudice delle leggi. È solo attraverso la proposizione di una nuova eccezione di legittimità costituzionale che il giudice ordinario potrà indurre la Corte costituzionale a riconsiderare la propria posizione a fronte di un’inerzia prolungata del legislatore.

    Anche nel caso in esame, allora, una volta ripristinata la legalità violata dalla trascrizione, l’adozione in casi particolari avrebbe ancóra potuto – e dovuto – venire in considerazione come unico “rimedio” messo a disposizione dall’ordinamento a tutela dell’interesse del minore alla stabilità dei rapporti di cura genitoriale in atto. Tanto più che, frattanto, un’altra decisione della Corte costituzionale ha risolto uno degli aspetti problematici rilevati con riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari, riconoscendo che anche in questi casi particolari l’adottato intrattiene rapporti di parentela con i parenti degli adottanti[13]. Inoltre, come si dirà più avanti, nel particolare caso di specie il problema posto dalla necessità del consenso del genitore all’adozione ex art. 46 l. n. 184/1983 neppure si sarebbe posto.

    D’altra parte, anche la Corte di Strasburgo ha chiarito che, in un ordinamento proibizionista, non è affatto necessario che il rapporto del nato da madre surrogata col committente privo di legame genetico con esso sia formalizzato ab initio mediante trascrizione del provvedimento estero che ne accerti il carattere genitoriale[14]. Il rispetto della vita privata e familiare del nato richiede nondimeno che la procedura alternativa a tal fine prevista dal singolo ordinamento – una procedura che, si ammette, può anche essere di tipo adottivo – consenta di conseguire quel risultato in una maniera agevole sempreché risulti la corrispondenza del rapporto di cura in atto con l’interesse del minore[15].

    In verità, il Tribunale di Bari tenta anche di accreditare l’idea che per il Giudice delle leggi l’adozione in casi particolari non sarebbe uno strumento di tutela del minore abbastanza “rapido”. A ben vedere, tuttavia, nessuna delle ragioni di inadeguatezza rilevate dalla Corte costituzionale nella disciplina dell’adozione in casi particolari – il mancato riconoscimento di una genitorialità piena in capo all’adottante, l’impossibilità dell’adozione in mancanza di assenso del genitore biologico, la pretesa insussistenza di rapporti di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante – riguarda la sua idoneità a consentire, come dicono i giudici di Strasburgo, una “pronta” formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto.

    Come già si è avuto modo di ricordare, del resto, gli stessi giudici di Strasburgo affermano chiaramente che anche una procedura adottiva può ben soddisfare l’indicata esigenza di “pronta” formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto. E certo non si può pensare che la Corte europea intendesse far riferimento solo a procedure adottive che non espongano il minore ai tempi di un giudizio. D’altra parte, se il requisito della “prontezza” dovesse intendersi nel senso di immediatezza, la riconosciuta legittimità di meccanismi di formalizzazione dei rapporti di cura in atto diversi dalla trascrizione del provvedimento straniero perderebbe qualsiasi significato. L’esigenza di “prontezza” deve piuttosto intendersi nel senso che l’accertamento in concreto del rapporto in atto e della sua rispondenza all’interesse del minore deve realizzarsi in maniera agile e spedita. E certo non è sotto questo profilo che la Corte costituzionale censura la disciplina dell’adozione in casi particolari.

    5. L’ipotesi della cancellazione integrale della trascrizione

    Nessuno dei percorsi argomentativi elaborati dal Tribunale di Bari sembra dunque persuasivo al fine di motivare il rigetto della domanda del pubblico ministero. Non pare discutibile, in altri termini, l’illegittimità della trascrizione a suo tempo operata e la rilevanza di tale illegittimità al fine di decidere sulla domanda del pubblico ministero. Si ritiene con ciò di non poter condividere la decisione di rigetto assunta dal Tribunale di Bari. Eppure, come già si è avuto modo di osservare, non sarebbe stata forse meno problematica anche una decisione di accoglimento nel senso prospettato nella domanda, e cioè una decisione che avesse disposto la cancellazione della sola maternità della committente priva di legame genetico con la bambina.

    In effetti, la sollecitazione rivolta al pubblico ministero ad attivarsi in tal senso – una sollecitazione maturata in un contesto di crisi di coppia – in realtà non è altro che una mera strumentalizzazione del legame di sangue al solo fine di estromettere dalla vita della bambina una donna con la quale si è comunque consolidato negli anni un rapporto di cura genitoriale non dissimile da quello instauratosi con l’altra committente. E ciò, com’è evidente, non certo nell’interesse della bambina, ma solo per ragioni connesse appunto al conflitto di coppia, che può talora esasperare, nel rapporto con i figli, logiche adultocentriche di tipo proprietario.

    Bisogna inoltre considerare che, in difetto del presupposto del parto, anche l’accertamento della maternità della committente, che pure ha messo a disposizione il gamete femminile, appare alquanto problematico. E ciò sia che si ritenga che per la legge italiana la fattispecie costitutiva della maternità si esaurisca nel parto sia che si acceda alla diversa tesi – invero maggiormente condivisibile – secondo cui, almeno di regola, l’attribuzione della maternità consegue al concorso del dato genetico e di quello biologico, e dunque al concepimento e alla gestazione[16]. In ogni caso, infatti, nessuna norma attribuisce la maternità alla donna che abbia semplicemente messo a disposizione l’ovocita per la fecondazione in vitro. Neppure laddove ciò sia avvenuto, come nel caso di specie, in vista della realizzazione di un progetto genitoriale riferibile alla stessa donna.

    A ciò potrebbe aggiungersi anche una considerazione di carattere più generale: la difficoltà di giustificare un diverso trattamento di due soggetti che pure hanno insieme fatto ricorso alla pratica degradante della surrogazione di maternità al fine di realizzare un comune progetto genitoriale. A rigore, infatti, il limite dell’ordine pubblico dovrebbe impedire il riconoscimento dell’accertamento estero dello status in capo a entrambi i committenti[17].

    In verità, la giurisprudenza unanime e la dottrina di gran lunga prevalente ritengono indiscutibile almeno l’accertamento della genitorialità del committente di sesso maschile che abbia fornito il materiale genetico per la formazione dell’embrione impiantato nell’utero della madre surrogata [18]. E ciò perché questi potrebbe comunque riconoscere il nato[19]. Non sembra tuttavia che un simile argomento, anche a volerne ritenere la fondatezza, possa farsi valere anche nel caso in cui la maternità surrogata sia stata commissionata da una coppia di donne, dato che, come si è visto, la donna legata geneticamente al nato, non avendolo anche partorito, non potrebbe comunque riconoscerlo.

    La cancellazione integrale della trascrizione non era dunque una soluzione impraticabile. Del resto, a differenza di quel che sembra ritenere il giudice adìto, che parla più volte di un’identificazione della “materia del contendere” sulla base della domanda del pubblico ministero, in un giudizio di rettificazione, che invero non sembra ascrivibile all’area della giurisdizione contenziosa[20], la formulazione della domanda non dovrebbe rappresentare un limite invalicabile per la decisione del giudice[21].

    6. La prospettiva di una duplice adozione in casi particolari

    Anche la soluzione della cancellazione integrale della trascrizione appare però estremamente problematica ove si considerino le sue conseguenze sullo status della bambina. Quest’ultima sarebbe infatti passata dall’avere due mamme a non averne più nessuna. D’altra parte, anche a voler ritenere la maternità della donna che ha partorito (una soluzione, questa, che non sembra invero impraticabile in una logica sanzionatoria[22]), bisogna comunque prendere atto che questa donna, consegnando la neonata alle committenti, ha rinunciato a farsi carico di ogni responsabilità nei suoi confronti.

    Si comprende allora perché, di fronte alla prospettiva della cancellazione di qualsiasi status filiationis pur in presenza di rapporti di cura genitoriale ormai consolidati ed efficienti, il Tribunale di Bari abbia preferito trarsi d’impaccio e confermare la trascrizione nella sua integrità. In effetti, una soluzione che non garantisse la stabilità dei rapporti di cura in atto finirebbe inevitabilmente per frustrare un valore primario dell’individuo: un valore che sia la Corte di Strasburgo sia la Corte costituzionale hanno riconosciuto fondato, rispettivamente, nell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed anche negli artt. 2 e 30 Cost.

    Ma con ciò divengono pure comprensibili le difficoltà – invero non superabili – dello sforzo argomentativo profuso dal giudice barese. Quest’ultimo si è trovato nella difficile situazione di dover motivare una soluzione – la conferma della trascrizione nella sua integrità – certamente contra legem, ma ritenuta nondimeno ineludibile per la pretesa esigenza di scongiurare il pregiudizio di un valore primario della persona. Con ciò il decreto del Tribunale di Bari deve allora essere riconosciuto – e conseguentemente valutato – per quello che è: una decisione “pura”, in cui l’urgenza di una situazione di vita che esige risposta fa prevalere la forza dei fatti sull’ideale di una rigorosa chiusura del sistema normativo.

    In verità, nella perdurante assenza di un intervento del legislatore volto a regolare la condizione giuridica dei nati in violazione dei divieti di cui alla legge n. 40 del 2004, anche lo spinoso problema posto dalla cancellazione integrale della trascrizione avrebbe forse potuto trovare una soluzione adeguata nel riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari. Più precisamente, nel caso di specie, si sarebbe potuto prospettare il ricorso a quella disciplina al fine di formalizzare non solo il rapporto di cura genitoriale in atto con la committente priva di legame genetico con la bambina, ma anche il rapporto con l’altra committente, quella che ha fornito l’ovocita. Si sarebbe così evitata quell’impressione spiacevole di una resa incondizionata del sistema alla logica del fatto compiuto.

    Certo anche questa soluzione avrebbe determinato una qualche forzatura del dato sistematico. Tale forzatura si sarebbe però prodotta in una direzione già ampiamente sperimentata dal diritto vivente. Si è già avuto modo di ricordare, infatti, che dell’art. 44, lett. d), della legge n. 184 del 1983 si è ormai imposta una lettura “creativa” per cui quella norma varrebbe a formalizzare qualsiasi rapporto genitoriale de facto che non risulti in concreto pregiudizievole per l’interesse del minore[23]. Non si vede allora per quale ragione, in ogni caso di nascita da madre surrogata, e dunque anche al di là del particolare caso di specie, non si potrebbe far riferimento a questa previsione normativa per formalizzare i rapporti in atto con entrambi i committenti.

    È senz’altro vero, poi, che la soluzione prospettata sarebbe comunque rimasta affidata ad un’ulteriore iniziativa delle committenti. L’adozione in casi particolari, infatti, non è mai capace di imporsi agli adulti. Ma almeno sarebbe stato risolto il problema della necessità dell’assenso del genitore all’adozione da parte dell’altro componente della coppia committente: un assenso che, in caso di sopravvenuta crisi di coppia, potrebbe anche essere negato[24]. In effetti, in un caso come quello in esame, una volta cancellata la trascrizione, non vi sarebbe alcun genitore che dovrebbe prestare il proprio assenso all’adozione ex art. 44, lett. d), cit.

    7. Spunti per una possibile soluzione de iure condendo

    Fin qui l’analisi critica del decreto del Tribunale di Bari. La particolarità del caso e l’estrema problematicità della sua decisione attestano nondimeno, una volta di più, l’urgenza – opportunamente rimarcata anche dalla Corte costituzionale – di un intervento del legislatore finalmente capace di garantire al nato da madre surrogata una tutela che sia insieme piena e non incoerente con la valutazione negativa espressa dall’ordinamento nei confronti della pratica in questione.

    Invero, al riguardo la Corte costituzionale, prendendo le distanze in maniera inequivocabile dall’automatismo della trascrizione dell’atto straniero, ha già messo in chiaro come l’unica strada percorribile sia quella di consentire al minore di far valere, nei confronti dei committenti, tutti i diritti propri del figlio a seguito di un concreto accertamento giudiziale della conformità dei rapporti in atto al suo superiore interesse. Ciò posto, appare però alquanto problematica l’idea diffusa – avallata dalla stessa Corte costituzionale – secondo cui, per garantire un simile risultato, basterebbe apportare solo pochi correttivi alla disciplina dell’adozione in casi particolari. In realtà, come già si è provato ad osservare in altra sede, qualsiasi soluzione di tipo adottivo sarebbe comunque insoddisfacente[25].

    E ciò, innanzitutto, proprio in considerazione della finalità di assicurare al nato una tutela piena. Mediante l’adozione, infatti, il nato non si vedrebbe comunque riconosciuto un diritto alla costituzione dello status nei confronti dei committenti[26]. In effetti, neppure laddove permette la formalizzazione di rapporti di cura in atto, l’adozione consente al minore di “rivendicare” il rapporto genitoriale nei confronti degli adulti. E però, se davvero la garanzia del diritto del nato da madre surrogata al rispetto della propria vita privata richiede la formalizzazione dei rapporti in atto con i committenti, allora questa formalizzazione non può che essere oggetto di un suo diritto[27].

    D’altra parte, la soluzione dell’adozione in casi particolari appare inadeguata anche se ci si pone nella diversa prospettiva di non contraddire la scelta proibizionista dell’ordinamento. E ciò perché la legittimazione ad attivare quel meccanismo di tutela dell’interesse del minore è comunque riconosciuta agli stessi adulti che hanno inteso realizzare il proprio desiderio di genitorialità attraverso il ricorso a una pratica degradante che l’ordinamento disapprova[28].

    Una disciplina autenticamente rimediale a tutela dei nati contra legem dovrebbe allora abbandonare il modello adottivo e trovare piuttosto collocazione nell’apposito capo della legge n. 40 del 2004 recante “Disposizioni a tutela del nascituro”, avendo cura di distinguere il caso del ricorso all’eterologa da parte di una coppia di donne da quello del ricorso alla maternità surrogata.

    Infatti, mentre nel primo caso sembra opportuna una disciplina che differenzi la posizione delle due componenti della coppia, in considerazione del fatto che una di esse ha comunque portato avanti la gravidanza, nel caso della surrogazione di maternità[29], invece, il potere di “rivendicare” i diritti propri del figlio a seguito di un concreto accertamento giudiziale di conformità all’interesse del minore dovrebbe essere riconosciuto allo stesso minore, il quale potrebbe farlo valere, nei confronti di entrambi i committenti, attraverso un curatore speciale nominato dal giudice.

    In tal modo i componenti della coppia committente sarebbero posti su uno stesso piano, eventualmente disattivando le norme codicistiche che, secondo l’opinione prevalente, consentirebbero altrimenti l’accertamento dello status in capo al committente di sesso maschile che abbia messo a disposizione il proprio seme per la formazione dell’embrione impiantato nell’utero della madre surrogata.

    Come già si è avuto modo di rilevare, infatti, proprio la peculiarità del caso venuto all’attenzione del Tribunale di Bari, in cui la surrogazione è stata commissionata da una coppia di donne, fa emergere con particolare chiarezza un aspetto che caratterizza in realtà tutti le ipotesi di ricorso a tale pratica: l’irragionevolezza, in un ordinamento proibizionista, di una discriminazione dei committenti a seconda dell’esistenza o meno di un legame di sangue col nato, e dunque l’esigenza di un eguale trattamento degli stessi.


    [1] Cfr. Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Foro it., 2019, I, 1951 ss. Alla decisione ha fatto seguito un ampio dibattito. Senza pretesa di completezza, tra i commenti adesivi, v. Luccioli, Dalle sezioni unite un punto fermo in materia di maternità surrogata, ivi, 4027 ss.; Ead., Qualche riflessione sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019 in materia di maternità surrogata, in GenIUS, 2020 (pubbl. on line 23 maggio 2020). Sempre in senso adesivo, ma con spunti problematici significativi, v. M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?, in Familia, 2019, 369 ss. In senso parzialmente critico v. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 737 ss. In senso decisamente critico v. le note di Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e di Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, in Fam. dir., 2019, 653 ss., nonché i commenti di Barba, Ordine pubblico e gestazione per sostituzione. Nota a Cass. Sez. Un. 12193/2019 e di Venuti, Le sezioni unite e l’omopaternità: lo strabico bilanciamento tra il best interest of the child e gli interessi sottesi al divieto di gestazione per altri, in GenIUS, 2020, cit.

    [2] Così Cass. 11 novembre 2014, n. 24001. La decisione è pubblicata, tra l’altro, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2015, I, 235 ss., con nota adesiva di Benanti, La maternità è della donna che ha partorito: contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione di maternità e conseguente adottabilità del minore, e in Corr. giur., 2015, 471 ss., con nota adesiva di Renda, La surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore.

    [3] Così Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, pubblicata, tra l’altro, in Corr. giur., 2018, 446 ss., con nota parzialmente adesiva di Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore, e in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 547 ss., con note parzialmente adesive di Gorgoni, Art. 263 cod. civ.: tra verità e conservazione dello status filiationis e di Salanitro, Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati

    [4] La soluzione indicata nel testo si è imposta dapprima nella giurisprudenza di merito e poi anche in quella di legittimità a partire da Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, pubblicata, tra l’altro, in Giur. it., 2016, 2573 ss., con nota critica di Spadafora, Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa e nota adesiva di Rivera, La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore; in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1135 ss., con nota adesiva di Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner. Commento a prima lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 12962 del 2016 (1213 ss.); in Familia, 2016, 295 ss., con nota adesiva di C. Irti, L’adozione del figlio del convivente (omosessuale): la Cassazione accoglie l’interpretazione evolutiva dell’art. 44, lett. d), l. n. 184 del 1983; in Corr. giur., 2016, 1203 ss., con nota critica di Morozzo della Rocca, Le adozioni in casi particolari ed il caso della stepchild adoption; in Nuovo dir. civ., 2016, 91 ss., con ns. nota critica L’adozione semplice del figlio del convivente (dello stesso sesso). Per una ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale che, in virtù dell’applicazione estensiva della lett. d), art. 44, l. n. 184/83, ha portato ad ammettere la possibilità dell’adozione del figlio di un convivente da parte dell’altro, di sesso differente o dello stesso sesso, sia consentito rinviare al ns. L’adozione del figlio del convivente. A Milano prosegue il confronto tra i giudici di merito, in Fam. dir., 2017, 1004, nt. 3. Nella dottrina più recente la forzatura del dato normativo è evidenziata anche da Nicolussi, Famiglia e biodiritto civile, in Europa e dir. priv., 2019, 766 s.; Sesta, Manuale di diritto di famiglia8, Padova, 2019, 446 s.; E. Giacobbe, Due non è uguale a uno più uno. Bigenitorialità e rapporti omoparentali, in Dir. fam. pers., 2019, 248 ss.; Spadafora, Contrattare sugli affetti, Milano, 2018, 291 ss. È bene precisare che in Cass. n. 12962/2016 la possibilità di far ricorso alla lett. d dell’art. 44 cit. è stata affermata con riferimento a un caso di ricorso alla fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne. La praticabilità di una tale soluzione anche in caso di ricorso alla surrogazione di maternità è stata invece affermata per la prima volta nella giurisprudenza di legittimità proprio da Cass. n. 12193/2019, dopo che già Corte cost. n. 272/2017 aveva fatto riferimento ad essa quale strumento legale utile al fine di tutelare adeguatamente il nato da madre surrogata nonostante il divieto di riconoscimento ab initio del rapporto genitoriale col committente privo di legame biologico.

    [5] Al riguardo, anche per gli opportuni riferimenti giurisprudenziali, v. Lenti, Diritto della famiglia, nel Trattato di dir. priv. a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2021, 205. L’affermazione riferita nel testo quanto all’ambito del giudizio di rettificazione è anche in Cass. n. 12193/2019.

    [6] Cfr. Corte cost., 9 marzo 2021, n. 32 e n. 33. Con tali decisioni la Corte costituzione si è pronunciata nel senso dell’inammissibilità sia della questione di legittimità della soluzione interpretativa che, in caso di ricorso alla fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne, esclude l’accertamento di una doppia maternità in base alla legge italiana sia, rispettivamente, della questione di legittimità della soluzione interpretativa che, in caso di nascita da madre surrogata, esclude il riconoscimento in Italia del rapporto genitoriale puramente volontario già accertato all’estero. In entrambe le decisioni, inoltre, il Giudice delle leggi ha invitato il legislatore ad elaborare con urgenza una disciplina che, superando taluni limiti della soluzione giurisprudenziale che fa riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari (il mancato riconoscimento di una genitorialità piena in capo all’adottante, l’impossibilità dell’adozione in mancanza di assenso del genitore biologico, la pretesa insussistenza di rapporti di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante), riconosca al nato tutti i diritti del figlio anche nei confronti del cd. genitore intenzionale, senza escludere però che un simile risultato possa realizzarsi in una prospettiva tipicamente “rimediale”, e cioè soltanto laddove risulti che la continuità del rapporto in atto sia in concreto la soluzione migliore per il minore. Anzi, come si vedrà, per la Corte, soprattutto nel caso del ricorso alla maternità surrogata, solo una soluzione di questo tipo è davvero idonea a risolvere il problema della tutela dei nati contra legem senza contraddire le scelte proibizioniste del legislatore. Com’era prevedibile le sentenze in questione della Corte costituzionale hanno suscitato un ampio dibattito. Sulla sentenza n. 33 del 2021 v. Morace Pinelli, La tutela del minore nato attraverso una pratica di maternità̀ surrogata. L’intervento della Corte costituzionale, in attesa del legislatore, in Familia, 2021, 391 ss.; Calderai, Il dito e la luna. I diritti fondamentali dell’infanzia dopo Corte cost. n. 33/2021, in Giur. it., 2022, 301 ss.; Ferrando, Diritti dei bambini e genitori dello stesso sesso. Il cambio di passo della Consulta, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2021, II, 937 ss.; Venuti, Diritti dei figli vs. genitorialità same sex: antitesi o composizione? Il dialogo (muto) tra la Corte costituzionale e il legislatore italiano, ivi, 949 ss.

    [7] In dottrina, invero, non sembra tuttora affatto scontata l’idea secondo cui, in forza dell’art. 8 cit., lo status genitoriale sarebbe senz’altro attribuito alla coppia che abbia fatto ricorso alle tecniche ammesse dalla legge semplicemente in virtù del consenso prestato. Al riguardo, in senso critico, e cioè nel senso che, in realtà, l’art. 8 cit., sia con riguardo alla filiazione matrimoniale sia con riguardo alla filiazione extramatrimoniale, non avrebbe introdotto alcuna innovazione quanto all’acquisizione dello status, cfr. Sesta, Manuale, cit., 416 s.; in precedenza, nello stesso senso, v. anche Renda, L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, 2008, 161 ss. Al riguardo v. tuttavia i rilievi critici di Salanitro, nel Commentario del cod. civ. diretto da E. Gabrielli, Della famiglia a cura di Di Rosa, Leggi complementari2, Milano, 2018, 1738 ss., al quale si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici. In ogni caso, l’idea secondo cui l’art. 8 cit. prevederebbe un sistema autonomo di costituzione dello status filiationis, che dovrebbe trovare applicazione anche nei casi di ricorso a pratiche vietate, sembra essere stata accolta almeno da Cass. 15 maggio 2019, n. 13000. È in base a tale idea, infatti, che quest’ultima decisione ha ritenuto ammissibile la costituzione dello status filiationis anche nei confronti del marito deceduto in un caso di fecondazione post mortem. La decisione indicata è stata pubblicata, tra l’altro, in Foro it., 2019, 2003 ss., con nota adesiva di Casaburi, Le alterne vicende delle nuove forme di genitorialità nella giurisprudenza più recente; in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 1282 ss., con nota di Faccioli, La condizione giuridica del soggetto nato da procreazione assistita post mortem; in Fam. dir., 2020, p. 27 ss., con nota di Giunchedi, La procreazione assistita post mortem tra responsabilità procreativa e favor stabilitatis. La giurisprudenza successiva ha significativamente ridimensionato la portata di una simile decisione, osservando in particolare che in quel caso “non era in discussione l’esistenza di un rapporto biologico tra il nato ed il genitore d’intenzione” (così Cass., 23 agosto 2021, n. 23320, in Fam. e dir., 2022, 154 ss., con nota critica di Diquattro, Lo status del minore nato in Italia da una coppia di donne). In ogni caso, come già si è avuto modo di rilevare in altra occasione (v. il ns. La norma personalista, la famiglia ‘fondata sul matrimonio’ e il diritto alla genitorialità naturale, in Jus, 2021, 449 ss.), non sembra che il fondamento biologico della filiazione in caso di concepimento attraverso il seme di un defunto debba senz’altro essere considerato un valore per l’ordinamento. In effetti, i divieti di accesso alle tecniche procreative non rispondono semplicemente all’esigenza di preservare il carattere naturale della generazione umana. La garanzia di tale esigenza è a sua volta funzionale alla garanzia della dignità del nascere dell’uomo: garantire la naturalità della generazione umana serve cioè a garantire che questa si realizzi pur sempre in una maniera rispettosa del valore sovrautilitaristico della persona. Il fondamento biologico della responsabilità genitoriale rappresenta allora un valore solo nella misura in cui vale a sottrarre il generato alla logica utilitaristica propria dell’autodeterminazione riproduttiva degli adulti. Anche una genitorialità biologica che risulti dal ricorso a tecniche vietate può dunque apparire problematica per l’ordinamento.

    [8] Cfr. Cass., ord. 21 gennaio 2022, n. 1842, in Giur. it., 1825 ss., con nota sostanzialmente adesiva di Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico: la penultima tappa?, il quale evidenzia appunto come in questa decisione la Suprema Corte si mostri comunque consapevole della necessità di dover contemperare l’interesse del minore con il fondamento del limite dell’ordine pubblico. In termini generali, l’idea secondo cui, quando sono in gioco valori primari della persona, in attesa dell’intervento del legislatore, l’interprete dovrebbe senz’altro colmare i vuoti di tutela denunciati dal Giudice delle leggi è argomentata anche da R. Bin, L’interpretazione della Costituzione in conformità alle leggi. Il caso della famiglia, in Fam. e dir., 2022, 514 ss. Per una (condivisibile) disamina critica dell’ordinanza della Suprema Corte v. invece Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata torna all’esame delle Sezioni Unite, in Familia, 2022, 437 ss. Da ultimo per un’accurata analisi critica dell’ordinanza della prima sezioni civile della Suprema Corte v. anche M. Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata. Brevi note a margine dell’ordinanza di rinvio alle Sezioni unite n. 1842 del 2022, in giustiziainsieme.it (pubbl. on line, 27 ottobre 2022) e Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite. Le ragioni del dissenso, ivi (pubbl. on line, 28 ottobre 2022).

    [9] Quanto ai limiti posti dall’ordinanza della prima sezione civile della Suprema Corte al riconoscimento automatico della genitorialità dei committenti, è bene ricordare anzitutto che anche la Corte di Strasburgo, con la sentenza del 18 maggio 2021 (ric. 71552/17, nel caso Valdís Fjölnisdóttir e altri c. Islanda), ha riconosciuto la piena legittimità del rifiuto opposto al riconoscimento della genitorialità dei committenti – in quel caso si trattava di due donne – laddove risultino entrambi privi di un legame genetico col nato. Su questa decisione v. il commento di B. Checchini, “Vita familiare” vs “maternità surrogata”: il nuovo punto di equilibrio della Corte europea. Quale rilievo all’identità del nato?, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2022, 396 ss. Il riferimento al carattere libero e consapevole della scelta della madre surrogata, alla sua indipendenza da contropartite economiche e alla sua revocabilità fino alla nascita del bambino richiama invece il modello della maternità surrogata cd. solidale, che taluni interpreti hanno ritenuto senz’altro ammissibile già de iure condito: cfr. A. G. Grasso, Maternità surrogata altruistica e tecniche di costituzione dello status, Torino, 2022, 31 ss.; Id., Per un’interpretazione costituzionalmente orientata del divieto di maternità surrogata, in Teoria e critica della regolazione sociale, 2018, 151 ss.; nello stesso senso si era espresso anche Scalisi, Maternità surrogata: come “fare cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017, 1100. La tesi, oltre a quanto si dirà subito infra nel testo, appare comunque difficilmente sostenibile soprattutto dopo che Corte cost., 23 ottobre 2018, n. 221, ha ridimensionato significativamente taluni passaggi argomentativi della precedente sentenza n. 162 del 10 giugno 2014, riconducendo la decisione favorevole all’abrogazione del divieto di fecondazione eterologa all’esigenza di porre rimedio a un bilanciamento di interessi reputato irragionevole più che alla logica del riconoscimento di un diritto incondizionato degli adulti alla genitorialità. In ogni caso, anche da ultimo, è stato giustamente osservato (da Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata, cit., 439) che “l’idea di una surrogazione di maternità c.d. solidale, frutto di un progetto condiviso, espressione della libertà di autodeterminarsi della gestante, si scontra con una realtà assai meno candida della favola bella, assai diffusa, che vede per protagonista una donna, già madre, felice di risperimentare nel suo ventre la vita nascente e desiderosa di aiutare il prossimo, compiendo un atto d’amore”. E ciò perché, nella vita reale, sarebbe praticamente impossibile trovare donne disponibili ad una simile prestazione, sempre che i rimborsi e gli indennizzi ad esse dovuti non mascherino veri e propri compensi. Anche secondo Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., n. 2, “la lesione della dignità non dipende dal carattere oneroso o gratuito del contratto, ma dalla rinuncia allo status di madre”. Concorda anche Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite, cit., n. 4. Un modello assai rigoroso di maternità surrogata cd. solidale è stato accolto di recente dal legislatore portoghese, il quale ha ammesso il ricorso alla maternità surrogata non solo in assenza di contropartite economiche per la gestante e comunque prevedendo la revocabilità del consenso prestato fino al momento della nascita del bambino, ma solo a favore di una donna priva di utero o che versi comunque in una situazione clinica che le impedisca in modo definitivo di portare avanti una gravidanza. Sulla soluzione portoghese v. i rilievi di L. Bozzi, Legiferare in tema di gestazione per altri. La legge portoghese: ragioni, interrogativi e illusioni (su ogni legge in materia), lavoro in corso di pubblicazione, consultato per cortesia dell’A., la quale non manca di evidenziare non solo il carattere assai poco realistico di una maternità surrogata c.d. solidale, ma anche come una soluzione estremamente rigorosa come quella portoghese presenti un alto costo in termini simbolici, finendo comunque per legittimare a livello della coscienza collettiva una pratica degradante.

    [10] Per tale lettura delle decisioni della Corte costituzionale sia consentito rinviare al ns. La tutela dei nati a seguito di violazione dei divieti previsti dalla l. n. 40/2004. Il compito del legislatore dopo il giudizio della Corte costituzionale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2021, 919 ss. Anche secondo Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., n. 3, per la Corte costituzione occorre “circoscrivere i limiti dell’ammissibilità del riconoscimento della genitorialità di intenzione alla sola ipotesi di progetto genitoriale attuale e al riscontro di un rapporto di cura e di affetto che deve necessariamente essere valutato in concreto e mai in astratto”. Di conseguenza – prosegue l’A. cit. – “deve ritenersi che la soluzione della trascrizione automatica del provvedimento straniero non realizza mai questi requisiti, in quanto conduce inevitabilmente ad una valutazione astratta e generalizzata”. Una lettura analoga delle decisioni in questione della Corte costituzionale è anche in Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite, cit., n. 3 e n. 4, ad avviso della quale il Giudice delle leggi “ha ritenuto, in linea con le indicazioni espresse dalla Corte EDU, che l’interesse del minore debba essere tutelato senza automatismi, attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino”.

    [11] Nel senso indicato nel testo v. il ns. La tutela dei nati, cit., 921 ss. Nello stesso senso v. anche Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite, cit., n. 3 e n. 4 e Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., n. 3

    [12] Sul punto insiste opportunamente anche Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata, cit., 444 ss., il quale ricorda, tra l’altro, che “gli invalicabili limiti che incontra il giudice in questa peculiare materia sono stati ammirevolmente e ripetutamente riaffermati anche di recente dalla medesima prima sezione civile della Corte di cassazione”. L’A. cit. fa riferimento in particolare a Cass., 25 febbraio 2022, n. 6383 (in Fam. e dir., 2022, 581 ss., con nota di Calvigioni, In Italia non è consentita la registrazione della filiazione da genitori dello stesso sesso: la conferma della Corte di cassazione) e Cass., 7 marzo 2022, n. 7413, ord. In particolare, con quest’ultima decisione, in un caso di ricorso alla fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne, la Suprema Corte ha ordinato la cancellazione dall’atto di nascita formato in Italia dell’indicazione della maternità anche della donna priva di legame genetico col nato, escludendo espressamente la possibilità di far valere un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8 cit. E ciò perché – si dice – la prevalenza da accordarsi all’interesse del minore “non legittima l’automatica estensione delle disposizioni dettate per la p.m.a. anche ad ipotesi estranee al loro ambito di applicazione, non potendo [la Suprema Corte] sostituirsi al legislatore, cui spetta, nell’esercizio della propria discrezionalità, l’individuazione degli strumenti giuridici più opportuni per la realizzazione del predetto interesse, compatibilmente con il rispetto dei principi sottesi alla l. n. 40 del 2004”.

    [13] Il riferimento è a Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79. Sull’importante decisione v. i commenti di M. Bianca, La Corte costituzionale e il figlio di coppia omoaffettiva. Riflessioni sull’evoluzione dei modelli di adozione (nota a Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79), in Familia, 2022, 349 ss. e di Ferrando, Adozione in casi particolari e rapporti di parentela. Cambia qualcosa per i figli nati da maternità surrogata?, in Questione Giustizia (pubbl. on line, 7 giugno 2022).

    [14] Al riguardo v. l’advisory opinion della Corte di Strasburgo del 10 aprile 2019, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2019, I, 757 ss., con nota di A. G. Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale. Le conclusioni del parere sono state poi confermate in successive sentenze della stessa Corte: una del 19 novembre 2019 (ricc. 1462/18 e 17348/2018, nei casi C. c. Francia ed E. c. Francia) e una del 17 luglio 2020 (ric. 11288/18, nel caso D. c. Francia). Come si è già avuto modo di ricordare, invece, la validità di certe conclusioni non è stata estesa al caso in cui nessuno dei componenti della coppia committente risulti legato biologicamente al nato: cfr. sent. del 18 maggio 2021, cit.

    [15] In dottrina, all’indomani della pubblicazione dell’advisory opinion della Corte di Strasburgo, Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale, cit., 762 ss., aveva giustamente rilevato come anche la disciplina italiana dell’adozione in casi particolari potesse ritenersi sostanzialmente rispettosa dei requisiti richiesti, con la conseguenza che non ci si poteva attendere che l’opinion dispiegasse effetti innovativi nell’ordinamento italiano, “limitandosi a confermare la correttezza delle soluzioni già individuate dalla nostra giurisprudenza”. In effetti, a parte che la Corte di Strasburgo non aveva fatto alcun riferimento, tra i possibili pregiudizi alla vita privata del minore, all’insussistenza di rapporti di parentela tra adottato e parenti dell’adottante, l’A. cit. notava anche che il riferimento a una “pronta” formalizzazione del rapporto in atto non poteva intendersi sbrigativamente nel senso della necessità di una sua formalizzazione immediata, giacché per la Corte europea “l’interesse superiore del minore richiede soltanto che il legame giuridico con la madre intenzionale possa essere riconosciuto al più tardi quando si sia consolidato quello sociale”. D’altra parte, sempre nel parere preliminare della Corte di Strasburgo, si legge che “it is in principle not for the Court but first and foremost for the national authorities to assess whether and when, in the concrete circumstances of the case, the said relationship has become a practical reality”.

    [16] Al riguardo v. Renda, La surrogazione di maternità, cit., 481 s., per il quale “nel sistema parto e procreazione, cioè gravidanza e geni sono assunti come due componenti indissociabili entro un unitario concetto di maternità come qualità di colei che genera concependo e partorendo, non come entità potenzialmente dissociabili delle quali, se dissociate, debba prevalere la prima”.

    [17] L’indicato profilo di irragionevolezza e contraddittorietà della soluzione che differenzia la posizione dei committenti rispetto al nato da madre surrogata a seconda della sussistenza o meno di un legame genetico è stato giustamente evidenziato nell’ordinanza con cui la Suprema Corte ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della soluzione interpretativa che ritiene la contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento straniero che accerti un rapporto genitoriale puramente intenzionale: cfr. Cass., 29 aprile 2020, n. 8325 (su tale provvedimento v. almeno i commenti di M. Bianca, Il revirement della Cassazione dopo la decisione delle Sezioni Unite. Conflitto o dialogo con la Corte di Strasburgo? Alcune notazioni sul diritto vivente delle azioni di stato, in giudicedonna.it, 2020, n. 2; Calderai, La tela strappata di Ercole. A proposito dello stato dei nati da maternità surrogata, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2020, I, 1109 ss.; Ferrando, I diritti del bambino con due papà. La questione va alla Corte costituzionale e Recinto, Un inatteso “revirement” della Suprema Corte in tema di maternità surrogata, in Fam. dir., 2020, 675 ss.; Salanitro, L’ordine pubblico dopo le Sezioni Unite: la Prima Sezione si smarca… e apre alla maternità surrogata, in Corr. giur., 2020, 902 ss.). Invero, nella prospettiva di quel Giudice il rilievo serviva ad accreditare ulteriormente la tesi dell’irragionevolezza del limite opposto al riconoscimento dello status puramente intenzionale già accertato all’estero. Non sembra invero che la decisione del Giudice delle leggi si sia fatta carico di confutare un simile argomento. In realtà, nella prospettiva assunta da quest’ultimo Giudice, che esclude l’accertamento automatico del rapporto in atto col committente privo di legame genetico, l’argomento in questione dovrebbe piuttosto valere ad accreditare la soluzione secondo cui la formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto dovrebbe essere subordinata ad un accertamento giudiziale in concreto della sua corrispondenza all’interesse del minore anche rispetto al committente legato biologicamente al nato. Al riguardo, volendo, v. il ns. La tutela dei nati, cit., 925 ss.

    [18] Al riguardo v. Grasso, Maternità surrogata, cit., 762; da ultimo v. anche Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1828. È ben noto invece che, prima delle sentenze “gemelle” della Corte di Strasburgo (si tratta più precisamente delle decisioni rese il 26 giugno 2014, ricc. 65192/11 e 65941/11, nei casi Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia), la giurisprudenza francese era invece ferma nell’escludere l’accertamento dello status del nato da madre surrogata anche nei confronti del padre biologico (rif. in Grasso, Maternità surrogata, cit., 760 s.).

    [19] Al riguardo cfr. Lenti, Unione civile, convivenza omosessuale, filiazione, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2016, II, 1711.

    [20] Cfr. C. M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti2, Milano, 2002, 305 s.

    [21] Cfr. Monteleone, Manuale di diritto processuale civile, II8, Padova, 2018, 419 ss.

    [22] Cfr. Renda, La surrogazione di maternità, cit., 482, per il quale la maternità della partoriente rappresenta la “soluzione più coerente con il divieto che possa raggiungersi entro il sistema, perché nel fondare la maternità su uno dei due criteri legalmente cumulativi dà preferenza a quello tra essi che realizza l’effetto di status più adeguato a reprimere e quindi a disincentivare l’intesa illegale, perché privativo della maternità della committente, divisata dalle parti”.

    [23] Al riguardo v. supra, nt. 4.

    [24] Si tratta di uno dei profili di inadeguatezza della disciplina dell’adozione in casi particolari rilevati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 32 e n. 33 del 2021. La questione non può essere affrontata in questa sede in maniera analitica. Sulla legittimità della negazione dell’assenso del genitore all’adozione in casi particolari v. tuttavia i penetranti rilievi di Favilli, Stato filiale e genitorialità sociale: dal fatto al rapporto, in Giur. it., 2022, 319 s. Ad avviso di quest’A., nonostante il chiaro disposto normativo dell’art. 46 l. n. 184 del 1983, sarebbe possibile sostenere una “interpretazione creativa” in virtù della quale “il diritto del genitore esercente la responsabilità di decidere della sorte dei rapporti intessuti all’interno della famiglia, ed eventualmente di privare il minore di un apporto fondamentale per la crescita e lo sviluppo, non può essere espressione di un interesse proprio…, ma deve essere guidato, e eventualmente sindacato, alla luce dell’interesse del minore”. Tale proposta è condivisa da Calderai, Il dito e la luna, cit., 311. Nello stesso senso v. anche Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., nn. 4 e 5. In senso critico v. invece Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1830 s.

    [25] Sia consentito rinviare alle considerazioni già svolte nel ns. La tutela dei nati, cit., 922; v. pure il ns. Tecniche procreative vietate e status dei nati. Riflessioni de iure condendo a partire dalle proposte legislative di estensione dell’ambito territoriale del reato di maternità surrogata, in Allargare gli orizzonti della carità. Per una nuova progettualità sociale a cura di Bettini e Tondini, Atti del IV Forum internazionale del Gran Sasso, Teramo, 2022, II, 669 ss.

    [26] Il dato è stato opportunamente rilevato anche da Salanitro, L’ordine pubblico dopo le Sezioni Unite, cit., 916, già rispetto al riferimento all’adozione contenuto nell’advisory opinion della Corte di Strasburgo. L’A. è tornato sul punto anche in seguito: cfr. Id., L’adozione e i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2021, 944; Id., Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1831. Per considerazioni analoghe v. anche A. G. Grasso, Oltre l’adozione in casi particolari, dopo il monito del legislatore. Quali regole per i nati da PMA omosex e surrogazione?, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 718; Azzarri, I diritti dei nati da gestazione per altri e i limiti costituzionali dell’ordine pubblico, ivi, 1180 ss.; Caterina e Lenti, La famiglia, nel Trattato dir. priv. diretto da S. Mazzamuto, Torino, 2022, 252 s. Secondo Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata, cit., 451, “per superare il rilievo che l’adozione particolare è rimessa alla discrezionalità del genitore d’intenzione, potrebbe essere ragionevole riconoscere al minore l’azione ex art. 279 c.c.”. Anche quest’A. concorda comunque sull’esigenza di un intervento del legislatore.

    [27] Al riguardo v. il ns. La tutela dei nati, cit., 922.

    [28] Al riguardo Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1831, osserva perspicuamente che “con una singolare eterogenesi dei fini, le ragioni di deterrenza contro il comportamento della coppia intenzionale si trasformano in una posizione di vantaggio che consente alla stessa coppia di decidere se assumere il ruolo genitoriale: si consente, in tal modo, al genitore intenzionale di sottrarsi alla responsabilità nel caso in cui il minore non risponda ai suoi desiderata, esaltando l’interesse alla soddisfazione di un modello edonistico del diritto alla discendenza che, sul piano delle dichiarazioni di principio, si sostiene di voler respingere”

    [29] Al riguardo v. il ns. La tutela dei nati, cit., 929, ove si è detto che in nessun caso di ricorso all’eterologa da parte di coppie di donne sembra possibile sostenere l’esclusione dell’accertamento ab initio della maternità della partoriente, giacché nei confronti di quest’ultima il profondo legame anche psicologico che si consolida col concepito durante la gravidanza e la mancanza di sanzione penale per la condotta in questione, comunque vietata dalla legge italiana, renderebbero ben difficile da giustificare la diversa soluzione del riconoscimento al minore dei diritti propri del figlio solo a seguito di una verifica giudiziale in concreto di conformità al suo superiore interesse. Un simile procedimento di formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto potrebbe invece essere riservato al rapporto del nato con l’altra componente della coppia che abbia fatto ricorso all’eterologa in violazione del divieto di legge, superando così l’attuale diversità di trattamento esistente a seconda che la nascita avvenga all’estero o in Italia. Com’è noto, infatti, mentre nel primo caso è invalsa la soluzione secondo cui il provvedimento straniero che accerti una doppia maternità può senz’altro essere trascritto, nel secondo caso, invece, si esclude che l’ufficiale di stato civile possa formare un atto di nascita contenente un analogo accertamento. Quest’ultimo orientamento, in particolare, si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità dopo che, con la sentenza n. 221 del 2019, la Corte costituzionale ha riconosciuto non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme della legge n. 40 del 2004 che non consentono il ricorso all’eterologa a coppie di donne: cfr. Cass. 3 aprile 2020, n. 7668 (in Fam. dir., 2020, 537 ss., con nota critica di Scalera, Doppia maternità nell’atto di nascita: la Cassazione fa un passo indietro e ulteriore nota di Calvigioni, L’ufficiale di stato civile non può registrare la nascita dei genitori same sex: dai giudici di merito fino alla Cassazione; in Corr. giur., 2020, 1041 ss., con nota critica di Grasso, Nascita in Italia e PMA da coppia di donne: la Cassazione nega la costituzione del rapporto filiale), Cass. 22 aprile 2020, n. 8029; Cass. 23 agosto 2021, n. 23320, cit., e n. 23321; Cass., 25 febbraio 2022, n. 6383 (ord.), cit.; Cass., 7 marzo 2022, n. 7413 (ord.), cit.; Cass., 13 luglio 2022, n. 22179 (ord.). Nel senso della trascrivibilità del provvedimento straniero che accerti una doppia maternità v. invece Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, pubblicata, tra l’altro, in Corr. giur., 2017, 181 ss., con nota adesiva di Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis; in Nuova giur. civ. comm., 2017, 362 ss., con nota adesiva di Palmeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex; in Giur. it., 2017, 2075 ss., con nota adesiva di Fossà, Il paradigma del best interest of the child come roccaforte delle famiglie arcobaleno. Nello stesso senso anche Cass. 15 giugno 2017, n. 14878, pubblicata, tra l’altro, in Foro it., 2017, I, 2280 ss., con nota di Casaburi; in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 1708 ss., con nota adesiva di Palmeri, Irrilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex. Si tratta di due casi diversi: nel primo una delle “madri” aveva messo a disposizione l’ovocita e l’altra aveva partorito; nel secondo caso la partoriente era invece la stessa donna che aveva fornito il materiale genetico per la fecondazione in vitro, sicché l’altra donna aveva semplicemente consentito alla tecnica ed aveva pertanto col nato solo un legame intenzionale. Un caso analogo a quest’ultimo è venuto in considerazione in Cass. 23 agosto 2021, n. 23319, che ha confermato il precedente del 2017.


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