ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
I progetti realizzati nel PON governance da università ed uffici giudiziari: un primo bilancio.
Inizio di una nuova prospettiva o episodio isolato e già dimenticato
PARTE SECONDA
di Claudio Castelli
Sommario: 1. Il Progetto ministeriale finanziato con fondi europei. 2. Assegnazione dei procedimenti e fissazione delle udienze con modalità digitali. 2.1 Politecnico e Tribunale di Milano: assegnazione all’ufficio GIP (sistema ASPEN). 2.2 Università degli Studi e Tribunale di Catania: algoritmo di calendarizzazione automatica delle prime udienze. 3. Pesatura del fascicolo. 3.1 Politecnico e Corte di Appello di Milano: ponderazione dei fascicoli. 3.2 Università degli Studi e Corte di Appello di Bologna: la pesatura del fascicolo penale nelle Corti di Appello italiane. 4. Applicazioni di intelligenza artificiale. 4.1 Università degli Studi e Tribunale di Catania: l’impatto dell’Intelligenza Artificiale nella gestione dell’Ufficio per il processo per l’immigrazione. 4.2 Università di Torino e C.S.I. Piemonte: Laboratorio sentenze. 4.3 Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia e Università Statale di Milano: modelli di nuova generazione e document builder. 4.4 Sapienza Università e Tribunale di Roma: Cicero – Large language models per la giustizia. 5. Controllo di gestione su singoli settori. 5.1 Università degli Studi, Tribunale e Corte di Appello di Brescia: Progetto pilota sul controllo di gestione. 5.2 Università degli Studi di Torino e Tribunale di Cuneo: Software di Gestione del Personale e dell'Organizzazione degli Uffici Giudiziari. 6. I cruscotti. 6.1 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto previsionale. 6.2 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto direzionale. 6.3 Università e Tribunale di Catania: cruscotto strategico basato su indicatori statistici per l’analisi delle performance del Tribunale di Catania e simulatore. 6.4 Università e Corte di Appello di Bari: Cruscotto di analisi dei flussi. 6.5 Università di Pavia: Cruscotto per l’analisi dei dati e il monitoraggio dei procedimenti giudiziari. 7. Una nuova collaborazione da mantenere per il futuro e costruens per il futuro.
5. Controllo di gestione su singoli settori
La vita degli uffici giudiziari non riguarda solo la giurisdizione o, ancora con un’ottica più ristretta, la cognizione, ma moltissimi altri aspetti. Alcuni sono puramente gestionali tipici della vita di qualsiasi organizzazione complessa, quali sono un Tribunale, una Corte o una Procura a partire dall’edilizia, dalle risorse umane e dalla loro gestione. Altri sono direttamente derivanti dalla giurisdizione e, se pure sono spesso trascurati, sono fondamentali per la stessa concretizzazione della giurisdizione, quali l’esecuzione penale, il pagamento delle spese di giustizia, il recupero crediti. Aspetti che, per la loro natura tecnica, potrebbero essere più facilmente automatizzati, superando tutte le attività umane a basso valore aggiunto.
5.1 Università degli Studi, Tribunale e Corte di Appello di Brescia: Progetto pilota sul controllo di gestione [11]
I settori oggetto dell’analisi e della proposta erano tre (esecuzione penale, spese di giustizia e recupero crediti), molto diversi, ma accomunati da criticità comuni: una tracciabilità difficoltosa dei fascicoli, - una bassa usabilità dei sistemi, - la mancanza di report e controlli automatici, - l’incomunicabilità dei sistemi attualmente esistenti.
Questo comportava un forte impegno di personale con basso valore aggiunto con conseguenti tempi lunghi dovuti alla creazione manuale delle comunicazioni da stampare singolarmente, al mancato tracciamento dello stato di avanzamento delle pratiche e all’inserimento manuale in foglio excel per i rilevamenti statistici.
Obiettivo era automatizzare tutti i processi, con un incremento di velocità, efficacia ed efficienza e tracciabilità dello stato dei fascicoli.
È stato quindi sviluppato un prototipo che in automatico stampa ed invia le comunicazioni, con un monitoraggio ed una tracciabilità in automatico. Le funzionalità comuni sono la gestione del profilo, la gestione dei fascicoli, il monitoraggio, la visualizzazione delle statistiche e la tracciabilità del fascicolo.
Il vantaggio per tutti e tre i campi di intervento è di semplificare la tracciabilità e di automatizzare la procedura (che comporta compilazione ed invio di moduli e/o provvedimenti). Inoltre per le esecuzioni penali viene consentita la verifica, sempre in via automatica, della data dell’irrevocabilità e per le spese di giustizia la segnalazione dei fascicoli in stallo e la notifica del ritardo con un sistema condiviso di raccolta dati e monitoraggio.
Il passaggio ulteriore previsto dal prototipo è di importare automaticamente i dati dai sistemi informatici in uso con un’integrazione con le banche dati ed i registri sottostanti, integrando il tutto in un’unica piattaforma.
5.2 Università degli Studi di Torino e Tribunale di Cuneo: Software di Gestione del Personale e dell'Organizzazione degli Uffici Giudiziari [12]
Il software di Gestione del Personale e dell’Organizzazione è stato progettato per consentire una visione d’insieme e una crescita coordinata delle buone pratiche nella gestione dell’organizzazione e del personale e incorpora le funzionalità classiche dei software di gestione del personale (scheda persona, ticketing, valutazione e formazione, ferie e pensionamento ecc.) e quelle più sofisticate di gestione dei flussi di lavoro, di generazione automatica di organigrammi, di evidenziazione delle scoperture di organico, di simulazione di scenari organizzativi e di agevolazione del processo di valutazione del personale amministrativo (compresi gli addetti all’Ufficio per il Processo).
“Il software è dedicato sia all’area amministrativa che giurisdizionale dell’Ufficio giudiziario e consente di:
o Avere un unico database, continuamente aggiornato, con tutti i dati e i documenti relativi al personale e all’organizzazione dell’Ufficio.
o Visualizzare, al livello di dettaglio desiderato, gli organigrammi dell’Ufficio Giudiziario (non solo l’organigramma attuale, ma anche quelli passati e i possibili organigrammi futuri); organigramma realizzato con i migliori standard grafici e mantenuto automaticamente aggiornato dal sistema.
o Evidenziare e gestire le mansioni e i carichi di lavoro sia per gli individui che per i gruppi e le unità organizzative.
o Evidenziare l’eventuale appartenenza di una persona a diversi gruppi di lavoro e progetti, inclusi i progetti che implicano la collaborazione con reti di partner (associazioni, enti ecc.) sul territorio.
o Dimostrare e gestire le scoperture di organico;
o Facilitare il processo di valutazione del personale in una modalità integrata, collaborativa e costruttiva.
o Gestire agevolmente la comunicazione interna al sistema giustizia (es. con l’invio automatico di e-mail a categorie specifiche di persone).
o Avere una piattaforma comune per tutte le risorse informative, di formazione e di aggiornamento (es. manuali, materiali didattici, documenti di riferimento per il personale).
o Avere un riferimento unico per l’aggiornamento e la standardizzazione delle procedure e per l’adozione delle buone pratiche.
o Gestire le richieste specifiche del personale (ticketing).
o Mappare, aggiornare e gestire facilmente i flussi di lavoro e gli indicatori di efficienza.”
6. I cruscotti
La vera e propria “epidemia” di sviluppo di cruscotti che sta interessando gli uffici giudiziari risponde alla necessità di avere un controllo in tempo reale di tutti gli aspetti dell’attività giudiziaria e amministrativa, a partire dal ruolo del singolo magistrato, per giungere alle sopravvenienze e definizioni e alle tendenze in atto, con modalità sempre più articolate e granulari per fasi del processo, per tipologia di procedimenti, per settori. La consapevolezza che si sta sempre più affermando è che solo avendo un quadro esatto della situazione si possono correggere tempestivamente eventuali falle e si può organizzare e programmare l’intervento sia del singolo magistrato, sia di chi sovrintende a singoli settori o all’intero ufficio, sia esso il Presidente, il Procuratore, il dirigente amministrativo, o comunque chi riveste incarichi di responsabilità.
Questo vuol dire effettuare un salto di qualità rispetto al semplice dato statistico, meramente rappresentativo di quanto avvenuto in un determinato periodo, per passare ad un approccio dinamico che fornisca elementi per agire.
L’esempio forse più interessante, che non fa parte dei progetti di questo Progetto Unitario, pur avendo una chiara interrelazione con gli stessi è il cruscotto che il Politecnico di Milano sta realizzando per la Corte di Cassazione con l’obiettivo di fornire informazioni rapide in tempo reale per consentire decisioni tempestive, dando informazioni tempestive sui flussi dei fascicoli e considerando i diversi passaggi procedurali con una definizione unitaria di dati e indicatori. Il passaggio è quello dalla misurazione al governo dell’organizzazione.[13]
6.1 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto previsionale[14]
“Il progetto si concentra sullo sviluppo di una dashboard interattiva che mira a semplificare e ottimizzare i processi decisionali della Corte d'Appello di Milano. Attraverso l'integrazione diretta con il sistema informativo del tribunale, la dashboard potrebbe offrire una visione in tempo reale della situazione attuale della Corte, fornendo strumenti visivi intuitivi per analizzare e monitorare le performance e i progressi.”
“I principali risultati attesi riguardano una riduzione dei tempi di processo, raggiungibile attraverso l’identificazione dei casi critici o anomali, che potranno essere segnalati ai magistrati, presidenti di sezione e/o corte in base a criteri di urgenza concordati. In parallelo, la realizzazione della dashboard mira ad aiutare il monitoraggio quotidiano delle attività della Corte, consentendo un controllo in tempo reale dei progressi verso gli obiettivi prefissati. Infine, si prevede che la dashboard diventi uno strumento utile per i magistrati, fornendo supporto decisionale basato su dati e analisi affidabili, facilitando così una migliore gestione ed efficienza generale.”
“Il risultato centrale sarà un prototipo di cruscotto interattivo, che è stato progettato per fornire una panoramica più strutturata e aggiornata dei dati correnti, servendo come un complemento utile al sistema esistente. Al suo interno verrà fornito un rapporto analitico che delineerà in maniera circostanziata le tendenze e i modelli rilevati durante l'analisi dei dati. Inoltre, il sistema includerà una funzionalità di allerta volta a identificare e segnalare casi che sembrano necessitare di una maggiore attenzione, agevolando così una gestione più proattiva dei fascicoli. Nel complesso, l'iniziativa intende arricchire il quadro di strumenti a disposizione del personale giudiziario, supportando una gestione delle attività più reattiva e consapevole.”
6.2 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto direzionale[15]
Il cruscotto direzionale progettato per la Corte di Appello di Milano contempla gli indicatori considerati rilevanti nel sistema di giustizia europeo, ossia: conteggio e analisi delle pendenze, durata dei procedimenti, indici relativi alla lavorazione dei fascicoli (ricambio e smaltimento), disposition time (indicatore principe per gli obiettivi del PNRR) e esito dei procedimenti.
L’estrazione dei dati dovrebbe avvenire prelevandoli automaticamente dai sistemi informativi e dai registri già esistenti, con un quotidiano aggiornamento.
“La caratteristica principale di un cruscotto direzionale è rappresentata dalla disponibilità dei dati aggiornata quotidianamente (approssimando la disponibilità in “tempo reale”), con utilizzo da parte dei responsabili (magistrati, direzione amministrativa) senza ricorso a intermediari (esperti informatici, ufficio statistico, ecc.). In altre parole, il cruscotto deve essere disponibile su qualsiasi device (computer, tablet, smartphone) e consultabile in ogni momento con il solo accesso da un’icona; una volta aperto, anche l’accesso alle diverse schermate deve essere semplice attraverso un menù intuitivo.”
“I destinatari del cruscotto ipotizzato per la Corte sono infatti: anzitutto, la Presidenza della Corte, che deve avere visione delle dinamiche di ingresso, flusso di lavorazione, capacità produttiva della Corte nel suo complesso e delle diverse Sezioni allo stato delle corse presente (sempre aggiornato) e nel tempo; in secondo luogo, le Presidenze delle Sezioni, che devono poter osservare la distribuzione dei fascicoli sulle materie di competenza e, su questa base, i tempi di lavorazione dei procedimenti.”
“A questo fine il presente documento contiene: (i) una selezione preliminare di indicatori (…); (ii) una proposta di visualizzazione, simulata sulla base dei dati della Corte nella finestra temporale marzo 2022-marzo 2023; (iii) le condizioni generali fondamentali per la riuscita del progetto.”
“Gli indicatori sono organizzati in categorie:
· indicatori di stock, che rappresentano lo stato delle cose in un momento puntuale nel tempo;
· indicatori di performance, che rilevano e prestazioni in un arco di tempo dato e sono a loro volta organizzati in:
o misure di performance relative allo stato di lavorazione dei fascicoli (verifica retrospettiva e possibilmente storica)
o misure di performance relative allo stato di lavorazione dei fascicoli (verifica predittiva delle prestazioni attese)
o misure di performance relative alla celebrazione delle udienze (verifica retrospettiva e possibilmente storica)
· indicatori di gestione delle risorse, relativi alla capacità produttiva della Corte.”
6.3 Università e Tribunale di Catania: cruscotto strategico basato su indicatori statistici per l’analisi delle performance del Tribunale di Catania e simulatore[16]
Il cruscotto strategico elaborato dall’Università di Catania vuole dare informazioni su definiti, pendenti ed indicatori di performance che possa servire a Giudici, Presidenti di sezione e al Presidente del Tribunale con un aggiornamento in tempo reale e la consultazione su qualsiasi supporto fisso o mobile. Parte dall’estrazione dei dati tramite il pacchetto Ispettori[17], li elabora e li pubblica in dashboards che mette a disposizione. Si articola poi in cruscotti di indicatori statistici per il giudice (pendenti, definiti, tempo medio per materia, disposition time, clearance rate, arretrato legge Pinto), per sezione (gli stessi indicatori specificati per sezione, per singolo giudice e comparati), per l’intero Ufficio.
Viene poi previsto un simulatore ad eventi discreti per valutare l’impatto dell’Ufficio per il processo nel miglioramento delle performance degli uffici giudiziari.
Il simulatore permette di valutare in modo predittivo gli eventi di una Sezione sulla base dell’incertezza e della variabilità del lavoro dei Giudici. E viene ad essere un importante supporto per i Presidenti di Sezione per fare analisi di scenari alternativi su come gestire al meglio per il futuro le risorse disponibili. Simulatore che è stato testato e verificato su di una sezione civile del Tribunale di Catania.
6.4 Università e Corte di Appello di Bari: Cruscotto di analisi dei flussi. [18]
Il cruscotto di monitoraggio elaborato analizza flussi in ingresso ed in uscita dai Tribunali partendo dall’analisi dei dati e delle informazioni già in possesso degli uffici giudiziari, elaborati in modo da offrire una visione compatta e sintetica della situazione. Viene dato “un particolare focus sugli indicatori di tipo macro (analisi dei flussi nel loro insieme) e di tipo organizzativo (analisi del carico di lavoro per giudici e sezioni).
L'adozione del cruscotto può offrire numerosi vantaggi agli Uffici Giudiziari dato che può contribuire a identificare eventuali inefficienze o ritardi nella gestione dei contenziosi permettendo di adottare misure correttive mirate e in tempi brevi. Inoltre, consente di monitorare e valutare l'efficacia delle politiche e delle strategie adottate, facilitando la presa di decisioni basate su dati concreti. Infine, utilizzando i dati che provengono direttamente dagli uffici giudiziari, permette di effettuare analisi statistiche in tempo reale riducendo di fatto i tempi di risposta agli imprevisti. La Corte di Appello di Bari, nell'ambito del progetto sopra indicato, in completa sinergia con l'Università degli Studi di Bari, che ha ideato e fornito il prodotto "CRUSCOTTO DI ANALISI DEI FLUSSI", si è dotata, di recente, di detto strumento che si è rivelato utilissimo, e che è già operativo presso la Sezione Lavoro della Corte (e che è in via di allestimento con riguardo alle Sezioni Civili Ordinarie). Esso consente - previo periodico scaricamento dei dati statistici riguardanti i flussi, estraendoli dal c.d. "Pacchetto Ispettori" del Ministero della Giustizia - di avere una rappresentazione dinamica (che si contrappone a quella "statica", propria dei sistemi “Consolle del Magistrato" e "Sicid"), del flusso dei dati. Il "Cruscotto" consente, in tempo reale, attraverso click successivi, sui grafici e sui dati presenti a video, di estrarre dati sempre più dettagliati, di esaminare i flussi, scorporandoli, con riferimento, ad oggetto, materia, magistrati assegnatari, eccetera. Il Presidente della Corte, ed i Presidenti di Sezione, possono così, avere un quadro completo, dettagliato, dei flussi, ad una certa data, (corrispondente a quella dei dati estratti dal "Pacchetto Ispettori'), operando, in tempo reale sui dati stessi, ed ottenendo i dati, sempre più dettagliati di interesse. I tempi di caricamento dei dati sono abbastanza rapidi, e il periodo di riferimento dei dati estratti dal "Pacchetto", viene, di volta in volta, scelto (ad es. anno, semestre, trimestre). È necessario, però, l’intervento di operatori addetti, addestrati al caricamento, di cui la Corte dispone.
Lo strumento è molto utile e consente di avere a disposizione, in tempi rapidissimi, dati che sarebbe impossibile, o assai complicato ottenere dal "Sicid" e da "Consolle” del Magistrato.”
6.5 Università di Pavia: Cruscotto per l’analisi dei dati e il monitoraggio dei procedimenti giudiziari[19]
È stato progettato un cruscotto direzionale specifico, utilizzando una tecnologia già in uso presso i Tribunali (software Office della Microsoft).
Il Cruscotto estrae i dati dai registri e sistemi gestionali dei Tribunali, li aggrega a seconda dei fenomeni di interesse e produce un foglio excel, con la possibilità (attraverso dei filtri selezionabili) di evidenziare e aggregare i dati per: - registro, - oggetto, - materia, - casistica, - periodo di riferimento, - giudice, esito del procedimento, altro.
La progettazione è partita dai dati già attualmente estraibili dai gestionali in uso per fornire le informazioni ed i dati oggettivi necessari per un migliore controllo di gestione ai fini dei processi decisionali.
Si parte dall’analisi dei dati estratti dalla consolle del cancelliere per poi individuare i principali indicatori dai dati di flusso (parametri quantitativi assunti come principali standard di efficienza della giustizia ovvero Disposition Time -DT-, Clearance Rate -CR- e Arretrato civile) per poi passare all’elaborazione dei dati.
“I dati sono poi stati elaborati all’interno di diversi fogli; ogni foglio prende in esame un particolare aspetto del fascicolo (per esempio la data del primo evento, il Giudice a cui era stato assegnato il fascicolo, l’oggetto e la materia del fascicolo) e lo analizza mettendolo in relazione con la durata del procedimento e il numero di fascicoli. I fogli in cui i dati sono elaborati contengono una tabella Pivot che consente l’aggiornamento automatico di tutti gli indicatori nel momento in cui il file Excel di partenza (dati estratti dalla consolle del Cancelliere) viene aggiornato/cambiato.”
7. Una nuova collaborazione da mantenere per il futuro e costruens per il futuro.
Con il Next generation UPP è stata sperimentata una collaborazione tra Uffici giudiziari e Università del tutto nuova che dimostra la ricchezza e le potenzialità che un rapporto stabile può apportare reciprocamente.[20] Possiamo fare di due realtà, entrambe con evidenti debolezze, una grande forza avvicinando le Università alle diverse realtà professionali ed inserendole a pieno titolo nei circuiti produttivi della giustizia e facendo abbandonare agli Uffici giudiziari l’autoreferenzialità avvantaggiandosi delle competenze multidisciplinari che le Università possono assicurare.
La interlocuzione e collaborazione costante con professori, ricercatori ed assegnisti di statistica, ingegneria gestionale e informatica ha portato ad individuare ulteriori esigenze e campi di sviluppo con la possibilità di sperimentazioni sul campo e con uno scambio continuo di idee ed esperienze che ha consentito di costruire ipotesi di cambiamento, progetti pilota, prototipi.
Abbiamo un terreno di cambiamento fecondo che costringe sia le strutture universitarie, sia gli uffici giudiziari a rimettersi in discussione con un processo di innovazione tanto più necessario e prezioso in un momento in cui le tecnologie ed in particolare l’Intelligenza Artificiale generativa stanno rivoluzionando assetti e modalità tradizionali.
È facile prevedere che in tempi brevi, probabilmente più brevi di quanto immaginiamo, saremo costretti a rivedere i percorsi di studio, le modalità di gestione e trattazione di procedure e processi, lo stesso percorso decisionale.
Poter affrontare questa nuova fase unendo capacità scientifiche e pratiche professionali garantisce un’ottima prospettiva. Questo porterebbe a proseguire, con altre forme, ma nell’ambito di un percorso nazionale e non affidato ai singoli Atenei e Uffici, una collaborazione e sinergia che dovrebbe diventare stabile, estesa a tutti gli Uffici (quindi anche a quelli esclusi dall’Ufficio per il processo, come le Procure e gli uffici minorili e di sorveglianza) e chiamando alla partecipazione anche l’avvocatura.
Un primo passo, comunque, sarebbe di dare seguito e di non sprecare l’enorme giacimento di idee, progetti, sperimentazioni che sono state sviluppate e che nel presente scritto sono rappresentate a livello inevitabilmente molto ridotto. La dimostrazione sul campo dell’utilità e delle potenzialità di qualcuno dei progetti proposti darebbe ulteriore ed enorme forza ad implementare un progetto comune, dimostrando in concreto risparmi, benefici e comodità che si possono conseguire.
Tra i vari progetti realizzati alcuni già oggi potrebbero essere messi a disposizione di tutti gli Uffici, altri dovrebbero essere ulteriormente sviluppati con una seconda fase di ricerca e sperimentazione di pochi mesi, altri ancora potrebbero beneficiare di un confronto tra le diverse prospettazioni (ad esempio in tema di cruscotti) per arrivare ad una sintesi operativa.
Le potenzialità e le possibilità sono davvero immense, con investimenti estremamente limitati e con prospettive eccellenti.
Quanto proprio non si può fare è far cadere tutto nel dimenticatoio, buttando letteralmente i fondi europei investiti e le intelligenze e le capacità sviluppate.
Una prospettiva che sarebbe inaccettabile. Per questo il Ministero della Giustizia, principale attore e responsabile del Progetto Unitario, va sollecitato e stimolato a riprendere proposte ed iniziative. Il presente scritto, con un sia pure parziale riscontro del lavoro fatto, vuole andare in questa direzione.
[12] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Università di Torino > 1nextgen_unito_supdig_software.pdf
[13] S. Ronchi – G. Vecchi Il cruscotto direzionale della Corte Suprema di Cassazione in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato, pag.59 ss.
[14] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Politecnico di Milano > 1nextgen_polimi_supdig_previsionale.d
Vedi anche B. Pernici – M. Dilettis Valorizzare i dati degli uffici giudiziari: per un cruscotto previsionale in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato, pag.75 ss.
[15] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Politecnico di Milano > 1nextgen_polimi_supdig_cruscotto.pdf
[16] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 6 Just-Smart > Eventi – Università degli Studi di Catania – Roma 6 novembre 2024
Vedi anche Strumenti di court management – Università di Catania > 6Jsmart_unicatania_supdig_doc12.pdf e 6jsmart_unicatania_supdig7.pdf
[17] Strumento informatico che consente ai Presidenti di sezione e di Tribunale e ai rispettivi Uffici innovazione di elaborare un’analisi statistica, un monitoraggio ed un controllo dell’andamento dell’attività giudiziari estraendo in modo ordinato e lavorato i dati dai registri di cancelleria.
[18] Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 5 Start Upp > Eventi – cruscotto analisi e flussi Corte d’Appello di Bari – Roma 6 novembre 2024
[19] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Università di Pavia > 1nextgen_unipv_supdig_cruscotto.pdf
[20] Vedi al riguardo G. Ondei La collaborazione tra uffici giudiziari e università come opportunità da consolidare in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato, pag.21 ss.
Controllo giudiziario e sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia. Possibili profili di incostituzionalità (nota a T.A.R. Calabria – Reggio Calabria, ordinanza 28 ottobre 2024, n. 646)
di Silia Gardini
Sommario: 1. Introduzione al tema e alla questione giuridica sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo – 2. L’istituto del controllo giudiziario e i suoi rapporti con l’informazione interdittiva antimafia – 3. I paventati profili di incostituzionalità – 4. Legalità preventiva e ragionevolezza del sistema: una riflessione conclusiva.
1. Introduzione al tema e alla questione giuridica sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo
Il delicato bilanciamento tra la prevenzione delle infiltrazioni criminali nell’economia e nella fruizione e gestione delle risorse pubbliche e la salvaguardia delle libertà e dei diritti degli operatori economici impegna ampiamente e con sempre maggiore assiduità la giurisprudenza amministrativa e la dottrina. Non di rado, come nel caso in esame, dall’analisi applicativa degli istituti normativi delineati dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. “Codice antimafia”), nella sua complessa strutturazione, emergono nodi problematici che fanno sorgere dei dubbi in merito alla piena proporzionalità e ragionevolezza di determinate procedure[1].
Con l’ordinanza in commento il Tribunale amministrativo per la Calabria - Reggio Calabria ha sollevato, dunque, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7 del Codice antimafia, «per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 8 e 13 della CEDU e 1 del primo protocollo ad essa addizionale», nella parte in cui – in caso di ammissione alla misura del controllo giudiziario (di cui al medesimo art. 34-bis, comma 1) di un operatore economico, già destinatario di informazione interdittiva – non prevede che la sospensione degli effetti della stessa informazione interdittiva antimafia perduri anche per il tempo necessario alla definizione del procedimento di aggiornamento previsto dall’art. 91, comma 5 cod. antimafia.
L’attuale assetto normativo delinea, infatti, una situazione peculiare, in cui risulta assente un’espressa previsione di legge idonea a regolamentare le dinamiche – pure complesse – che si verificano nella fase terminale del controllo giudiziario c.d. “volontario”. Questa mancanza determina, sul piano pratico, rilevanti problematiche con riferimento alla lesione (spesso definitiva) della posizione giuridica dell’operatore economico prodotta a seguito della “riattivazione” del provvedimento interdittivo, nella finestra temporale intercorrente tra la cessazione del controllo giudiziario e l’aggiornamento dell’informazione antimafia ad opera della competente Prefettura.
L’indirizzo interpretativo ormai consolidato, nell’assenza di specifica regolamentazione, ha infatti escluso laprotrazione della sospensione degli effetti dell’informativa antimafia, non potendo il controllo giudiziario determinare, ex se, il superamento del pregresso provvedimento interdittivo. Il problema si pone, a maggior ragione, a seguito del revirement attuato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 7 e 8 del 13.02.2023, che hanno previsto – nell’ambito dei rapporti tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva e l’ammissione dell’impresa che ne è destinataria al controllo giudiziario – la non necessaria sospensione del primo in costanza del secondo[2]. Ciò vuol dire che, laddove il Giudice amministrativo adito non ravvisi l’illegittimità ratione temporis del provvedimento informativo antimafia e, dunque, non ne disponga l’annullamento, nel caso di mancato aggiornamento dell’interdittiva stessa prima dello scadere dei termini di vigenza del controllo giudiziario, l’interdittiva stessa tornerà a produrre tutti i suoi effetti inibitori.
La questione è spinosa, poiché la reviviscenza dell’interdittiva – anche per un tempo brevissimo – non soltanto priva di effettività l’istituto del controllo giudiziario (a maggior ragione se conclusosi con esito positivo e bonificante) e resetta tutte le azioni e i rapporti contrattuali nel frattempo avviati grazie ad esso (con effetti negativi anche sul buon andamento delle Amministrazioni coinvolte), ma finisce altresì per precludere qualsivoglia forma di tutela, anche successiva, in capo al soggetto che ne era destinatario.
Così è avvenuto nel caso specifico sottoposto alla cognizione del T.A.R. Reggio Calabria nella vicenda che ci interessa, laddove un’impresa – colpita da interdittiva e poi ammessa al controllo giudiziario – si era vista risolvere un importante contratto di appalto in corso di esecuzione con ANAS s.p.a., a causa della automatica reviviscenza degli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario. A nulla erano serviti, nell’approssimarsi della scadenza della misura di sorveglianza, gli interventi dell’impresa e della stessa stazione appaltante volti a sollecitare la decisione della Prefettura sulla pendente domanda dell’impresa per l’iscrizione alla white list e sul connesso procedimento di aggiornamento dell’interdittiva (avviato d’ufficio dalla Prefettura a seguito della prima e comunque dovuto in conseguenza della conclusione del controllo giudiziario[3]). Spirati i termini del controllo giudiziario (già prorogati una volta per un anno) e in assenza di riscontro da parte degli organi prefettizi, la stazione appaltante non aveva avuto altra possibilità se non quella di disporre la risoluzione delle obbligazioni derivanti dal contratto d’appalto.
A seguito dell’impugnazione di tale provvedimento risolutivo da parte della società appaltatrice, l’adito T.A.R. Reggio Calabria, pur non condividendo la ricostruzione proposta dalla ricorrente (che prospettava, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 34-bis cod. antimafia, la protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento di cui all’art. 91, comma 5 cod. antimafia[4]), ha accolto provvisoriamente la domanda cautelare sul presupposto del rilievo ex officio della questione di legittimità costituzionale, ritenendola non manifestamente infondata e rilevante per le ragioni espresse nell’ordinanza in commento, di cui meglio si dirà nei paragrafi successivi.
2. L’istituto del controllo giudiziario e i suoi rapporti con l’informazione interdittiva antimafia
Prima di analizzare i profili di possibile incostituzionalità paventati dal Giudice amministrativo nell’ordinanza de qua, al fine di meglio inquadrare i contorni della vicenda, è opportuno soffermarsi brevemente sulla configurazione e la ratio dell’istituto del controllo giudiziario, nella sua dinamica relazione con il sistema delle interdittive.
Com’è noto, il controllo giudiziario è disciplinato all’interno del libro I, titolo II, capo V del Codice antimafia, dedicato precisamente alle “Misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca”[5]. L’istituto trova applicazione, con finalità conservative e recuperatorie, nelle ipotesi in cui il rischio di infiltrazione mafiosa sia meramente occasionale e il condizionamento subito dall’impresa si presenti a un livello embrionale, non essendosi ancora realizzata un’opera di “immedesimazione” della realtà aziendale con l’organizzazione criminale[6].
Il controllo giudiziario può essere attuato a due differenti livelli di intensità: attraverso l’obbligo di comunicazione periodica al Questore e al nucleo di polizia tributaria degli atti di disposizione patrimoniale o di altri atti o contratti individuati dal Tribunale; ovvero, in termini più penetranti, attraverso la nomina di un amministratore, che però – diversamente da quanto avviene nell’ambito dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria, disciplinato dal precedente art. 34 – non si sostituisce all’impresa, ma assume funzioni di tutoraggio e di bonifica, riferendo periodicamente al giudice delegato e al pubblico ministero sull’andamento e sugli esiti dell’attività di controllo.
L’impresa, in costanza di controllo giudiziario, rimane, dunque, in ogni caso titolare diretta della propria attività.
Il controllo giudiziario si presenta, in tutta evidenza, come uno strumento agevolatorio, che pone in essere una “vigilanza prescrittiva” idonea a monitorare le azioni e i rapporti dell’impresa e, al contempo, a salvaguardare la continuità dell’attività imprenditoriale, anche nella prospettiva terapeutica di una sua bonifica. È l’unica misura di prevenzione la cui applicazione, in un’ottica innovativa di cooperazione tra amministrazione e impresa, può essere disposta (laddove l’impresa sia già destinataria di un’informativa antimafia interdittiva impugnata in sede amministrativa) anche a seguito di un’istanza di parte, dal cui accoglimento discende la sospensione degli effetti dell’interdittiva e la possibile ricollocazione dell’imprenditore sul mercato. La stessa Corte di cassazione ha riconosciuto che la misura in questione è stata prevista dal legislatore proprio allo scopo specifico di offrire un’alternativa al binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità, in attuazione del principio di proporzionalità e in vista di un possibile recupero dell’impresa[7].
La valutazione effettuata dal Giudice penale nel concedere la misura del controllo giudiziario è molto diversa da quella che compete al Prefetto con riferimento all’emanazione del provvedimento interdittivo. Non è una valutazione, per così dire, “statica”, poiché non fotografa – come invece fa l’interdittiva antimafia – una situazione di rischio di infiltrazione mafiosa in un determinato momento storico, ma realizza, invece, un giudizio prognostico circa l’emendabilità di una situazione già rilevata, connotata dal rischio di condizionamento o agevolazione di soggetti criminali, con il fine del risanamento dell’impresa e del suo riallineamento a un contesto economico sano. Quand’anche l’interdittiva non sia annullata dal giudice amministrativo, e dunque si accerti l’esistenza di infiltrazioni mafiose, l’esigenza di risanamento dell’impresa stessa non potrebbe comunque ritenersi venuta meno[8].
Ferma la distinzione ontologica e finalistica dei due istituti, è tuttavia innegabile che tra controllo giudiziario c.d. volontario e informazioni interdittive antimafia esistano importanti connessioni, che si manifestano su diversi piani.
Emerge innanzitutto una connessione procedurale, poiché l’impugnazione del provvedimento interdittivo dinanzi al Giudice amministrativo rappresenta una condizione imprescindibile ai fini della richiesta al Tribunale ordinario (in funzione di Giudice della prevenzione) della disposizione del controllo giudiziario.
Vi è poi una connessione effettuale, dal momento che l’ammissione a controllo giudiziario determina, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, l’automatica sospensione degli effetti dell’interdittiva per tutta la durata del controllo stesso. La sospensione ex lege degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia rimane comunque ad tempus, legata all’effettiva pendenza del controllo giudiziario[9].
Esiste, altresì, una connessione sostanziale: benché dall’esito del controllo giudiziario non derivi alcun vincolo formale per la Prefettura (che, in sede di riesame e aggiornamento dell’interdittiva antimafia, ben potrà confermare il provvedimento[10]), è ragionevole ritenere che il positivo riscontro dei requisiti di “occasionalità” e “non definitività” del rischio di infiltrazione mafiosa – che costituiscono i presupposti necessari della misura conservativa, ponderati a tal fine dal Giudice – e, soprattutto, la cristallizzazione della positiva conclusione del controllo (riferendosi, sia pure in via incidentale e in proiezione de futuro, a quegli stessi elementi indiziari sulla base dei quali il Prefetto formula la propria prognosi di rischio infiltrativo) acquisiscano un peso specifico nell’ambito di tale valutazione.
Di talché, laddove il Prefetto ritenesse di confermare ugualmente l’interdittiva, considerando ancora attuale il rischio di condizionamento mafioso, per non incorrere nel vizio di eccesso di potere e nel conseguente annullamento giudiziario, il provvedimento confermativo dovrebbe essere sottoposto a un onere motivazionale rinforzato, non essendo sufficiente il richiamo alla mera persistenza degli elementi indiziari posti a base dell’originaria informativa, ma dovendo anche evidenziarsi le ragioni che rendono le conclusioni raggiunte dal Giudice della prevenzione non idonee ad accogliere una prognosi differente da parte dell’Autorità amministrativa prefettizia[11]. Diversamente opinando verrebbe snaturata la stessa funzione del controllo giudiziario, da cui deriverebbe soltanto l’effetto di sospendere temporaneamente e, dunque, posticipare le conseguenze del provvedimento interdittivo[12].
3. I paventati profili di incostituzionalità
Secondo la ricostruzione del Tribunale amministrativo reggino, la sopravvivenza dell’informazione interdittiva antimafia alla conclusione favorevole del controllo giudiziario, se pur obbligatoriamente necessitante di una rivalutazione da parte del Prefetto ai sensi dell’art. 91, comma 5, cod. antimafia, non sarebbe evitabile (neppure attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata), a causa della mancanza di una previsione normativa espressa idonea a regolamentare gli effetti del provvedimento interdittivo nelle more dello svolgimento dello stesso procedimento prefettizio di aggiornamento.
Da tale circostanza derivano, sul piano pratico, pericolosi effetti distorsivi, idonei a mettere in dubbio la coerenza dell’impianto della norma con i principi costituzionali di riferimento.
La doverosità dell’avvio del procedimento di riesame dell’interdittiva – nelle forme dell’autotutela revocatoria, al fine di valutarne, attraverso un’adeguata istruttoria e con le opportune garanzie di contraddittorio, la perdurante necessità – è stata saldamente argomentata dalla giurisprudenza[13]. Laddove tale procedimento di secondo grado venga definito prima dello spirare del termine di conclusione del controllo giudiziario, non si pone alcun problema, poiché sull’interdittiva originaria inciderebbe – nel bene o nel male – la nuova valutazione prefettizia.
Le Prefetture hanno, però, maturato in materia una prassi dannosa (sulla quale la stessa giurisprudenza amministrativa si è pronunciata in termini negativi[14]), che prevede la necessaria preventiva acquisizione della relazione conclusiva del controllo giudiziario e, dunque, l’avvio del procedimento di aggiornamento ex art. 91, comma 5 cod. antimafia quando gli effetti dell’interdittiva hanno già ripreso a manifestarsi.
Tale circostanza, sommata alla mancanza di un’apposita disciplina normativa della fattispecie, determina la “materializzazione” di un paradossale frangente temporale in cui il privato imprenditore destinatario dell’interdittiva risulta privo di qualsivoglia tutela e destinato a subire inerme gli effetti pregiudizievoli discendenti dal ripristino dell’efficacia dell’interdittiva. Prima della conclusione del procedimento di riesame, il privato non potrà né (re)impugnare l’originaria informazione antimafia, in quanto già coperta da giudicato, né presentare una nuova domanda di ammissione al controllo giudiziario, difettando in questo caso il presupposto processuale dell’avvenuta contestazione in sede giurisdizionale dell’interdittiva (che si manifesterebbe solo a seguito dell’eventuale e futuro provvedimento prefettizio di conferma).
Il T.A.R. Calabria – Reggio Calabria opportunamente utilizza l’espressione “limbo” per definire la posizione dell’operatore economico post controllo giudiziario, che risulta incapace di reagire in qualsiasi modo alla situazione derivante dalla mancata definizione del provvedimento di aggiornamento prefettizio e che dovrà, dunque, passivamente accettare, con conseguenze irreversibili, l’immediata e automatica risoluzione dei rapporti contrattuali in essere – come nel caso in esame – o l’esclusione dalle procedure di gara eventualmente in fase di aggiudicazione.
Tali conseguenze sono irreversibili per la fisiologica dinamica temporale dei provvedimenti coinvolti. La perdita del requisito di gara – legato alla insussistenza di tentativo di infiltrazione mafiosa – non potrebbe, infatti, essere superata né dall’eventuale successiva informazione liberatoria (che avrebbe chiaramente efficacia ex nunc), né dall’accoglimento della domanda cautelare proposta con l’impugnativa della nuova interdittiva eventualmente emessa con il procedimento di riesame (la cui efficacia potrebbe retroagire solo fino al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, non potendo tuttavia neutralizzare gli effetti prodottisi anteriormente, nel periodo di “riemersione” dell’originaria interdittiva).
Partendo da tali considerazioni, il Giudice amministrativo motiva il contrasto della normativa, innanzitutto, con l’art. 3 della Costituzione, evidenziando la possibilità che si verifichi – soprattutto nel settore degli appalti pubblici, come nel caso oggetto di controversia – un trattamento disomogeneo tra situazione sostanzialmente identiche[15]. A fronte dell’immobilismo forzoso dell’impresa reduce di controllo giudiziario e in attesa di aggiornamento dell’informativa antimafia, all’impresa che abbia invece la possibilità immediata di impugnare il provvedimento interdittivo, anche confermativo del precedente, risulta assicurata non soltanto una tutela giurisdizionale effettiva avverso il provvedimento lesivo, ma pure la facoltà di richiedere nuovamente la sottoposizione a controllo giudiziario volontario, anche nei casi in cui non venga accolta la domanda cautelare sospensiva nell’ambito del giudizio di impugnazione. Viene così garantita la possibilità di mantenere in vita i contratti d’appalto già stipulati al momento dell’adozione dell’interdittiva[16], così come quella di proseguire la gara in corso «se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis» (come dispone il nuovo Codice dei contratti pubblici: art. 94, comma 2, D.lgs. n. 36/2023).
Considerazioni sostanzialmente identiche vengono richiamate per supportare la possibile illegittimità dell’art. 34-bis, comma 7 cod. antimafia per violazione degli artt. 24 e 117, comma 1 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 13 della CEDU). In questo caso, ciò che rileva è la pregnante compressione del diritto di difesa dell’interessato, al quale viene, di fatto, preclusa la possibilità di attivare qualsiasi rimedio giurisdizionale, «tanto contro gli ‘effetti ripristinati’ dell’interdittiva, già oggetto di sindacato giudiziale definitivo, quanto, per evidente mancanza di interesse, contro il provvedimento – sempre ad ammettere che il giudice della prevenzione debba formalmente adottarlo – dichiarativo della cessazione del controllo per scadenza del termine massimo di durata»[17].
Nella ricostruzione del T.A.R. Calabria, i dubbi di costituzionalità della norma emergono anche con riferimento all’art. 97 Cost., dunque ai principi di buon andamento, ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa. Esponendo l’impresa, nonostante l’esito favorevole del controllo giudiziario e prim’ancora della valutazione dell’autorità prefettizia in merito alla utilità delle misure di self cleaning attuate nel periodo del controllo, a tutti gli effetti pregiudizievoli che il medesimo istituto del controllo giudiziario avrebbe dovuto evitare, si verifica una sorta di “corto circuito” normativo, una situazione paradossale in cui vengono rinnegate sul piano effettuale le stesse finalità che il legislatore si era fissato nel prevedere la normativa applicata[18]. L’impresa si trova, infatti, nuovamente esposta agli effetti negativi dell’interdittiva e tanto basta per ostacolare (se non rendere addirittura impossibile) il processo di recupero alla legalità intrapreso sotto l’egida del Tribunale penale.
L’irragionevolezza del quadro regolatorio emerge, in particolare, nei casi in cui la verifica prefettizia si concluda in modo favorevole, con un positivo apprezzamento della funzione bonificante del controllo giudiziario e, dunque, con l’emissione di un’informazione liberatoria. In questo caso il disallineamento dei tempi procedimentali determina, come sopra rilevato, il sostanziale azzeramento dell’azione – evidentemente virtuosa – nel frattempo costruita dall’impresa nei suoi rapporti con la Pubblica amministrazione, con buona pace degli sforzi compiuti dal privato e dalle istituzioni in questa direzione.
Con particolare riguardo al principio di proporzionalità, l’ordinanza di rimessione evidenzia altresì l’assenza di qualsivoglia meccanismo di graduazione nella riespansione degli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva, che avrebbe potuto essere modulata dal legislatore sul piano degli effetti (consentendo, ad esempio, l’esecuzione dei contratti in corso o lasciando impregiudicato l’esercizio delle attività soggette a regime autorizzatorio) ovvero attuato con soluzioni meno afflittive, come il meccanismo della condizione risolutiva di cui all’art. 92, comma 3 cod. antimafia, previsto nel caso di inosservanza del termine per il rilascio dell’informazione antimafia, o, ancora, mediante la prorogatio del controllore giudiziario sino alla definizione del procedimento di riesame.
A ben vedere, il danno che si produce in questi casi, assume una portata bidirezionale.
Dalla distorsione attuativa della normativa non discende soltanto un pregiudizio irreversibile per il privato operatore economico, ma anche un coinvolgimento lesivo degli interessi dei soggetti pubblici con cui esso entra in rapporto. Si pensi, nell’ambito del sistema dei contratti pubblici, alle stazioni appaltanti che – avendo avviato rapporti giuridici con soggetti ritenuti affidabili dall’ordinamento (in vigenza del controllo giudiziario) – si trovino, di punto in bianco a dover sospendere gare, lavori e forniture, ripartendo poi da zero, con un nuovo procedimento ad evidenza pubblica e tutto ciò che ne consegue in termini di dispendio di risorse economiche e funzionali, nonché con un allargamento potenzialmentemolto vasto dei tempi di realizzazione del servizio o della fornitura, a discapito dell’interesse della collettività. Da qui il potenziale contrasto dell’art. 34-bis, comma 7, sempre nella cornice dell’art. 97 Cost., anche con riguardo ai principi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.
La norma censurata, tenuto conto della portata estremamente ampia e incisiva delle conseguenze che discendono dall’applicazione di un’interdittiva antimafia, che inibisce sia i rapporti con la pubblica amministrazione, sia le attività private sottoposte a regime autorizzatorio, rileva secondo il Collegio reggino anche con riguardo a «l’art. 4 Cost., determinando un ingiustificato, e non necessario, sacrificio del diritto al lavoro, e, per le stesse ragioni, l’art. 41 Cost., pregiudicando incisivamente il libero esercizio dell’attività di impresa»[19].
4. Legalità preventiva e ragionevolezza del sistema: una riflessione conclusiva
Il sistema amministrativo della lotta alla criminalità organizzata si muove sul confine mobile della ricerca del miglior equilibrio possibile tra interessi che spesso appaiono tra loro contrastanti. Sia pur in costanza dell’apprezzabile sforzo del legislatore – da ultimo attuato con la novella del Codice antimafia del 2021 – verso la predisposizione di un sistema di prevenzione più articolato e gradualistico, è innegabile che si manifestino ancora in materia numerose distorsioni applicative, quasi sempre a discapito della parte imprenditoriale.
L’incidenza dell’istituto sulla libertà imprenditoriale resta evidentemente un problema aperto, rispetto al quale a volte l’eccessiva lesività (che emerge sul piano pratico) si lega alla incapacità di far “dialogare” virtuosamente tra loro i diversi istituti previsti dalla normativa di settore.
In tale contesto la giurisprudenza amministrativa ha svolto e svolge un ruolo estremamente rilevante, non soltanto nel tutelare le posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti, ma anche e soprattutto nel fornire al legislatore importarti stimoli riformatori[20]. Lo ha fatto nel caso esaminato in questo scritto, suggerendo alla Corte costituzionale l’adozione di una sentenza additiva, con la quale connettere l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7 del Codice antimafia alla mancanza di una previsione espressa di raccordo tra questo istituto e il suo naturale contraltare amministrativo, ovvero l’informazione interdittiva antimafia.
La pronuncia della Consulta sulla questione sollevata dal T.A.R. Reggio Calabria sarà senz’altro molto importante. Nelle more della sua pubblicazione, qualsivoglia riflessione sul tema – pur considerando sempre le ragioni della lotta contro le mafie e i loro subdoli condizionamenti come vitali e primarie per il nostro ordinamento – non può che partire dalla constatazione che una misura di prevenzione non dovrebbe mai atteggiarsi come una sorta di sanzione anomala e che la legalità repressiva non dovrebbe mai confondersi con la legalità preventiva[21], i cui strumenti ed obiettivi dovrebbero, a loro volta, essere sempre collocati su un piano perpendicolare ma differente rispetto a quelli della prima.
[1] Cfr., F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e costituzionalità della lotta «anticipata» alla criminalità organizzata, in Giustamm, 2018.
[2] L’Adunanza plenaria, con le sentenze n. 7 e n. 8 del 13.02.2023, non ha aderito alla tesi della sospensione necessaria del giudizio amministrativo, accolta invece nell’ordinanza di rimessione, affermando il seguente principio di diritto: «la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione né del giudizio di impugnazione contro l'informazione antimafia interdittiva, né delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese previste dall’art. 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall'impresa destinataria di un’informazione antimafia interdittiva». La Plenaria, non le pronunce in questione, nel ricostruire gli istituti sia da punto di vista sostanziale che da quello processuale, ha rilevato come neppure nella giurisprudenza della Cassazione penale in materia di impugnazione del diniego di ammissione al controllo giudiziario emerga una ricostruzione del rapporto tra l’interdittiva e il controllo giudiziario volontario in termini di pregiudizialità-dipendenza di intensità maggiore rispetto a quella delineata dall’art. 34-bis del D. lgs. n. 159 del 2011.Inoltre, aderire alla tesi della sospensione provocherebbe uno snaturamento del sistema tassativo previsto dall’art. 295 c.p.c., con inevitabili ricadute in termini di ragionevole durata del processo e non fondata neanche sull’esigenza di evitare giudicati contrastanti. Cfr., A. Giacalone, Informazione interdittiva antimafia e controllo giudiziario: analisi del rapporto esistente fra i due istituti e demarcazione dei relativi presupposti, in questa Rivista, 13 giugno 2024; C. Cappabianca, Gli effetti sul giudizio amministrativo del controllo giudiziario delle aziende ex art. 34-bis, comma 6, d.lg. n. 159/2011: dopo l'adunanza plenaria n. 7/2023, in Dir. proc. amm., 4/2023, 743 ss.
[3] Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it.
[4] In sede di delibazione cautelare il Tribunale ha ritenuto l’argomentazione di parte non condivisibile, «ostando alla ricostruzione interpretativa, pur pregevole, prospettata dalla ricorrente in ordine alla protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva anche dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario e sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia, la mancanza nell’ordinamento di una previsione espressa che regolamenti in modo puntuale tale peculiare profilo inerente alla fase terminale dei rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario c.d. volontario». Il dato testuale espresso dal comma 7 dell’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, è stato considerato dal Giudice amministrativo insuperabile: ricollegando l’effetto tipico che consegue al decreto di ammissione al controllo giudiziario (ovvero la sospensione dell’incapacità a contrattare) alla sua vigenza, qualsiasi diversa interpretazione che, pur nell’ottica di correggere le vistose distorsioni applicative della normativa in esame, tenda a dilatare temporalmente l’effetto in questione oltre il momento di cessazione della misura prescrittiva sarebbe preclusa in nuce. Cfr., T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, ord. n. 213/2024, in www.giustizia-amministrativa.it.
[5] L’istituto appartiene a quelle misure di prevenzione patrimoniali “altre”, differenti rispetto alle forme di intervento patrimoniale tradizionali quali la confisca e il sequestro.
[6] Cfr., M.A. Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario, in questa Rivista, 12 maggio 2022; R. Rolli, V. Bilotto, F. Bruno, Interdittive antimafia e il loro difficile (e travagliato) rapporto con il controllo giudiziario volontario: un quadro di insieme in attesa dell’Adunanza Plenaria, in www.ratioiuris.it, 15 febbraio 2023; Id., Interdittive antimafia e controllo giudiziario volontario: l’Adunanza plenaria mette la parola fine (?) Al dibattuto rapporto tra i due istituti, in www.ratioiuris.it, 24 aprile 2023; M. Mazzamuto, Il salvataggio delle imprese tra controllo giudiziario volontario, interdittive prefettizie e giustizia amministrativa, in Sistema penale, 2020. Per una ricostruzione più ampia e organica dell’istituto del controllo giudiziario nell’ambito del sistema amministrativo antimafia, si veda V. Salamone, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019.
[7] Cfr. Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2021, n. 24678; Id., sez. II. 31 maggio 2021, n. 21412.
[8] Secondo l’orientamento del Consiglio di Stato, ripreso e ampliato dall’Adunanza plenaria con le già richiamate sentenze n. 7 e n. 8 del 13.02.2023, l’esito favorevole del controllo e l’eliminazione del rischio di infiltrazione non rilevano nel giudizio amministrativo di impugnazione del provvedimento interdittivo, che riguarda invece gli elementi esistenti al momento della sua emanazione: «il controllo giudiziario presuppone l’adozione dell’informativa, rispetto alla quale rappresenta un post factum” (…) perché inevitabilmente diversi sono gli elementi fattuali considerati anche sul piano diacronico nelle due diverse sedi (…) la valutazione finale del giudice della prevenzione penale si riferisce dunque alla funzione tipica di tale istituto, che è un controllo successivo all’adozione dell’interdittiva, ed ha riguardo alle sopravvenienze rispetto a tale provvedimento». Così., Cons. di Stato, sez. III, sent. 11 gennaio 2021, n. 319, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di R. Rolli, M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e controllo giudiziario, in questa Rivista, 12 febbraio 2021. Se sul piano formale i due giudizi appaiono autonomi, è evidente che le due differenti delibazioni compiute dal Giudice Amministrativo e dal Giudice della prevenzione finiscano, comunque, per influenzarsi. Nell’ambito di un recente giudizio presso il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, il Giudice Amministrativo, che aveva inizialmente negato la concessione della misura cautelare sospensiva, ha infine accolto il ricorso in appello, annullando l’informazione antimafia, proprio a partire dalle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario. Cfr., CGA, sentenza n. 13 del 4 gennaio 2023, in www.giustizia-amministrativa.it.
[9] L’informazione interdittiva antimafia, come già ricordato, riprenderà i propri effetti una volta chiusa (per scadenza naturale o provvedimento anticipato dell’a.g.o.) la procedura ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, rimanendo comunque salvo, in ogni caso, anche prima della chiusura del controllo giudiziario, il potere-dovere della Prefettura ex art. 91, comma 5, ultimo periodo del D.lgs. n. 159 del 2011, di aggiornare, in sede amministrativa, anche su richiesta dell’interessato «l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa», pure, se del caso, prendendo in considerazione i risultati provvisori (ovvero definitivi) del controllo giudiziario medesimo. Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it.
[10] Deve «escludersi che il controllo giudiziario sia in grado di cancellare gli eventi che in passato hanno dato sostanza al rischio infiltrativo, in guisa da assumere oltre ad una funzione cautelare e bonificante, anche una funzione riabilitante, poiché così ragionando si andrebbe oltre la volontà del legislatore, sino a costruire una sistema di prevenzione penale/amministrativa in cui l’informativa assume il ruolo di condizione di procedibilità del controllo giudiziario a domanda, e quest’ultimo quello di un percorso che esenta l’imprenditore da qualsivoglia effetto interdittivo nei rapporti con la Pubblica amministrazione (dapprima in sede cautelare e poi in forza dell’effetto riabilitante)». Cfr., Consiglio di Stato sez. III, 16 giugno 2022, n. 4912, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di G. Botto, Sul rapporto tra controllo giudiziario ad esito favorevole e aggiornamento dell’informativa antimafia, in questa Rivista, 5 ottobre 2022.
[11] Cfr., Consiglio di Stato sez. III, 16 giugno 2022, n. 4912, cit. Sul tema di segnala una interessante decisione del T.A.R. Puglia, Sez. II, 15 luglio 2022, n. 1044 in www.giustizia-amministrativa.it, con cui il Giudice ha accolto il ricorso presentato da un’impresa raggiunta da provvedimento interdittivo malgrado l’esito positivo del controllo giudiziario, proprio sulla scorta del difetto di motivazione del provvedimento prefettizio, che non aveva preso in debita considerazione gli elementi riportati nella relazione dell’amministratore giudiziario.
[12] Con riferimento all’aggiornamento dell’interdittiva, fondato anche sulla valutazione degli elementi intervenuti a seguito del provvedimento originario «si potrebbe considerare sussistente un obbligo del Prefetto di provvedere sulla istanza di riesame, dovendo avere rilevanza la sopravvenienza tenuta in considerazione dal legislatore (la conclusione positiva del controllo giudiziario)»: così, Cons. Stato, Sez. III, 6 luglio 2022, n. 5615, in www.giustizia-amministrativa.it.
[13] Al carattere provvisorio e statico dell’interdittiva antimafia corrisponde l’obbligo della Prefettura di provvedere al suo aggiornamento.La rivalutazione prefettizia risulta doverosa, anche in mancanza di un’iniziativa di parte, in forza del disposto dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 57/2020. Proprio dalla natura della valutazione sottesa all’interdittiva antimafia (che si limita a fotografare una certa realtà in un dato momento storico) deriva la scelta legislativa di disciplinare un meccanismo di necessario aggiornamento della stessa, come previsto all’art. 91, comma 5, cod. antimafia. La giurisprudenza ha, dunque, affermato il principio secondo cui, attesa l’autonomia per così dire funzionale tra la misura amministrativa dell’interdittiva antimafia e quella giurisdizionale del controllo giudiziario, è illegittimo il silenzio opposto dalla prefettura alla richiesta di riesame della misura amministrativa. Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di R. Rolli, M. Maggiolini, Atomo scisso e silenzio prefettizio: tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario, in questa Rivista, 8 maggio 2024. Sul punto, di recente si è pronunciato anche il T.A.R. Sicilia, Sez. I, con sentenza 16 luglio 2024, n. 2247: «il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, (…) ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva (…) ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva».
[14] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68, cit.
[15] L’asimmetria tra le posizioni giuridiche prese in considerazione è stata evidenziata, in altro contesto, anche dalla Cassazione penale, che ha rilevato come il soggetto che solleciti la revisione del provvedimento interdittivo e adisca il giudice amministrativo invocando l’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto sia portatore di «una situazione giuridica più fievole di colui che contesta la conformità a diritto dell’originaria informazione interdittiva»: cfr., Cassazione penale, sentenza n. 19154/2023.
[16] Facoltà, questa, già riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza sotto il previgente Codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 80, comma 2, ultimo periodo. Cfr., Cons. St., sez. V, 14 aprile 2022, n. 2847 e, da ultimo, TAR Toscana, sez. IV, 30 settembre 2024, n. 1074, in www.giustizia-amministrativa.it), ma anche quella di ottenere l’aggiudicazione quand’anche l’interdittiva sia stata emessa in corso di gara.
[17] Cfr. ordinanza in commento, pag. 31.
[18] L’espressione “effettività rinnegante”, coniata con precipuo riferimento al diritto penitenziario, ma utilizzabile in qualunque ambito, esprime lo scostamento tra il diritto affermato in sede normativa e la sua effettività, data da una «illegalità ufficiale attraverso la non applicazione e la manipolazione amministrativa delle norme». Cfr., F. Bricola, Il carcere “riformato”, Bologna, 1977, ora in Id., Scritti di diritto penale, vol. I, tomo II, Milano, 1997.
[19] Cfr. ordinanza in commento, pag. 45.
[20] Si pensi alle riflessioni sull’istituto del contradditorio, prima escluso nell’ambito dei procedimenti in materia di informative antimafia, oggi recepite dal legislatore, in particolare dopo la sentenza della Sez. III del Consiglio di Stato del 10 agosto 2020, n. 4979.
[21] Sulla distinzione tra legalità repressiva e legalità preventiva, cfr. V. Nuvolone, Le misure di prevenzione nel sistema penale italiano, in Ind. pen., 1973, 470. Di recente essa è stata ripresa dalla stessa Corte costituzionale, con la pronuncia n. 24/2019, in www.cortecostituzionale.it.
Pubblichiamo il testo della relazione della Commissione mista istituita presso il CSM per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza e dell’esecuzione penale. La relazione è stata incentrata sullo stato di attuazione della riforma relativa alle residenze per le misure di sicurezza, meglio note come REMS. Ne emerge un quadro preoccupante, noto solo agli operatori di settore e spesso, anche tra questi, solo per contenuti generici. La realtà è quella di una carenza di strutture e di personale, di incertezza sul fabbisogno effettivo, di difficile comunicazione – non per disponibilità, ma per visioni culturali – tra amministrazione della giustizia e settore sanitario, cui la gestione delle REMS è affidata. Di fondo, rimane un problema sociale, che riguarda non solo il mondo carcerario, ma tutta la collettività, se si pensa al numero elevatissimo di detenuti affetti da vizi mentali e alle persone che neppure pena da scontare per accertata incapacità totale di intendere e di volere. Con questa relazione il Consiglio superiore della magistratura prova anche a mandare un segnale di ascolto verso universi culturali che devono cominciare parlarsi.
Il testo della risoluzione:
R.E.M.S.
DOCUMENTO FINALE
1. PREMESSA
Il Consiglio Superiore della Magistratura, con la risoluzione del 26 luglio 2023, ha ricostituito - in ideale continuità con le precedenti positive esperienze consiliari - la Commissione Mista per lo studio dei problemi della Magistratura di Sorveglianza e dell’Esecuzione Penale.
Ne sono Componenti:
Cons. Andrea MIRENDA, Componente del Consiglio Superiore della Magistratura, Presidente;
Cons. Tullio MORELLO, Componente del Consiglio Superiore della Magistratura;
Cons. Eligio PAOLINI, Componente del Consiglio Superiore della Magistratura;
Dott. Filippo SCAPELLATO, Magistrato di Sorveglianza presso Uff. Sorv. Ancona;
Dott.ssa Marta D’ERAMO, Magistrato di Sorveglianza presso Uff. Sorv. Pescara;
Dott. Marco PUGLIA, Magistrato di Sorveglianza presso Uff. Sorv. Santa Maria Capua Vetere;
Dott.ssa Maria Raffella FALCONE, Magistrato di Sorevglianza presso Uff. Sorv. Viterbo
Dott.ssa Adriana BLASCO, Sost. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Milano;
Dott. Stefano TOCCI, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;
Dott. Edmondo DE GREGORIO, Magistrato addetto al Gabinetto del Ministro della Giustizia;
Dott.ssa Oriana TANTIMONACO, Magistrato addetto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
La Commissione Mista opera nell'ambito delle competenze della IX commissione in materia di “atti, pareri, iniziative in relazione a problematiche inerenti la materia dell’esecuzione penale e della Magistratura di Sorveglianza, con esclusione dei profili organizzativi di competenza della Settima Commissione” ed ha, fra le sue attribuzioni, la ricerca di soluzioni alle problematiche connesse alla funzionalità degli uffici, alla esecuzione della pena ed alla tutela dei diritti dei detenuti e degli internati, valorizzando una visione globale dei problemi della pena e favorendo modelli di cooperazione istituzionale.
Lo scopo perseguito è quello di favorire la ripartenza di una riflessione comune sui problemi della sorveglianza e dell’esecuzione penale in generale, al fine di individuare concrete linee di intervento - sia ordinamentali che organizzative - capaci di affrontare quelle che, purtroppo, appaiono ormai le croniche criticità del nostro sistema penitenziario, legate principalmente, ma non solo: al sovraffollamento carcerario ed alle difficili condizioni intramurarie che ne conseguono sul piano trattamentale; al precario equilibrio tra afflittività della pena, disagio psichico e misure di sicurezza, in particolare per la precarietà dell’assistenza sanitaria intramurale, di competenza regionale; all’inadeguatezza complessiva, tanto ordinamentale che amministrativa, del modello organizzativo finalizzato alla esecuzione delle misure di sicurezza detentive e non.
Criticità, queste, cui si accompagnano non infrequenti lesioni dei diritti fondamentali delle persone sottoposte alla esecuzione della pena e/o delle misure di sicurezza.
La formazione composita della Commissione appare, ancora una volta, la formula meglio in grado di analizzare una realtà complessa e composita come quella dell’esecuzione penale, al fine di individuarne le carenze normative e le disfunzioni operative. Già in passato, difatti, la sinergia delle diverse competenze si è rivelata proficua e l’esperienza è stata più volte reiterata, sin dal quadriennio 1990/1994, ancora nella consiliatura 1998/2002 e, da ultimo, quella appena trascorsa.
I quaderni n. 160 del 2013 e n. 163 del 2015 danno conto delle due direttrici fondamentali seguite “in allora” dalla Commissione Mista, l’una volta a fornire al Consiglio ed agli altri interlocutori istituzionali coinvolti proposte di interventi normativi e organizzativi di pronta applicabilità per contenere il numero di detenuti negli istituti di pena; l’altra, volta alla migliore valorizzazione della professionalità della magistratura di sorveglianza ed alla ricognizione delle piante organiche di quegli uffici, onde verificarne la congruità rispetto al delicato compito assegnato.
2. LE TEMATICHE AFFRONTATE
La direttrice attuale, che peraltro riprende spunti già osservati e studiati in occasione delle precedenti Commissioni, è emersa in esito a numerose sedute che hanno permesso, dapprima, di trattare in termini generali i temi dell’Ufficio del Processo (da assicurare, per ovvi motivi, anche alla Magistratura di Sorveglianza); della implementazione, anche a livello grafico, dei sistemi SIEP e SIUS, magari avvalendosi degli UPP; del potenziamento dell’Uepe per le correlate attività di osservazione; dell’essenziale istituzione dei nuclei di polizia penitenziaria presso gli uffici di sorveglianza; del sovraffollamento carcerario; dell’idoneo trattamento dei detenuti psichiatrici (ipotizzando anche per essi l’affidamento terapeutico ?!); dell’assistenza ai tossicodipendenti in carcere e di come agevolarne l’accesso alle misure alternative; delle Rems e correlate liste di attesa e dei percorsi psichiatrici alternativi sul territorio (specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.22 del 2022 e dopo la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo v. Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 gennaio 2022- Ricorso n. 11791/20- Causa SY c. Italia)), delle ricadute pratiche degli ultimi interventi normativi (D.L. “Carcere Sicuro”) principalmente in materia di liberazione anticipata.
3. IL PROBELMA R.E.M.S.
Dopo questo approccio di ordine generale, l’attenzione della Commissione si è, quindi, concentrata proprio sul tema “R.E.M.S.”, nello sforzo di illuminarlo in tutta la sua attualità e gravità, onde giungere a contributi organizzativi e ordinamentali utili.
Si è preso atto, per le vie brevi, della tendenziale contrarietà del Ministero della Salute alla creazione di nuove REMS, giusta il principio “più contenitori ci sono, più vengono riempiti”; è stata posta, poi, in luce la questione di come dette strutture - a fronte di un titolo esecutivo – possano declinare l’internamento del soggetto sottoposto a misura di sicurezza detentiva, diversamente da quanto accade per il carcere in ipotesi di sovraffollamento e di quanto accadeva prima per gli OPG., senza con ciò ledere l’effettività della giurisdizione.
Si è puntualmente rilevato, da un lato, come la stima numerica del reale fabbisogno sia del tutto fuorviante e, dall’altro, come sia d’ostacolo ad un’“accoglienza indiscriminata” il profilo spiccatamente curativo e non anche contenitivo svolto delle Residenze in questione. Ha registrato, così, pieno consenso la necessità di un’adeguata e strutturale modifica normativa che, nel tener conto dei rilievi sollevati, si muova su due direttrici: la prima, di una generale e ragionata revisione del numero e dei posti all’interno delle REMS (inspiegabilmente assenti in Calabria e Umbria); la seconda, forse più pregnante, dell’aumento - a medio-lungo termine - dei centri di igiene mentale e delle strutture di accoglienza sul territorio.
Si è toccato anche il tema dell’adeguamento tecnico-scientifico delle perizie psichiatriche, per evitare, ad esempio, che in REMS finiscano soggetti affetti da psicopatie irrecuperabili (e perciò non curabili) ovvero, all’opposto, soggetti che ben potrebbero essere destinatari di un misura non detentiva da svolgersi sul territorio; ed ancora, si è parlato di concorsi ad hoc per i medici destinati alle REMS, al fine di superare le diserzioni attuali; del monitoraggio continuo delle strutture di internamento, anche al fine di verificare quante siano effettivamente le licenze di esperimento finale da esse proposte; di internamenti risalenti addirittura al 2019 e non ancora eseguiti; di “fermo biologico” della misura dell’internamento fino a quando non vi sia capienza in una struttura e della possibilità di sostituirla con la libertà vigilata in strutture territoriali acconce; della possibilità di rivalutazione “motu proprio” dell’internamento da parte del Magistrato di Sorveglianza, in ragione del tempo trascorso; del rischio di un possibile atteggiamento conservativo dei sanitari che, per comodità di gestione, potrebbero indugiare nel trattenere nelle strutture soggetti concretamente non più pericolosi; della necessità di monitorare continuamente i soggetti in lista di attesa, magari per il tramite dei servizi territoriali, così da avere dati utili, in tempo reale, ai fini della loro rivalutazione; infine, della necessità di un approccio “bifasico” alla valutazione dell’internamento provvisorio, pur con i limiti imposti dal segreto istruttorio.
Si è appreso, altresì, in parziale controtendenza con quanto anzidetto, che al Tavolo Tecnico istituito presso il Ministero della Salute è emersa una certa disponibilità ad aumentare del 20% la capienza delle REMS, pur evidenziandosi l’eccessivo uso della misura in questione (apprezzato intorno al 30%); l’eccedenza andrebbe, invece, risolta per il tramite dei Servizi Territoriali. Si sono poi ipotizzate, sempre in quella sede: la costituzione di tre strutture di Alta Sicurezza distribuite tra nord, centro e sud, destinate ciascuna ad accogliere 20 soggetti circa, per così dire, “inemendabili”, in cui prevalga l’aspetto “custodiale” su quello curativo, da affidarsi alla Polizia Penitenziaria, anche al fine di assicurare una migliore funzionalità e regolarità delle REMS ordinarie; la possibilità di predisporre “linee-guida” in tema di internamento a fini deflattivi e di istituire un albo speciale di professionisti che possano interfacciarsi anche con i Servizi Territoriali; la necessità di creare una cabina di regia c/o il DAP, che si interfacci continuamente con i P.U.R. (Punti Unici Regionali) incaricati di segnalare le strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive.
Infine, si è registrato apprezzamento per talune conclusioni contenute nel rapporto AGENAS 2021 (documento 4.6.2021), in particolare: la necessità di un aumento complessivo e strutturale dell’offerta psichiatrica per i soggetti sottoposti a misure di sicurezza detentive e non, con generale rafforzamento dell’offerta complessiva destinata ai pazienti autori di reato ed affetti da vizio totale o parziale di mente, onde ricondurre l’internamento ad extrema ratio, cui va garantita l’effettività; l’esigenza di un coordinamento strutturato tra periti e consulenti tecnici dell’autorità giudiziaria, da un lato, ed i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) territorialmente competenti, dall’altro; la previsione di una rivalutazione periodica della pericolosità sociale dei soggetti in lista di attesa per l’ingresso in una REMS, tendenzialmente a sei mesi dall’adozione della misura qualora non si stata ancora attuata; l’organizzazione di momenti di formazione comune tra magistrati, sanitari specializzati nel trattamento di pazienti psichiatrici autori di reato ed esperti in psichiatria forense; la complessiva revisione dell’impianto normativo vigente laddove non adeguato all’avvenuto superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari.
Ferma, dunque, la necessità di implementare i posti disponibili presso le R.E.M.S. (700 circa sarebbero i soggetti in lista di attesa, di cui 45 detenuti “sine titulo”) ed, ancor prima, di individuare un meccanismo che consenta una precisa stima numerica del reale fabbisogno di posti (1.200-1.400 sarebbe il fabbisogno stimato, secondo un dato oramai tendenzialmente stabile), occorre guardare anche ai possibili percorsi di assistenza psichiatrica alternativi sul territorio, anche alla luce della novella legislativa introdotta dal D.L. “Carcere Sicuro”, conv. L. n. 112/2024; difatti, dopo l’art. 658 c.p.p., è stato inserito l’art. 658bis c.p.p. secondo cui, nell’ipotesi in cui debba essere applicata la misura di sicurezza dell’internamento in Rems (art. 215 2° c. nn. 2 e 3), il P.M. presso il Giudice indicato all’art. 665 c.p.p. chiede senza ritardo (e comunque entro 5 giorni) al magistrato di sorveglianza competente la fissazione dell’udienza per procedere agli accertamenti di cui all’art. 679 c.p.p., norma a sua volta novellata mediante l’inserimento del c. 1 bis, secondo cui fino alla decisione del m.d.s. permane la misura di sicurezza provvisoria applicata ex art. 312 c.p.p. e il tempo corrispondente è computato a tutti gli effetti e, nelle more della decisione, la misura di sicurezza provvisoria può essere disposta con ordinanza dal m.d.s. competente.
Dunque, si tratta di un congegno che grava procure e magistratura di sorveglianza di una serie di adempimenti urgenti che, tuttavia, si scontrano ad una prova dei fatti, non solo con il problema REMS, ma anche con la rete territoriale in genere, essendo prevista in astratto la possibilità che già in quella fase (ossia prima dell’accertamento della pericolosità sociale ex art. 679 c.p.p.) il magistrato di sorveglianza disponga una misura gradata, quale ad es. la libertà vigilata all’interno di apposita struttura individua dai servizi territoriali.
E qui entra in gioco il ruolo dei DSM e del sistema complessivo della sanità pubblica, anche alla luce delle modifiche legislative succedutesi nel tempo, che, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 22 del 2022), hanno lasciato numerosi punti irrisolti; difatti, la legge n. 81/2014 presenta una notevole fragilità, sia di impianto normativo, poggiando unicamente sul D.L 211 del 2011, sia di incompletezza riguardo al ruolo mancante della Giustizia nella organizzazione delle REMS, così come sottolineato dalla stessa della Corte costituzionale (set. citata) che, ponendo al centro della riflessione «l’esigenza, ai sensi dell’art. 110 Cost., di assicurare una esplicita base normativa allo stabile coinvolgimento del Ministero della giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale attivabili nel quadro della diversa misura di sicurezza della libertà vigilata, nonché nella programmazione del relativo fabbisogno finanziario, anche in vista dell’eventuale potenziamento quantitativo delle strutture esistenti o degli strumenti alternativi», introduce scenari nuovi, in quanto demanda al legislatore il compito di assicurare «la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati rispetto alle necessità di cura e a quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività (e dunque dei diritti fondamentali delle potenziali vittime dei fatti di reato che potrebbero essere commessi dai destinatari delle misure)».
In questa prospettiva, dunque, il sistema dovrebbe trovare il suo punto di equilibrio nell’attribuzione al Ministero della Giustizia, per il tramite del DAP, di un “ruolo di chiusura”, non solo del sistema amministrativo di assegnazione degli interessati alle REMS, ma anche del meccanismo di individuazione di percorsi alternativi per i pazienti autori di reato; sappiano, invece, che ad anni di distanza dal passaggio della sanità penitenziaria alle ASL (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° aprile 2008) e dalla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Legge 30 maggio 2014, n.81), a tutt’oggi il nostro paese vive una situazione di estrema difficoltà per la salute mentale, sia dei soggetti detenuti (rei folli), che di quelli non imputabili (folli rei).
I dati forniti dal Collegio Nazionale dei DSM nel documento programmatico sulla giustizia presentato il mese scorso, attestano che circa il 10-15% della popolazione detenuta in Italia risulta affetta da disturbo mentale grave, ossia 6.000-9.000 detenuti circa, su una popolazione complessiva di oltre 60.000. Sappiamo che con la riforma della Sanità Penitenziaria (DPCM 1° aprile 2008) e quella successiva per il superamento degli OPG (Legge 30 maggio 2014 n.81), per le due categorie rappresentate dai "folli rei" e dai "rei folli" sono stati definiti percorsi trattamentali e giuridici profondamente differenziati; difatti, a differenza di questi ultimi, che entrano nel circuito penitenziario, per cui la garanzia della cura viene assicurata all’interno dei circuiti detentivi o ricorrendo a misure alternative (la giurisprudenza costituzionale, con sentenza n. 99 del 2019, ha aperto alla possibilità di accedere a misure alternative per garantire anche ai soggetti con disturbo mentale eventuali trattamenti esterni, così come previsto per i soggetti con gravi patologie fisiche), i "folli rei" sono di fatto affidati alla sanità territoriale, spesso a detrimento delle funzioni di cura di pazienti psichiatrici non autori di reato, ed anche con evidenti problematiche sotto il profilo prettamente custodiale, che viene di fatto demandato Servizio Sanitario Nazionale. A tal riguardo, la Conferenza Unificata del 26 febbraio 2015, ha definito le linee attuative del D.M. 1° ottobre 2012 per il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, specificando (art. 6) che i servizi di sicurezza e vigilanza perimetrale delle strutture sanitarie sono attivati sulla base di specifici accordi con le Prefetture, anche sulla scorta delle informazioni contenute nel fascicolo dell'internato; sul piano della sicurezza interna, invece, le strutture sono chiamate a dotarsi di sistemi congrui, ma coerenti alla dimensione sanitaria della residenza, e le relative scelte organizzative sono demandate al Responsabile sanitario.
Quanto ai "rei folli”, invece, la riforma del 2014 ha previsto che essi, in quanto “imputabili”, espiino la pena in carcere in sezioni specialistiche dedicate ai disturbi mentali (c.d. ATSM) individuate dalla Conferenza Unificata del 22 gennaio 2015 (Accordo ai sensi dell'art.9, comma 2 lett. C del D.L. 28/8/1997, n. 281 sul documento "Linee guida in materia di modalità di erogazione dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari per adulti; implementazione delle reti sanitarie regionali e nazionali"). Ad oggi, nonostante la presenza di un numero sempre maggiore di persone affette da disturbo mentale (molte anche in comorbilità con disturbo da uso di sostanze), le sezioni “dedicate” non riescono assolutamente a rispondere in maniera adeguata alle esigenze di cura di questa popolazione, atteso che sono presenti in 33 istituti penitenziari (per un totale di 320 posti circa), che corrispondono orientativamente allo 0,5% della popolazione detenuta, a fronte di una presenza di persone con disturbo mentale grave in carcere stimata nel 10-15%; ne consegue che, se pur destinati all’ATSM, i detenuti “psichiatrici” finiscono per essere spesso allocati nelle sezioni comuni degli istituti ove sono presenti tali reparti, in totale promiscuità con la restante popolazione.
Inoltre, per le misure di sicurezza non detentive, che ben potrebbero -anzi, dovrebbero- essere valorizzate quale percorso alternativo al ricovero in REMS (istituto di cui spesso è stato denunciato l’utilizzo improprio, per il frequente “abuso” del ricorso alla non imputabilità anche per categorie diagnostiche che non la determinano, quali i disturbi della personalità), il trattamento viene realizzato unicamente in circuiti ordinari della salute mentale (ambulatoriali, semi-residenziali, residenziali), con una sovrapposizione dei piani del controllo e della cura non sempre adeguatamente gestibile ed elementi “costrittivi” che spesso inibiscono la libera scelta del paziente e la capacità di cura della equipe terapeutica.
SINTESI DELLE AUDIZIONI
La Commissione -come detto- ha provato a cercare un punto di equilibrio e di incontro tra le diverse esigenze rappresentate dai vari protagonisti dell’esperienza in esame, optando per il metodo della collaborazione che - a legislazione invariata - impegni gli stessi ad attuare strategie comuni e prassi utili a risolvere o, quantomeno, attenuare le criticità emerse.
Di qui la scelta di dare corso ad audizioni - tenutesi presso il Consiglio Superiore della Magistratura il 7 maggio e il 18 giugno 2024 - dei rappresentanti del DAP per il Ministero della Giustizia e del Ministero della Salute.
4.1. Dipartimento Amministrazione Penitenziaria
La seduta del 7.5.2024 è stata interamente dedicata all’audizione del dott. Giovanni Russo, Capo del DAP, onde ricevere ragguagli sulle elaborazioni sul tema REMS, alla luce delle interlocuzioni in corso tra Ministero, Sanità e DAP stesso. E’ emersa, anzitutto, la difficoltà del DAP ad ottenere dati aggiornati sulla capienza concreta delle strutture (attualmente 30), ai fini delle relative allocazioni. In breve, si è appreso che le Regioni non comunicano al DAP/MINISTERO “la totale o parziale occupazione dei posti letto”, non solo perché dato “riservato” al settore sanitario, ma anche perché non decisivo ai fini dell’utilizzabilità dell’eventuale posto libero, in quanto per ogni posto-letto occorre assicurare la corretta proporzione con il personale sanitario in forze (infermieri specializzati/ psichiatri/tecnici della riabilitazione etc.).
Tale dato introduce nella riflessione consiliare un elemento di indubbio rilievo, forse sin qui non adeguatamente considerato, ossia la “relativa” importanza del mero aumento dei posti, ove non accompagnato dagli indispensabili corollari logistici.
Il Dott. Russo, nel descrivere gli attuali moduli REMS (diffusi, ossia composti da piccole strutture con 2-4 posti letto; standard, con un massimo di 20 posti letto; polimodulari, ad es. Castiglione delle Stiviere, con pluralità di moduli da 20 posti letto ciascuno) ha ribadito, anche alla luce dell’avanzatissima esperienza trattamentale giordana, l’esigenza che, tanto il soggetto incapace di intendere/volere, quanto il detenuto psichiatrico siano “curati”, anziché “puniti”. Si è soffermato, poi, sulla tendenziale volontà del Ministero della Sanità di non farsi più carico di circa 180 soggetti psichiatrici sottoposti a misura di sicurezza detentiva, asseritamente incurabili, optando per il loro reinserimento nel circuito penitenziario.
Il Capo del DAP ha riferito dell’esistenza di un ufficio, in seno al DAP, a cui sono preposti 1 dirigente e 10 addetti, chiamato ogni giorno a compulsare le 30 REMS che insistono su tutto il territorio nazionale per verificare la disponibilità di posti per i c.d detenuti “sine titulo” (36 alla data del 7 maggio u.s.) che, avendo espiato la pena e dovendo essere sottoposti ad una misura di sicurezza, sono trattenuti in carcere; ai 36 “sine titulo”, si aggiungono poi i 677 c.d “liberi in attesa di internamento” (ma già destinatari di misura di sicurezza detentiva), dato questo che si pone in netto contrasto con i moniti della Corte Costituzionale, trattandosi di soggetti altamente pericolosi. Si apprende, altresì, che le liste d’attesa sono gestite dal sistema sanitario, solo da poco in coordinamento con il DAP.
Il Capo del DAP ha riferito altresì che, nonostante l’intervento della Corte Costituzionale risalente al 2022, non si sono registrati miglioramenti nel flusso di informazioni tra DAP e Sanità regionale; il DAP ha provato anche a ricorrere ai buoni uffici di AGENAS, affinché, come trustee, facesse da tramite con le strutture sanitare regionali, senza però ottenere risposta (il Dott. Russo ha parlato, eloquentemente, di “inespugnabilità del sistema sanitario”).
In assenza di poteri direttivi statali in materia (il Ministero della Giustizia può svolgere solo moral suasion), si stanno quindi elaborando - in seno alla Conferenza Stato-Regioni - alcune linee guida volte ad inquadrare l’autonomia regionale in questo ambito. Quanto all’istituzione di una cabina nazionale di esperti che valutino il reale bisogno dell’internamento in REMS ed al c.d doppio binario (integrazione dell’offerta curativa destinata al reo folle mediante il coordinamento con i servizi territoriali), il dott. Russo ha mostrato un certo scetticismo: a fronte di un fabbisogno di circa 1.400 posti letto, egli ritiene che, anche ad ammettere - per questa via - una scrematura del 25 % del fabbisogno complessivo, la scopertura resterebbe comunque enorme. Vede, dunque, con maggior favore la possibilità - in sede esecutiva - di un organismo centrale (validato dal Ministero, dalla Società Italiana di Psichiatria, etc.), che possa dare solidità e fondamento alla scelta, da parte del Magistrato di Sorveglianza, circa la misura da adottare e la struttura di accoglienza più idonea.
Accanto a ciò, viene vista con favore l’idea di realizzare un saldo collegamento tra le misure applicate e le varie realtà territoriali, nella prospettiva di un’inclusività (familiare e affettiva) dei soggetti ad esse sottoposti; egli ha anche apprezzato la possibilità che sia affidata al giudice della cognizione, dopo il giudicato, la diretta rivalutazione motu proprio del soggetto posto in misura, demandandone l’esame medico-legale ad un corpo centrale di esperti, anche ai fini della segmentazione delle REMS in varie tipologie, secondo quanto predicato dalla Corte Costituzionale. In questa fase egli auspica che vi sia il parere obbligatorio del PG/PM “…perchè è importante sentire anche la valutazione di chi ha sostenuto l’accusa, di chi può avere altri elementi di conoscenza collegati a fatti investigativi, etc.”.
Nel corso dell’audizione si è dato conto dell’esistenza di best practices, finalizzate ad attenuare la pericolosità dei c.d. liberi in attesa, ad es. attraverso il ricorso temporaneo alla libertà vigilata con prescrizioni “ben costruite”. Il dott. RUSSO, a questo riguardo ha ricordato la positiva esperienza veneta della detenzione domiciliare/libertà vigilata presso una casa di cura specializzata, quale rimedio alla mancanza di posti in REMS, secondo un modello che meriterebbe di essere validato a livello nazionale, mediante la creazione di strutture analoghe capaci di accogliere circa 10 persone per Regione, al costo di euro 100-150 pro die.
E’, altresì, emersa l’idea di una norma che imponga di procedere al riesame del “libero in attesa” decorso un certo tempo dalla definitività della misura applicatagli, come pure l’istituzione di un albo specializzato di psichiatri cui affidare, secondo le parole del Dott. Russo, una “super-consulenza”, volta a verificare l’effettiva necessità dell’internamento ovvero, la praticabilità di una diversa misura sanitaria idonea a garantire comunque la sicurezza; il tutto nella prospettiva di favorire forme di accoglienze diversificate.
Questi ha proposto che il riesame della pericolosità sociale avvenga dopo un anno dalla data di emissione del provvedimento, anche per le ipotesi di REMS già in esecuzione, mediante ricorso alla predetta super-commissione, onde evitare il rischio di una rilettura della misura in termini di ”ciclica amnistia di fatto” da parte della Sanità regionale; ha poi sollecitato l’intervento proattivo del CSM - mediante audizione del Ministero della Sanità - affinché si prenda definitivamente atto dell'attuale frammentazione del quadro normativo sotteso alla “gestione” delle misure di sicurezza (gestione sin qui concepita come una sorta di potere diffuso e concorrente su base nazionale e locale) e di come la stessa paralizzi -o comunque renda estremamente difficoltosa- la concreta attuazione delle misure stesse.
Nella prospettiva del DAP, tanto consentirebbe alla Corte Costituzionale, chiamata a breve a rivalutare la materia, di spingere il legislatore verso scelte più nette e maggiormente centralizzate; se l’attività consultiva del Consiglio Superiore della Magistratura riuscisse a fare da propulsore -riferisce il Dott. Russo- troverebbe solida sponda nel Ministero della giustizia.
4.2. Ministero della Salute e Ministero della Giustizia
Il 18 giugno 2024 ha fatto seguito l’audizione dei rappresentanti del Ministero della salute, nelle persone del dott. Marco Mattei, Capo di Gabinetto di quel Dicastero, del Prof. Siracusano e del Dott. Nicolo, rispettivamente Presidente e del Vicepresidente del Tavolo Tecnico sulla salute Mentale ivi costituito, e del Vicecapo di Gabinetto, cons. Ferrari.
L’audizione ed il confronto hanno confermato le note problematiche che affliggono le REMS: anzitutto l’inadeguatezza del numero dei posti-letto rispetto al fabbisogno realistico, individuato in 1.200 posti [1], aggravata peraltro da quello che viene descritto come un eccessivo ricorso alla misura detentiva; poi: lunghe liste d’attesa; criticità e ineffettività curativa dell’internamento nei casi di schietto disturbo della personalità; carenza di personale e generale diserzione dai relativi reclutamenti [2]; gravi criticità nelle garanzie di sicurezza per il personale (medico e non) ivi operante, posto che la pericolosità non viene meno per effetto del semplice ingresso del paziente in struttura. Detta analisi fattuale è stata ampiamente condivisa dagli esperti auditi, i quali ne hanno riconosciuta la centralità, rispetto ad ogni progetto di riforma.
Nel corso dell’incontro, è emersa una visione del fenomeno -per come elaborata del Ministero della Salute- tale per cui, ribadita l’extrema ratio del ricorso alla REMS, essa deve collocarsi in un più ampio, articolato e capiente sistema di servizi, che possa farsi carico del reo “folle”.
IL Dott. Giuseppe Nicolò ha prospettato l’istituzione di tre centri, inevitabilmente sottratti al principio di territorialità (nord, centro, sud), ciascuno con 80 posti, di cui almeno 4-5 per le donne[3], denominati UVAP, la cui sicurezza interna andrà affidata alla polizia penitenziaria[4], e destinati ad operare - su invio del magistrato [5]- come una sorta di “cabina di regia” ai fini della valutazione assistenziale e prognostica del soggetto, in relazione alla misura adottanda ( “Significa che il magistrato ha a disposizione, in breve tempo, un’unità in cui mandare il soggetto che viene ritenuto affetto da un qualche disturbo. In questa unità ci deve essere per forza la polizia penitenziaria perché deve essere ad alta sicurezza. Questa unità può dare solo suggerimenti al magistrato e al perito, quindi, non si sostituisce al perito, perché se curiamo una persona non possiamo fare i periti della stessa…”; si tratterebbe di “…un sistema che comunica bene con magistrato e perito. L'unità di valutazione di assessment e di prognosi, riferisce nel più breve tempo possibile al magistrato…” sulla necessità o meno della REMS).
Il Dott. Nicolò ha, quindi, introdotto il delicato tema dei c.d. antisociali soggetti afflitti da disturbi di personalità che non necessitano di presa in carico dai parte dei servizi sanitari, quanto piuttosto di contenimento; a tal proposito ha ricordato come “per gli antisociali tutta la letteratura dice che spendere soldi sanitari sono soldi buttati perché, fondamentalmente, hanno bisogno più di contenimento che di cura. Quindi, noi abbiamo immaginato dei luoghi, ove questi fossero ritenuti non imputabili o semi-infermi, che siano all'interno di strutture forti, probabilmente delle carceri, che abbiamo chiamato “strutture giudiziarie per l'esecuzione delle misure di sicurezza”. C'è una proposta che abbiamo rispolverato, fatta da Carlo Nordio, quando non era ancora ministro, che prevedeva per l'art.89 c.p. non il riconoscimento della semi-infermità ma l'attenuazione della pena. Comunque, il soggetto andava in carcere. Non è una cosa che abbiamo preso in considerazione perché lavorare sul codice è lavoro vostro, noi lavoriamo sugli aspetti sanitari, però noi pensiamo che queste persone, come succede in tutto il mondo, se vanno in una struttura del carcere, che può essere una sorta di comunità terapeutica ultra-protetta, in cui noi garantiamo come Dipartimento di salute mentale quel po' di assistenza sanitaria che necessita, risolviamo veramente grossi problemi e l'altra cosa che succede è che diminuiranno moltissimo le richieste di questi soggetti di infermità e di seminfermità perché sanno che andranno comunque in carcere.”
Dato il lamentato “abuso” del ricorso alla misura do sicurezza detentiva, si è poi affrontato il tema della formazione specifica dei periti medico-legali. Il Prof. Siracusano, Coordinatore del Tavolo tecnico sulla salute mentale, ha precisato, al riguardo, come “…una delle idee che noi abbiamo proposto è che seguissero tutti delle linee guida, così da rispondere alla stessa maniera; …omissis - abbiamo proposto proprio l'altro giorno al Capo di Gabinetto e anche al Ministro il fatto di cercare di costituire un corso fatto da Giustizia e Salute proprio su questo aspetto della perizia. Un corso ufficiale, che va studiato, perché il problema è proprio culturale”.
E’ stato quindi trattato anche il tema della c.d. filiera virtuosa, volta ad individuare con “appropriatezza” il trattamento da riservare al reo “folle”, sia esso detenuto o meno; è parere condiviso che di detta filiera, di cui le UVAP dovrebbero costituire un’articolazione centrale, debba far parte anche il giudice della cognizione, non potendo detta complessa tematica essere riservata alla sola magistratura di sorveglianza. Si è, quindi, ipotizzata la possibilità di elaborare “linee guida”, accanto alla nomina di consulenti appropriati già nella fase della cognizione, anche mediante la creazione di “… una banca dati incrociata con i dati … dei detenuti, dei detenuti malati di mente e dei vari gradi, insomma una banca dati che contenga tutte le informazioni, accessibile a tutti i protagonisti del sistema” (così la dott.ssa Ferrari, Vice Capo di Gabinetto Ministero della Salute)
Sempre in questa prospettiva, per così dire, “virtuosa”, si è posto l’accento sui DSM (Dipartimenti di Salute Mentale) ed è stata segnalata la necessità di studiare modalità per renderli più omogenei, mediante la elaborazione di linee guida che - con riferimento, in senso lato, al reo folle – suggeriscano indicazioni trattamentali omogenee ed efficaci, possibilmente non condizionate dalla situazione organizzativa locale. A tal riguardo, il dott. Nicolò’, Direttore di DSM – ha precisato che” …per l’applicazione della 22/2022 ci vuole qualcos’altro. Se il giudice (n.d.r. Costituzionale) ha detto che la REMS è una struttura che deve avere una conduzione prevalente giudiziaria…, omissis, tecnicamente noi dovremmo avere un organismo che coordini il sistema e che superi l'attuale frammentazione; questo, però, se non ho la filiera, veramente non ce la faccio. Vi garantisco che al mio cellulare, nel primo anno di REMS, tutte le notti c'era un giudice che mi minacciava di arrestarmi perché avevano l'abitudine di fermare la persona e portarla in OPG e io dicevo: “Guardi che non funziona così, non abbiamo il posto”, perché non potevamo fare soprannumero. Questa era la situazione. Adesso la collaborazione è a 360 gradi, però ci sono anche alcuni dipartimenti che non hanno più personale e hanno difficoltà poi a collocare le persone”
LE PROPOSTE
In estrema sintesi, anche alla luce di quanto emerso dal confronto “indiretto” tra Ministero della Giustizia e Ministero della Salute in esito alle disposte audizioni, le esigenze prioritarie che sembrano profilarsi attengono essenzialmente a:
la gestione delle R.E.M.S., in leale cooperazione con le restanti figure istituzionali
via via coinvolte secondo le indicazione della Corte Costituzionale sentenza n. 22/2022
[1] Così Giuseppe Nicolo: “Storicamente in Italia abbiamo avuto un'oscillazione tra 1.260 e 1.360 posti come indice di prevalenza negli OPG. Abbiamo avuto 600 posti letto in OPG prima dell'abolizione dei manicomi. Dopo l'abolizione dei manicomi, per ovvie ragioni, perché i manicomi, ovviamente, contenevano molto di più di quanto può contenere un territorio, fondamentalmente il numero di posti letto è stato stabilmente in Italia sui 1.200 posti letto. Quindi, l'esigenza è un indicatore di prevalenza e si è mantenuto costante. Secondo me, non si può comprimere con una legge, cioè non si può dire che ne dobbiamo avere di meno. Questa è più o meno l'esigenza rappresentata.”
[2] “nell'ultimo concorso su 120 persone, a 80 persone è stata proposta o la REMS o niente e 80 persone hanno rifiutato “: così, ancora, il Dott. Giuseppe Nicolo, in audizione.
[3] Così ancora il dott. Nicolò: “L’UVAP non ce la facciamo a farla territoriale. Il Friuli non ha le REMS, l’Umbria non ha le REMS, la Sicilia ne ha una sola con 250 persone in lista d’attesa e sarei curioso di sapere chi sono perché sono un po’ tante. La Calabria ha una sola REMS. La Regione Liguria, per esempio, ospita quelli che non trovano posto in altre regioni”.
[4] Riferisce il dott. Nicolò: “Il maggior costo delle REMS in Italia, in questo momento, non è il personale, è la vigilanza. Io spendo più di vigilanza che di personale. Spendo un milione e mezzo di vigilanza e 900 mila euro di personale. Ho copiato dal sistema più avanzato che c'è al mondo, che è quello dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Madison in Canada, e registriamo tutti i giorni gli atti violenti di ogni persona in modo che al magistrato quando ce lo chiede, non diamo una valutazione medico-legale, diamo il numero di atti violenti. Noi abbiamo avuto in nove anni, quattordici atti che hanno costituito pericolo di vita per gli operatori. Sono tanti. Io penso che non sia accettabile per un professionista andare a lavorare a rischio. Non si verifica sempre, ma quando si verifica le assicuro che ci sono persone che smettono di venire a lavorare da noi.”
[5] G. NICOLO’ “Nella fase di cognizione il magistrato deve capire se il soggetto è capace o incapace, quindi può mandarlo in UVAP, predisporre la perizia anche successivamente all'invio in UVAP o poco prima, lo deciderà il magistrato nella sua assoluta autonomia. L'UVAP dice al magistrato: “Questo è un paziente che…”. Ad esempio, noi stiamo seguendo un ragazzo di 18 anni, che sta veramente benissimo, che ha decapitato la madre; è stato un anno in carcere perché non c'era posto in REMS. Pericolosissimo, gravemente schizofrenico, ma è un ragazzo malato, non è un delinquente, è un poveretto che era convinto che la madre fosse il demonio e l'ha decapitata. Una cosa drammatica, terrificante, però quel ragazzo ha necessità delle nostre cure. Non chiedo né polizia penitenziaria né altro, chiedo soltanto di poterlo curare e lo curiamo bene in REMS perché, se curato non è un soggetto pericoloso. Valuto questo soggetto nell'UVAP e capisco che è un paziente psichiatrico grave: va direttamente in REMS. Quindi contatto la REMS di riferimento territoriale, però avendo introdotto 240 posti, avendo aumentato l'appropriatezza, noi ci aspettiamo che i numeri inizino a diventare gestibili perché il problema vero è aumentare l'appropriatezza.”
I progetti realizzati nel PON governance da università ed uffici giudiziari: un primo bilancio.
Inizio di una nuova prospettiva o episodio isolato e già dimenticato
PARTE PRIMA
di Claudio Castelli
Sommario: 1. Il Progetto ministeriale finanziato con fondi europei. 2. Assegnazione dei procedimenti e fissazione delle udienze con modalità digitali. 2.1 Politecnico e Tribunale di Milano: assegnazione all’ufficio GIP (sistema ASPEN). 2.2 Università degli Studi e Tribunale di Catania: algoritmo di calendarizzazione automatica delle prime udienze. 3. Pesatura del fascicolo. 3.1 Politecnico e Corte di Appello di Milano: ponderazione dei fascicoli. 3.2 Università degli Studi e Corte di Appello di Bologna: la pesatura del fascicolo penale nelle Corti di Appello italiane. 4. Applicazioni di intelligenza artificiale. 4.1 Università degli Studi e Tribunale di Catania: l’impatto dell’Intelligenza Artificiale nella gestione dell’Ufficio per il processo per l’immigrazione. 4.2 Università di Torino e C.S.I. Piemonte: Laboratorio sentenze. 4.3 Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia e Università Statale di Milano: modelli di nuova generazione e document builder. 4.4 Sapienza Università e Tribunale di Roma: Cicero – Large language models per la giustizia.
1. Il Progetto ministeriale finanziato con fondi europei.
Il PNRR per la giustizia ha proposto un vero e proprio pacchetto multisettoriale di interventi con obiettivi ambiziosissimi, ovvero il taglio dei tempi dei processi e l’eliminazione dell’arretrato nelle pendenze civili, vera e propria zavorra che ha rallentato il funzionamento della giustizia per anni. Da un lato sono state adottate nel 2021 riforme processuali ed ordinamentali (a dire il vero ben poco efficaci sotto il profilo dell’efficienza ed in alcuni casi controproducenti), dall’altro è stato costruito a partire dal febbraio 2021 l’Ufficio per il processo con l’assunzione in due tranche di 16500 giovani laureati per dare supporto alla giurisdizione. Ciò è stato accompagnato dal “Progetto unitario sulla diffusione dell’ufficio per il processo e l’implementazione di modelli operativi innovativi negli uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato” finanziato da fondi europei per le politiche di coesione (il PON Governance e Capacità Istituzionale 2014 – 2020) che ha coinvolto tutte le Università pubbliche italiane.[1]
Sono state individuate sei macroaree territoriali e ad esse, a seguito di un avviso pubblico, sono stati assegnati i fondi. Gli obiettivi del progetto, come recita lo stesso sito ministeriale, erano “favorire la diffusione dell’Ufficio per il Processo, sperimentare modelli innovativi utili allo smaltimento dell'arretrato e a prevenirne la formazione, consolidare il rapporto università-uffici per il processo per migliorare l'offerta formativa attraverso l'eccellenza universitaria”.
All’avviso pubblico hanno partecipato tutte le Università pubbliche italiane consorziate tra di loro nelle varie macroaree che, in collaborazione con gli uffici giudiziari del loro territorio, hanno supportato il cambiamento imposto dall’Ufficio per il processo, hanno aiutato quanto ai modelli organizzativi e hanno ideato strumenti di supporto digitale.
Non vi è dubbio che il progetto a livello nazionale ha scontato molti limiti. Innanzitutto una scarsa preparazione derivante dagli stessi tempi compressi dell’avviso pubblico e dell’aggiudicazione ed il tempo limitato del progetto contenuto in diciotto mesi dal marzo 2022 al settembre 2023. La stessa gestione da parte del Ministero della giustizia, pure promotore del progetto, ha evidenziato diversi aspetti critici. In primo luogo l’assenza di un coordinamento nazionale, essenziale per scambiarsi informazioni sui progetti in atto, evitare sovrapposizioni, creare collegamenti e scambi e confrontarsi sulle iniziative messe in campo. In secondo luogo l’assenza di rapporti e di un collegamento con la struttura informatica ministeriale (la DGSIA), in un quadro in cui il Ministero della Giustizia, monopolista dell’informatica giudiziaria, avrebbe dovuto assicurare la presenza e la collaborazione, indispensabile per lo sviluppo di progetti che inevitabilmente comportavano l’adozione di progetti informatici.
La divisione in sei macroaree, e poi l’affiancamento Ufficio – singola Università ha fatto sì di incoraggiare tante piccole monadi non comunicanti o scarsamente comunicanti, con progetti (anche di grandissimo interesse) resi noti solo alla fine del piano senza possibilità di interazioni e collaborazioni.
La pubblicazione sul sito del Ministero (https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/upp_progetto_innovazione_mappa) della mappa dei progetti elaborati e l’evento di presentazione degli stessi tenutosi il 6 novembre 2024 a Roma hanno consentito di avere un quadro generale delle realizzazioni e proposte di Università e Uffici giudiziari e consentono di prendere in esame e riproporre quelli, almeno in apparenza, più interessanti.
Va premesso che quanto verrà descritto in seguito riguarda solo alcuni dei progetti contenuti nelle sezioni relative agli “Strumenti di supporto digitale” e agli “Eventi”, non occupandosi invece delle sezioni relative alla formazione e ai modelli organizzativi. Queste ultime sono sezioni che contengono idee e realizzazioni di grande interesse per i singoli uffici, ma difficilmente rielaborabili per il futuro e esportabili. La prospettiva attuale difatti non può essere che quella di raccogliere e dare idee per diffondere e generalizzare i progetti più adatti, nella convinzione che molti di questi potrebbero essere estremamente preziosi per risparmiare lavoro a basso valore aggiunto, per digitalizzare i servizi e per programmare e monitorare adeguatamente il lavoro da parte dei singoli e dell’ufficio.
La scelta operata è inevitabilmente soggettiva e mi scuso sin da ora se, erroneamente, non prenderò in esame progetti che potrebbero avere sviluppi di grande interesse. Devo premettere che ho escluso tutti i progetti aventi come oggetto “Raccolta di indirizzi giurisprudenziali ed alimentazione banca dati di merito” in quanto la realizzazione della Banca Dati Giurisprudenza di Merito da parte del Ministero a fine 2023 ha in larga parte superato le elaborazioni compiute. Si tratta di decine di progetti che avevano avuto ad oggetto sia le modalità di raccolta e classificazione dei provvedimenti, sia la loro anonimizzazione o pseudoanonimizzazione. Da un lato è davvero assurda la sovrapposizione creata tra le varie macroaree e un Ministero che ha lavorato per conto suo senza fornire alcuna informazione, trasparenza e confronto di idee. Il risultato è stato di sprecare tempi e intelligenze. Dall’altro lato ancora oggi sarebbe probabilmente opportuno che il Ministero li prendesse in esame anche per superare i limiti e le critiche che hanno accompagnato la realizzazione della Banca Dati Giurisprudenziale, a partire dalla scarsa qualità della pseudoanonimizzazione per arrivare alle possibili applicazioni di Intelligenza Artificiale.
I progetti pilota individuati riguardano cinque grandi indirizzi che verranno separatamente presi in esame.
2. Assegnazione dei procedimenti e fissazione delle udienze con modalità digitali.
L’assegnazione dei procedimenti è un elemento essenziale in quanto concretizza il principio della precostituzione del giudice naturale e garantisce equità nella distribuzione dei procedimenti con fini di efficienza ed eguaglianza. È ovvio che algoritmi e intelligenza artificiale danno strumenti che consentono sistemi di assegnazione dei procedimenti sempre più raffinati e capaci di tener conto della tipologia e della qualità dei procedimenti e non solo della loro quantità.
D’altro canto la calendarizzazione dei processi è elemento cruciale nella gestione dei procedimenti: un calendario ben gestito evita ritardi e rinvii non necessari e consente alle parti di sapere i tempi del procedimento. Per impostare un buon calendario è poi necessario conoscere il contesto in cui si opera, oltre che la complessità e il numero dei procedimenti.
2.1 Politecnico e Tribunale di Milano: assegnazione all’ufficio GIP (sistema ASPEN)[2]
Il progetto del Politecnico e del Tribunale di Milano propone di rivedere, modernizzare e rendere più flessibile il sistema automatico di assegnazione Aspen che presidia sulla base di algoritmi le assegnazioni all’ufficio GIP – GUP di Milano (ma anche in altre città) sulla base di canestri relativi ai diversi tipi di provvedimenti richiesti dalla Procura (intercettazioni, misure cautelari, proroghe indagini etc.) con una limitata pesatura dei procedimenti (principalmente relativa a numero di imputati e di imputazioni).
La proposta comporta parallelamente interventi organizzativi ed interventi tecnici. Da un lato individuare una “classe di peso” dei fascicoli sulla cui base procedere ad assegnarli e unificare la gestione dei ruoli GIP e GUP, oggi separata. Dall’altro garantire integrazione e interoperabilità tra il sistema e il SICP, consentire una suddivisione dei magistrati in sezioni sulla base delle “materie” di loro competenza ed infine migliorare la flessibilità e la configurabilità del sistema in modo da poterlo adattare in funzione delle esigenze organizzative.
2.2 Università degli Studi e Tribunale di Catania: algoritmo di calendarizzazione automatica delle prime udienze [3]
La prospettazione qui avanzata riprende e implementa l’idea alla base del progetto Themis (agenda A-Lex, basata sull’idea della gestione sequenziale dei processi) e punta sullo sviluppo di un sistema informatico denominato “Agenda del giudice”, attraverso il quale il giudice, dopo aver definito, per ciascun fascicolo del suo ruolo, un livello di difficoltà presunto e la sua targatura, intesa come data dell’iscrizione a ruolo, può programmare l’udienza di precisazione delle conclusioni dei fascicoli pendenti, aggiornando la sua agenda al sopraggiungere di nuovi fascicoli.
Sono già noti e studiati da tempo i benefici dovuti all’attuazione di una gestione sequenziale dei fascicoli, in cui le udienze vengono programmate una dopo l'altra secondo l’ordine di iscrizione e la priorità assegnata ai processi.
Questo sistema informatico concretizza la gestione sequenziale. Prevede una previa classificazione e pesatura dei fascicoli sulla base di criteri di tipologie e di difficoltà prestabiliti, quindi fornisce al giudice una chiara visione complessiva di tutti i processi e gli consente di pianificare all’interno dell’agenda le date di udienza di precisazione delle conclusioni dei fascicoli pendenti e dei nuovi fascicoli in ingresso sulla base dell’anzianità e della complessità dei fascicoli.
Lo strumento è costituito da quattro fogli elettronici denominati: input, udienze da programmare, conciliazioni da programmare e calendario. Sono state realizzate due tipologie di Agende, una per lo smaltimento dell’arretrato e la calendarizzazione delle nuove udienze in ingresso ed una per lo smaltimento dell'arretrato in un periodo di tempo stabilito.
3. Pesatura del fascicolo
La pesatura del fascicolo è uno snodo fondamentale per capire il reale carico di lavoro di un ufficio e di un singolo magistrato. Attualmente parliamo genericamente di sopravvenienze di affari, con un’ottica meramente numerica. Ottica che è l’unica oggettiva possibile oggi, ma è anche traditrice perché tutti sappiamo che i procedimenti hanno complessità diverse che derivano dalle materie, dal numero di domande o contestazioni, dagli incombenti istruttori, dalla non univocità della giurisprudenza. Si tratta di elementi che fanno sì che il valore reale di un procedimento possa essere 1 o 100. Ciò è già rilevante per quanto riguarda il carico di lavoro di un ufficio, anche se quando si opera sui grandi numeri è inevitabile un effetto di livellamento. Ma diventa essenziale per quanto concerne le assegnazioni al singolo magistrato che, a seconda del peso del procedimento, possono giungere ad essere prive di equità e giungere a livelli di inesigibilità, con effetti negativi sia per il magistrato assegnatario, sia per la resa sul servizio. Una reale pesatura del procedimento automatizzata sulla base di criteri oggettivi mutuati dall’esperienza potrebbe quindi avere un effetto positivo per garantire assegnazioni eque ed un servizio più efficiente
3.1 Politecnico e Corte di Appello di Milano: ponderazione dei fascicoli [4]
Si punta ad avere un controllo e un governo dei flussi in entrata, con equità nelle assegnazioni dei processi attraverso una distribuzione efficiente effettuata sulla base di valutazioni quali-quantitative sulla tipologia e complessità del procedimento.
Sulla base delle esperienze maturate in ambito giudiziario e delle tempistiche rilevate vengono individuati degli indici di difficoltà a partire dalla materia dell’affare, delle domande e/o contestazioni, delle richieste istruttorie, della pluralità e dimensioni degli atti.
Su questa base si procede con applicazioni di intelligenza artificiale che automatizzano sulla base dei dati di input l’attribuzione di un peso al fascicolo, con la possibilità di procedere automaticamente anche alla sua assegnazione alla sezione e/o magistrato.
3.2 Università degli Studi e Corte di Appello di Bologna: la pesatura del fascicolo penale nelle Corti di Appello italiane [5]
La pesatura del fascicolo valuta la complessità dei differenti casi giudiziari, in base alla consapevolezza che ogni caso è differente nell’ammontare di tempo e di impegno richiesto al magistrato per la sua trattazione.
La pesatura del fascicolo svolge anche una funzione strategica, non solo organizzativa, per poter decidere politiche territoriali volte a dare una risposta a fenomeni locali.
Come indici vengono presi le imputazioni, il numero degli imputati, lo stato di detenzione, l’entità della pena prevista per i reati, l’eventuale risarcimento del danno con attenzione alle variabili della data di prescrizione e di improcedibilità.
Su questa base si procede all’utilizzo di tecniche di Intelligenza Artificiale (IA) per attribuire un peso al singolo procedimento. Il risultato è un incremento della trasparenza, spiegabilità e flessibilità della pesatura.
Si usano i dati estratti dai registri e si produce conoscenza dai testi con AI e Natural Language Processing per creare modelli matematici di pesatura flessibili per analizzare i casi. Viene altresì introdotto un pannello di controllo di interazione per verificare e modificare le pesature suggerite e le priorità.
4. Applicazioni di Intelligenza Artificiale
Le diverse possibilità di applicazioni dell’Intelligenza Artificiale nella gestione della giurisdizione sono ancora tutte da esplorare, ma già emergono le loro enormi potenzialità. Già nei progetti che precedono abbiamo potuto verificare alcuni possibili utilizzi. Ora in questa sezione affronteremo alcune proposte che si fondano direttamente su applicazioni di IA relative a settori molto diversi ed in particolare relativi al supporto nella costruzione di documenti giuridici e alla scrittura legale. Per chi voglia approfondire il tema, anche in relazione alle utilizzazioni già sperimentate in altri Paesi invito a verificare il documento elaborato dall’Università S. Anna di Pisa “Studio comparato su modelli operativi per l’efficientamento dell’assegnazione della causa al ruolo del giudice” [6] di grandissimo interesse in quanto fornisce un resoconto delle varie iniziative realizzate a livello internazionale, in realtà non solo sull’assegnazione dei processi, ma con un’ottica molto più generale.
4.1 Università degli Studi e Tribunale di Catania: l’impatto dell’Intelligenza Artificiale nella gestione dell’Ufficio per il processo per l’immigrazione [7]
“Questo progetto presenta un prototipo di piattaforma online per l'archiviazione e la consultazione dei dati delle sentenze giurisdizionali, nonché per il confronto tra di esse utilizzando un algoritmo di matching. L'obiettivo principale è fornire un supporto al lavoro dei giudici, consentendo loro di accedere facilmente alle sentenze precedenti e di utilizzarle come indizi utili per le sentenze attuali. L'archiviazione dei dati avviene in un formato strutturato, che facilita una ricerca rapida ed efficiente. Grazie all'interfaccia intuitiva della piattaforma, i giudici possono consultare agevolmente le sentenze e ricercare informazioni pertinenti alle questioni legali attuali. Attraverso l'utilizzo di questa piattaforma, i giudici possono beneficiare di un conveniente strumento di supporto decisionale.”
Il prototipo creato ha un’interfaccia grafica utente in cui vengono inserite oltre alle informazioni che identificano e caratterizzano il migrante richiedente la protezione, altre tipologie di informazioni ritenute utili ed essenziali per l'istruttoria processuale, e include altresì una sezione con cui è possibile annotare, gestire e organizzare le udienze relative alle pratiche in corso e consente di effettuare ricerche all'interno del database dei fascicoli.
La funzione di matching confronta i contenuti dei campi esistenti nella banca dati che in tal modo viene costruita e determina prima per ciascun campo e poi a livello generale un punteggio di somiglianza con procedimenti già trattati.
Al fine di supportare e agevolare la decisione del giudice in merito al procedimento in esame, il prototipo permette di effettuare un'operazione di matching (approssimativo) tra i campi fascicolari tramite cui è possibile estrarre, una lista ordinata di sentenze in merito ad istruttorie "simili" a quella in corso, in cui ogni sentenza si riferisce ad un'istruttoria tanto più simile a quella in corso quanto più in cima alla lista. In questo modo il processo decisionale del giudice potrebbe essere facilitato attraverso l'esame di un numero ristretto di sentenze pregresse, ossia le prime tot sentenze della lista di cui sopra. Come potrebbe essere facilitata la prevedibilità ed omogeneità della giurisprudenza.
4.2 Università di Torino e C.S.I. Piemonte: Laboratorio sentenze[8]
Il Progetto “Laboratorio Sentenze” ha diverse finalità:
- lo sviluppo di un algoritmo capace di generare sintesi di sentenze e di raffrontarle per poter, poi, riscontrare la similarità dei fatti alle stesse sottesi;
- il drafting assistito di sentenze, quindi la creazione di modelli-template di sentenze per casi ripetitivi;
- verificare la fattibilità della predizione dell’esito delle controversie, con tutte le implicazioni ad essa legate.
La sperimentazione ed i test legati anche alla progettazione di servizi di giustizia predittiva sono stati svolti sulla base di 1000 sentenze del Consiglio di Stato e della giustizia amministrativa.
“Obiettivi della sperimentazione
1) Elaborazione di sintesi di sentenze:
● sintesi del fatto;
● generazione automatica di schemi suddivisi per fatto, diritto ed esito.
2) Riscontro della similarità tra fatti sottesi a precedenti giudiziari:
● ricerca di fatti (o sintesi) sottesi a casi simili a quello su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi, così che egli possa conoscere le decisioni assunte in relazione ad essi e servirsene a supporto della propria, anche con riguardo ai motivi di diritto.
3) Predizione dell’esito di nuovi giudizi:
● studio sull’effettiva realizzabilità riguardo un modello di predizione degli esiti delle controversie.”
“(…) I modelli generativi del linguaggio costituiscono una forma di intelligenza artificiale addestrata per generare testo.
Il funzionamento dei medesimi consta di due fasi:
1) fase di domanda/prompt: l’utente formula una domanda/prompt da sottoporre al modello;
2) fase di risposta: il modello processa il prompt ed elabora una risposta sulla base di quanto ha appreso in fase di addestramento. La risposta prodotta dal modello si fonda sul contesto fornitogli in fase di domanda e su quanto dallo stesso appreso dai testi analizzati nel corso dell’addestramento.”
4.3 Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia e Università Statale di Milano: modelli di nuova generazione e document builder [9]
L’architettura creata parte dalla costruzione di un modello teorico (format) di provvedimento decisorio (oltre che di atto difensivo) che sviluppi alcune funzionalità già esistenti nella Consolle del giudice e dell’assistente. Inoltre è basata sulla “gestione di un database di documenti giuridici con funzionalità di archiviazione, indicizzazione e classificazione di sentenze e servizi per l’estrazione di conoscenza dalle sentenze memorizzate e per il reperimento semantico di (porzioni di) sentenze rilevanti.”
“L’approccio di estrazione della conoscenza alla base del document builder (approccio ASKE) si basa sull’uso di “Large Language Model” (LLM), modelli di ultima generazione per l’elaborazione del linguaggio naturale capaci di catturare il significato semantico di interi testi, considerando il contesto di utilizzo dei termini. Ciò permette non solo di definire quanto due testi sono simili, ovvero trattano degli stessi argomenti, ma consente anche di estrarre da essi i concetti principali rappresentativi del contenuto e utilizzare questi ultimi per indicizzare i documenti stessi a una granularità fine, a livello di singole frasi o paragrafi, abilitando la capacità di fornire come suggerimenti utili al giudice frammenti di testo puntuali anziché intere sentenze. Il database documentale alla base del document builder prevede una archiviazione delle sentenze con segmentazione delle stesse in sezioni e classificazione delle sezioni risultanti secondo il format di provvedimento decisorio definito da IUSS Pavia. A ciò si aggiunge la classificazione delle sentenze a livello di singole frasi/paragrafi in base ai concetti estratti.”
Come viene poi chiarito nel documento di presentazione:
“Il document builder è uno strumento che assiste e supporta il giudice nella scrittura dei provvedimenti giudiziari, con particolare attenzione alla motivazione, sfruttando tecniche di intelligenza artificiale per l’elaborazione del linguaggio naturale dei documenti giuridici. Il document builder è pensato per integrarsi e non sovrapporsi agli strumenti già a disposizione del giudice; sfruttando (un) format di provvedimento decisorio (elaborato dalla stessa) (…) IUSS Pavia, le sezioni iniziali della nuova sentenza possono essere popolate ricevendo i dati provenienti dalle diverse fonti del Processo Civile Telematico (e relativi registri), sfruttando ad esempio, funzionalità esistenti nella Consolle del giudice. Per la scrittura della sezione motivazione entrano in gioco le funzionalità del document builder.
Caratteristica distintiva del document builder è l’approccio human-in-the-loop, che permette all’utente giudicante di esercitare la propria libertà decisionale e il pieno controllo della formulazione motivazionale del provvedimento, selezionando il materiale proposto dallo strumento, cambiando o precisando alcuni parametri di interrogazione, o alcuni elementi di fatto e di diritto che contraddicono e cambiano la consequenzialità della proposta fornita dallo strumento. Per questo il document builder utilizza tecniche di intelligenza artificiale non generativa, ma con le stesse capacità di rappresentazione del significato del testo propria dei più innovativi modelli di elaborazione del linguaggio naturale, al fine di effettuare l’analisi semantica dei documenti ed estrarre concetti e significati da testi giuridici, elaborati e complessi, indipendentemente dalla forma sintattica utilizzata.
L’interfaccia del document builder è organizzata in due aree: un’area di lavoro principale in cui il giudicante effettua la stesura della motivazione e un’area di suggerimenti testuali forniti dallo strumento in risposta alle ricerche formulate dall’utente utili alla stesura della motivazione e alla decisione vera e propria. Mediante una funzionalità di ricerca per contenuto, l’utente inserisce una query a testo libero, ovvero una frase o locuzione che meglio esprime la questione giuridica di interesse. Come risultato della ricerca, lo strumento fornisce una lista di testi motivazionali più rilevanti, tratti dalle sentenze del corpus semanticamente simili/pertinenti al testo della query. La seconda funzionalità consiste nella ricerca per materia e concetto di interesse di frammenti motivazionali provenienti da precedenti giuridici. Entrambi i metodi di ricerca del document builder sfruttano tecniche di elaborazione del linguaggio naturale di ultima generazione sul corpus di documenti giurisprudenziali che eseguono un’analisi semantica delle sentenze stesse per reperire frammenti testuali effettivamente pertinenti all’oggetto della ricerca.
L’utente ha la possibilità di visualizzare il testo integrale di ciascun frammento risultante da una ricerca, considerata una funzionalità essenziale per consentire al giudicante di visionare (in sovraimpressione) la collocazione del frammento restituito come risultato della ricerca nel contesto dell’intera sezione motivazionale. L’utente ha quindi la possibilità di importare nell’area di lavoro tutti i frammenti testuali che ritiene utili ai fini della stesura della motivazione, utilizzandoli come citazioni o modificandone il contenuto e lavorando ai punti di raccordo fra gli stessi per arrivare alla formulazione finale della motivazione della sentenza in questione.”
4.4 Sapienza Università e Tribunale di Roma: Cicero – Large language models per la giustizia [10]
L’idea del progetto è di sviluppare LLMs specifici per l’italiano giuridico e di rendere disponibili dei dataset in lingua italiana. L’obiettivo è di creare dei modelli, oltre che performanti, trasparenti ed open source. Gli strumenti sviluppati dovranno svolgere diverse funzioni come quelle di assistente nella scrittura e di riassunto di atti. Cicero è un writing assistant prototipale sviluppato dall’Università per il supporto alla scrittura di sentenze nel settore civile, addestrato sulla base di un elevatissimo numero di sentenze (37.000).
[1] Per un bilancio dell’esperienza del Politecnico di Milano, contenente anche una descrizione del progetto (pag.7 ss) vedi PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO a cura di E. Melloni – G. Vecchi, Franco Angeli, Milano 2024
[2] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Politecnico di Milano > 1nextgen_polimi_supdig_aspen.pdf
Vedi anche N. Cotechini- E. Madiai La digitalizzazione al servizio della giustizia: una proposta per innovare il sistema ASPEN di assegnazione dei procedimenti al personale togato in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato pag. 129 ss.
[3] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 6 Just-Smart > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di supporto all’attività decisoria – Università di Catania > 6jsmart_supdig_doc15.pdf
[4] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next Generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Eventi – Presentazione progetti Milano e Brescia – Roma 6 novembre 2024
[5] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 2 Uni Justice > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Università di Bologna > 2uni4just_unibo_supdig_slide_fascicoli_
Vedi anche 2uni4just_unibo_supdig_pesatura_fasci
[6] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 3 Giustizia Agile > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Scuola Universitaria Superiore S. Anna Pisa
[7] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 6 Just-Smart > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di supporto all’attività decisoria – Università di Catania > 6jsmart_supdig_doc16.pdf
[8] Percorso: Progetto unitario per l’innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto attività decisoria – Università degli Studi di Torino > 1nextgen_unito_supdig_laboratorio_se, nonché > 1nextgen_unito_supdig_report_laborat
[9] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di supporto attività decisoria – Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia > 1nextgen_iusspavia_supdig_modelli_ng
Vedi anche 1nextgen_iusspavia_supdig_attivit_svolt e A. Santosuosso – G. Sartor Decidere con l’IA, Il Mulino, Bologna 2024 pag. 150 ss.
[10] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 3 Giustizia Agile > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Sapienza Università di Roma > 3giusagileuniroma1_supdig_convegno.
La rettificazione dell’identità anagrafica di genere nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
Valentina Capuozzo
Sommario: 1. Premessa – 2. La disciplina convenzionale – 3. Il percorso giurisprudenziale della Cedu – 3.1. La cautela iniziale – 3.2. La tutela per la transizione binaria – 3.3. La recente chiusura sul terzo genere – 5. Conclusioni.
1. Premessa
Negli ultimi decenni, la questione della rettificazione anagrafica del genere è venuta assumendo una rilevanza sempre crescente per il diritto, di pari passo alle rinnovate istanze di tutela dell’autodeterminazione individuale per ciò che riguarda la scelta dell’identità sessuale[1].
Si può parlare, a tale proposito, di un’evoluzione del diritto all’identità personale, che richiede agli ordinamenti statali un ripensamento delle legislazioni e delle procedure amministrative di identificazione nei registri civili, per rispondere alle istanze di quanti non si riconoscono nell’attribuzione originaria del sesso anagrafico.
Si tratta di un nodo giuridico di particolare complessità, in cui si intrecciano questioni relative insieme al principio di uguaglianza, alla libera determinazione dell’identità personale e alle tradizioni normative degli Stati, che, per essere comprese appieno, richiedono una breve premessa terminologica.
In primo luogo, occorre spiegare la differenza tra sesso e genere. Con il termine sesso, infatti, ci si riferisce a una condizione biologica, diversamente dal genere che indica invece un concetto meta-biologico[2]. Secondo la medicina, poi, in ciascun individuo si distinguono tre sessi: quello fenotipico, che si manifesta a livello morfologico; quello cromosomico (o genotipico), identificato con l’ultima coppia di cromosomi del cariotipo umano, vale a dire con le coppie che generalmente sono XX o XY; e il sesso psichico (o gender), determinato secondo l’autopercezione, concetto cui si riferisce l’identità di genere[3].
I tre sessi possono essere allineati o meno e il disallineamento può declinarsi in chiave binaria o non binaria, quando l’identità percepita non rientra nell’alternativa maschile/femminile, riflettendo nuove forme di soggettività[4].
È tale disallineamento, definito come disforia e incongruenza di genere[5], che fa sorgere la necessità di una rettificazione dei registri civili. Il problema giuridico si pone a partire dal momento attributivo del sesso anagrafico, che avviene alla nascita dell’individuo, quando è possibile considerare soltanto sesso fenotipico e cromosomico, poiché il sesso psichico si manifesta più tardi, con il progressivo sviluppo della percezione del sé[6].
In questi casi, la tutela dell’autodeterminazione individuale richiederebbe un adeguamento della registrazione anagrafica originaria, che tuttavia non sempre è prevista dalle normative statali. A tale proposito, gli studi comparativi operano una classificazione degli ordinamenti utilizzando come parametro, da un lato, il ruolo dell’autorità pubblica e dell’individuo nel riconoscimento del genere, e, dall’altro, la forma binaria o non binaria della scelta[7]. In applicazione di tali criteri si distinguono quattro modelli. Il più restrittivo per l’autodeterminazione individuale è il modello binary ascriptive, per cui il genere è attribuito dall’autorità pubblica solo in forma binaria. Anche nel modello non binary ascriptive è l’autorità pubblica ad attribuire il genere, ma sia in forma binaria sia non binaria. Nel sistema binary elective è l’individuo a scegliere, secondo l’alternativa maschile/femminile. Il modello nonbinary elective è invece quello più elastico, che attribuisce la scelta del genere sia in forma binaria sia non binaria[8].
L’appartenenza di ciascuno Stato all’uno o all’altro modello può cambiare a seconda dell’evoluzione del quadro normativo ordinamentale, che in effetti si presenta piuttosto mutevole trattandosi di una materia profondamente influenzata dai progressi della scienza e dal variare della percezione psico-sociale[9].
In questa cornice, il presente contributo intende analizzare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che si caratterizza per un approccio prudente, considerevolmente sensibile al requisito del consensus europeo. Il lavoro si sofferma in particolare sulle tappe che, in caso di transizione binaria, hanno segnato la progressiva affermazione del diritto alla rettificazione dell’identità di genere, a fronte della recente chiusura mostrata rispetto alla registrazione anagrafica di un terzo genere. L’analisi si concentra dapprima sulle norme convenzionali utilizzate dalla Corte di Strasburgo nell’evoluzione della sua giurisprudenza (par. 2) e, successivamente, sull’esame dei casi più significativi che ne hanno scandito lo sviluppo (par. 3).
2. La disciplina convenzionale
La giurisprudenza della Cedu sulla rettificazione del sesso anagrafico può considerarsi un esempio di interpretazione evolutiva del diritto convenzionale[10], che ha fondato le esigenze di tutela delle persone con disforia di genere innanzitutto sul principio di uguaglianza e pari opportunità e sul connesso divieto di discriminazione[11].
In tal senso, le norme di riferimento sono l’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e il Protocollo addizionale n. 12 alla CEDU, che impongono agli Stati l’obbligo di garantire il godimento dei diritti convenzionali senza discriminazioni, inclusa quella basata sul sesso.
Rettificare l’identità anagrafica in conformità a quella percepita dall’individuo significa inoltre tutelarne il diritto alla salute, inteso in senso dinamico come completo benessere fisico, psicologico e sociale, compromesso dall’ansia e dalla sofferenza derivanti dalla discrepanza tra identità biologica e giuridica[12].
Anche l’articolo 12 CEDU, che garantisce il diritto al matrimonio, è stato utilizzato come parametro dalla Corte di Strasburgo. Nei sistemi giuridici in cui questo è vincolato al sesso anagrafico, infatti, l’impossibilità di rettificare tale dato finisce con l’impedire il libero accesso all’istituto matrimoniale, negando un diritto fondamentale sancito dalla Convenzione.
Un ruolo centrale è poi ricoperto dall’articolo 8 CEDU, che tutela il diritto alla vita privata e familiare. Come si vedrà, la Cedu ha ricondotto i diritti delle persone con disforia di genere al suo ambito applicativo per l’ampiezza del concetto di vita privata, che si riferisce non solo all’integrità psico-fisica della persona, ma anche all’identità sociale e di genere. In questo senso, la Corte ha espresso un orientamento ormai consolidato per cui la sfera sessuale, comprensiva dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, rientra tra i diritti protetti dall’articolo 8 CEDU in quanto definisce l’identità personale, così gradualmente riconoscendo l’importanza dell’identità di genere come parte essenziale dell’individualità della persona[13].
3. Il percorso giurisprudenziale della Cedu
3.1. La cautela iniziale
La giurisprudenza della Cedu in materia di rettificazione dell’identità anagrafica di genere si è inizialmente sviluppata con un approccio prudente, in linea con una concezione restrittiva del ruolo della Corte rispetto al margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri[14]. Per i primi anni, infatti, la Corte ha escluso che la mancata rettificazione dei documenti di stato civile potesse configurare una violazione della Convenzione, ritenendo la materia rientrante nella discrezionalità degli ordinamenti nazionali.
Questa impostazione iniziale trova il suo fondamento nel complesso bilanciamento sotteso alla questione, che vede la Corte tesa tra l’esigenza di tutelare l’identità dei soggetti con disforia di genere e quella di garantire la certezza del diritto cui sono improntate le tradizioni giuridiche statali.
Molto indicative, in questa prima fase di cautela, sono le sentenze Rees c. Regno Unito del 1986 e Cossey c. Regno Unito del 1990, che hanno visto la Cedu decidere su un caso di transessualismo, vale a dire una discrasia tra sesso fenotipico e sesso psichico che induce l’individuo a intraprendere un percorso di “trasnsito”, per mezzo di interventi chirurgici o trattamenti ormonali[15]. Secondo questo primo orientamento prudente, è il margine degli Stati a prevalere sul disagio di non poter adeguare i documenti anagrafici alla nuova identità di genere, in ragione delle significative implicazioni sociali e legislative legate all’obbligo di riconoscimento[16].
Vero è, però, che con il progressivo mutamento del sentire sociale e l’emergere di nuove evidenze scientifiche circa la discrasia tra sesso e genere, l’approccio della Corte di Strasburgo ha sin da subito mostrato un’evoluzione. Nel 1992, con la sentenza B. c. Francia[17], la Cedu ha utilizzato per la prima volta il parametro dell’articolo 8 della Convenzione. A partire da questa pronuncia, anch’essa resa a proposito di un caso di transessualismo, seppure con un andamento inizialmente ondivago[18], l’identità o l’identificazione sessuale, il nome, l’orientamento e la vita sessuale sono stati progressivamente ricondotti sotto l’ombrello dell’articolo 8 CEDU[19].
Nonostante tale evoluzione, in questa prima fase di cautela la Cedu si limitava a imporre agli Stati la cosiddetta “piccola soluzione”, che garantisce il diritto al cambiamento del nome, lasciando invece all’apprezzamento discrezionale degli Stati il riconoscimento giuridico del mutamento dei caratteri sessuali, la cd. “grande soluzione”[20].
Pur mantenendo un atteggiamento prudente, tuttavia, si può osservare che la Corte già mostrava segnali di apertura. Negli stessi casi Rees c. Regno Unito e Cossey c. Regno Unito, pur respingendo le richieste dei ricorrenti, la Cedu ha riconosciuto che il progresso scientifico e l’evoluzione del sentire sociale rappresentano fattori determinanti per aggiornare l’interpretazione delle disposizioni convenzionali[21], riflettendo una sensibilità crescente verso le istanze di tutela delle persone con disforia di genere e ponendo le basi per un graduale cambiamento giurisprudenziale che troverà compimento negli anni successivi.
3.2. La tutela per la transizione binaria
È la sentenza Christine Goodwin c. Regno Unito del 2002, anch’essa relativa a un caso di transessualismo, a rappresentare il momento di svolta per la giurisprudenza di Strasburgo. In tale pronuncia, infatti, la Corte riconosce per la prima volta che l’articolo 8 della Convenzione impone agli Stati un’obbligazione positiva di garantire il pieno riconoscimento giuridico del sesso di riassegnazione per le persone transessuali.
La vicenda sottesa alla decisione riguardava una persona che, pur avendo completato l’iter chirurgico di transizione da uomo a donna e vivendo come tale nella società, continuava a essere considerata di sesso maschile dall’ordinamento giuridico del Regno Unito, con tutte le conseguenze discriminanti e limitative che tale situazione comportava.
La Corte, nel dare seguito alle aperture già precedentemente manifestate, riscontra una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, affermando che il mancato riconoscimento giuridico dell’identità di genere dopo la transizione lede il rispetto della dignità e libertà umana, rappresentando un’interferenza dello Stato nella vita privata dell’individuo, atta a generare una condizione di vulnerabilità, umiliazione e stress per la persona interessata. Particolarmente significativa è la parte in cui la Corte argomenta circa l’incoerenza di una legislazione che, da un lato, consente interventi chirurgici e trattamenti di riassegnazione del sesso, ma, dall’altro, nega il pieno riconoscimento giuridico delle loro conseguenze, affermandone il contrasto con i principi della Convenzione[22].
La portata innovativa della sentenza Goodwin riguarda poi l’interpretazione dell’articolo 12 CEDU, relativo al diritto al matrimonio. Per la prima volta, la Cedu riconosce che le persone transessuali hanno il diritto di contrarre matrimonio conformemente alla loro nuova identità di genere, superando l’interpretazione tradizionale che collegava rigidamente il matrimonio al sesso attribuito alla nascita[23].
A seguito della sentenza Goodwin, altre pronunce hanno consolidato il riconoscimento del diritto alla rettificazione dell’identità anagrafica di genere quale componente essenziale del diritto al rispetto della vita privata ex articolo 8 della Convenzione. Tra queste, la sentenza Van Kück c. Germania del 2003, nell’ambito di un contenzioso assicurativo, ha precisato che il diritto delle persone a essere riconosciute nella propria identità di genere rappresenta uno degli aspetti fondamentali dell’autodeterminazione personale[24].
Un ulteriore sviluppo si è avuto con la sentenza A.P. Garçon e Nicot c. Francia del 2017. In questo caso, la Corte si è pronunciata contro la legislazione francese che subordinava la rettificazione delle voci relative al sesso e al nome nei registri di stato civile a interventi chirurgici o trattamenti medici idonei a causare sterilità permanente. La Corte ha stabilito che prevedere tale requisito viola l’articolo 8 CEDU poiché impone condizioni invasive e lesive della dignità umana per il riconoscimento giuridico del genere, così interferendo in misura sproporzionata con la vita privata della persona[25].
Degna di nota è poi la sentenza S.V. c. Italia del 2018, che ha censurato la rigidità procedurale della normativa italiana secondo la quale non era possibile ottenere la modifica del nome sui documenti prima del completamento definitivo della transizione con intervento chirurgico. Tale procedura, lasciando la ricorrente in una condizione di disagio e vulnerabilità per il limbo sociale cui era costretta, è stata ritenuta dalla Cedu incompatibile con l’obbligazione positiva dello Stato di garantire il rispetto della vita privata[26].
L’obbligo statale di prevedere procedure rapide, trasparenti e accessibili per il riconoscimento legale dell’identità di genere è stata poi oggetto, più recentemente, delle pronunce X c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia del 2019 e A.D. e altri c. Georgia 2022. In entrambi i casi, la Corte ha ribadito che la mancanza di strumenti adeguati a livello nazionale per consentire il cambiamento di genere anagrafico costituisce una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, confermando l’obbligo positivo di predisporre procedure adeguate a garantire una tutela effettiva e non discriminatoria[27].
3.3. La recente chiusura sul terzo genere
Posta innanzi al problema giuridico della registrazione anagrafica di un terzo genere, invece, la Cedu è ritornata su una posizione più cauta. La vicenda, decisa con la sentenza Y. c. Francia del 2023, riguardava un caso di intersessualismo, vale a dire una divergenza del sesso fenotipico o genotipico per ermafrofitismo o variazioni cromosomiche[28].
In particolare, si trattava di una persona che, pur essendo nata con caratteri sessuali ambigui, era stata registrata alla nascita come di sesso maschile in base al criterio di prevalenza, ma che, non identificandosi né come uomo né come donna, contestava la violazione dell’articolo 8 della Convenzione a seguito del rifiuto dello Stato francese di rettificare il proprio atto di nascita con la dizione “neutre” o “intersexe”[29].
In questo caso, la Corte non ha riscontrato alcuna violazione da parte dello Stato francese del diritto al rispetto della vita privata tutelato dall’articolo 8 CEDU, argomentando la decisione in termini che evidenziano una posizione di cautela rispetto alla questione del riconoscimento giuridico delle identità non binarie.
L’iter logico seguito dalla Corte si articola in più passaggi. In primo luogo, i giudici di Strasburgo rilevano che il ricorso non concerne l’inadempimento dell’obbligazione negativa di non ingerenza dello Stato nel diritto alla vita privata della ricorrente, quanto piuttosto l’inadempimento di un’obbligazione positiva in capo all’ordinamento, che quindi gode di un ampio margine di apprezzamento[30].
La Corte, poi, osserva che è a causa di una lacuna del diritto che non può essere rilasciato il documento corrispondente al genere della ricorrente. Lacuna che, tuttavia, può essere colmata soltanto dal legislatore nazionale e non dalla Cedu, occorrendo invero una valutazione sulle modifiche ordinamentali necessarie, oltreché un bilanciamento con gli altri interessi generali dello Stato[31]. A tale proposito, la Corte ricorda che la Convenzione è uno strumento sussidiario e che, in materia di politica generale di un ordinamento, va rispettato il margine di discrezionalità della decisione politica statale[32].
La Cedu osserva inoltre che la maggioranza degli Stati contraenti della Convenzione continua a prevedere un sistema binario per l’identificazione del sesso negli atti di nascita e nei documenti ufficiali, senza ammettere opzioni ulteriori. Al momento soltanto cinque degli Stati membri (Germania, Austria, Islanda, Paesi Bassi e Malta) consentono di indicare, sull’atto di nascita, un genere diverso rispetto all’alternativa maschile/femminile[33]. Quindi, la sentenza conclude che non può dirsi ancora esistente un consensus europeo favorevole alla registrazione non binaria.
Un altro elemento di rilievo è quello relativo agli interessi pubblici coinvolti, quali la certezza delle relazioni giuridiche e la sicurezza dei registri dello stato civile. Sebbene infatti la ricorrente non reclami il riconoscimento di un diritto generale alla registrazione anagrafica del terzo genere, ma solo la rettificazione del proprio stato civile, inevitabilmente questo richiederebbe allo Stato francese di modificare in tal senso tutto il suo diritto interno, scelta che la Cedu ha ritenuto appartenente alla sola discrezionalità del decisore politico statale.
4. Conclusioni
Riannodando le fila del discorso, si può dire che lo stato dell’arte della giurisprudenza di Strasburgo evidenzia una differenza notevole tra i passi avanti compiuti nella direzione di una tutela piena per la registrazione anagrafica della transizione binaria di genere, rispetto alla prudenza mostrata a proposito del non binarismo.
Questa cautela ha suscitato ampio dibattito. Si è parlato in proposito di un’eccessiva timidezza della Cedu nell’affrontare una questione così complessa, ma allo stesso tempo cruciale per la tutela dell’identità personale[34].
Nella sentenza Y. c. France, tuttavia, non sembrano mancare segnali di apertura che potrebbero indicare successivi revirements della Corte di Strasburgo. Il riferimento è alle argomentazioni che si leggono nella sentenza a proposito della Convenzione come strumento vivente, da interpretare e applicare alla luce delle condizioni esistenti. Tali considerazioni, analoghe a quelle sviluppate sul tema della transizione binaria, hanno già segnato un preludio a cambiamenti nella giurisprudenza della Cedu[35], la quale sembra orientata ad attendere ulteriori evoluzioni del diritto nazionale.
Sembra dunque non azzardato prevedere che non si tratta dell’ultima parola dei giudici di Strasburgo in materia di terzo genere, ma del primo passo verso un ampliamento di tutela che, tuttavia, per le notevoli implicazioni interne sugli ordinamenti, chiede ai legislatori nazionali un’importante riflessione sul metodo di riconoscimento delle persone.
[1] Si v. sul punto M.X. Catto, S. Osella, The Sexed Subject, in The Cambridge Companion to Gender and the Law, 2023, pp. 25 e ss.; R. Rubio-Marín, S. Osella, El nuevo derecho constitucional a la identidad de género entre la libertad de elección, el incremento de categorías y la subjetividad y fluidez de sus contenidos. Un análisis desde el derecho comparado, in Revista española de derecho constitucional, 40, n. 118/2020, pp. 45 e ss.; P. Valerio, P. Marcasciano, C. Scandurra, Una visione psico-sociale sulle varianze di genere: tra invisibilità, stima e risorse, in Rivista di sessuologia, gennaio 2016, pp. 23 e ss.
[2] Cfr. L. Palazzani, Identità di genere come problema biogiuridico, in F. D’Agostino (a cura di), Identità sessuale e identità di genere, Milano, 2012, 8 ss. Si v. anche A. Astone, Il controverso itinerario dell’identità di genere, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 2/2016, pp. 305 e ss.; G. Baldini, Riflessioni di biodiritto. Profili evolutivi e nuove questioni, Wolters-Kluver, Milano, 2019, pp. 243 e ss.; L.P. Martina, La prospettiva di genere. Un processo di normativizzazione politica mondiale, Aracne Editrice, Roma, 2017, p. 19; E. Ruspini, Le identità di genere, Roma, Carocci, 2023, p. 30.
[3] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, in GenIUS, n. 1/2018, p. 31.
[4] Si v. L. Palazzani, Identità di genere, cit.; C. Richards, W.P. Bouman, L. Seal, M.J. Barker, T.O Nieder, G.T Sjoen, Non-binary or Genderqueer Genders, in International Review of Psychiatry, n. 28/2016, pp. 95 e ss.
[5] La disforia di genere (gender dysphoria) è la classe diagnostica indicata dall’attuale versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), che definisce la condizione di malessere vissuto dall’individuo a causa del disallineamento tra identità di genere e sesso attribuito alla nascita, depatologizzandola rispetto al passato, quando veniva invece rubricata come un disordine dell’identità di genere (gender identity disorder). L’incongruenza di genere (gender incongruence) è la classe diagnostica utilizzata dall’Organizzazione mondiale della sanità nell’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), definita come una marcata e persistente incongruenza tra il genere sperimentato da un individuo e il sesso attribuito. Per un approfondimento, si v. ex aliis C. Richards, W.P. Bouman, L. Seal, M.J. Barker, T.O Nieder, G.T Sjoen, Non-binary or Genderqueer Genders, in International Review of Psychiatry, n. 28/2016, pp. 95 e ss.
[6] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, cit., pp. 31 e ss.
[7] Cfr. S. Osella, R. Rubio-Marín, Gender Recognition at The Crossroads: Four Models and The Compass of Comparative Law, in International Journal of Constitutional Law, 2023, vol. 21, n. 2, pp. 574 ss.
[8] Ivi, p. 577 “Our argument departs from two basic premises. First, legal systems normally provide two legal genders or more. Gender recognition, therefore, may take a binary or a nonbinary form, depending on the number of gender options given in a specific jurisdiction. Second, legal identity can either be determined by the concerned person or by a third party. Recognition may thus be granted on the basis of self-determination (elective form), without any requirements, or on the basis of the fulfillment of certain preconditions (ascriptive form), such as conforming to medical or behavioral standards that a third party must certify. We contend that, at the intersection of these two axes, four main models of gender recognition can be identified: ascriptive binary, ascriptive nonbinary, elective binary, and elective nonbinary. These axes of classification rely on two central demands of trans and nonbinary advocacy—namely, the nonbinary option and gender self-determination. At a deeper level, these axes also relate to central issues discussed in queer theory, including the gender binary, and the understanding of gender as a system of norm production”.
[9] Cfr. sul punto P. Passaglia (a cura di), Appunto recante la panoramica degli ordinamenti nei quali è ammessa la registrazione del genere non binario, Com. 322, aprile 2024, predisposto dal Servizio Studi, Area di diritto comparato, della Corte costituzionale italiana, e reperibile al seguente indirizzo web: https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/comp-322-genere-non-binario-1_20240930145106.
[10] Cfr. sul punto A.C. Visconti, La disforia di genere nel prisma della giurisprudenza europea, in Revista Brasileira de Direito Animal, n. 2/2024, p. 10.
[11] Si v. S. Whittle, Respect and Equality: Transsexual and Transgender Rights, Cavendish, London, 2002.
[12] Cfr. A. Lorenzetti, Diritti in transito. La condizione giuridica delle persone transessuali, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp. 216 e ss.
[13] Tra le diverse pronunce si v. in part. Cedu, Van Kück c. Germania del 12 giugno 2003, par. 69; K.A. e A.D. c. Belgio del 17 febbraio 2005, parr. 78-79; Y.Y. c. Turchia del 10 marzo 2015, par. 56; A.P. Garçon and Nicot c. Francia del 6 aprile 2017, par. 92.
[14] Cfr. in part. Cedu, sentt. Rees c. Regno Unito, del 17 ottobre 1986 e Cossey c. Regno Unito, del 27 settembre 1990.
[15] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, cit., pp. 37 e ss.
[16] Cfr. Cedu, sent. Rees c. Regno Unito, del 17 ottobre 1986, par. 35; sent. Cossey c. Regno Unito, del 27 settembre 1990, par. 40 ove la Corte afferma che in mancanza di significativi progressi scientifici l’intervento di riattribuzione di sesso non comporta l’acquisizione di tutte le caratteristiche biologiche dell’altro sesso.
[17] Cedu, sent. B. c. Francia, del 25 marzo 1992.
[18] Si v. Cedu, sent. Sheffield e Harsham c. Regno Unito, del 30 luglio 1998, sebbene con alcune partly dissenting opinions, su cui cfr. A.C. Visconti, La disforia di genere…, cit., p. 11.
[19] Cfr. in part. Cedu, sentt. Van Kück c. Germania, del 12 giugno 2003; Sclumpf c. Svizzera, dell’8 gennaio 2009; Y.Y. c. Turchia, del 10 ottobre 2018.
[20] Si v. sul punto S. Patti, Il transessualismo tra legge e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (e delle Corti costituzionali), in Nuova giur. civ. comm., 2006, pp. 143 e ss.
[21] Cfr. Rees c. Regno Unito, del 17 ottobre 1986, par. 47 e Cossey c. Regno Unito, del 27 settembre 1990, par. 42.
[22] Cedu, sentenza Christine Goodwin c. Regno Unito, dell’11 luglio 2002, par. 77 e 78.
[23] Ivi, par. 98. Per un approfondimento sul punto, cfr. A.C. Visconti, La disforia di genere…, cit., p. 10.
[24] Cedu, sent. Van Kück c. Germania, del 12 giugno 2003.
[25] Cedu, sent. A.P. Garçon e Nicot c. Francia, del 6 aprile 2017. Sulla questione della subordinazione della rettificazione dell’attribuzione di sesso a una condizione di infertilità permanente, si v. amplius A. Cordiano, La Corte di Strasburgo (ancora) alle prese con la transizione sessuale. Osservazioni in merito all’affaire Y.Y. c. Turquie, in Nuova giur. civ. comm., 2015, pp. 502 e ss.
[26] Cedu, S.V. c. Italia, dell’11 ottobre 2018, in part. parr. 57 e 72.
[27] Cedu, sentt. X c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia, del 17 gennaio 2019, par. 70; A.D. e altri c. Georgia, del 1° dicembre 2022, par. 76.
[28] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, cit., pp. 37 e ss.
[29] Si tratta peraltro della seconda volta in un lasso di tempo limitato che la Cedu viene posta dinanzi a un caso riguardante la tutela delle persone intersessuali in Francia. Il riferimento è al caso M c. Francia del 26 aprile 2022, dichiarato tuttavia inammissibile poiché non erano stati esperiti tutti i gradi di giudizio interni, quindi non pronunciandosi nel merito della questione. Sul punto cfr. F. Brunetta D’Usseaux, Le persone intersessuali e il terzo genere: ciascuno Stato Membro può procedere al proprio ritmo, in DPCE online, n. 2/2023, pp. 2299 e ss.
[30] Cedu, sent. Y. c. France, del 31 gennaio 2023, par. 69.
[31] Ivi, par. 72.
[32] Sul punto cfr. V. Casillo, Cambio del marcatore di genere per persona intersex e art. 8 CEDU, in Giurisprudenza italiana, n.3/2023, p. 521.
[33] Si v. amplius D. Ferrari, F. Brunetta D’Usseaux, La condizione intersessuale dalla “normalizzazione” alla dignità? Linee di tendenza dal diritto internazionale alla Corte costituzionale tedesca, in GenIUS, 2018, pp. 125 e ss.
[34] Cfr. L. Aït Ahmed, La Cour européenne face au sexe neutre: les contorsions et l’embarras, in Rev. droits et libertés fondamentaux, 2023.
[35] F. Brunetta D’Usseaux, Le persone intersessuali e il terzo genere, cit., p.2304; M. Brillat, Mention «sexe neutre»: la CEDH se prononce, que faut-il retenir?, in Dalloz Actualité, 9 febbraio 2023.
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