Intorno all’autonomia scientifica del diritto dell’energia*
di Giampiero Paolo Cirillo
Sommario: 1. La crescente importanza dell’energia e le parti speciali nell’esperienza giuridica; 2. La peculiarità del bene al centro dei microsistemi. Il diritto della navigazione. I tipi contrattuali e in particolare la locatio-conductio del diritto romano. Il bene ambientale; 3. La nozione sostanziale e la nozione formale di energia. Tipi forme e fonti di energia. La normativa del codice civile e del codice penale; 4. Il bene-energia e il bene-rete. La necessaria costituzione del servizio pubblico a seguito del tramonto dei monopoli di diritto e del pericolo costante della formazione di monopoli di fatto. Il ruolo delle autorità amministrative indipendenti (ARERA e AGCOM); 5. Le norme di sistema; 5.1. L’art. 43 della Costituzione; 5.2. L’art. 194 del TFUE; 5.3. L’art. 41 della Costituzione; 5.4. L’art. 117, comma 3 della Costituzione; 6. I soggetti del mercato dell’energia; 7. Gli strumenti integrati di tipo amministrativo e di tipo civilistico; 8. La formula organizzatoria dell’energia come ordinamento sezionale. Gli atti interni dell’ordinamento sezionale e la loro sindacabilità. I principi e le regole del diritto dell’energia tra diritto privato e diritto amministrativo. La necessità di un codice dell’energia
1. La crescente importanza dell’energia e le parti speciali nell’esperienza giuridica
Il dibattito sull’energia va assumendo proporzioni sempre più larghe e profonde sia presso la dottrina sia presso gli operatori del settore, che sono costretti ad invocare con crescente frequenza l’intervento della giurisprudenza. La convegnistica si occupa giustamente e per lo più di temi specifici, anche se di grande interesse, quali le energie alternative come antidoto alle emergenze climatiche e ai danni ambientali; in particolare le CER (Comunità energetiche alternative)[1].
Tuttavia per il giurista, che, in quanto tale, deve fare uso accorto e rigoroso dei suoi strumenti, rimane ineludibile il problema della possibile autonomia del diritto dell’energia. Questo è necessario quantomeno al fine di comprendere se sia possibile ricavare all’interno della normativa di settore principi e regole generali o se esse vanno rinvenute nell’ordinamento generale (pubblico o privato; nazionale o europeo) e se, nel primo caso, siano essi compatibili con questi; e in caso negativo quali rimedi azionare.
L’esperienza giuridica conosce già il problema della separazione di settori dell’ordinamento da quello generale di riferimento; basti pensare al diritto della navigazione; al diritto agrario, al diritto del lavoro e sindacale ed altri. Poi vi sono discipline che, se pur staccate dal diritto privato, non hanno mai assunto una vera e propria dimensione autonoma, come ad esempio il diritto industriale e il diritto della proprietà intellettuale. Il diritto commerciale ha tutt’altra storia, anche se fino all’unificazione del codice commerciale con il codice civile ha avuto una autonomia anche normativa, che peraltro ancora conserva sul piano scientifico. Anche questa disciplina pone al centro del suo sistema il bene-azienda e l’impresa
Il modo di procedere degli studi giuridici, se si guarda alla storia del diritto, è stato quello di espungere una parte generale come premessa delle parti speciali, così il diritto penale e i diritti processuali. Naturalmente qui non vengono considerate talune prassi universitarie di vera e propria creazione surrettizia di materie nuove o di spacchettamenti di discipline al solo fine di moltiplicare gli insegnamenti, istituendo nuove cattedre.
Il diritto amministrativo ha seguito la stessa linea, dove la parte generale si occupa dell’organizzazione della soggettività pubblica, delle situazioni soggettive (ma questa è materia di teoria generale), dell’attività e del procedimento amministrativo, dei beni e della responsabilità, ivi compresa la tutela. Le parti speciali sono più numerose e le più importanti sono le espropriazioni, l’edilizia, gli appalti e i contratti pubblici, i servizi pubblici ed altri.
Tuttavia, ogni qual volta, un settore viene alla ribalta si pone il problema della sua autonomia scientifica, basti pensare al diritto ambientale.
La storia della legislazione è stata particolarmente interessante, in quanto per far fronte alla sterminata produzione normativa si è inaugurata trent’anni orsono una vera e propria stagione di testi unici e di codici, che, con l’ausilio del Consiglio di Stato, ha portato ad una significativa sistemazione delle varie discipline. Basti pensare al codice dei contratti pubblici, a quello dell’ambiente e dei beni culturali, a quello delle autonomie locali, a quello sulle espropriazioni e a quello sull’edilizia e altri.
Si era anche ipotizzato un codice amministrativo di diritto sostanziale, ma l’idea è sfumata. Sicchè la legge generale sul procedimento amministrativo, con le sue continue ‘novelle’, ha finito con il diventare un “piccolo codice”[2] al pari dell’invece grande codice civile, che pure conosceva già discipline contenute in leggi speciali, come la legge sui brevetti, la legge di protezione del diritto d’autore, le locazioni e i titoli di credito.
Anche la legislazione civilistica ha seguito la tecnica di collocare le normative in leggi speciali, anziché incidere, attraverso la tecnica della novellazione, nel corpo del codice del ’42, tranne lodevoli eccezioni, si pensi alla oramai lontana riforma del diritto di famiglia. Non a caso già in anni non proprio recentissimi si è parlato di età della decodificazione[3].
2. La peculiarità del bene al centro dei microsistemi. Il diritto della navigazione. I tipi contrattuali e in particolare la locatio-conductio del diritto romano. Il bene ambientale
Nel tentativo di allontanarsi da una visione puramente descrittiva, bisogna osservare che in tutti i settori che hanno aspirato ad una autonomia scientifica al centro del microsistema si pone la peculiarità del bene disciplinato o meglio le utilitates che dal bene stesso si possono trarre.
Se si guardano gli studi che si sono occupati del diritto della navigazione, che ha avuto sin dal 1942 un vero e proprio codice degno di questo nome (recentemente modificato nella parte aeroportuale dai decreti legislativi n.96/2005 e n.151/2006), è facile registrare come l’autonomia di quella disciplina, è stata ritenuta un concetto di carattere storico e di diritto positivo che si può realizzare solo quando nell’ordinamento giuridico si provveda alla statuizione di una particolare ed organica disciplina per una categoria particolare di rapporti nascenti dall’utilizzo della nave e dell’aeromobile o dei beni demaniali marittimi; in particolare delle concessioni balneari che hanno fatto ritornare in auge il codice del 1942. Si è messo in evidenza che il diritto della navigazione è caratterizzata dal particolare concorso di elementi pubblicisti e privatistici e che tale concorso si va estendendo a tutti i rami dell’ordinamento giuridico. Non si è mancato di mettere in evidenza che quei rapporti sono particolari proprio per il carattere squisitamente tecnico della materia e che da quella disciplina vanno desunti principi mediante un procedimento di astrazione da una norma o da un complesso di norme del diritto speciale. L’autonomia non esclude che il diritto della navigazione debba essere inquadrato nel sistema generale del diritto che comunque ha dei nessi profondi con le altre branche dell’ordinamento giuridico. Questa visione si distingueva da quello del cosiddetto ‘particolarismo’, affermato per il diritto marittimo dalla più antica dottrina francese, secondo la quale esso sarebbe un qualcosa di diverso dal diritto pubblico e dal diritto privato[4].
È significativo che queste osservazioni siano state fatte già agli inizi del secolo scorso.
Anche a proposito dello studio dei tipi contrattuali, non si è mancato di osservare come la locazione (la locatio-conductio del diritto romano) era in origine uno schema avente una grande capacità di adattamento, per l’elaborazione dei pratici e la tecnica dei giuristi. Ad essa venivano ricondotti contratti che oggi siamo abituati a considerare distinti e che ora distintamente la legge disciplina. Infatti appartenevano alla unitaria figura della locazione molti altri sottotipi, come la locazione di immobili urbani, l’affitto, il contratto d’opera e il lavoro subordinato. Gli ultimi due hanno assunto una autonomia scientifica netta, mentre i primi due continuano ad essere ricondotti alla figura generale; e nell’affitto di fondi rustici, l’affittuario è titolare di un’impresa medio o grande a seconda del capitale impiegato. Altre sottocategorie si sono aggiunte come l’affitto a coltivatore diretto, dove l’affittuario è un piccolo imprenditore che coltiva il fondo con il lavoro prevalentemente proprio e dei componenti della famiglia. In questa materia si è registrata in passato una legislazione, collocata fuori del codice civile, di favore per la classe contadina e per la stabilità dell’abitazione della famiglia, attraverso canoni prestabiliti dal legislatore, che fissava anche la durata minima del contratto e il diritto di prelazione a favore del conduttore[5]. Anche le concessioni di servizi attinenti all’uso dei beni demaniali marittimi si rifanno allo schema della locazione.
Come si intuisce facilmente la particolare natura del bene, ad esempio la mobilità della nave e dell’aeromobile (ma anche la natura particolare del demanio marittimo) nonché la produttività del bene nei fondi rustici, costituiscono il substrato giuridico di fondo da cui si dipanano i vari rapporti giuridici.
Anche per quanto riguarda il più attuale diritto ambientale si può dire che esso è diventato una disciplina compiuta che si può studiare in modo autonomo. La materia è stata isolata da dottrine autorevoli[6], che hanno lamentato il fatto che il problema dell’ambiente non veniva esaminato in sé e che veniva erroneamente il rilievo solo nell’ambito dello studio della disciplina del territorio o dei valori paesaggistici e culturali, oppure ancora dell’ecologia o della lotta all’inquinamento. Da quelle intuizioni l’ambiente è diventato nel tempo un valore costituzionale e la materia è ora disciplinata dal decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, che contiene oltre 300 articoli e una serie di allegati. Esso ha subito nel tempo molteplici modifiche e novelle.
Vi è stato un ampio dibattito sulla individuazione di una nozione appagante dell’ambiente. Esso è stato visto dapprima come un bene, ora individuale ora collettivo, per via del fatto che si registrava al suo interno il diritto soggettivo ad un ambiente salubre. Tuttavia è prevalsa la consapevolezza che l’ambiente ha soprattutto una valenza collettiva. Ricondurre l’ambiente alla nozione di bene aveva portato alla necessità di stabilire quali fossero i suoi caratteri, ossia se si trattasse di un bene tangibile, materiale o immateriale, e quale soggetto lo avesse in attribuzione. L’approfondimento del problema ha portato ad escludere che l’ambiente sia un bene, almeno in senso tradizionale. Esso è visto piuttosto come un ‘valore’ da salvaguardare con interventi legislativi e amministrativi che coesistono e si intersecano con altri principi e valori, quali lo sviluppo sostenibile e i diritti delle future generazioni. Esso ha un valore unitario e quindi al tempo stesso è qualcosa di più e qualcosa di meno di un bene[7].
Tuttavia la categoria di bene giuridico continua a far parte del dibattito in maniera non secondaria.
Il punto di contatto più rilevante tra l’attività energetica e l’ambiente, ma anche con il clima, è normalmente conflittuale, ed è legato alle c.d. esternalità aziendali negative, ossia gli effetti negativi della produzione (scorie, rifiuti tossici ed altro) che non vengono riassorbite all’interno della produzione, ma cadono all’esterno sulla collettività, la cui eliminazione genera costi che il sistema della legge tende a ricondurre in capo al produttore
3. La nozione sostanziale e la nozione formale di energia. Tipi forme e fonti di energia. La normativa del codice civile e del codice penale
Venendo finalmente all’energia, è necessario fornirne anzitutto la nozione, cosa non facile visto che la legge sul punto tace.
Tra quelle proposte la più precisa è quella che considera l’energia tutto ciò che ha “la capacità di compiere lavoro”[8]. Come si vede il vocabolo “lavoro”, rispetto al quale ora l’energia va intesa come sostitutiva o accrescitiva della forza-lavoro dell’uomo, evoca le prime forme di produzione di energia, ossia il lavoro umano, compiuto dagli schiavi nell’antica Roma, e poi via via fino alla prima industrializzazione, dove il lavoro è diventato uno dei fattori della produzione e quindi merce di scambio con il salario riconosciuto ai lavoratori all’interno dell’impresa produttiva.
Tuttavia essa nel tempo presente assume contorni più contenuti e precisi.
Nella manualistica vengono effettuate varie distinzioni. Pertanto vengono individuati più tipi di energia (animali, naturali, artificiali); forme di energia (meccanica cinetica termica e così via); fonti di energia (petrolio, carbone, uranio, gas naturale). Vi sono poi fonti di energia secondaria, come l’energia elettrica, che deriva dalla trasformazione di fonti energetiche primarie, come il carbone il petrolio e il gas naturale. Viene considerata invece fonte primaria quella idroelettrica e nucleare.
È importante notare come, mentre il gas e gli idrocarburi hanno una consistenza materiale percepibile -in quanto si tratta di sostanze fluide, e quindi comodamente rientrante nei beni mobili- l’energia elettrica ha una particolare natura trattandosi di una cosa incorporale, misurabile in watt di potenza ed è caratterizzata dalla assenza di autonomia, ossia non può essere isolata dalla fonte dalla quale si sprigiona. Tant’è che il codice penale (art. 624, comma 2, c.p.) è costretto a ricorrere ad una analogia giuridica laddove nel definire il reato di furto, attrae in questo anche il furto di energia elettrica ed ogni altra energia che abbia un valore economico. Peraltro anche il codice civile ricorre alla medesima tecnica della finzione, laddove, nel classificare le energie naturali che hanno un valore economico, le equipara a tutti gli altri beni mobili, dedicandovi uno specifico articolo (814 c. c.).
Dunque nel sistema della legge l’energia è un bene mobile, con tutte le conseguenze che tale classificazione comporta. È un bene perché ha un valore economico-industriale, come dimostra già il R. D. 29 luglio 1927, n. 1443, laddove assoggettava al regime delle miniere le energie del sottosuolo suscettibili di utilizzazione industriale. Ed è un bene mobile perché tale il legislatore lo considera. Inoltre il gas e l’energia elettrica sono beni consumabili (art. 995 c. c.).
Inoltre, l’energia elettrica, che, come si vedrà, costituisce il paradigma dell’evoluzione dei vari regimi giuridici che si sono susseguiti nel tempo, è anche una cosa incorporale, non separabile dal corpo materiale che la produce e la contiene. Essa rimane tale sia che venga prodotta da fonti rinnovabili (gli impianti eolici) sia che venga prodotta da fonti tradizionali (carbone). E nonostante le avanzate tecnologie oggi disponibili, essa non è immagazzinabile se non per mezzo di batterie e quindi in quantità ridotte e misurabili. Questo comporta che vi deve essere una corrispondenza tra i flussi di entrata e i flussi di uscita attraverso la creazione di un sistema di reti centralizzato, necessariamente sottoposto a controllo pubblico per garantire la continuità e la stabilità della frequenza di rete (servizio di dispacciamento). Data l’importanza e la diffusione dell’energia elettrica nel nostro paese (ma questo vale per tutti i paesi industrializzati del mondo), è stata necessaria la creazione di reti operanti a livello nazionale. Lo stesso sistema vale per il gas immesso nei gasdotti.
4. Il bene-energia e il bene-rete. La necessaria costituzione del servizio pubblico a seguito del tramonto dei monopoli di diritto e del pericolo costante della formazione di monopoli di fatto. Il ruolo delle autorità amministrative indipendenti (ARERA e AGCOM)
Questo comporta che il sistema delle reti e l’energia che in esse viene immessa costituiscono un vero e proprio bene primario per l’intera collettività. Ciò postula che il potere pubblico, per poter far fronte alle esigenze della collettività, deve organizzare un vero e proprio servizio pubblico o se si vuole un servizio di interesse generale, secondo la terminologia del diritto europeo.
Da ciò deriva che è possibile individuare, accanto al bene energia, un altro bene di più recente creazione, ossia la rete.
Le reti sono un vero e proprio bene in senso giuridico, che, per il loro modo di presentarsi nel mondo materiale, generalmente impianti radicati al suolo, ma anche nel caso di mulini ad acqua (esistono ancora mulini che producono energia elettrica) sono beni immobili, ai sensi dell’art. 812 del codice civile. Basti pensare alle reti elettriche e di telecomunicazione che portano energia alle abitazioni o alla rete ferroviaria o alla fibra o agli uffici locali del servizio postale. Normalmente le reti non sono replicabili dato il loro elevatissimo costo economico e quindi l’operatore deve poter accedere alla rete che innerva il mercato di riferimento, altrimenti l’attività d’impresa gli è preclusa. Questa è la ragione per cui attorno alle reti si addensano rapporti giuridici complessi, che implicano la soluzione di problemi legati alla proprietà e alla gestione della rete, oltre a quelli legati all’attività più propriamente commerciale. A questi si affiancano, oltre ai rapporti tra il gestore della rete e gli operatori economici, anche quelli legati alla corretta concorrenza tra imprese private e private- pubbliche.
A questi vanno aggiunti quelli con le autorità amministrative preposte al controllo del buon andamento del mercato di riferimento. I conflitti che insorgono vengono risolti dall’autorità amministrativa indipendente preposta al settore di mercato (ora ARERA) e dal giudice amministrativo.
Le reti hanno interessato a tal punto gli studiosi di diritto pubblico dell’economia[9] che si è ipotizzato un vero e proprio ‘diritto delle reti’ nei mercati regolamentati, separato dal diritto che governa i settori in cui esse vengono in rilievo. Le reti innervano non soltanto i settori dell’energia elettrica, delle ferrovie e del gas, ma anche quelli della comunicazione elettronica e postale, dell’acqua, dei rifiuti, delle autostrade, degli aeroporti, dei porti e del trasporto locale.
Quindi la rete è una infrastruttura essenziale nel settore dell’energia, anche se non esclusiva di tale settore.
In realtà proprio la presenza di essa, unitamente alle esternalità negative sull’ambiente e alle asimmetrie informative, ha impedito il realizzarsi di una vera e propria liberalizzazione del settore energetico sulla spinta europea (c.d. fallimento del mercato), che ha voluto estendere il principio della libera concorrenza anche ai settori produttivi sottoposti a un rigido sistema pubblicistico, dove l’attività era interamente riservata al potere pubblico, attraverso la creazione di enti pubblici che operavano in un regime di monopolio legale. Con la trasformazione degli enti pubblici preposti al settore energetico in società per azioni private non si eliminava il problema, poiché l’esistenza di una infrastruttura non duplicabile sul piano della convenienza economica generava un monopolio di fatto. Da qui la necessità di una disciplina che imponesse alla società proprietaria della rete di consentire l’accesso delle imprese che intendessero utilizzarla, a parità di condizioni e senza discriminazioni non giustificate, utilizzando meccanismi di gara nel caso in cui la capacità dell’infrastruttura si rivelasse insufficiente in relazione alla domanda di utilizzo[10].
Va anche ricordato che l’esistenza di un monopolio di fatto, nonostante il trasferimento formale a soggetti pubblici della proprietà della rete, ha comportato che il proprietario, oltre a gestirla, abbia anche svolto attività di utilizzazione della stessa ( si pensi nel trasporto ferroviario a Trenitalia e Italo), configurando così la possibilità di un abuso di posizione dominante e quindi la possibilità di intervento da parte dell’autorità preposta a garantire la corretta concorrenza (AGCOM), che pure, in virtù della sua trasversalità, contribuisce a governare il settore, assieme all’ARERA .
Questo ha indotto i legislatori nazionali ed europei a vedere con un certo sfavore le società ‘verticalmente integrate’, privilegiando invece la separazione tra il soggetto gestore e il soggetto proprietario-utilizzatore, attraverso l’instaurazione di un regime pubblicistico del servizio reso dall’infrastruttura medesima, considerata come oggetto di un servizio pubblico, affidandone la gestione a concessionari, soggetti ad obblighi non diversi da quelli dei concessionari delle altre infrastrutture essenziali.
Riprendendo la linea del discorso incentrata sul bene-rete, bisogna ricordare che non sempre la proprietà del bene è stata trasferita a soggetti privati. Ma anche quando questo è avvenuto, ed è avvenuto progressivamente quasi sempre, la separazione tra proprietà pubblica in senso soggettivo e quella in senso oggettivo consente di neutralizzare le possibili conseguenze sul piano giuridico, in quanto quel che rileva è la particolare destinazione del bene- rete, che prescinde dal mero fatto dell’appartenenza.
Infatti gli articoli 822 e 826 del codice civile, nell’elencare le categorie di beni che fanno parte rispettivamente del demanio e del patrimonio indisponibile degli enti territoriali (spesso proprietari formali dell’infrastruttura), fonda il particolare regime cui sono sottoposti sulla destinazione dei beni ad usi coerenti con l’interesse pubblico specifico ad essi inerente. Quindi la regola della non commerciabilità e la prevalenza del vincolo di destinazione attribuiscono a tali beni valore d’uso e non valore di scambio.
I beni destinati ai servizi pubblici, e tali sono le infrastrutture energetiche, appartengono al patrimonio indisponibile dell’ente che si impernia sul vincolo di destinazione dei beni al servizio pubblico. Tale regime si applica anche ai beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali (art. 830, comma 2, del c. c.).
Si sono volute richiamare queste non recentissime norme, che sono di sistema, poiché esse vengono spesso dimenticate nei dibattiti, dove prevale la tendenza ad occuparsi di questioni di attualità (la guerra in Ucraina che ostacola, facendo crescere il prezzo, il flusso del gas proveniente dai grandi gasdotti della Russia e così via), dimenticando che il compito del giurista è quello di fare i conti con le norme esistenti da cui ricavare un sistema giuridico compiuto, anche per un settore come quello dell’energia caratterizzato da un alto tasso di politicizzazione.
5. Le norme di sistema
5.1. L’art. 43 della Costituzione
Il quadro generale sarebbe esageratamente incompleto se si omettesse di ricordare altre quattro norme che pure contribuiscono a formare il sistema generale del diritto dell’energia.
La prima che viene in rilievo è sicuramente l’art. 43 della Costituzione, che, laddove consente la collettivizzazione di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio aventi carattere di preminente interesse generale, ha costituito la base per introdurre un regime di monopolio legale del settore elettrico (l. 6 dicembre 1962, n.1643), istituendo l’ente nazionale per l’energia elettrica (ENEL). Questo era definito come un ente nazionale con personalità giuridica pubblica, riservatario e concessionario ex lege dell’intera filiera elettrica proprio in attuazione dell’art. 43 della costituzione richiamato, che consente la riserva di attività (produzione, trasmissione, distribuzione) anche a favore di enti pubblici. La legge indicata costituisce la prima applicazione della norma costituzionale[11].
Per gli idrocarburi non fu necessario istituire un regime di riserva legale, ai sensi del medesimo articolo della Costituzione, per via della esistenza di un monopolio di fatto che venne a determinarsi fino da quando è stata istituita l’Agenzia generale petroli italiani (AGIP).
Un altro ente del settore energetico è stato il Comitato nazionale per le ricerche nucleari (CNRN), costituito per acquisire e diffondere le conoscenze scientifiche sulle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare.
Tale è stato il regime giuridico fino agli anni Novanta (iniziato nel 1992) del secolo scorso, allorquando si è proceduto alla c. d. privatizzazione, che ha riguardato i soggetti, i beni e i rapporti di larga parte del diritto amministrativo classico.
Sicchè, l’ENEL, al pari di tanti altri enti pubblici economici (Poste, Ferrovie dello Stato ed altri), è stato trasformato in società per azioni, con la dismissione graduale delle azioni detenute inizialmente dallo Stato (c.d. passaggio dalla privatizzazione fredda alla privatizzazione calda). La liberalizzazione ha portato successivamente, al fine di favorire una maggiore concorrenzialità, all’imposizione di un obbligo in capo all’ex monopolista ENEL di operare una separazione delle attività di produzione, trasmissione, distribuzione e vendita dell’energia, che furono affidate a società distinte, controllate da unaholding[12].
Sempre per effetto della c.d. privatizzazione calda è stata creata una apposita Autorità amministrativa indipendente (ora ARERA, con funzioni di regolazione e di controllo anche del ciclo dei rifiuti, pure quelli differenziati, urbani e assimilati), con la l. 14 novembre 1995 n. 481. Essa è tra le più importanti autorità amministrative indipendenti non trasversali, quindi di regolazione. L’indicata legge istitutiva costituisce ancora oggi la disciplina generale delle autorità di regolazione dei mercati regolati, laddove ne specifica le finalità e i poteri.
5.2. L’art. 194 del TFUE
A questo punto va indicata la seconda norma di sistema, visto che l’indicata liberalizzazione di settori così importanti come quello elettrico e quello del gas, ha comportato una produzione copiosa di normative europee proprio a partire dagli anni Novanta.
Ci si riferisce all’art. 194 TFUE, che attribuisce al Parlamento Europeo e al Consiglio la competenza a stabilire le misure necessarie per garantire il funzionamento del mercato interno dell’energia, la sicurezza degli approvvigionamenti, il risparmio energetico, l’efficienza energetica, l’interconnessione delle reti e soprattutto lo sviluppo delle energie rinnovabili. Si tratta di una materia concorrente con quella degli Stati membri che conservano il diritto di determinare le condizioni di utilizzo delle proprie fonti energetiche, oltre che la scelta tra le varie fonti della struttura generale dell’approvvigionamento energetico.
Sulla base di questa norma sono state emanate numerosissime direttive, che qui non possono essere ricordate. Va solo detto che esse vengono classificate distinguendo tra prima e seconda liberalizzazione. In esecuzione di esse sono state emanate alcune leggi fondamentali, come il cosiddetto decreto Bersani (decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79); la cosiddetta legge Marzano (legge 18 febbraio 2004 n. 39); il cosiddetto decreto Letta (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164).
Nel 2009 è stato emanato il cosiddetto “terzo pacchetto”, composto da due direttive e tre regolamenti, che ha rafforzato il regime di separazione tra gestione della rete e l’attività di produzione e vendita, al fine di prevenire conflitti di interessi nelle imprese ‘verticalmente integrate’ e di promuovere gli investimenti per potenziare le reti. Con esso è stata istituita una rete europea dei sistemi di trasmissione dell’energia elettrica e del gas (ENTSO-E ed ENTSO-G), acronimo di European Network of Trasmission System Operators for Elecricity, ovvero for Gas, un’associazione di gestori dei sistemi di trasmissione dell’energia elettrica o del gas di vari Paesi in tutta Europa. Gli organismi ivi istituiti hanno il compito di elaborare i cosiddetti codici di rete che disciplinano i collegamenti con le reti di trasmissione, il funzionamento dei sistemi paneuropei e armonizzano il commercio interstatale. Con questo importante corpo normativo è stata rafforzata ulteriormente l’indipendenza delle autorità nazionali di regolazione, stabilendo che deve essere garantita non soltanto dalle imprese ma anche dai governi nazionali. Il coordinamento europeo viene assicurato dall’Agenzia per la cooperazione tra i regolatori nazionali dell’energia (ACER).
Parimenti non si può omettere di ricordare la direttiva 23 aprile 2009, n. 209/28/CE, relativa alla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, fissando una quota minima di questo tipo di energia che gli Stati sono tenuti a conseguire; in coerenza con l’obiettivo europeo di raggiungere nel 2020 una quota complessiva pari almeno al 20 per cento di tale energia. Gli Stati membri devono dotarsi di piani di azione nazionali per le energie rinnovabili. A questa sono succedute altre direttive.
La tappa più recente dell’evoluzione del diritto europeo è costituita dal cosiddetto Winter Pachage o Clear Energy Pachage, che, oltre a rafforzare la necessità di produrre energie da fonti rinnovabili, pone un obiettivo vincolante per l’unione europea da raggiungere nel 2030 con l’impiego di non meno del 32% di tale energia, introducendo la regola per cui il sostegno finanziario deve essere basato su meccanismi di mercato e sullo snellimento delle procedure. Esso autorizza i consumatori a divenire produttori e auto-consumatori di energia rinnovabile, prevedendo organismi di grande originalità, come le comunità di energia rinnovabile (CER, ma anche le CEC), che hanno soggettività giuridica autonoma e sono aperte all’adesione dei clienti finali. Queste possono produrre, consumare, immagazzinare e vendere, con scambi anche all’interno della comunità, l’energia rinnovabile.
Va infine ricordato, tanto più che alcuni dei protagonisti della geopolitica planetaria vogliono rimettere tutto in discussione, l’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici promosso dalle Nazioni Unite. Con esso si intende contrastare il riscaldamento globale e cercare di contenerne l’aumento al di sotto dei 2° centigradi. Si vuole raggiungere in Europa la riduzione del 55 per cento delle emissioni nell’atmosfera di gas a effetto serra entro il 2030 e nel 2050 raggiungere l’obiettivo di una completa neutralità climatica. Si parla appunto di epoca della transizione climatica.
In tale direzione già era andato il Protocollo di Kyoto del 1997, dove si prevedono per la riduzione delle emissioni alcuni meccanismi flessibili per il raggiungimento degli obiettivi. In Europa lo strumento attuativo del Protocollo è stato dapprima la direttiva 13 ottobre 2003, n. 2003/ 87, successivamente emendato dalla direttiva UE 14 marzo 2016, n. 218/410 e più di recente dalla direttiva 2023/958 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda il contributo del trasporto aereo all’obiettivo di riduzione delle emissioni e la direttiva UE 2023/059, entrambe del 10 maggio 2023 che istituisce un sistema di scambio di quote di emissione del gas ad effetto serra. Con decreto legislativo 9 giugno 2020, n. 47, si era data attuazione alla direttiva UE 14 marzo 2018, n. 218/ 410; con il più recente decreto legislativo 10 settembre 2024 n. 147, sono state recepite le direttive del 2023.
Questo deve avvenire all’interno del cosiddetto Green Deal europeo. Esso consiste in un programma strategico risalente al 2019 che vuole avviare l’UE verso una ‘transizione verde’, con l’obiettivo finale di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. L’intero pacchetto di iniziative strategiche si fonda sulla constatazione che energia ambiente e clima costituiscono una triade inscindibile e quindi hanno bisogno di politiche regolatorie unitarie. Il cosiddetto Grean Deal europeo tende a fronteggiare i cambiamenti climatici, dove la strategia di crescita deve anzitutto proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi ambientali, senza rinunciare agli obiettivi di una società giusta e prospera, come richiede un’economia moderna. Si intende così promuovere una transizione ‘giusta ed inclusiva’ e indirizzare l’economia e la società su un percorso maggiormente sostenibile.
Nel 2021 la commissione europea ha adottato un programma organico di proposte normative (Fit for 55) per rendere più realistico il raggiungimento di obiettivi così ambiziosi, che egualmente mira alla “neutralità climatica” entro il 2055 (da qui la denominazione), prevedendo la riduzione a zero delle emissioni degli autoveicoli entro il 2035, dando così un impulso decisivo alla transizione da motorizzazioni fondate su motori a petrolio a quello fondato su motori elettrici.
Va infine ricordato che la strategia di cui si tratta si fonda su un profondo ripensamento delle politiche per l’approvvigionamento di energia, che deve essere ‘pulita’ in tutti i settori dell’economia.
In realtà la transizione energetica era stata già così delineata nel pacchetto “Unione dell’energia” del 2015. Sicché la regolazione futura dovrà riguardare: la sicurezza energetica, la piena integrazione del mercato europeo dell’energia, l’efficienza energetica, la decarbonizzazione dell’economia, la ricerca, la innovazione e la competitività[13].
5.3. L’art. 41 della Costituzione
Va da sé che l’intreccio indissolubile, rinvenibile nella indicata normativa, tra energia ambiente e clima consente di includere tra le cosiddette norme di sistema anche l’art. 41 della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022 n.1. Esso stabilisce che l’attività economica privata, pur rimanendo libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute all’ambiente alla sicurezza alla libertà e alla dignità umana. Inoltre la legge deve fissare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali. La medesima legge costituzionale ha aggiunto un ulteriore comma all’art. 9 della Costituzione, stabilendo che la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni e che la legge disciplina i modi e le forme di tutela degli animali. Inoltre la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione[14].
5.4. L’art. 117, comma 3 della Costituzione
Infine viene in rilievo l’art. 117, comma 3, della Costituzione, che, al pari di quella or ora vista circa i rapporti tra il Parlamento europeo e gli Stati membri, include tra le materie di legislazione concorrente, anche “la produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”. La norma è stata introdotta con la l. costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha posto fine alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di energia. Le Regioni esercitano la competenza nel rispetto dei principi fondamentali posti dalle leggi statali e dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo (art. 117, commi 3 e 1, della Costituzione), con il vincolo della libera circolazione delle persone e delle cose e con quello della tutela dell’unità economica (art. 120 della Costituzione). Un ulteriore limite è costituito dalla tutela della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
La modifica costituzionale ha comportato un incremento dell’intervento della Corte costituzionale nei rapporti Stato-Regioni, in particolare la Corte ha dovuto affermare, in materia di regime autorizzatorio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, la necessità che queste ultime debbono conformarsi ai principi fondamentali in materia poste dal legislatore statale (il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, in particolare) nonché delle Linee guida ministeriali, considerate come norme interposte, soprattutto perché sono state approvate anche in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni.
Dalle varie sentenze della Corte costituzionale si ricava che sicuramente le Regioni possono individuare aree e siti non idonei alle installazioni di impianti in particolare per la tutela di valori ambientali e paesaggistici. Tuttavia c’è bisogno di una istruttoria specifica che opera un bilanciamento in concreto dei vari interessi in gioco, incluso quello della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili[15].
Per quanto infine riguarda le funzioni amministrative, la c. d. legge Marzano contiene un lungo elenco di funzioni esercitate dallo Stato e consente alle Regioni di determinare con proprie leggi l’attribuzione dei compiti e delle funzioni amministrative residue, che possono essere assegnate anche in capo agli enti locali.
Certamente l’inserimento delle Regioni tra i protagonisti pubblici è giudicata da più parti insoddisfacente, nonostante l’esito negativo della consultazione referendaria del 2016, e da più parti si reclamano modifiche volte a riportare allo Stato centrale la competenza esclusiva in materia.
6. I soggetti del mercato dell’energia
Sempre al solo al fine di rendere meno incompleto il presente contributo e prima di passare al tentativo di riportare a sistema la materia dell’energia, bisogna ricordare quali sono i soggetti operanti nel mercato regolato dell’energia e quali sono gli strumenti adottati dal legislatore per governarlo.
Conviene cominciare la breve rassegna indicando alcune società pubbliche che sono titolari di funzioni pubblicistiche in materia di energia elettrica e di gas, essendo queste le vere protagoniste del mercato in esame (decreto legislativo n. 79 del 1999).
In primo luogo va ricordato il Gestore dei servizi energetici S.p.A. (GSE), che ha come compito la promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili anche attraverso l’erogazione di incentivi economici. Si tratta di una società per azioni, interamente controllata dal Ministero dell’economia, con connotazioni pubblicistiche. Essa opera sulla base di indirizzi strategici e operativi definiti dal Ministero, unitamente con il Ministero della transizione ecologica. Esso, in base all’indicato decreto legislativo, originariamente aveva come compito primario la gestione delle attività di trasmissione e di dispacciamento dell’energia elettrica nella rete di trasmissione nazionale, la cui proprietà era in capo a Terna S.p.A., società controllata dall’Enel S.p.A.
Nel 2005, a seguito del recepimento della Direttiva 15 luglio 2003, n. 2003/ 54/CE, che introdusse l’obbligo della separazione societaria del gestore della rete di distribuzione, fu disposta l’unificazione della proprietà e della gestione della rete di trasmissione in capo a Terna S.p.A., affidando a GSE il compito principale di incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Questa ha come compito in particolare di ritirare e collocare sul mercato dell’energia prodotta da impianti da fonti rinnovabili e assimilate. Inoltre ha il compito di erogare incentivi alla produzione di elettricità da tali fonti e l’emissione dei cosiddetti certificati verdi. Essa è titolare di veri e propri poteri pubblicisti, come quello di ripristinare lo status quo ante e irrogare sanzioni pecuniarie allo scopo di garantire il rispetto delle norme da parte degli operatori in materia di fonti energetiche rinnovabili.
Va ricordato che la società in esame è titolare della partecipazione di altre società a controllo pubblico, in particolare dell’Acquirente unico S.p.A. (AU) e del Gestore dei mercati energetici S.p.A. (GME). Il primo è particolarmente importante, in quanto ha come compito principale quello di garantire la fornitura di energia elettrica alle famiglie (soprattutto i c.d. soggetti vulnerabili) e alle piccole imprese, a condizioni di economicità, continuità, sicurezza ed efficienza del servizio. Il secondo gestisce una piattaforma informatica per le transazioni che possono avvenire in due aree: il mercato a termine e il mercato a pronti, ossia la borsa elettrica, dato che il prezzo si forma sulla base di domanda e offerta complessiva.
La società GME gestisce anche il mercato del gas naturale e organizza la piattaforma di assegnazione della capacità di rigassificazione, nonché la piattaforma di rilevazione della capacità di stoccaggio e di transito di oli minerali.
Va infine richiamata la Cassa per i servizi energetici ambientali (CSEA), operante nei settori elettrico gas ed idrico. Si tratta di un vero e proprio ente pubblico economico sottoposto alla vigilanza di ARERA e del Ministero dell’economia e delle finanze.
Ciascuno di questi soggetti meriterebbe ben altra attenzione, che qui non è possibile assicurare.
Nel corso del presente lavoro si è già incontrata l’autorità amministrativa indipendente preposta al settore dell’energia e ora anche dei rifiuti (ARERA), che, unitamente al Ministero della transizione ecologica (MITE), cui sono state trasferite gran parte delle funzioni esercitate dal Ministero dello sviluppo economico in materia di politica energetica, sono i principali soggetti regolatori nazionali. Per quanto riguarda la regolazione europea si è già vista la funzione esercitata da ACER e dalla Commissione Europea.
L’ARERA, sul piano della struttura, presenta tutte le caratteristiche delle autorità amministrative indipendenti, in primo luogo quella di operare in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione. Qui si vogliono richiamare solamente alcune peculiarità, che sono sostanzialmente due: il rapporto con le funzioni di indirizzo nel settore energetico spettanti al Governo; il fondamento del potere regolamentare e il potere di garantirne l’osservanza, attraverso il riconoscimento di poteri, spesso impliciti, in capo all’autorità stessa.
Sul primo è possibile solamente ricordare che al Governo spettano funzioni di indirizzo particolarmente precise, in quanto, in base alla cosiddetta legge Marzano già ricordata, esso deve formulare indirizzi di politica generale del settore per l’esercizio delle funzioni attribuite all’autorità per l’energia elettrica e il gas e quest’ultima deve illustrare nella propria relazione annuale le iniziative assunte nel quadro delle esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità e in conformità agli indirizzi di politica generale del settore. Quindi la relazione annuale, che per le altre autorità indipendenti generalmente si risolve in un rito praticamente asfittico, nel settore dell’energia ha una rilevanza importantissima per la politica economica del Paese.
Quanto al fondamento del potere regolatorio, va ricordato che il problema si era posto per tutte le autorità amministrative indipendenti (ossia se in assenza di una legge queste potessero emanare regolamenti indipendenti), ma nel caso di ARERA assume contorni particolari, poiché le sue determinazioni, che sono appunto atti di regolazione, consistono nello stabilire le “regole del gioco” nel funzionamento concreto del settore energetico. Si tratta di regole perlopiù tecniche e di comandi nei confronti degli attori attivi del mercato, mentre invece nell’attività regolamentare propria dell’attività amministrativa tradizionale si tratta pur sempre di un’opera di bilanciamento tra l’interesse pubblico e gli altri interessi secondari, composti attraverso la norma[16].
Le “regole del gioco” hanno un intrinseco valore normativo, che solo la legge può autorizzare, soprattutto se a crearle è un organismo che sfugge al circuito democratico. Tuttavia la giurisprudenza amministrativa (in particolare quella del Tar di Milano e del Consiglio di Stato) ha ritenuto che, pur essendo innegabile che l’autorità amministrativa indipendente in esame spesso nell’esercizio della regolazione introduce misure e strumenti non espressamente previsti dalla legge e non compatibili con il principio di legalità (nelle sue due declinazioni di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi) , ha aderito alla tesi secondo cui la particolare tecnicità della materia rende impossibile al legislatore determinare ex ante e tassativamente tutti gli strumenti e le misure che le autorità devono adottare per perseguire gli obiettivi posti.
Pertanto il giudice amministrativo ha effettuato una riflessione sulla tradizionale concezione del principio di legalità inteso in senso formale. Ha ritenuto che il modello di democrazia rappresentativa non è l’unico modello di legittimazione democratica, poiché accanto ad esso esiste anche un modello di democrazia deliberativa, secondo cui la legittimazione all’esercizio dell’autorità non discende dalla rappresentanza politica, ma si realizza attraverso la partecipazione degli interessati al processo decisionale. Da qui la necessità che il procedimento che porta alla creazione della ‘regola del gioco’ deve essere caratterizzato da un’ampia partecipazione delle imprese destinatarie della regola stessa e che deve essere ampiamente motivata, in deroga alla regola generale del procedimento amministrativo secondo cui gli atti generali non vanno motivati.
Quanto ai cosiddetti poteri impliciti va premesso che l’attività di regolazione si sostanzia più nella scelta e nella creazione delle regole che nella loro applicazione.
Tuttavia tra i compiti dell’autorità in esame rientra anche quella di assicurarsi l’esecuzione esatta della regolamentazione posta; il che postula l’esistenza di poteri idonei a garantirne l’osservanza. Anche in questo caso vi è l’assenza della legge nel predisporre misure e sanzioni, che possono essere poste solo da essa. Da qui la necessità di afferma l’assunto in base al quale se vi è il potere di esercitare la regolazione vi deve essere necessariamente anche quello di garantirne l’osservanza (c.d. teoria dei poteri impliciti)[17].
7. Gli strumenti integrati di tipo amministrativo e di tipo civilistico
Passando agli strumenti utilizzati nei complessi rapporti giuridici che si realizzano all’interno del pianeta-energia, si inizia la breve rassegna, prendendo in prestito da uno studio recente[18] la distinzione tra strumenti di tipo amministrativo e strumenti civilistici, e più precisamente di mercato.
Nei primi, denominati anche di command and control, rientrano gli atti di pianificazione, i regimi tariffari, le normative tecniche, gli atti autorizzativi, le attestazioni e certificazioni, iscrizione ad elenchi e registri, l’attribuzione di incentivi e sovvenzioni, i regimi impositivi, gli obblighi informativi, le sanzioni amministrative. I secondi invece si sostanziano nella predisposizione di regole incidenti sulle dinamiche di mercato (domanda ed offerta), ora operando in modo per così dire “naturale” ora istituendo veri e propri “mercati artificiali”.
Dei primi non si possono non ricordare i Piani nazionali integrati per l’energia e il clima (PNIEC), disciplinati dal Regolamento UE 11 dicembre 2018, n. 218/1999. La disciplina prende in considerazione le sinergie e le interazioni tra i vari settori di intervento e stabilisce che la predisposizione e l’approvazione dei piani debba avvenire in modo concertato e partecipato, sia a livello europeo sia a livello nazionale. La Commissione europea ha espresso una valutazione positiva sul PNIEC italiano il 17 settembre 2020. Il piano concorre con un altro atto di programmazione di derivazione europea, ossia il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), pure approvato dall’unione europea il 13 luglio 2021, che contiene un’intera sezione dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica all’interno della quale figurano due sottosezioni: l’energia rinnovabile e l’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici. Per il raggiungimento degli obiettivi indicati nelle due sottosezioni sono stati stanziati cospicui finanziamenti.
Anche per il settore degli idrocarburi è stato previsto uno strumento di pianificazione generale delle attività minerarie all’interno del territorio nazionale per individuare le aree dove è possibile svolgere in modo sostenibile le attività di ricerca e coltivazione (legge 11 febbraio 2019 n. 12).
Il potere tariffario è attribuito all’ARERA e serve a disciplinare i rapporti contrattuali relativo alle varie attività che sono gestiti in regime di esclusiva e altri casi in cui il potere di mercato di un soggetto altera le dinamiche della formazione dei prezzi.
I poteri di regolazione relativi all’accesso alle infrastrutture, l’art. 10, comma 2, del decreto legislativo n. 79 del 1999 garantisce condizioni di parità tra i soggetti interessati e in particolare in materia di importazioni di energia elettrica e di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri, attribuendo in capo al Ministero delle attività produttive, con il parere del ARERA, il compito di individuare modalità e condizioni delle importazioni nel caso risultino insufficienti le capacità di trasporto disponibili, tenuto conto di un’equa ripartizione complessiva tra mercato vincolato al mercato libero. Analogamente in materia di accesso alle infrastrutture del sistema del gas vengono attribuiti al medesimo ministero poteri di definizione dei principi e delle modalità per il rilascio delle esenzioni e per l’accesso alla rete nazionale dei gasdotti italiani.
Per quanto riguarda le concessioni qui si possono ricordare che esse, in quanto collegate a elementi di monopolio naturale (in particolare le reti) o a risorse scarse, devono essere rilasciate sulla base di procedure competitive.
Per le autorizzazioni amministrative è possibile solo ricordare l’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, che viene qualificata come attività libera (art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e art. 1 del decreto legislativo n. 79 del 1999)
Nel settore del gas è sottoposta a un regime di autorizzazione l’importazione di gas naturale con contratti di durata superiore ad un anno effettuata attraverso la rete nazionale di gasdotti. Essa è rilasciata sempre dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di criteri non discriminatori.
Gli idrocarburi sono qualificati come minerali di interesse nazionale e pertanto rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato (art. 826 c. c.). Pertanto sono necessarie autorizzazioni e concessioni, non essendo un’attività libera.
Infine tra le concessioni vanno richiamate quelle relative alle derivazioni per usi idroelettrici che hanno ad oggetto un bene demaniale, ossia l’acqua (822). Esse si distinguono in concessioni di grandi e piccole derivazioni.
Sulle sanzioni vale quanto già detto, ossia che sono strumenti volti a dare effettività alla regolamentazione di settore, incluse le delibere adottate dall’ARERA. Esse costituiscono un tassello essenziale del disegno complessivo.
Per quanto riguarda gli strumenti di mercato in questa sede si possono ricordare solamente i cosiddetti mercati artificiali. Essi sono possibili solamente per effetto dell’imposizione di legge di certi tipi di obblighi a carico di imprese già operanti, ma anche creando i presupposti affinché un mercato possa sorgere e svilupparsi. Il fondamento di tali mercati si fonda su obblighi giuridici imposti ad alcune tipologie di operatori. Essi hanno per oggetto i certificati bianchi, rappresentativi di titoli di efficienza energetica, i certificati verdi relativi a quantitativi di energia prodotta da fonti rinnovabili e i certificati neri, rappresentativi di quote di emissione in atmosfera di gas ad effetto serra (cosiddetti diritti di inquinamento). Essi sono emessi trasferiti e annullati dal gestore dei mercati energetici (GME), nella misura corrispondente ai risparmi energetici certificati dal GSE.
In questa materia le controversie sono molto numerose e vengono risolte attraverso procedure di conciliazione e di arbitrato innanzi all’ARERA e poi innanzi al giudice amministrativo. Le liti più importanti vengono definite secondo i noti meccanismi giustiziali ed eventualmente giurisdizionali propri delle autorità amministrative indipendenti, il cui tratto caratterizzante è dato proprio dalla indefettibile presenza presso di esse di procedimenti sanzionatori esecutivi e sanzionatori puri, la cui decisine è sindacabile innanzi al giudice amministrativo (sindacato forte e non debole, come si era ritenuto in passato).
È utile ricordare che spesso le controversie hanno riguardato atti dell’autority che avevano invaso la competenza riservata alle regioni o altri organismi espressione del potere governativo (c. d. politico) del settore.
8. La formula organizzatoria dell’energia come ordinamento sezionale. Gli atti interni dell’ordinamento sezionale e la loro sindacabilità. I principi e le regole del diritto dell’energia tra diritto privato e diritto amministrativo. La necessità di un codice dell’energia
Dall’esposizione svolta è possibile osservare che il diritto dell’energia presenta contorni precisi e originali, che cospirano nel senso di poterlo riguardare come una branca scientifica autonoma.
In realtà l’ordinamento dell’energia si presenta come un ordinamento sezionale (o settoriale), che è una realtà giuridica del nostro tempo, soprattutto a seguito delle privatizzazioni dei grandi monopoli facenti capo agli enti pubblici economici[19]. Paradossalmente alla privatizzazione è seguita una copiosa regolamentazione, costituita da norme ‘interne’ al mercato di riferimento.
Si tratta di una formula organizzatoria, che ha trovato la sua compiutezza più nota nell’organizzazione del credito e nei regolamenti dell’organizzazione dei corpi militari. Gli ordinamenti sezionali hanno tutti una base economica ben identificabile e si profila quando l’attività economica presenta aspetti di pubblica utilità, per cui non può essere lasciata al mercato libero. La formula organizzatoria in esame è perfettamente compatibile con il principio di cui all’art. 41 della Costituzione, che consente il controllo pubblico di imprese private in presenza di un interesse pubblico.
Tali ordinamenti sono costituiti da imprenditori che per svolgere una certa attività hanno bisogno di un provvedimento amministrativo iniziale che le norme configurano ora come autorizzazione ora come concessione. Il provvedimento consente l’immissione nell’ordinamento degli imprenditori, la cui organizzazione è costituita da organi dello Stato o da un apposito ente, e hanno poteri normativi interni, poteri di direzione e di ordine nonché poteri di controllo, preventivi o repressivi.
Gli imprenditori del settore energetico naturalmente sono diversi dalle imprese che utilizzano energia per produrre altro. A tal proposito si distinguono i grandi consumatori di energia (c.d. idonei), da quelli medi e piccoli, incluse le fasce meno abbienti, che non possono essere escluse dalla fornitura di energie indispensabili (c.d. servizio universale).
La caratteristica fondamentale degli ordinamenti sezionali è data dal fatto che il controllo pubblico non è episodico ma programmatico e generale (ossia non individualizzato in una singola impresa).
É importante ricordare che gli organi che reggono l’ordinamento sezionale sono sempre qualificabili nell’ordinamento generale statale come provvedimenti amministrativi e che quindi essi soggiacciono alle misure di tutela date contro i provvedimenti invalidi.
Il problema più delicato, che attende una messa a punto, riguarda la qualificazione e il rapporto delle norme interne dell’ordinamento sezionale con quelle dell’ordinamento generale.
Infatti, se si segue il principio formale per cui gli atti normativi efficaci nell’ordinamento generale sono quelli espressamente previsti dalle norme sulla normazione dell’ordinamento statale, le norme dell’ordinamento sezionale sono sempre e comunque norme interne contenute in atti amministrativi interni. Va da sé che soprattutto nella materia energetica la continua produzione di norme contenute in atti generali genera non pochi problemi, in particolare per i giudici amministrativi, che comunque, e per fortuna, ritengono che la loro violazione costituisca un atto viziato da illegittimità, tralasciando tutto quanto ruota intorno alle conseguenze, talvolta impeditive, legate alla qualificazione di norma interna, che non sempre produce effetti nell’ordinamento generale. Per le norme interne si esclude la possibilità di ricorrere per Cassazione a seguito della loro violazione.
Se questi sono i caratteri propri dell’istituto dell’ordinamento sezionale, va da sé, per quanto esposto nei paragrafi precedenti, che l’organizzazione del mercato dell’energia vi rientra perfettamente.
Infatti: esiste una vera e propria governance in capo ai poteri pubblici; la particolarità del bene energia e la indefettibile presenza della rete in cui l’energia si innerva conformano schemi particolari dell’attività imprenditoriale; l’immissione nell’ordinamento avviene attraverso gli strumenti, sopra ricordati, delle concessioni e delle autorizzazioni; il controllo è di tipo programmatico e generale, e a questi fini è irrilevante che esso venga svolto anche con il coinvolgimento di autorità europee.
Con il presente studio si è voluto semplicemente dimostrare che la classificazione dell’energia tra gli esempi più vistosi di ordinamento sezionale già di per sé fa del diritto che lo governa una scienza autonoma, che prende in prestito strumenti del diritto privato e del diritto amministrativo. Tuttavia non bisogna trascurare il fatto che essa si fonda sulla specificità dei beni che stanno alla base della particolare disciplina, ossia il bene energia e il bene rete.
Prima di concludere la nostra disamina occorre riprendere quanto si osservava nel paragrafo iniziale a proposito del diritto della navigazione e degli altri diritti autonomi.
L’ordinamento sezionale dell’energia non ha niente a che vedere con il ‘particolarismo’ propugnato agli inizi del secolo scorso dalla dottrina francese, ossia esso non è separato dagli ordinamenti generali del diritto privato e del diritto amministrativo. Anzi esso utilizza indifferentemente lo strumentario dell’uno e dell’altro, a seconda della convenienza e della necessità giuridica. Quindi non ha molto senso collocarlo nell’una o nell’altra grande disciplina, in quanto entrambe lo alimentano. Anzi il diritto dell’energia costituisce l’ulteriore riprova che bisogna finalmente abbandonare la visione dicotomica e approdare ad una concezione integrata dei due sistemi giuridici[20].
Quanto al tema se dall’ordinamento particolare è possibile espungere principi e regole particolari, è sufficiente ricordare che vi sono stati dei tentativi in tal senso nella dottrina più recente[21]. Essi sono stati individuati nel principio della giustizia energetica, ossia un sistema globale di regole e principi in grado di distribuire equamente sia i benefici sia i costi dei servizi energetici con l’adozione di decisioni più rappresentative e imparziali possibili; il principio della sovranità sulle risorse energetiche; l’accesso ai servizi; l’uso prudenziale e sostenibile delle risorse naturali; la salvaguardia dell’ambiente e della salute umana; il combattimento del cambiamento climatico; la sicurezza energetica e l’affidabilità; il principio della resilienza, ossia un equilibrio non statico ma di adattamento continuo che ha origine dall’estrema variabilità e interconnessione degli ecosistemi naturali.
Tutti questi principi sono coerenti con il sistema delineato e possono essere accettati, anche se essi attendono di essere adeguatamente giustificati dall’analisi delle singole norme disseminate negli ordinamenti giuridici multilivello in materia, onde evitare che si traducano in opzioni filosofiche, morali o politiche.
Certamente l’assenza di un codice o di un testo unico che raggruppi e razionalizzi, alla luce di precisi principi generali, le tante norme in materia non facilita il compito.
*Il saggio è destinato alla pubblicazione sul primo numero della rivista di prossima uscita, Rivista dell’Ambiente e dell’Energia, edita dalla Jovene di Napoli. Qui, per gentile concessione della direzione, se ne anticipa la pubblicazione.
[1] Sul tema si veda da ultimo il bel volumetto coordinato da L. Martiniello, B. Giliberti e A. Presciutti (a cura di), Parteniariato pubblico privato e comunità energetiche a trazione pubblica, FrancoAngeli, Milano, 2025; in particolare S. Di Cunzolo e B. Ciliberti, CER a partecipazione pubblica: tematiche e modelli, ivi, p. 75 e ss. Più in generale, A. Brandonisio, Diritto e cambiamento climatico, in Cultura e diritti, v. 13, n.1, 2024, pp. 11-44.
[2] G.P. Cirillo, La pubblica amministrazione e le società intermedie, in federalismi.it, n. 20, 2017, p. 3 e ss.
[3] N. Irti, L’età della decodificazione, Giuffrè, Milano, 1979; S. Rodotà, Ideologia e tecniche della riforma del diritto civile, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, I, 1967, 1967, p. 83 e ss.
[4] Per tutti, A. Lefevre D’Ovidio e G.Pescatore, Manuale di diritto della navigazione, Giuffrè, Milano, 1969, p. 5. J. Bonnecase, Le droit commercial maritime, son particolarisme, 1932, p. 8 e ss.
[5] P. Rescigno, Manuale di diritto privato, Wolters Kluwer, Alphen aan den Rijn, 2000, edizione a cura di G.P. Cirillo, p. 685 e ss.; E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Edizione Ricerche, ristampa corretta, 1972, p. 511 e ss.
[6] M.S. Giannini, Diritto dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1971, p. 1125.
[7] G.P. Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, Wolters Kluwer, CEDAM, Alphen aan den Rijn, Padova, 2a ed., 2021, p. 373 e ss.
[8] G. Gentile, Lezioni di diritto dell’energia, Giuffrè, Milano, 1989, p. 6 e ss.
[9] C. San Mauro (a cura di), Manuale di diritto delle reti nei mercati regolati, Giappichelli, Torino, 2024.
[10] V. Smil, Storia dell’energia, il Mulino, Bologna, 1994, p. 22 s. A. Clò, S. Clò e F. Boffa, Riforme elettriche tra efficienza ed equità, il Mulino, Bologna, 2014. Sul servizio pubblico in generale e gli obblighi che da esso derivano, L. De Lucia, La regolazione amministrativa dei servizi pubblici, Giappichelli, Torino, 2002, p. 165 e ss.; P. Ranci, L’energia elettrica e il gas, in G. Tesauro e M. D’Alberti (a cura di), Regolazione e concorrenza, il Mulino, Bologna, 2000, p. 133 s.
[11] Sui riflessi economici dell’art. 43 della Costituzione, G. Guarino, L’elettricità e lo Stato, in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Giuffrè, Milano, 1970, p. 482 e ss. A. Predieri, voce ‘Collettivizzazione’, in Enciclopedia del Diritto, VII, 1960, Par. 12, p. 418 e ss.
[12] Sulla vicenda si veda C. Cost., 7 marzo 1964, n. 14, che ha dichiarato legittima l’operazione del legislatore. Si veda anche A. Zito, La legge istitutiva dell’Enel nella sentenza della corte costituzionale n. 14 del 1964: considerazioni inattuali sulla sua attualità, in R. Di Raimo e V. Ricciuto (a cura di), Impresa pubblica e intervento dello Stato sull’economia. Il contributo della giurisprudenza costituzionale, ESI, Napoli, 2007, p. 60 e ss.; G D’Orta, La programmazione energetica, in S. Cassese (a cura di), Governo dell’energia, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 1992, p. 119 e ss.
[13] Per una completa rassegna sull’influsso del diritto europeo, si veda l’ottima voce di M. Clarich, voce ‘Energia’, in Enciclopedia del Diritto, estratto I Tematici, III-2022, ‘Funzioni amministrative’, diretto da B. Mattarella e M. Ramajoli, Giuffrè, Milano, 2002, p. 448 e ss., con le note ivi contenute.
[14] Sull’art. 41 naturalmente la letteratura è molto vasta. Sulla legge di riforma costituzionale, si vedano: T.E. Frosini, La Costituzione in senso ambientale. Una critica, in federalismi.it, 6/2021; G. Santini, Costituzione e ambiente: la riforma degli articoli 9 e 41 Cost., in Forum di quaderni costituzionali, 2/2021, p. 480; G. Severini, P. Carpentieri, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’art. 9 della Costituzione, 22.9.2021, disponibile al link https://www.giustiziainsieme.it/; R. Montaldo, La tutela costituzionale dell’ambiente nella modifica degli articoli 9 e 41 Cost.: una riforma opportuna e necessaria, in federalismi.it, n. 13, 2022, p. 149 e ss.
[15] Sentenze n. 308 del 2011, n. 99 del 2012, n. 2224 del 2012, n. 13 del 2014, n.69 del 2018, n.106 del 2020. Ma si veda anche Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2021, n. 2848.
[16] Per un’approfondita rassegna, si veda ancora: M. Clarich, voce ‘Energia’, cit., pp. 458-465.
[17] Sul tema si veda. F. Cintioli, I servizi di interesse economico generale ed i rapporti tra antitrust e regolazione, in C. Rabitti Bedogni e P. Barucci (a cura di), 20 anni di antitrust, tomo II, Giappichelli, Torino, 2012, p. 781. Più di recente, G.P. Cirillo, I limiti del potere regolatorio di ARERA, in www.giustizia-amministrativa.it, voce Dottrina, 2025.
[18] Ancora il più volte citato M. Clarich, voce ‘Energia’, cit., pp. 465-475.
[19] Per tutti, M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, Giuffrè, Milano, 1993, p. 171 (vol I) e p. 453 (vol II).
[20] Sul punto si rinvia al citato G.P. Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, in particolare pp. 1-25.
[21] Tra i primi a ipotizzare una trama di principi: R.J. Heffron, L’energia attraverso il diritto, a cura di L.M. Pepe, Editoriale scientifica, Napoli, 2021, p. 224; L.M. Pepe, Il diritto dell’energia fondato su principi. La transizione ecologica come giustizia energetica, in www.ambientediritto.it, n. 4, 2021, p. 25.