ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Pubblichiamo un contributo dagli Atti del Convegno La magistratura e l’indipendenza. Dedicato a Giacomo Matteotti promosso da Questa Rivista che si è tenuto a Roma il 12 aprile 2024. Il fascicolo è a cura di Sibilla Ottoni, Michela Petrini, Marco Dell'Utri e Angelo Costanzo e si può leggere e scaricare a questo link.
Indipendenza della magistratura e regressione democratica nel contesto europeo
di Simone Pitto
Sommario: 1. Il caso polacco – 2. La risposta delle istituzioni sovranazionali ed internazionali – 3. Problematiche irrisolte e prospettive future.
1. Il caso polacco
La riflessione[1] muove da una questione che mi sembra centrale in questa giornata di studi: come siamo arrivati, nel cuore dell'Europa, culla della democrazia, a una regressione democratica come quella riscontrata in Polonia e in Ungheria, con rapporti della Commissione di Venezia che testimoniano gravi mancanze nelle più basilari garanzie dello stato di diritto e in materia di indipendenza e autonomia della magistratura?
L'esempio polacco ci offre alcune lezioni, anche nell'ottica dell'interpretazione dei segnali di un attacco alle garanzie dello stato di diritto, già evocati nei precedenti interventi. Caratteristica peculiare della regressione democratica attuata in Polonia, infatti, è quella di essere avvenuta a Costituzione invariata. Ciò è stato possibile grazie alla “cattura” – per usare un'espressione invalsa nella dottrina italiana – o “court-packing”, per usare invece l’espressione in uso nel diritto anglosassone, di organi di garanzia di rilievo per il sistema costituzionale, attraverso molteplici interventi successivi del legislatore ordinario.
Anche per questa ragione, nel caso della Polonia è quanto mai opportuno, come accennato dal professor Benvenuti, adottare un approccio non formalista ma attento alle dinamiche della costituzione materiale e all'interazione tra poteri.
Occorre però fare un passo indietro. Per capire come si è arrivati a questa situazione, è necessario tornare al 2015. Alle elezioni di quell’anno per il rinnovo del Parlamento bicamerale polacco, emerse un risultato egemonico in favore del partito ultraconservatore, nazionalista ed euroscettico Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS).
Il PiS ha sin da subito avviato un percorso di riforma massiccio di tutto il sistema giudiziario. Il primo organo di garanzia ad essere insidiato è il Tribunale Costituzionale polacco che, già dalla fine del 2015, viene interessato da misure volte a paralizzare la sua funzione antimaggioritaria. È stata ad esempio modificata la disciplina delle maggioranze necessarie per le declaratorie di incostituzionalità innalzando il relativo quorum, con ciò limitando l’effettiva possibilità del Tribunale Costituzionale di esercitare il sindacato di costituzionalità. Questa tecnica ricorda quanto avvenuto in Israele, con il tentativo di limitare il controllo dei tribunali costituzionali sull'azione del legislatore, come esposto dal Prof. Pierdominici.
Altri organi del sistema giudiziario polacco sono stati bersaglio dei tentativi del PiS di “riorganizzare” l'assetto della magistratura. La Corte Suprema è stata ad esempio interessata da un massiccio pensionamento anticipato, conducendo secondo alcune stime a una sostituzione nell’ordine del 40% dei giudici della Corte. Questo meccanismo consentiva una richiesta di proroga da parte dei giudici interessati a restare nelle funzioni. Tuttavia, tale richiesta era soggetta al vaglio del Presidente della Repubblica Andrzej Duda (appartenente al PiS), il quale poteva accoglierla o rigettarla con giudizio discrezionale e senza possibilità di appello, permettendo così una selezione dei giudici più o meno invisi.
La magistratura dei gradi inferiori è stata parimenti interessata da pensionamenti anticipati, con un abbassamento ex lege dell'età di collocamento a riposo ed un meccanismo simile per la proroga nelle funzioni. Trattasi di interventi successivamente oggetto di censura da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ne ha sancito la contrarietà al diritto unionale.
Anche il procedimento disciplinare è stato oggetto di significative modifiche. Presso la Corte suprema è stata introdotta una nuova Camera disciplinare (Izba Dyscyplinarna), nonché una Camera per il controllo straordinario e degli affari pubblici, entrambe oggetto di rilievi critici da parte delle corti europee per la radicale assenza di garanzie di indipendenza dall’esecutivo.
Un altro episodio di cattura da menzionare riguarda l’organo di autogoverno, cioè il Consiglio Nazionale della Magistratura. I plurimi interventi di riforma della maggioranza guidata dal PiS hanno comportato la cessazione anticipata dei membri della precedente consiliatura ed una modifica alle modalità di elezione della componente togata, prima eletta da altri magistrati ed in seguito nominata dalla Sejm, la Camera bassa del Parlamento polacco. Ciò ha condotto a un sistema ove, tra nomine parlamentari e presidenziali, la maggioranza governativa espressione del PiS aveva di fatto la possibilità di incidere sulla nomina di circa l'80% dei componenti del Consiglio Nazionale della Magistratura, organismo con rilevanti competenze nel sistema giudiziario.
Per concludere, questo processo di regressione nelle garanzie del giudiziario avvenuto in Polonia desta particolare attenzione proprio perché intervenuto a costituzione invariata, grazie a interventi che hanno semplicemente svuotato di significato garanzie come la separazione dei poteri, rimasta lettera morta nella Costituzione polacca. Come sottolineava il professor Benvenuti, è opportuno interrogarsi sugli elementi che hanno reso possibile questo svuotamento della Costituzione, che, nel caso polacco, sembrano complesse ma possono individuarsi, tra l’altro, in un processo di transizione democratica forse non del tutto completato, nella presenza di riserve di legge molto ampie in Costituzione e nella forzatura dello spirito delle norme costituzionali.
2. La risposta delle istituzioni sovranazionali ed internazionali
Quanto alla reazione delle istituzioni internazionali e sovranazionali rispetto a questo scenario, mi sembra si possa affermare che l’integrazione eurounitaria nel caso della Polonia ha rappresentato un’ulteriore garanzia rispetto alla tutela delle prerogative di indipendenza della magistratura. La risposta delle istituzioni dell’Unione europea è stata diversificata, con strumenti più tradizionali come la procedura di infrazione ma anche con altre modalità.
Riguardo al primo aspetto, varie procedure di infrazione sono state aperte nei confronti di Polonia e Ungheria e sono sfociate in altrettante pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Sulla base dell'articolo 19 del Trattato sull'Unione Europea e dell'articolo 47 della Carta di Nizza, la Corte di Lussemburgo ha giudicato controversie aventi ad oggetto alcune delle misure di cui abbiamo parlato, ad esempio in materia di pensionamento anticipato e limitazioni delle prerogative dei magistrati, ritenendole contrarie al diritto dell'Unione e, segnatamente, al diritto ad un giudice imparziale e ad una tutela giudiziaria effettiva. La dott.ssa Filippi ha ricordato in apertura come questi valori trovino fondamento nell'articolo 2 del Trattato sull'Unione Europea, il quale stabilisce che lo stato di diritto costituisce un valore fondante dell'Unione.
La risposta giudiziaria e le pronunce della Corte di giustizia sono state, almeno nella prima fase, sostanzialmente ignorate dalle istituzioni polacche. Di contro, si sono registrati da parte della Polonia veri e propri “rigurgiti nazionalisti” da parte di organi giudiziari polacchi, fondati su una presunta identità costituzionale nazionale da proteggere. Il riferimento è, in particolare, alla decisione del Tribunale costituzionale polacco K-3/21, che ha sostanzialmente propugnato un’inversione del principio del primato del diritto dell'Unione Europea, affermando la prevalenza della Costituzione polacca sul diritto eurounitario.
A fronte di queste resistenze e delle limitate misure che le autorità polacche hanno adottato in risposta alle pronunce della Corte di Lussemburgo, l'Unione Europea ha adottato ulteriori contromisure di carattere politico, alcune delle quali senza precedenti. È il caso, in particolare, dell'attivazione dell’articolo 7(1) TUE. Quest’ultimo consente, attraverso una deliberazione a maggioranza del Consiglio, di riscontrare un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori fondanti dell'Unione di cui all’art. 2 TUE, tra i quali rientra lo stato di diritto e, dunque, l'indipendenza della magistratura. Tale procedura può anche comportare l'adozione di raccomandazioni formali rivolte allo Stato membro affinché ponga rimedio ai suddetti rischi.
Non è stata invece esperita l’ulteriore opzione dell'attivazione del meccanismo previsto dai successivi commi dell'articolo 7 TUE, il quale consente di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro dall’applicazione dei trattati ma richiede l'unanimità del Consiglio europeo. Rispetto a tale possibilità, infatti, si è registrato un asse di veti reciproci tra la Polonia e l'Ungheria di Orban che ne ha di fatto reso impraticabile l’utilizzo. Siamo rimasti, quindi, nell’ambito della procedura prevista dall'articolo 7 comma 1, la quale, tuttavia, non era mai stata attivata in passato.
Oltre alla risposta attuata sulla base dei trattati, un altro importante strumento da menzionare è il regolamento 2020/2092 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020 sulla condizionalità al bilancio europeo, ricordato in apertura dalla dott.ssa Filippi. Il regolamento condiziona l'erogazione di fondi europei al rispetto dei valori fondanti dell’Unione, tra i quali lo Stato di diritto e, quindi, l'indipendenza della magistratura. Di fronte a riconosciute violazioni della rule of law, la Commissione ha di fatto congelato ingenti fondi del Next Generation EU e del fondo di coesione destinati alla Polonia.
Un'altra risposta di rilievo in ambito eurounitario è stata data dall'ENCJ, la Rete europea che riunisce i Consigli di giustizia degli Stati membri dell'Unione. Tale organo ha tempestivamente escluso il Consiglio Nazionale della Magistratura polacco dalla rete dei Consigli europei, ritenendolo non indipendente dal potere esecutivo a seguito delle riforme portate avanti dal governo guidato dal PiS. Si è quindi potuto assistere ad una ferma reazione in sede sovranazionale anche da parte degli organi di rappresentanza e autogoverno della magistratura europea.
Vale la pena ricordare anche la risposta di altri organi internazionali. La Commissione di Venezia ha espresso rilievi critici in molteplici pareri sulle modifiche legislative polacche, esprimendo preoccupazioni e raccomandazioni specifiche rivolte alla Polonia. Interessante da questo punto di vista, come ricordava la dott.ssa Filippi, è anche la checklist elaborata dalla Commissione di Venezia per riscontrare fattispecie sintomatiche della violazione dello stato di diritto. Si tratta di un ausilio interpretativo molto importante, specie nell’ottica di individuare tempestivamente i segnali propedeutici ad una regressione democratica.
Il GRECO (Gruppo di Stati contro la corruzione), un altro primario organismo del Consiglio d'Europa che si occupa di anticorruzione, ha espresso ulteriori rilievi critici con riguardo alle riforme polacche.
Restando sul piano internazionale, va richiamata inoltre l’ampia giurisprudenza sul punto sviluppata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. La Corte di Strasburgo ha avuto modo di giudicare alcune controversie aventi ad oggetto fattispecie di lesione dell’indipendenza della magistratura in Polonia, specialmente con riguardo all’articolo 6, comma 1, della CEDU, relativo al diritto a un tribunale indipendente e imparziale (ma non solo).
È interessante notare l’ideale dialogo instaurato sul punto con la Corte di Giustizia dell'Unione Europea. In una importante decisione del novembre 2023 nel caso Walesa c. Polonia (ricorso n. 50849/21), la Corte di Strasburgo ha richiamato integralmente le conclusioni della giurisprudenza della Corte di giustizia sull’assenza delle più basilari garanzie di indipendenza della Camera per il controllo straordinario e gli affari pubblici, ricordando altresì che l'indipendenza della magistratura è un prerequisito e una garanzia fondamentale dello Stato di diritto.
3. Problematiche irrisolte e prospettive future
Mi avvio alla conclusione con un paio di notazioni finali collegate a quest’ultimo tema e ad altri evocati durante il dibattito di questo panel.
In primo luogo, può valere la pena interrogarsi anche sulle ragioni di questi attacchi ripetuti e sempre più frequenti alla magistratura. In Polonia e Ungheria questi fanno apparentemente parte di una sorta di strategia politica per perpetrare un disegno di mutamento dell'ordinamento in senso illiberale. Spesso si tratta di un disegno palesato espressamente come nel caso del primo ministro ungherese Victor Orban il quale, in un discorso del 2014, affermava direttamente di voler costruire uno stato democratico non liberale.
La magistratura rappresenta un bersaglio naturale per i regimi illiberali, specie a fronte del crescente ruolo odierno svolto dal giudice. Un ruolo che emerge specialmente con riguardo alla tutela dei c.d. “nuovi diritti” e alle tematiche di frontiera del diritto che, peraltro, si è ulteriormente accentuato grazie all'integrazione sovranazionale e alla possibilità di disapplicare il diritto nazionale contrario al diritto dell'Unione.
Vediamo che, se in passato le associazioni per la promozione dei diritti collocavano le proprie manifestazioni sotto i palazzi delle assemblee legislative, sempre più spesso oggi le stesse manifestazioni avvengono di fronte ai palazzi ove hanno sede i tribunali costituzionali e le alte corti. La magistratura ha inoltre un fondamentale ruolo di garanzia dei diritti delle minoranze e delle istanze contro-maggioritarie e ciò contribuisce a renderla invisa al disegno di regressione democratica di un regime illiberale.
Non si tratta peraltro di una tendenza nuova: basti pensare al celebre passo in cui, già nell’Enrico VI, parte II di Shakespeare, il villain Dick il Macellaio afferma “The first thing we do, let's kill all the lawyers”, con ciò alludendo – più che ai soli avvocati – ai giuristi in generale come denota il significato letterale di lawyers e, quindi, anche ai giudici. Come riconosciuto dal giudice Stevens della Corte Suprema americana negli anni Ottanta, con tale passaggio, Shakespeare ha perspicacemente chiarito che attaccare i giuristi costituisce la strada maestra verso il totalitarismo (Cfr. Walters v. Nat'l Ass'n of Radiation Survivors, 473 U.S. 305, 371 n. 24 (1985), Stevens, J., opinione dissenziente).
Concludo però con una nota positiva rispetto all’azione degli anticorpi esterni e interni di cui abbiamo parlato. In Polonia questi anticorpi interni hanno operato in modo non trascurabile. C'è stata una opposizione parlamentare, seppur ridotta; ci sono state manifestazioni del giudiziario, come la marcia dei giudici di Varsavia nel 2020 e interventi di associazioni senza scopo di lucro. Dal punto di vista esterno, il congelamento dei fondi dell'Unione Europea ha comportato una forte pressione politica dell’opinione pubblica sul governo guidato dal PiS.
Si tratta di fattori che, se non decisivi, hanno indubbiamente contributo anche all’esito delle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento polacco dell’autunno 2023. Tali consultazioni elettorali hanno infatti visto la prevalenza dell’opposizione pro-europeista guidata da Donald Tusk al quale, dopo alcune tensioni istituzionali, il Presidente Duda ha alla fine attribuito l’incarico di formare un nuovo governo, il quale sembra intenzionato a promuovere un ripristino delle garanzie dello stato di diritto nell’ordinamento polacco. La nuova compagine governativa ha così avviato un dialogo con le istituzioni dell'Unione Europea annunciando un piano di azione per il ripristino dello stato di diritto, anche sul fronte dell’indipendenza della magistratura. Tale apparente nuovo corso dell'agenda politica polacca in materia di giustizia è stato accolto con favore dalla Commissione europea, la quale si è recentemente impegnata a sbloccare i fondi destinati alla Polonia precedentemente trattenuti (complessivamente pari a circa 137 miliardi di euro). Nel maggio 2024, la stessa Commissione ha ulteriormente rivelato l'intenzione di chiudere la procedura dell'articolo 7(1) del TUE contro la Polonia. Si dovrà quindi attendere l’attuazione di queste riforme per valutare l’effettivo ripristino dello stato di diritto in un paese ove molte sono ancora le resistenze al nuovo corso europeista e nel quale restano i segni di anni di giustizia illiberale. Del resto, come insegna la lezione della storia di Giacomo Matteotti, lo stato di diritto – valore che abbiamo forse dato per scontato credendolo immune da involuzioni democratiche – non è una conquista di una notte ma piuttosto un impegno senza fine (M. Cartabia, The rule of law and the role of courts, in Italian Journal of Public Law, 1, 2018, 2).
In conclusione, e raccogliendo gli spunti critici sollevati, parto dal tema dell’importanza dell’apparato sovranazionale rispetto alla risposta ai tentativi di regressione democratica e lo ricollego al tema trattato dal professor Benvenuti, cioè il ruolo della magistratura. Si tratta di un tema senza dubbio delicato. Tuttavia, nel caso polacco, va rilevato che, sin dalle prime fasi di questa regressione democratica, i magistrati polacchi hanno identificato nella Corte di Giustizia un interlocutore naturale per portare gli attacchi alla loro indipendenza su un piano più alto rispetto a quello nazionale. Questo ha innanzitutto consentito quella reazione attuata con gli strumenti più “tradizionali” della procedura di infrazione, contribuendo a sviluppare una giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha chiarito la contrarietà al diritto unionale di molte delle misure introdotte dalla Polonia. Concordo sul fatto che questa risposta non si è rivelata del tutto efficace, almeno da sola, tanto che la stessa Unione Europea ha dovuto ricorrere ad altri mezzi. Tra questi assumono particolare rilievo la richiamata procedura di cui all’art. 7(1) TUE ed il regolamento sulla condizionalità europea, che si è in effetti rivelato piuttosto efficace. Lo si vede anche dai toni della campagna elettorale durante le elezioni dell’autunno 2023 in Polonia. Il dibattito, nonostante la propaganda governativa, si è ampiamente focalizzato sulla necessità di sbloccare questi fondi – oltre cento miliardi – che, rispetto al PIL polacco, rappresentano importi davvero rilevanti per l’economia del paese.
In questa dialettica favorita dalle iniziative dei magistrati polacchi che si sono rivolti alla Corte di Giustizia (tanto che il governo guidato dal PiS ha anche cercato di limitare la possibilità del rinvio pregiudiziale) si vede l'importanza della rete di cooperazione giudiziaria europea rispetto ai tentativi di limitare l'indipendenza della magistratura. Questo aspetto emerge in particolar modo nella giurisprudenza della Corte di Giustizia sul mandato d'arresto europeo. Alcuni giudici di Stati membri europei si sono chiesti se potessero fidarsi delle autorità giudiziarie polacche, con le quali devono cooperare, in presenza di evidenze di una situazione di mancata indipendenza della magistratura nel paese. Questo dialogo ha avuto un ruolo non trascurabile ed ha altresì avuto il merito di portare la questione da un piano meramente politico ad uno giuridico. Mentre infatti la Corte costituzionale polacca catturata ha tentato di rivendicare una pretesa identità costituzionale nazionale da far prevalere sul diritto dell’Unione, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha chiarito che, dal punto di vista giuridico, l’identità nazionale non può valere come clausola culturale di esonero rispetto al diritto dei trattati. Infatti, lo stato di diritto, oltre a costituire un valore fondante dell’Unione in base a quegli stessi trattati, è parte integrante della cultura giuridica europea e pertanto deve essere garantito senza eccezioni.
[1] Per una compiuta disamina sul tema si rinvia a «Indipendenza della magistratura in Polonia. Lo “strappo nel cielo di carta” della rule of law e l’argomento identitario», in Giustizia Insieme, vol. 3 settembre-dicembre 2023, Dialoghi oltre i confini nazionali, p. 527.
La Corte costituzionale romena di fronte alla “disinformazione” e alle nuove frontiere della pubblicità politica online: fra micro-influencer e ingerenze estere
Sommario: 1. La Corte costituzionale romena e la “disinformazione” russa: il contesto e l’eccezionalità di una decisione – 2. La Legittimità della decisone nel quadro eurounitario: “disinformazione” o finanziamento estero e illecito? – 3. La decisione della Corte costituzionale romena nel quadro della regolazione del digitale in Unione Europea: strumenti vigenti e nuove sfide - Un nuovo passo verso il consolidamento del paradigma europeo di free speech in ambito elettorale e la sfida dei micro-influencer.
1. La Corte costituzionale romena e la “disinformazione” russa: il contesto e l’eccezionalità di una decisione
Con una decisione dalla portata eccezionale, per la prima volta una Corte costituzionale europea ha annullato delle elezioni per l’impatto su di esse avuto dalle campagne di disinformazione online, o meglio per le violazioni delle normative elettorali sui social media. Con la sentenza 32 del 6 dicembre 2024[1], la Corte costituzionale romena ha infatti annullato le elezioni presidenziali, di cui si era svolto il primo turno, e imposto di ripeterle, estendendo il mandato del Presidente in carica. Nell’ambito del costituzionalismo europeo, la protezione del diritto a un voto “correttamente informato” aveva già trovato una prima applicazione in un caso svizzero[2]: il Tribunale federale svizzero aveva, infatti, annullato una votazione su una riforma costituzionale di iniziativa popolare poiché nell’opuscolo informativo distribuito dal Consiglio federale era contenuto un errore macroscopico su alcuni dati, che comprometteva la libertà di voto “correttamente informato” dei cittadini.
Tuttavia, la sentenza della Corte costituzionale romena appare eccezionale anche rispetto a questo precedente caso per vari motivi: è la prima decisione di una Corte costituzionale europea inerente un episodio di “disinformazione” online; è una decisione che impatta notevolmente su un processo elettorale significativo come l’elezione del Presidente in una repubblica semipresidenziale; è una decisione che evidenzia l’importanza della regolazione “positiva” o funzionalista della libertà di espressione[3], soprattutto nell’ambito digitale.
Dal primo punto di vista, occorre evidenziare che – da quanto si apprende dalle fonti giornalistiche che hanno esaminato gli eventi – vi sono state condotte disinformative, come la creazione di finti profili (anche di soggetti statali/partitici) a supporto del candidato Călin Georgescu, però la maggior parte delle condotte violanti le normative elettorali riguarderebbe l’ingente investimento di denaro in maniera non trasparente nella campagna elettorale su TikTok.
Dal secondo punto di vista, non si può invece mancare di sottolineare come questa decisione abbia avuto un impatto enorme nell’ordinamento romeno, interrompendo il processo elettorale e prestando il fianco a polemiche populiste delegittimanti le istituzioni, in primis la Corte costituzionale[4].
Dal terzo punto di vista è possibile infine mettere in evidenza come la Corte abbia applicato il paradigma europeo di libertà di espressione, rimarcando l’importanza di un discorso pubblico libero dalla disinformazione e dalle interferenze estere e caratterizzato da determinate “regole” e obblighi di trasparenza in materia di pubblicità politica online: in questo la Corte ha abbracciato l’idea che le autorità pubbliche abbiano una «positive responsibility» o delle «positive obbligations»[5] anche nel campo della libertà di espressione durante i periodi elettorali.
Nel contesto di un’accesa campagna elettorale presidenziale, il coup de théâtre, ma non certo d’état[6], della disclosure di alcuni documenti dei servizi segreti è stato l’elemento che ha portato alla decisione della Corte. Da quanto si apprende, i servizi hanno sottolineato il trattamento privilegiato riservato da TikTok a Călin Georgescu in violazione della legislazione elettorale, l’attivazione di falsi accounts di origine russa in suo favore, oltre che un finanziamento di messaggi a suo supporto fatto mediante criptovalute da parte di società legate alla Russia[7]. L’intervento della Corte – deputata alla vigilanza sulle elezioni presidenziali – non è nemmeno stato il primo in questa tornata elettorale, fra i precedenti interventi spiccano l’esclusione della candidata Diana Șoșoacă e un riconteggio di voti[8], ma certamente la decisione in esame ha una portata eccezionale.
La Corte ha infatti preso atto delle violazioni della normativa elettorale segnalate dall’intelligence: «[q]ueste violazioni hanno distorto il carattere libero e corretto del voto espresso dai cittadini, compromesso l’uguaglianza di opportunità tra i competitori elettorali, alterato la trasparenza e l’equità della campagna elettorale, e ignorato le disposizioni legali relative al finanziamento della stessa. Tutti questi aspetti hanno avuto un effetto convergente di disprezzo per i principi fondamentali delle elezioni democratiche»[9]. Per queste ragioni la Corte ha deciso di annullare il primo turno elettorale.
Il presente contributo mira ad analizzare la sentenza della Corte costituzionale romena da due prospettive: quella della sua legittimità nell’ordinamento eurounitario (paragrafo 2) e quella delle sfide alla regolazione del discorso pubblico online dell’UE emerse durante le elezioni presidenziali in Romania (paragrafo 3). Nelle conclusioni si svolgeranno alcune brevi considerazioni finali alla luce delle due suddette prospettive.
2. La Legittimità della decisone nel quadro eurounitario: “disinformazione” o finanziamento estero e illecito?
La Corte costituzionale romena con la sua sentenza n. 32/2024 ha rimarcato che «[l]o Stato ha una responsabilità positiva nel prevenire qualsiasi interferenza ingiustificata nel processo elettorale, in conformità ai principi costituzionali. (…) Pertanto, lo Stato deve affrontare le sfide e i rischi derivanti da campagne di disinformazione organizzate, che possono compromettere l’integrità dei processi elettorali [si veda, a tale proposito, anche i paragrafi 14, 17 e 20 della Dichiarazione interpretativa del Codice di buona condotta in materia elettorale sulle tecnologie digitali e sull’intelligenza artificiale, adottata dalla Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (Commissione di Venezia) il 6 dicembre 2024]»[10]. Oltre alle disposizioni interne, la Corte sembra basarsi dunque sia sul recente Regolamento (UE) 900/2024[11], per collegare il finanziamento illecito e non dichiarato alla disinformazione, sia sulla Interpretative declaration of the Code of good practice in electoral matters as concerns digital technologies and artificial intelligence della Commissione di Venezia[12].
Premesso che la costituzionalità interna della decisione appare difficilmente contestabile essendo emessa dal giudice delle leggi romeno[13], appare interessante vedere come questa decisione delle Corte si inserisca, da un lato, nell’ambito del sistema convenzionale, tenendo sempre a mente l’importanza dell’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo per valutare il portato della Carta dei diritti fondamentali dell’UE ex art. 52, comma 3 della stessa, e, dall’altro lato, nell’ordinamento dell’UE.
Rispetto al contesto della CEDU si può innanzitutto rilevare come la Commissione di Venezia abbia emanato una dichiarazione interpretativa al suo “codice” sulle buone pratiche elettorali, partendo dall’assunto che «[t]he freedom of voters to form an opinion includes the right to have access to all kinds of information enabling them to be correctly informed before making a decision, the right to private online browsing, and the right to make confidential communications on the internet»[14]. In particolare, si possono esplicitare i paragrafi citati dalla Corte romena a supporto della sua decisione:
Paragrafo 14, «State authorities should address the challenge posed by organised information disorder campaigns, which have the potential to undermine the integrity of electoral processes».
Paragrafo 17, «The State’s duty of neutrality also includes an obligation to build resilience among voters and to raise public awareness about the use of digital technologies in elections, including through the provision of appropriate information and support».
Paragrafo 20, «The positive responsibility of the State to prevent undue interference with the principles of the European electoral heritage must not lead to undue state intervention»
In questi paragrafi la Commissione di Venezia evidenzia chiaramente la necessità dello Stato di regolamentare la libertà di espressione nelle fattispecie della comunicazione politico-elettorale e della pubblicità politica online onde garantire un voto libero e correttamente informato. Al di là di questi specifici paragrafi, si può anche rilevare come nell’Explanatory report si evidenzi che «[t]he voter’s freedom to form an educated opinion may be affected by online information disorders, including the distribution of false information about election campaigns of political opponents. These phenomena have worsened as a result of the use of digital technologies (sometimes with the use of deep fake audio, photos, and videos, automated generated ‘comments’ under posts to manipulate public opinion, etc.)»[15]. La stessa Commissione di Venezia cita, peraltro, il Regolamento (UE) 900/2024 per rafforzare il collegamento fra campagne di propaganda prive di trasparenza e la disinformazione, evidenziando la necessità di un’azione contro tali manipolazioni disinformative mediante autorità indipendenti[16]. D’altronde la stessa Commissione di Venezia ha recentemente affermato che l’annullamento delle elezioni può avvenire anche a causa di ingerenze estere legate alla propaganda online mediante social media[17]; la Commissione ha, tuttavia, rilevato come le affermazioni politiche non possano essere ricondotte alla categoria della disinformazione essendo value judgments e non facts[18]. È allora evidente che – teoricamente – le azioni della Corte costituzionale romena si pongono in linea con i principi espressi dalla Commissione di Venezia: quello che però si deve considerare è la “proporzionalità” della misura, dando per scontata l’effettiva esistenza delle condotte accertate dai servizi.
In questa prospettiva, com’è rilevabile nella sua giurisprudenza, la Corte EDU ha messo ben in evidenza che anche l’annullamento delle elezioni può essere una conseguenza delle manipolazioni elettorali. In questo senso, il test predisposto dalla Corte di Strasburgo prevede sia la presenza di una “volontà” di manipolazione che un “effetto concreto” sulle elezioni: «[f]or the Romanian election, the evidence at hand appears to clearly demonstrate intentional coordination. The scale of automated accounts, combined with evidence of financial sums originating from Russian sources in South Africa, is very likely to meet the threshold of coordination that the Court has focused on thus far. Secondly, and relatedly, the ECtHR consistently places focus on whether ballot tampering and election irregularities (if proven) are likely to decisively influence voters and election results more broadly. As this question is more closely connected to the positive obligations under Article 3 of Protocol 1, it would appear vital that the decision of the Constitutional Court to annul the election is based on evidence that Russian interference on TikTok was likely to have a decisive effect on election outcomes»[19]. L’elemento che appare dirimere sembra, dunque, quello dell’effettivo impatto delle condotte illecite online sulle elezioni presidenziali.
Nel mentre si può segnalare come la Corte EDU abbia respinto la richiesta di misure ad interim da parte di Călin Georgescu, che chiedeva di sospendere gli effetti della decisione della Corte costituzionale romena, di obbligare il governo a riprendere il processo elettorale e ad adottare misure per rimediare al “danno democratico” prodotto. La Corte, con giudizio unanime dei sette giudici coinvolti, ha respinto il ricorso poiché fuori dall’ambito di applicazione delle interim measures: «Mr Georgescu’s request did not concern an imminent risk of irreparable harm within the meaning of Rule 39 § 1 of the Rules of Court»[20]. Naturalmente la negazione delle misure interinali non conduce a ritenere l’azione della Corte costituzionale romena come legittima alla luce della CEDU, soprattutto in base al profilo della proporzionalità dell’annullamento delle elezioni, ma certamente contribuisce a smorzare le accuse di coup d’état mosse da Călin Georgescu. In questo contesto la Commissione di Venezia ha, recentemente, evidenziato la necessità per le corti costituzionali di essere trasparenti nelle valutazioni circa l’effetto delle condotte manipolative sulle elezioni[21]. La cancellazione delle elezioni dovrebbe attuarsi «only under very exceptional circumstances as ultima ratio and on the condition that irregularities in the electoral process may have affected the outcome of the vote»[22].
Nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione Europea, la legittimità di limitare la propaganda russa online come strumento di destabilizzazione dell’Unione e dei suoi Stati membri è stata in passato legata soprattutto alla censura dei discorsi di odio diffusi su canali televisivi[23]. Nel 2022, il Tribunale dell’Unione europea si è invece pronunciato sulla sospensione delle trasmissione dei media legati al governo russo dal mercato delle informazioni europeo, come sancito dal Regolamento (UE) 2022/350. In questa occasione, il Tribunale ha riconosciuto che «[p]er quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dal Consiglio, i considerando da 4 a 10 degli atti impugnati si riferiscono alla necessità di tutelare l’Unione e i suoi Stati membri contro campagne di disinformazione e di destabilizzazione condotte dagli organi di informazione posti sotto il controllo della leadership della Federazione russa e che minaccerebbero l’ordine pubblico e la sicurezza dell’Unione, in un contesto caratterizzato da un’aggressione militare all’Ucraina. Si tratta quindi di una questione di interesse pubblico che mira a proteggere la società europea e che fa parte di una strategia globale (v. punti 11, 12, 14 e 17 supra) che mira a porre fine, il più rapidamente possibile, all’aggressione subita dall’Ucraina»[24]. La decisione, come evidenziato in altra sede[25], censurava condotte in parte ascrivibili alla disinformazione e in parte alla propaganda di guerra e, certamente, nella valutazione della legittimità di una misura così pervasiva – come l’esclusione dal mercato delle notizie unionale di canali mediali – è stata proprio la categoria della propaganda di guerra a giocare un ruolo importante nel giudizio di proporzionalità.
Tuttavia, è evidente che nell’ambito dell’Unione Europea le operazioni di manipolazione dei processi elettorali provenienti da paesi esteri è oggetto di una particolare azione di contrasto; com’è stato osservato[26], nel campo della disinformazione e della protezione dei processi democratici, il Democratic Action Plan europeo potrebbe essere rafforzato da un ulteriore piano, il c.d. Democracy Shield.
3. La decisione della Corte costituzionale romena nel quadro della regolazione del digitale in Unione Europea: strumenti vigenti e nuove sfide
«Nella presente causa, la Corte rileva che, secondo le "Note informative" sopra menzionate, i principali aspetti contestati nel processo elettorale per l’elezione del Presidente della Romania del 2024 riguardano la manipolazione del voto degli elettori e la distorsione della parità di opportunità tra i concorrenti elettorali, attraverso l’uso non trasparente e in violazione della legislazione elettorale di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale durante la campagna elettorale, nonché il finanziamento non dichiarato della campagna elettorale, anche online»[27]. Dal punto divista tecnologico, occorre dunque domandarsi se l’attuale regolazione del discorso pubblico online predisposta dall’UE sia efficace per rispondere alle sfide emerse nel contesto romeno: in questo senso, si può sottolineare che se il regolamento sulla pubblicità politica online (Regolamento UE 2024/900) troverà piena applicazione nei prossimi mesi, il Digital Services Act – DSA (Regolamento UE 2022/2065) è già teoricamente applicabile.
Il Regolamento (UE) 2024/900 prevede due principali forme di regolamentazione della “pubblicità politica online”. La prima concerne la trasparenza delle comunicazioni politiche, mentre la seconda riguarda il targeting degli utenti. Nello specifico, la disciplina europea si fonda, da un lato, sull’obbligo di identificare i contenuti come pubblicità politica e di rendere chiaramente riconoscibile il partito politico per cui tali contenuti sono diffusi (Artt. 11-12, Regolamento 2024/900) e, dall’altro lato, fatte salve le limitazioni generali in materia di trattamento di dati sensibili di natura politica, introduce uno specifico regime per il targeting degli utenti/elettori sancito dagli Artt. 18 e 19 dello stesso Regolamento.
In questo quadro occorre rilevare come, una delle principali modalità di diffusione di pubblicità politica online nella campagna elettorale romena, ossia il ricorso ai micro-influencers, appaia sfuggire alle norme sulla trasparenza predisposte del Regolamento: non si tratta naturalmente di libere esternazioni politiche di questi micro-influencers, che in tal caso non sarebbero coperte dallo stesso Regolamento in quanto libere espressioni di supporto, ma di finanziamento di micro-influencer per diffondere determinati messaggi. Com’è stato rilevato ad esempio su FrameUp i micro-influencer hanno infatti ricevuto dei veri e propri “copioni” da seguire e sono stati pagati per diffondere i contenuti in favore di Călin Georgescu[28]. «The Romanian TikTok influencers used for Georgescu’s campaign were known for their interest in makeup, cars, fashion, entertainment, Expert Forum explains. They presented themselves online like normal people involved in day-to-day activities. They talk about an ideal candidate for presidency while ironing or applying make-up. We can see them in their car or in their kitchen. They are normal people, just like us, preparing for the voting day. We do not actually know them, but we feel they are our friends –thus, the parasocial relationship we developed with these media characters»[29]. Proprio questa forma di sponsorizzazione indiretta e di pubblicità politica occulta, mediante pagamento di micro-influencers, sembra poter sfuggire alle regole sviluppate dal Regolamento (UE) 2024/900 così come al presunto ban alla propaganda politica su TikTok[30]. Tutto ciò malgrado il Regolamento sia chiaro nei suoi fini: «[è] necessario un livello elevato di trasparenza anche per sostenere un dibattito politico e campagne politiche equi e aperti, come pure elezioni o referendum liberi e regolari, e per combattere la manipolazione dell’informazione e le interferenze, nonché le interferenze illecite anche da paesi terzi. Una pubblicità politica trasparente aiuta l’elettore e gli individui in generale a capire meglio quando è in presenza di un messaggio di pubblicità politica»[31]. D’altronde, il problema dell’impiego di micro-influencer era stato evidenziato anche nell’Explanatory report della Commissione di Venezia «[t]he use of paid influencers’ accounts by government actors and political parties to spread their views or campaign for them is yet another concerning practice»[32]. Come inquadrare e come regolamentare queste attività di promozione occulta non è per nulla scontato. Il ricorso agli influencer è una pratica che assume sempre maggior rilievo in vari settori e che ha visto anche tentativi di intervento da parte dell’AGCOM in Italia. Com’è stato sottolineato[33], tuttavia, l’opzione di creare un parallelismo tra influencer e fornitori di servizi di media audio-visivi, in base al Testo unico dei servizi di media audiovisivi, sembra forse meno incisivo che regolamentarne le attività – nel contesto di quest’analisi in materia di pubblicità politica – nell’ambito della governance digitale.
Appare dunque necessario capire come e quanto potrebbe essere efficace una regolamentazione di tale tipo di condotte in materia di pubblicità politica online. In questo senso, quello che si può rilevare è che alcune forme di sponsorizzazione dei messaggi politici impiegate nella campagna elettorale romena possono sfuggire alle norme sulla trasparenza predisposte dal Regolamento (UE) 2024/900.
Nel contesto delle elezioni presidenziali romene si può, invece, osservare come il DSA avrebbe potuto giocare un ruolo che non pare aver giocato. Dal punto di vista del contrasto alla disinformazione e della protezione delle elezioni, occorre evidenziare come il DSA preveda la necessità per le piattaforme di grandi dimensioni di valutare, a fianco ai rischi legati alla diffusione di contenuti illegali, i rischi che possano condizionare i processi elettorali (terzo rischio). Fra i rischi che sono da valutare e contenere vi è anche la disinformazione: «[t]ali fornitori dovrebbero pertanto prestare particolare attenzione al modo in cui i loro servizi sono utilizzati per diffondere o amplificare contenuti fuorvianti o ingannevoli, compresa la disinformazione»[34]. In quest’ambito il DSA predispone una serie di obblighi di valutazione dei rischi (Articolo 34, Regolamento (UE) 2022/2065) e attenuazione degli stessi (Articolo 35, Regolamento (UE) 2022/2065) che le piattaforme di dimensioni molto grandi come TikTok devono porre in essere.
In questo senso la Commissione, nel suo ruolo di monitoraggio del DSA, ha emesso un “ordine di conservazione” dei dati relativi ai rischi sistemici reali o prevedibili per i processi elettorali nei confronti di TikTok; inoltre sono stati anche attivati i meccanismi di Rapid Response System (RRS) del Code of Practice on Disinformation[35]. Successivamente è stato aperto un procedimento formale contro TikTok[36]: «[t]he proceedings will focus on management of risks to elections or civic discourse, linked to the following areas: TikTok’s recommender systems, notably the risks linked to the coordinated inauthentic manipulation or automated exploitation of the service; TikTok’s policies on political advertisements and paid-for political content»[37]. Il contenuto del procedimento sembra confermare che il caso romeno riguardi non tanto la disinformazione, quanto una serie di comportamenti manipolativi e di finanziamenti illeciti della campagna elettorale. Il meccanismo del DSA è stato dunque attivato anche se occorre rilevare come abbia fallito nel prevenire la manipolazione delle elezioni presidenziali. A tal riguardo è necessario però segnalare che «the risk assessment and mitigation measures contemplated by the DSA have very particular characteristics in terms of enforcement. At this stage, there are still no guidelines or best practices provided by the Commission regarding the “reasonable, proportionate and effective mitigation measures, tailored to the specific systemic risks” that need to be put in place according to the DSA»[38]. Il meccanismo, che fa perno sulla “responsabilizzazione” delle piattaforme digitali, appare ancora non oliato: auspicabilmente il caso romeno porterà a un perfezionamento delle procedure europee in materia. Nell’ambito dell’applicazione del DSA, sono stati espressi anche dubbi sull’efficacia dell’azione della National Authority for Communications Administration and Regulation (ANCOM)[39], il Coordinatore dei servizi digitali romeno, nonché sui servizi di intelligence stessi[40]: a fianco del “fallimento” dei meccanismi preventivi dell’UE si può forse aggiungere anche quello delle autorità nazionali.
In questa prospettiva, si può quindi osservare la non efficace applicazione del DSA, che potrebbe essere meglio implementata dalle autorità nazionali ed europee.
4. Un nuovo passo verso il consolidamento del paradigma europeo di free speech in ambito elettorale e la sfida dei micro-influencer
Sicuramente l’annullamento delle elezioni presidenziali può dire molto internamente all’ordinamento romeno[41] ma «[o]ther countries may look to Romania’s example as a warning to fortify their own electoral processes against similar attacks»[42]. Il caso in esame fornisce molti elementi di interesse. La Corte romena ha avuto modo di ribadire il paradigma europeo di discorso pubblico in ambito elettorale: «[l]a libertà degli elettori di formarsi un’opinione include il diritto di essere correttamente informati prima di prendere una decisione. Più precisamente, tale libertà implica il diritto di ottenere informazioni corrette sui candidati e sul processo elettorale da tutte le fonti, inclusi i canali online, nonché la protezione contro influenze ingiustificate, attraverso atti/azioni illegali o sproporzionate, sul comportamento di voto»[43]; e ancora «[u]n finanziamento legale e trasparente della campagna elettorale è un fattore essenziale per la regolarità del processo elettorale. Anche il finanziamento delle attività online deve essere trasparente, e la pubblicità elettorale online deve sempre essere identificabile e trasparente, sia in relazione all’identità dello sponsor sia alle tecniche di diffusione utilizzate»[44]. Si riaffermano così alcuni capisaldi di quello che ormai appare essere il consolidato paradigma di libertà di espressione del costituzionalismo europeo e dell’Unione Europea che si sta cementando soprattutto nella regolazione del discorso pubblico online[45]. Un paradigma che prevede il diritto a essere correttamente informati – e quindi la non protezione della disinformazione –, la trasparenza della pubblicità politica online – e pertanto gli obblighi di disclosure e disclaimer di tali attività – e, infine, l’esclusione della propaganda esterna all’UE nelle elezioni europee – e dunque l’impossibilità per soggetti esteri di pagare la pubblicità online –.
Naturalmente questa sentenza, descritta anche come «a last resort attempt to prevent a further decline in the rule of law in Romania»[46], non fa venire meno i dubbi sulla tenuta della rule of law in Romania[47]. D’altronde, come sottolineato, «in pochi si sarebbero aspettati che proprio dalla Corte costituzionale romena che, insieme a quella polacca e quella ungherese si è distinta, ultimamente, per mandare segnali di guerra in relazione alla tenuta dello stato di diritto in Europa, provenisse una lezione sui principi guida del costituzionalismo europeo»[48].
Se da questo punto di vista occorre dunque salutare con favore questa “lezione”, com’è stata definita, dal punto di vista tecnologico il caso solleva numerosi interrogativi soprattutto in relazione all’impiego dei micro-influencer nelle campagne elettorali. Questa sembra una nuova sfida alla regolamentazione dell’UE tesa ad applicare il sopravvisto paradigma di libertà di espressione: «[p]arasocial opinion leaders may be used in electoral campaigns, to distribute preexisting electoral content. These parasocial opinion leaders include micro-influencers, trolls and bots, alongside political leaders and normal social media users, that support an idea, a candidate, a political platform or a cause, in an excessive, yet relatable way for other social media users»[49]. La pubblicità politica mediante micro-influencer – al di là dei tentativi di occultarla mediante pagamenti in criptovalute o altre forme non tracciabili – pone infatti una notevole difficoltà dal punto di vista della sua identificazione, sia da parte delle piattaforme che delle autorità pubbliche deputate alla vigilanza sulla corretta applicazione delle normative elettorali, soprattutto perché questo tipo di pubblicità, ove non sia individuato il pagamento, rientra in una forma di supporto politico identificabile pienamente nella libertà di manifestazione del pensiero. Al di là della riaffermazione del paradigma europeo di libertà di espressione, il caso romeno evidenzia quindi le nuove sfide della pubblicità politica online.
[1] Corte costituzionale romena, sentenza n. 32 del 6 dicembre 2024, consultabile in una versione tradotta al seguente link: https://giurcost.org/casi_scelti/AlteCortistraniere/Dec0612104_32.pdf (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[2] Tribunale federale svizzero, sentenze del 10 aprile 2019 (1C_315/2018, 1C_316/2018, 1C_329/2018, 1C_331/2018,1C_335/2018, 1C_337/2018, 1C_338/2018, 1C_339/2018, 1C_347/2018), consultabile al seguente link: https://www.bger.ch/files/live/sites/bger/files/pdf/fr/1C_315_2018_yyyy_mm_dd_T_f_13_11_39.pdf (ultimo accesso 31 gennaio 2025). Su cui si si veda: G. Martinico, Il diritto costituzionale come speranza. Secessione, democrazia e populismo alla luce della Reference Re Secession of Quebec, Giappichelli, Torino, 2019, p. 199 e ss.
[3] Intendendo con “funzionalista” una versione “debole” di tale concetto: «[v]a, quindi, in parte ripensata la premessa metodologica, tuttora accettata da parte della dottrina italiana, che rifiuta qualsiasi ipotesi di funzionalizzazione dei diritti di libertà perché contrastante, in radice, con il principio di libertà individuale. Sul punto è necessario intendersi: se per funzionalizzazione si intende una nozione forte e sostanzialistica, quale subordinazione dell’individuo ai valori imposti dall’ordinamento, è evidente il rischio di trasformare il diritto di libertà in una pubblica funzione, preludio di una torsione del sistema in senso totalitario. Qualora, però, della funzionalizzazione si accolga un significato debole e metodologico, volto a sottolineare la funzione integrativa delle libertà nel sistema costituzionale, la descrizione della funzione delle libertà consente di evidenziare il nesso tra le aspettative soggettive di riconoscimento della persona e l’azione delle istituzioni legittimate dalla Costituzione. […] Anche per questo i diritti di libertà, e la libertà di manifestazione del pensiero in particolar modo, non hanno solo una portata difensiva, ma assumono anche un significato positivo e partecipativo, di riconciliazione tra la dimensione individuale della persona e i rapporti collettivi di natura sociale sino, in alcuni casi, a condizionare le stesse procedure democratiche (si pensi, ad esempio, al diritto di cronaca e alle sue sotto-categorizzazioni, all’assetto dei media radiotelevisivi e non solo)». C. Caruso, La libertà di espressione in azione. Contributo a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Bononia University Press, Bologna, 2014, p. 326-327.
[4] A. Carrozzini, Shooting Democracy in the Foot?, in Verfassungsblog, 13 dicembre 2024, consultabile al seguente link: https://verfassungsblog.de/shooting-democracy-in-the-foot/ (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[5] Usando le espressioni della Commissione di Venezia: Commissione di Venezia, Interpretative declaration of the Code of good practice in electoral matters as concerns digital technologies and artificial intelligence, approved by the Council for Democratic Elections at its 81st meeting (Venice, 5 December 2024) and adopted by the Venice Commission at its 141st Plenary Session (Venice, 6-7 December 2024), Opinion No. 1171/2024, CDL-AD(2024)044-e
[6] Come invece dichiarato dal candidato Calin Georgescu: A. Parsons, Calin Georgescu: Politician Who Was on Brink of Becoming Romanian President Attacks ‘Corrupted Regime’, in Sky News, 7 dicembre 2024, consultabile al seguente link: https://news.sky.com/story/calin-georgescu-politician-who-was-on-brink-of-becoming-romanian-president-attacks-corrupted-regime-13268718 (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[7] «Moreover, according to the documents, ‘almost 800 TikTok accounts created by a “foreign state” in 2016 were suddenly activated last month to full capacity’ backing one of the candidates. Another 25,000 TikTok accounts had become active only two weeks before the first round.’ Georgescu is the ‘candidate’ referred to in the documents, and the ‘foreign state’ is Russia». A. Kleczkowska, The Russian Disinformation Campaign During the Romanian Presidential Elections: The Perfect Example of a Violation of International Law?, in Opinio Juris, 27 gennaio 2025, consultabile al seguente link: https://opiniojuris.org/2025/01/27/the-russian-disinformation-campaign-during-the-romanian-presidential-elections-the-perfect-example-of-a-violation-of-international-law/ (ultimo accesso 31 gennaio 2025). «I documenti identificano in particolare un account chiamato “bogpr”, associato a un cittadino romeno, che avrebbe effettuato donazioni su TikTok a queste persone per un totale di oltre un milione di euro. Solo nell’ultimo mese l’account avrebbe effettuato pagamenti per circa 362mila euro a utenti che promuovevano Georgescu. In precedenza Georgescu aveva dichiarato alle autorità romene di aver speso «zero euro» per la sua campagna elettorale e di essere stato aiutato esclusivamente da volontari». Redazione, Le Accuse Di Interferenze Della Russia Nelle Elezioni in Romania, in Il Post, 7 dicembre 2024, consultabile al seguente link: https://www.ilpost.it/2024/12/07/interferenze-russe-romania/ (ultimo accesso 31 gennaio 2025). «Declassified intelligence reports from Romania’s Supreme Council of National Defense (CSAT) and the Directorate for Investigating Organized Crime and Terrorism (DIICOT) revealed a staggering level of interference. A network of over 600,000 bots orchestrated a TikTok campaign for Calin Georgescu, violating electoral law by failing to disclose its political nature. Even more troubling, these operations were funded through €50 million in cryptocurrency, funnelled from a Russian network operating out of South Africa. In the days leading up to the election, as much as €3 million per day was injected into this campaign». M.R. Maftean, A Troubling Triumph in Romania, in Verfassungsblog, 10 dicembre 2024, consultabile al seguente link: https://verfassungsblog.de/triumph-in-romania/(ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[8] B. Selejan-Gutan, The Second Round That Wasn’t, in Verfassungsblog, 7 dicembre 2024, consultabile al seguente link: https://verfassungsblog.de/the-second-round-that-wasnt/ (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[9] Corte costituzionale romena, sentenza n. 32 del 6 dicembre 2024, par. 5.
[10] Corte costituzionale romena, sentenza n. 32 del 6 dicembre 2024, par. 10.
[11] «La pubblicità politica può talvolta trasformarsi in un “veicolo di disinformazione, soprattutto quando [...] non dichiara il proprio carattere politico, proviene da sponsor esterni all’Unione o è soggetta a tecniche di targeting o di diffusione del materiale pubblicitario” [si veda anche il Regolamento (UE) 2024/900 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 marzo 2024 sulla trasparenza e il targeting nella pubblicità politica, considerando 4]. Di conseguenza, deve essere esclusa l’ingerenza di entità statali o non statali nello svolgimento di campagne di propaganda o disinformazione elettorale». Corte costituzionale romena, sentenza n. 32 del 6 dicembre 2024, par. 13. «La pubblicità politica può essere un vettore di disinformazione, specie se non ne è esplicitata la natura politica, se proviene da sponsor esterni all’Unione o se è oggetto di tecniche di targeting o tecniche di consegna dei messaggi pubblicitari» Considerando 4, Regolamento (UE) 2024/900.
[12] Commissione di Venezia, Interpretative declaration of the Code of good practice in electoral matters as concerns digital technologies and artificial intelligence, cit.
[13]Per brevi considerazioni in materia si rimanda a: B. Selejan-Gutan, cit.; A. Carrozzini, cit.
[14] Commissione di Venezia, Interpretative declaration of the Code of good practice in electoral matters as concerns digital technologies and artificial intelligence, cit., p. 3.
[15] Commissione di Venezia, Interpretative declaration of the Code of good practice in electoral matters as concerns digital technologies and artificial intelligence, cit., p. 7.
[16] « The fight against information disorders, including disinformation explicitly aimed at questioning or misleading about the basic aspects of electoral procedures, calls for regulation by the state and an independent body with adequate resources and powers to enforce such regulation». Idem, p. 11.
[17] «The Venice Commission takes the view that “external influence” – not stemming from the electoral actors – can also be relevant in this context. This applies to the influence of non-governmental organisations, of the media – social media in particular –, especially those sponsored and financed from abroad, and foreign State and non-State actors: External influence, including from abroad, can have the same (or even stronger) effects as internal influence (from State officials or political parties). Therefore, the interference with the electoral process by third parties acting from outside is not less detrimental and can have the same (or even more severe) consequences as a breach of election rules by candidates, political parties and State officials». Commissione di Venezia, Urgent report on the cancellation of election results by constitutional courts, issued on 27 january 2025 pursuant to article 14a, CDL-PI(2025)001, p. 14.
[18] «As concerns, firstly, campaign propaganda, it should be noted that electoral campaigns are in essence information campaigns by the candidates designed to convince the voters. Statements on policy made by candidates in the context of an election may often be regarded by their opponents as disinformation or false information. Regardless of form and medium, political statements in the context of campaigning are typically value judgments or statements that fall under the candidate’s freedom of expression, unless they exceed permissible limits, e.g. in the form of hate speech against political opponents. Considering the ECtHR’s jurisprudence on judicial interference with campaign messaging, it is currently hard to see how the form and content of campaign messaging of candidates could amount to a violation of electoral law that may lead to the annulment of the elections». Idem, p. 15.
[19] E. Shattock, Electoral Dysfunction: Romania’s Election Annulment, Disinformation, and ECHR Positive Obligations to Combat Election Irregularities, in EJIL: Talk!, 6 gennaio 2025, consultabile al seguente link: https://www.ejiltalk.org/electoral-dysfunction-romanias-election-annulment-disinformation-and-echr-positive-obligations-to-combat-election-irregularities/ (ultimo accesso 31 gennaio 2025). Così citando, Krasnov and Skuratov v Russia, Applications nos. 17864/04 and 21396/04, 19 July 2007; Babenko v Ukraine, Application no. 68726/10, 4 January 2012; Kerimova v Azerbaijan, Application no. 20799/06, 30 September 2010; Davydov and Others v Russia, Application no. 75947/11, 30 May 2017. Lo stesso autore segnala come il caso Bradshaw and others v the United Kingdom (Application no. 15653/22) potrebbe condurre a nuove evidenze in questo campo.
[20] ECHR 022 (2025) 21.01.2025 press realise, consultabile al seguente link: https://www.echr.coe.int/w/request-for-interim-measures-refused-concerning-romania (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[21] Commissione di Venezia, Interpretative declaration of the Code of good practice in electoral matters as concerns digital technologies and artificial intelligence, cit., p. 14.
[22] Commissione di Venezia, Urgent report on the cancellation of election results by constitutional courts, cit., p. 19.
[23] Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 4 luglio 2019, Baltic Media Alliance Ltd. contro Lietuvos radijo ir televizijos komisija, Causa C-622/17; Sentenza del Tribunale (Nona Sezione) del 15 giugno 2017, Dmitrii Konstantinovich Kiselev contro Consiglio dell’Unione europea, Causa T-262/15.
[24] Sentenza del Tribunale (Grande Sezione) del 27 luglio 2022, RT France contro Consiglio dell’Unione europea, Causa T-125/22, par. 55
[25] Si permetta un rimando a: M. Monti, Il “Sedition Act” europeo? Spunti dalla comparazione sull’esclusione di Russia Today e Sputnik dal mercato dell’informazione unionale, in Osservatorio costituzionale, 2023. Sul test di proporzionalità applicato: Sentenza del Tribunale (Grande Sezione) del 27 luglio 2022, RT France contro Consiglio dell’Unione europea, Causa T-125/22, par. 148.
[26] D. Vaira, Trick or T(h)reat: disinformazione online e minacce ibride nel panorama europeo. Alcune considerazioni alla luce dell’annullamento delle elezioni in Romania, in SIDIBlog, 29 dicembre 2024, consultabile al seguente link: http://www.sidiblog.org/2024/12/29/trick-or-threat-disinformazione-online-e-minacce-ibride-nel-panorama-europeo-alcune-considerazioni-alla-luce-dellannullamento-delle-elezioni-in-romania/ (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[27] Corte costituzionale romena, sentenza n. 32 del 6 dicembre 2024, par. 11.
[28] R. Radu, Romania: How a Disinformation Campaign Prevented Free Suffrage, in Disinfo-Prompt.Eu, 17 dicembre 2024, consultabile al seguente link: https://disinfo-prompt.eu/posts/6gVQHsgN02LeYCnVzI6wGx (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[29] Ibid.
[30] «Just because a social platform declares allcontent to be entertainment, or a micro-influencer is known for his or her content on makeup and cars, does not mean the platform will never host political content or the influencer will not share political recommendations, for an advertising fee». Ibid.
[31] Considerando 4, Regolamento 2024/900.
[32] Commissione di Venezia, Interpretative declaration of the Code of good practice in electoral matters as concerns digital technologies and artificial intelligence, cit., p. 8.
[33] E. Albanesi, Le Linee-guida dell’Agcom sugli influencer nella prospettiva dell’attività di informazione e del costituzionalismo digitale, in Rivista italiana di informatica e diritto, 1, 2024, p. 82-83.
[34] Considerando 84, Regolamento (UE) 2022/2065.
[35] Commission, online platforms and civil society increase monitoring during Romanian elections, Press release, Brussels, 5 December 2024, consultabile al seguente link: https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/news/commission-online-platforms-and-civil-society-increase-monitoring-during-romanian-elections (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[36] Commission opens formal proceedings against TikTok on election risks under the Digital Services Act, Press release, Brussels, 17 December 2024, consultabile al seguente link: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_24_6487 (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[37] Ibid.
[38] J. Barata, E. Lazăr, Will the DSA Save Democracy? The Test of the Recent Presidential Election in Romania, in TechPolicy.Press, 27 gennaio 2025, consultabile al seguente link: https://techpolicy.press/will-the-dsa-save-democracy-the-test-of-the-recent-presidential-election-in-romania (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[39] Ibid.
[40] «Although a similar pattern of foreign interference was recently observed in neighbouring Moldova, the Romanian public authorities have entirely failed to prevent such a scenario from unfolding domestically. The situation has been exacerbated by investigative reporting revealing that while the court annulled the elections, the head of Romania’s Foreign Intelligence Service was on a publicly funded trip to a Formula One race». A. Damian, The Annulment of Romania’s Presidential Election Reflects Both Foreign Meddling and Domestic Failures, in LSE Blogs - Europp Blog, 13 dicembre 2024, consultabile al seguente link: https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2024/12/13/the-annulment-of-romanias-presidential-election-reflects-both-foreign-meddling-and-domestic-failures/ (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[41] «In Romania, it is evident that legislative gaps (such as the lack of effective procedures to prevent foreign interference via social media), poor communication between state agencies and delayed institutional responses contributed to the situation escalating to a point where the elections were annulled at the last moment, after the voting had already commenced. Urgent legislative changes are needed to tighten regulations of electoral campaigns, social media, and particularly platforms like TikTok that played a significant role in this major crisis. Legal safeguards must be clear, proportional, and designed to protect against abuse while meeting the standards of democratic societies» B. Selejan-Gutan, cit.
[42] Ibid.
[43] Corte costituzionale romena, sentenza n. 32 del 6 dicembre 2024, par. 13.
[44] Idem, par. 17.
[45] C. Caruso, Towards the Institutions of Freedom: The European Public Discourse in the Digital Era, in German Law Journal, (First View), 2024; sulla spinta “federalizzatrice” di questa regolazione si permetta un richiamo a: M. Monti, Towards a Federal-Type Regulation of Online Public Discourse by the EU?, in European Public Law, 4, 2024.
[46] Carrozzini, cit.
[47] D. Kosar, O. Kadlec, Romanian Version of the Rule of Law Crisis Comes to the ECJ: The AFJR Case Is Not Just about the Cooperation and Verification Mechanism’, in Common Market Law Review, 6, 2022.
[48] O. Pollicino, Se la disinformazione condiziona i processi democratici, in Il Sole 24 Ore, 9 gennaio 2025, consultabile al seguente link: https://24plus.ilsole24ore.com/art/se-disinformazione-condiziona-processi-democratici-AGYQYWAC?refresh_ce=1 (ultimo accesso 31 gennaio 2025).
[49] Radu, cit.
Ricordo di Antonio Mantello: «tempus edax rerum»
Sabato 1° febbraio 2025 è venuto a mancare, dopo una lunga malattia, il prof. Antonio Mantello, eminente studioso di diritto romano e di storiografia giuridica della Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza-Università di Roma.
Nato a Trivigliano, in provincia di Frosinone, l’11 aprile 1944, il prof. Antonio Mantello si laureò alla Sapienza nel 1967, con il massimo dei voti e la lode, discutendo, con relatore Riccardo Orestano – alla cui scuola si formerà negli anni seguenti – una tesi dal titolo Problemi romanistici nel pensiero di Christian Wolff. Assistente ordinario dal 1970 al 1980, prima presso l’Università di Siena e poi di Roma, è stato, dal 1973 al 1980, professore incaricato presso le Università di Teramo e di Macerata. Presso l’Università di Macerata è stato altresì, dal 1980 al 1986, professore associato, e, dal 1986 al 1994, professore ordinario. Nel 1994 prese finalmente servizio come professore ordinario a Roma, dove per tanti anni ha tenuto la cattedra di “Istituzioni di diritto romano”. Dal 1991 al 2006, è stato anche incaricato dell’insegnamento delle materie romanistiche presso la LUISS-Guido Carli e, durante la permanenza nell’Università di Macerata e fino al suo trasferimento alla Sapienza, direttore dell’“Istituto di diritto romano-Luigi Raggi”. Collocato fuori ruolo nel 2014, nel 2017 ha ottenuto l’emeritato.
La sua attività di ricerca si è indirizzata innanzitutto verso lo studio delle personalità dei giuristi romani, presi nella loro specifica individualità, in relazione al contesto socioeconomico, culturale e ideologico nel quale ciascuno di essi visse e operò, con particolare riferimento alla ricostruzione delle matrici del loro pensiero giuridico.
Da questo tipo di indagine – volta a superare definitivamente gli esiti delle impostazioni dogmatico-pandettistiche in nome dell’integrale storicità e relatività dell’oggetto di studio – ha avuto origine la monografia su Beneficium servile-debitum naturale del 1979 [1], nella quale è stato privilegiato il nesso fra diritto e filosofia, così come individuabile nel confronto fra il pensiero di Seneca figlio, sulla posizione dello schiavo nei confronti del padrone in materia etico-sociale (il cosiddetto beneficium), e il di poco successivo primo inquadramento tecnico-giuridico, attribuito al giurista romano Giavoleno, del rapporto servo-padrone (il cosiddetto debitum naturale), costituente in sé l’avvio della concettualizzazione che la successiva giurisprudenza romana avrebbe fissato nella categoria dell’obligatio naturalis.
Su questo filone di studi, dedicato ai nessi fra sapere giuridico e relativo contesto, si innestano diversi lavori [2]. Dai risultati di queste ricerche emergono nitidamente tutti i condizionamenti subiti dalla mentalità dei singoli giuristi romani e le interazioni tra la scienza giuridica e le logiche dialettico-retoriche, i settori grammaticali, le contemporanee dottrine filosofiche e le tematiche prettamente etiche o etico-economiche.
Altro settore di ricerca è stato lo studio della cd. “tradizione romanistica” (con particolare riguardo alle esperienze giuridiche sette-ottocentesche d’area italiana e germanica), nonché l’analisi del ruolo della giusantichistica e, più in generale, della storiografia giuridica nei contesti ideologici e socioeconomici moderni e contemporanei. A questo filone è da ascrivere, oltre ad una serie cospicua di lavori “minori”[3], la monografia Per una storia della giurisprudenza romana del 1984[4], la quale affronta la dimenticata ipotesi emersa nell’Umanesimo e difesa ancora nel Settecento, secondo la quale i giuristi del tardo Principato romano avrebbero superato il contrasto tra le scuole dei Sabiniani e dei Proculeiani dando vita a tendenze mediatrici. L’opera spiega le motivazioni ideologiche e sociologiche sottese a tale ipotesi, che gettano luce sui successivi sviluppi della storiografia giuridica tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento.
L’ampia, variegata e costante produzione storico-giuridica del prof. Antonio Mantello dimostra una vastità di interessi e di argomenti non comuni, che unisce una profonda sensibilità per i profili tecnico-giuridici del pensiero dei giuristi romani ad un’attenta conoscenza degli aspetti della cultura non strettamente giuridica, con particolare riguardo al pensiero filosofico.
Come rammentato dal figlio nel suo elogio funebre tenuto a margine delle esequie, da attento lettore di Gramsci, il padre era ben consapevole che, se il politico può dirsi uno storico che opera nel presente interpretando il passato, anche lo storico non è nient’altro che un politico che interpreta le categorie economiche, sociali e giuridiche del passato con finalità non avulse dal contesto politico in cui è chiamato a vivere. Allo stesso tempo però egli era fermamente convinto dell’insegnamento del suo maestro e della scientificità del metodo da lui appreso: non esiste ricostruzione storica rigorosa e scientificamente valida che possa emancipare l’oggetto di studio dal suo contesto economico, sociale e politico di origine[5]: l’immersione del sapere giuridico nel relativo contesto storico significava, per il prof. Antonio Mantello, «svolgere un lavoro certosino d’individuazione delle tessere d’un mosaico da comporre e scomporre continuamente, in un gioco infinito che tenda sempre a rendere il presente consapevole delle luci e delle ombre provenienti dal passato: onde consentire il più libero giudizio su quest’ultimo – anche di totale condanna e superamento, se reputato necessario – per costruire il futuro»[6].
Studioso silenzioso e solitario, a tratti scostante anche con i colleghi più prossimi, severo maestro e docente esigente, nei rapporti diretti, soprattutto con i più giovani, dimostrava grande umanità e comprensione. Nei decenni di insegnamento, si è distinto per la costante e appassionata dedizione alla didattica e per la disponibilità verso i suoi studenti, tra i quali vi è stato chi scrive[7]. Già da qualche anno prima dell’isolamento forzato causato dai noti eventi pandemici e prima di ammalarsi irrimediabilmente, il prof. Antonio Mantello non frequentava più, con l’assiduità di un tempo, l’“Istituto di diritto romano e dei diritti dell’Oriente mediterraneo” della Sapienza-Università di Roma: la sua stanza – che era già stata di Feliciano Serrao – è rimasta, da allora, come sospesa nel tempo. Fogli di giornale e tesi di laurea della fine degli anni Novanta, statini di esami sostenuti nel corso dei decenni del suo insegnamento, lettere di vario genere, numerosi volumi antichi e moderni accatastati su una grande ed elegante scrivania, dove giaceva, ancora dopo tanti anni, una copia della sua tesi di laurea, scritta sotto la sapiente guida del maestro Riccardo Orestano[8]; un maestro così venerato dall’allievo da essere stato aggiunto in fotografia, in un quadretto evidentemente più recente rispetto al resto dell’arredamento, ai tre antichi ritratti di Filippo Serafini, Vittorio Scialoja e Pietro Bonfante già appesi da qualche predecessore su una delle pareti della stanza. Alle spalle dell’imponente tavolo di lavoro, un quadro, anch’esso dalle dimensioni sproporzionate rispetto alla grandezza dei locali, che incornicia il manifesto di una mostra sui Fiamminghi a Roma 1508-1608, allestita nella Capitale tra il giugno e il settembre del 1995. Su quel manifesto è riportata una riproduzione del dipinto su tela del fiammingo Herman Posthumus, dove l’autore aveva inciso, su una pietra lì rappresentata tra le crepuscolari rovine di un Occidente al tramonto[9], un’epigrafe recitante alcuni versi delle Metamorfosi di Ovidio (XV, 234-235) – «tempus edax rerum, tuque, invidiosa vetustas, omnia destruitis» – versi che suonano oggi come un’amara e cinica premonizione della logorante malattia che avrebbe segnato negli ultimi tempi il prof. Mantello[10].
La cerimonia di commiato si è svolta presso la Cappella universitaria della Sapienza: tra gli allievi presenti a commemorarlo non v’era lo storico stretto collaboratore della Facoltà romana, animatore di intensi seminari per lo studio delle “Istituzioni di diritto romano” frequentati negli anni da migliaia di matricole, poi chiamato in anni più recenti come professore all’Università di Foggia, Francesco Maria Silla, purtroppo prematuramente scomparso nel 2023, che dal prof. Mantello aveva ereditato «il rigore negli studi romanistici e la sensibilità nella ricostruzione testuale»[11].
C’erano però, oltre a numerosi colleghi, giovani e meno giovani, della Facoltà romana, molti fratelli accademici appartenuti alla medesima scuola di Riccardo Orestano.
È quel manipolo di studiosi, attratti dalla scomparsa di un insigne scienziato appartenuto anch’egli a quella importante scuola e chiamati a stringersi intorno al suo feretro, a rappresentare la vitalità del lascito scientifico di Riccardo Orestano di cui si è fatto amministratore fruttifero il prof. Antonio Mantello nel corso della sua vita dedicata, con severità e rigore, allo studio e all’insegnamento.
[1] ‘Beneficium’ servile-‘Debitum’ naturale: Sen., De ben. 3.18.1 ss., D. 35.1.40.3 (Iav., 2 ex post Lab.), Milano, 1979.
[2] Tra i tanti altri, si vedano in particolare: I dubbi di Aristone [1990], poi pubblicato nella raccolta Variae, I, Lecce, 2014, 229 ss.; Il sogno, la parola, il diritto. Appunti sulle concezioni giuridiche di Paolo [1991-1992], in Variae, I, cit., 353 ss.; Le ‘classi nominali’ per i giuristi romani. Il caso d’Ulpiano [1995], Variae, I, cit., 423 ss.; Un’etica per il giurista? Profili d’interpretazione giurisprudenziale nel primo Principato [1996], Variae, I, cit., 479 ss.; «De iurisconsultorum philosophia»: spunti e riflessioni sulla giurisprudenza del primo principato [2003] (Variae, I, cit., 557 ss.); Natura e diritto da Servio a Labeone [2007], in Variae, I, cit., 657 ss.; Etica e mercato tra filosofia e giurisprudenza [2008], in Variae, I, cit., 707 ss.; Il Platone di Callistrato [2009], in Variae, I, cit., 785 ss. e L’analogia nei giuristi tardo repubblicani e augustei. Implicazioni dialettico-retoriche e impieghi tecnici [2009], in Variae, I, cit., 809 ss.
[3] Tra i quali si possono in questa sede ricordare: ‘Die Elemente der Staatskunst’ di Adam Müller. Una fonte per il ‘Beruf’ di Savigny? [1979], in Variae, II, cit., 881 ss.; La giurisprudenza romana fra nazismo e fascismo [1987], in Variae, II, cit., 975 ss.; Das Jherings-Bild zwischen Nationalsozialismus und Faschismus. Die Analise eines ideologischen Vorganges [1996], in Variae, II, cit., 1057 ss.; Ancora su Savigny [1997], in Variae, II, cit., 1141 ss.; Tematiche possessorie e ideologie romanistiche nell’Ottocento italiano [2000], in Variae, II, cit., 1271 ss.
[4] Per una storia della giurisprudenza romana: il problema dei “miscelliones”, Milano, 1984.
[5] «Non si può considerare il passato alla stregua di chi scavi un sito archeologico pago di riportare asetticamente alla luce una sola sua parte, in funzione – non so – di questa o quell’esigenza turistica, economica, politica dell’uno o dell’altro centro abitato del circondario. Che l’esigenza in questione possa essere tenuta presente per le operazioni di scavo, è cosa indiscutibile. Che anzi, più in generale, siano i bisogni del presente a spingere per una ‘rilettura’ del passato, è indubbio. Non scriveva forse Gramsci: “se un politico è uno storico (non solo nel senso che fa la storia, ma nel senso che operando nel presente interpreta il passato), lo storico è un politico e in questo senso (…) la storia è sempre storia contemporanea, cioè politica”? È evidente però che un’effettiva comprensione già della sola parte del sito prescelta e scavata sia possibile attraverso lo studio delle sue peculiari caratteristiche, ma in relazione sempre al(la conoscenza del) modo d’essere del sito stesso, nella sua complessità, nelle sue stratificazioni diacroniche e sincroniche, nei suoi elementi più risalenti e più recenti, senza nulla trascurare e nulla tralasciare. Solo in tal modo la spinta del presente può sortire l’effetto d’una ‘riappropriazione’ e ‘reinterpretazione’ del passato compiuta e soddisfacente» (Di certe smanie ‘romanistiche’ attuali, in Variae, I, cit., 49 s.). La citazione tratta da Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino 1948, 218 di Antonio Gramsci è posta anche in epigrafe all’Introduzione di ‘Beneficium’ servile-‘Debitum’ naturale: Sen., De ben. 3.18.1 ss., D. 35.1.40.3 (Iav., 2 ex post Lab.), cit., 1.
[6] Così si legge nella relazione per la proposta di conferimento del titolo di professore emerito a firma di Andrea Di Porto, allegata al verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze giuridiche del 26 ottobre 2015 e approvata dal Senato accademico il 20 aprile 2017. Su questi indirizzi metodologici si vedano i contributi ripubblicati nel primo volume della raccolta dei suoi scritti collocati nella sezione Concezioni giuridiche e ideologiche, in Variae, I, cit., 1-143.
[7] Di tale passione per la didattica sono testimonianza i due volumi delle Lezioni di Diritto privato romano, editi rispettivamente, nell’ultima edizione, nel 2009 e nel 2012 (Torino).
[8] Del quale con acribia curò, in occasione del decennale dalla morte, la raccolta in più volumi degli Scritti pubblicata, tra il 1998 e il 2000, nella collana Antiqua, preceduta da una sua importante Nota di lettura (ora anche in Variae, II, cit., 1209 ss.).
[9] Paesaggio crepuscolare che ricorda il titolo di un noto libro di Oswald Spengler – Der Untergang des Abendlandes – alle cui pagine, dove l’autore tedesco esprimeva certi giudizi sulla giurisprudenza romana, il prof. Mantello ha dedicato il denso e già citato saggio La giurisprudenza romana fra nazismo e fascismo [1987], cit., 975 ss.
[10] Scriveva nella Premessa all’ultima edizione del primo volume delle sue Lezioni: «il ‘tempo’ – questa entità misteriosa, in bilico fra oggettività e soggettività – sembra aver assunto un moto sempre più veloce: con accelerazione progressiva sono cadute certezze, ne sono nate altre».
[11] L. D’Amati, Raffinato studioso, indimenticabile amico. In memoriam. Francesco Maria Silla, in Quaderni Lupiensi di Storia e Diritto, Anno XIII, 2023, 267 s.
Pubblichiamo un'anticipazione degli Atti del Convegno La magistratura e l’indipendenza promosso da Questa Rivista che si è tenuto a Roma il 12 aprile 2024 e che saranno pubblicati prossimamente in un fascicolo a cura di Sibilla Ottoni, Michela Petrini, Marco Dell'Utri e Angelo Costanzo.
Introduzione
di Paola Filippi
Questo fascicolo contiene gli atti del Quarto convegno della Rivista Giustizia Insieme dal titolo La magistratura e l’indipendenza, dedicato a Giacomo Matteotti a 100 anni dal suo omicidio per mano di sicari di Benito Mussolini.
Il convegno si è svolto nella magnifica biblioteca di Sant’Ivo alla Sapienza, in un luogo ove sono conservati gli atti dei più importanti processi svoltisi durante il ventennio fascista. Omicidi e pestaggi a opera dell’Ovra e della milizia fascista rimasti impuniti anche per la mancanza di indipendenza della magistratura del ventennio.
L’omicidio di Giacomo Matteotti – delitto politico, snodo dell’avvento del fascismo – è strettamente collegato all’indipendenza della magistratura.
È importante ricordare i magistrati coinvolti nelle vicende processuali. E questo è necessario farlo anche perché, come ha scritto Primo Levi, bisogna ricordare «perché quello che accaduto una volta può accedere ancora». Tutto ciò che è accaduto può ripetersi, perché i meccanismi del genere umano non mutano con il passare del tempo.
Il processo richiama prepotentemente la questione dell’indipendenza della magistratura.
La storia dell’omicidio di Giacomo Matteotti è anche la storia dell’indipendenza di magistrati come Mauro Del Giudice e Guglielmo Tancredi, ovvero della diversa declinazione della dipendenza di magistrati come Niccodemo Del Vasto, procuratore che sostituì Tancredi e Fagella, Presidente del Tribunale di Roma, Vincenzo Crisafulli, Procuratore Capo dell’Ufficio di Procura di Roma, Giuseppe Francesco Danza, presidente del collegio giudicante di Chieti e Alberto Salucci, procuratore d’accusa.
È evocativa del valore dell’indipendenza la frase del memoriale di Mauro Del Giudice – conservato presso l’Archivio di Stato – consegnato alla corte di assise di appello di Roma che procedette a carico dei sicari a seguito del decreto luogotenenziale che dichiarò inesistente, tra gli altri, la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Chieti il 24 marzo 1926.
«Ripeto che parlo per vero dire, non già perché mosso da alcun sentimento di rancore o per vendicarmi della persecuzione ventennale subita per avere fatto allora il mio dovere di magistrato indipendente. Sono sull’orlo della tomba ed assai prossimo a render conto a Dio della mia vita trascorsa negli uffici giudiziari. Debbo perciò essere creduto.»
L’esperienza della magistratura degli anni ’20, come ricorda il prof. Scarselli«costituisce per noi un indispensabile spunto per riflettere sulle nostre attuali questioni, e ciò anche perché, nella storia, come molti filosofi ci hanno insegnato, tutto ciò che è accaduto può ripetersi, e i meccanismi del genere umano non mutano con il passare del tempo».
«In primo luogo, in questo ricordo della magistratura, si riesce a rinvenire tutti i tratti dell’essere umano: si va dal senso del dovere di Mauro Del Giudice al lassismo opportunista di Giuseppe Francesco Danza, dall’orgogliosa consapevolezza della funzione giudicante di Lodovico Mortara allo scandaloso esercizio della funzione requirente di Alberto Salucci, dalla sete di indipendenza e giustizia di Vincenzo Chieppa agli atteggiamenti privi di rigore quali quelli tenuti dai magistrati del processo a Benito Mussolini tra il 1919 e il 1922, fino alla smoderata ambizione e al trasformismo di giudici quali Michele Isgrò e Giuseppe Montalto, disposti a dirigere un Tribunale Speciale a servizio di un dittatore per motivi personali di tipo carrieristico.»
L’indipendenza della magistratura è un bene prezioso.
La definizione di Stato di diritto presuppone un sistema di norme chiare, giustificate quanto alla loro obbligatorietà dai principi costituzionali e unionali, e che in qualche modo ne siano la realizzazione, esige la sottoposizione indifferenziata alla legge di tutti i cittadini e tutti gli enti e presuppone l’autonomia e la separatezza dei poteri e dunque l’indipendenza del potere giurisdizionale.
Non a caso, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento 2020/2092 del 16 dicembre 2020 del Parlamento europeo, come primo elemento sintomatico di una situazione di violazioni delle Stato di diritto, al primo punto ovvero alla lett. a), sono indicate «le minacce all'indipendenza della magistratura».
La nozione di stato di diritto è strettamente collegata a quella di società democratica che trova il suo necessario contrafforte in un sistema giudiziario efficiente, imparziale e indipendente.
L’indipendenza del potere giurisdizionale, di coloro che emettono la decisione, ma pure della magistratura requirente costituisce un diritto del cittadino.
La parità di tutti i cittadini davanti alla legge pretende l’indipendenza del potere giurisdizionale così come pretende l’indipendenza del magistrato e l’imparzialità delle sue decisioni.
Se l’indipendenza del corpo magistratuale e del singolo magistrato che lo compone è un diritto irrinunciabile dei cittadini e della collettività, per il magistrato più che un dovere è un dover essere.
Non a caso l’indipendenza e l’imparzialità, sin dalla prima regolamentazione delle valutazioni di professionalità dopo l’abolizione, negli anni Sessanta, dei concorsi e degli scrutini in cui si articolava il sistema dei c.d. ruoli chiusi – mi riferisco alla circolare Tamburino del 1985 – sono stati individuati – successivamente è stato aggiunto l’equilibrio – come pre-requisiti, ai fini dell’esercizio della funzione giurisdizionale.
La violazione di tali doveri da parte di un singolo magistrato si riverbera negativamente sull’intero corpo magistratuale.
D’altro canto, come ci ha ricordato Zagrebelsky, «Indipendenza e imparzialità sono doveri fondamentali riguardanti i singoli magistrati e la magistratura nel suo insieme. Vi è un nesso stretto tra ciò che riguarda il singolo magistrato che si esprime e le ricadute sulla magistratura tutta. Quando si dice – e si pretende che abbia portata generale – che la magistratura è “potere diffuso”, si deve poi considerare che il potere giudiziario tutto è coinvolto nel comportamento dei singoli magistrati» (La libertà di espressione e l’imparzialità di Vladimiro Zagrebelsky, pubblicato il 2 gennaio 2024 su questa Rivista, sotto la voce Costituzione e carte dei diritti fondamentali).
Abbiamo individuato come argomento del quarto convegno di Giustizia insieme: “l’indipendenza della magistratura” per tre ordini di ragioni.
La prima: in quanto riteniamo che l’indipendenza della magistratura debba essere costantemente oggetto di attenzione e noi vorremmo dare un senso alla necessità di attenzione perché dall’indipendenza dipende il sistema democratico.
Come ha scritto Licia Fierro nel bel saggio intitolato Giacomo Matteotti: il suo e il nostro tempo, «I sistemi democratici non nascono una volta e per sempre, vanno costruiti e ricostruiti ogni giorno».
La seconda ragione è che occorre essere consapevoli dell’esistenza di situazioni potenzialmente idonee a turbare l’indipendenza, situazioni spesso sottovalutate se non addirittura ignorate. Occorre mettere sotto osservazioni le potenziali situazioni di rischio.
La terza ragione è che occorre iniziare a ragionare attorno alla questione dell’indipendenza delle decisioni in relazione all’intelligenza artificiale; a riflettere in tema di indipendenza, prevedibilità e algoritmo.
La prima sessione del convegno è stata dedicata all’indipendenza del magistrato europeo.
Dalla Corte di Strasburgo arrivano segnali che ci rassegnano una allarmante tendenza verso la retrocessione dello stato di diritto in alcuni paesi dell’Unione, come peraltro in paesi occidentali nell’orbita di influenza con l’Unione – penso a Israele.
La Presidente della Corte di Strasburgo, al seminario presso l’Accademia dei Lincei – come richiamato da Simone Pitto nel suo articolo “Unpacking the courts”: prevenzione e reazione agli attacchi all’indipendenza dei giudici. Brevi riflessioni a partire dal Convegno “Giudice e stato di diritto”, pubblicato il 9 aprile 2024 sulla Rivista – ha segnalato che quanto osservato a Strasburgo in questi ultimi anni non è una mera “retrocessione” dello Stato di diritto ma un chiaro segnale dell’esistenza di un fenomeno di degenerazione ed erosione della democrazia.
Si registra una ampia giurisprudenza della Corte di Strasburgo che segnala interventi diretti a minare l’indipendenza dei magistrati attraverso provvedimenti che modificano la disciplina in settori nevralgici quali la carriera, i trasferimenti, le sospensioni, i procedimenti disciplinari. Si tratta di interventi normativi idonei a influenzare nei paesi sotto osservazione quali Polonia, Ungheria, Bulgaria, Malta, Romania, Slovacchia. Tanto per fare un esempio pendono 450 ricorsi che sollevano dubbi sull’indipendenza della magistratura in Polonia.
Con riferimento all’Ungheria, in relazione al caso Salis, la giudice Ungherese Anna Madarasi ha scritto un interessante articolo che evidenzia l’altra faccia della medaglia ovvero quella della pressione di governi esteri sui magistrati nazionali.
Le sue riflessioni portano a pensare che lì dove è in dubbio l’indipendenza c’è meno rispetto dell’imparzialità nelle decisioni (Quis Custodiet Ipsos Custodes? Note al margine di un processo penale ungheresepubblicato il 24 marzo 2024 – voce diritti stranieri).
È indispensabile la ricerca collettiva degli anticorpi per le criticità che rilevanti in tema di condizionamento dei giudizi e quali i rimedi.
(Si rinvia alla lettura dell’articolo del titolo L’Unione Europea e lo Stato di diritto. Fondamento, problemi, crisidi Vladimiro Zagrebelsky del 28 maggio 2021 - voce diritto UE).
La coordinatrice della tavola rotonda è stata Sibilla Ottoni, giudice del Tribunale di Tivoli. Hanno partecipato Simone Benvenuti, professore di diritto pubblico presso l’Università Roma TRE, Leonardo Pierdominici, ricercatore di diritto pubblico presso l’Università di Bologna e Simone Pitto, assegnista di ricerca presso l’Università di Genova.
La seconda sessione è stata dedicata all’indipendenza della magistratura in Italia. Ci siamo interrogati in ordine ai pericoli per l’indipendenza ricollegabili, anche solo in via indiretta, a talune riforme in itinere. Pensiamo alla valutazione professionale fondata sulle valutazioni dei provvedimenti; si tratta di una previsione potenzialmente lesiva dell’indipendenza del giudice per il metus che può condurre il giudice a non emettere la decisione giusta, scevra da condizionamenti, per paura di valutazioni non positive.
Come ha scritto Nello Nappi: «Il conformismo è il vero rischio professionale dei magistrati, perché li esonera da quella “responsabilità empatica” che è indispensabile per riconoscere l’effettivo significato dei comportamenti altrui nel contesto di una comune costellazione di valori» (su questa Rivista in “Equilibri ed equilibrismi” pubblicato il 4 aprile 2024 - voce ordinamento giudiziario)
Premesso che l’ottimismo del cuore ci induce a ritenere che i test psicoattitudinali, come in più sedi ha evidenziato il Presidente Santalucia e come scrive Nappi, non siano altro che “l’ennesima operazione di equilibrismo propagandistico” i test, in astratto, potrebbero divenire uno strumento non utile al servizio giustizia bensì un strumento a disposizione di chi volesse selezionare i vincitori di concorso in base alle idee e al pensiero politico. Non è con i test che si valuta l’equilibrio e, d’altro canto, la valutazione di detto pre-requisito deve essere costante come lo è in base alle valutazioni periodiche alle quali negli organi di governo autonomo decentrato partecipano pure gli avvocati.
Una operazione che pure mette a repentaglio l’indipendenza della decisione, con condizionamenti intenzionali provenienti dall’esterno, è l’attività di dossieraggio e l’attività denigratoria diretta e personale contro magistrati in ragione di provvedimenti emessi. A questo riguardo viene in mente l’attacco del 15 ottobre 200 9al collega Raimondo Mesiano, che il giorno prima aveva condannato la Fininvest a pagare una multa milionaria per danni alla Cir di Carlo de Benedetti, ma anche i recenti dossieraggi, anche successivi al convegno – si pensi alle notizie personali divulgate dalla Stampa riguardo al Presidente Marco Gattuso per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia -.
È di questi giorni il tweet di Elon Musk del tenore “These judges need to go” riferito ai giudici che si sono occupati delle richieste di convalida del trattenimento di cittadini dell’Egitto e del Bangladesh, ovvero che hanno deciso con riferimento a questioni riguardante la procedura da adottare e quindi scelta squisitamente giurisdizionale.
Le “schedature” realizzate in danno dei magistrati dimostrano plasticamente come anche la privacy sia condizione di libertà e, a un tempo, di democrazia. L’utilizzo distorto dell’informazione può determinare condizionamenti e incidere su scelte decisionali che presuppongono l’indipendenza e così determinare rischi rilevanti per la tenuta delle garanzie democratiche.
A questo proposito occorre richiamare la ricorrente affermazione della Corte di Strasburgo secondo la quale: deve essere costantemente protetto «il ruolo speciale ricoperto nella società dal potere giudiziario che, in quanto garante della giustizia — valore fondamentale in uno Stato di diritto —, deve godere della fiducia della collettività se deve poter svolgere le proprie funzioni».
La sessione è stata coordinata da Michela Petrini, sostituta procuratrice a Spoleto. Alla tavola rotonda hanno partecipano Giuliano Scarselli, professore di procedura civile presso l’università di Siena, l’avv. Cataldo Intrieri del foro di Roma e Giuseppe Santalucia, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.
La terza sessione ha riguardato le influenze “ambientali”. La riflessione dalla quale siamo partiti e che abbiamo deciso di esaminare con questa tavola rotonda è strettamente collegata alle enormi trasformazioni che hanno interessato la nostra società negli ultimi vent’anni.
Ci sono fattori ambientali destinati a influenzare surrettiziamente le decisioni giurisdizionali delle quali è necessario acquisire coscienza per elaborare schermi di protezione dell’indipendenza.
La riflessione dalla quale siamo partiti è che con la trasformazione da homo politicus a homo economicus anche lo iurius dicere si trova a fare i conti con gli effetti economici delle decisioni.
Su altro terreno, il PNRR, con la celerità delle decisioni che impone per fini economici, potrebbe limitare la riflessione sottesa alla soluzione dei conflitti. La rapidità nell’assunzione delle decisioni in quest’ottica potrebbe ledere l’indipendenza per la limitazione dei tempi che impone ab esterno, a scapito del cittadino. La celerità, d’altro canto, conduce al conformismo, con i danni ai quali abbiamo fatto riferimento, richiamando le parole di Nello Nappi e all’automatismo a scapito della ponderazione. I condizionamenti a scapito dell’indipendenza si registrano con riferimento al fenomeno del processo mediatico e a tutte le pulsioni populistiche che ne derivano. Spinte che portano il giudice a decidere come Pilato per accondiscendere il popolo.
Ha coordinato la terza sessione Marco Dell’Utri, consigliere della Corte di Cassazione. Hanno partecipato alla tavola rotonda Gabriella Luccioli, Presidente emerita della Prima sezione della Corte di Cassazione, Bruno Montanari, professore di filosofia del diritto presso l’Università di Catania e la Cattolica di Milano, Geminello Preterossi, professore di filosofia del diritto dell’università di Salerno e direttore scientifico dell’Istituto Italiano per gli studi filosofici di Napoli.
Infine la quarta sessione è stata pensata per analizzare l’indipendenza e l’intelligenza artificiale. Un terreno tutto da esplorare nel quale è nostra intenzione declinare il profilo dell’indipendenza in un ambito del tutto nuovo. “L’intelligenza artificiale garantisce l’assenza di condizionamenti?”
Ha coordinato l’ultima sessione Angelo Costanzo, consigliere della Corte di Cassazione e hanno partecipato alla tavola rotonda Nicola Zamperini, giornalista esperto di culture digitali, Giancarlo Montedoro, presidente di sezione del Consiglio di Stato, Ombretta di Giovine, consigliera della Corte di Cassazione.
Giudicare: un compito necessario e impossibile a un tempo
Recensione a Glauco Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, II ed. Laterza, Bari-Roma 2025, pp.208.
Sommario. 1. Processo penale: uno stretto ponte tibetano - 2. Contraddittorio e ricerca della verità - 3. Le strutture portanti dell’attuale processo penale - 4. Processo penale e comunicazione - 5. La separazione delle carriere - 6. Questa nostra giustizia imperfetta.
1. Processo penale: uno stretto ponte tibetano.
“Giudicare: un compito necessario e impossibile a un tempo. Necessario, soprattutto quando abbiamo a che fare con fatti di reato, perché una società non può lasciare privi di conseguenze comportamenti incompatibili con la sua ordinata sopravvivenza. Impossibile, perché non siamo in grado di conoscere la verità. O, meglio, non possiamo mai avere la certezza di averla conseguita.” Incipit della nuova edizione ampliata e aggiornata della “Prima lezione sulla giustizia penale” di Glauco Giostra, professore emerito di procedura penale presso l’Università la Sapienza di Roma. L’A. ripropone l’immagine del processo “come uno stretto ponte tibetano… Affinché abbia tenuta sociale è necessario che la collettività riconosca che lo stesso costituisce la via meno imperfetta e per cercare di attingere la verità nel contesto storico, culturale e scientifico in cui è chiamato ad operare: soltanto così il prodotto finale, la sentenza, si rende eticamente accettabile socialmente accettato, nonostante la sua insopprimibile fallibilità.” L’intento di dirigersi anche a lettori non giuristi è raggiunto grazie alla chiarezza dell’esposizione, nonché al Glossario, cui nel testo si fa rimando quando compaia un indispensabile termine specialistico. Le duecento pagine del volumetto sono ricchissime di spunti di approfondimento per chi abbia già avuto modo, come studioso o pratico, di confrontarsi con le tematiche del processo. Troviamo analisi accurate, anche prese di posizione nette, ma proposte sempre all’esito di un esame degli argomenti pro e contro; mai scorciatoie argomentative o posizioni “assolutiste”.
Subito un esempio: “la condizione di terzietà del giudice è un elemento necessario, ma non sufficiente per avere la certezza che possa assolvere la sua funzione con neutrale obbiettività. Ogni persona investita del titanico compito del giudicare ha un vissuto, un patrimonio culturale e un assetto emotivo che fatalmente ne influenzano le capacità di percepire, di valutare e di decidere.” (p.5).
Il nucleo centrale della riflessione dell’A. è nella parte intitolata “Il volto costituzionale della nostra giustizia penale”. La svolta è avvenuta con il codice di procedura penale del 1989:” Il tempo del ‘più informazioni si hanno, meglio si decide ‘, doveva lasciare il posto ad un ‘meglio si decide, quando le informazioni sono assunte con un metodo che ne garantisca l'affidabilità’ ” (p.41). Dieci anni dopo, superate resistenze e passi indietro, le regole del giusto processo vengono fissate “con la riscrittura dell'articolo 111 Costituzione, peraltro di assai discutibile fattura tecnica.” (p.44)
Dopo la netta presa di posizione: “Il contraddittorio costituisce uno strumento, ancor oggi il meno imperfetto, per la ricerca della verità o meglio per ridurre il più possibile lo scarto fra verità giudiziale e verità storica” (p.45-46), l’A. mette in guardia contro ogni “sorta di rappresentazione ‘agiografica’ del nostro sistema processuale: avere consapevolezza critica dei suoi limiti può servire al legislatore e all'interprete almeno per contenerne le conseguenze.” (p. 50). Infatti “Il processo penale costituisce l'ambito giurisdizionale in cui il contraddittorio risulta di più necessaria, ma anche di più difficile realizzazione.” (p.55) Non si sottace la difficoltà di assicurare la cosiddetta “parità delle armi” tra accusa e difesa: “A differenza di quanto accade nel processo civile, in cui i contendenti disputano per l'affermazione dei propri speculari interessi, nel processo penale abbiamo un soggetto privato che difende la sua libertà e la sua reputazione e un soggetto pubblico che non ha interessi in senso proprio a limitare la prima e a macchiare la seconda, ma che deve accertare con obiettività l'esistenza di un fatto penalmente rilevante e individuarne il responsabile.”( p.56)
Richiamata l’imparzialità istituzionale del Pm, l’A. avverte quanto però operi la “legge psicologica dell'inerzia” (Cesare Musatti): “L'organo inquirente formula un'ipotesi per cercare la verità, ma sovente finisce per cercare la verità della sua ipotesi. Ha un'attenzione selettiva, una visione monoculare, parziale della realtà. In questi ineludibili termini il pubblico ministero è parte.” (p. 68). Non giova eludere le differenze: “Il legislatore ordinario è chiamato quindi ad un compito molto difficile: non deve puntare ad un'impossibile uguaglianza delle parti, attesa la congenita asimmetria strutturale del rito penale, ma deve costruire un sistema in cui l'accusa e la difesa abbiano equivalenti opportunità di influire sul convincimento giudiziale e quindi sull'esito finale del processo.” (p.69).
2. Contraddittorio e ricerca della verità.
Di qui la particolare attenzione al contraddittorio nella formazione della prova. Sottolinea l’A. che il contraddittorio trova la sua massima espressione quando sono assicurate l’oralità e la contestualità del confronto. La pratica, peraltro, ci insegna quanto i tempi lunghi dei dibattimenti finiscano per mettere in crisi questi principi. Quando i giudici (togati e popolari) si ritirano in camera di consiglio per la decisione a conclusione di un dibattimento durato mesi, se non anni, il ricordo dell’assunzione orale della prova è soppiantato dalla rilettura del verbale di quella udienza. Il principio della ragionevole durata del processo è sì un diritto dell’imputato, ma anche garanzia di un processo giusto, che si fondi sull’effettività dei principi del contraddittorio e dell’oralità.
Sul tema della verità l’A. ritorna in più passaggi: “Tra le tante verità possibili quella espressa dal processo costituisce la migliore verità che una società è in grado di darsi nel rispetto dei diritti dei suoi consociati.” (p. 10). Ma vi sono limiti alla ricerca della verità: limiti valoriali (non solo la tortura, ma “l’ordinamento ripudia il ricorso a metodiche lesive della dignità umana, anche ove utili all’accertamento della verità” p. 17) e limiti epistemologici (“connaturati alla fallibilità dei nostri strumenti di conoscenza” p.21). Limiti, ma contraddittorio come lo strumento meno imperfetto “per la ricerca della verità”.
L’A. senza neppure citarle liquida così le teorie del processo come “gioco di parti”, indifferente allo scopo purché siano rispettate le “regole del gioco”. Si è già citata la immagine del processo come stretto ponte tibetano: “la via meno imperfetta per cercare di attingere la verità”.
Non mancano coloro che, in omaggio ad una mitica purezza del modello accusatorio, fanno proprie teorie che, pur presenti tra autori americani, sono ormai da tempo abbandonate in quella Inghilterra che è pur sempre la patria del processo adversary. A far giustizia di sbrigative posizioni giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca presidente di una Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese): “Il processo penale non è un gioco. È la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato”.[1]
Qualche anno fa Mireille Delmas Marty scriveva: “In effetti, se l’esercizio del dubbio fonda l’etica del giudice penale, è perché il riferimento alla verità, ed alle incertezze che inevitabilmente l’accompagnano, resta al centro della giustizia penale”.[2]
Una volta riaffermato che la “verità processuale” non può essere la verità assoluta[3], possono essere severamente liquidate, come osserva Paolo Ferrua, le semplificazioni: “Si è diffusa una dannosa tendenza a concepire il processo accusatorio come pura soluzione di conflitti tra le parti, dominato da una esasperata disponibilità della prova, da una logica di laissez faire, pronta a sacrificare le esigenze di giustizia sostanziale».[4]
Uno studioso inglese, John Spencer, professore all’Università di Cambridge e profondo conoscitore dei sistemi continentali, affrontando il problema delle regole probatorie nel processo penale nel confronto tra sistemi di tradizione accusatoria e di tradizione inquisitoria, si chiedeva se si potessero ravvisare segni di avvicinamento. “A prima vista la risposta è: ‘no, il fossato si allarga’ […]. Questa visuale, tuttavia è ingannevole. Malgrado certe differenze evidenti e talora profonde, ciascuno dei due gruppi ha già fatto proprie, in parte, idee dell’altro, più razionali e più civili […]. Soprattutto, però, contrariamente a quanto talora si sente, i due gruppi sono unanimi su ciò che è per ciascuno lo scopo essenziale delle regole probatorie: dappertutto è l’accertamento della verità.”[5]
John Spencer riporta a sostegno l’osservazione di un celebre giudice inglese, Lord Denning: “Neppure in Inghilterra il giudice è semplicemente un arbitro chiamato a rispondere alla domanda How’s that? che è l’espressione tradizionale del giocatore di cricket che crede di avere segnato un punto e chiede all’arbitro di dargliene conferma”. Peraltro anche nell’accusatorio in declinazione Usa dove il giudice nel processo con giuria avrebbe un ruolo di mere umpire (mero arbitro) non mancano temperamenti. Anche se esercitata con molta parsimonia il giudice ha la facoltà di convocare un teste per interrogarlo personalmente e può rivolgere domande a quelli convocati dalle parti.[6] Si consideri il rilevante ruolo del giudice nell’ammettere o escludere prove. Inoltre, a conclusione del dibattimento,” il giudice impartisce le instructions alla jury, rendendola edotta delle norme sostanziali, processuali e probatorie applicabili e sul significato dello standard di prova a cui deve attenersi nel decidere.”[7]
Secondo il nostro A. quello dei poteri da conferire al giudice è “uno dei passaggi più delicati e più stretti del nostro ‘ponte tibetano’ […] È un problema delicatissimo di bilanciamenti, di dosaggio. Inaccettabili le soluzioni estreme. Sia quella che vorrebbe il giudice passivo spettatore, sia quella che ne vorrebbe fare l'attore protagonista. Anche in questo caso, bisogna tener presente che dialettica tra le parti e imparzialità del giudice sono mezzi, non fini: è quindi bene prevederne temperamenti quando ciò, per esperienza e per logica, risulta utile al perseguimento della verità. In tal senso si è opportunamente orientato il nostro legislatore, che riconosce al giudice poteri di intervento di ufficio, ma soltanto a carattere residuale (anche nel senso di successivo alle iniziative delle parti) e comunque con un invalicabile confine: il giudice non può mai formulare, neppure parzialmente, l’accusa, né gestire l'istruzione dibattimentale secondo una propria ipotesi di ricostruzione dei fatti.” (pp.141-142)
3. Le strutture portanti dell’attuale processo penale.
La parte III è dedicata alla ricognizione delle “Strutture portanti dell’attuale processo penale”, segnalando le innovazioni più recenti. Oggi, sulla richiesta del Pm di applicare una misura cautelare, decide il Gip come giudice singolo; con legge del 2024 si è previsto un Gip collegiale. L’entrata in vigore della riforma è stata rinviata di due anni, ma si può sin da ora prevedere che formare questo collegio di tre giudici sarà possibile, e con difficoltà, solo nei grandi Tribunali metropolitani, una dozzina in tutta Italia. Per il resto si dovrebbe provvedere con magistrati applicati ad hoc, magari provenienti dal settore civile, con una serie di ricadute negative a livello organizzativo.
Una recentissima modifica ha introdotto la figura dell'interrogatorio anticipato per garantire un confronto preventivo tra accusa e difesa dinanzi al giudice prima che questi si pronunci sull'emissione del provvedimento cautelare. Anche qui ottimo proposito, ma di difficile praticabilità, soprattutto perché calibrato su indagini con un solo indagato, mentre nella realtà normalmente gli indagati sono diversi.
Ancora una innovazione di grande interesse: la “giustizia riparativa”, ma, avverte l’A. come sia “impervia la difficoltà di disciplinare le interazioni tra il percorso di giustizia riparativa e il processo penale. Abbiamo a che fare infatti con due mondi che hanno grammatica e sintassi più che diverse opposte” (p.170).
4. Processo penale e comunicazione
La parte IV è dedicata alla narrazione della giustizia penale. La posizione dell’A. è netta. “Ogni ordinamento moderno è alla difficile ricerca di un punto di equilibrio ottimale tra le esigenze dell'informazione, della giustizia e della riservatezza individuale. A me sembra che quello espresso dal nostro sia largamente insoddisfacente: mal tutelate le prime, iperprotettive le seconde, garantite random le ultime” (p.174). Un’accurata trattazione è dedicata a tutte le problematiche coinvolte e non poteva essere altrimenti, data la costante attenzione dell’A. a questa tematica a partire dal pionieristico studio del 1989 “Processo penale e informazione”. Vale la pena, dunque, di riprendere diversi illuminanti passaggi.
La “giustizia è amministrata in nome del popolo” (art. 101 co. 1 Cost): dunque informazione sul modo con il quale viene resa giustizia, quale controllo e fonte di legittimazione. “Un controllo sociale inteso non certo ad approvare o a contestare la singola decisione, bensì a verificare se la collettività si riconosce nelle vigenti regole della iurisdictio o se ritiene necessario darsene di diverse, qualora il metodo, le controindicazioni e i risultati non corrispondessero più alla sua mutata sensibilità.” (pp. 171-172).
Durante la fase delle indagini preliminari” vi è la necessità di garantire altri interessi confliggenti non meno meritevoli di tutela. [..] La difficoltà per il legislatore è riuscire a tutelare la riservatezza delle indagini senza prolungare il black out informativo oltre il necessario, arrecando ingiustificato pregiudizio al diritto della collettività ad essere informata; nonché, realisticamente, determinando una decrescente tenuta del divieto di pubblicazione.” (pp.172-173). Quanto alla tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti, l’A. liquida diffuse quanto infondate polemiche. “È bene fare a riguardo una precisazione. Solitamente si dice che va tutelata la riservatezza dei soggetti estranei al processo: a me sembra che il discrimine non debba intercorrere tra soggetti, bensì tra atti rilevanti e atti irrilevanti per il processo. Rispetto ai primi, che riguardino imputato, persona offesa o soggetti terzi, deve prevalere sempre l'interesse pubblico alla conoscenza; rispetto ai secondi, invece, dovrebbe sempre prevalere l'interesse alla tutela della riservatezza della persona, a prescindere dal suo rapporto con il procedimento.” (p.173).
Un argomento portato a sostegno dei limiti alla pubblicabilità degli atti non più segreti è quello della tutela della cosiddetta verginità cognitiva del giudice. Di questi atti è consentita la pubblicabilità del solo contenuto, ma non del testo né integralmente né parzialmente. “Si ritiene che il convincimento del giudice possa subire qualche condizionamento dalla riproduzione letterale dell'atto, mentre resterebbe impermeabile al suo riassunto giornalistico. Da un punto di vista teorico siffatto ragionamento regge, ma la realtà induce a riflessioni un po’ più pragmatiche. […] appare improbabile che in un domani lontano, tra anni, il giudice sia condizionato dalla pubblicazione, oggi, di un atto non segreto, quando ancora ignora se quel procedimento sarà archiviato, se verrà instaurato un rito speciale, se la competenza potrà essere sua.” (p.175-176) Anche su questo tema la conclusione dell’A. è netta:” Insomma, questo divieto di pubblicare in tutto in parte un atto non segreto sembra una barriera di cartapesta, che, senza giovare alla giustizia, fa male alla cronaca giudiziaria. Sarebbe opportuno quindi abbandonare questa tartufesca distinzione atto /contenuto e fare affidamento su un giudice che sappia distinguere tra la conoscenza psicologica e quella giuridica, utilizzando soltanto quest'ultima per le sue decisioni, l'unica peraltro utilizzabile per motivarle” (p.176).
Una questione delicata si pone: “quando la notizia rimasta impigliata nella rete a strascico dell'inchiesta penale, pur processualmente irrilevante, sia di pubblico interesse: di pubblico interesse, si ribadisce, e non di mero interesse del pubblico”. L’A. cita la famosa sentenza Dupuis contro Francia (Corte Edu 12 novembre 2007) e in quella linea conclude: “Le notizie rilevanti per il processo, ancorché lesive della reputazione o della privacy, dovrebbero essere sempre conoscibili e divulgabili dal giornalista: in tal caso l'interesse pubblico alla conoscenza è in re ipsa, avendo il popolo il diritto di sapere conviene amministrata la giustizia in suo nome (art. 101 comma 1 Cost.). Le informazioni irrilevanti per il processo, invece, potrebbero essere legittimamente divulgate solo ove si dimostri, e in tal caso sarebbe onere del giornalista dimostrarlo, che ricorre un interesse pubblico alla loro conoscenza.” (p.182)
5. La separazione delle carriere.
Non si può evitare una notazione su un tema di attualità. La separazione delle carriere è ritenuta da più parti imposta dal modello accusatorio; il Ministro Nordio addirittura evoca la categoria teologica del “consustanziale” (Concilio di Nicea). A fronte della grandissima attenzione alla effettività del contraddittorio e alle garanzie di difesa, colpisce che alla questione della separazione Glauco Giostra dedichi non più di poche, ma decisive, righe ritenendo “angusti i margini in termini di architettura del sistema per separare a livello ordinamentale il pubblico ministero dal giudice senza mettere a rischio l'indipendenza del primo, che pure la stessa Costituzione vuole sia assicurata.” (p.60). Questione non eludibile.
6. Questa nostra giustizia imperfetta.
Ed infine l’Epilogo, con le parole dell’A. “Se dalla nostra piccola lezione ormai al termine fossimo riusciti a ricavare la grande lezione della irrinunciabilità etica e politica di questa nostra giustizia imperfetta, amministrata da uomini imperfetti, ma indipendenti da ogni potere e soggetti soltanto alle imperfette regole a cui la collettività chiede loro di attenersi, avremmo ben speso il nostro tempo” (p.186).
Chi avrà modo di leggere questa “Prima lezione” ne trarrà una guida per avventurarsi nei tanti problemi aperti della nostra giustizia, fuori dell’approssimazione, della faziosità e della demagogia oggi così diffuse.
P.S. Il recensore si è attenuto alla norma introdotta per i limiti alla pubblicabilità degli atti non più segreti usando la tecnica del “riassunto”, ma l’ha anche molto spesso violata pubblicando molte citazioni parziali del testo. Ad evitare il rischio che il lettore si appaghi dei riassuntini e delle citazioni parziali, vale anche in questo caso la regola di esperienza che la lettura del testo integrale è sempre preferibile. E poi, come dicono certe pubblicità in Tv, vi assicuro che nel lavoro di Glauco Giostra: “Vi è di più, molto di più!”.
[1] In A rewiew of the Criminal Courts of England and Wales, September 2001, www.criminal-courts-rewiew.org.uk , p. 11: The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard.
[2] M. Delmas-Marty, La prova penale, in L’indice penale, 1996, n. 3, pp. 609-610.
[3] Cfr. L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, V ed., Laterza, Roma-Bari, 1998, pp. 94-135 e p. 546 ss; L. Ferrajoli, L’etica della giurisdizione penale, in Etica e deontologia giudiziaria, Vivarium, Napoli, 2003, p. 31.
[4] P. Ferrua, Contraddittorio e verità nel processo penale, in P. Ferrua, Studi sul processo penale, Vol. II, Anamorfosi del processo accusatorio, Giappichelli, Torino, 1992, p. 48-49
[5] J.R. Spencer, in Procedure penali d’Europa, cit., pp. 614-616).
[6] V. Fanchiotti, La giustizia penale statunitense. Procedure v. antiprocedure, Giappichelli, Torino 2022, p. 93
[7] V. Fanchiotti, ivi, p. 100
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