ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Era tempo che attendevo il nuovo film di questo regista che tanto mi ha fatto innamorare in passato. E l’attesa (resa amara dal timore che realmente non ci sarebbero stati altri suoi film, come paventato) non è stata vana.
“Sappiamo o non sappiamo, amici miei, cos’è il silenzio?” chiede Rilke nei suoi Sonetti a Orfeo. La stessa domanda sembra porcela il regista finlandese, nella solitudine proletaria di Helsinki, che, in questo film, giunto sei anni dopo L’altro volto della speranza, appare sollevata dallo spazio e dal tempo.
È l’atmosfera adatta per i suoi protagonisti, due anime laterali, mal conciliate alla vita e estremamente tenere, sulle cui solitudini personali ci affacciamo come sbirciando dentro una Wunderkammer.
Difficile collocare le loro vicende in un’epoca precisa, tra colori pastello, abiti informi e démodé, tecnologia vetusta e sparuta, locandine di Godard e Bresson nelle vetrine del cinema rétro (la settima arte come via di fuga dal reale), arredamento d’altri tempi. Unici indizi temporali: la guerra in Ucraina (la “dannata guerra”, come la chiamerà Ansa), della quale giungono notizie attraverso un radio giornale e un calendario affisso nella laida e spoglia cucina di un pub (del 2024, però), scenario dell’ennesimo sfruttamento, dell’ennesima sconfitta.
Il silenzio in Kaurismäki spesso è più denso della parola, lo sappiamo bene. Sembra guardarci sorridente mentre ci lambicchiamo per trovare i vocaboli giusti, consapevole che il suono più adatto talvolta è quello sospeso, adagiato tra una parola e l’altra dei suoi dialoghi ironici e surreali, perfetti, definitivi.
“L’amore consiste in questo, che due solitudini si proteggono a vicenda, si toccano, si salutano”, è ancora Rilke a ricordare. E questa è la storia di Ansa e Holappa (il cui nome di battesimo non si conosce per la durata del film). Ansa, una giovane donna sola e sfiorita che lavora in un supermercato fino al momento in cui viene scoperta a sottrarre prodotti scaduti, uno trovato nella borsetta e altri lasciati a un senzatetto anziché destinarli al macero, come previsto dal protocollo. E Holappa, un operaio metalmeccanico, altrettanto solo, mite e col vizio del bere, che gli farà perdere il lavoro.
Entrambi sottopagati, umiliati, privi di tutela, sconfitti, ai margini di un mondo che sembra non accorgersi delle loro esistenze. Entrambi tagliati fuori dalle regole del gioco («Tu non sei un duro, Holappa», gli dice l’amico Raunio con cui condivide il container dormitorio nel cantiere in cui lavorano, «Però potrei esserlo», replica il ragazzo). Esistenze oblique: si incontrano a un karaoke, dove non sono loro a cantare; si guardano a lungo, ma non si parlano; fuori dal cinema (dove hanno appena visto il grottesco I morti non muoiono di Jim Jarmusch) affidano a un biglietto un numero di telefono, che volerà via, al vento, come le parole che non riescono a dirsi; la ricerca continua l’uno dell’altro, fino al ritrovamento, quasi tragico.
Tra neorealismo e nouvelle vague, nessuna provocazione, solo la fragilità tenace e la precarietà di due figure in bilico, dai sentimenti elementari, lenti attraverso le quali giungiamo all’essenza universale, il nucleo di questo film che la bellezza delicata ha nel nome, portando nel titolo Les Feuilles Mortes di Jacques Prévert, brano reso celebre da Yves Montand. La stessa delicatezza che sarà in grado di preservare quelle due anime fragili e incerte nella brutalità devastante del mondo in cui sono loro malgrado immerse.
Proprio lì si insinua la poetica kaurismäkiana, capace di vette esilaranti, condite da una colonna sonora pienamente all’altezza, che ci regala scene colorate da un umorismo agrodolce, impassibile e malinconico, fatto di trasparenze e di scene sublimi incastonate nella pellicola (la cena per la quale Ansa deve comprare un altro piatto - che avrà vita breve - perché ne possiede soltanto uno, l’insalata di asparagi e quello che tutti chiamano “aperitivo”, è soltanto una di queste).
Un film dallo splendore poetico, minimalista e pungente, in cui nulla è di troppo, perfetto per sottrazione.
Emblematico anche il duo delle sorelle finlandesi che canta nel pub, le Maustetytöt, in inglese, letteralmente, Spice Girls, definite dal New York Times “impossibly cool Finnish duo”, che ci regalano una scena di nichilismo imperturbabile, ma al contempo caldo, timido e spavaldo, estremamente nordico.
Ansa e Holappa sono proletari resistenti in un mondo insensibile e brutale, dove l’addetto alla vigilanza del supermercato di periferia risponde come i gerarchi nazisti al processo di Norimberga.
Un mondo brutale, ma non a tal punto da uccidere la speranza.
Mettendo insieme i rimasugli di una non sopita voglia di vivere, un passo claudicante può tramutarsi nella vigilia di una nuova solitudine, da condividere, col retrogusto di una relativa felicità.
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Roma, 12 aprile 2024
“LA MAGISTRATURA E L’INDIPENDENZA”
In memoria di Giacomo Matteotti
Quarto Convegno di Giustizia Insieme
DIRETTA SUL SITO DI RADIO RADICALE https://www.radioradicale.it/dirette (Special live) dalle ore 9
La terzietà, sia nell’essere che nell’apparire, è sufficientemente garantita dall’investitura di un organo estraneo al potere politico e al potere legislativo?
La terzietà deve riguardare tutti i magistrati o è sufficiente sia solo dei giudici?
Cosa accade negli ordinamenti dei paesi dell’Unione in cui la terzietà non è garantita?
L’attività interpretativa può essere del tutto indipendente dal bagaglio culturale e valoriale dell’interprete? È auspicabile che lo sia?
L’intelligenza artificiale garantisce l’assenza di condizionamenti?
Sono questi i temi a confronto del quarto Convegno di Giustizia Insieme.
Con la trasformazione da homo politicus a homo economicus anche lo iuris dicere fa i conti con gli effetti economici delle decisioni. Su altro terreno, con il PNRR, la celerità delle decisioni produce effetti economici: anche questo è spunto di riflessioni.
L’indipendenza è messa a rischio anche dall’interno, per effetto di riforme ordinamentali introduttive di gerarchie o di controlli indiretti sulle decisioni non condivise dalla politica.
Noi riteniamo essenziale l’indipendenza di tutti i magistrati, sia con funzioni requirenti, sia con funzioni giudicanti. L’indipendenza nello svolgimento delle indagini preliminari e nell’esercizio dell’azione penale è una condizione irrinunciabile in uno Stato di diritto.
La costante rappresentazione mediatica di vicende che interessano l’esercizio della funzione giurisdizionale determina suggestioni che possono influenzare le decisioni in termini di accondiscendenza a quanto voluto dalla gente. Anche la ricerca di popolarità può influenzare le scelte e minare per fatto proprio l’indipendenza del singolo magistrato.
In tema di indipendenza non può infine tralasciarsi di affrontare il tema dell’intelligenza artificiale. L’algoritmo dà certezza dell’assenza di condizionamenti e comunque della stretta attinenza alla fattispecie concreta?
Il Convegno di quest’anno non può che essere dedicato a Giacomo Matteotti, ucciso il 10 giugno 1924. Il processo contro i suoi assassini prova in maniera eclatante il vulnus derivante dalla soggezione dei magistrati al potere politico. Il giudice istruttore della Corte di assise di Roma Mauro del Giudice fu lasciato solo. Il processo fu trasferito a Chieti per legittima suspicione su richiesta del Procuratore generale. Le nostre riflessioni partiranno anche da questa vicenda, perché la memoria non sia vuota, ma esercitata nel quotidiano.
Sala Alessandrina presso S.Ivo alla Sapienza, sede dell'Archivio di Stato di Roma, Corso Rinascimento 40, Roma.
Evento accreditato presso l'ordine degli avvocati di Roma con riconoscimento di 8 crediti formativi.
Per informazioni e iscrizioni: convegno@giustiziainsieme.it
Brevi note in tema di giudicato esterno nel processo amministrativo. A proposito della sentenza Cons. St., Sez. III, 13 aprile 2023, n. 3754
di Nicolò Simeoni
Sommario: 1. La vicenda processuale – 2. La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato – 3. Il rilievo del giudicato esterno nel processo amministrativo – 4. Conclusioni.
1. La vicenda processuale
Nella sentenza in rassegna il Consiglio di Stato prende in esame il regime dell’eccezione di giudicato esterno. Segnatamente, si sofferma a delineare da un lato gli oneri di allegazione in capo alle parti e dall’altro i limiti che incontra il giudice nel rilevare la questione. Nonostante si concentri più precisamente sul solo giudicato esterno sopravvenuto, la sentenza offre l’occasione di compiere più ampie riflessioni sul tema.
La vicenda processuale trae origine dal rigetto di un’istanza di adeguamento del prezzo contrattuale ex art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 [[1]], presentata da una società a seguito della proroga del contratto di affidamento del servizio di pulizia. La società prima impugnava il provvedimento di diniego davanti al T.A.R., chiedendone l’annullamento e la consequenziale condanna al pagamento della somma revisionale, e successivamente conveniva davanti al giudice ordinario la stessa amministrazione per una pluralità di domande, tra cui quella volta a ottenere la corresponsione dell’importo dovuto a titolo di adeguamento del prezzo.
Entrambi i processi terminavano con una pronuncia nel merito, senza che venisse rilevato il conflitto positivo di giurisdizione: mentre il giudice civile rigettava le pretese attoree, il T.A.R. annullava il provvedimento di diniego e riconosceva la spettanza dell’adeguamento richiesto.
La società impugnava tempestivamente la pronuncia davanti alla Corte d’Appello, tuttavia, senza gravare la parte di sentenza relativa alla richiesta di condanna al pagamento del prezzo revisionale, la quale passava in giudicato ai sensi dell’art. 329 co. 2 cod. proc. civ. Anche la pubblica amministrazione resistente proponeva appello avverso la sentenza del T.A.R., chiedendone la riforma sulla base dell’intervenuto passaggio in giudicato della pronuncia del Tribunale ordinario.
2. La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato
Esaminando più nel dettaglio il ragionamento svolto nella sentenza in commento, si può notare come il Consiglio di Stato abbia preso atto fin da subito del possibile contrasto tra i dispositivi delle due sentenze. Sul punto, infatti, si ricorda che entrambi i giudici di primo grado, dopo avere esplicitamente affermato la propria competenza giurisdizionale [[2]], hanno statuito nel merito giungendo a due soluzioni diametralmente opposte: mentre il Tribunale ordinario ha rigettato la richiesta di adeguamento del prezzo, il T.A.R. al contrario l’ha ritenuta fondata.
Si è posto, dunque, il problema di qualificare il conflitto tra l’accertamento contenuto nella pronuncia del giudice ordinario e quello della sentenza del giudice amministrativo. A tale proposito, la Terza Sezione ha ritenuto di potere ravvisare una piena sovrapposizione tra gli oggetti delle due domande, non avendo alcuna rilevanza le differenti locuzioni utilizzate dall’attore in una sede e dal ricorrente nell’altra ovvero la diversa struttura del giudizio civile rispetto a quello amministrativo. Si è optato, pertanto, per un approccio sostanziale nella valutazione del petitum e della causa petendi. In entrambi i casi, infatti, la società allegava a fondamento della propria pretesa i medesimi fatti e mirava allo stesso risultato utile.
Alla luce di tali considerazioni, è stata ritenuta fondata l’eccezione di giudicato esterno sopravvenuto prospettata dall’amministrazione appellante. Secondo la tesi sostenuta nell’atto di gravame, infatti, la formazione del giudicato sulla sentenza del giudice ordinario, nella parte in cui accerta l’insussistenza del diritto alla revisione del prezzo, avrebbe precluso al giudice amministrativo di esprimersi sul merito della stessa domanda in virtù del principio del ne bis in idem. Per quanto concerne la definizione del regime processuale dell’eccezione di giudicato esterno, il Consiglio di Stato, dopo avere richiamato l’orientamento della Corte di cassazione sul tema [[3]], ha affermato che la presenza di una precedente sentenza irrevocabile sullo stesso oggetto e pronunciata tra le medesime parti non possa essere sottoposta a preclusioni né in punto di allegazioni né per quanto concerne la prova. Di conseguenza, il giudicato esterno formerebbe l’oggetto di una questione rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del processo e non di un’eccezione in senso stretto. Tale configurazione discenderebbe dalla necessità di garantire la stabilità dei giudicati e di evitarne il contrasto.
3. Il rilievo del giudicato esterno nel processo amministrativo
La pronuncia annotata merita di essere segnalata nella parte in cui si occupa di definire la natura dell’exceptio rei iudicatae. L’argomento non risulta essere stato oggetto di approfondimento né da parte della dottrina processual-amministrativistica, salvo alcuni rari contributi sul tema [[4]], né in seno alla giurisprudenza amministrativa, la quale invero non ha avuto spesso occasione di esprimersi sul punto [[5]]. Al contrario, la natura dell’eccezione di giudicato esterno ha animato un grande dibattito nel campo processual-civilistico, vedendo per lungo tempo la giurisprudenza e la dottrina su due opposte posizioni [[6]]. Soltanto recentemente le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno riconosciuto nel giudicato esterno una questione rilevabile ope iudicis [[7]].
Ai fini della risoluzione del caso di specie, il Consiglio di Stato ha recepito e applicato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, affermando che la prospettazione della questione di giudicato esterno non sia sottoposta a preclusioni. Si evidenzia, tuttavia, che questa presa di posizione sembra essere limitata al solo regime del giudicato esterno sopravvenuto nel corso del giudizio. Gli elementi sopravvenuti, infatti, non sono sottoposti ai limiti temporali, in quanto la parte non avrebbe mai potuto allegarli e produrli in precedenza [[8]]. Non viene chiarito, invece, se tale orientamento sia estendibile all’ipotesi in cui la questione, pur conosciuta dalle parti, non sia stata tempestivamente allegata entro i termini previsti. Sembra opportuno, quindi, svolgere alcune riflessioni allo scopo di offrire qualche spunto circa la natura dell’eccezione di giudicato esterno nel processo amministrativo.
In via preliminare si può osservare come, malgrado il d.lgs. 10 luglio 2010, n. 104, non si occupi direttamente del tema in oggetto, sia comunque possibile rintracciare alcuni indici che possono fungere da guida per l’interprete.
Un primo elemento può essere individuato nella lettera dell’art. 2909 cod. civ., nella parte in cui afferma che l’accertamento della sentenza passata in giudicato formale ex art. 324 cod. proc. civ. “fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa” [[9]]. Anche nel processo amministrativo opera l’effetto negativo-preclusivo del giudicato che impedisce alle stesse parti di riproporre una domanda con petitum e causa petendi identici a quella già oggetto di accertamento definitivo. Il secondo giudizio eventualmente instaurato si chiuderebbe con una sentenza di rigetto in rito per la mancanza di un presupposto di decidibilità della causa nel merito [[10]]. Questa prima considerazione, se suggerisce la sicura configurazione nel processo amministrativo dell’eccezione di giudicato esterno, ancora non ne definisce la fisionomia.
Un ruolo maggiormente incisivo sembra essere svolto dall’art. 106, co. 1, cod. proc. amm., secondo cui le parti possono impugnare con il rimedio della revocazione le sentenze del giudice amministrativo “nei casi e nei modi” stabiliti dagli artt. 395 e 396 cod. proc. civ. Tra i casi di revocazione è compresa anche l’ipotesi in cui una pronuncia sia contraria a una antecedente avente tra le parti l’autorità di cosa giudicata, purché non vi sia stata l’occasione per il giudice di esprimersi sulla relativa eccezione (art. 395, n. 5, cod. proc. civ.). Il contenuto della norma rende evidente il legame che intercorre con l’exceptio rei iudicatae. Si tratta in entrambi i casi di strumenti processuali complementari volti a fare valere l’esistenza di un precedente giudicato sullo stesso oggetto al fine di evitare la duplicazione e il contrasto delle decisioni giudiziali. Attraverso l’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., il legislatore permette di impugnare la sentenza utilizzando tardivamente l’eccezione di giudicato, oltre la conclusione del giudizio di primo e di secondo grado, ma a patto che la questione non fosse già stata sollevata in precedenza [[11]].
Proprio quest’ultimo profilo sembra suggerire che l’eccezione di giudicato esterno non sia sottoposta a preclusioni né per l’allegazione del fatto né in punto di produzione della relativa prova. Non avrebbe senso, infatti, prevedere un termine perentorio entro cui sollevare la questione se successivamente una delle parti fosse libera di impugnare per revocazione la sentenza facendo valere il medesimo fatto [[12]].
Parte della dottrina [[13]], poi, ha sottolineato che a fronte della previsione dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., la sentenza revocabile, in quanto pronunciata in contrarietà a quella ormai passata in giudicato, debba considerarsi viziata. Da questo punto di vista, apparirebbe complicato sostenere che la questione di giudicato esterno rientri nel monopolio esclusivo della parte interessata, in quanto si produrrebbe una sentenza viziata non per un errore compiuto dal giudice, bensì in virtù di una mancanza delle parti. Sembra preferibile, pertanto, ritenere che la questione relativa alla preesistenza di una sentenza irrevocabile sia direttamente rilevabile dal giudice senza la necessità di una preventiva e specifica eccezione in senso stretto sollevata dalla parte.
Queste conclusioni sembrano ulteriormente avvalorate dal regime processuale dell’eccezione di litispendenza. Il d.lgs. 10 luglio 2010, n. 104, non predispone direttamente una disciplina per regolare l’ipotesi in cui la stessa domanda sia contemporaneamente proposta dinnanzi a T.A.R. differenti. La lacuna è colmata applicando il disposto dell’art. 39, co. 1 e 3, cod. proc. civ., grazie alla clausola di rinvio esterno di cui all’art. 39, co. 1, cod. proc. amm. [[14]]. Nel processo amministrativo, dunque, la simultanea pendenza dei due giudizi è risolta attraverso il criterio cronologico dando prevalenza alla causa preveniente. Il giudice della causa prevenuta, invece, rileverà ex officio in ogni stato e grado la litispendenza e disporrà con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. Anche l’istituto della litispendenza sembra presentare qualche affinità con l’eccezione di giudicato esterno dal punto di vista funzionale. Attraverso la previsione dell’art. 39, co. 1, cod. proc. civ., il legislatore mira a evitare la duplicazione dell’attività processuale in relazione all’identica vicenda sostanziale e, in definitiva, di giungere a due pronunce nel merito suscettibili di passare in giudicato. Da questo punto di vista, la litispendenza è stata definita come “un’anticipazione dell’eccezione di cosa giudicata” [[15]]. Se esiste questa soluzione di continuità tra litispendenza ed eccezione di cosa giudicata, allora sembra improbabile che il legislatore abbia previsto la rilevabilità d’ufficio per la prima e non per la seconda. In questo senso, è possibile sostenere che entrambe le eccezioni sottostiano allo stesso regime processuale espressamente stabilito dall’art. 39, co. 1, cod. proc. civ. [[16]].
Qualche perplessità suscita, invece, l’argomento tratto dall’art. 112, secondo periodo, cod. proc. civ., individuato dalla giurisprudenza civile [[17]] quale elemento rischiaratore della natura dell’eccezione di giudicato esterno. Secondo tale orientamento, la norma indicata non si limiterebbe solo a definire la vigenza del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma sarebbe espressione di un ulteriore principio generale, secondo il quale i fatti estintivi, modificativi o impeditivi sarebbero di norma rilevabili d’ufficio dal giudice. Solo in alcuni casi specifici, poi, espressamente disciplinati dal legislatore, il fatto sarebbe subordinato alla proposizione di una specifica istanza della parte, configurandosi così un’ipotesi di eccezione in senso stretto. Tali conclusioni, poi, vengono impiegate anche in relazione all’eccezione di giudicato esterno. Non rinvenendo all’interno dell’ordinamento una norma che ne riservi l’utilizzo, se ne deduce la rilevabilità officiosa.
Anzitutto, si constata che il dettato dell’art. 112 cod. proc. civ. è pacificamente recepito dalla giurisprudenza all’interno del processo amministrativo [[18]]. E la pronuncia in rassegna sembra accogliere anche il principio della generale rilevabilità ex officio delle eccezioni, salvo indicazioni normative contrarie. Se ne potrebbe ricavare, dunque, un ulteriore elemento capace di definire la natura dell’eccezione di giudicato esterno. Più di un Autore [[19]], tuttavia, ha avanzato dei dubbi sulla ricostruzione prospettata dalla giurisprudenza, in quanto l’art. 112, secondo periodo, cod. proc. civ., si presterebbe anche a differenti interpretazioni. Vi è chi, ad esempio, richiama proprio tale disposizione per affermare la generale rilevabilità su istanza di parte delle eccezioni, restringendo i poteri officiosi del giudice ai casi tassativamente previsti [[20]]. L’ambigua formulazione dell’art. 112 cod. proc. civ., pertanto, sembra suggerire maggiore cautela nell’impiego di tale indice ai fini della presente indagine.
4. Conclusioni
La mancanza di una chiara presa di posizione da parte del legislatore non sembra consentire allo stato di individuare delle conclusioni sicure a proposito della natura dell’eccezione di giudicato esterno. Nonostante tale indicazione di prudenza, alla luce dei dati raccolti appare preferibile accedere all’opinione più diffusa presso la dottrina [[21]] e la giurisprudenza [[22]], secondo cui si tratterebbe di una questione rilevabile ope iudicis e non soggetta alle preclusioni maturate nel corso del processo. Gli elementi che maggiormente confortano questa ricostruzione sono rappresentanti dalla disciplina della revocazione (art. 106, co. 1, cod. proc. amm., e art. 395, n. 5, cod. proc. civ.) e da quella della litispendenza (art. 39, co. 1, cod. proc. amm., e art. 39, co. 1, cod. proc. civ.). Più in generale, sembra che l’eccezione di giudicato esterno si inserisca all’interno di un sistema di strumenti processuali approntati dal legislatore allo scopo di evitare la presenza di più statuizioni sulla stessa domanda.
Se tale impostazione si ritiene corretta, l’esistenza di una precedente sentenza passata in giudicato pronunciata tra le stesse parti e vertente sullo stesso oggetto potrà essere semplicemente segnalata al giudice in ogni stato e grado del processo amministrativo, senza l’utilizzo di particolari formule sacramentali. Più precisamente, la parte interessata potrà sollevare la questione e produrre la copia autentica della sentenza irrevocabile per tutto il corso del primo grado e, nel caso in cui questa attività sia mancata, non incorrerà nelle preclusioni previste per i nova nel grado di appello dall’art. 104, co. 1 e 2, cod. proc. amm. [[23]]. Ad ogni modo, dovrà essere assicurato il contraddittorio delle parti, nel caso in cui il collegio dovesse rilevarne la fondatezza (art. 73, co. 3, cod. proc. amm.).
Qualche dubbio potrebbe porsi nel caso in cui la questione venisse prospettata per la prima volta all’udienza di discussione. In merito, si potrebbe immaginare una pluralità di soluzioni: a) il collegio potrebbe ammettere l’acquisizione della copia autentica della sentenza e provocare il contraddittorio delle parti sulla questione; b) il collegio potrebbe rinviare l’udienza per permettere la produzione della copia autentica della sentenza e la discussione delle parti sul punto; c) la questione potrebbe ritenersi ormai preclusa e la parte interessata dovrebbe farla valere eventualmente nel grado di appello. Non dovrebbero porsi problemi, invece, se la tardiva prospettazione della questione non sia imputabile alla parte [[24]], in quanto il collegio potrebbe autorizzare a seguito di esplicita richiesta una produzione tardiva della memoria e del documento (art. 54, co. 1, cod. proc. amm.).
Nell’ipotesi in cui nessuna delle parti abbia sollevato l’esistenza di un precedente giudicato né in primo grado né davanti al Consiglio di Stato, sarà allora possibile impugnare la sentenza di appello per revocazione facendo valere il quinto motivo previsto dall’art. 395 cod. proc. civ. [[25]]. Se non sarà promosso neanche il giudizio di revocazione, si verificherà un contrasto pratico tra i due giudicati. In applicazione del criterio cronologico, si ritiene che prevalga l’accertamento intervenuto per secondo [[26]].
[[1]] La disposizione citata, ratione temporis applicabile al caso di specie, prevedeva obbligatoriamente l’inserimento di una clausola di revisione del prezzo nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture. Si precisava, poi, che la revisione non operasse in via automatica, ma che fosse determinata sulla base di un’istruttoria compiuta dall’amministrazione tenendo conto dei costi standardizzati, calcolati avvalendosi degli indici ISTAT. Le parti contraenti, tuttavia, erano libere di inserire nel capitolato d’appalto anche clausole con meccanismi di revisione del prezzo dal contenuto determinato, escludendo o riducendo il successivo esercizio del potere discrezionale da parte della stazione appaltante.
[[2]] Il conflitto positivo di giurisdizione si spiega alla luce dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza in merito alla lettera dell’art. 133, lett. e, n. 2, cod. proc. amm., secondo cui le controversie “[…] relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 […]” sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In realtà, si ritiene sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in tutti quei casi in cui il contratto di appalto preveda una clausola di revisione del prezzo che disciplini nel dettaglio i criteri di adeguamento. In questo caso, infatti, non residuerebbe alcun potere in capo alla pubblica amministrazione e la controversia riguarderebbe l’esecuzione di una prestazione già pienamente definita in base al regolamento contrattuale (Cons. St., Sez. III, sent., 25 luglio 2023, n. 7291; Cass. civ., Sez. un., ord., 22 novembre 2021, n. 35952; Cass. civ., Sez. un., ord., 12 ottobre 2020, n. 21990; Cass. civ., Sez. un., ord., 13 luglio 2015, n. 14559).
[[3]] Tra le maggiormente incisive si indicano: Cass. civ., Sez. un., sent., 3 febbraio 1998, n. 1099 e Cass. civ., Sez. un., sent., 25 maggio 2001, n. 226.
[[4]] Si segnalano gli interventi di: C. Cacciavillani, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2005, 88-89; M. Di Rienzo, L’eccezione nel processo amministrativo, Napoli, 1968, 154-155; G. Paleologo, L’appello al Consiglio di Stato, Milano, 1989, 340; F. Saitta, I novanell’appello amministrativo, Milano, 2010, 370-371; P. M. Vipiana, Contributo allo studio del giudicato amministrativo, Milano, 1990, 230 (12).
[[5]] Si vedano le riflessioni degli Autori citati nella precedente nota.
[[6]] Per una rapida disamina si rinvia a M. Russo, Sull’eccezione di giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di merito, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2012, I, 646-648.
[[8]] Si segnala, infatti, che nel caso in esame il giudicato civile si era formato dopo la pubblicazione della sentenza del T.A.R. Non sarebbe stato possibile, dunque, sollevare la relativa questione nel giudizio di primo grado. Sul punto, si veda A. A. Romano, Questioni in tema di giudicato esterno sopravvenuto in corso di appello, in il Corriere giuridico, 2013, 3, 405-406, il quale ricorda che le preclusioni non trovano applicazione nei confronti della parte che incolpevolmente non fosse nelle condizione di rispettarle.
[[9]] Si ricorda che in caso di lacune il codice del processo amministrativo predispone una clausola di rinvio esterno alle norme del codice di procedura civile “in quanto compatibili o espressione di principi generali” (art. 39, co. 1, cod. proc. amm.). Il d.lgs. 10 luglio 2010, n. 104, invero, richiama in altre parti il concetto del giudicato, ad esempio per quanto riguarda il giudizio di ottemperanza. Sembra possibile affermare, dunque, che nonostante l’art. 2909 cod. civ. non sia collocato all’interno del codice di rito, esso trovi comunque applicazione nel processo amministrativo in quanto presupposto per il funzionamento di altre norme. La dottrina afferma pacificamente l’applicazione nel processo amministrativo sia dell’art. 2909 cod. civ. sia dell’art. 324 cod. proc. civ. (C. Cacciavillani, Il giudicato, in F. G. Scoca (a cura), Giustizia amministrativa, Torino, 2023, 644-645. Si segnala, sotto la vigenza della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la posizione di P. M. Vipiana, Contributo, cit., 196-203, secondo la quale tali norme possono trovare applicazione con i dovuti adattamenti richiesti dalla struttura e dalle esigenze proprie del processo amministrativo). Anche la giurisprudenza non sembra avere dubbi al riguardo (Cons. St., Sez. IV, sent., 29 agosto 2022, n. 7504; Cons. St., Sez. III, sent., 7 novembre 2018, n. 6281).
[[10]] C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2019, 104-106 e 116-121.
[[11]] M. D’Orsogna, Le impugnazioni straordinarie contro le decisioni dei giudici amministrativi, in F. G. Scoca (a cura), Giustizia, cit., 495-496.
[[12]] Si è notato, tuttavia, come l’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., utilizzi espressamente il termine “eccezione”, rimandando a una precisa tradizione giuridica. Da un punto di vista letterale, quindi, si potrebbe sostenere che il legislatore richieda che sia la parte interessata ad allegare specificatamente l’esistenza del precedente giudicato (S. Ziino, Disorientamenti della Cassazione in materia di giudicato “implicito” e di rilevabilità del giudicato esterno, in Rivista di diritto processuale, 2005, 4, 1401).
[[13]] C. Cacciavillani, Giudizio, cit., 89; G. Pugliese, voce Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 835.
[[14]] In questo senso si veda A. Police, La competenza, in F. G. Scoca, Giustizia, cit., 144. In giurisprudenza si segnalano: T.A.R. Campania (Salerno), Sez. III, sent., 24 maggio 2023, n. 1214; T.A.R. Molise (Campobasso), Sez. I, sent., 9 giugno 2017, n. 224; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia (Trieste), Sez. I, sent., 12 maggio 2016, n. 164; Cons. St., Sez. IV, sent., 5 giugno 2013, n. 3100.
[[15]] C. Cacciavillani, Giudizio, cit., 89. In senso analogo si vedano C. Consolo, Spiegazioni, cit., 123 e S. Menchini, voce Regiudicata civile, in Dig. disc. priv. Sez. civ., XVI, Torino, 1997, 467.
[[16]] Contra S. Ziino, Disorientamenti, cit., 1400-1401, il quale, riconosciuto che i due istituti condividono l’obiettivo di evitare il contrasto tra giudicati, ne sottolinea anche le differenze. In particolare, la litispendenza si preoccuperebbe di trovare una soluzione a un problema di competenza, caratteristica che invece sfuggirebbe all’eccezione di cosa giudicata. Si rinvia anche a G. Scarselli, Note in tema di eccezione di cosa giudicata, in Rivista di diritto processuale, 1996, 857-860.
[[17]] Cass. civ., Sez. un., sent., 3 febbraio 1998, n. 1099, con nota di M. Negri, L’eccezione di “aliunde perceptum” è preclusa in appello, in il Corriere giuridico, 1999, 8, 1013-1021.
[[18]] Secondo alcune pronunce la norma troverebbe applicazione quale sviluppo logico del principio della domanda (ex multis: Cons. St., Sez. IV, sent., 4 settembre 2023, n. 8153; Cons. St., Sez. VII, sent., 22 dicembre 2022, n. 11190; Cons. St., Sez. V, sent., 14 giugno 2019, n. 4024), altre invece ricorrono alla mediazione dell’art. 39, co. 1, cod. proc. amm. (ex multis: Cons. St., Sez. II, sent., 17 marzo 2021, n. 2293; Cons. St., Sez. II, sent., 7 settembre 2020, n. 5397; Cons. St., Sez. II, sent., 25 luglio 2020, n. 4753). Si precisa che le sentenze qui riportate si occupano solo dell’applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nel processo amministrativo, senza soffermarsi sul tema delle eccezioni.
[[19]] Sul tema della distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato in relazione all’art. 112, secondo periodo, cod. proc. civ., si rinvia a: C. Cavallini, Eccezione rilevabile d’ufficio e struttura del processo, Napoli, 2003, 63-69; V. Colesanti, Nostalgie in tema di eccezioni, in Rivista di diritto processuale, 2016, 283-285; G. Fabbrini, L’eccezione di merito nello svolgimento del processo di cognizione, in Studi in memoria di Carlo Furno, Milano, 1973, 264-276; E. Grasso, La pronuncia d’ufficio, Milano, 1967, 315-333; E. Merlin, Eccezioni rilevabili d’ufficio e sistema delle preclusioni in appello, in Rivista di diritto processuale, 2015, 300-308; R. Oriani, voce Eccezione, in Dig. disc. priv. Sez. civ., VII, Torino, 1991, 270-272 e 279; S. Ziino, Disorientamenti, cit., 1399-1400.
[[20]] S. Ziino, Disorientamenti, cit., 1399-1400.
[[21]] S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016, 229.
[[22]] Cons. St., Sez. VI, sent., 9 maggio 2023, n. 4651; Cons. St., Sez. IV, sent., 26 novembre 2020, n. 7422; Cons. St., Sez. IV, sent., 10 luglio 2013, n. 3654; Cons. St., Sez. VI, sent., 29 marzo 2013, n. 1848.
[[23]] Si segnala l’indirizzo giurisprudenziale per cui, anche in mancanza della produzione della sentenza passata in giudicato, il Consiglio di Stato potrebbe prenderne visione attraverso l’accesso al sito della giustizia amministrativa (Cons. St., Sez. VI, sent., 29 agosto 2022, n. 7504).
[[24]] È il caso in cui il giudicato si fosse formato allo spirare dei termini stabiliti dall’art. 73, co. 1, cod. proc. amm.
[[25]] Si ricorda che, secondo l’art. art. 395, co. 5, cod. proc. civ., la revocazione non può essere proposta avverso la sentenza che “abbia pronunciato sulla relativa eccezione [di giudicato esterno]”. La giurisprudenza amministrativa interpreta estensivamente la locuzione utilizzata dalla norma, ricomprendendovi non solo le ipotesi in cui il giudice si sia espresso sulla questione, ma anche tutti quei casi in cui ne ha avuto la mera occasione. È sufficiente, quindi, che una delle parti abbia prospettato l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini del giudizio per non potere più promuovere la revocazione (Cons. St., Sez. II, sent., 2 luglio 2023, n. 6419; Cons. St., Sez. II, sent., 20 febbraio 2023, n. 1695; Cons. St., Sez. VI, sent., 9 maggio 2023, n. 4651).
[[26]] C. Consolo, Spiegazioni, cit., 125-126; S. Menchini, voce Regiudicata, cit., 469; A. Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e i suoi limiti oggettivi, in Rivista di diritto processuale, 1990, 418; G. Pugliese, voce Giudicato, cit., 825. Per un approfondimento sul tema si rinvia a G. Scarselli, Note, cit., 851-852. Concorde anche la giurisprudenza: T.A.R. Piemonte (Torino), Sez. II, sent., 2 maggio 2023, n. 399; T.A.R. Sicilia (Catania), Sez. IV, sent., 9 aprile 2021, n. 1126; Cons. St., Sez. VI, sent., 26 ottobre 2020, n. 6503; Cons. St., Sez. V, sent. 6 giugno 2003, n. 3239.
Appunti redazionali in tema di revisione della Circolare CSM per la formazione delle tabelle degli uffici giudicanti per il quadriennio 2024-2027 (parte prima)
Sommario: 1. La procedura di modifica tabellare. - 2. La posizione tabellare. - 3. I tramutamenti interni. - 4. Il rapporto tra gip/gup e dibattimento negli uffici distrettuali. - 5. I magistrati collaboratori. - 6. Vacanze, assenze, supplenze, applicazioni. – 7. Carico di lavoro dei dirigenti degli uffici giudiziari giudicanti. - 8. La sezione feriale.
1. La procedura di modifica tabellare.
L’architettura del procedimento di modifica tabellare contenuta nella Circolare 10500/2020 (peraltro in gran parte ereditata dalle Circolari precedenti) si articola secondo diverse tipologie.
La tipologia ordinaria prevede che periodicamente il presidente del tribunale segnali al presidente della corte d’appello le variazioni tabellari non urgenti o di sistema, consentendo al presidente della corte di valutarle, eventualmente modificarle di concerto con il presidente del tribunale (ma anche in assenza del consenso di quest’ultimo, in ipotesi estreme), ed infine proporle al consiglio giudiziario per il parere pregresso alla trasmissione al consiglio superiore
La tipologia urgente riguarda invece i casi di assegnazione dei magistrati alle sezioni, ai gruppi di lavoro ed ai collegi, nonché l’assegnazione degli affari, e si divide a sua volta in due categorie.
La categoria urgente ed immediatamente esecutiva riguarda l’assegnazione dei magistrati alle sezioni, ai gruppi di lavoro ed ai collegi.
La categoria urgente ma esecutiva solo all’esito del parere favorevole unanime del consiglio giudiziario si riferisce all’assegnazione degli affari ai magistrati.
La tipologia urgente, con riferimento ad entrambe le categorie che la compongono, si caratterizza per il fatto che la proposta di modifica tabellare, dichiarata urgente dal dirigente dell’ufficio che la segnala, viene proposta dal dirigente dell’ufficio non già al presidente della corte d’appello (come nella procedura ordinaria), ma direttamente al consiglio giudiziario, e va trasmessa nel termine breve al consiglio superiore anche nel caso in cui il consiglio giudiziario non sia riuscito, entro tale termine, ad esprimere il proprio parere – che in tal caso viene trasmesso successivamente, a sèguito atti.
Tali procedure di modifica tabellare potrebbero essere oggetto di alcune modifiche.
Deve osservarsi, in primo luogo, che la procedura in disamina si svolge ormai esclusivamente in vita telematica, mediante il sistema csmapp. Materialmente, l’ufficio proponente inserisce in csmapp la variazione, indicando attraverso apposito flag se sia ordinaria oppure urgente. In questo modo, il presidente della corte d’appello è in grado di visualizzare la segnalazione su csmapp e di lavorarci a sua volta.
Una volta ricevuta la variazione, il presidente della corte d’appello può farla propria e trasmetterla al consiglio giudiziario apponendo il proprio flag, oppure può trasmettere un messaggio di risposta al dirigente dell’ufficio che ha inserito la segnalazione, indicando che la segnalazione non può essere accolta oppure sollecitando una interlocuzione.
Quando si tratta di segnalazione ordinaria, csmapp funziona in maniera abbastanza soddisfacente, con l’unico limite per cui non è consentita più di una interlocuzione ed il campo riservato al contenuto dell’interlocuzione è assai ristretto, il che costringe il presidente della corte ad interloquire con il presidente del tribunale autore della segnalazione mediante una parallela interlocuzione cartacea, certamente legittima ma obiettivamente estera al sistema telematico che dovrebbe consentire la gestione e la conoscenza dell’intera procedura.
Quando invece si tratta di segnalazione urgente, non solo il presidente della corte d’appello può visualizzare la segnalazione stessa, ma può farlo anche il consiglio giudiziario, e tale sistema è coerente con la norma della circolare per cui la segnalazione urgente è proposta direttamente dal dirigente al consiglio giudiziario.
Nel contempo, tuttavia, il consiglio giudiziario non ha il potere di trasmettere la segnalazione urgente al consiglio superiore, anche dopo avere espresso il proprio parere, fino a che il presidente della corte d’appello non appone il suo flag sulla segnalazione – si tratta dello stesso flag che il presidente della corte appone, in sede di variazione ordinaria, per trasmettere al consiglio giudiziario come propria proposta la segnalazione ordinaria ricevuta dal presidente del tribunale.
In questo modo, il sistema csmapp finisce per vanificare l’esigenza di urgenza prevista dalla circolare, perché il presidente della corte resta di fatto unico titolare del potere di trasmettere la segnalazione urgente al consiglio superiore, apponendo oppure no il proprio flag, mentre il consiglio giudiziario non è titolare di alcun potere al proposito.
Tale divisione è senz’altro coerente con la regola per cui l’obbligo di trasmettere, entro il termine breve, la segnalazione urgente al consiglio superiore, grava sul presidente della corte d’appello, tuttavia rimette di fatto la funzionalità dell’intero sistema alla buona organizzazione dell’ufficio di presidenza della corte d’appello.
Al contrario, potrebbe essere maggiormente utile prevedere che la segnalazione urgente inserita su csmapp sia immediatamente visibile al consiglio superiore, sicché quest’ultimo possa, scaduto il termine breve, prendere atto degli altri documenti eventualmente inseriti in sèguito – ad es. il parere del consiglio giudiziario – e possa provvedere tempestivamente.
Del resto, occorre in proposito osservare che la tempistica delle decisioni del consiglio superiore in relazione alle modifiche tabellari urgenti è senz’altro assai più estesa nel tempo rispetto al termine breve che, per obbligo derivante dalla circolare, deve essere osservato dal presidente della corte d’appello per trasmettere la segnalazione urgente al consiglio superiore, possibilmente corredata del parere del consiglio giudiziario.
Il sistema delle segnalazioni urgenti presenta, poi, possibilità di miglioramento anche dal punto di vista della efficacia esecutiva delle modifiche tabellari.
La tipologia ordinaria di modifica diventa in generale esecutiva quando approvata dal consiglio superiore.
Poiché i tempi di approvazione sono solitamente estesi nel tempo, è frequente il ricorso alla tipologia urgente, da parte del dirigente dell’ufficio proponente, mediante interpretazioni innovative delle norme secondarie.
Al fine di evitare tale distorsione, alcuni interpreti osservano che la proposta di approvazione del documento organizzativo generale e del progetto tabellare diventa immediatamente esecutiva quando il consiglio giudiziario formuli, in relazione ad essa, parere favorevole unanime.
Tale effetto giuridico non è previsto espressamente in relazione alle modifiche tabellari ordinarie, ma poiché la procedura seguita è sostanzialmente la stessa, si ritiene da più parti che le modifiche tabellari ordinarie, per quanto in sé non urgenti, acquisiscano efficacia esecutiva laddove il consiglio giudiziario formuli parere favorevole unanime in relazione ad esse.
Tale interpretazione, non priva di ragionevolezza, parrebbe consigliare di introdurre una specifica disposizione di tale natura, in attesa che i tempi di approvazione da parte del consiglio superiore si giovino di una auspicabile significativa riduzione.
Con riferimento, invece, alle modifiche tabellari dichiarate urgenti dal dirigente dell’ufficio proponente, si è già fatto cenno al fenomeno per cui talvolta l’impossibilità di attenere i tempi necessari al consiglio superiore per approvare una modifica tabellare inducono i dirigenti degli uffici ad utilizzare la procedura urgente mediante interpretazioni non sempre condivisibili delle norme secondarie.
Una simile opzione incontra nella circolare del 2020 una sorta di sanzione, consistente nel fatto che quando risulta che il dirigente dell’ufficio abbia adottato la procedura urgente al di fuori dei casi previsti dalla circolare, la delibera che lo dichiara viene inserita nel fascicolo personale del dirigente e valutata per la futura progressione in carriera.
Tale norma è di fatto depotenziata – e forse non è un danno – da alcuni aspetti legati al funzionamento di fatto del sistema.
Anche volendo trascurare il fatto che spesso i dirigenti degli uffici sono prossimi al collocamento in quiescenza, sicché la disposizione ha scarso effetto preventivo, deve considerarsi che i tempi necessari al consiglio superiore per la valutazione della proposta di modifica tabellare, anche quando urgente, sono in media talmente estesi che il dirigente ha ormai cambiato incarico o è arrivato alla conclusione del quadriennio o dell’ottennio o magari ha in sèguito meritato, sicché l’inserimento nel fascicolo personale resta del tutto privo di concreta efficacia sanzionatoria, e dunque preventiva.
Ma ciò che maggiormente rileva è che la ragione per cui la sanzione è prevista non deve ritenersi legata tanto alla valutazione della capacità dei dirigenti, ma alla necessaria e prioritaria garanzia di funzionamento del sistema.
In altre parole, la sanzione per i dirigenti tende a garantire che questi non utilizzino la procedura urgente per proporre modifiche tabellari che invece, per loro natura, sono ordinarie e devono essere segnalate al presidente della corte d’appello che – all’esito delle proprie valutazioni – può farle proprie proponendole al consiglio giudiziario per il parere.
Tale esigenza di garanzia del funzionamento del sistema, in sé senz’altro apprezzabile, è però tradita non solo dall’inefficacia concreta della sanzione prevista, ma anche e soprattutto dal cattivo funzionamento del sistema stesso.
Ed infatti, quando la proposta di modifica abusivamente dichiarata urgente ed immediatamente esecutiva viene adottata dal dirigente, essa deve essere obbligatoriamente trasmessa al consiglio superiore entro il termine breve, anche in assenza del parere del consiglio giudiziario, il che significa che anche se il consiglio giudiziario, e il presidente della corte d’appello, rilevano la violazione, ed anche se la rilevano tempestivamente, non hanno alcun potere di sospenderne l’efficacia esecutiva.
Addirittura la circolare 2020 prevede che se la modifica tabellare viene fatta oggetto di parere contrario dal consiglio giudiziario, il dirigente dell’ufficio che l’ha erroneamente proposta ha il potere, invece che il dovere, di sospenderne l’efficacia esecutiva.
Pertanto, risulta evidente che quando il dirigente dell’ufficio propone una modifica tabellare dichiarandola urgente ed immediatamente esecutiva, anche se essa ha natura ordinaria, il sistema non ha alcuna difesa, dal momento che nel corso del lungo tempo necessario al consiglio superiore per pronunziarsi, né il parere contrario del consiglio giudiziario né alcuna iniziativa del presidente della corte d’appello possono determinare la sospensione dell’efficacia esecutiva di tale modifica – né al dirigente che si è reso responsabile della violazione accade di fatto alcunché.
Sarebbe pertanto senz’altro auspicabile una modifica della circolare ove si prevedesse che nel caso in cui il consiglio giudiziario – od anche il solo presidente della corte d’appello – abbia dichiarato che la proposta sia stata dichiarata urgente ed immediatamente esecutiva dal dirigente dell’ufficio al di fuori dei casi previsti dalla circolare, è automaticamente sospesa l’efficacia esecutiva della proposta medesima.
Tale problematica non si pone, invece, in relazione alle modifiche tabellari dichiarate urgenti ma non immediatamente esecutive, dal momento che in relazione ad esse l’efficacia esecutiva dipende dal parere favorevole unanime del consiglio giudiziario.
In ordine a tale categoria, si osserva invece altra disfunzionalità del sistema.
Ed in effetti da un lato è prevista l’immediata esecutività dell’assegnazione dei magistrati alle sezioni, ai gruppi di lavoro ed ai collegi, mentre dall’altro lato è prevista solo al parere favorevole unanime del consiglio giudiziario l’assegnazione degli affari ai magistrati.
Sul punto, il consiglio superiore ha mostrato particolare rigidità, specificando in successive risposte a quesito che non è consentito inserire provvedimenti di assegnazione degli affari in provvedimenti di assegnazione dei magistrati ai posti, al fine di rendere entrambe le disposizioni immediatamente esecutive, dal momento che si tratta di disposizioni soggette in sé a discipline diverse dal punto di vista della tempistica dell’efficacia esecutiva.
In proposito, occorre osservare che nel momento in cui si assegna un magistrato ad una posizione tabellare, con decreto immediatamente esecutivo, è irrazionale postergare l’esecutività dell’assegnazione degli affari, dal momento che nel periodo intermedio quel magistrato resterebbe senza affari assegnati fino al parere favorevole unanime del consiglio giudiziario o addirittura fino all’approvazione del consiglio superiore.
Tale quadro determina, di conseguenza, prassi illegittime quali quelle consistenti nell’assegnare, all’esito di concorso, ai magistrati internamente tramutati o assegnati, i ruoli “ex-” così confondendo la posizione tabellare con il ruolo di affari e finendo per tradire proprio la netta separazione prevista dalla circolare tra le modalità e la tempistica di assegnazione dei magistrati alla posizione tabellare e le modalità e la tempistica di assegnazione degli affari ai magistrati.
Occorrerebbe, pertanto, prevedere che anche l’assegnazione degli affari segue la disciplina dell’efficacia esecutiva prevista per l’assegnazione dei magistrati alla posizione tabellare.
2. La posizione tabellare.
Diverse norme della circolare 10500/2020 fanno riferimento, a diverso titolo, alla posizione tabellare, determinando interpretazioni diverse, tra loro incompatibili, del contenuto giuridico di tale concetto.
La questione principale e sostanzialmente assorbente è se per “posizione tabellare” debba intendersi il posto nella sezione o nel collegio.
Le conseguenze pratiche sono piuttosto evidenti, quando si pensi che se si trattasse di posto nel collegio e non nella sezione, l’ultradecennalità potrebbe essere superata cambiando collegio all’interno della stessa sezione. Se si trattasse di posto nella sezione invece che nel collegio, non potrebbe essere espletato concorso interno per tramutamento nel collegio ma solo nella sezione.
L’interpretazione che pare doversi preferire è quella che individua come contenuto della posizione tabellare il posto nella sezione e non già il posto nel collegio.
Se infatti dovesse intendersi detta posizione come posto nel collegio, dovrebbero essere banditi concorsi interni per il posto nel collegio, ai quali potrebbero concorrere i magistrati assegnati ad altri collegi della stessa sezione, così rischiando di complicare, invece che risolvere, la condizione di criticità che ha indotto il dirigente dell’ufficio ad espletare il concorso interno.
Inoltre, è chiaro che l’ultradecennalità non può essere risolta mediante il cambio di collegio interno alla medesima sezione, ciò che vanificherebbe la disciplina stessa del termine decennale di permanenza e la ratio della stessa.
La questione assume maggiore rilievo, in realtà, per i casi in cui all’interno della stessa sezione esistano ruoli – monocratici o collegiali – che trattino materia specializzata, perché evidentemente i colleghi potrebbero essere interessati ad essere tramutati non tanto in quella sezione, ma a trattare il ruolo specializzato.
Tale evenienza discende direttamente da quanto argomentato al precedente §1, nella misura in cui occorre sempre ricordare che all’interno della sezione non esistono posti specializzati, ma esclusivamente ruoli di affari specializzati.
Pertanto, una volta che sia stato coperto il posto, sarà compito del presidente di sezione, secondo i criteri tabellari, assegnare gli affari, tra i quali il ruolo specializzato.
Ciò, pertanto, non pare una fondata ragione per ritenere che la posizione tabellare corrisponda al posto nel collegio invece che, come pare doversi correttamente ritenere, il posto all’interno della sezione.
Tale specificazione potrebbe essere utilmente oggetto di precisa norma secondaria nella circolare per il prossimo quadriennio.
(Immagine: Particolare da Charles Demuth, Business, olio e grafite su tela, 1921)
Sommario: 1. La procedura di modifica tabellare. - 2. La posizione tabellare. - 3. I tramutamenti interni. - 4. Il rapporto tra gip/gup e dibattimento negli uffici distrettuali. - 5. I magistrati collaboratori. - 6. Vacanze, assenze, supplenze, applicazioni. – 7. Carico di lavoro dei dirigenti degli uffici giudiziari giudicanti. - 8. La sezione feriale.
3. I tramutamenti interni.
La disciplina dei tramutamenti interni costituisce un fiume carsico che riappare frequentemente in diversi punti della circolare ed è incisa anche da disposizioni secondarie esterne, non sempre ben coordinate con la circolare per la formazione delle tabelle.
Sarebbe auspicabile che detta disciplina fosse reducta ad unum.
La finalità della disciplina che regola i tramutamenti interni, siano essi conseguenti all’assegnazione di nuovi magistrati provenienti da altri uffici o di nuova nomina, piuttosto che a concorso interno, o a scambio di posti, o a unione o separazione di sezioni, o a rientro in ruolo dal CSM o da altre amministrazioni esterne, o ad ultradecennalità o incompatibilità o necessità di potenziare sezioni o settori (e non si è certi di avere esaurito la gamma delle possibilità), è unica, e consiste nell’evitare che le posizioni tabellari possano essere assegnate fuori sacco, secondo un’espressione del passato, o comunque senza consentire la partecipazione al concorso a tutti gli interessati.
A fronte di tanto, in luogo della congerie di norme che regola ciascuno di tali casi di tramutamento o assegnazione, sarebbe maggiormente preferibile una singola disposizione la quale preveda, in linea generale, che ogni assegnazione di un magistrato ad un posto diverso da quello che occupava al momento del provvedimento debba essere preceduta da concorso interno, ad eccezione dei soli casi in cui la legge preveda il rientro in ruolo nella medesima posizione tabellare occupata al momento del collocamento fuori ruolo – sostanzialmente, soltanto i consiglieri superiori.
In questo modo, si supererebbero innumerevoli questioni interpretative determinate dalle diverse discipline recate dalla normativa secondaria in ordine alle diverse ipotesi prima richiamate.
Non si ignora che anche il rientro in ruolo di magistrati diversi dai consiglieri superiori è disciplinato da norma che prevede il rientro nella posizione tabellare occupata al momento del collocamento fuori ruolo, se ancora disponibile.
Tuttavia tale disposizione – che dimostra ulteriormente l’urgenza di specificare il contenuto giuridico del concetto di “posizione tabellare” di cui al precedente §2 – non corrisponde ad un obbligo di legge e determina diverse problematiche interpretative, come ad esempio la necessità di specificare che il periodo trascorso fuori ruolo determini l’interruzione oppure la sospensione del termine decennale e del termine minimo di permanenza nella posizione tabellare occupata prima del collocamento fuori ruolo.
Sarebbe pertanto preferibile che il rientro in ruolo di magistrati diversi dai consiglieri superiori venisse disciplinato in modo uniforme a tutte le altre assegnazioni di posti.
Se così non dovesse ritenersi, occorre coerentemente osservare che il rientro in ruolo dei magistrati diversi dai consiglieri superiori dovrebbe essere oggetto di norma specifica quanto all’efficacia sospensiva o interruttiva della quale si è detto.
In verità, come sostenuto da taluni interpreti, parrebbe corretto sostenere che durante il periodo trascorso fuori ruolo si verifica una forma di decantazione, con termine non nostro, che pare non potersi ritenere meno efficace rispetto alla decantazione verificatasi in ruolo mediante l’assegnazione ad un posto diverso.
Pertanto, dovrebbe ragionevolmente affermarsi, mediante specifica disposizione, che il periodo di collocamento fuori ruolo ha effetto equipollente all’assegnazione a diversa posizione tabellare, ai fini del termine decennale di permanenza in detta posizione nonché al termine minimo di permanenza in altra posizione tabellare prima di potere essere riassegnato alla posizione tabellare precedentemente occupata.
In tale disciplina assume poi diretta rilevanza la disciplina del concorso interno.
In particolare, la circolare 2020 prevede – del tutto condivisibilmente – che i posti di risulta che saranno coperti all’esito del concorso debbano essere indicati in sede d’interpello.
Sempre condivisibilmente, la circolare 2020 non pone limiti al numero di posti di risulta che possano essere indicati nel bando di concorso, sicché può accadere – e di fatto accade soprattutto negli uffici di maggiori dimensioni – che il dirigente indichi come risulta tutti i posti che si libereranno all’esito del concorso.
Questo sistema è senz’altro conforme a quanto poco sopra si osservava in relazione alla necessità di individuare con unica norma la disciplina di assegnazione dei posti previo concorso interno, ma incontra una difficoltà legata al numero di domande.
Se infatti, come è previsto, i magistrati possono presentare soltanto un numero limitato di domande di tramutamento interno, a fronte di un numero indefinito di posti di risulta, accadrà necessariamente che le domande dovranno essere presentate come una sorta di scommessa.
Ed in effetti, il magistrato che abbia interesse a quattro diverse posizioni tabellari, che non siano tutte comprese tra i posti pubblicati per il concorso interno, e che possa presentare solo tre domande, non potrà sapere, fino all’esito del concorso, se e quale delle posizioni tabellari a lei/lui gradite saranno pubblicate nella risulta.
In questo modo, si determinano assegnazioni sgradevolmente casuali, si alimenta sfiducia nel funzionamento del sistema e soprattutto si mortificano senza alcun motivo organizzativo le aspettative dei colleghi.
Occorrerebbe pertanto prevedere che i magistrati interessati a partecipare ad un concorso interno possano presentare domande senza un limite massimo, con l’unico obbligo – già previsto peraltro a pena di inammissibilità – di indicarne l’ordine gerarchico di gradimento.
Sempre con riferimento alla disciplina del concorso interno, occorrerebbe poi fissare espressamente un principio, e cioè che il concorso interno, quando non tutti i posti banditi siano coperti, non può chiudersi per mancanza di aspiranti, dal momento che ai posti non occupati devono essere assegnati d’ufficio magistrati non richiedenti, secondo i criteri fissati dalla circolare.
Accade invece, non di rado, che il concorso interno sia semplicemente abbandonato, limitandosi il dirigente a non coprire i posti banditi e rimasti senza aspiranti. In tal caso, può prevedersi al massimo che il dirigente possa motivare specificamente la revoca della pubblicazione interna di quei posti, mentre appare errata l’idea che quei posti restino semplicemente non assegnati.
Non sfugge, naturalmente, che la ragione di una tale scelta possa risiedere in prevalenti esigenze organizzative. Ma in tal caso il dirigente deve esplicitarle in un provvedimento motivato che possa essere valutato dal circuito del governo autonomo, non limitarsi ad abbandonare il concorso.
Per questo appare senz’altro necessaria una norma specifica in tal senso.
Altra questione che merita specifica trattazione è quella attinente alla disciplina delle attitudini.
La circolare prevede – del tutto condivisibilmente – che le attitudini prevalgano sull’anzianità, entro i noti limiti, in relazione ad una serie di materie specializzate.
A tali materie dovrebbero essere aggiunte tre materie di speciale complessità e rilevanza.
La prima è la materia delle misure di prevenzione. È noto che con decreto legislativo n. 161/2017 il Legislatore ha addirittura riformato la legge di ordinamento giudiziario (art. 7 bis) per assegnare priorità alla materia della prevenzione, in particolare per quanto attiene agli aspetti patrimoniali della stessa. Detta materia, peraltro, impone conoscenze non solo del diritto penale, ma anche del diritto commerciale, delle successioni, delle questioni fondiarie, di elementi notarili, delle procedure fallimentari. Appare pertanto assai sostenibile la necessità di inserire anche tale materia tra quelle per le quali, in sede di concorso interno, le attitudini prevalgono sull’anzianità.
La seconda è la materia della cooperazione internazionale passiva. Si tratta di materia propria delle sole corti d’appello, alle quali è attribuita dalla legge. Ebbene, detta materia si è nel tempo arricchita del mandato di arresto europeo passivo, del riconoscimento passivo di sentenze penali straniere, di misure cautelari straniere, di sanzioni pecuniarie straniere, di confische straniere, che si sono aggiunte alla tradizionale estradizione passiva e che costituiscono un quadro normativo di natura e fonti internazionali di elevatissima complessità e di sempre maggiore rilevanza pubblica (si pensi alla recente vicenda denominata giornalisticamente “Qatargate”), sicché appare senz’altro necessario prevedere, anche in relazione a tale materia, la prevalenza delle attitudini sull’anzianità.
La terza è la materia della riparazione per l’ingiusta detenzione e l’errore giudiziario. La materia, di per sé assai delicata e caratterizzata da valutazioni molto complesse, è divenuta via via di sempre maggiore interesse pubblico anche in considerazione del fatto che il Legislatore ha più volte preso atto della presenza di proposte di legge che vorrebbero collegare direttamente la responsabilità disciplinare del magistrato all’ipotesi in cui sia accolta l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione relativa ad una custodia cautelare disposta dal magistrato medesimo. Peraltro, la circolare 2020 già prevede la prevalenza delle attitudini in relazione a materia analoga, sebbene assai meno delicata e complessa, che è quella della riparazione per l’irragionevole durata del processo, sicché è paradossale l’esclusione della riparazione per ingiusta detenzione ed errore giudiziario. Poiché trattasi, dunque, di materia assai complessa e delicata, nonché di rilevante interesse pubblico, assegnata peraltro dalla legge alle sole corti d’appello, appare senz’altro ragionevole prevedere anche in relazione ad essa la prevalenza delle attitudini rispetto all’anzianità, in sede di assegnazione dei magistrati all’esito di concorso interno.
Ultima notazione relativa alla materia deve essere dedicata all’assegnazione interna provvisoria.
È noto che tale disciplina prevede che il dirigente dell’ufficio in attesa dell’esito del concorso interno possa assegnare provvisoriamente, per non oltre sei mesi, un magistrato ad un posto scoperto.
Accade non di rado che, anche per la durata di alcuni concorsi interni, l’assegnazione provvisoria sia rinnovata oltre il semestre, così tradendo la ratio dell’istituto.
Occorrerebbe, sul punto, prevedere espressamente il divieto di rinnovare l’assegnazione interna dello stesso magistrato a qualunque posto, una volta scaduto il semestre, od il minore periodo, di assegnazione interna. Almeno fino a quando il magistrato sia stato assegnato ad un posto a sèguito di concorso interno.
4. Il rapporto tra gip/gup e dibattimento negli uffici distrettuali.
Occorre considerare che il rapporto tra attività del gip/gup e attività del dibattimento è ormai profondamente inciso dalla nuova disciplina dell'udienza predibattimentale per i processi monocratici a citazione diretta nonché dall’elevatissimo carico di lavoro cautelare gravante sul gip, potenzialmente aggravato da ipotesi di collegialità allo studio del Legislatore.
A fronte di tanto, si osserva spesso il fenomeno per cui il medesimo magistrato, impegnato quale gup a definire impegnativi processi cumulativi con il rito abbreviato, abbia meno tempo da dedicare all'esame di importanti richieste cautelari, essendo prioritaria in linea generale l’esigenza di evitare la scadenza dei termini di fase relativi ai processi da definire in abbreviato.
Potrebbe essere assai utile prevedere espressamente la possibilità di coassegnare i giudici del dibattimento all’ufficio gip/gup, così da determinare l’effetto per cui i giudizi da definirsi con il rito abbreviato vengano definiti da giudici del dibattimento, mediante un turno di abbinamento gup/dibattimento.
Ciò consentirebbe ai magistrati del gip/gup di dedicare maggiori energie all’esame delle richieste cautelari di maggiore rilievo, riducendo i tempi di attesa che negli uffici distrettuali di maggiori dimensioni diventano talvolta assai rilevanti.
Lo stesso sistema di coassegnazione potrebbe consentire, negli uffici di piccole dimensioni, di distribuire il carico delle pre-dibattimentali su tutti i giudici penali dell’ufficio.
5. I magistrati collaboratori.
Soprattutto negli uffici di maggiori dimensioni, i magistrati collaboratori, che a tanto si prestino per effettivo servizio e non per acquisire titoli, costituiscono una ossatura indispensabile sui quali si regge spesso l’attività amministrativa dell’ufficio.
La previsione di durata massima di un anno nell’incarico, prorogabile per un altro anno, di cui all’art. 107 della circolare 10500/2020, appare particolarmente disfunzionale.
Accade infatti ordinariamente che alla fine del periodo i magistrati collaboratori abbiano ormai preso confidenza con le funzioni e le gestiscano al meglio, e proprio in quel momento devono necessariamente scadere.
Può essere invece maggiormente razionale immaginare che alla scadenza del periodo il dirigente dell’ufficio, previo interpello, nomini altri magistrati collaboratori per un periodo di affiancamento, all’esito del quale valutare se procedere all'avvicendamento.
Al contrario, l’attuale previsione priva l’ufficio di magistrati capaci ed esperti e rischia di esporre magistrati che non abbiano interesse a tale ruolo a doverlo svolgere per forza, senza interesse e senza entusiasmo.
Sistema senz’altro disfunzionale per l'ufficio.
Non si ignora il pur fondato tentativo di evitare il proliferare di “medagliette”, ma si ritiene che tale negativa prassi possa essere contrastata, se non privando di rilievo l’incarico in sé ai fini della nomina ad incarichi direttivi, in maniera tale da non sacrificare sull’altare di essa la funzionalità degli uffici.
6. Vacanze, assenze, supplenze, applicazioni.
Non è questa la sede per trattare del complesso rapporto tra la circolare per la formazione delle tabelle degli uffici giudicanti del 2020 e la circolare in materia di applicazioni e supplenze del 2018, arricchita nel 2021 con i magistrati delle piante organiche flessibili distrettuali, conseguiti all’abrogazione dei magistrati distrettuali.
È necessario tuttavia svolgere alcune considerazioni di sistema, dal momento che l’art. 77 della circolare 10500/2020 tocca il punto a proposito delle supplenze per il tribunale del riesame.
Occorre raccordare i presupposti ed i criteri previsti dall’art. 77 con i presupposti ed i criteri per le applicazioni endodistrettuali previsti dalla Circolare 2018 nella materia delle supplenze, applicazioni, coassegnazioni, tabelle infradistrettuali, magisttrati delle piante organiche flessibili distrettuali.
Detti criteri, già di per sé di difficile utilizzo perché posti in ordine non gerarchico e tra di loro spesso contraddittori, rischiano di divenire del tutto ingestibili, all’atto pratico, posti a confronto con le ulteriori indicazioni dell’art. 77.
Occorrerebbe pertanto prevedere che l’intera disciplina delle supplenze e applicazioni venisse rimessa alla sola circolare del 2018, eliminandone ogni aspetto dalla circolare per la formazione delle tabelle degli uffici giudicanti.
A tal proposito, appare utile rammentare che numerosi istituti prevedono discipline diverse a seconda che il posto sia vacante o scoperto per assenza.
Pur comprendendosi la ragione di fondo che determina diversità di disciplina, occorre tuttavia considerare che quando occorre garantire temporaneamente la copertura di un posto, il fatto che esso sia vacante o scoperto per assenza dovrebbe assumere un valore secondario rispetto alla disciplina delle sue modalità di temporanea copertura.
In altri termini, quando un posto non occupato deve essere coperto urgentemente e temporaneamente, sarebbe opportuno fare ricorso ad una unica disciplina (fondata su interpello, consenso, attitudini, rotazione, anzianità nel ruolo), indipendentemente dalla causa per cui quel posto non è occupato.
Ciò renderebbe assai più semplice, per il dirigente, individuare il magistrato da destinare provvisoriamente a quel posto e, per il consiglio giudiziario, verificare la fondatezza della scelta organizzativa e dell’individuazione del magistrato.
È poi necessario che le varie disposizioni coinvolte operino una precisa scelta di campo, se cioè abbia rilievo l’anzianità di ruolo, come previsto in ordine ad alcuni istituti, o l’anzianità di servizio, come previsto in ordine ad altri istituti.
È necessario, ancora, precisare se il collegio possa essere composto anche da due supplenti interni all’ufficio individuati presso altre sezioni, come prevede l’art. 5 della circolare applicazioni e supplenze del 2018, oppure no, come prevede la circolare 10500/2020.
7. Carico di lavoro dei dirigenti degli uffici giudiziari giudicanti.
È noto che l’art. 85 della circolare 10500/2020 prevede che il capo dell’ufficio debba essere assegnatario di un carico di lavoro determinato in base ad una percentuale del lavoro dell’ufficio.
Occorre indicare con maggiore precisione quale sia la base di calcolo della percentuale. La media di tutti i magistrati dell'ufficio? La media di settore? La media delle assegnazioni o delle definizioni? La media dei soli giudici o dei semidirettivi o di entrambi?
Tale specificazione appare indispensabile al fine di evitare disparità di trattamento piuttosto evidenti tra diversi uffici omologhi sul territorio nazionale.
Sempre ove si ritenga necessario, particolarmente negli uffici di maggiori dimensioni ove il lavoro amministrativo del capo è realmente assorbente, che tale carico di lavoro sia effettivamente assegnato – occorrerebbe valutare se la risposta di giustizia così ottenuta sia effettivamente funzionale al migliore interesse dei cittadini i cui processi siano assegnati al capo dell’ufficio nella misura percentuale indicata.
8. La sezione feriale.
Non è infrequente osservare alcune insolite caratteristiche delle sezioni feriali.
Particolarmente complessa è la disposizione, da taluni dirigenti adottata, secondo la quale i magistrati che non siano riusciti, entro il periodo di distacco (già cuscinetto) del mese di luglio, a depositare le motivazioni arretrate, possano restare in servizio durante il periodo feriale senza tuttavia comporre la sezione feriale, partecipando alle udienze, ai turni ed all’assegnazione degli affari di quella sezione.
Si tratta di una opzione interpretativa che, di fatto, rimette al magistrato la possibilità di deliberare di non depositare tempestivamente alcune motivazioni e, grazie a tale sua deliberazione, di precostituirsi un monte ferie da utilizzare in sèguito, restando in servizio durante il periodo feriale solo al fine di scrivere le motivazioni e non contribuendo al lavoro della sezione feriale.
Tale opzione dovrebbe essere espressamente vietata dalla circolare, essendo consentito senz’altro che il magistrato resti in servizio durante il periodo feriale per estendere motivazioni arretrate, ma sempre a condizione che partecipi al lavoro della sezione feriale mediante l’assegnazione degli affari, la partecipazione alle udienze ed ai turni di reperibilità che la tabella feriale appositamente predisposta prevede.
Altro e diverso è invece – e non pare attenere a questione tabellare – il potere del capo dell’ufficio di richiamare in servizio il magistrato in casi eccezionali per depositare motivazioni il cui ritardo determinerebbe effetti di straordinaria gravità per l’interesse pubblico.
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