Sommario: 1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure - 2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche -3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure - 3.1. I contenuti più significativi - 3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione - 4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure - 4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020 - 4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro.
1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure
Per poter illustrare e comprendere le scelte consiliari adottate mediante atti di normazione secondaria è necessario contestualizzarle e, quindi, quantomeno accennare alla normativa primaria con cui il Consiglio si è dovuto confrontare.
Come noto, si deve al Decreto legislativo n. 106 del 2006 – adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150, come modificato dalla legge n. 269 del 2006 – quella che siamo soliti chiamare la “gerarchizzazione degli uffici requirenti”: essa rappresenta il risultato finale di un complesso di regole volte a disciplinare in senso verticistico l’ambito organizzativo ed alcuni aspetti più squisitamente giurisdizionali degli uffici requirenti. Si tratta di regole che, attribuendo al procuratore l’esclusivo potere organizzativo generale dell’ufficio, prendono le distanze dalla condivisione delle scelte fra tutti i soggetti coinvolti, dall’esercizio diffuso delle prerogative di organizzazione, da ogni forma di controllo dell’organo di autogoverno locale e riducono il Consiglio a mero destinatario di atti e informazioni sui quali non è prevista alcuna autentica verifica.
I principali aspetti innovativi possono così essere sintetizzati:
* il Procuratore della Repubblica è «il titolare esclusivo dell’azione penale» (art. 1, c. 1) e ne «assicura il corretto, puntuale ed uniforme esercizio» (art. 2, c. 1); in origine persino «sotto la sua personale responsabilità» (poi eliminata dalla legge 269/06);
* la titolarità esclusiva e personale dell’azione penale in capo al Procuratore si concretizza con l’assegnazione (che la legge n. 269/2006 sostituisce all’originaria delega al sostituto) e trova completa espressione nei suoi amplissimi poteri organizzativi:
- designa, tra i Procuratori aggiunti, il Vicario (art. 1, c.3);
- delega ad uno o più procuratori aggiunti ovvero anche ad uno o più magistrati la cura di specifici settori di affari (art. 1, c. 4);
- determina i criteri di organizzazione dell’ufficio, i criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti e ai magistrati, individuando eventualmente settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati al cui coordinamento sia preposto un procuratore aggiunto o un magistrato;
- individua le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica (art. 1, c. 6);
- assegna il compimento di singoli atti processuali (art. 2, c. 1) e, con l’atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, gli eventuali criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell’esercizio della relativa attività (art. 2, c. 2);
- esercita il potere di assenso per iscritto sul fermo di indiziato di delitto disposto da un procuratore aggiunto o da un magistrato dell’ufficio, sulle richieste di misure cautelari personali (salvo che per la convalida dell’arresto in flagranza o del fermo ex art. 390 cpp) e reali (salvo che abbia disposto, per queste ultime, la non necessità) (art. 3);
- può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all’ufficio devono attenersi nell’impiego della polizia giudiziaria, nell’uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l’ufficio può disporre (art. 4);
- mantiene personalmente i rapporti con gli organi di informazione (art. 5);
- «l’adozione dei progetti di organizzazione, basata su una corretta analisi dei flussi, non può che avvenire all’esito di momenti di partecipazione dei sostituti (assemblea dell’ufficio). Progetti discussi, partecipati e condivisi consentono, infatti, di perseguire un’azione trasparente ed efficiente (…)» (ris. 12.7.2007, § 3.2.a);
- la comunicazione del progetto organizzativo - oltre che, come previsto dalla riforma ordinamentale, al Procuratore generale della Corte d’appello e da questi, ex art. 6, al P.G. della Corte di cassazione - ai Consigli Giudiziari, che li potranno valutare nell’ambito del più ampio esame delle tabelle degli uffici giudicanti, «atteso lo stretto rapporto di interdipendenza tra tali uffici, al fine di garantire una funzionalità complessiva del servizio nel settore penale» (ris. 12.7.2007, § 3.2.d);
- la presa d’atto con rilievi e l’inserimento nel fascicolo personale del Dirigente: «al fine di dare un senso effettuale all’obbligo di mera “trasmissione” al CSM dei progetti organizzativi degli uffici requirenti, sancito all’art. 1, comma 7, del D.lgs n. 106/2006», il Consiglio (ris. 21.7.2009) ritiene «pur sempre consentito un vaglio terminale», una formula di mera “presa d’atto” con eventuali osservazioni, pur se non vincolante per il dirigente e, ove si constati che il programma organizzativo non sia rispondente alle norme dell’ordinamento giudiziario nonché alle indicazioni consiliari relative alla loro applicazione, il Csm «formula i suoi rilievi e li trasmette sia al Procuratore, per opportuna conoscenza anche ai fini dei possibili interventi di sua competenza, sia al Procuratore generale della Corte di cassazione e al Procuratore generale presso la Corte d’appello, cui competono i poteri di vigilanza ex art. 6 del più volte citato D.lgs n. 106». Non senza dimenticare che «i criteri adottati dai Procuratori nella organizzazione degli uffici (…) assumono rilevanza ai fini delle valutazioni di professionalità e di idoneità del dirigente (anche attraverso l’inserimento nel fascicolo personale) e, nei casi più gravi, sul versante dell’incompatibilità funzionale» e che, in tale prospettiva «saranno anche utile elemento di valutazione per il “rinnovo” dell’incarico» (ris. 21.7.2009);
- la revoca dell’assegnazione: le direttive consiliari ribaltano la prospettiva legislativa originaria, stabilendo che il sostituto assegnatario o coassegnatario del procedimento, in caso di dissenso col Procuratore in ordine alle modalità di trattazione o all’esercizio dell’azione penale e qualora questi non abbia esercitato il potere di revoca, possa avanzare richiesta motivata di esonero dalla trattazione dell’affare. Ancora: la motivazione del provvedimento di revoca, che non deve essere meramente apparente, assume particolare valore quale strumento esplicativo dei fatti posti a base del contrasto insorto, stabilendosi che il Consiglio, se richiesto dal sostituto, potrà intervenire per verificarne l’esistenza, la ragionevolezza e la congruità, «quale passaggio funzionale imprescindibile delle determinazioni adottate». Se la revoca risulterà ingiustificata, l’organo di autogoverno segnala ai titolari dell’azione disciplinare, con l’inserimento della valutazione negativa nel fascicolo personale ai fini del giudizio di professionalità o con iniziative ex art. 2 legge delle guarentigie (ris. 21.7.2009).
- il contributo dei singoli magistrati all’elaborazione del progetto organizzativo diviene obbligo individuale: il Procuratore della Repubblica, titolare esclusivo dell’azione penale, «organizza l’Ufficio», «nel rispetto delle norme (…) sull’indipendenza dei magistrati ed ispirandosi a principi di partecipazione e leale collaborazione», con la piena partecipazione dei magistrati dell’ufficio. Essi infatti (art. 2, c. 3) «partecipano alle riunioni, alle assemblee generali e di sezione, e forniscono i contributi in tema di organizzazione quale adempimento di un preciso obbligo funzionale e secondo i canoni di leale collaborazione»;
- il «corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale e giusto processo» (art. 4): viene articolato in regole precettive: la distribuzione degli affari tra i magistrati dell’ufficio «in modo equo e funzionale» (con la costituzione, ove possibile, in dipartimenti, sezioni o gruppi di lavoro modulati alla stregua degli obbiettivi individuati e dell’analisi della realtà criminale); l’affidamento di ciascun gruppo ad un aggiunto o ad un magistrato coordinatore; il promovimento di riunioni periodiche per lo «scambio di informazioni sull’andamento dell’ufficio» (con un preciso onere di partecipazione dei magistrati dell’ufficio quale «adempimento dei doveri funzionali»); l’assegnazione dei magistrati ai vari gruppi «previo interpello», valorizzando le «specifiche attitudini dei sostituti (…)»; la partecipazione alle udienze;
- il progetto organizzativo (artt. 7 e 8): vigente per un triennio (coincidente con quello delle tabelle), deve essere adottato previa assemblea generale obbligatoria dei magistrati dell’ufficio e diviene vincolante per il Dirigente in ordine ai criteri generali di designazione dei magistrati ai gruppi; ai criteri generali di assegnazione e coassegnazione degli affari e di singoli atti; ai criteri cui i magistrati dell’ufficio dovranno attenersi nell’esercizio dell’attività giudiziaria; alle ipotesi di revoca dell’assegnazione; all’allocazione delle risorse umane e materiali[8];
- i poteri del CSM (art. 8): pur nell’ambito di una procedura che si conclude con una “presa d’atto”, un dettagliato meccanismo di interlocuzioni ne garantisce il controllo da parte della competente commissione referente del Consiglio (la Settima) che lo esamina, espleta l’istruttoria, richiede eventuali chiarimenti al Procuratore, gli invia «eventuali osservazioni e specifici rilievi»; tali provvedimenti sono «inseriti nel fascicolo personale del dirigente anche ai fini delle valutazioni di professionalità e della conferma», e sono trasmessi al P.G. della Corte di cassazione e ai P.G. presso le Corti d’appello;
- il vincolo dei provvedimenti attuativi (art. 9): si sancisce espressamente che il Procuratore è con essi tenuto al rispetto, oltre che della normativa primaria e secondaria, «dei criteri e delle disposizioni fissate nel progetto organizzativo»;
- l’assegnazione degli affari al magistrato: «spiega i suoi effetti per tutto il periodo delle indagini preliminari e fino alla definizione del procedimento» (art. 10); l’assegnazione di singoli atti del procedimento «è di regola disposta solo nei procedimenti personalmente trattati dal Procuratore della Repubblica» (art. 11);
- la designazione per l’udienza (art. 12): è richiesta la garanzia di tendenziale continuità di trattazione tra la fase delle indagini preliminari e le fasi successive e si ribadisce l’assoluta eccezionalità della sostituzione e sempre con provvedimento motivato;
- il sistema dei controlli sugli atti dei sostituti: nel progetto organizzativo può esservi la generale previsione di un visto relativo a determinati atti o categorie di atti reputati di particolare rilievo (art. 14); esso ha mera funzione di conoscenza ed informazione e non di approvazione preventiva dell’atto nel senso che non deve risolversi in una coassegnazione in concreto; la mancata apposizione ovvero il contrasto non determinano la revoca dell’assegnazione (quindi il fascicolo rimane assegnato al sostituto originario che può procedere anche in caso di dissenso del dirigente), salvo che ricorrano i presupposti per la revoca (con conseguente applicazione dell’art. 15);
- la revoca dell’assegnazione (artt. 15 e 16): è confermata la necessità di una più stretta tipizzazione dei presupposti di essa fin dal progetto organizzativo ed è ribadita l’ottica di extrema ratio di tale patologia, attraverso «la massima interlocuzione possibile con il magistrato assegnatario», ed esperendo «ogni idonea azione volta ad individuare soluzioni condivise»; la novità sta nel fatto che le osservazioni scritte del magistrato destinatario della revoca sono inviate obbligatoriamente e tempestivamente (entro cinque giorni) dallo stesso dirigente al Consiglio (salvo le ipotesi di segretezza dell’indagine), il quale – nel caso di ritenuta insussistenza dei presupposti o di violazione delle regole procedimentali o di incongruità della motivazione ‒ invia «le relative osservazioni e gli specifici rilievi» al Procuratore interessato (oltre che al P.G. della Corte di cassazione e al P.G. presso la Corte di appello);
- -il rinvio ad altre fonti secondarie (art. 24): si afferma l’applicabilità agli uffici requirenti, in quanto compatibili, di una serie di disposizioni della Circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudicanti[9] (oltre alle disposizioni della circolare sui rid e magrif), a conferma dell’impostazione di fondo della circolare di tendere verso una organizzazione diffusa e orizzontale.
* viene abrogato l’art. 7-ter, c. 3, dell’O.g. (art. 7)[1], sottraendo gli uffici di Procura all’applicazione del ‘metodo tabellare’, e quindi ai poteri di controllo e di approvazione, rispettivamente, dei Consigli giudiziari e del Consiglio Superiore; sottraendo al Consiglio la prerogativa di fissare i criteri generali di organizzazione che viene rimessa in via esclusiva al Procuratore, l’organo di autogoverno diviene destinatario di una mera comunicazione dei progetti organizzativi e delle eventuali modifiche sopravvenute, sui quali si pronuncia con una “presa d’atto”, dunque, senza un potere di intervento che subordini l’efficacia del progetto ai rilievi dell’organo di autogoverno;
* viene abrogato l’art. 3 d.att. c.p.p., che disponeva la tendenziale concentrazione degli atti di un procedimento in capo al medesimo magistrato, consentendo di affermare la parziale autonomia, organizzativa e investigativa, del sostituto nella fase delle indagini (art. 7);
* il contrasto tra Procuratore e Sostituto viene disciplinato nel senso che «… se il magistrato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l’assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica» (art. 2, c. 2, come modificato dalla l. n. 269/2006, che ha eliminato la trasmissione degli ‘atti del contrasto’ al titolare dell’azione disciplinare); l’organo consiliare non è destinatario neppure di una ‘informazione’ e la soluzione del contrasto è ridotta ad un ‘fatto interno’, al contrario di quanto accadeva nel sistema pre-riformato, laddove, a fronte della revoca della designazione, il magistrato ben poteva adire il Csm e richiederne un intervento.
Il risultato è un controllo pieno su modalità ed esiti dell’indagine e sul sostituto che se ne occupa, cui non corrisponde per legge alcuna responsabilità, ma neppure alcun bilanciamento, alcun ‘controllo’, preventivo e successivo, alcun rimedio in caso di abuso: un concentrato di poteri che costituisce un unicum non ravvisabile in qualsivoglia altro settore della funzione pubblica.
2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche
Per attenuare gli effetti gerarchici della riforma, il CSM, sin dal 2007, è intervenuto con atti volti a contenere i poteri del Procuratore, seppur con il limite insuperabile della preminenza della legge sulla sua eventuale eterointegrazione di fonte secondaria.
L’organo di autogoverno ha giustificato tale prerogativa facendo leva sul proprio ruolo di “vertice organizzativo” dell’ordine giudiziario, deputato pertanto ad esercitare i poteri di indirizzo (nel caso di specie, nei confronti dei titolari degli uffici di procura in relazione alla formazione del progetto organizzativo) allorquando «sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali», espresse dagli artt. 105 e 112 della Costituzione.
Con questi presupposti, ha pertanto adottato due Risoluzioni (del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009) – che formalmente rappresentano atti tesi a regolamentare le proprie attribuzioni - riconducendo a ragionevolezza funzionale i poteri gerarchici, assicurando l’indipendenza interna del singolo sostituto e garantendo un certo equilibrio tra esercizio delle prerogative organizzative e la sua verifica in sede di autogoverno.
In questo senso vanno letti i principi affermati nelle predette risoluzioni, che possono essere riepilogati nei seguenti termini:
E’ bene ricordare, peraltro, che nel frattempo, sopravviene la legge n. 111 del 30.7.07 che, tra l’altro, modificando l’art. 19 d.lvo 160/06[2], introduce la previsione della permanenza temporanea del P.M. nei gruppi di lavoro, da stabilirsi a cura del CSM tra un minimo di 5 e un massimo di 10 anni come per gli uffici giudicanti. Il CSM, con il regolamento adottato con delibera del 13.3.2008 (poi modificato in data 11.2.2015), ha fissato il termine di permanenza massima in 10 anni, limitandone l’applicazione ai soli uffici con più di 8 magistrati compreso il Procuratore.
3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure
3.1. I contenuti più significativi
La ‘circolare’ del 16.11.2017 - atto ben diverso dalla ‘risoluzione’ cui il Consiglio aveva fatto ricorso fino a quel momento[3] - rappresenta «un nuovo, organico e sistematico intervento nella materia dell’organizzazione degli uffici requirenti», teso a dare attuazione ai principi espressi nella normativa primaria, completato dopo oltre due anni di lavoro e dopo il capillare monitoraggio dei progetti organizzativi di tutti gli uffici requirenti italiani, con l’individuazione e l’analisi delle prassi più diffuse.
Un insieme di regole di funzionamento precise, chiare, certe e prevedibili che, comunque, si pongono in continuità e progressione rispetto alle precedenti risoluzioni del 2007 e del 2009, tanto che nella relazione introduttiva si specifica che resta valido quanto contenuto nelle risoluzioni del 12.7.2007 e del 21.7.09.
Le innovazioni più rilevanti – in quanto espressive della diffusa esigenza di contenere la verticalizzazione, indirizzandola verso obbiettivi di funzionalità dell’ufficio e partecipazione orizzontale – riguardano in via generale:
- -la previsione di interpelli[4];
- -la dettagliata procedimentalizzazione di alcune fasi organizzative[5];
- -la specifica motivazione di determinati provvedimenti[6];
- -la esplicitazione dei compiti del procuratore aggiunto;
- -l’individuazione del Vicario;
- -la definizione del contenuto obbligatorio e facoltativo del progetto organizzativo;
- -la istituzione, presso la Settima commissione referente, per la compiuta e costante informazione anche statistica del C.S.M., del “fascicolo dell’organizzazione della Procura”[7].
Più in dettaglio, l’articolato (ben 25 disposizioni) fornisce maggiore chiarezza, prevedibilità ed omogeneità dei modelli gestionali e organizzativi attraverso le seguenti previsioni:
3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione
Quanto sinteticamente esposto nel precedente paragrafo consente di affermare che la circolare del 16.11.2017 ha attenuato significativamente i profili verticistici della riforma gerarchica del 2006[10]: il potere organizzativo del Procuratore, sebbene ancora di tipo verticale, è funzionalmente orientato, in quanto esplicitamente finalizzato ad intenti condivisi dall’ufficio, ispirato da un preciso quadro di valori di riferimento e destinato a manifestarsi in provvedimenti controllabili, attraverso precisi passaggi procedimentali. La originaria direzione gerarchica, pertanto, è divenuta direzione funzionale, la gerarchia direttiva ha lasciato il passo alla gerarchia funzionale. Insomma, l’idea di una forte verticalizzazione degli uffici di procura, che probabilmente aveva ispirato il legislatore del 2006, esce fortemente attenuata.
Resta, tuttavia, fermo il dato che il progetto organizzativo, a differenza delle tabelle degli uffici giudicanti, non è più soggetto ad approvazione (è perciò immediatamente esecutivo): è questo il “profilo gerarchico” più rilevante introdotto dalla riforma del 2006 e che, in quanto imposto dalla norma primaria (che ha abrogato l’art. 7 ter, comma 3, Ord. Giud.), il CSM ha potuto solo attenuare.
Il Consiglio, invero, con la circolare del 2017, per un verso ha provveduto a perimetrare e contenere entro limiti di legittimità, ragionevolezza e coerenza, l’ambito di operatività della prerogativa, esclusivamente rimessa al Procuratore, di determinare i criteri generali di organizzazione dell’ufficio (con il progetto organizzativo); per altro verso, ha introdotto un rigoroso controllo, successivo all’adozione del progetto, che tuttavia non può che concludersi con una delibera di presa d’atto, di natura non vincolante (a differenza dell’approvazione).
Nello stesso periodo e sotto la vigenza del medesimo ordinamento giudiziario, quindi, per gli uffici giudicanti, il Consiglio determina i criteri generali di organizzazione (con la circolare sulle tabelle) e le tabelle sono soggette all’approvazione consiliare, con obbligo di conformazione nel caso di non approvazione; per gli uffici requirenti, invece, il Consiglio non può far altro che assumersi l’onere di “contenere” e “limitare” il potere del procuratore di determinare i criteri generali di organizzazione (con la circolare del 2017) e i progetti organizzativi sono soggetti alla mera presa d’atto, cui non segue e non può seguire alcun obbligo conformativo, neppure in caso di gravi rilievi.
Tale impostazione, come vedremo nel prosieguo, è stata di recente stravolta dalla Riforma Cartabia[11].
Anche la tematica dei criteri di priorità assume estrema rilevanza sotto il profilo dell’impostazione verticistica: la riforma del 2006 non prevede esplicitamente i criteri di priorità che, introdotti nel 2008 (con l’art. 132 bis d.att. c.p.p. che riguarda gli uffici giudicanti), vengono considerati della circolare del 2017 quale contenuto solo eventuale del progetto organizzativo. Il difficile equilibrio tra i criteri di priorità e l’obbligatorietà dell’azione penale, come l’arduo compromesso tra potere diffuso dell’azione penale e logiche verticistiche delle scelte imposte dalle priorità[12] viene trovato e regolato dal CSM con diverse delibere. Si tratta di atti consiliari in cui si afferma sostanzialmente che, al di fuori dei criteri legali di priorità (ex art. 132 bis rimessi ai dirigenti degli uffici giudicanti), quelli ultra legali devono essere determinati nell’ambito di procedure condivise, possono consistere nella posticipazione della trattazione di taluni affari (giammai nell’accantonamento) e non hanno carattere strictu sensu vincolante.
Con la Riforma Cartabia (D.lvo n. 71/2022) e la Riforma penale (D.lvo n. 150/2022) assistiamo ad un’inversione di rotta: i criteri di priorità, per un verso, sono assoggettati ai criteri generali indicati dal Parlamento con legge; per altro verso, divengono parte integrante del contenuto necessario del progetto organizzativo e, come tali, sono determinati dal Procuratore della Repubblica nell’ambito dei principi generali stabiliti dal Consiglio (con circolare) e vincolano i sostituti.
Questo è il grande tema su cui confrontarsi oggi: il rischio, infatti, non è più il potere gerarchico del Procuratore (comunque contenuto nei limiti dei criteri generali del Parlamento e dei principi generali del Consiglio), ma la direzione verticistica del legislatore che orienterà la trattazione prioritaria di alcuni affari negli uffici requirenti (cfr paragrafo 6.2.1).
4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure
4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020
L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2017/2019, elaborati in sede di prima applicazione della circolare del 16.11.2017, e l’esame dei rilievi mossi da alcuni Consigli Giudiziari ha consentito alla Settima Commissione del CSM di individuare specifici punti sui quali intervenire al fine di chiarire o rafforzare le indicazioni della circolare vigente, sempre allo scopo di garantire i principi di trasparenza e responsabilità nella direzione dell’Ufficio di Procura, di autonomia, anche interna, dei magistrati dell’Ufficio e il ruolo di controllo e verifica del circuito del governo autonomo.
Con questi obiettivi, la circolare del 16.12.2020 ha:
- rafforzato gli obblighi di motivazione, con riguardo: alla scelta di attribuire funzioni di coordinamento ad un sostituto, in presenza di Procuratore Aggiunto (art.4 comma 1 lett. b); a tutte le scelte derogatorie in tema di assegnazione di affari; alla scelta del magistrato su cui ricade l’assegnazione in deroga (art. 10 commi 4 e 5);
- stabilito che i criteri di assegnazione devono essere preferibilmente individuati in meccanismi “automatici”;
- previsto la specifica indicazione dei criteri per l’assegnazione di singoli atti nei procedimenti assegnati al procuratore e al procuratore aggiunto (art. 7 comma 3 lett. e), con provvedimento adeguatamente motivato ed in ragione di specifiche esigenze organizzative (art. 11, comma 1);
- introdotto l’obbligo di motivazione per i provvedimenti di rinnovo o di mancato rinnovo della designazione del magistrato alla DDA;
- posto particolare attenzione ai magistrati di prima nomina (con riferimento all’assegnazione degli affari) e ai magistrati di nuova destinazione (in ordine alla provvisoria assegnazione);
- valorizzato l’interpello e la predeterminazione delle rispettive regole e dei criteri di valutazione quali strumenti procedurali imprescindibili:
*nell’assegnazione ai gruppi di lavoro;
*nell’assegnazione dei compiti di coordinamento ai procuratori aggiunti (e ai sosttuti);
*nell’assegnazione dei compiti di collaborazione;
*nell’assegnazione dei magistrati alla DDA;
- valorizzato il metodo partecipato per l’adozione del progetto organizzativo, attraverso le previsioni: della redazione di una “proposta di progetto” da condividere con i magistrati dell’ufficio prima dell’assemblea generale dell’ufficio; dell’obbligo di redigere un verbale dell’assemblea da allegare al provvedimento finale (art.8 comma 1); della condivisione preliminare della proposta del progetto organizzativo con il presidente del tribunale, affinché questi possa offrire il suo contributo valutativo, in funzione di un’idea di giurisdizione unitariamente intesa e della realizzazione di un servizio giustizia efficiente;
- valorizzato le funzioni semidirettive (e, conseguentemente, le prerogative riservate in quest’ambito all’organo di governo autonomo per mezzo di uno specifico procedimento di valutazione, selezione e nomina), attraverso:
* la previsione della natura eccezionale e temporanea dell’attribuzione di funzioni proprie dei semidirettivi a sostituti procuratori, in presenza di procuratori aggiunti in pianta organica;
* la previsione dell’obbligo per i procuratori aggiunti di svolgimento di ulteriori funzioni aggiuntive rispetto alle concorrenti competenze di direzione e coordinamento (con la indicazione espressa nel progetto organizzativo della percentuale della riduzione del lavoro giudiziario “ordinario”);
* il divieto di esonero per i magistrati sostituti coordinatori;
- valorizzato lo svolgimento di una quota di lavoro giudiziario da parte del procuratore della Repubblica, attraverso la riserva di una quota di lavoro giudiziario “ordinario”, rimessa alla valutazione motivata del procuratore, compatibile con le funzioni direttive e le dimensioni dell’ufficio, da indicare nel progetto organizzativo;
- valorizzato la trasparenza dell’esercizio del potere organizzativo anche in funzione della conoscibilità da parte dell’organo di governo autonomo chiamato alla sua valutazione (oltre che alla valutazione della conferma o di domande per ulteriori incarichi), attraverso:
* l’onere del procuratore di provvedere ad idonee modalità di conservazione della documentazione relativa ai provvedimenti di assegnazione in deroga (auto assegnazioni, coassegnazioni successive, assegnazioni in deroga ai criteri stabiliti); e la connessa possibilità per il Consiglio di accedere a tale documentazione ai fini della valutazione del dirigente (in sede di conferma nell’incarico direttivo ovvero di procedura di conferimento di altro incarico);
* il dovere del procuratore di esplicitare nel progetto organizzativo i criteri con cui intende procedere alle co-assegnazioni dei procedimenti di competenza della DDA (con l’onere di custodire in modo idoneo presso l’ufficio la documentazione relativa ai provvedimenti di co-assegnazione a magistrati esterni alla DDA);
- valorizzato l’attività dei Consigli Giudiziari, prima prevista solo nell’ambito della valutazione dei progetti organizzativi e delle relative variazioni ‘rilevanti’[13], oggi anche per:
* le variazioni ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal Procuratore o dal CSM);
* i provvedimenti attuativi ‘rilevanti’ (il CSM può chiedere parere);
* i provvedimenti attuativi ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal CSM):
* i provvedimenti di revoca dell’assegnazione di un procedimento in caso di contrasto (art. 15) (il CSM può chiedere il parere in presenza di osservazioni);
* i provvedimenti di designazione alla DDA e di mancato rinnovo al termine del biennio della designazione di un magistrato alla DDA (art. 22 e 24) (il CSM può chiedere il parere).
La nuova circolare, infine, ha accorpato le regole di funzionamento della DDA, che va intesa come articolazione speciale posta all’interno di un ufficio unitario e ha introdotto una specifica disciplina per la DNA, che ricalca, da un lato, le articolazioni di una procura della Repubblica ed in particolare di una DDA; dall’altro, tiene conto di alcune delle scelte già ampiamente sperimentate nel corso degli anni e sviluppate con i più recenti progetti organizzativi dell’ufficio.
4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro
L’esame dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022, iniziato nel gennaio 2022, ha consentito, per un verso, di constatare criticità nell’applicazione della previsione dell’art. 7 circ. proc., nella parte relativa alla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro: l’indicazione si presentava generica e sembrava sovrapporsi alla ulteriore disposizione riguardante i termini massimi di permanenza (10 anni) nelle articolazioni in cui era organizzato l’ufficio, con riferimento al regolamento del 2008[14]; per altro verso, ha permesso di verificare la eterogeneità delle prassi applicative adottate nei progetti organizzativi, non sempre giustificate dalle dimensioni o da esigenze di funzionalità dell’ufficio.
La materia, pertanto, ha formato oggetto di una specifica modifica della circolare, adottata dal Consiglio con delibera del 16.6.2022, che ha innovato l’art. 7, comma 4, lettere a) e b), circ. proc., che oggi così dispone:
“Il progetto organizzativo costituisce il documento programmatico ed organizzativo generale dell’ufficio e contiene, in ogni caso:
a) la costituzione dei gruppi di lavoro per gli uffici composti da almeno otto sostituti e, ove possibile, anche per quelli con organico inferiore;
b) i criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione, nonché le regole per lo svolgimento dell’interpello, volto all’assegnazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro;
b.1) le regole sulla mobilità interna, prevedendo la permanenza temporanea nei gruppi di lavoro, per un periodo compreso tra un minimo ed un massimo ed in particolare: un anno, per le assegnazioni d’ufficio, due anni, per le assegnazioni a domanda, estensibili fino a tre anni, e per comprovate esigenze di servizio; dieci anni, per il periodo massimo;
b.2) i criteri di computo del periodo minimo di permanenza sopra indicato alla lettera b).1, così determinato: la decorrenza è dal giorno in cui il magistrato ha preso effettivo possesso nel gruppo specializzato da cui chiede di essere spostato; il termine finale è la data di scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione come prevista nell’interpello;
b.3) i criteri da applicare per l’assegnazione, a domanda, dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro, volti a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio, nonché a valorizzare le specifiche attitudini dei magistrati;
b.4) i criteri da applicare per l’individuazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori da assegnare d’ufficio ai gruppi di lavoro, per garantire la copertura dei posti rimasti senza aspiranti all’esito dell’interpello o per far fronte ad eccezionali e straordinarie esigenze di funzionalità dell’ufficio, da indicare con specifica motivazione;”.
Si è, dunque, colta l’occasione per:
- indicare i presupposti in presenza dei quali individuare obbligatoriamente i gruppi di lavoro (almeno 8 sostituti), coerentemente con il regolamento del 2008;
- chiarire che l’interpello per la destinazione ai gruppi, deve riguardare sia i sostituti, per la composizione, sia gli aggiunti, per le funzioni di coordinamento;
- regolamentare la mobilità interna, introducendo, oltre al termine massimo (di 10 anni, come previsto del Regolamento del 2008), quello minimo, individuato in 2 anni (estensibili a 3), nel caso di precedente assegnazione a domanda; 1 anno, nell’ipotesi di precedente destinazione d’ufficio (con conseguente assimilazione degli uffici requirenti a quelli giudicanti, per i quali da tempo sono previste rigorose disposizioni in tema di concorsi interni).
[1] L’art. 7 ter, comma 3, o.g., prima della sua abrogazione, prevedeva che “Il Consiglio Superiore della magistratura determina i criteri generali per l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l’eventuale ripartizione di essi in gruppo di lavoro”
[2] In materia di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio, l’art. 19 del d.lvo 160/2006 prevede che:
“1. I magistrati che esercitano funzioni di primo e secondo grado possono rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o, comunque, nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell'ambito delle stesse funzioni, per un periodo stabilito dal Consiglio superiore della magistratura con proprio regolamento tra un minimo di cinque e un massimo di dieci anni a seconda delle differenti funzioni; il Consiglio superiore può disporre la proroga dello svolgimento delle medesime funzioni limitatamente alle udienze preliminari già iniziate e per i procedimenti penali per i quali sia stato già dichiarato aperto il dibattimento, e per un periodo non superiore a due anni.
2. Nei due anni antecedenti la scadenza del termine di permanenza di cui al comma 1, ai magistrati non possono essere assegnati procedimenti la cui definizione non appare probabile entro il termine di permanenza nell'incarico.
2-bis. Il magistrato che, alla scadenza del periodo massimo di permanenza, non abbia presentato domanda di trasferimento ad altra funzione all'interno dell'ufficio o ad altro ufficio e' assegnato ad altra posizione tabellare o ad altro gruppo di lavoro con provvedimento del capo dell'ufficio immediatamente esecutivo. Se ha presentato domanda almeno sei mesi prima della scadenza del termine, può rimanere nella stessa posizione fino alla decisione del Consiglio superiore della magistratura e, comunque, non oltre sei mesi dalla scadenza del termine stesso”.
[3] La Risoluzione, secondo il Regolamento Interno del Consiglio, può avere ad oggetto la disciplina dell’esercizio delle proprie attribuzioni, cui devono attenersi le Commissioni e tutte le articolazioni consiliari, nell’esercizio delle rispettive attribuzioni, sinché non siano state modificate con successiva risoluzione.
La Circolare, invece, è emanata “per dare esecuzione o interpretazione alla legge e ai regolamenti, nonché per fornire criteri di orientamento sull’esercizio delle attribuzioni e della discrezionalità del Consiglio”.
[4] L’interpello è previsto, di regola, per l’assegnazione dei magistrati ai gruppi di lavoro; per la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi; per gli incarichi di coordinamento e collaborazione.
[5]Specifiche e dettagliate procedure sono previste per: la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi di lavoro (procedimento delle variazioni al progetto organizzativo di cui all’art. 8, comma 2); per la revoca della delega conferita all’aggiunto (procedimento di revoca dell’assegnazione di cui all’art. 15); la elaborazione del progetto organizzativo e delle relative variazioni; gli incarichi di coordinamento e collaborazione (come variazioni al progetto organizzativo); i provvedimenti attuativi del progetto organizzativo; la revoca dell’assegnazione di un procedimento.
[6] Il provvedimento motivato è previsto per: l’assegnazione dell’incarico di coordinamento del gruppo di lavoro; la revoca della delega di funzioni all’aggiunto; la nomina del Vicario (eventuale); la conferma del progetto organizzativo previgente; i provvedimenti attuativi adottati in deroga ai criteri del progetto organizzativo; la coassegnazione in una fase successiva alla prima assegnazione del procedimento; l’assegnazione di un procedimento in deroga ai criteri generali indicati nel progetto; la sostituzione del magistrato designato alla trattazione dell’udienza; la definizione del contrasto sull’assenso in materia di misure cautelari; la rinunzia all’assegnazione da parte del magistrato.
La motivazione è prevista, altresì, nei casi di auto assegnazione e di revoca dell’assegnazione o designazione, ma si tratta di ipotesi già contemplate dalle precedenti risoluzioni.
[7] Ai sensi dell’art. 8, comma 8, nel Fascicolo dell’organizzazione della Procura sono inseriti il progetto organizzativo, le sue conferme, le modifiche e variazioni, i provvedimenti sulle assegnazioni dei magistrati ai gruppi di lavoro e quelli che incidono sulle assegnazioni dei procedimenti ed ogni altro documento avente significativo riflesso sulla organizzazione interna, secondo le modalità informatiche disciplinate dal C.S.M..
[8] La relazione illustrativa della circolare in esame sottolinea che “proprio la natura del programma organizzativo, inteso quale regola generale dell’Ufficio e di attuazione delle scelte di autonomia direttiva, reclama una sua stabilità”. Solo attraverso la “stabilità organizzativa”, infatti, può essere garantita la riconoscibilità delle scelte organizzative da parte dei cittadini e degli operatori giudiziari nel loro complesso (avvocatura, uffici giudicanti, amministrazione). Del resto, i singoli magistrati componenti l’Ufficio, “devono poter confidare su uno strumento organizzativo stabile, comprensibile, agile e soprattutto funzionale alle strategie processuali e procedimentali imposte dal codice di rito e dalle prassi giudiziarie”.
Una frequente e sistematica emenda di tali regole, non dettata da concrete e comprovate esigenze e successiva alla predisposizione iniziale dell’assetto dell’Ufficio, sarebbe, al contrario, poco in linea con i principi ai quali il programma organizzativo deve essere ispirato, determinando “regole del caso concreto”, potenzialmente disfunzionali rispetto alla logica del riconoscimento delle prerogative direttive in capo al Procuratore della Repubblica e che, come tale, lungi dall’essere attuazione delle prerogative riconosciute al dirigente dal Legislatore, rappresenterebbe una sostanziale vanificazione della sua ratio ispiratrice.
E’ per questo che il contenuto, la tipologia, la frequenza, la motivazione delle successive modifiche, da adottarsi secondo la procedura di cui all’art. 8, sono sintomatiche dell’autentica capacità organizzativa del Dirigente ed espressione del regolare (o irregolare) andamento dell’ufficio.”.
[9] Si tratta delle norme della circolare sulle tabelle su: esoneri, tutela della genitorialità, maternità, malattia, tutela delle esigenze familiari e dei doveri di assistenza, collaborazione di un magistrato delegato, referente informatico, referente per la formazione, componente della STO, componente dei consigli giudiziari, benessere organizzativo.
[10] E’ indubbio, invero, che la circolare del 16.11.2017 abbia temperato i più seri aspetti gerarchizzanti che connotavano il D.lvo n. 106/2006, quali: l’individualismo decisorio (che oggi deve fare i conti con l’assemblea generale); l’assoluta separatezza con l’organizzazione tabellare dei giudici (di cui invece si assume la medesima valenza triennale); l’assenza originaria di controlli, ristetti alla vigilanza degli stessi vertici requirenti (superata da una rigorosa procedura di valutazione del Consiglio); l’inesistenza di procedure di gestione dell’ufficio (colmata dall’inserimento di molteplici fasi procedimentalizzate); la distanza dall’organo di autogoverno ed il difetto di ogni interlocuzione con esso (bilanciati da diverse ipotesi di interlocuzione nei casi di maggiore “frizione”); la carenza di ogni trasparente rimedio per le ipotesi di contrasto irrisolto tra dirigente e singolo sostituto (che ha lasciato il posto ad una articolata procedura volta alla soluzione); la mancanza di collegamento con scopi e valori costituzionali (collegamento che invece la circolare assicura orientando le forme di manifestazione del potere organizzativo del Procuratore al principio del buon andamento e imparzialità (97 cost.); ai principi di autonomia e indipendenza (101 e 104 cost.); a quello di inamovibilità per sede e funzione e pari dignità dei magistrati (107 cost.); ai principi di obbligatorietà dell’azione penale (112 cost.), giusto processo e ragionevole durata del processo (111 cost.), come espressamente previsto negli artt. 1 e 2, comma 1, e implicitamente affermato in altri moduli organizzativi regolati in altre disposizioni).
[11] La legge n. 71/2022, infatti, non solo ha riproposto per le procure il sistema esistente ante riforma 2006, ripristinando la prerogativa consiliare di fissare i criteri generali di organizzazione cui il Procuratore deve attenersi nella elaborazione dei progetti organizzativi, ma ha anche espressamente previsto che questi ultimi sono soggetti all’approvazione del CSM (ante 2006, l’approvazione era una conseguenza del controllo sulla conformità dei progetti ai criteri generali stabiliti dal Consiglio ma non era esplicitamente prevista come per le tabelle).
[12]Ci si riferisce alla questione della possibilità di coniugare il modello della direzione funzionale delle procure con le scelte in termini di criteri di priorità: può esserci il modello del primus inter pares, e quindi la totale indipendenza, all’interno di un ufficio in cui si devono operare scelte su cosa perseguire prima (o su cosa abbandonare in un armadio) o su cosa costituisce emergenza criminale per quella determinata area geografica?
[13] “Rilevanti” sono considerate le variazioni (o i provvedimenti attuativi) inerenti ai gruppi di lavoro, alla assegnazione agli stessi di sostituti e aggiunti, alla assegnazione di procedimenti in deroga, a revoca, assenso e visto. Con la nuova circolare sono state ritenute rilevanti anche le previsioni in materia di turni di servizio.
“Non rilevanti” sono le variazioni (o i provvedimenti attuativi) riguardanti ogni altro diverso ambito.
[14] Si ricorda che il Regolamento in materia di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio (Delibera del 13 marzo 2008 e succ.mod. all’11 febbraio 2015), con l’art. 1, esclude l’applicazione della normativa sul divieto di permanenza ultradecennale, al sostituto procuratore della Repubblica presso un ufficio di procura composto da magistrati in numero fino a otto unità compreso il procuratore della Repubblica e al sostituto procuratore generale presso la corte di appello.
L’art. 2, comma 1, stabilisce il termine massimo di permanenza di dieci anni nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro per i magistrati che svolgono, tra le altre, le funzioni:
- nelle procure della Repubblica composte da magistrati in numero superiore a otto unità compreso il procuratore della Repubblica;
- nella direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica.
L’art. 2, comma 2, prevede che “Il magistrato trasferito a seguito del superamento dei termini massimi di cui all’art. 2 può tornare nella medesima posizione tabellare o nello stesso gruppo di lavoro soltanto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa di possesso nel nuovo incarico”.