ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. I caratteri di un’inedita procedura di riforma dell’ordinamento – 2. I principali settori di intervento. La modifica del potere di Impoundment – 2.1 La modifica dei limiti del potere presidenziale di procedere ad una riforma unilaterale dell’apparato federale – 2.2 La modifica dei limiti del potere presidenziale di licenziare i vertici delle agenzie amministrative indipendenti. L’unicità della Federal Reserve – 2.3. L’espansione dei poteri dell’esecutivo in materia di immigrazione – 2.4 L’abrogazione delle Universal Injunctions – 3. Prospettive future: il caso sulla legittimità dei dazi – 4. Conclusioni.
1. I caratteri di un’inedita procedura di riforma dell’ordinamento
Negli Stati Uniti è in corso una profonda riconfigurazione dell’ordinamento giuridico. La modalità con cui è attuato questo cambiamento epocale presenta però due anomalie, entrambe manifestazione della grave crisi istituzionale che attraversa il Paese. La prima è che questo processo di riforma non è condotto dall’organo costituzionale a ciò deputato, ossia il Congresso. Al contrario, totalmente escluso da questo processo, il Parlamento viene sostituito nel suo ruolo tradizionale dalle iniziative della Presidenza e dai successivi interventi della Corte Suprema. La seconda anomalia ha riguardato la natura delle decisioni adottate dal massimo tribunale. Su richiesta dell’Amministrazione la Corte si è infatti pronunciata con decisioni di tipo emergenziale a carattere interinale a cui, però, ha attribuito, in maniera inedita, valore di precedente.
Questa anomala procedura di riforma, utilizzata non solo per creare nuovo diritto ordinario ma, ancor più grave, per ridisegnare l’equilibrio dei poteri costituzionali, si è venuta ad affermare in conseguenza dello scontro tra l’Amministrazione in carica e le Corti federali.
Le Corti hanno infatti avversato fin da principio la strategia messa in atto dal Presidente Trump volta a ridefinire e ad ampliare i confini tradizionali del potere esecutivo[1].
Nei casi concernenti questi tentativi la giurisprudenza federale ha giudicato in via pressoché costante a sfavore del Presidente, ritenendo di dover disporre, in via cautelare, la sospensione dell’efficacia dei provvedimenti adottati dall’Amministrazione. In presenza di seri dubbi di legittimità degli atti dell’esecutivo, le Corti hanno dunque preferito tutelare i diritti dei soggetti potenzialmente lesi da queste politiche[2].
Di qui l’Amministrazione, al fine di non vedersi arenata nelle aule di Tribunale l’implementazione delle proprie politiche per tutta la durata dei vari giudizi di merito, ha deciso di adire direttamente la Corte Suprema in via emergenziale ai sensi dell’art.23 del Regolamento di Procedura della Corte Suprema degli Stati Uniti[3] e della sezione 1651, Titolo 28 U.S. Code, All Writs Act[4], proprio per ottenere la sospensione dei provvedimenti cautelari emessi dalle Corti federali. E la Corte Suprema, prestandosi a questo utilizzo, ha concesso all’Amministrazione, salvo qualche eccezione, numerose vittorie, provocando un’espansione di fatto senza precedenti del potere esecutivo[5].
Vale la pena rilevare che l’accoglimento dell’istanza di sospensione urgente dà vita alla costituzione in seno alla Corte Suprema del cosiddetto fascicolo ombra (shadow docket)[6], detto anche “interim relief docket” o fascicolo emergenziale, il quale consente alla Corte di decidere la questione sottoposta alla sua attenzione seguendo una disciplina speciale: con essa infatti, decide unicamente sulla base degli atti depositati dalle parti, in tempi molto brevi, senza una discussione orale e redigendo solo un dispositivo privo di firma e di motivazione.
2. I principali settori di intervento. La modifica del potere di Impoundment
La questione più recente ha riguardato il tentativo messo in atto dall’Amministrazione di ottenere dalla Corte Suprema il riconoscimento del potere di abolire unilateralmente parte dei fondi attribuiti dal Congresso agli apparati federali. Il contenzioso di fronte a questa Corte si è sviluppato lungo tre casi fondamentali: Department of State v. Aids Vaccine Advocacy Coalition[7], concernente il rifiuto dell’amministrazione di spendere 4 miliardi di dollari di aiuti per l’estero stanziati dal Congresso, Department of Education v. California[8], riguardante la cancellazione operata dalla Segretaria del Dipartimento dell’Istruzione di programmi e sovvenzioni federali stanziati dal Congresso in favore della formazione degli insegnanti e, infine, NIH v. APHA[9] concernente la sospensione operata dal Presidente di 783 milioni di dollari fondi federali attribuiti dal Congresso al Dipartimento della Salute perché contrari alla sua politica in tema di livellamento, sul luogo di lavoro, delle disuguaglianze legate al genere, all’orientamento sessuale o alla provenienza etnica delle persone.
In tutti questi casi, dopo che le Corti federali avevano temporaneamente bloccato le azioni dell’esecutivo perché considerate illegittime, la Corte Suprema ha temporaneamente concesso al Presidente, via shadow docket, di perpetrare queste condotte.
In attesa della decisione di merito, vale la pena sottolineare la rilevanza di questi casi sotto il profilo della separazione dei poteri: riconoscere al Presidente un potere unilaterale di “Impoundment” -per altro vietato dall’Impoundment Control Act del 1974[10]- equivarrebbe a svuotare di senso il “potere di portafoglio del Congresso”, strumento principe a disposizione del Parlamento per obbligare la macchina federale ad attuare le proprie volontà politiche.
2.1 La modifica dei limiti del potere presidenziale di procedere ad una riforma unilaterale dell’apparato federale
Un altro terreno di scontro di fondamentale importanza su cui ha trovato applicazione la nuova procedura di riforma ha riguardato il contenzioso azionato di fronte alle Corti federali in merito all’attuazione delle pesanti ristrutturazioni delle agenzie federali stabilite nell’ordine esecutivo 14210 e relative attuazioni[11]. La questione di merito concerne i limiti del potere del Presidente di procedere a licenziamenti di massa, ovvero alla cancellazione di intere agenzie in assenza di un espresso mandato parlamentare. Le Corti federali, all’unanimità, avevano bloccato le politiche attuate dall’amministrazione in esecuzione all’ordine esecutivo citato, sostenendo che il Presidente non potesse procedere ad una ristrutturazione delle agenzie senza collaborare con il Congresso. Dato che le agenzie sono create dal Parlamento con legge e sono dal medesimo finanziate, secondo le Corti si deve desumere che sia solo il Congresso a disporre del potere – eventualmente delegabile all’esecutivo – di modificarne la struttura ovvero di abrogarle.
In Trump v. AFGE[12] la Corte Suprema ha invece concesso al Presidente l’attuazione (temporanea) di queste politiche sostenendone il probabile successo, sotto il profilo della legittimità, nel giudizio di merito. Analogamente, in McMahon v. New York[13] la Corte Suprema ha rimosso, anche qui via shadow docket, la sospensione operata dalle Corti federali dei licenziamenti adottati dall’amministrazione nei confronti del 50% del personale del Dipartimento dell’Istruzione, attribuendo al Presidente, come nota nella sua opinione dissenziente la giudice Sotomayor, un potere di fatto di abrogare le leggi del Congresso “mediante la rimozione di tutti coloro che sono necessari alla loro attuazione”[14]. Dal punto di vista di merito, attribuire al Presidente il potere di abolire un Dipartimento istituito con legge del Congresso su base totalmente discrezionale ed in assenza di una specifica legge che lo autorizzi a ciò equivale ad alterare un cardine fondante il principio di separazione dei poteri e finisce per svuotare di reale significato la “Take Care Clause”, disposizione costituzionale che obbliga il Presidente a garantire la corretta applicazione delle leggi.
Un altro caso di recente attualità concerne la legittimità dei licenziamenti di circa quattro mila dipendenti federali[15], operata dalle agenzie federali su indicazione dell’Ufficio per la Gestione e il Bilancio (OMB)[16] che, in una e-mail, le invitava a cogliere “l’opportunità” derivante dal “government shutdown” per procedere all’esecuzione del piano Reduction in Force (RIF)[17]. Tali licenziamenti sono stati rapidamente impugnati di fronte alle Corti federali e la Corte distrettuale per il Distretto Settentrionale della California ha adottato un provvedimento cautelare di sospensione dei licenziamenti, stabilendo che lo sfruttamento del “blocco delle attività amministrative” per procedere a licenziamenti su larga scala è illegittimo in quanto, richiamando il linguaggio della sezione 706 (2) (A) dell’Administrative Procedure Act (APA)[18], adottato in eccesso di potere e in modo “arbitrario e capriccioso”. La controversia è appena iniziata e, vista la vastità delle persone interessate, è ragionevole ritenere che sul punto si pronuncerà, in futuro, anche la Corte Suprema.
2.2 La modifica dei limiti del potere presidenziale di licenziare i vertici delle agenzie amministrative indipendenti. L’unicità della Federal Reserve.
Un altro settore di duro scontro tra le Corti federali e l’Amministrazione in cui l’intervento della Corte Suprema è stato decisivo ha riguardato il tema dei limiti del potere presidenziale di licenziare i vertici delle agenzie amministrative indipendenti. A fronte dei numerosi licenziamenti senza causa compiuti dal Presidente nei confronti di diverse figure apicali delle agenzie indipendenti nominate dal suo predecessore Joe Biden, le Corti federali hanno all’unanimità decretato l’illegittimità del loro licenziamento, ordinandone l’immediata reintegra sul posto di lavoro. Nelle loro decisioni le Corti hanno applicato i principi sanciti dal precedente del 1935 Humphrey’s Executor che aveva stabilito un limite al potere del Presidente in materia, sancendo che sebbene “il Presidente possa normalmente licenziare i propri subordinati per qualsiasi motivo, il Congresso può istituire agenzie amministrative indipendenti i cui membri possono essere rimossi solo per giusta causa.”[19]
Al contrario, in Trump v. Wilcox[20], Trump v. Boyle[21] e in Trump v. Slaughter[22] la Corte Suprema ha dato il via libera al mantenimento del licenziamento operato da Trump nei confronti di alcuni vertici delle agenzie indipendenti, adottando un’interpretazione estensiva dei principi sanciti in Seila Law[23]. Secondo questo precedente rientrerebbe tra i poteri del Presidente, in quanto titolare dell’intero potere esecutivo, quello di “rimuovere senza giusta causa i funzionari esecutivi che esercitano tale potere per suo conto, fatte salve le ristrette eccezioni riconosciute dai nostri precedenti giurisprudenziali.”[24]
La dottrina è pacifica nel riconoscere che queste decisioni preparano ormai la strada alla Corte Suprema per l’overrule del precedente Humphrey’s Executor[25]. Le conseguenze politiche sarebbero colossali: togliendo queste garanzie, l’esecutivo potrà controllare direttamente queste agenzie, mettendone a repentaglio il senso e dunque l’esistenza.
La questione si ripercuoterebbe, evidentemente, anche sulla sorte dei vertici della Federal Reserve, la Banca Centrale statunitense. Sul punto la Corte Suprema ha però mostrato un atteggiamento di maggiore prudenza, sottolineandone la natura peculiare. Nel caso concernente il licenziamento di Lisa Cook, membro del Board of Governors della FED, attuato da Trump sulla base di presunte false dichiarazioni rese dalla Cook al fine di ottenere un mutuo, la Corte ha imposto all’Amministrazione la reintegra sul posto di lavoro. Sul caso, la Corte ha fissato un’udienza per la discussione orale in gennaio 2026.
2.3. L’espansione dei poteri dell’esecutivo in materia di immigrazione
In materia di immigrazione, la Corte Suprema ha concesso molteplici vittorie all’Amministrazione ma ne ha anche frenato, talvolta, gli estremismi. In particolare, la Corte ha espanso i poteri dell’amministrazione di rimpatriare immigrati irregolari anche presso paesi terzi pericolosi con cui gli stessi non hanno alcun legame (DHS v. D.V.D.)[26]. La Corte ha anche concesso all’Amministrazione la possibilità di utilizzare procedure particolarmente rapide per l’espulsione degli immigrati irregolari e le ha consentito di procedere alla rimozione del “temporary protected status” (TPS) nei confronti di centinaia di migliaia di immigrati venezuelani[27]. Nel caso concernente l’utilizzo da parte del Presidente Trump dei poteri di guerra derivanti dall’Alien Enemy Act (AEA)[28] del 1798 per espellere numerosi immigrati irregolari, la Corte non si è pronunciata sulla legittimità dell’utilizzo di questa fonte normativa, limitandosi ad affermare che alla categoria degli “alien enemies” devono essere garantite le tutele derivanti dal diritto ad un giusto processo, soprattutto sotto il profilo della notifica e della concessione di un termine ragionevole per la proposizione di un ricorso prima che avvenga la loro espulsione (Trump v. J.G.G.)[29]. Infine, la Corte ha anche obbligato l’amministrazione a facilitare il rientro negli Stati Uniti di Abrego Garcia, soggetto erroneamente detenuto in una prigione salvadoregna[30].
2.4. L’abrogazione delle Universal Injunctions
Un altro settore di intervento in cui la Corte Suprema ha modificato il diritto ordinario con una decisione emergenziale priva di motivazione ha riguardato il tema delle “universal injunctions”, ossia gli ordini cautelari emessi da una corte federale che hanno l’effetto di bloccare l’applicazione di un provvedimento governativo su scala nazionale.
In Trump v. CASA[31], caso concernente la legittimità costituzionale dell’ordine esecutivo 14160[32] con cui Trump ha modificato il diritto costituzionale di cittadinanza per ius soli nei confronti di determinate categorie di soggetti nati da genitori illegalmente residenti negli Stati Uniti, la Corte non si è espressa sulla manifesta incostituzionalità del decreto esecutivo, ma ha decretato l’illegittimità delle universal injunctions. Secondo la Corte esse eccedono i poteri equitativi delle Corti federali in quanto non hanno fondamento storico nel diritto statunitense. Di conseguenza, d’ora in avanti i giudici potranno attribuire tutela solo nei confronti dei ricorrenti in giudizio, creando effetti paradossali: mentre un provvedimento illegittimo non produce effetti per i ricorrenti, può rimanere in vigore nei confronti di tutti gli altri soggetti.
La decisione produce effetti diretti sull’equilibrio dei poteri. Il potere delle Corti federali di interdire l’amministrazione dal compiere politiche in contrasto con i principi dell’ordinamento viene ridimensionato, indebolendo così nei fatti il ruolo di garanzia e di bilanciamento del potere giudiziario, a favore di una Presidenza rafforzata.
3. Prospettive future: il caso sulla legittimità dei dazi
Il caso certamente più esplosivo e rilevante su cui si attende una decisione della Corte Suprema nel prossimo futuro riguarda la legittimità dei dazi adottati dal Presidente Trump sulla base dell’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA)[33]. La controversia ha terminato il suo iter ordinario presso le Corti federali e la Corte Suprema, accogliendo il ricorso, ha accettato di decidere sul caso, fissando l’udienza per la discussione orale il 5 novembre 2025.
Le Corti federali avevano decretato in primo grado[34] e in appello[35] l’illegittimità dei dazi ricorrendo a tre argomenti essenziali. Anzitutto è stato sostenuto, sulla base dell’argomento letterale, che il potere invocato dal Presidente di imporre dazi non è sancito nell’IEEPA e che, dallo stesso testo, non è nemmeno ricavabile in via interpretativa.
In secondo luogo, si è affermato che anche qualora questo potere fosse ricavabile in via interpretativa dalla fonte normativa, la delega di tale potere sarebbe incostituzionale in quanto in violazione del principio di separazione dei poteri, della dottrina della “non delegazione”[36] e della dottrina delle “questioni maggiori”[37].
Le Corti federali, qualificando i dazi come tasse, hanno sostenuto che l’adozione degli stessi rientra in una competenza costituzionale esclusiva del Congresso[38]. Sulla base di ciò, l’esercizio di tale potere non può essere abdicato dal Congresso: la delega all’esecutivo per essere legittima deve contenere dei limiti chiari. Nel risolvere la controversia i giudici federali hanno applicato in maniera rigorosa le dottrine della “non delegazione” e delle “questioni maggiori” secondo i rigidi standard imposti dalla Corte Suprema nei suoi più recenti verdetti adottati nel corso dell’Amministrazione Biden, quali Biden v. Nebraska[39], West Virginia v. EPA[40] e Looper Bright v. Raimondo[41].
La Corte Suprema si trova ora posta di fronte ad un dilemma. Da un lato è evidente che non possa decretare l’illegittimità di tutti i dazi imposti dal Presidente Trump senza evitare uno scontro politico interno dalle ripercussioni globali. I dazi sono stati il principale strumento di politica estera utilizzato dal Presidente dal suo insediamento e decretarne l’illegittimità comporterebbe invalidarne i risultati conseguiti. Le pressioni attuate da Trump con i dazi si sono dimostrate uno strumento efficace per obbligare numerosi Paesi, tra cui l’Unione europea, a rinegoziare con gli Stati Uniti nuovi accordi commerciali. Dichiararne l’illegittimità equivarrebbe a depotenziare la Presidenza: la questione è semplicemente “too big to fail”.
Dall’altro lato l’unico modo che la Corte ha per salvare i dazi del Presidente è smentire i propri più recenti precedenti esautorandone di fatto la portata normativa.
Una potenziale via d’uscita da questo vicolo cieco è offerta dal ricorso presentato dal Solicitor General D.J. Sauer: al fine di aggirare la competenza esclusiva del Congresso in materia, i dazi non vanno qualificati come tasse ma, guardando alle finalità per cui sono imposti, come strumenti di politica estera e di tutela della sicurezza nazionale[42].
In questo modo, avendo il Presidente dei poteri costituzionali in materia di tutela della sicurezza nazionale e in materia di politica estera, i dazi adottati per queste ragioni rientrerebbero, come le sanzioni economiche, in una “zona d’ombra” in cui la distinzione tra i poteri del Congresso e del Presidente si fa sfumata e in cui, in definitiva, il Presidente può vantare un potere proprio.
L’impatto di una decisione di questo tipo sull’equilibrio dei poteri sarebbe enorme, con la conseguenza di compiere un ulteriore passo verso l’accentramento di più potere nelle mani dell’Esecutivo.
Nel frattempo, l’imposizione unilaterale dei dazi da parte del Presidente ha creato diversi malumori nel Congresso, anche all’interno di esponenti di vertice del Partito Repubblicano.
Quattro degli otto senatori repubblicani più anziani sono stati infatti co-firmatari del Trade Review Act, una proposta di legge bi-partisan che ha l’obiettivo di vietare espressamente al Presidente la possibilità di imporre i dazi con il livello di unilateralità e discrezionalità che ha esercitato dall’inizio del suo secondo mandato[43]. La proposta, dopo un voto 49-49 al Senato, non è stata approvata. Dopo questo tentativo fallimentare, il Senatore Repubblicano Paul ha co-firmato la proposta democratica di adottare una Joint Resolution per porre termine, ai sensi della sezione 202 del National Emergency Act (NEA)[44], alla dichiarazione di emergenza nazionale sulla cui base Trump, nell’ordine esecutivo 14257[45], ha invocato il potere emergenziale di imporre dazi su scala globale[46]. Non essendo cambiata la maggioranza al Congresso è tuttavia poco probabile che la risoluzione venga approvata.
4. Conclusioni
Come illustrato, le Corti federali hanno deciso a sfavore del Presidente Trump nella maggior parte dei casi riguardanti gli atti della sua Amministrazione che fossero particolarmente impattanti sui diritti dei cittadini o dei residenti negli Stati Uniti. Di segno opposto la Corte Suprema, salvo qualche rara eccezione, è intervenuta in via emergenziale a favore dell’Amministrazione, rovesciando sistematicamente le decisioni dei giudici di grado inferiore[47]. Questa condotta ha creato forti tensioni all’interno della magistratura statunitense[48]. Come riportato dal New York Times, diversi giudici federali descrivono il loro rapporto con il massimo tribunale come “una zona di guerra” e considerano gli ordini emergenziali emessi dallo stesso come “uno schiaffo in faccia alle corti distrettuali”[49]. Secondo la maggior parte dei giudici intervistati, le decisioni emergenziali adottate dalla Corte Suprema sono “incredibilmente demoralizzanti e preoccupanti”: esse non solo sarebbero problematiche dal punto di vista giuridico, ma produrrebbero anche l’effetto di ledere la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti dell’intero sistema giudiziario[50].
Gli stessi giudici democratici della Corte Suprema riconoscono, nelle loro opinioni dissenzienti, la problematicità di queste decisioni emergenziali tanto da averle definite, a più riprese, come “una minaccia esistenziale alla rule of law”[51].
Ad alimentare la tensione è stata soprattutto la nuova concezione adottata dalla Corte Suprema sulla natura delle decisioni emergenziali. In maniera inedita, infatti, essa ha stabilito che queste decisioni assumono valore di precedente trovando applicazione “in casi simili”. In una storica opinione concorrente il giudice Gorsuch ha rimarcato che anche se le Corti di grado inferiore non sono d’accordo con queste decisioni, ciò non significa che possano non applicarle[52].
Dai casi analizzati emerge una postura della Corte Suprema in evidente discontinuità rispetto alla concezione tradizionale dei poteri presidenziali affermatasi nel secolo scorso. La Corte dà segnali di essere sempre più orientata all’adozione di una dottrina maggiormente conforme ai principi propri della teoria dell’ “esecutivo unitario”.
[1] L. Novellini, Come la Corte Suprema favorisce il cambio di regime di Trump, in Fiamme Americane, Limes online, 6/10/2025.
[2] A. Bonica, The Supreme Court Is at War With Its Own Judiciary, in Data for Democracy, Substack, 25/06/25.
[3] Rules of the Supreme Court of the United States, adottato il 5 dicembre 2022 ed in vigore dal primo gennaio 2023.
[4] United States Code, Title 28, Part V, Chapter 111, § 1651.
[5] Brennan Center, Supreme Court Shadow Docket Tracker — Challenges to Trump Administration Actions, 21/10/2025.
[6] W. Baude, The Supreme Court’s Shadow Docket, in New York University Journal of Law & Liberty, vol. 9, 2015.
[7] U.S. Supreme Court, Department of State, et al., v. Aids Vaccine Advocacy Coalition, et. al., 604 U. S. ____ (2025)
[8] U.S. Supreme Court, Department of Education, et al. v. California, et al., 604 U. S. ____ (2025)
[9] U.S. Supreme Court, National Institutes of Health, et al. v. American Public Health Association, et al., 606 U. S. ____ (2025).
[10] Impoundment Control Act of 1974, Pub L No 93–344, 88 Stat 297, codificato in U.S.C. 2 §§ 681–688.
[11] United States, Executive Order 14210: Implementing the President’s “Department of Government Efficiency” Workforce Optimization Initiative, 11 Feb 2025, 90 Fed Reg 9669 (2025).
[12] U.S. Supreme Court, Donald J. Trump, President of the United States, et al. v. American Federation of Government Employees, et al., 606 U.S. ____ (2025).
[13] U.S. Supreme Court, Linda McMahon, Secretary of Education, et al. v. New York, et al., 606 U.S. ___ (2025).
[14] Ivi, opinione dissenziente giudice Sotomayor.
[15] Questa è stata la cifra resa dal Senior Advisor dell’Ufficio per la Gestione e il Bilancio (OMB) alla Corte Distrettuale del Distretto Settentrionale della California nella sua “Supplemental Declaration”. Cfr U.S. District Court for the Northern District of California, Supplemental Declaration of Stephen Billy, Case No. 3:25-cv-08302-SI, 2025.
[16] Office of Management and Budget (OMB). Accessibile al sito: https://www.whitehouse.gov/omb/
[17] U.S. District Court for the Northern District of California, Declaration of Stephen Billy in support of Defendants’ opposition to plaintiffs’ motion for a temporary restraining order, Case No. 3:25-cv-08302-SI, 2025.
[18] Administrative Procedure Act of 1946, 5 U.S.C. §§ 551–559, §§ 701 – 706.
[19] U.S. Supreme Court, Humphrey's Executor v. United States, 295 U.S. 602 (1935).
[20] U.S. Supreme Court, Donald J. Trump, President of the United States, et al. v. Gwynne A. Wilcox, et al., 605 U. S. ____ (2025).
[21] U.S. Supreme Court, Donald J. Trump, President of the United States, et al. v. Mary Boyle, et al., 606 U.S. ____(2025).
[22] U.S. Supreme Court, Donald J. Trump, President of the United States, et al. v. Rebecca Kelly Slaughter, et al., 606 U.S. ____(2025).
[23] U.S. Supreme Court, Seila Law LLC v. Consumer Financial Protection Bureau, 591 U.S. ___ (2020).
[24] Ivi.
[25] Cfr N. Bednar, ‘Slaughter’-ing Humphrey’s Executor, in Lawfare, 15/10/25; S. A. Miller, et al., Supreme Court to Revisit Humphrey’s Executor in December; Reinstatement of Former FTC Commissioner Slaughter Paused Pending the Supreme Court’s Review, in National Law Review, 23/09/2025; A. Christafore, Humphrey’s Execution? Whether Humphrey’s Executor is Slated for the Supreme Court’s Chopping Block, in University of Cincinnati Law Review, Vol. 93, 2025; H. A. von Spakovsky, Humphrey’s Executor Case Shouldn’t Survive the Trump Presidency, in The Heritage Foundation, 24/09/2025.
[26] U.S. Supreme Court, Department of Homeland Security, et al. v. D. V. D., et al., 606 U.S. ___ (2025).
[27] U.S. Supreme Court, Kirsti Noem, Secretary, Department of Homeland Security v. National TPS Alliance, et. al., 606 U.S. ___ (2025).
[28] Alien Enemy Act of 1798, ch. 66, 1 Stat. 577 (US).
[29] U.S. Supreme Court, Donald J. Trump, President of the United States, et al. v. J.G.G., et al., 604 U. S. ____ (2025).
[30] U.S. Supreme Court, Kristi Noem, Secretary, Department of Homeland Security, et al. v. Kilmar Armando Abrego Garcia, et al., 604 U. S. ____ (2025).
[31] U.S. Supreme Court, Trump, President of the United States, et al. v. CASA, Inc.., et al., 606 U. S. ____ (2025).
[32] United States, Executive Order 14160: Protecting the Meaning and Value of American Citizenship, 20 gennaio 2025, in Fed. Reg. vol.90, no.18, 8449.
[33] International Emergency Economic Powers Act, 50 USC §§ 1701–1707 (1977).
[34] U. S. Court of International Trade, V.O.S. Selections, Inc., et. al., v. the United States of America, et. al., Case No. 25-00066, 2025.
[35] U.S. Court of Appeals for the Federal Circuit, V.O.S. Selections, Inc., et. al., v. Donald J. Trump, in his official capacity as President of the United States, et. al., Case 25-1812, 29/08/2025.
[36] U.S. Congress, Constitution Annoted, Overview of Nondelegation Doctrine, ArtI.S1.5.1 e ss.
[37] La dottrina e la giurisprudenza attorno a questa dottrina è molto estesa. Cfr D. T. Deacon, L. M. Litman, The New Major Questions Doctrine, in Virginia Law Review, vol.109, Issue 5, 2023, p.1009 e ss.
[38] U.S. Constitution, Article I, Sez. 8, Clause 1.
[39] U.S. Supreme Court, Biden, President of the United States, et al. v. Nebraska et al., 600 U. S. ____ (2023).
[40] U.S. Supreme Court, West Virginia et al., v. Environmental Protection Agency et al., 597 U.S. ____ (2022).
[41] U.S. Supreme Court, Loper Bright Enterprises et al., v. Raimondo, Secretary of Commerce, et al., 603 U. S. ____ (2024). Per un commento sulla portata strategica di questa sentenza si veda: L. Novellini, Il Tribunale della storia, in Musk o Trump: l’America al bivio, Limes, Rivista italiana di geopolitica, vol.12/2024, p.207 e ss.
[42] D. J. Sauer, Petition for a Writ of Certiorari, U.S. Supreme Court, Donald J. Trump, President of the United States, et al. v. V.O.S. Selections, Inc., et. al.
[43] S.1272 - Trade Review Act of 2025, 119th Congress, 1st Session. Promotrice Senatrice Maria Cantwell (D-WA). Tra i firmatari vi sono: Chuck Grassley (R-IA), Jerry Moran (R-KS), Amy Klobuchar (D-MN), Lisa Murkowski (R-AK), Mark Warner (D-VA), Mitch McConnell (R-KY), Michael Bennet (D-CO).
[44] National Emergency Act of 1976, Public Law 94-412, 50 U.S.C. 1622.
[45] U.S. Executive Order 14257, Regulating imports with a reciprocal tariff to rectify trade practices that contribute to large and persistent annual United States goods trade deficits, 90 Fed. Reg. 15041.
[46] S. J. Res., Terminating the national emergency declared to impose global tariffs, ROS25I38 JV9, 119th Congress, 1 st Session. Promotore Sen. Wyden. Tra i firmatari: Mr. Wyden (D-OR), Mr. Paul (R-KY), Mr. Schumer (D-NY), Mr. Kaine (D-VA), Mrs. Shaheen (D-NH), Mr. Welch (D-VT) e Ms. Warren (D-MA).
[47] A. Bonica, op.cit.
[48] M. Schwartz, Z. Montague, Federal Judges, Warning of ‘Judicial Crisis,’ Fault Supreme Court’s Emergency Orders, in New York Times, 11/10/2025.
[49] Ibidem.
[50] Ibidem.
[51] U.S. Supreme Court, Trump v. CASA, supra nota, opinion dissenziente giudice Jackson, p.1 e ss.
[52] U.S. Supreme Court, NIH V. APA, supra nota, opinione concorrente del giudice Gorsuch a cui si unisce il giudice Kavanaugh, p.1 e ss.
Nel mondo c’è una tendenza visibile in atto, che non solo percorre le guerre in corso, le quali ne sono l’effetto, ma che sta nel cuore dell’Occidente e dell’Europa. È la deriva autoritaria, che si manifesta insofferente ai controlli propri delle democrazie liberali e tra questi, naturalmente, a quello affidato dalle Costituzioni alla magistratura. In Italia è questo in gioco con la riforma della giustizia, che è diretta non tanto alla separazione delle carriere, quanto all’organo che garantisce l’indipendenza di giudici e pubblici ministeri, il CSM. Così il consigliere laico Ernesto Carbone nel suo intervento al congresso nazionale di Area Democratica per la Giustizia tenutosi a Genova nell'ottobre del 2025, che qui riportiamo.
Vorrei proporvi un esercizio: quello di inquadrare i tempi in cui viviamo.
Penso al 2022, quando l’Ucraina è stata invasa dalla Russia di Putin, con l’UE completamente assente e con un presidente degli USA che umilia l’aggredito e legittima l’aggressore. Per me gli USA hanno sempre rappresentato un modello di democrazia, eppure è successo questo.
Abbiamo visto Putin, che, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno, fa volare droni e aerei a sconfinare sul territorio europeo, tanto che alcuni Paesi della NATO invocano l’art. 5 del Trattato NATO, in forza del quale se uno Stato appartenente viene aggredito, tutti gli altri devono reagire. Questo articolo lo studiavo al liceo, nelle lezioni di educazione civica: mai avrei pensato che nella realtà venisse invocato.
Se ci spostiamo geograficamente, incontriamo Gaza e quello che è successo il 7 ottobre: un attentato terroristico, un attacco che va contro alla pace che a quel tempo stava quasi per essere siglata. La pace di Abramo. Abbiamo la reazione di Israele. Al proposito, ho sempre sostenuto che Israele non ha il diritto, ma il dovere di difendersi.
Però, il governo Netanyahu è andato ben oltre, come sappiamo.
Poi, abbiamo tutta un’altra serie di guerre che definirei guerre invisibili. In Donbass, in Sudan, in Congo, in Nigeria col massacro dei cristiani, in Birmania col massacro dei musulmani.
Sempre nelle ultime settimane, abbiamo visto, dall’altra parte del mondo, quattro Paesi, Cina, Russia, Corea del nord, India, che formano una nuova alleanza mondiale.
Sia chiaro che l’UE e gli USA, con i dazi da una parte e l’assenza della Von der Leyen dall’altra, hanno “regalato” l’India a questi altri tre soggetti.
Abbiamo problemi anche in Europa: l’Ungheria di Orban, la Serbia, dove ogni fine settimana centinaia, anzi migliaia di studenti scendono in piazza per contrastare il governo. E ahimé nessuno ne parla.
Se mettiamo insieme il tutto, può essere riassunto in una sola parola: autoritarismo.
E cosa fa l’autoritarismo? Fa quello che sta facendo Trump negli USA: manda via i direttori della CIA e della FBI non graditi, così anche i procuratori che hanno indagato su di lui. In città come Washington e Chicago, San Francisco e Los Angeles manda la guardia nazionale a commissariare la polizia.
L’autoritarismo, in particolare, è allergico al controllo. E quando si è allergici al controllo, occorre controllare due categorie: i giornalisti e i magistrati.
Vediamo cosa è successo in Italia: con un software molto potente, vengono spiati un “pericolosissimo sovversivo ed estremista” come don Mattia Ferrari, un sacerdote di 30 anni che dedica la sua vita agli ultimi del mondo, e spiati e intercettati giornalisti: non qualsiasi, ma quelli che, guarda caso, indagano su ciò che accade nel Partito di maggioranza. Questo software, Paragon, è israeliano, possono utilizzarlo soltanto i governi ed ha delle regole di ingaggio precise. Noi oggi, a distanza di un anno, non sappiamo chi ha utilizzato questo software e perché, ma soprattutto il motivo per il quale il contratto è stato rescisso. Il governo italiano ha speso milioni di euro per acquistare questo software; poi gli israeliani hanno detto che ha sbagliato a utilizzarlo. Perché? Che cosa è successo? Ad oggi non lo sappiamo.
E arriviamo alla magistratura. Il problema non è nella separazione delle carriere. Questo è un finto problema. Nei fatti la separazione esiste già. Il vero nodo di questa riforma è il doppio C.S.M. e il sorteggio.
Il C.S.M. non è una “stanza delle compensazioni e delle correnti” (come affermato da Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense): è composto da 30 persone – 20 togati scelti dai magistrati e 10 laici scelti dal Parlamento – ed è un luogo in cui si lavora non per il bene dei magistrati, ma per il bene della magistratura e quindi per il bene del Paese. E quando è stato chiesto dal governo di dare aiuto per il PNRR, il C.S.M. non si è tirato indietro e poteva farlo, perché l’eventuale non raggiungimento degli obbiettivi è solo responsabilità del governo e non del Consiglio Superiore.
Il cuore del problema, quindi, è costituito dal doppio C.S.M. e dal sorteggio, perché è evidente che con queste condizioni è agevole il passaggio allo stadio successivo: portare il pubblico ministero sotto il controllo dell’esecutivo.
Ricordiamo che questa riforma ha la propria genesi come un decreto, senza alcuna possibilità di modifica. A nessun parlamentare della maggioranza di governo è stato consentito presentare emendamenti.
Non si parla mai del merito di questa riforma, di ciò che cambia. Si parla solo di magistrati e si mira a delegittimare la Magistratura. Riporto soltanto alcuni dei plurimi esempi al riguardo.
Nell’agosto del 2024 la presidente del Consiglio dice che è in atto un complotto della magistratura per fare cadere il governo.
Nell’ottobre 2024 il sottosegretario Delmastro dice che i magistrati sono come gli ayatollah, proprio nel momento in cui era in corso la rivolta delle donne a Teheran, che venivano uccise e seviziate.
Poi abbiamo avuto il periodo dei giudici bolognesi, attaccati per avere legittimamente svolto il proprio lavoro.
Quindi, il sottosegretario di Stato, peraltro magistrato, Alfredo Mantovano, che dice che la Cassazione deve rispettare la volontà popolare.
A luglio il ministro Nordio minaccia un magistrato con azione disciplinare, perché si è permesso di criticare una legge.
Ad agosto il ministro Musumeci, in Sicilia, proprio in quella terra, dice che i magistrati sono come i killer. E lo fa proprio a 100 km da dove Falcone e Borsellino sono stati uccisi e a 200 km da dove è stato ucciso Livatino. Un ministro della Repubblica che definisce un magistrato killer. Gravissimo.
Per finire, nel settembre 2025, a New York, c’è stata la più importante assemblea generale ONU degli ultimi 20 anni: erano presenti premier e leader di tutti i Paesi del mondo. Hanno parlato di Gaza e di Ucraina. È arrivato il turno della nostra presidente del Consiglio: negli ultimi minuti del suo discorso ha parlato del problema dei magistrati politicizzati.
Se questo non è delegittimare, cos’è?
Penso che manchi un anno al referendum. La difesa della Magistratura non va fatta solo all’interno della giurisdizione (come affermato dal vice presidente del C.S.M., Fabio Pinelli). Ma sempre, in ogni luogo. Anche quando viene tirata in ballo nel conflitto politico.
Credo che il referendum lo vinciamo. Vi invito con il cuore: facciamo campagna casa per casa, nelle scuole. Spieghiamo che il rischio reale è il rischio per la democrazia: dove non c’è una magistratura indipendente, non c’è democrazia e dove non c’è democrazia, non c’è libertà.
Il 30 ottobre 2025 il Senato ha approvato in ultima lettura, a maggioranza assoluta, il disegno di Legge costituzionale di proposta governativa - "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare" – e nel 2026 ci sarà così il referendum, che non prevede quorum, per dire sì o dire no alla modifica della Costituzione del 1948.
10 domande e 10 risposte per fare chiarezza sulla riforma costituzionale della magistratura.
1. COSA PREVEDE LA RIFORMA COSTITUZIONALE?
La riforma frammenta in tre organi l’attuale CSM - ovvero l’organo di “autogoverno” volto a garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura - ed elimina il sistema elettivo dei suoi componenti.
2. LA RIFORMA MIGLIORERÀ L’EFFICIENZA DELLA GIUSTIZIA E DEI PROCESSI?
No. La riforma riguarda la magistratura, non riguarda la giustizia.
La riforma mina e compromette esclusivamente la struttura costituzionale che garantisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ordinaria e quindi l’autonomia e indipendenza dei singoli giudici e PM.
3. LA RIFORMA INCIDE SULLA VITA DEI CITTADINI?
Sì, perché indebolisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e quindi indebolisce il cittadino, fiacca la giustizia.
La riforma rende il giudice più fragile e isolato e spinge il PM verso l’assoggettamento ai partiti che di volta in volta guideranno il potere esecutivo.
La riforma rompe alcuni argini della Costituzione sino ad ora considerati inscalfibili: rompe il divieto di istituzione di giudici speciali; elimina un sistema di elezione e quindi il voto. Una volta passato il limite per una categoria di soggetti, i magistrati, perché non rifarlo per altre?
4. LA COSTITUZIONE OGGI COME GARANTISCE L’AUTONOMIA E L’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA?
La Costituzione affida al C.S.M. l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Il C.S.M. attualmente è un organo di rilevanza costituzionale:
1. Unitario nella composizione e nelle competenze. La Costituzione prevede un unico CSM, composto per 2/3 da giudici e PM e per 1/3 da avvocati e professori in materie giuridiche, dotato di tre principali poteri: normativo, amministrativo, disciplinare di primo grado.
2. Elettivo, rappresentativo e pluralista. La Costituzione prevede che i componenti magistrati del C.S.M. siano eletti dai magistrati stessi e che avvocati e professori siano eletti dal Parlamento in seduta comune (come avviene per il Presidente della Repubblica). Gli avvocati e i professori vengono eletti dal Parlamento, con voto a maggioranza qualificata, cercando un equilibrio utile a soddisfare le forze di maggioranza e quelle di minoranza. I magistrati sono tendenzialmente eletti tra gli appartenenti ai diversi gruppi associativi – le c.d. “correnti”, espressione delle differenti idee su come debba atteggiarsi l’indipendenza e l’autonomia della magistratura - interni all’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M. che riunisce quasi tutti i PM e giudici, nata nel 1945 dopo lo scioglimento ad opera del fascismo dell’Associazione generale fra i magistrati d’Italia).
3. Inclusivo delle diverse professionalità della giustizia. La Costituzione prevede la partecipazione nell’unico C.S.M. delle maggiori professionalità e competenze della giustizia: giudici di merito (tribunale, corte d’appello), magistrati di legittimità (Cassazione), avvocati, professori di materie giuridiche, pubblici ministeri.
5. LA RIFORMA COME INDEBOLISCE L’AUTONOMIA E L’INDIPENDENZA DEI GIUDICI E DEI PM ORDINARI?
La riforma svilisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura spezzettando l’autogoverno e privandolo delle sue caratteristiche fondamentali.
1. Frammentazione della composizione e delle competenze. La riforma “spezzetta” il C.S.M. in tre distinti organi: 1) un C.S.M. per i giudici; 2) un C.S.M. per i pubblici ministeri; 3) una Alta Corte disciplinare che sottrae ai C.S.M. il potere disciplinare di primo grado e che acquista anche il potere disciplinare di secondo grado.
2. Eliminazione delle elezioni, della rappresentatività e del pluralismo. La riforma prevede la abrogazione del sistema elettivo e la sua sostituzione con un sistema d’estrazione a sorte che affida al puro caso l’individuazione dei componenti dei C.S.M. L’estrazione a sorte, nel paradosso, potrebbe condurre al sorteggio di tutti o quasi tutti giudici/p.m. vicini o iscritti ad una singola corrente oppure quasi tutti giudici/p.m. provenienti dallo stesso territorio o da uno stesso ufficio (1/6 dei PM sono ad esempio in servizio in 3 uffici: Roma, Milano, Napoli). Potranno esser sorteggiati tutti avvocati e professori vicini alla medesima idea e area culturale.
3. Esclusione delle competenze. La riforma esclude soltanto la professionalità dei giudici dal C.S.M. dei PM e la professionalità dei PM dal C.S.M. dei giudici mentre in entrambi resteranno gli avvocati e i professori.
6. È VERO CHE IL SORTEGGIO GIÀ ESISTE?
Non per un organo importante come il C.S.M. Il C.S.M. è organo di rilevanza costituzionale ed è dotato di uno speciale potere normativo volto a garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
Il potere di emanare le regole per il funzionamento concreto della magistratura è così importante che la Costituzione lo protegge con una riserva di legge relativa che impedisce allo stesso legislatore di invadere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura espressa con gli atti normativi del C.S.M. Questi non deve fare solo nomine ed emanare atti amministrativi ma scrivere le regole che tutelano l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
Il sorteggio esiste per alcune corti giudicanti (ad esempio i cittadini nell’Assise) o per organi semplicemente amministrativi (ad esempio le commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale per i professori), ma non per organismi costituzionali dotati di speciali poteri normativi.
7. L’AUTONOMIA E INDIPENDENZA DEI GIUDICI È SVILITA ULTERIORMENTE?
Sì. La riforma squilibra il giudizio disciplinare in sfavore dei giudici.
Oggi l’unico PM e i 2 laici rappresentano il 50% della sezione disciplinare del C.S.M. e non partecipano alla decisione sull’impugnazione (il cui giudizio si svolge ad oggi davanti alle Sezioni Unite della Cassazione, quale organo supremo della giurisdizione italiana).
Con la riforma i giudici saranno sottoposti per il disciplinare ad una Corte speciale - di soli 15 componenti - che sarà composta per quasi 2/3 da PM, avvocati e professori universitari (c.d. laici) e per 1/3 da giudici di legittimità. I PM e i laici rappresenteranno il 60% della Corte speciale disciplinare e parteciperanno anche alla decisione in sede di impugnazione, che si svolgerà dinanzi alla stessa Alta Corte.
Se rimarrà, come è probabile, l’attuale assetto, l’accusa disciplinare sarà esercitata dal vertice del potere dei PM (Procuratore generale della Cassazione) e quindi da un potere esterno ai giudici.
8. LA RIFORMA COME PORTA IL PM SOTTO L’ESECUTIVO?
Distaccandolo dalla figura del giudice.
L’art. 101 Cost. dice “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” e non indica il PM. L’art. 107 Cost. dice invece che “Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.
Sino ad oggi la differenza letterale tra le due norme della Costituzione non ha mai avuto un peso ed il PM – in quanto magistrato al pari del giudice, sottoposto allo stesso C.S.M. del giudice e alla stessa legge dell’ordinamento giudiziario del giudice - è stato sempre considerato soggetto soltanto alla legge e non al potere esecutivo.
Con la riforma la differenza letterale diventerà differenza sostanziale perché il PM sarà un magistrato costituzionalmente diverso dal giudice, sottoposto ad un C.S.M. diverso da quello del giudice e ad una legge dell’ordinamento giudiziario diversa da quella del giudice. Il PM quindi non sarà più “soggetto soltanto alla legge” come il giudice ma potrà essere assoggettato anche alle regole imposte dall’esecutivo.
9. IN CHE MODO LA RIFORMA TOCCA LE FONDAMENTA DELLA COSTITUZIONE?
La riforma incide sulla magistratura e incide per la prima volta la Costituzione in almeno quattro punti sino ad ora inviolati.
1. Divieto di istituzione di giudici speciali. In contrasto con il divieto espresso previsto dall’art. 102 Cost., la riforma istituisce per la prima volta nella storia costituzionale un giudice speciale, l’Alta Corte, destinato a giudicare una categoria specifica di soggetti (PM e giudici ordinari).
2. Abrogazione del sistema elettivo e del voto. In contrasto con i principi della democrazia, per la prima volta nella storia costituzionale è prevista l’abrogazione del sistema elettorale (e quindi del diritto di voto) per un importantissimo organo di rilevanza costituzionale avente funzioni normative e di “governo” e la sua sostituzione con un sistema di estrazione a sorte.
3. Divisione e moltiplicazione degli organi costituzionali. Per la prima volta viene diviso un organo di rilevanza costituzionale. In discontinuità con passati tentativi di riforma costituzionale, in parte naufragati, volti alla riduzione degli organi costituzionali o di rilievo costituzionale, la riforma prevede una moltiplicazione degli organi di rilievo costituzionale con tutte le conseguenze in tema di costi e di complessità dei rapporti.
4. Disuguaglianze tra magistrature. La riforma prevede una insolita “autonomia e indipendenza differenziata” tra le magistrature. Quale è quella autentica? Le magistrature amministrativa, contabile, militare e tributaria non sono incise dalla riforma e mantengono le loro caratteristiche di unitarietà, elettività e inclusività. L’Alta Corte, nonostante il nome altisonante, sarà destinata a giudicare solo giudici e PM ordinari. La Corte dei conti è comunque interessata da una riforma di legge ordinaria volta ad un suo indebolimento.
10. LA RIFORMA SEPARA LE CARRIERE DI PM E GIUDICI?
Attenzione: nessuna disposizione della riforma vieta il passaggio dalla magistratura requirente alla magistratura giudicante e viceversa.
La riforma dell’art. 106 Cost. prevede, al contrario, la possibilità per i PM di diventare giudici di Cassazione e quindi di passare alla magistratura giudicante e l’art. 104 continuerà a riferirsi alla magistratura ordinaria come ad un ordine unico.
La legge ordinaria in vigore già limita i passaggi da una funziona all’altra (è concesso solo una volta in carriera) e già prevede percorsi professionali distinti per PM e giudici. Meno dello 0,5 % dei 10mila magistrati ha infatti effettuato il passaggio di funzioni negli ultimi anni.
In tema di riforma costituzionale su questa rivista:
Un referendum su giustizia e potere di Aniello Nappi,
Il giudice che i cittadini hanno diritto di avere secondo Costituzione di Giuliano Scarselli,
Riforme e assetto costituzionale della magistratura di Giuseppe Santalucia,
In difesa della funzione giurisdizionale dei Pubblici Ministeri di Giuseppe Iannaccone,
L'unità della magistratura un interesse della collettività di Giovanni Salvi,
Confessioni di un civilista (separazione delle carriere e dintorni) di David Cerri,
Riforma costituzionale dell’ordinamento giurisdizionale: procedura e obiettivo di Giovanni Di Cosimo,
Indipendenza della magistratura e Stato costituzionale di diritto di Francesco Merloni,
Brevi note sull’Alta Corte disciplinare di Giuseppe Santalucia.
Autotutela, affidamento e interessi sensibili: la Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21 nonies L. 241/1990 (nota a Corte Costituzionale, 26 giugno 2025, n. 88).
di Silvia Casilli
Sommario: 1. I fatti di causa e la rimessione alla Corte Costituzionale. – 2. L’annullamento d’ufficio, la tutela dell’affidamento e l’importanza del fattore temporale– 3. La tutela del bene culturale e il bilanciamento tra contrapposti interessi: non esistono diritti tiranni (neppure quando espressione di interessi sensibili e costituzionalmente tutelati) – 4. La pronuncia della Corte Costituzionale.
1. I fatti di causa e la rimessione alla Corte Costituzionale.
Con la sentenza n. 88 del 2025, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla dibattuta[1] questione dell’operatività del limite temporale “fisso” stabilito dall’art. 21 nonies L. 241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di provvedimenti autorizzativi o attributivi di vantaggi economici, tipologia di provvedimenti nella quale rientrava, nel caso di specie, il rilascio di un attestato di libera circolazione del bene culturale ex art. 68 D.Lgs. 42/2004[2].
In particolare, rimessa al vaglio della Consulta era la compatibilità costituzionale[3] del limite massimo, attualmente previsto in dodici mesi, per l’esercizio del potere di autotutela ex art. 21 nonies l. 241/1990 ove i provvedimenti fossero incidenti su interessi sensibili e costituzionalmente tutelati.
La Corte Costituzionale, con una pronuncia particolarmente rilevante, definisce i limiti del potere di annullamento d’ufficio, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 21 nonies L. 241/1990 nella parte in cui stabilisce in via generale il termine finale di un anno (dal momento di adozione dell’atto invalido) per l’esercizio da parte dell’amministrazione del potere di annullamento di ufficio di provvedimenti ampliativi illegittimi e, dunque, anche con riferimento alle autorizzazioni aventi ad oggetto beni di interesse culturale, nonostante il suo preminente rilievo costituzionale.
La fattispecie[4] che ha originato l’intervento della Corte Costituzionale riguarda l’impugnazione[5], per tardività, di un provvedimento di annullamento in autotutela (datato 15 novembre 2021) di un attestato di libera circolazione di cui all’art. 68 Codice dei beni culturali (rilasciato nel 2015) a fronte dalla descrizione del quadro da parte del richiedente come olio su tela di “scuola italiana del XVI secolo, e raffigurante una figura femminile”.
L’annullamento in autotutela era stato esercitato, sì dopo sei anni dal rilascio del provvedimento di autorizzazione, ma poco dopo la scoperta, da parte dell’amministrazione, del fatto che l’opera nel 2019, in esito al suo restauro, era stata attribuita a Giorgio Vasari da uno storico dell’arte, che aveva dimostrato la tela essere la rappresentazione della “Allegoria della pazienza”; il quadro, facente parte della collezione della moglie del richiedente, la cui famiglia era legata per parentela ad un cardinale, storico committente del Vasari, presentava inoltre, a seguito del restauro, il motto del Vasari, confermandone l’autenticità, tanto da essere poi esposta alla National Gallery di Londra.
Venuta dunque a conoscenza di tale ultima circostanza, la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura, annullava in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies l. 241/1990, l’attestato di libera circolazione, ritenendolo viziato da travisamento dei fatti.
Il privato destinatario del provvedimento presentava le proprie osservazioni, in risposta delle quali l’Amministrazione confermava la propria decisione ed emetteva un provvedimento di diniego dell’attestato di libera circolazione, avviando contestualmente il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale ex art. 14 Codice dei beni culturali, come previsto dall’art. 68 comma 6[6] del medesimo Codice.
Avverso tali provvedimenti venivano proposti dinanzi al TAR due distinti ricorsi, uno da parte del privato destinatario dei provvedimenti e l’altro da parte dell’attuale proprietario della tela, entrambi respinti: il TAR[7] aveva infatti ritenuto non tardivo l’annullamento d’ufficio sia per l’operare dell’eccezione del comma 2 bis dell’art. 21 nonies l. 241/1990, sia perché aveva ritenuto – seppur in contrasto con la portata letterale della stessa previsione normativa[8] – che il termine non potesse che “decorrere da quando si provi che l’amministrazione è venuta a conoscenza degli elementi che le erano stati sottratti, o offerti malamente”.
Diversamente, in appello, il Consiglio di Stato[9] concludeva per l’applicabilità del limite temporale di cui al comma 1 dell’art 21 nonies, in conseguenza dell’esclusione – diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado – della ravvisabilità della “prova piena” della “falsa rappresentazione dei fatti” e dunque dell’eccezione al limite temporale rigido di cui al comma 2 bis.
Ciò nonostante, il giudice rimettente individuava dei punti d’ombra nella vicenda e motivava sui presupposti per sollevare la questioni di legittimità costituzionale dell’art 21 nonies comma 1 l. 241/1990.
Veniva, infatti, ravvisato, già al momento della presentazione dell’istanza, un atteggiamento poco collaborativo, ed anzi omissivo, del privato, in violazione del dovere di correttezza nei rapporti tra privato e pubblica Amministrazione sancito dall’art. 1 comma 2 bis l. 241/1990: pur non potendosi ritenere raggiunta una piena prova della falsa rappresentazione dei fatti, venivano in rilievo quantomeno delle omissioni in quella che avrebbe dovuto essere la descrizione analitica del soggetto del quadro e l’indicazione della sua provenienza da parte del proprietario, con particolare riguardo al dibattito sull’individuazione dell’originale della “Allegoria della pazienza” del Vasari tra gli esemplari in circolazione e alla parziale illeggibilità della tela proprio in corrispondenza del motto del committente.
Il Consiglio di Stato, pertanto, nell’ordinanza di rimessione, rappresentava la potenziale irragionevolezza, della previsione normativa del termine di dodici mesi per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, senza che questo possa mutare ove i provvedimenti autorizzativi siano incidenti su un interesse sensibile costituzionalmente tutelato.
In punto di non manifesta infondatezza poi il Consiglio di Stato ritiene che la norma censurata sarebbe irragionevole[10], oltre che violativa degli artt. 9 commi 1 e 2[11] e 97 comma 2 Cost[12].
I parametri costituzionali non sarebbero rispettati per diverse ragioni.
Anzitutto, sottoponendo al limite rigido tutti gli atti organizzatori, compresi quelli riguardanti “interessi di rango super primario”, si darebbe automatica prevalenza all’affidamento del privato quando invece tale ultimo principio, anche quando valorizzato in sede eurounitaria, viene predicato dalla giurisprudenza[13] attraverso un’applicazione elastica, scevra da qualunque automatismo e parametrata su un giudizio di ragionevolezza, senza contare che, sempre secondo il giudice, al più sarebbero proprio gli interessi di rango super primario (tra cui rientra quello, costituzionalmente tutelato tra i principi fondamentali, dell’integrità del patrimonio storico artistico come elemento costitutivo della memoria collettiva e fattore di identità comunitaria) ad essere tendenzialmente prevalenti rispetto alla posizione di affidamento del privato che, pur solida in punto di tutela, vanta la sola matrice individuale.
In secondo luogo, attraverso la previsione di una barriera temporale rigida non si potrebbero valutare le peculiarità del caso concreto; in particolare, l’attestato di libera circolazione di un bene culturale richiede l’apprezzamento di profili complessi di natura tecnica, essendo necessario il ricorso a conoscenze di settore non solo soggette ad evoluzione, ma riconducibili a scienze non esatte che possono condurre a risultati opinabili. Nell’ottica del giudice rimettente, solo un termine flessibile in questo senso consentirebbe all’Amministrazione di tener conto dei vizi dell’atto originario manifestatisi solo successivamente alla luce del mutato quadro tecnico.
Il termine decadenziale precluderebbe, poi, la “spendita di altri profili di capacità speciale autoritativa dell’amministrazione” di fatto consumandone il potere: l’annullamento si pone infatti come presupposto logico giuridico sia per il riesercizio dell’originario potere, che di altri poteri a questo connessi che verrebbero in tal modo indirettamente preclusi[14].
Sotto il profilo dell’applicabilità del termine fisso dei dodici mesi anche in relazione a interessi cd. super primari, vi sarebbe manifesta irragionevolezza dell’art 21 nonies in ragione del raffronto con altri istituti in cui la sussistenza di interessi sensibili viene valorizzata attraverso previsioni eccezionali e derogatorie[15] che prevedono la dilatazione dei tempi di valutazione riservati all’Amministrazione proprio in ragione della delicatezza dell’interesse coinvolto e della complessità degli accertamenti richiesti.
Il Consiglio di Stato esclude, inoltre che il comma 2 bis dell’art 21 nonies sia da solo sufficiente a garantire la ragionevolezza della disciplina, non coprendo tutti quei casi caratterizzati, non dalle false rappresentazioni, ma dalla sola incertezza.
Il giudice a quo lamenta poi il contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost. in relazione agli artt. 1 lett b) e d) e 5 lett. a) e c) della Convenzione di Faro che sancisce “nell’ottica della garanzia del diritto fondamentale all’accesso all’eredità culturale, una responsabilità non solo individuale ma anche collettiva per la sua tutela la quale passa per l’obbligo dello Stato aderente a riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società e, di riflesso, a promuovere la protezione dell’eredità culturale anche predisponendo soluzioni normative che non siano di ostacolo alla realizzazione di tale scopo”.
Infine, viene esclusa la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme, giustificando così la rimessione della questione alla Corte Costituzionale, visto il tenore inequivoco dell’art 21 nonies nello stabilire il termine massimo inderogabile e la sua decorrenza dal solo momento dell’adozione del provvedimento di primo grado, senza che residuino spiragli per posticiparlo in relazione alle manifestazioni sopravvenute dell’illegittimità originaria.
Stanti le richiamate argomentazioni della sentenza non definitiva della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, l’oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale si muove lungo due linee direttrici: da una parte, il potere di autotutela, e nella specie quello di annullamento d’ufficio, e l’erosione del principio ottocentesco di inesauribilità del potere della pubblica Amministrazione; dall’altra, il bilanciamento dei contrapposti interessi, sia privati che pubblici, all’interno dei quali si contrappongono l’esigenza di certezza del diritto – e la conseguente tenuta dell’intero sistema – e la tutela del bene culturale.
2. L’annullamento d’ufficio, la tutela dell’affidamento e l’importanza del fattore temporale.
La disposizione censurata dinanzi alla Consulta prevede che il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi[16], adottabile laddove sussistano “le ragioni di interesse pubblico” e “tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”, possa essere esercitato “entro un termine ragionevole”[17]; termine che, nel caso di “provvedimenti di autorizzazione[18] o di attribuzione di vantaggi economici”, non può superare i “dodici mesi dal momento dell’adozione”.
Il comma 2 bis dell’art. 21 nonies stabilisce la sola deroga espressamente prevista al termine enunciato dal comma 1, affermando che il predetto tempus ad quem non opera nel caso di “provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
Perché si possa comprendere a pieno il decisum dei giudici costituzionali è opportuno definire brevemente la ratio dell’annullamento d’ufficio[19] in quanto espressione del potere di autotutela e, più nello specifico, di un potere di riesame della pubblica Amministrazione.
Il potere di riesame, inteso in senso tecnico[20], è dunque una species dell’autotutela[21], e, in particolare, dell’autotutela decisoria, definita come il potere della pubblica amministrazione di “farsi ragione da sé”[22], rimuovendo gli ostacoli al perseguimento del pubblico interesse, nonché come la capacità dell’Amministrazione di dipanare, al di fuori dell’intervento dell’autorità giurisdizionale, i conflitti, potenziali o attuali, tra i propri atti e i destinatari dell’esercizio del potere; tale potere è stato concepito con un’accezione marcatamente “anticonflittuale”, persino paragiurisdizionale e, dunque, indice e parametro della massima estensione della competenza attribuita all’amministrazione in quanto autorità[23].
Caratteristica fondamentale del potere di autotutela, e in particolare del potere di annullamento d’ufficio, risiede nel fatto che gli atti emanati sono provvedimenti di secondo grado, che presuppongono che il potere dell’amministrazione non si sia ancora consumato. L’annullamento d’ufficio, in particolare, presuppone che al controllo sulla legittimità del precedente provvedimento di primo grado, si affianchi un controllo sull’opportunità dell’atto, che può essere ritirato solo se, in presenza di vizi di legittimità, comunque sussista un interesse pubblico concreto[24] – da non identificarsi nel mero ripristino della legalità violata – alla sua eliminazione. Già da una tale descrizione emerge come inevitabilmente, nella fase del riesame, si accresca il numero di interessi oggetto della valutazione dell’annullamento d’ufficio, rispetto a quelli cui è preordinata la funzione di primo grado; interessi tra i quali spiccano la tutela dell’affidamento del privato, nonché quello preordinato alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico.
Il riesame del provvedimento – afferma la Corte Costituzionale nella sentenza in commento[25] – pur mosso da ragioni di legittimità, non costituisce tanto espressione di quel potere già esercitato, quanto del potere generale di annullamento d’ufficio riconosciuto all’amministrazione dall’art. 21 nonies l. 241/1990; potere che, proprio in quanto diverso da quello già esercitato e su cui va ad incidere, è assoggettato a specifiche regole, sia in punto di discrezionalità, che di disciplina procedimentale.
Proprio sotto il profilo della disciplina procedimentale, fondamentale rilievo assume il “tempo” dell’annullamento in autotutela, tanto che la Consulta esprime la necessità, al fine di esaminare le questioni nel merito, di operare una dettagliata ricostruzione[26] del relativo quadro normativo e giurisprudenziale. L’ispirazione della citata novella del 2015 valorizza particolarmente i diversi interessi che vengono in gioco nell’ambito dell’esercizio del potere di riesame, rispondendo ad una finalità, oltre che semplificatoria, di tutela del privato dall’irragionevolezza del tempo dell’agereamministrativo[27]. Più in generale, la fissazione di un termine rigido decadenziale per l’esercizio del potere segna una posizione antitetica rispetto alla concezione, tradizionalmente posta alla base dell’autotutela, del carattere immanente ed inesauribile del potere della pubblica Amministrazione, ridisegnando il potere di riesame come eccezionale e necessariamente previsto e delimitato dalla previsione di legge.
L’espressa apposizione di termini perentori all’azione amministrativa[28] per effetto della modifica dell’art. 21 nonies e più in generale l’esigenza della precisazione ad opera del legislatore di presupposti e limiti per l’esercizio del potere di autotutela dimostra efficacemente perché si sia fatto riferimento ad “un nuovo paradigma” nei rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni[29]. La legge n. 124/2015, con la novella all’art. 21 nonies l. 241/1990, ha introdotto “una nuova ‘regola generale’ che sottende al rapporto tra il potere pubblico e i privati una regola di certezza dei rapporti, che rende immodificabile l’assetto (provvedimentale-documentale-fattuale) che si è consolidato nel tempo, che fa prevalere l’affidamento”[30]. Quel che è avvenuto è stata una rivalutazione del privato, non più suddito, ma titolare di situazioni giuridiche soggettive che si sostanziano nella partecipazione attiva all’esercizio del potere, con l’effetto, almeno indiretto, di una responsabilizzazione della pubblica Amministrazione.
Tale valorizzazione della dimensione temporale e la particolare rilevanza accordata all’affidamento del privato testimonia il passaggio dalla logica della preminenza a quella del servizio: “la norma che attribuisce il potere per la realizzazione di uno specifico interesse pubblico fa di questo non solo il fine, ma la causa stessa del potere; proprio in quanto il potere è strumentale, va esercitato nella misura in cui serve al soddisfacimento dell’interesse pubblico ed è proporzionatamente occorrente a tal fine, quindi con il minimo sacrificio dell’interesse del privato, ma anche degli altri interessi pubblici ”[31]. L’interesse pubblico conserva un ruolo centrale, ma sempre di più, in un contesto in cui le relazioni giuridiche tra amministrazioni e privati sono improntate ai principi di leale collaborazione e buona fede, viene affiancato da quello privato alla tutela dell’affidamento[32].
Tutela, questa, che si affievolisce, come previsto dall’art. 21 nonies comma 2 bis l. 241/1990, ove a mancare sia la buona fede. Più precisamente, per il caso di provvedimenti ottenuti in funzione di una falsa rappresentazione dei fatti ovvero di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, è prevista una dequotazione del termine, che perde l’attitudine ad arginare l’intervento in autotutela della pubblica amministrazione, difettando un affidamento legittimo in capo al privato da preservare. La giurisprudenza, ha tuttavia, dato una lettura più ampia di tale casistica, interpretando la norma nel senso che è consentito trascendere il termine per l’annullamento d’ufficio, oltre che nell’ipotesi in cui la falsa attestazione in ordine ai presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo sia discesa da una condotta di falsificazione penalmente rilevante (nel qual caso soltanto si renderà necessario l’accertamento definitivo in sede penale), anche laddove l’erroneità dei predetti presupposti sia addebitabile, a titolo di dolo, alla parte[33]; in questi casi allora solo il canone della ragionevolezza sembrerebbe realmente adeguato.
Tali differenti casistiche sono state ricavate sulla base di duplici indizi: da un parte, il dato testuale costituito dalla disgiunzione “o”[34]; dall’altra, l’argomento teleologico in forza del quale il termine finale non debba operare tutte le volte in cui si riscontri che il contrasto tra la fattispecie rappresentata e la fattispecie reale sia rimproverabile all’interessato, tanto se determinato da dichiarazioni false o mendaci (la cui difformità dovrà essere accertata in sede penale ove sia frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante), quanto se determinato da una falsa rappresentazione della realtà di fatto (che dovrà essere accertata inequivocabilmente dall’Amministrazione con i propri mezzi)[35].
3. La tutela del bene culturale e il bilanciamento tra contrapposti interessi: non esistono diritti tiranni (neppure quando espressione di interessi sensibili e costituzionalmente tutelati).
I beni culturali trovano, nel nostro ordinamento, particolare tutela sotto distinti profili, cui corrispondono diverse fonti normative.
In primo luogo, è la Carta Costituzionale a sancire, nel novero dei diritti fondamentali, la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione nonché la promozione della cultura.
Nell’ambito della l. 241/1990, numerose sono poi le disposizioni poste a garanzia dei cosiddetti interessi sensibili, tra i quali rientra anche quello culturale: basti guardare a tutte quelle norme – rispetto alle quali il Consiglio di Stato rimettente lamentava un mancato coordinamento con l’art. 21 nonies l. 241/1990 – che dettano particolari regole parzialmente derogatorie della disciplina del silenzio assenso (art. 20 comma 4[36]), della SCIA (art. 19 comma 1)[37], della conferenza di servizi semplificata (art. 14 bis comma 2 lett. c)[38], della conferenza di servizi simultanea (art. 14 ter comma 2)[39] e della determinazione conclusiva della conferenza di servizi (art. 14 quinquies comma 1)[40].
Un regime di speciale e puntuale protezione trova, infine, compiuta disciplina nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) che, in attuazione dell’art. 9 Cost, tutela il patrimonio culturale[41], al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e di preservare la memoria[42] della comunità nazionale e del suo territorio.
La qualifica di un bene ai sensi dell’art. 9 del Codice comporta una serie di vincoli conformativi di diversa natura, ma anche l’operatività di particolari istituti preposti alla tutela dello stesso, istituti tra i quali viene in rilievo, per quanto interessa la pronuncia in esame, la disciplina[43] della circolazione dei beni culturali in ambito internazionale[44].
Tale disciplina gioca un ruolo essenziale nella tutela dei beni costituenti il patrimonio culturale che, come stabilito dall’art. 64 bis comma 3 del Codice, non sono assimilabili a merci poiché assicurarne la fuoriuscita dai confini nazionali potrebbe compromettere la stessa integrità del patrimonio culturale. Solo per i beni per i quali il d.lgs. 42/2024 non stabilisce un divieto in tal senso, è possibile l’uscita definitiva dal territorio italiano, previo ottenimento di un attestato di libera circolazione, le cui modalità, unitamente ai tempi per la presentazione dell’istanza, sono disciplinate dall’art 68 del Codice[45].
L’attestato di libera circolazione, in quanto rientrante nella nozione di autorizzazione, deve ritenersi assoggettato al limite temporale di dodici mesi ai fini dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio. È tuttavia, frequente, esattamente come avvenuto nel caso di specie, che solo successivamente al rilascio di tale attestato, un bene ritenuto idoneo alla circolazione internazionale, poiché non rientrante nelle ipotesi di “divieto di uscita” ai sensi dell’art. 65 del d.lgs. 42/2004, si scopra, invece, meritevole di appartenere a questa categoria. Non di rado, infatti, ulteriori studi condotti sull’opera, o semplicemente nuove conoscenze tecniche, consentono di attribuire talune opere a determinati autori di fama internazionale[46] con la conseguente esigenza di una più stringente ed efficace tutela dello specifico bene culturale in ragione di un notevole incremento del valore dell’opera.
Nonostante la casistica non irrilevante, e pur in presenza di talune spinte volte a superare il termine rigido dell’annullamento d’ufficio in ragione dell’estrema rilevanza dell’interesse culturale, la tendenza della giurisprudenza del Consiglio di Stato, confermata dalla pronuncia della Corte Costituzionale in esame, è quella di negare per le Amministrazioni la possibilità di annullare in autotutela, oltre il termine di dodici mesi, gli attestati di libera circolazione emessi al di fuori dei casi integranti i requisiti di cui all’art. 21 nonies comma 2 bis l. 241/1990 (pur sempre previa dimostrazione di un quadro indiziario da cui emerga un comportamento fraudolento del richiedente[47]).
Sebbene, infatti, la tutela del bene culturale sia afferente ad un interesse cd. super primario, sensibile e annoverato tra i principi fondamentali (ma non per ciò solo necessariamente preminenti) della Carta Costituzionale, non può questo, solo per tale ragione, prevalere sull’esigenza di certezza del diritto e sull’interesse del privato che vanti un legittimo affidamento.
L’art 21 nonies l. 241/1990, come descritto, si pone a salvaguardia, su un duplice piano, dell’interesse privato, garantendo la tutela dell’affidamento, e di quello pubblico, assicurando la certezza del diritto e la stabilità dell’intero sistema e dell’operato dell’Amministrazione.
Ciò che il giudice è chiamato a fare, in casi come quello in esame, è operare un bilanciamento, ragionevole e ponderato, tra i diversi interessi, pubblici e privati, che vengono in gioco, senza che nessuno di questi possa prevalere per un mero automatismo.
È, infatti, nella sede del procedimento amministrativo che “l’interesse pubblico primario, che giustifica il potere, si confronta con altri interessi pubblici coinvolti e con gli interessi dei privati, i quali non solo possono avere consistenza oppositiva rispetto al potere che ne invade la sfera soggettiva, ma spesse volte hanno consistenza di pretesa al suo esercizio, volto ad ampliare la sfera soggettiva, pretesa che in molti casi ha fondamento nelle previsioni costituzionali”[48]: è il corretto confronto di questi interessi, secondo la conformazione datane dalla legge, a costituire garanzia di legittimità della decisione amministrativa, così formatasi, con la quale si esaurisce quel potere.
Nell’annullamento d’ufficio, dunque, il punto di equilibrio della dialettica tra gli interessi in gioco è dato dalla variabile temporale: il trascorrere di un determinato lasso di tempo determina l’effetto della prevalenza di altri interessi di rilievo costituzionale, quali la posizione di matrice individuale dell’affidamento del destinatario del provvedimento favorevole (naturalmente se meritevole di tutela per non essergli rimproverabili false dichiarazioni e false rappresentazioni di fatti rese all’amministrazione nel procedimento), e l’interesse di matrice collettiva alla certezza ed alla stabilità dei rapporti giuridici pubblici nell’ottica della tenuta dell’intero “sistema Paese”.
4. La pronuncia della Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale, pur esprimendosi con una sentenza di rigetto, ha fissato importanti punti fermi in relazione al “tempo” del potere di riesame (dei provvedimenti di autorizzazione o attributivi di vantaggi economici) in capo alla pubblica Amministrazione.
In particolare, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies comma 1 l. 241/1990 in riferimento all’art. 117 comma 1 Cost.[49] e non fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 comma 1, 9 comma 1 e 3 e 97 comma 2 Cost., sulla base di diverse considerazioni in diritto.
L’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art 117 comma 1 Cost. viene sancita in conseguenza della carente motivazione[50] in ordine alle ragioni per cui la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale in questione; la Sesta sezione si era limitata, infatti, semplicemente a richiamare gli impegni assunti dallo Stato italiano con la Convenzione di Faro, e, più precisamente, gli obblighi di “riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società e, di riflesso, a promuovere la protezione dell’eredità culturale anche predisponendo soluzioni normative che non siano di ostacolo alla realizzazione di tale scopo”, senza null’altro argomentare.
Diversamente, ammissibile ma infondata viene dichiarata la questione avente ad oggetto l’art. 97 Cost., ritenendo la Consulta che il termine fisso dell’art 21 nonies, lungi dal ledere il principio di buon andamento, ne costituisca piuttosto attuazione poiché, sin tanto che venga rispettato il principio di legalità sostanziale, e dunque anche i limiti cui il potere di riesame è soggetto, la ratio che il termine assicura è anche quella di garantire la migliore soddisfazione dello stesso interesse primario, ponendosi la previsione di termini di decadenza dell’autotutela quale strumento volto proprio ad accrescere l’efficienza dell’azione amministrativa; questo perché il termine estintivo del potere di annullamento non può che influire positivamente sulla qualità della decisione di primo grado, incentivando l’organo competente ad una più attenta valutazione e ponderazione degli interessi già in questa fase ove non vi sia uno spazio temporale illimitato per l’emanazione di un contrarius actus rispetto a quello originariamente assunto in via illegittima[51].
Ricostruita l’evoluzione dell’annullamento d’ufficio e la sua natura, nonché la sua ratio orientata al perseguimento della certezza del diritto e stabilità dei provvedimenti nella piena attuazione dell’interesse pubblico – ma anche al fine di bilanciare i diversi interessi[52] che confluiscono nell’ambito del potere di riesame – la Consulta sancisce l’infondatezza delle questioni afferenti alla violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento e della tutela del patrimonio storico artistico sollevate dal rimettente, ritenendo, nello specifico, non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies comma 1 l. 241/1990 sollevate in riferimento agli artt. 3 comma 1 e 9 commi 1 e 2 Cost.
In particolare, i giudici costituzionali hanno ravvisato l’insussistenza del denunciato contrasto con gli artt. 3 comma 1 e 9 commi 1 e 2 Cost., giustificando la ragionevolezza e la non reprensibilità dei limiti temporali “fissi” posti dall’art. 21 nonies nel suo complesso, e, dunque, anche con riguardo agli atti incidenti su interessi di “valore primario” (nella specie, quello culturale), in ragione della diversa consistenza che tali interessi – pur di rilievo costituzionale e oggetto di specifica attenzione nel procedimento di primo grado (tanto da escludere o rendere più gravosa l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso) – assumono nel procedimento di riesame.
La Consulta ritiene, infatti, che il termine fisso di dodici mesi per l’esercizio del potere di riesame non possa dirsi manifestamente irragionevole, né lesivo dell’interesse culturale protetto dall’art. 9 Cost. sulla base di diverse considerazioni.
Anzitutto, in ragione del fatto che l’annullamento d’ufficio esprime una funzione di secondo grado: l’amministrazione interviene nuovamente, infatti, su una precedente attività amministrativa ed è proprio in relazione a tale attività che devono essere valorizzate le regole che garantiscono gli interessi pubblici costituzionalmente tutelati sui plurimi piani in cui tali regole si riflettano nelle leggi sul procedimento o settoriali o nei tempi in cui l’amministrazione deve agire.
In secondo luogo, proprio in ragione della natura di potere di secondo grado dell’autotutela e del diverso oggetto che questa ha rispetto al provvedimento di primo grado – la pronuncia rimarca infatti come il riesame del provvedimento, pur mosso da ragioni di legittimità, non costituisce espressione del potere già esercitato, bensì di altro potere riconosciuto in via generale all’amministrazione, diverso da quello già esercitato e su cui anzi va a incidere, ossia quello dell’annullamento d’ufficio – viene evidenziato come l’interesse culturale, super primario e costituzionalmente tutelato, trovi già un’adeguata tutela attraverso svariate previsioni derogatorie nell’ambito dell’esercizio del potere in primo grado da parte della pubblica Amministrazione. Tutte quelle previsioni[53] che il rimettente aveva già individuato come derogatorie rispetto alle regole generali sul procedimento, e di cui lamentava un mancato coordinamento ove il 21 nonies non prevede deroghe in presenza di interessi sensibili, sono in realtà istituti che dettano un regime ad hoc per la tutela di interessi sensibili, compreso quello culturale, incidendo anche sul tempo dell’azione amministrativa[54].
Dunque, l’interesse sensibile trova già una tutela specifica e in parte derogatoria, proprio in ragione del suo rango, nell’ambito del potere di primo grado. Ma non solo; alla disciplina contenuta nella legge 241/1990 si affianca un regime di speciale e puntuale protezione dell’interesse alla tutela del patrimonio artistico nazionale nel Codice dei beni culturali.
Posto che, secondo la Corte, l’interesse primario è adeguatamente protetto nella sua ponderazione “in primo grado”, nella decisione di secondo grado non è irragionevole che il regime ordinario dell’autotutela e l’operare del termine per il suo esercizio si applichi anche all’interesse alla tutela del patrimonio storico e artistico.
Nell’annullamento d’ufficio, dunque, il punto di equilibrio della dialettica tra gli interessi in gioco è dato dalla “variabile tempo”: al fluire di un congruo tempo determinato acquisiscono prevalenza altri interessi di rilievo costituzionale, quali la posizione, di matrice individuale, dell’affidamento del destinatario del provvedimento favorevole e l’interesse, di matrice collettiva, alla certezza ed alla stabilità dei rapporti giuridici pubblici.
Diversamente opinando, qualora i disinnescasse l’operatività del termine fisso per l’esercizio del potere di riesame dei provvedimenti autorizzatori, l’effetto, intollerabile, sarebbe quello di una situazione di incertezza nella vita dei cittadini e delle imprese idonea a incidere negativamente, in un’ottica più complessiva, sulle dinamiche del mercato (nello specifico, quello dell’arte) e in definitiva, sull’affidabilità del “sistema Paese”.
[1] Emerge, infatti, in dottrina un’insofferenza da parte degli interpreti rispetto ad un’applicazione rigida dei termini per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, laddove la tutela dell’interesse pubblico sembri assumere talvolta una portata prioritaria rispetto all’affidamento dei privati. Basti pensare alla nozione di autotutela doverosa, la cui portata è tutt’oggi discussa, o alla cd. autotutela doverosa parziale, ravvisata proprio nell’art. 21 nonies comma 2 bis l. 241/1990 che manifesta una svalutazione del termine.
Sull’autotutela doverosa, in particolare, si vedano G. Giavazzi, Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effetto utile, in CERIDAP, 4, 2020; F.V. Virzì, La doverosità del potere d’annullamento d’ufficio, in Federalismi.it, 14, 2018.
[2] Codice dei beni culturali e del paesaggio.
[3] In particolare con gli artt. 3 comma 1, 9 commi 1 e 2, 97 comma 2 e 117 comma 1 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 1, lettere b) e d), e 5, lettere a) e c) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro).
[4] Per una trattazione completa dei fatti originanti la rimessione alla Consulta si rinvia a F. Campolo, Attestato di libera circolazione di un bene culturale e potere di autotutela. Dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies, c. 1. L. 241/1990 (nota a Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296), in questa Rivista, 26 febbraio 2025.
[5] In particolare, tra gli altri, erano stati impugnati i seguenti atti: a) del 15 novembre 2021, di annullamento in autotutela del rilascio dell’attestato di libera circolazione (art. 68 d.lgs. 42/2004) del quadro emanato il 6 agosto 2015 dall’Ufficio esportazione di Verona; b) del 17 dicembre 2021, di nuova determinazione di diniego dell’attestato di libera circolazione del quadro, con contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse culturale; del 27 dicembre 2021, di ordine di rientro dell’opera sul suolo nazionale.
[6] Che sancisce che il diniego dell’attestato di libera circolazione comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione disciplinato dall’art. 14 Codice dei beni culturali.
[7] TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater, 19 luglio 2022, n. 10294, in www.giustizia-amministrativa.it.
[8] Che individua chiaramente il momento di decorrenza del termine “dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Il fatto che tale termine non possa avere una decorrenza mobile, dovendo essere invece inequivocabilmente legato all’adozione del provvedimento, era inoltre stato già chiarito nell’ambito delle considerazioni svolte dalla Commissione consultiva speciale istituita presso il Consiglio di Stato per i decreti di attuazione della legge 7 agosto 2015 n. 124 nel parere n. 839 del 2016 (sullo schema del d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126: “SCIA 1”) ove, definendo la novella legislativa come espressione di “un nuovo paradigma nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione”, si erano particolarmente valorizzate la trasparenza e la certezza del diritto chiarendo come il legislatore avesse fissato “termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzando il principio di affidamento”, costruendo una nuova “regola generale”, “speculare nella ratio e negli effetti – a quella dell’inoppugnabilità, ma creata, a differenza di quest’ultima, in considerazione delle esigenze del cittadino”.
[9] Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296.
[10] Verrebbe dunque violato il parametro costituzionale della ragionevolezza, ex art.3 comma 1 Cost., quale limite alla discrezionalità del legislatore nella costruzione della disciplina di legge.
[11] Di cui si riporta il testo: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il passaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
[12] In forza del quale “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
[13] Viene citata, in particolare, CGUE, sentenza 17 aprile 1997, causa C-90/95 Decompte.
[14]Tale affermazione deve essere letta con particolare attenzione, riferendosi il rimettente a quei soli poteri che presuppongono l’annullamento, mentre può comunque residuare spazio per l’esercizio di poteri di secondo grado, quale la revoca ex art. 21 quinquies l. 241/1990, sempre che ricorrano i presupposti (elastici) dettati dalla disposizione citata. In presenza, allora, del mutamento del contesto fattuale che aveva legittimato l’emanazione dell’originario riferimento l’Amministrazione può rideterminarsi, così eliminando – ma solo ex nunc – il provvedimento non più rispondente al pubblico interesse.
[15] Si fa, in particolare, espresso riferimento agli artt. 20 comma 4, 19 comma 1, 14 bis comma 2 lett. c), 14 ter comma 2, 14 quinquies comma 1 l. 241/1990, tutte disposizioni volte a introdurre specifici rimedi e termini più ampi finalizzati ad una più compiuta ed effettiva tutela ambientale e paesaggistico-territoriale dei beni culturali.
[16] L’elemento dell’illegittimità sostanziale dell’atto da riesaminare (che deve essere affetto da uno o più vizi, non meramente formali, di incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere) costituisce, unitamente al rispetto del termine massimo di dodici mesi dal momento dell’adozione (purché l’atto da riesaminare sia autorizzativo o attributivo di vantaggi economici, e sempre che non siano ravvisabili falsità o mendaci dichiarativi), il presupposto cd. rigido dell’annullamento d’ufficio, cui si affiancano i presupposti cd. flessibili e discrezionali, che risiedono nella sussistenza di preminenti ragioni di interesse pubblico, nella valutazione comparata e bilanciata degli interessi dei destinatari e controinteressati e nel rispetto di un termine ragionevole (laddove non debba operare il termine fisso dei dodici mesi).
[17] Decorrente, secondo la giurisprudenza amministrativa, dal momento della scoperta dell’illegittimità da parte della pubblica Amministrazione, diversamente dal termine fisso, la cui decorrenza è cristallizzata dalla stessa previsione normativa nel momento dell’adozione del provvedimento. L’esclusione del termine di decorrenza mobile in questo secondo caso si spiega in ragione del fatto che non può la negligenza della pubblica Amministrazione tradursi nel vantaggio di differire continuamente il dies a quo per l’esercizio della potestà di annullamento (Considerato in diritto, punto. 3.2 della pronuncia in commento).
[18] La norma si riferisce ai provvedimenti autorizzatori o comunque attributivi di vantaggi economici; tuttavia, la ratio della riforma operata dalla l. 124/2015 (“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”) – che ha avuto il merito di evidenziare che il diritto amministrativo è il “regno delle relazioni di durata” (l’espressione è di M. Ramajoli, L’annullamento d’ufficio alla ricerca di un punto di equilibrio, in www.giustamm.it) – unitamente al dato testuale, consente di applicare la norma a qualunque atto ampliativo, comunque denominato (in tal senso: M. Ramajoli, op cit; M. Macchia, La riforma della pubblica amministrazione. Sui poteri di autotutela: una riforma in senso giustiziale, in Giorn. Dir. Amm., 2015, 621 ss.).
[19] Per uno sguardo più completo sull’annullamento d’ufficio, si segnalano tra i contributi più recenti, in particolare: M. Sinisi, Autotutela e governo del territorio, in Riv. giur. ed. 2024, 2, 157 ss.; Id., Il potere di autotutela caducatoria (art. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990 s.m.i.), in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2023, 543 ss.; M.A. Sandulli, G. Strazza, L’autotutela tra vecchie e nuove incertezze: l’Adunanza plenaria rilegge il testo originario dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, in S. Toschei (a cura di), L’attività nomofilattica del Consiglio di Stato, Roma, 2018; M.A. Sandulli, Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo, in P.L. Portaluri (a cura di), L’amministrazione pubblica nel prisma del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma Madia, Napoli, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017; 1173 ss.; F. Francario, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 8, 2017.
[20] Se, diversamente, si accoglie una nozione di riesame più ampia, in senso atecnico, e se si appiattisce la nozione di autotutela nella sola decisoria, allora le differenze tra i due si affievoliscono fino a scomparire.
[21] L’esercizio del potere di autotutela decisoria si concreta nell’adozione di provvedimenti di secondo grado, aventi ad oggetto fatti equipollenti o precedenti provvedimenti amministrativi; entro i confini dell’autotutela decisoria, alla stregua di un criterio funzionale, si discerne poi tra poteri di riesame, che interessano il regime di validità di provvedimenti o fatti equipollenti anteriori, e poteri di revisione, che investono i profili dell’efficacia e dell’esecuzione di atti precedenti (E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2020, 554).
Parte della dottrina, tuttavia, ha rimarcato l’inferenza della legittimazione ad agire della pubblica amministrazione in sede di autotutela dalla medesimezza del potere primario dispiegato, reputando vani i tentativi tesi all’individuazione di un autonomo fondamento del potere amministrativo di riconsiderazione unilaterale degli atti (G. Corso, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969; Autotutela (Dir. Amm., in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, 2006, 609 ss.). È lungo tale linea di pensiero che si colloca la preferenza del termine “riesame” rispetto a quello di “autotutela”, dai contorni più sfumati; riesame che legittimerebbe la pubblica Amministrazione ad esercitare il potere entro tempistiche definite, al fine del perseguimento del pubblico interesse (sul punto si rinvia a C. Fragomeni, Effettività della tutela giurisdizionale e riedizione del potere amministrativo, in Il diritto dell’economia, 2023, 2, 237 ss.).
[22] Tale definizione, sebbene largamente adoperata, non è del tutto precisa in quanto è stato affermato come, al contrario, la pubblica Amministrazione, quando ritira un atto, non lo fa per farsi giustizia da sé, ma per perseguire il pubblico interesse, anche perché risolvere il problema del fondamento dell’autotutela – come pure era stato proposto prima che tale potere venisse espressamente previsto dalla legge – nel fatto che l’Amministrazione rivesta una posizione di privilegio rispetto agli amministrati è certamente riduttivo e poco rispondente alla realtà dei fatti dal momento che non è tanto più una relazione gerarchica a venire in gioco, quanto un rapporto (dialettico) di sovraordinazione e di direzione (M. Santise. Coordinate. Diritto Amministrativo, Napoli, Merita Editore, 2024, 423).
[23] In tal senso, F. Benvenuti, (voce) Autotutela (Dir. Amm.), in Enc. Dir., Vol. IV, Milano, 1959, 537 che per primo ha discusso, nei propri scritti, di autotutela decisoria.
[24] Si tratta, dunque, pur in presenza del citato presupposto rigido dell’illegittimità sostanziale dell’atto da riesaminare, di un potere ampiamente discrezionale.
[25] Considerato in diritto, punto 3.6.
[26] Si legga Considerato in diritto, dal punto 3 al punto 3.6 della sentenza in esame.
Lo specifico termine – in origine di diciotto mesi – per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione e attribuzione di vantaggi economici è stato introdotto per la prima volta dalla legge n. 124 del 2015; questo è poi stato ridotto agli attuali dodici mesi dall’ art. 63 del d.l. 77 del 2021, convertito in l. n. 108 del 2021. Si segnala inoltre che in data 26 marzo 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge recante “Disposizioni per la semplificazione e la digitalizzazione dei servizi a favore dei cittadini e delle imprese” che all’art. 1 prevede l’ulteriore riduzione del termine a sei mesi.
[27] G.B. Mattarella, La riforma della pubblica amministrazione. Il contesto e gli obiettivi della riforma, in Giorn. Dir. Amm., 2015, 621 ss. Si legga anche C. Contessa, L’autotutela amministrativa all’indomani della legge Madia, in www.giustizia-amministrativa.it, 2018, 4, 12.
[28] Termini eccezionali, e necessariamente previsti dalla legge, rispetto al termine normalmente ordinatorio cui l’operato della pubblica Amministrazione è generalmente assoggettato. Nel diritto amministrativo è infatti, al contrario, al privato che sono normalmente imposti termini decadenziali per stigmatizzare l’azione amministrativa, per esigenze di certezza e di stabilità delle situazioni giuridiche su cui incide il provvedimento amministrativo.
[29] Si veda in tal senso L. Carbone, La riforma dell’autotutela come nuovo paradigma dei rapporti tra cittadino e amministrazione pubblica, Relazione al convegno “La legge generale sul procedimento amministrativo: attualità e prospettive nei rapporti tra cittadino e p.a.” – Roma, Palazzo Spada, 20 marzo 2017, in www.giustizia-amministrativa.it
[30] Cons. Stato, Comm. Spec., parere 839/2016.
[31] Considerato in diritto, punto 3.6.
[32] Si legga G. Tulumello, La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione fra ideologia e dogmatica, in Giustamm.it, 5, 2022.
[33] Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St. sez. VI, 6 luglio 2023, n. 6615) “l’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 si interpreta nel senso che il superamento del rigido termine entro il quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito: a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso — non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva — si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco” (Consiglio di Stato sez. V, 27 giugno 2018, n.3940).
[34] Si rammenta che la lettera della norma recita che i provvedimenti amministrativi possono essere annullati anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi qualora siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
[35] In questo senso, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, sentenze 7 maggio 2025, 3876 e 24 agosto 2024, n. 7134; sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926. Quest’ultima sentenza afferma che ai sensi dell’art. 21-novies, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990, il differimento del termine iniziale per l’esercizio dell’autotutela deve essere determinato dall’impossibilità per la p.a., a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado. In questo senso sembra residuare uno spazio per la decorrenza mobile del termine, ma tale evenienza è pur sempre legata ad un’impossibilità ascrivibile al comportamento (lesivo della buona fede) dell’istante.
[36] Che esclude l’applicazione delle disposizioni sul silenzio assenso per i “procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico”.
[37] Che dichiara inoperante la disciplina delle segnalazioni certificate di inizio attività nei “casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali”.
[38] Che assegna alle “amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali” un termine raddoppiato rispetto a quello assegnato in via ordinaria alle amministrazioni per rendere le proprie determinazioni in ordine all’oggetto della conferenza semplificata.
[39] Che prevede, per la conclusione dei lavori della conferenza di servizi simultanea, un termine doppio rispetto a quello ordinario “qualora siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali”.
[40] Che contempla specifici rimedi di superamento della determinazione conclusiva della conferenza di servizi, in favore delle “amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali” che in quella sede abbiano espresso dissenso.
[41] Si segnala, come spunto per il fondamento di una diversa e ulteriore tutela, sotto il profilo della legittimazione ad agire, del bene culturale, e più in generale della cultura, quale interesse legittimo trans-soggettivo, P. L. Portaluri, Per le magnifiche corti e progressive. Ipotesi sugli interessi legittimi trans-soggettivi, in giustizia-amministrativa.it, 2025.
[42] Sulla valorizzazione della memoria collettiva della comunità e sul cd. vincolo testimoniale, a dimostrazione della sempre crescente tutela accordata al bene culturale, si legga P. L. Portaluri, Amara Sicilia e bella. Iudicis ad memoriam Livatini, questa Rivista, 7 maggio 2021.
In questo stesso senso, fondamentale rilievo assume Ad. Plen. 13 febbraio 2023, n. 5, che contribuisce a scolorire il principio di realità nella misura in cui afferma che “possono essere tutelati, mediante un vincolo di destinazione d’uso, anche i beni che sono espressione di un’identità collettiva (perché in quel o per suo tramite sono accaduti eventi di rilevanza storica e culturale ovvero perché personaggi storici e illustri vi hanno trovato, in un dato momento, la loro collocazione), per i quali si riconosca l’impossibilità di scindere le dimensioni materiali da quelle immateriali, stante la loro immedesimazione”.
[43] Agli artt. 64 bis ss. d.lgs. 42/2004.
[44] Per cui si rinvia a M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2007.
[45] Si rinvia a C. Ferrazzi, Commento all’art. 68, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2019, 675 ss.
[46] Per una carrellata di casi analoghi a quello in esame si rinvia nuovamente a F. Campolo, op. cit.
[47] Si rammenta, ancora una volta, che nel caso di specie il comportamento del privato richiedente era stato ritenuto solo parzialmente omissivo e non del tutto diligente, ma senza che potesse ravvisarsi una prova piena della “falsa rappresentazione dei fatti”.
[48] Considerato in diritto, punto 3.6 della pronuncia in commento.
[49] Si rammenta, in relazione agli artt. 1 lett. b) e d) e 5 lett. a) e c) della Convenzione di Faro.
[50] Dalla quale consegue, secondo costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’inammissibilità delle questioni. Diverse sono, infatti, le pronunce che sanciscono l’inammissibilità delle questioni rispetto alle quali il rimettente non illustri i motivi per i quali la normativa sospettata d’illegittimità costituzionale sarebbe tale; le ordinanze di rimessione del tutto carenti in tal senso sono viziate da inadeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza, difettando una sufficiente illustrazione delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe la violazione del parametro costituzionale evocato. In tal senso, ex plurimis, Corte Cost. 8 gennaio 2024, n. 3, Corte Cost. 27 giugno 2024, n. 112.
[51] Proprio con riferimento al rilascio degli attestati di libera circolazione si trova riscontro della portata attuativa del principio di buon andamento dalla lettura della circolare della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del 24 maggio 2024, n. 21 con cui il Ministero della Cultura ha invitato gli uffici di esportazione a prestare maggiore attenzione nell’esame delle istanze loro presentate, anche alla luce dei limiti temporali di cui all’art. 21 nonies comma 1 l. 241/1990. In particolare, proprio in risposta alla tendenza della giurisprudenza a negare la possibilità per le Amministrazioni di annullare in autotutela gli attestati di libera circolazione oltre il termine di dodici mesi, si apprezza l’invito agli Uffici competenti, “per evitare l’irrimediabile uscita dal territorio nazionale di opere d’arte che, onde opportunamente presente agli uffici esportazione, non avrebbero ricevuto l’attestato di libera circolazione”, a voler dichiarare l’improcedibilità dell’istanza nei casi in cui “la mancanza o insufficienza di informazioni unitamente alla scarsa leggibilità dell’opera non consentano la adeguata valutazione dell’interesse culturale”.
[52] Non a caso la pronuncia in esame ribadisce come nella fase del riesame si accresca l’entità degli interessi oggetto della valutazione dell’annullamento d’ufficio rispetto a quelli cui è preordinata la funzione di primo grado, interessi tra i quali spicca quello alla “stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico”, come già valorizzato, in tema di autotutela tributaria da Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 181.
[53] Si richiamano i già citati artt. 20 comma 4, 19 comma 1, 14 bis comma 2 lett. c), 14 ter comma 2, 14 quinquies comma 1 l. 241/1990, tutte disposizioni volte a introdurre specifici rimedi e termini più ampi finalizzati ad una più compiuta ed effettiva tutela ambientale e paesaggistico-territoriale dei beni culturali.
[54] Come emerge dall’art. 2 comma 2 l. 241/1990 che fissa il termine generale di trenta giorni per la conclusione del procedimento, ma, oltre a far salve le diverse disposizioni speciali, consente, con le diverse forme dettate dai commi 3 e 4, l’elevazione del termine fino a centottanta giorni anche in considerazione della “natura degli interessi pubblici tutelati”.
Annullamento d’ufficio e tutela dell’interesse culturale (nota a Corte Costituzionale, 26 giugno 2025, n. 88)
di Michele Ricciardo Calderaro
Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 sollevate dal Consiglio di Stato. – 3. La ricostruzione sistematica del potere di annullamento d’ufficio da parte della Corte costituzionale. – 4. Tutela del patrimonio culturale ed annullamento d’ufficio: la controversa dialettica tra interessi pubblici “qualificati” ed i provvedimenti di secondo grado.
1. Il caso di specie.
La Corte costituzionale, con la sentenza che si commenta, è intervenuta su un tema tanto delicato quanto complesso come quello attinente al rapporto tra l’esercizio dei poteri di autotutela, in particolare del potere di annullamento d’ufficio, e la tutela di interessi pubblici c.d. “qualificati” qual è quello della tutela del patrimonio culturale.
Prima di analizzare le diverse questioni giuridiche affrontate dalla Corte, è necessario ricostruire brevemente la vicenda da cui è scaturito il contenzioso.
Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con sentenza non definitiva n. 215 del 16 ottobre 2024, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies, co. 1, legge 7 agosto 1990, n. 241 in riferimento agli artt. 3, co. 1, 9, co. 1 e 2, 97, co. 2, e 117, co. 1 della Costituzione, quest’ultima come norma costituzionale interposta rispetto agli artt. 1, lett. b) e d), e 5, lett. a) e c) della Convenzione di Faro del 27 ottobre 2005, ratificata dall’Italia con la legge 1° ottobre 2020, n. 133, nella parte in cui stabilisce il limite temporale fisso di un anno (e non solo il rispetto del termine flessibile “ragionevole”) per l’annullamento d’ufficio delle autorizzazioni illegittime anche con riguardo a quelle che siano incidenti su un interesse sensibile e di rango costituzionale, come quello relativo alla tutela del patrimonio storico e artistico del Paese.
La questione è insorta con riferimento all’attestato di libera circolazione rilasciato nel 2015 per una tela raffigurante una figura femminile, attribuita alla scuola italiana del XVI secolo e con stima di euro 65.000,00; tuttavia, in esito al suo restauro, nel novembre del 2019 lo studio di un esperto d’arte aveva dimostrato che la tela null’altro era che invece la “Allegoria della pazienza” di Giorgio Vasari.
Di conseguenza, la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura aveva adottato: il 15 novembre 2021 un provvedimento di annullamento in autotutela del rilascio dell’attestato di libera circolazione; il 17 dicembre 2021 un nuovo provvedimento di diniego dell’attestato di libera circolazione del quadro, con contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale; il 27 dicembre 2021 un provvedimento di rientro dell’opera sul suolo nazionale in quanto temporaneamente esposta alla National Gallery di Londra.
Il provvedimento di annullamento in autotutela dell’attestato di libera circolazione è pertanto intervenuto ben 6 anni dopo il rilascio del primo provvedimento positivo e comunque 2 anni dopo che il restauro aveva fatto scoprire che l’opera fosse da attribuire al Vasari.
Il soggetto che aveva ottenuto l’attestato di libera circolazione nel 2015 e la successiva proprietaria dell’opera, di conseguenza, impugnano i provvedimenti della Direzione generale del Ministero della Cultura ma il TAR Lazio ha respinto l’impugnativa ritenendo non tardivo l’annullamento d’ufficio sia per l’operare dell’eccezione del comma 2-bisdell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, sia perché il termine non può che decorrere da quando si provi che l’Amministrazione è venuta a conoscenza degli elementi che le erano stati sottratti, o offerti malamente, ovvero solamente nel luglio del 2021.
Il Consiglio di Stato, a differenza del giudice di primo grado, non ha ritenuto invece applicabile la disposizione di cui al co. 2-bis dell’art. 21-nonies, ovvero quella secondo cui “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi”, in quanto, da un lato, la provenienza non è tra i dati che l’apposito modulo ministeriale indica come obbligatori nella denuncia di esportazione e, dall’altro lato, la descrizione dell’oggetto della rappresentazione pittorica come figura femminile era sì generica, ma non mendace.
Pertanto, occorre applicare il termine ordinario di dodici mesi di cui al primo comma ma su questo la Sesta Sezione del Consiglio di Stato solleva importanti dubbi di legittimità costituzionale.
2. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 sollevate dal Consiglio di Stato.
Secondo i giudici di Palazzo Spada la questione di costituzionalità non è manifestamente infondata perché la norma dell’art. 21-nonies, co. 1, che pone il limite temporale di dodici mesi all’annullamento d’ufficio, indiscriminatamente per tutte le autorizzazioni, comprese quelle incidenti su un interesse sensibile e di rango costituzionale sarebbe manifestamente irragionevole e violerebbe al contempo il fondamentale interesse alla tutela dell’integrità del patrimonio storico e artistico del Paese apprestata dall’art. 9, co. 1 e 2 della Costituzione e il principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97, co. 2, Cost.
Ed infatti, in primo luogo, seguendo il ragionamento del Consiglio di Stato, sottoporre ad un limite temporale rigido il potere di annullamento in autotutela anche per gli atti autorizzatori riguardanti interessi di rango super-primario darebbe automatica prevalenza all’interesse privato alla conservazione del provvedimento ampliativo su quello pubblico antitetico, senza consentire il loro bilanciamento in relazione alla specifica vicenda amministrativa. Piuttosto, interessi pubblici, come quello all’integrità ed alla tutela del patrimonio storico-artistico, sarebbero tendenzialmente prevalenti rispetto alla posizione (di matrice individuale) di legittimo affidamento del privato alla stabilità del titolo ottenuto, nella naturale ponderazione delle posizioni contrapposte.
Al contrario, continua la Sesta Sezione, sarebbe adeguato sottoporre l’esericizio del potere di autotutela ad un termine elastico da modulare secondo il canone della ragionevolezza ed il cui esercizio soggiacerebbe al sindacato del giudice amministrativo.
In secondo luogo, la previsione di una barriera temporale, valida in assoluto, non consentirebbe di valutare correttamente la peculiarità e l’importanza del caso concreto nella valutazione sottesa all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, con specifico riguardo ad autorizzazioni il cui rilascio richiede l’apprezzamento di profili, anche complessi e controversi, di natura tecnica.
Tra queste indubbiamente rientra l’attestato di libera circolazione di un bene culturale, la cui emanazione richiede il ricorso a conoscenze di settore, soggette ad evoluzione e non riconducibili a scienze esatte, anzi dotate di margini di opinabilità.
In terzo luogo, il termine decadenziale stabilito per l’esercizio della potestà di cui all’art. 21-nonies precluderebbe la «spendita di altri profili di capacità speciale autoritativa dell’Amministrazione».
L’annullamento d’ufficio si pone come presupposto logico-giuridico per il riesercizio dell’originario potere o di altri poteri amministrativi a questo connessi, che, pertanto, sarebbero indirettamente impediti dall’impossibilità di annullamento della determinazione originaria per l’intervenuta scadenza dei dodici mesi dalla sua adozione.
Da ultimo, il Consiglio di Stato a sostegno del suo orientamento evidenzia, da un lato, come la legge n. 241 del 1990 per altri istituti del procedimento amministrativo abbia previsto una disciplina specifica laddove ricorrano interessi sensibili come quello della tutela del patrimonio culturale e, dall’altro, sottolinea come nel caso di specie non sia applicabile il co. 2 dell’art. 21-nonies previsto per false rappresentazioni di fatti o false dichiarazioni rese in quanto questa ipotesi eccezionale non coprirebbe un ampio ventaglio di casi, come quello della fattispecie in questione, caratterizzati da situazioni di incertezza e in cui non sarebbe ravvisabile la meritevolezza dell’interesse del privato a una incondizionata prevalenza, per decorso del tempo, sull’interesse pubblico.
Pertanto, è evidente per il Consiglio di Stato che la questione deve essere rimessa al giudizio della Corte costituzionale anche in virtù del fatto che non è possibile altra interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 21-nonies, dato che la norma è inequivoca nello stabilire che il termine “non superiore a dodici mesi” per l’annullamento d’ufficio sia un termine massimo inderogabile e che la sua decorrenza incominci dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado: non vi sarebbe, dunque, possibilità di posticipare il suo spirare in relazione alle manifestazioni sopravvenute dell’illegittimità originaria.
Norma che, ad abundantiam, violerebbe altresì, come norma interposta, l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione agli artt. 1, lett. b) e d), e 5, lett. a) e c) della Convenzione di Faro, che riconosce il diritto fondamentale alla protezione dell’eredità culturale di ogni popolo.
In altri termini, quindi, secondo il Consiglio di Stato, la previsione di una scadenza predeterminata per la funzione di riesame con riguardo alle autorizzazioni concernenti i beni culturali sarebbe manifestamente irragionevole e violerebbe al contempo i principi di buon andamento dell’Amministrazione e della tutela del patrimonio storico e artistico. Difatti, la consumazione della potestà di autotutela impedirebbe all’Amministrazione di rinnovare la cura dell’interesse c.d. super-primario alla protezione del patrimonio culturale sotteso al provvedimento illegittimo di primo grado, sottraendole ogni possibilità di apprezzare le peculiarità e l’importanza del caso concreto, ponderare gli interessi contrapposti nell’esercizio della tipica discrezionalità dell’Amministrazione e provvedere, in esito all’annullamento, con il riesercizio del potere.
Questi profili di incostituzionalità verrebbero meno, ovviamente, qualora il potere di riesame risultasse sottoposto al solo limite flessibile del “termine ragionevole”, stabilito in via generale per i provvedimenti amministrativi[1].
Tale orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato non ha trovato, però, accoglimento da parte dei giudici costituzionali, che hanno dichiarato in parte non fondate ed in parte inammissibili le questioni di costituzionalità sollevate sulla base di una ricostruzione sistematica, non sempre del tutto persuasiva, come si vedrà infra, del potere di annullamento d’ufficio.
3. La ricostruzione sistematica del potere di annullamento d’ufficio da parte della Corte costituzionale.
Anzitutto la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 21-nonies, legge n. 241 del 1990 con riferimento all’art. 117, co. 1, Cost. quale norma interposta relativamente agli obblighi assunti con la Convenzione di Faro in quanto la questione sollevata dal Consiglio di Stato è priva di qualsiasi illustrazione delle ragioni per le quali la disposizione censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato.
Quanto alla presunta violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., la Corte ha invece ritenuto di dover ricostruire sistematicamente le origini e le caratteristiche del potere di annullamento d’ufficio prima di potersi pronunziare sulla questione di legittimità sollevata dal Consiglio di Stato.
L’annullamento d’ufficio deve essere annoverato tra i provvedimenti di “secondo grado” con cui l’Amministrazione esercita la funzione di riesame di atti già adottati, al fine di garantire la cura dell’interesse pubblico in via continuativa. Si contraddistingue, in tale ampia categoria, per essere il provvedimento discrezionale di portata caducatoria, con effetti ex tunc, di un precedente atto affetto da uno o più vizi di legittimità[2].
Originariamente, ovvero sino al momento in cui non è stata introdotta la norma dell’art. 21-nonies, la funzione del riesame è stata ritenuta espressione dello stesso potere esercitato in primo grado, di cui condivideva il carattere di inesauribilità, e il suo fondamento costituzionale è stato rintracciato nel principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Ne è conseguito, sotto il profilo temporale, che il potere di annullamento è stato ritenuto inconsumabile e discrezionale nel quando, salvo il temperamento individuato dalla giurisprudenza amministrativa, dapprima, sulla base delle sollecitazioni anche risalenti della dottrina[3], nella carenza di un interesse concreto e attuale all’annullamento[4]per “l’operare del fatto compiuto”[5] e, di seguito, nella decorrenza di un termine ragionevole[6], criterio introdotto anche in conseguenza delle “spinte gentili” provenienti dalla Corte di giustizia sin dal 1982, con la sentenza Alpha Steel Ltd, a giudizio della quale il riesame di un atto illegittimo – impropriamente denominato dal giudice europeo come “revoca”[7]– è possibile solamente se interviene entro un arco temporale adeguato[8].
Ciò perché un potere di riesame senza termine può incidere sul legittimo affidamento del cittadino[9]. Pensiamo ad un titolo autorizzatorio (ad esempio, edilizio) dapprima rilasciato e poi annullato d’ufficio a distanza di anni in qualora l’Amministrazione si accorga che era affetto da un vizio di legittimità.
Il cittadino, in questo modo, era lasciato completamente “in balia” dell’Amministrazione, non potendosi certamente configurare un rapporto amministrativo paritario, come preconizzato dalla dottrina[10].
Occorreva pertanto che vi fosse un intervento del legislatore tale da allineare tale potere alla dimensione collaborativa che la legge n. 241 del 1990, seppur in modo non esattamente coincidente con le intenzioni della Commissione Nigro[11], aveva incominciato ad attribuire al rapporto tra Amministrazione e cittadini[12].
Così, la legge 11 febbraio 2005, n. 15 ha introdotto nella legge generale sul procedimento amministrativo l’art. 21-nonies[13], che per la prima volta ha positivizzato, in termini generali, il potere di riesame, ha fatto proprio il concetto del “termine ragionevole”, inserendo il mancato decorso di quel tempo tra le condizioni per il suo esercizio, accanto a quelle della presenza di specifiche ragioni di interesse pubblico che giustifichino l’annullamento del provvedimento di primo grado (distinte, però, dal mero ripristino della legalità violata)[14] e della valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento (in primis, l’affidamento da loro in esso riposto) e dei controinteressati[15].
La codificazione del “termine ragionevole” non ha però risolto tutte le questioni insorte, anche in virtù dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza amministrativa.
Difatti, secondo la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la scelta normativa di una limitazione temporale tramite il ricorso a “un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso” ha comportato la sua qualificazione non come termine di decadenza del potere di autotutela, con sua conseguente consumazione in via definitiva, bensì come elemento determinante nella modalità di esercizio di tale potere, in una logica conformativa del potere al suo interno.
Di conseguenza, secondo il giudice amministrativo[16], il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio[17], anche in considerazione del fatto che “il termine ragionevole” per la sua adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'Amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro[18].
Ora, è evidente che questa interpretazione di un concetto giuridico indeterminato[19] qual è quello del “termine ragionevole”, seppur richiedendo all’Amministrazione una motivazione particolarmente dettagliata dalla sua decisione, nella necessaria comparazione di tutti gli interessi coinvolti, compreso il legittimo affidamento riposto dal cittadino, lascia quest’ultimo in una posizione di difficoltà nei confronti dell’Amministrazione[20] solo però se questa non usa correttamente la propria discrezionalità. Certo, “il termine ragionevole” deve essere riempito di contenuto ma l’elasticità del termine non è di per sé sinonimo di illegittimità.
Tuttavia, il legislatore è nuovamente intervenuto sul co. 1 dell’art. 21-nonies con la legge 7 agosto 2015, n. 124, specificando per i provvedimenti autorizzatori e di attribuzione di vantaggi economici – e dunque per gli atti ampliativi in cui è più evidente l’affidamento del cittadino – che l’annullamento possa intervenire “entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione”[21].
Per questi provvedimenti il termine è stato considerato un termine decadenziale anche dalla stessa Corte costituzionale che, occupandosi dei poteri di controllo postumi riservati all’Amministrazione in caso di SCIA nel termine e alle condizioni di cui all’art. 21-nonies, si è espressa nel senso che la decorrenza del relativo termine determina l’”effetto estintivo di tale potere” e il consolidamento definitivo della situazione soggettiva dell’interessato nei confronti dell’Amministrazione ormai priva di poteri e dei terzi controinteressati[22].
Nel nostro ordinamento, così come in quello europeo[23] la tutela dell’affidamento del cittadino è riconosciuta solo se questo è legittimo[24], vale a dire se incolpevole o fondato sulla buona fede, che oggigiorno trova un ulteriore riconoscimento nella sua codificazione agli artt. 1, co. 2-bis della legge n. 241 del 1990[25] e 5 del nuovo Codice dei contratti pubblici, contenuto nel d.lgs. n. 36 del 2023[26].
Sulla base di questo presupposto, il legislatore del 2015 ha previsto unitamente al termine decadenziale fisso una fattispecie di esclusione della sua applicabilità per immeritevole considerazione della posizione del destinatario del provvedimento invalido. Difatti, all’art. 21-nonies è stato aggiunto il comma 2-bis, a mente del quale l’Amministrazione è legittimata all’annullamento del provvedimento invalido anche dopo la scadenza del termine, all’epoca fissato in diciotto mesi, in caso “di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
Questa disposizione viene costantemente interpretata dalla giurisprudenza amministrativa ritenendo che il termine finale entro cui deve intervenire l’annullamento d’ufficio non trova applicazione tutte le volte in cui si riscontri che il contrasto tra la fattispecie rappresentata e la fattispecie reale sia rimproverabile all’interessato, tanto se determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale, quanto se determinato da una falsa rappresentazione della realtà di fatto, accertata inequivocabilmente dall’Amministrazione con i propri mezzi[27].
In sostanza, il differimento del termine iniziale per l'esercizio dell'autotutela deve essere determinato dall'impossibilità per l'Amministrazione, a causa del comportamento dell'istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell'ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado[28].
Di conseguenza, se il termine ragionevole tradizionalmente decorre dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado, in questo caso decorre solamente dal momento in cui l’Amministrazione “scopre” l’illegittimità dovute alle false dichiarazioni, non avendo potuto compiere correttamente la propria istruttoria.
Il termine di 18 mesi, in conseguenza delle “semplificazioni amministrative” intervenute per rilanciare l’economia del Paese a seguito della pandemia da Covid-19, è stato ulteriormente ridotto a 12 mesi dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77, conv. in legge 29 luglio 2021, n. 108[29].
Peraltro, il legislatore, al di là di ulteriori specifiche abbreviazioni per procedimenti particolari come ad esempio quelli relativi alla produzione di energia da fonti rinnovabili, probabilmente interverrà ancora con una nuova riduzione del termine a 6 mesi come previsto dal disegno di legge governativo S-1184 ora in discussione al Senato, con l’intento, secondo quanto si può desumere dalla relazione illustrativa della relativa disposizione, di rispondere all’esigenza di ridurre ad un termine più ragionevole l’esaurimento del potere di autotutela dell’Amministrazione a salvaguardia del legittimo affidamento ingenerato nei destinatari del provvedimento (!).
Ora, al di là della correttezza terminologica sull’esauribilità del potere di autotutela dell’Amministrazione, su cui non ci si può soffermare in questa sede[30], la volontà del legislatore pare quella di consolidare il legittimo affidamento del cittadino in un termine non solo ragionevole ma estremamente breve (forse troppo) qualora questo abbia agito consapevolmente ed in buona fede nei propri rapporti con l’Amministrazione[31].
La ricostruzione sistematica del potere di annullamento d’ufficio effettuato dalla Corte è corretta e sufficientemente completa ma persiste un problema: che cosa succede allorquando questo potere si deve confrontare con un interesse pubblico particolarmente qualificato, rectius sensibile, come quello relativo alla tutela del patrimonio culturale?
Questa è la domanda da cui occorre partire per svolgere alcune considerazioni sul nucleo del decisum della Corte costituzionale nella pronunzia che si commenta.
4. Tutela del patrimonio culturale ed annullamento d’ufficio: la controversa dialettica tra interessi pubblici “qualificati” ed i provvedimenti di secondo grado.
L’art. 21-nonies, nelle varie interpolazioni intervenute, non ha mai dedicato una norma specifica agli interessi pubblici particolarmente “qualificati”, come è certamente quello relativo alla tutela dell’interesse culturale, né ha mai previsto la non applicazione (o una sua possibile maggiore flessibilità) del termine ragionevole nei casi in cui ricorrano tali interessi.
Ciò a differenza di altre disposizioni della legge n. 241 del 1990[32] ove si è escluso, ad esempio, l’operare di alcuni istituti di semplificazione procedimentale (i meccanismi devolutivi per l’acquisizione dei pareri e valutazioni tecniche di cui agli artt. 16 e 17) o provvedimentale (il silenzio-assenso c.d. verticale di cui all’art. 20) e di liberalizzazione (la SCIA di cui all’art. 19)[33].
Come è noto, ai sensi dell’art. 9 Cost., la Repubblica italiana si pone come obiettivo imprescindibile quello della promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica[34]: ciò si realizza anzitutto attraverso la tutela del patrimonio culturale da intendersi non solo nelle sue espressioni identitarie, ma anche attraverso la tutela e la conservazione di tutti quei beni che possano contribuire al perseguimento dell'obiettivo di tale elevazione[35].
Si può pacificamente affermare, dunque, che per tutela si può intendere ogni attività diretta a riconoscere, proteggere e conservare un bene del nostro patrimonio culturale affinché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento della collettività[36].
Secondo la Corte costituzionale, tuttavia, la previsione del termine finale fisso per l’esercizio del potere di annullamento degli atti autorizzatori, senza eccezioni (o distinguo) per gli interessi culturali, non risulta manifestamente irragionevole e lesiva dell’interesse culturale protetto dall’art. 9 Cost.
Il fondamento di tale asserzione per la Corte risiede nel fatto che l’annullamento d’ufficio è espressione di una funzione di secondo grado, avente ad oggetto un provvedimento emanato nell’esercizio di un determinato potere.
Secondo questo ragionamento, il riesame del provvedimento[37], pur mosso da ragioni di legittimità, non costituisce espressione di quel potere già esercitato, bensì di un altro potere riconosciuto in via generale all’Amministrazione, quello dell’annullamento d’ufficio, che, proprio perché diverso da quello esercitato e su cui incide, è assoggettato a regole specifiche, quanto a presupposti ed a disciplina procedimentale. In particolare, in sede di riesame emerge l’esigenza di una regola di certezza e di correttezza nei rapporti tra il potere pubblico e i privati, che rende immodificabile l’assetto degli interessi che si è consolidato nel tempo.
Quindi, atteso che, con l’annullamento in autotutela, l’Amministrazione reinterviene su una precedente attività amministrativa, è di questa che debbono essere valorizzate le plurime regole a garanzia degli interessi pubblici di rango costituzionale dettate dalla legge sul procedimento o dalle leggi settoriali: sia in ordine alle modalità di esercizio dei relativi poteri, sia in ordine ai loro termini.
Occorre, pertanto, verificare in questo caso che la disciplina del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione, necessario per l’esportazione di un’opera in altro Paese dell’Unione europea, ovvero per far uscire definitivamente l’opera dal territorio della Repubblica italiana, prevista dall’art. 68, d.lgs. n. 42 del 2004, Cod. beni culturali, risponda a queste necessarie garanzie.
Il legislatore, prevedendo l’intervento del Ministero della Cultura e degli uffici di esportazione cui deve essere destinata la dichiarazione e che hanno ampia discrezionalità tecnica in merito alla decisione sulla possibile esportazione[38], conforma puntualmente il potere autorizzatorio in ordine alla esportazione delle opere d’arte per la finalità di preservare “l’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti”, ma anche a garanzia degli interessi sui quali quel potere interferisce (la proprietà del bene, la relativa disponibilità e il regime della sua circolazione), e l’ufficio di esportazione, cui quel potere è attribuito, nell’esercitarlo, oltre a rispettare le relative regole, è chiamato a concretizzarlo, tramite la corretta espressione della discrezionalità, nel contesto fattuale e nel contemperamento di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti[39].
Il rilascio dell’attestato di libera circolazione, che, per esempio, può riferirsi a beni non vincolati, a chiunque appartenenti, che presentino un interesse culturale, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia superiore ad euro 13.500 (art. 65, co. 3, Cod. beni culturali), in questo caso, nel contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, corrisponde evidentemente ad una valutazione dell’Amministrazione di non essenzialità del bene in esame per il patrimonio culturale nazionale[40].
Qualora, tuttavia, l’Amministrazione si avveda che il provvedimento di primo grado presenti profili di illegittimità e valuti di provvedere all’annullamento d’ufficio, non è contrario alla ragionevolezza che l’interesse di particolare rango costituzionale, quale la protezione del patrimonio culturale, abbia nella funzione di riesame una considerazione diversa da quella che gli è riservata nel procedimento di primo grado che porta al rilascio o meno dell’attestato di circolazione.
In sede di riesame, con riferimento alla comparazione attuata in sede di esercizio del potere, gli interessi considerati in primo grado, pur di rilievo costituzionale, acquistano per la Corte una diversa consistenza, perché si confrontano con interessi ulteriori, non solo di natura privata, ma anche pubblica. Nel valutare l’an dell’annullamento, l’Amministrazione deve tenere in considerazione non solo l’interesse pubblico primario in precedenza tutelato dal provvedimento invalido, ma deve soppesare anche quelli, sempre di natura pubblica, al ripristino della legalità (che spesso trova coincidenza con l’interesse del controinteressato pregiudicato dal provvedimento emesso in favore di altri)[41] e alla certezza dei rapporti giuridici, nonché la posizione, di natura privata, di affidamento del destinatario della determinazione favorevole, qualora questo sia legittimo[42].
In tale contesto, lo specifico bilanciamento operato dall’art. 21-nonies nel suo complesso risulta, secondo la Corte, non reprensibile anche con riguardo alla tutela di interessi particolarmente “qualificati” quale quello culturale.
La disposizione prevede, infatti, una regolazione della dialettica degli interessi in gioco il cui punto di equilibrio è dato dalla “variabile tempo”.
L’opzione invocata dal Consiglio di Stato di inoperatività del termine finale fisso per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti autorizzatori potrebbe generare una situazione di incertezza nella vita dei cittadini e delle imprese idonea a incidere negativamente, in un’ottica più complessiva, sulle dinamiche del mercato (anche quello dell’arte) e sulla fiducia degli investitori: in definitiva, sull’affidabilità del “sistema Paese”[43].
Ora, questa asserzione della Corte costituzionale appare francamente opinabile con riferimento alla tutela dei beni culturali: si è d’accordo sul fatto che l’esercizio del potere di riesame non può essere senza limiti di tempo, ad libitum, perché si rischierebbe di tornare al punto di origine per cui il cittadino riponeva un legittimo affidamento nell’autorizzazione rilasciata dall’Amministrazione ed anni dopo, magari qualche decennio dopo, si vedeva annullato il titolo precedentemente rilasciato perché l’Amministrazione si accorgeva della sussistenza di un vizio. Questo certamente è contrario a quella certezza del diritto che deve essere propria del nostro ordinamento.
Il caso di specie, tuttavia, è diverso: qui si sta parlando di un’opera d’arte riconducibile al Vasari, che certamente è parte importante del patrimonio culturale italiano. Ritenere che la mancanza di un’apposita disciplina dell’annullamento d’ufficio nei casi in cui venga in rilievo un interesse sensibile come quello della protezione del patrimonio culturale sia conforme al sistema è discutibile.
L’interesse pubblico deve tenere in considerazione senz’altro il legittimo affidamento riposto dal destinatario dell’atto ma con altrettanta certezza si deve affermare che tale interesse non può ridursi in questo caso alla tutela del mercato e della fiducia degli investitori perché i beni culturali non sono e non potranno mai essere solo una variabile economica o un semplice brand del Paese.
Appare più convincente, invece, la motivazione fornita dalla Corte relativamente alla compatibilità della disciplina temporale dell’annullamento d’ufficio con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Il termine estintivo del potere di annullamento influisce sulla qualità dello stesso processo decisionale di primo grado. La limitazione della potestà di autotutela incentiva le Amministrazioni alla attenta valutazione ed alla corretta ponderazione degli interessi già in primo grado; valutazione che potrebbe essere meno meditata nella consapevolezza di avere una seconda chance di intervento, tramite un contrarius actus, rispetto a quello originariamente assunto in via illegittima, senza limiti temporali predeterminati[44].
In questo senso il termine di decadenza diviene uno strumento di efficienza dell’azione amministrativa[45].
Che, in ogni caso, laddove si parli di un attestato di libera circolazione di un’opera che è indubbiamente parte del patrimonio culturale nazionale, dovrebbe essere quanto meno maggiormente flessibile così come evocato dal Consiglio di Stato perché non tutti gli interessi pubblici hanno una medesima rilevanza.
Su questo aspetto sarebbe necessario, pertanto, che il legislatore ripensasse la disciplina dell’art. 21-nonies, introducendo delle specifiche disposizioni così come ha già fatto per altri istituti previsti dalla legge generale sul procedimento amministrativo[46].
Pur dichiarando le questioni di costituzionalità non fondate, la Corte ha offerto alcuni spunti al legislatore, che sta pensando di riformare la disciplina dell’art. 21-nonies mediante il disegno di legge in discussione al Senato, per rendere più omogenea la norma ai diversi casi che si possono presentare: certamente occorre un termine di decadenza ragionevole prefissato, ma questa ragionevolezza è tale solo se adeguata ai diversi interessi pubblici che è necessario bilanciare attraverso la valutazione tipica dell’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione[47].
L’alternativa, non condivisibile per la sua impostazione ma che astrattamente risolverebbe il problema, sarebbe quella di considerare il procedimento di rilascio dell’attestato di libera circolazione come un procedimento non autorizzatorio ma cautelare in vista della possibile dichiarazione di interesse culturale da parte del Ministero, visto lo stretto collegamento previsto tra i due procedimenti da parte del Codice dei beni culturali[48]: in questo modo non si applicherebbe il termine di 12 mesi ma la flessibilità del “termine ragionevole” per procedere al suo annullamento d’ufficio.
Si tratterebbe però di un’interpretazione forzata, non necessaria adeguando la disciplina dell’art. 21-nonies, affinché questo termine finale, così come ricordato già dal Consiglio di Stato in sede consultiva qualche anno fa, possa effettivamente costituire un “nuovo paradigma nel rapporto tra pubblica amministrazione e privati”[49].
[1] La ricostruzione analitica della vicenda e della pronunzia del Consiglio di Stato si può leggere in F. Campolo, Attestato di libera circolazione di un bene culturale e potere di autotutela, in GiustiziaInsieme, 26 febbraio 2025.
[2] Per un inquadramento sistematico dell’istituto è necessario rinviare agli scritti classici sul tema quali: R. Resta, L'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi come onere di buona amministrazione, in Foro amm., 1937, I, 121 ss.; G. Codacci Pisanelli, L'annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939; V. Romanelli, L'annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939; P. Bodda, Sull'obbligo di annullare d'ufficio o su denunzia gli atti amministrativi illegittimi, in Foro amm., 1942, 1 ss.; G. Miele, In tema di annullamento d'ufficio di atti amministrativi illegittimi, in Giur. comp. Cass., 1947, I, 1133 ss.; A. De Valles, Annullamento d'ufficio ed interesse pubblico, in Foro it., 1950, III, 228 ss.; S. Romano, G. Miele, voce Annullamento degli atti amministrativi, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, I, 1, 644 ss.; E. Cannada Bartoli, voce Annullabilità e annullamento (dir. amm.), in Encicl. dir., Milano, Vol. II, 1958; F. Benvenuti, voce Autotutela (dir. amm.), in Encicl. dir., Milano, 1959, Vol. IV, 544 ss.; F. Garri, Il pubblico interesse all'annullamento d'ufficio ed il decorso del tempo, in Foro amm., 1964, III, 175 ss.
[3] Si v. già in tema A.C. Jemolo, L'interesse come presupposto dell'annullamento degli atti illegittimi. Licenziamento in via eventuale, in Foro it., 1931, III, 113 ss.
[4] Su come veniva interpretato l’interesse pubblico necessario per procedere all’annullamento d’ufficio si rinvia all’ampia disamina di S. Valaguzza, La concretizzazione dell’interesse pubblico nella recente giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento d’ufficio, in Dir. proc. amm., 2004, 1245 ss.
[5] In questi termini, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 1996, n. 939, in Giur.it., 1997, III, 1, 177 ss., con riferimento all’annullamento in autotutela di una licenza edilizia.
[6] Così Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1812, in Foro amm., 1999, 2556 ss.
[7] Sull’utilizzo non sempre corrispondente dei termini giuridici da parte del giudice e del legislatore europeo si rinvia a M. Ricciardo Calderaro, L’integrazione amministrativa e la tutela dei diritti. Problemi e prospettive alla luce della crisi sistemica dell’Unione europea, Torino, 2020.
[8] Corte giust. CE, 3 marzo 1982, Alpha Steel Ltd c. Commissione, in causa C-14/81.
[9] Ovviamente, non si può non rinviare allo studio di F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, in Dir. amm., 2005, 843 ss.
[10] A partire, ovviamente, da F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in Aa. Vv., Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, 807 ss., poi in Scritti giuridici, Milano, 2006, Vol. IV, 3223 ss.
[11] Per una ricostruzione del pensiero di Nigro sulla necessità di una legge generale sul procedimento amministrativo v. R. Chieppa, Mario Nigro e la disciplina sul procedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 667 ss.; nonché, di recente, M. Ramajoli, Dal provvedimento al procedimento amministrativo e ritorno. Rileggendo Mario Nigro, in Nomos, fasc. n. 3-2023; G. Della Cananea, Mario Nigro riformatore: la legge sul procedimento amministrativo, in Nomos, fasc. n. 3-2023.
[12] Secondo A. Andreani, Funzione amministrativa, procedimento, partecipazione nella l. 241/90 (quarant'anni dopo la prolusione di F. Benvenuti), in Dir. proc. amm., 1992, 662 ss., la legge n. 241 del 1990 ha recepito i tre diversi modi di essere del procedimento, ossia il procedimento-istruzione, il procedimento-contraddittorio ed il procedimento-collaborazione; M. Clarich, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm., 2004, 72, ricorda che il contraddittorio previsto dalla legge n. 241 del 1990 assolve a diverse funzioni, quali quella di garanzia del diritto di difesa, quella di partecipazione collaborativa e quella di rappresentanza degli interessi; M. Occhiena, Partecipazione al procedimento amministrativo, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, vol. V, 4128 ss., evidenzia il fondamentale ruolo collaborativo della partecipazione del privato, che si esplica specialmente nella fase istruttoria del procedimento amministrativo; sul punto cfr. altresì R. Caranta, L. Ferraris, S. Rodriquez, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2005; M. Ricciardo Calderaro, La partecipazione nel procedimento amministrativo tra potere e rispetto dei diritti di difesa, in Foro amm., 2015, 1313 ss.; R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Dir. amm., 2017, 209 ss.; A. Cauduro, Gli obblighi dell’amministrazione pubblica per la partecipazione procedimentale, Napoli, 2023; M. Clarich, La collaborazione nel procedimento amministrativo, in Dir. amm., 2024, 651 ss.; nonché l’interessante punto di vista di P. Patrito, Premesse storiche e comparatistiche per uno studio sulla partecipazione al procedimento amministrativo, Aracne, 2018.
[13] Cfr. la ricostruzione di C. Deodato, Art. 21-nonies, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017.
[14] Su questo aspetto è interessante rinviare a N. Posteraro, Sui rapporti tra dovere di provvedere e annullamento d’ufficio come potere doveroso, in Federalismi, fasc. n. 5-2017, 2 ss.
[15] In tema, sotto molteplici punti di vista, cfr. G. Bergonzini, Art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, in Dir. amm., 2007, 231 ss.; G. Manfredi, Annullamento d’ufficio, tutela dell’affidamento, indennità, in Urb. app., 2007, 1433 ss.; M. Calabrò, Permesso di costruire: precisazioni in tema di decorrenza del termine per l’impugnativa e di presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, in Riv. giur. ed., 2007, 567 ss.; F. Costantino, Contrarius actus e competenza ad adottare il provvedimento di annullamento d’ufficio di un atto viziato da incompetenza alla luce della l. n. 15 del 2005, in Foro amm. CdS, 2006, 1839 ss.
[16] Da ultimo, in questi termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8, in Foro amm., 2017, 1980 ss., nonché T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 18 aprile 2024, n. 7672.
[17] Ancora di recente, Cons. Stato, Sez. VII, 23 gennaio 2025, n. 515, ha affermato, ad esempio, che l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio può avvenire anche a distanza di tempo dal rilascio del provvedimento originario, a patto che l'atto di ritiro sia suffragato da una motivazione adeguata che evidenzi la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, contrapposto agli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. Tale principio vuole che il potere di riesaminare d'ufficio un atto amministrativo non si esaurisca automaticamente nel tempo, ma permanga sino a quando l'Amministrazione non divenga consapevole dei motivi che giustificano l'annullamento. In tema cfr. le riflessioni di C. Fragomeni, Il tempo del riesame amministrativo, in GiustiziaInsieme, 4 settembre 2024.
[18] Si esprime in senso critico su questo aspetto N. Posteraro, Annullamento d’ufficio e motivazione in re ipsa: osservazioni a primissima lettura dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2017, in Riv. giur. ed., 2017, 1103 ss., secondo cui “desta molte perplessità, invece, l'affermazione che il termine ragionevole decorre solo dal momento in cui l'amministrazione sia venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell'atto: in primo luogo, perché la ragionevolezza del termine è strettamente correlata all'affidamento risposto dal privato, il quale, in questo senso, si correla al tempo intercorso tra il momento dell'adozione del provvedimento di primo grado (da cui deriva l'affidamento) e quello dell'eventuale annullamento del provvedimento di primo grado, non al tempo intercorso tra il momento in cui la p.A., pur disponendo degli elementi necessari per farlo in sede di prima (e prescritta) istruttoria, ne scopra (recte, ne rilevi in ritardo) la illegittimità e quello in cui poi, concretamente, annulla”.
[19] Per una riflessione attuale in materia si rinvia alle acute osservazioni di S. Foà, Clausole generali, norme extra-giuridiche e nuovo merito amministrativo. Il neoempirismo temperato, in Id. (a cura di), Il nuovo merito amministrativo, Torino, 2025, 23 ss.
[20] E. Zampetti, Osservazioni a margine della Plenaria n. 8 del 2017 in materia di motivazione nell’annullamento d’ufficio, in Riv. giur. ed., 2018, 404 ss., al riguardo, osserva che “il termine dovrebbe coerentemente decorrere dal momento in cui l'amministrazione sia entrata nella disponibilità di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per valutare la sussistenza dei suddetti presupposti. Diversamente, la decorrenza risulterebbe correlata ad un evento meramente eventuale ed incerto, nell'esclusiva disponibilità dell'amministrazione, con la conseguenza che il privato sarebbe esposto sine die ad un potere di autotutela non prevedibile né predeterminabile nel suo esercizio, in aperto contrasto con i principi di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche”.
[21] In tema si v. C.P. Santacroce, Annullamento d’ufficio e tutela dell’affidamento dopo la legge n. 124 del 2015, in Dir. e proc. amm., 2017, 1145 ss.; più recentemente P. Otranto, Autotutela decisoria e certezza giuridica tra ordinamento nazionale e sovranazionale, in Federalismi, fasc. n. 14-2020, 235 ss.
[22] Corte cost., 13 marzo 2019, n. 45, in Giur. cost., 2019, 2, 712 ss., con nota di G. Mannucci, I limiti alla tutela dei terzi in materia di Segnalazione certificata di inizio attività.
[23] A partire da CGCE, sentenza 22 marzo 1961, in cause riunite C-42 e 49/59, Societé nouvelle des usines de Pontiene – Aciéres du Temple, SNUPAT.
[24] Cfr. M. Ramajoli, Novità (circoscritte) in tema di autotutela decisoria e tutela dell’affidamento, in Riv. giur. urb., 2022, 148 ss.
[25] Sul concetto di buona fede si rimanda alla recente disamina di M. Trimarchi, Buona fede e responsabilità della pubblica amministrazione, in P.A. Persona e Amministrazione, 2022, 59 ss.; e di A. Bartolini, S. Fantini, I principi di buona fede e collaborazione nella legge sul procedimento amministrativo, in Riv. giur. urb., 2022, 12 ss.; ma già F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, Milano, 2001.
[26] Sui principi codificati dal nuovo Codice dei contratti pubblici cfr. C.E. Gallo, Il formalismo nelle procedure contrattuali pubbliche e il dovere di soccorso, in Id. (a cura di), Autorità e consenso nei contratti pubblici. Alla luce del Codice approvato con d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, Torino, 2025, 1 ss.; M.R. Spasiano, La codificazione dei principi del Codice dei contratti pubblici e, in particolare, del risultato, alla prova del correttivo, in Federalismi, fasc. n. 10-2025, 191 ss.; R. Caranta, I principi nel nuovo Codice dei contratti pubblici: artt. 1-12, in Giur. it., 2023, 1950 ss.
[27] Cfr., ex pluribus, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 3 febbraio 2025, n. 381.
[28] Cons. Stato, Sez. IV, 7 maggio 2025, n. 3876; id., 14 agosto 2024, n. 7134, in Riv. giur. ed., 2024, 5, I, 985 ss.
[29] Per un commento a questo decreto ed alle normative (che nascevano come) emergenziali nel periodo pandemico si rinvia a S. Foà, A. Camaiani (a cura di), Gestione nazionale della pandemia, misure giuridiche tra Costituzione e Cedu. Profili critici, Torino, 2022.
[30] Si rinvia a F. Francario, Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Federalismi, fasc. n. 20-2015, spec. 5 ss., secondo cui “la previsione di un termine certo e breve per l’esercizio del potere è incompatibile con l’affermazione dell’immanenza ed inesauribilità del potere e mette pertanto in crisi la ricostruzione teorica tradizionale che in tale affermazione trova il fondamento giustificativo del potere di autotutela. In nome dell’esigenza di certezza e stabilità dei rapporti giuridici il potere di autotutela viene adesso talmente circoscritto nei presupposti del suo esercizio da risultare non più spiegabile come un potere generale, immanente ed inesauribile; ma come un potere spendibile unicamente nei modi e nei termini in cui il legislatore lo consente”. Cfr. altresì l’ampio studio di M. Trimarchi, L’inesauribilità del potere amministrativo. Profili critici, Napoli, 2018.
[31] Cfr. le recenti riflessioni di N. Di Modugno, Annullamento d’ufficio, annullamento e termine di dodici mesi, in DPER, fasc. n. 1-2024, 280 ss.
[32] Per una riflessione recente si rinvia a M. Macchia, Il procedimento amministrativo a trent’anni dalla legge generale, in Giorn. dir. amm., 2020, 697 ss.
[33] Sul tema degli interessi pubblici sensibili si v. anzitutto A. Moliterni, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Dir. amm., 2017, 699 ss., che evidenzia correttamente come “si è andato consolidando il convincimento che i concetti di semplificazione amministrativa e di interesse pubblico sensibile fossero da concepirsi in chiave tendenzialmente escludente, in quanto espressione dell'ineludibile conflitto — tipico di ogni società complessa — tra interessi di produzione e interessi di protezione”; nonché E. Giardino, Beni paesaggistici, interessi sensibili ed omologazione del regime giuridico, in Nuove autonomie, 2019, 481 ss.; S. Vaccari, Decisioni amministrative e interessi pubblici sensibili: le nuove regole sulla trasparenza, in Ist. fed., 2017, 35 ss.; E. Frediani, Decisione condizionale e tutela integrata di interessi sensibili, in Dir. amm., 2017, 447 ss.; C. Videtta, Semplificazione amministrativa e interessi sensibili. Una prospettiva di analisi, in Dir. econ., 2013, 557 ss.
[34] Per un’ampia disamina del tema cfr. C.C. Amitrano, M. Ricciardo Calderaro, La gestione del patrimonio culturale tra customer experience e tecnologie digitali, Napoli, 2024, spec. 24 ss.
[35] Così, ad esempio, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 11 febbraio 2020, n. 1883.
[36] Sul punto cfr. M.S. Giannini, Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, 1122 ss.; G. Sciullo, Nuovi paradigmi per la tutela del patrimonio culturale, in Aedon, fasc. n. 3-2022, 122 ss.
[37] Cfr. le recenti riflessioni in tema di S. Tuccillo, Potere di riesame, amministrazione semplificata e “paura di amministrare”, in Nuove autonomie, 2020, 725 ss.; C.P. Santacroce, Tempo e potere di riesame: l’insofferenza del giudice amministrativo alle “briglie” del legislatore, in Federalismi, fasc. n. 21-2018, 2 ss.
[38] Sul punto v., ad esempio, T.A.R. Toscana, Sez. I, 24 aprile 2024, n. 502.
[39] Cfr. l’ampia disamina di B. Spampinato, Attestato di libera circolazione – ALC: consistenza della motivazione e rapporti con la dichiarazione di interesse culturale, in Federalismi, fasc. n. 2-2024, spec. 122 ss., secondo cui “si potrebbe persino dubitare che il procedimento di rilascio dell’ALC sia un vero e proprio procedimento (a carattere) autorizzatorio, come tale, ad iniziativa di parte, contrapposto a quello dichiarativo dell’interesse culturale, che sarebbe, invece, di natura (come, talora, suole dirsi) dichiarativo-conformativa e perciò ad iniziativa d’ufficio. Si tratterebbe, invero, più appropriatamente, di un procedimento (di tipo) cautelare”.
[40] Per un’ampia disamina di questo procedimento si rinvia a P. Venditti, La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale e la tutela del proprietario in caso di trasferimento illecito o illegale, in Arte e Diritto, 2024, 85 ss.
[41] Come ricordato ancora da Cons. Stato, Sez. IV, 3 settembre 2024, n. 7367, in Riv. giur. edil., 2024, 5, I, 986 ss., l’interesse pubblico effettivo ed attuale alla rimozione dell’atto non può consistere nel mero ripristino della legalità violata.
[42] Cons. Stato, Sez. VII, 15 febbraio 2024, n. 1536, in Riv. giur. edil., 2024, 2, I, 337, ha evidenziato come il provvedimento di annullamento d’ufficio debba contenere una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell'atto, in bilanciamento con la posizione di affidamento dei destinatari dell'atto medesimo e con tutti gli altri interessi emersi nel corso dell'istruttoria.
[43] Questa ricostruzione trova d’accordo G. Strazza, La Corte costituzionale definisce i limiti dell’annullamento d’ufficio, in GiustiziaInsieme, 16 luglio 2025, secondo cui “il Giudice delle leggi coglie, invero, opportunamente, l’occasione per porre in risalto l’importanza del fattore “tempo” per la sicurezza giuridica e per sottolineare che l’esigenza di irretrattabilità del provvedimento amministrativo ampliativo oltre un tempo definito trascende il rapporto tra amministrazione e amministrato, in quanto il “titolo pubblico” condiziona fortemente le relazioni giuridiche intrattenute successivamente con i terzi, anche per la circolazione del bene, mentre l’inoperatività del limite temporale indicato dal legislatore potrebbe determinare una situazione di incertezza nella vita dei cittadini e delle imprese idonea a incidere negativamente, in un’ottica più complessiva, sull’affidabilità del “sistema Paese”.
[44] In tema cfr. F. Pubusa, S. Puddu (a cura di), Procedimento, provvedimento e autotutela: evoluzione e involuzione, Napoli, 2019; M. Allena, L’annullamento d’ufficio: dall’autotutela alla tutela, Napoli, 2018.
[45] Così Corte cost., 20 dicembre 2022, n. 258, in Giur. cost., 2022, 6, 2841 ss.
[46] Esprime dubbi sulla conformità di questa norma al dettato costituzionale anche F. Volpe, Medesimo potere, medesima funzione o nessuna delle due?, in GiustiziaInsieme, 10 settembre 2025, che così conclude: “In definitiva, impedire l’autoannullamento di un provvedimento viziato da eccesso di potere consente all’autorità amministrativa di agire in difformità dalla sua funzione e di stabilizzare gli effetti della sua disfunzionale azione. L’irragionevolezza che viene così a emergere porta, pertanto, a chiedersi se la disciplina dell’art. 21 nonies, creando il descritto deficit di tutela, sia, prima ancora che opportuna, del tutto conforme al dettato costituzionale. Una tale evenienza, tuttavia, sembra essere stata esclusa dalla stessa sentenza della Corte da cui ha preso lo spunto questo studio, perché essa ha negato l’illegittimità dell’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241, sia pure sotto il ristretto, ma collegato, profilo dell’inderogabilità del termine entro cui agire in secondo grado. Eppure, proprio le premesse da cui questa sentenza muove (circa la non identità di potere e funzione) forse avrebbero dovuto portare ad opposti risultati. Su un piano più generale, invece, si ritiene che sia più aderente alla Costituzione un dettato normativo che renda doveroso l’annullamento d’ufficio nei casi in cui l’atto di primo grado sia viziato per eccesso di potere, quando pure vi si oppongano altri interessi, pubblici o privati”.
[47] Rimangono assolutamente convincenti le osservazioni al riguardo di A. Police, voce Annullabilità e annullamento (diritto amministrativo), in Encicl. dir., Milano, 2007, Annali I, spec. 66 ss., secondo cui “il giudizio sulla ragionevolezza del termine dipende quindi dalle circostanze concrete e da una valutazione di prudente bilanciamento tra la protezione degli interessi del privato, quali si sono concretizzati a seguito della emanazione dell'atto, e la cura dell'interesse pubblico. La ragionevolezza del termine va valutata di volta in volta, non tanto con riguardo alla semplice durata del tempo trascorso dalla emanazione del provvedimento, quanto piuttosto considerando quali effetti si siano prodotti in tale periodo di tempo in ragione e come conseguenza del provvedimento amministrativo che si intenderebbe autoannullare”.
[48] Così sempre B. Spampinato, Attestato di libera circolazione – ALC: consistenza della motivazione e rapporti con la dichiarazione di interesse culturale, cit., spec. 123. Sul collegamento tra questi due procedimenti cfr. M.G. Della Scala, Diniego di autorizzazione all’esportazione dell’opera d’arte e procedimento dichiarativo dell’interesse culturale. Valutazioni tecnico-discrezionali e limiti del sindacato giurisdizionale, in GiustiziaInsieme, 27 marzo 2024.
[49] Cons. Stato, Ad. Comm. spec., parere 30 marzo 2016, n. 839.
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