Chi scrive queste righe intorno a un libro definibile senz’altro come ‘sorprendente’ è un glottologo che è stato allievo, alla Statale di Milano e in anni ormai lontani, del grandissimo Vittore Pisani: quel Pisani, eccezionale ‘signore’ di tutto lo spazio linguistico indoeuropeo e vivace protagonista, per buona parte del sec. XX, del dibattito storico-linguistico internazionale; quel Pisani, a sua volta ‘erede’, e proprio a Milano, degli insegnamenti del pure grandissimo Graziadio Isaia Ascoli, mediatore in Italia dei portati delle scienze linguistiche ottocentesche (sviluppatesi soprattutto in centri di ricerca di ambiente germanofono) e fondatore, appunto, della prestigiosa Scuola glottologica di Milano. Per chi scrive queste righe ogni ‘lingua’ (e tale termine va inteso in modo esteso, ampio) non è altro se non materia fonico-acustica prodotta da quel mirabile, sofisticatissimo apparato fonatorio del quale sono forniti, tra le specie viventi sulla faccia del pianeta, soltanto gli appartenenti alla specie umana; ché tutti gli altri esseri viventi (anche i vegetali … oggi lo si sa …) sono forniti di sistemi di comunicazione che, seppur non paragonabili per capacità e complessità espressiva a quanto mediato dalle lingue storico-naturali, sono pur sempre ‘sistemi’, e sempre molto complessi.
Bene: per chi scrive queste righe la ‘grammatica’ – ogni grammatica e di qualsiasi sistema linguistico, sia esso una grande lingua di cultura o un qualsiasi dialetto o un gergo – può essere intesa secondo due principali valenze: o come descrizione ‘fine’ (… ma siamo sicuri che tale impresa sia realmente possibile?) di tutti i fenomeni documentabili da interazioni comunicative di parlanti calati in dinamiche ‘conversazionali’ (anche nel caso delle ‘endofasie’ …: chi parla silenziosamente ‘tra sé e sé’ ha pur sempre un interlocutore: sé stesso …) proprie di singole comunità linguistiche (micro- o macro- che siano); oppure ogni grammatica può essere intesa come ‘sistematizzazione’, entro un apparato di norme/regole, di ciò che, tra i materiali utilizzati all’interno di una comunità linguistica, sia parso, in una certa fase della loro vicenda storica, degno di essere ‘fissato’ entro un canone normativo, sì da diventare una sorta di severa ‘Lex’. Le grandi lingue di cultura, regolate entro schemi normativi, rientrano pienamente in quest’ordine di problemi e le loro grammatiche riposano sulla selezione di fenomeni ‘accolti’ in una (più o meno convenzionalmente) salda forma scritta: del resto gr. grammatikḕ téchnē / γραμματικὴ τέχνη = ‘arte della forma scritta’ (< gr. gráph-ein / γράφ-ειν (“incidere” > “scrivere”) sta alla base della nozione di ‘grammatica’ intesa quale ‘apparato istituzionale, in quanto tale da rispettare.
Fatta questa premessa, da glottologo segnalo immediatamente che il libro di Dino Petralia si muove – e assai felicemente – su un terreno totalmente diverso: per Dino Petralia le parole di una lingua altro non sono, prioritariamente, se non preziosi segmenti fonico-acustici dotati ciascuno di un loro intrinseco ‘carattere’: materiali linguistici forniti di una loro ‘vita’, autonoma e funzionalmente attiva, e anche di una loro ‘anima’ rinviante alla loro funzione comunicativa e – aggiungerei, in quanto glottologo – di una loro storia (linguistica): ogni ‘parola’, anche la più semplice, anche la più apparentemente ‘banale’, si rivela uno scrigno di tesori nascosti, ricca come è di informazioni che invitano a ‘viaggiare’ entro uno degli aspetti più affascinanti delle scienze del linguaggio: la forza pragmatica di segmenti fonico-acustici > ‘parole’.
La grammatica petraliana è, come dichiarato già dal titolo del libro, essenzialmente ‘emozionale’: invita il lettore a prendere le distanze – l’agg. ‘emozionale’, attestato in italiano dal 1893, è prestito dall’ingl. emotional, a sua volta [falso!] latinismo tratto da un ipotetico lat. *ēmōtionālis, a sua volta derivato da ēmōtus, -a, -um, part. pft. di ēmovēre ‘smuovere, turbare, sconvolgere’ – rispetto al severo impianto delle consuete grammatiche di impianto descrittivo o normativo. E Dino Petralia invita i suoi lettori a entrare in un vivace/creativo regno ove gli sarà possibile ‘giocare’, grazie a una nuova visione delle cose, con le tradizionali categorie grammaticali (quelle che vengono insegnate sui banchi di scuola) sì da vederne aspetti ‘ludici’ / ‘divertenti’: là dove i due aggettivi in questione vanno intesi come indicativi della ‘serietà’ che è comunque sottesa ad ogni gioco: chi gioca sa che ogni pratica ludica richiede, a chi la esercita, di dotarsi di una specifica ‘razionalità’; nel caso dei giochi di / e con le parole, occorre armarsi di una razionalità ‘creativa’ che è propria della fantasia poetica e del divertissiment intellettuale.
Il libro si articola su precise sezioni dall’aspetto volutamente ‘tradizionale’ (Articoli e preposizioni, pp. 19-25; Nomi, pp. 29-34; Verbi, pp. 37-56; Aggettivi e pronomi, pp. 59-71; Avverbi - Congiunzioni - Disgiunzioni, pp. 75-126; Interiezioni, pp. 129-130; Punteggiatura e altro, pp. 133-149) precedute da una brillante prefazione di Arnaldo Colasanti (pp. 7-11 ) e seguite da due postfazioni (una dovuta allo scrittore-attore-cabarettista Alessandro Bergonzoni: Gli 895 caratteri delle parole stesse, pp. 153-154; l’altra redatta dallo psicoanalista, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italia, Sarantis Thanopoulos: Le parole hanno un’anima, pp. 155-158). Va subito detto che ogni sezione, al pari della prefazione e delle due postfazioni, è grande festa di intelligenza di ‘cose’ linguistiche: di ‘cose’ lette, in modo originale, quali vivaci epifanìe di dinamiche tratte dalla quotidianità, sì che il lettore ‘precipita’ in una specie di ‘Paese delle meraviglie’, dove, al pari di Alice, gli sarà dato di stupirsi e di allegramente ‘perdersi’, senza mai tuttavia ‘disperdersi’.
Impossibile, in poco spazio, evidenziare le molte suggestioni che derivano dalla lettura di ogni pagina di un libro che brilla per notevole intelligenza e pari ironia. Cito, di seguito – a titolo di esempio e in modo necessariamente cursorio – il divertente ‘dialogo’ tra l’articolo < il > … e la sua articolata, complicata famiglia (pp.19-21) dentro la quale si assiste a veri ‘drammi di famiglia’ ...; oppure (pp. 31-34) l’evocazione – tutta pirandelliana! – di ‘uno, nessuno, centomila’ a proposito delle dinamiche tra ‘Singolare’ e ‘Plurale’; oppure (pp. 48-49) i problemi, e di nuovo ‘esistenziali’, agitanti la vita dei verbi irregolari e difettivi; e anche, andando avanti (pp. 76-78), le sottili questioni di fratellanza tra < infatti > e < affatto > o quelle, egualmente complesse tra < anche > e < pure >; oppure i problemi (pp. 95-101), di nuovo propri della sfera comportamentale, del timido < forse > o quelli del plurisemantico < già > o del presuntuoso < insomma > o del furbo < comunque > o dello sfuggente < mai >, pessimista costui per natura e di indole rinunciataria e che, semanticamente, non funziona sempre come segnale di negazione … e che può anche evocare, nella pronuncia, un inglesismo cui ben si accorderebbero, eventualmente, un love o un dear. O, ancora (pp. 114-122), i casi di < sopra > e di < sotto > o di < tardi … meglio che mai! > o le vicende, complicatissime, di un semplice < e > dall’identità molto complessa: di nuovo, Petralia descrive il ‘dramma esistenziale’ di un segmento fonico-acustico che non sa bene se essere una congiunzione o … altro; o, ancora (pp. 123-124) la seduzione del < se …> inteso quale congiunzione del ‘sogno lucido’ ma che, quando sia inutilmente sovrabbondante, diventa minaccioso elemento che “può porre in bilico l’oggi e il domani” … come insegna la celeberrima canzone (E se domani, e sottolineo ‘se’ …) di Mina, la ‘Tigre di Cremona’, una delle figure emblematiche della post-adolescenza di molti che furono ragazzi nei ruggenti anni ’60 …; o la sorda concorrenza tra < quindi > e < dunque > (p. 125) o le alternative di cui si fregia, sul piano semantico, un semplice < o > (p. 126) che, tendenzialmente solitario o attratto soltanto da ‘vero, pure, sia’, può però esibirsi in un ‘ovverossia’ definito brillantemente da Petralia quale “capricciosa armonizzazione fonica che suona quasi come parola magica”.
Seguono riflessioni sempre interessanti sul poliedrico settore delle interiezioni (p. 129), inafferrabili nella loro complessità (p. 129), con particolare attenzione per quel < magari > ricco di molte e diverse sfumature semantiche … e che non sa, lui, di affondare le proprie radici addirittura in un nobile, antico grecismo (il nostro < magari > è ciò che resta di una invocazione che i greci antichi rivolgevano agli dèi: makárioi [hoi theoí] / μακάριοι [οἱ θεοί] “oh, dèi beati!”). Chiude il volume un ricco, divertente capitolo (pp. 133-149) dedicato a ‘Punteggiatura e altro’ nel quale sono passati in rassegna il punto (“… presuntuoso e assertivo e che dopo di sé non tollera altre parole …”), la virgola (“… separa ma con affetto … e che ha un sosia nel mondo dei numeri, arida ed esangue però, e che separa gli interi dai decimali …”), il punto e virgola (“… il giusto compromesso … un permesso di sosta più netto della virgola e meno del punto …”), nonché il punto esclamativo (“… forse più attore che altro … e noi ne siamo i registi ...”) e quello interrogativo (“… che può far coppia con l’esclamativo … segno che conclude chiedendo ma schivando risposte …”) e, infine, i due punti (“… gemelli in verticale, senza gerarchie né gelosie … ma non proprio fedeli al proprio ruolo … divisivi in ambito numerico, separatisti nelle formule orarie, simboli entrambi di una volubilità d’uso che li fa quasi mercenari in cerca di impiego …”).
E poi, per finire, anche la povera chiocciola < @ > (“che … con quella vocale imprigionata dentro … non ha suono né maiuscola, si presenta sempre uguale …”), e anche il bailame sonoro veicolato dagli accenti (“… che hanno buoni rapporti solo con le vocali, inesistenti con le consonanti … sì che in verità un certo mistero avvolge l’accento: gode del libero privilegio dell’invisibilità, tranne che non riguardi parole monche … oppure parole ambigue di senso. E così tra circùito e circuìto, tra àmbito e ambìto l’arbitro è l’accento, ben contento in questi casi di mostrarsi gongolante e ricevere i doverosi omaggi …”); l’apostrofo (“… corpo diafano nell’oralità …”); l’asterisco (“… che non ha suono né grandezze diverse…”); la < & > commerciale (“… che pare poltroncina stilizzata, comoda e accogliente …”); le parentesi (“… piccole barriere a fungere da contenitore di spiegazioni o di commenti …”); i trattini (“… elementi a geometria variabile, semplici, afoni e a forma rigida …”); le due letterine < o / a > in apice “… atte a far dire che siamo i primi, i secondi, i terzi al maschile e al femminile…”; il cancelletto (“… tipo allegro e gioviale…”); il percentuale < ###i#< > (“… il cui regno di coltura è la matematica … e che appare in grande spolvero in periodo di saldi …”).
In conclusione, ripeto che davvero ogni pagina del libro invita il lettore a ‘sorprendersi’ … e lo obbliga a riflettere, in modo non convenzionale, su temi di una ‘grammatica’ che nulla ha a che fare con quella tradizionale, quella appresa sui banchi di scuola: Dino Petralia ci invita, insomma, con intelligenza rigorosa e con metodo saldo, a guardare alle ‘parole’ della grammatica con gli occhiali della fantasia e della poesia. E per questo, a mio vedere, gli si deve essere molto grati.
Dino Petralia, Grammatica emozionale. Viaggio dentro le parole (prefazione di Arnaldo Colasanti; postfazioni di Alessandro Bergonzoni e Sarantis Thanopoulos), Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 2025, pp. 161. ISBN 979-12-205-0404-1.