Sommario: 1. Introduzione al problema: un contesto fattuale e normativo inedito per la decarbonizzazione. 2. La ragionevolezza delle valutazioni ambientali sul fossile al tempo della “policrisi”. 3. Il parere AIA-IPPC e le sue quattro lacune. 4. L’AIA sull’ex Ilva tra diritto UE e CEDU, nel novum di “Verein KlimaSeniorinnen” e senza «interpretazioni annacquate». 5. L’analisi comparata del parere AIA-IPPC tra UE, CEDU e Costituzione italiana. 6. Omissione della decarbonizzazione e impossibilità geofisica senza previo calcolo del Carbon Budget residuo. 7. L’illegittimità costituzionale sopravvenuta del diritto vivente favorevole alle valutazioni atemporali della decarbonizzazione.
1. Introduzione al problema: un contesto fattuale e normativo inedito per la decarbonizzazione
Questo contributo si interroga sulla natura e la c.d. “latitudine” – come denominata dalla giurisprudenza amministrativa[1] – del potere di rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale (d’ora in poi, AIA) dell’installazione industriale pugliese nota come ex Ilva di Taranto, per due ragioni:
- da un lato, perché è stato reso noto il parere istruttorio AIA-IPPC in risposta all’istanza di rinnovo presentata da Acciaierie d’Italia S.p.A., oggi Acciaierie d’Italia S.p.A. in Amministrazione Straordinaria (A.S.)[2],
- dall’altro, perché gli interrogativi sui poteri di rinnovo sono imposti dall’inedito contesto fattuale e normativo che coinvolge i processi di decarbonizzazione.
Sul piano fattuale, infatti, questi processi sono ormai discussi nella presa d’atto della condizione di “policrisi” del pianeta[3], contrassegnata da quattro fattori negativi.
Il primo risiede nell’emergenza climatica, quale situazione di urgenza nella decarbonizzazione. Essa è stata più volte denunciata dalla scienza sia come “emergence” (emersione di processi geo-biofisici degenerativi e irreversibili a causa del fossile) sia come “emergency” (urgenza della decarbonizzazione, per limitare al massimo e controllare al meglio quelle degenerazioni)[4]. Inoltre, essa è stata più volte riconosciuta dalla UE «alla luce delle chiare e crescenti prove scientifiche» («in light of the clear and growing scientific evidence») e, per questo, reiteratamente dichiarata, al fine di rafforzare il proprio Green Deal[5].
Il secondo concerne la triplice crisi planetaria per interdipendenza negativa fra cambiamento climatico antropogenico, inquinamento antropogenico e perdita di biodiversità. Il suo riconoscimento ufficiale è stato effettuato dal Consiglio d’Europa, con la c.d. “Reykjavík Declaration”[6]. Da esso ha preso spunto la storica sentenza “Verein KlimaSeniorinnen”, emessa dalla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti Umani, ai sensi dell’art. 43 CEDU[7], in data 9 aprile 2024 su ricorso n. 53600/20[8], per tracciare i requisiti necessari della valutazione dei rischi climatici e ambientali nelle politiche di mitigazione climatica e di decarbonizzazione ai fini di tutelare i diritti umani presidiati dall’art. 8 CEDU[9].
Il terzo deriva dalla denuncia scientifica sull’intrinseca nocività dei combustibili fossili, ormai incompatibili con la stessa sopravvivenza umana[10]. Tale constatazione chiama in causa il ruolo delle imprese ad energia fossile, nel loro concorso (per esempio, per quanto concerne l’Italia, secondo le modalità applicative dell’art. 2055 Codice civile[11]) ai danni da cambiamento climatico[12] e al c.d. “mortality cost” per mancata o ritardata decarbonizzazione[13].
L’ultimo è maturato a seguito della registrazione, nel 2024, del primo Overshoot del pianeta, ossia del primo sforamento annuale della soglia di sicurezza dell’aumento della temperatura media globale di +1,5°C, rispetto ai livelli preindustriali, con connesso incremento dei rischi e pericoli per la salute umana[14] oltre che precoce violazione dell’art. 2 dell’Accordo di Parigi del 2015[15].
Per un’installazione fossile come l’ex Ilva di Taranto, per di più collocata in una “zona di sacrificio”, nel significato reso dal Rapporto del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ovvero di «peggiore negligenza immaginabile dell’obbligo di uno Stato di rispettare, proteggere e realizzare il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile» («worst imaginable dereliction of a State’s obligation to respect, protect and fulfil the right to a clean, healthy and sustainable environment»)[16], e in un comparto industriale qualificato “nemico del clima”[17], si tratta di un intreccio di dati difficilmente eludibili o ignorabili, se non per apodittica loro negazione, non certo per dimostrabile confutazione scientifica.
Altrettanto ineludibili sono pure le cinque novità di contenuto normativo ovvero:
- le interpretazioni rese dalla Corte di Giustizia UE del 25 giugno 2024 nella causa C-626/2022, direttamente per l’ex Ilva di Taranto e nella presa d’atto della situazione territoriale di “zona di sacrificio”[18];
- le risposte della Grande Camera della Corte EDU in “Verein KlimaSeniorinnen”, formulate, come accennato, nei modi dell’art. 43 CEDU (ossia per risolvere «gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi Protocolli» o comunque «un’importante questione di carattere generale»), in ordine alla natura del margine di apprezzamento degli Stati membri del Consiglio d’Europa nella triplice crisi denunciata a Reykjavík e, quindi, per la delimitazione dei poteri discrezionali di decarbonizzazione rispetto all’art. 8 CEDU, da quella triplice crisi minacciato;
- la decisione n. 28/CMA.5, assunta, col consenso in “buona fede climatica” dell’Italia[19], dalla COP28 del 2023, ossia dalla Conferenza delle Parti per l’attuazione del citato art. 2 dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, contenente il riscontro della «necessità di riduzioni profonde, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra in linea con percorsi di 1,5°C ... tenendo conto dell’Accordo di Parigi ...» («the need for deep, rapid and sustained reductions in greenhouse gas emissions in line with 1.5°C pathways … taking into account the Paris Agreement…») e il consequenziale impegno ad «abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere l’azzeramento netto entro il 2050, in linea con la scienza» («transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science»)[20];
- la riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione italiana, che la sentenza della Corte costituzionale del 19 giugno 2024 n. 105 ha definito nuovo «mandato» che «vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa»;
- la formalizzazione del paradigma One Health-Planetary Health, con l’art. 27, comma 2, del d.l. n. 36/2022, convertito con l. n. 79/2022, che riconosce i rischi e pericoli climatici come determinanti negativi della salute e della qualità della vita, attraverso l’istituzione del Sistema nazionale di prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici[21].
2. La ragionevolezza delle valutazioni ambientali sul fossile al tempo della “policrisi”
Fino ad oggi, le decisioni dei poteri pubblici sulle valutazioni ambientali, inclusa l’AIA, sono state contrassegnate da «ampia latitudine della discrezionalità esercitata dall’amministrazione nel giudizio»[22].
Per esse, nello specifico, si è insistentemente sostenuto che l’amministrazione eserciti un potere talmente ampio, da non esaurirsi «in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione»[23], comprendendo al contempo profili «particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti»[24], con la conseguenza che lo stesso sindacato giurisdizionale, «al fine di assicurare il rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri»[25], sia possibile solo ove «risulti violato il principio di ragionevolezza»[26].
Tra gli elementi sintomatici di questa violazione, poi, sono stati individuati l’assente o inadeguata istruttoria, l’omessa considerazione di alternative in grado di attenuare in modo soddisfacente criticità note o evidenziate[27], l’emersione di illogicità, erroneità o inattendibilità, sia empiriche che metodologiche, purché dotate di «sufficiente grado di compiutezza, superiore alla mera opinabile valutazione di parte»[28].
Non è mai stati individuato il fattore tempo delle traiettorie di inerzia del sistema climatico come determinante del rischio e del pericolo[29].
In altre parole, la “latitudine” si è radicata su una presupposizione della realtà ambientale sempre uguale a sé stessa rispetto ai tempi degenerativi della “policrisi” e indipendentemente dalla natura fossile o meno dell’energia coinvolta nell’oggetto della valutazione.
Di conseguenza, la sua doppia dimensione di esercizio, come verificazione (tecnico-scientifica) sulla base di oggettivi criteri di misurazione, da un lato, e adeguata istruttoria nella ponderazione degli interessi e delle alternative coinvolte, dall’altro, si è mantenuta indifferente alle trasformazioni di contesto.
Allo stato attuale, però, i fattori negativi che attivano la “policrisi” sono ormai ampiamente verificati e misurati. Per esempio, i requisiti, richiesti dalla giurisprudenza italiana, “del più probabile che non” [30], ai fini dell’accertamento dei nessi causali su rischi, pericoli e danni per inerzia del sistema climatico, e della logicità “baconiana e pascaliana”, per l’imputazione delle responsabilità[31], risultano soddisfatti. Come soddisfatto è anche il «sufficiente grado di compiutezza, superiore alla mera opinabile valutazione di parte». Lo dimostrano le ricognizioni dell’IPCC, il Panel Intergovernativo dell’ONU sul Cambiamento Climatico, in particolare nell’ultimo Report Climate Change 2021: The Physical Science Basis[32], ignorando il quale nulla della complessità della “policrisi” è comprensibile.
Proprio da queste verificazioni emerge che l’elemento determinante per una decarbonizzazione efficace nella tutela della salute umana è la considerazione delle traiettorie di inerzia di tutte le sfere del sistema climatico, sia a livello globale che locale[33], in modo da considerare l’efficacia dei tempi di abbandono dei combustibili fossili in rapporto ai tempi di trasformazione inerziale dei territori[34].
In pratica, il tempo delle traiettorie di inerzia del sistema climatico è assurto a bene della vita prevalente e prioritario in qualsiasi giudizio sulla decarbonizzazione[35]: è divenuto il parametro della sua ragionevolezza; il “climate first”, come lo denomina l’IPCC[36].
Non a caso, tutte e cinque le novità normative, elencate nel primo paragrafo, al fattore tempo o al “climate first” si connettono. E la circostanza che, con riguardo a una di esse, la riforma costituzionale del 2022, si sia già preso atto del «superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva»[37], lascia presagire ulteriori reimpostazioni della “latitudine” del potere nel discutere e decidere sulla decarbonizzazione, anche in ragione del rinnovato quadro normativo.
Spunti, in tale duplice direzione, provengono dalla giurisprudenza comparata, per esempio in quelle decisioni che allargano il catalogo delle emissioni pericolose per la salute umana, includendovi i gas serra proprio a causa dei loro tempi inerziali sul sistema climatico[38].
Ma, in fin dei conti, è questa la filosofia a base dei cinque requisiti necessari, scanditi dalla Corte di Strasburgo nel § 550 di “Verein KlimaSeniorinnen”[39], per limitare dall’esterno il margine di apprezzamento degli Stati e, con esso, la discrezionalità dei poteri in qualsiasi valutazione di decarbonizzazione, in nome dell’art. 8 CEDU compromesso dal “climate first” (o dalla “closing window”, come preferisce metaforizzare la Corte sempre su spunto IPCC[40]). Lo ha fatto presente, di recente, l’Alta Corte Irlandese per l’ambiente, nella prima applicazione, tra i paesi del Consiglio d’Europa, della decisione CEDU[41].
Da qui, dunque, si devono prendere le mosse per una rimeditazione della valutazione ambientale integrata dell’ex Ilva di Taranto.
3. Il parere AIA-IPPC e le sue quattro lacune
Che l’installazione industriale pugliese contribuisca ai rischi climatici è stato già dimostrato e proprio sulla base della letteratura della “policrisi”, con un’evidenza che garantisce non solo il richiesto «sufficiente grado di compiutezza, superiore alla mera opinabile valutazione di parte» ma anche il rispetto della soglia del “più probabile che non” nel nesso causale[42].
D’altra parte, che un’impresa fossile possa essere esente da pericolosità climatica, in uno scenario bad-to-worst di emergenza climatica e triplice crisi, sarebbe del tutto surreale, prima ancora che illogico.
Bisogna, allora, verificare se e come questo dato di realtà venga tematizzato dal procedimento AIA che la riguarda.
La lettura del citato parere istruttorio della Commissione AIA-IPPC serve proprio a questo.
Giova ricordare che esso segue alla legge del 30 marzo 2025 n. 31, di conversione del decreto legge del 24 gennaio 2025, n. 3, adottata al fine non solo di dare compiuta attuazione alle disposizioni della direttiva 2010/75/UE, relativa alle emissioni industriali, secondo l’interpretazione resa dalla citata Corte di Giustizia UE nella causa C-626/2022, ma anche di introdurre, attraverso lo studio di valutazione di impatto sanitario (VIS), criteri predittivi completi su tutti (tutti, non alcuni) i rischi per la salute, associati all’esposizione alle suddette emissioni industriali e per come conosciuti dagli sviluppi delle conoscenze scientifiche[43].
Dentro questo quadro, il documento istruttorio, alla luce dei contesti di fatto e normativi richiamati nel primo paragrafo, presenta quattro lacune:
- due di carattere normativo;
- e due di natura scientifica.
Le due lacune normative derivano dai seguenti riscontri.
Il parere dichiara espressamente di perseguire una duplice finalità. Da un lato, esso mira a far garantire, da parte dello stabilimento, la completa attuazione della citata decisione della Corte di Giustizia UE nel caso C-626/2022. Dall’altro, il suo contenuto vorrebbe contribuire a preparare il percorso di transizione verso la decarbonizzazione del processo produttivo dell’impianto tarantino, in coerenza con gli obiettivi climatici del Green Deal e la neutralità climatica del comparto industriale, entro e non oltre il 2050. Al “climate first”, in qualche modo, accenna.
Ciononostante, entrambe le finalità, alla prova del testo, si dimostrano disattese e ignorate:
- quella di ottemperare alla Corte di Giustizia viene disattesa, perché non tutte le interpretazioni fornite dal Giudice lussemburghese sono state accolte dal parere;
- quella di promuovere la decarbonizzazione nel “climate first” è totalmente ignorata, sia perché di decarbonizzazione non si parla affatto nell’istanza di rinnovo dell’AIA, dove, al contrario, si preannuncia l’aumento della produzione dell’acciaio a 6 milioni di tonnellate annuali nella persistenza del ciclo a combustione fossile, sia perché, nel parere IPPC, nulla si dice degli obblighi ineludibili di decarbonizzazione per la neutralità climatica alla luce dell’art. 8 CEDU, che la citata Grande Camera della Corte EDU in “Verein KlimaSeniorinnen” ha invece posto a limite esterno del margine di apprezzamento degli Stati e, di riflesso, della discrezionalità di tutti i suoi organi in materia climatica, con il citato suo § 550.
Le due lacune scientifiche, invece, investono il concetto di rischio sanitario e di nocività delle emissioni industriali nei percorsi di decarbonizzazione, alla luce, per l’appunto, degli sviluppi delle conoscenze sul tema.
Come si è già fatto presente, il compendio ufficiale, perché richiesto dagli Stati aderenti all’ONU, di questi sviluppi si legge nei rapporti dell’IPCC, specificamente nei due testi intitolati “Global Warming of 1,5°C”, del 2018[44], e “Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability”[45]. La loro sintesi per i decisori politici, dunque per i poteri pubblici chiamati a decidere sulla decarbonizzazione, è offerta anche dall’AR6 Synthesis Report: Climate Change 2023, redatto, tra l’altro, con il concorso e il consenso del Governo italiano[46].
Questi documenti sono stati completamente ignorati dalla Commissione AIA.
Eppure il loro contenuto fornisce almeno quattro spunti salienti per la tutela della salute nelle emissioni industriali fossili. Conviene elencarli:
- la decarbonizzazione, allo scopo di scongiurare incrementi di rischi sanitari e nocività delle emissioni, deve operare all’interno delle soglie di sicurezza dell’aumento della temperatura media globale, fissate dagli Stati con il ricordato art. 2 dell’Accordo di Parigi del 2015;
- affinché queste soglie di sicurezza siano effettivamente rispettate dagli Stati, è necessario il calcolo del Carbon Budget residuo (c.d. CRB[47]) da parte di ciascuno di essi, ovvero l’individuazione della quantità di emissioni di gas serra che si possono ancora emettere sul territorio sovrano, tenendo conto delle concentrazioni di gas serra esistenti, di quelli già emessi in precedenza e della temperatura media già raggiunta;
- solo all’interno delle citate soglie di sicurezza, i rischi sanitari e la nocività delle emissioni industriali possono dirsi effettivamente accettabili;
- di conseguenza, l’accertamento del quadro climatico in relazione al Carbon Budget residuo assurge a presupposto indefettibile di qualsiasi predizione a tutela della salute umana, esposta alle suddette emissioni industriali fossili[48].
Tra l’altro, questi elementi salienti si fondano sulla constatazione, scientificamente inconfutabile[49], del c.d. “doppio rischio sanitario” per aria e clima alterati[50] ossia su quella reciproca interazione negativa di inquinamento e cambiamento climatico, fatta propria dalla citata “Reykjavík Declaration”.
Ne deriva che l’esclusione di uno inficia la corretta valutazione sull’altro[51], mentre l’omissione, per entrambi, del previo calcolo del Carbon Budget residuo ne svuota ogni carattere di attendibilità[52].
È quanto, purtroppo, sembra sussistere nel procedimento riferito all’ex Ilva di Taranto.
4. L’AIA sull’ex Ilva tra diritto UE e CEDU, nel novum di “Verein KlimaSeniorinnen” e senza «interpretazioni annacquate»
Sorprende, infatti, l’espunzione dei richiamati parametri di tutela della salute dall’intero parere AIA-IPPC, anche perché, se, da un lato, la giurisprudenza amministrativa ha già censurato come illogici e manifestamente carenti i provvedimenti fondati su valutazioni scientificamente incomplete in presenza di «rischi accertati e dimostrabili»[53] (e tali sono i rischi da emissioni fossili), dall’altro, ora, la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani ha erto il Carbon Budget residuo, in accordo proprio con le risultanze scientifiche dell’IPCC sul rischio sanitario, a requisito necessario per l’esercizio legittimo dei poteri statali sulla decarbonizzazione e la mitigazione climatica.
Questo significa che quella espunzione, una volta confermata nel provvedimento finale dell’AIA, difficilmente si sottrarrà alle censure di legittimità per violazione del novum offerto dalla Grande Camera della Corte EDU con “Verein KlimaSeniorinnen”; perché quel novum, come l’ha definito la Corte costituzionale nel quadro delle fonti dell’ordinamento italiano e nei riguardi dell’art. 43 CEDU[54], non può essere ignorato da alcun giudice comune, ma al massimo, se ritenuto lesivo della Costituzione, rimesso al vaglio della Corte costituzionale[55].
Diversamente concludendo, paradossalmente si farebbe del rischio alla salute, con tanto di violazione degli artt. 8 e 43 CEDU, la ragione stessa dell’immunità dei poteri statali nella decarbonizzazione; il che sempre la Corte di Strasburgo ha reputato inammissibile (con la decisione sul caso “Walęsa c. Polonia” del 23 novembre 2023 su ricorso n. 50849/21).
D’altronde, come già schematizzato[56], i temi della valutazione di impatto sanitario e dell’AIA per l’ex Ilva di Taranto rientrano nelle competenze concorrenti tra Stato e Unione europea, così come individuate dagli artt. 191 e 193 del TFUE, ma non si esauriscono in essi. Oggi, a seguito per l’appunto della citata sentenza della Corte EDU nel caso “Verein KlimaSeniorinnen” del 9 aprile 2024, essi intersecano direttamente anche la CEDU, per lo specifico profilo della protezione intertemporale e intergenerazionale dei diritti desumibili dal suo art. 8.
Questo nuovo intreccio fra Stati-UE e CEDU ha, dunque, attivato un doppio livello di limiti ai poteri statali nella materia climatica: uno “assoluto” e l’altro “relativo”[57]. Il limite “assoluto” si desume dai paragrafi 441-444, 453, 550 e 571 della decisione di Strasburgo e consiste nel “dovere primario” – Primary Duty – di proteggere i diritti, di cui all’art. 8 CEDU, in qualsiasi decisione impattante sulla mitigazione climatica (inclusa la decarbonizzazione); quello “relativo”, invece, si riferisce alle competenze del diritto derivato UE, i cui contenuti possono essere integrati in melius dagli Stati membri per una migliore tutela dell’ambiente e della salute umana, come si legge nell’art. 193 TFUE.
In definitiva, i poteri statali, nel decidere se e come decarbonizzare un impianto produttivo fossile ai fini della mitigazione climatica, quale ovviamente è l’ex Ilva di Taranto, non sono tenuti semplicemente alla mera esecuzione del diritto unionale derivato: da un lato, essi lo possono migliorare ai sensi dell’art. 193 TFUE; dall’altro, lo devono integrare con il “dovere primario”, imposto loro dall’art. 8 CEDU, come interpretato dalla Grande Camera della Corte europea in “Verein KlimaSeniorinnen” ai sensi dell’art. 43 CEDU.
Se, invece, lo ignorano, consumano un’illegittimità di rango costituzionale. Tertium non datur.
Il “dovere primario” CEDU, come accennato, funge da novum nell’ordinamento italiano, per tre ragioni:
- perché proveniente da una decisione della Grande Camera della Corte EU ex art. 43 CEDU;
- perché interposto, ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost., tra Costituzione e legislazione interna di settore[58];
- infine perché gerarchicamente sovraordinato al diritto derivato europeo, per il suo contenuto rafforzativo e migliorativo dei diritti umani indicati dall’art. 6 TUE.
Queste tre ragioni non trovano alcun ostacolo, neppure nella volontà del legislatore ambientale italiano, il quale, al contrario, ha letteralmente disposto, con l’art. 3-bis del d.lgs. n. 152/2006, non solo che «i principi posti dalla presente Parte prima [del decreto] e dagli articoli seguenti costituiscono i principi generali in tema di tutela dell’ambiente, adottati in attuazione degli articoli 2, 3, 9, 32, 41, 42 e 44, 117 commi 1 e 3 della Costituzione e nel rispetto degli obblighi internazionali e del diritto comunitario» (primo comma,), ma anche che qualsiasi deroga, modifica o abrogazione debba comunque garantire «il rispetto del diritto europeo [e] degli obblighi internazionali» (terzo comma).
Insomma, è il legislatore italiano a dire tertium non datur. Del tutto inammissibile, di conseguenza, appare la “dimenticanza” del parere AIA-IPPC.
5. L’analisi comparata del parere AIA-IPPC tra UE, CEDU e Costituzione italiana
Forse, allora, simile “dimenticanza” è giustificata espressamente dal diritto europeo derivato?
Evidentemente no: l’hanno ricordato, sempre per la materia ambientale, sia la stessa Corte di Giustizia UE, da ultimo con la decisione del 15 aprile 2021 nelle cause riunite C‑798/18 e C-799/18, dove si ribadisce il vincolo posto dall’art. 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali sovraordinato al diritto derivato (§§ 35-36)[59], e con quella del 21 gennaio 2025, nella causa C-188/23, dove si spiega che gli accordi internazionali in materia ambientale, sottoscritti anche dalla UE, prevalgono sugli atti di diritto derivato dell’Unione, imponendo un’interpretazione conforme ad essi (§§ 44, 73, 74), sia la Corte costituzionale italiana ai fini della lettura dei riformati artt. 9 e 41 Cost., da inquadrare, come si legge nella sentenza del 19 giugno 2024 n. 105, «attraverso il prisma degli obblighi europei e internazionali in materia».
Insomma, scordarsi del sistema delle fonti, richiesto dall’art. 3-bis del d.lgs. n. 152/2006, è praticamente illegittimo; a meno che non si voglia considerare plausibile un’interpretazione «annacquata» («watered-down interpretation») del “Primary Duty” scandito in nome dell’art. 8 CEDU dalla Grande Camera della Corte Europea ai sensi dell’art. 43 CEDU, come ha denunciato la già ricordata Alta Corte Irlandese per l’ambiente[60].
Ma se l’esclusione dell’interpretazione «annacquata» vale per un sistema costituzionale, come quello irlandese, privo di una struttura ordinamentale corrispondente all’art. 117 comma 1 della Costituzione italiana e all’art. 3-bis del d.lgs. n. 152/2006, c’è da interrogarsi su quale altro riscontro normativo ci si potrebbe appigliare per tollerare le lacune del parere in commento.
Piaccia o meno, i parametri di legittimità del procedimento AIA, in un caso come quello dell’ex Ilva di Taranto, si stagliano su tutti e tre i livelli della tridimensionalità ordinamentale europea: norme statali, costituzionali e legislative; norme unionali europee, originarie e derivate; art. 8 CEDU e sua interpretazione ex art. 43 CEDU.
Alla luce di questa conclusione, è possibile procede alla comparazione di dettagli tra i contenuti del parere AIA-IPPC, da un lato, e, dall’altro, le acquisizioni fornite dalla Corte di Giustizia UE, dal novum della Grande Camera di Strasburgo in “Verein KlimaSeniorinnen” e dalla Corte costituzionale sui riformati artt. 9 e 41 Cost.
I punti di discordanza più evidenti risultano essere quattro.
Prima di tutto, come già constatato, il parere esclude totalmente, dalle proprie fonti di riferimento, la tridimensionalità normativa europea e la sua collocazione rispetto al diritto derivato europeo, invocando esclusivamente quest’ultimo, in modo da declinare solo su di esso concetti e argomentazioni di valutazione e giudizio (cfr. § 2.2 del parere).
Questo modo di procedere non corrisponde affatto a quello suggerito dalla Corte di Giustizia UE, nel citato caso riguardante appunto l’ex Ilva di Taranto, visto che in quest’ultimo si legge che il diritto secondario UE in materia deve essere interpretato per rendere effettivi gli obiettivi di cui all’articolo 191 TFUE (§ 67) e gli artt. 35 e 37 della Carta dei diritti fondamentali della UE (§ 71), affinché tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente e protezione della salute umana non solo siano collegati nel procedimento AIA (§ 68) ma mirino a conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso (§ 69). Ma non corrisponde neppure all’inquadramento richiesto in “Verein KlimaSeniorinnen”, dove si ricorda che l’applicazione della CEDU deve essere effettuata in buona fede e in conformità con le fonti del diritto internazionale che riguardano tutti gli effetti nocivi per la tutela dei diritti umani (§§ 452 ss.), né alla sentenza della Corte costituzionale italiana n. 105/2024, secondo cui i riformati artt. 9 e 41, vincolando tutte le pubbliche autorità ad attivarsi per l’efficace difesa intertemporale e intergenerazionale dell’ambiente, devono essere letti alla luce degli obblighi europei e internazionali in materia (§ 5.1.2 del Considerato in diritto).
In secondo luogo, il parere ignora totalmente la natura “nociva” delle emissioni climalteranti dell’impianto fossile (cfr. § 1 e ivi la definizione di “inquinamento” appiattita alle sole fonti derivate UE), quando proprio la Corte di Giustizia UE, sempre nel citato caso ex Ilva, ha sottolineato l’obbligo, in sede di rinnovo dell’AIA, di considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili, tutte quelle oggetto di emissioni scientificamente note come “nocive” (“harmful”) che possono essere emesse dall’installazione interessata, comprese quelle generate da tale attività che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale di tale installazione (§ 122), in coerenza, dunque, con la lettura da parte della Grande Camera CEDU, che inquadra come “harmful”, per la tutela intergenerazionale dei diritti di cui all’art. 8 CEDU, le emissioni climalteranti (§§ 472, 518-519, 544-545).
Ma il parere ignora pure, e siamo al terzo profilo, le migliori acquisizioni scientifiche sul nesso cambiamento climatico-inquinamento e sul citato “doppio rischio sanitario” delle emissioni industriali fossili (cfr. ancora il § 1 e ivi la definizione di “inquinamento”); “doppio rischio”, confermato dallo stesso diritto europeo[61], dallo stesso legislatore italiano, con le sue proposte di legge per il clima[62], e dal nuovo citato paradigma One Health-Planetary Health, accolto, come detto, dall’ordinamento giuridico italiano. D’altra parte, senza queste acquisizioni scientifiche, la valutazione della “nocività” scadrebbe, come stigmatizzato sempre dalla citate Corte di Giustizia UE, in mero rispetto dei valori limite per le sole sostanze inquinanti elencate, dunque in una logica di “numero chiuso” della pericolosità che, senza tener conto delle emissioni effettivamente generate dall’installazione interessata nel corso del suo esercizio e dei nuovi impatti conosciuti (§ 117), si dimostrerebbe contro natura e antiscientifico, condannando qualsiasi decarbonizzazione, come concluso dalla Grande Camera della CEDU, al “fallimento” (“failure”) rispetto alle traiettorie di inerzia del sistema climatico (§§ 509, 542, 546, 635).
Di conseguenza, il parere non indica affatto tutte le misure necessarie per assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso, come vorrebbero la Corte di Giustizia, in nome degli artt. 35 e 37 della Carta UE dei diritti (§ 4), e la stessa Grande Camera, per garantire l’art. 8 CEDU con i requisiti elencati nel citato § 550.
6. Omissione della decarbonizzazione e impossibilità geofisica senza previo calcolo del Carbon Budget residuo
Invero, l’effettiva decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto appare del tutto fuori dell’orizzonte applicativo dell’AIA.
Il parere lo evidenzia su tre fronti.
In primo luogo, esso testualmente «conferma che gli aspetti relativi alla decarbonizzazione non sono stati oggetto dell’istanza del Gestore» (cfr. Risposte alle Osservazioni nn. 27 e 31). Il che rappresenta un’ulteriore dimostrazione della difformità dalle interpretazioni della Corte di Giustizia, secondo cui, al contrario, la valutazione sistematica dei rischi ambientali deve basarsi su tutti gli impatti, potenziali e reali, delle installazioni interessate, riguardanti salute umana e ambiente, in coerenza, ancora una volta, con le parallele indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (§§ 92 e 93), la quale precisa pure che la mancata considerazione delle misure necessarie indicate dal § 550, a presupposto della discrezionalità, produce una “lacuna critica” insanabile (§§ 561, 562 e 573).
In secondo luogo, il parere, nel tentativo di sopperire all’omessa previsione della decarbonizzazione, dispone una sola prescrizione di decarbonizzazione, per di più di carattere secondario perché successiva all’AIA (cfr. Prescrizione n. 5.1.1. n. 3 e pp. 42 e 371), dunque anche in questo modo contravvenendo tanto alla Corte di Giustizia, secondo cui, invece, la valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione deve essere sempre preventiva e procedere per atti interni al procedimento di riesame dell’autorizzazione (§ 105), quanto alla Corte EDU, per la quale l’adozione delle misure in grado di mitigare gli effetti attuali e futuri, potenzialmente irreversibili, del cambiamento climatico costituisce dovere primario di qualsiasi potere dello Stato (§ 545).
Infine, il contenuto della decarbonizzazione, prescritta dal parere, dovrebbe consistere nella sostituzione del carbone e dei combustibili fossili, all’interno del ciclo integrale di produzione dell’acciaio, con la plastica, più precisamente con l’utilizzazione di polimeri.
Questo è tutto: nulla si spiega sul fronte del nesso fra decarbonizzazione proposta e tutela dei diritti ex art. 8 CEDU; nulla si dice sui tempi della decarbonizzazione rispetto al calcolo del Carbon Budget residuo, richiesto dal § 550 di “Verein KlimaSeniorinnen”; si ignora persino l’incidenza della soluzione indicata sul criterio del Do Not Significant Harm (DNSH) nei contenuti indicati dal Regolamento UE n. 2020/852, specificamente agli artt. 10 e 14 (DNSH per la mitigazione climatica e l’inquinamento) e all’art. 18 (“garanzie minime di salvaguardia” dei diritti umani da assumere a requisito non surrogabile di eco-sostenibilità dell’attività economica).
La soluzione a un’omissione del gestore sfocia in un’altra omissione dell’autorità istruttoria; più rigorosamente, sfocia proprio in quella “lacuna critica” del potere, che la Corte di Strasburgo identifica come lesiva dei diritti ex art. 8 CEDU.
Del resto, dopo la sentenza CEDU del 9 aprile 2024, qualsiasi decarbonizzazione senza previo calcolo del Carbon Budget residuo nazionale è un’arrampicata sugli specchi[63].
È inevitabile ed è oggettivo per tre ragioni, rinvenibili nei citati Rapporti dell’IPCC: perché solo con il previo calcolo del Carbon Budget residuo nazionale è possibile decarbonizzare
- nella legalità dell’agire all’interno delle soglie di sicurezza dell’art. 2 dell’Accordo di Parigi e quindi, come ha spiegato il Consiglio di Stato, col parere della Commissione speciale del 26 settembre 2017, n. 2065, secondo quella precauzione che «impone al decisore pubblico di prediligere, tra quelle possibili, la soluzione che bilancia meglio la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei benefici, previa individuazione, in esito a un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo accettabile, sulla base di una conoscenza completa e accreditata dalla migliore scienza disponibile»[64];
- nel controllo geofisico dei rischi delle traiettorie di inerzia del sistema climatico, se dentro le soglie di sicurezza dell’art. 2 dell’Accordo di Parigi, come chiarito anche dalla Corte di Strasburgo nel § 444 di “Verein KlimaSeniorinnen”;
- nell’uso ragionevole e proporzionato, rispetto all’ambiente e alla salute umana da tutelare, dei gas serra disponibili, per esempio nel mercato delle emissioni, in quanto risorsa resa scarsa dalle soglie di sicurezza fissate dall’art. 2 dell’Accordo di Parigi.
In conclusione, il calcolo del Carbon Budget residuo è il presupposto geofisico necessario per qualsiasi processo di decarbonizzazione (in forza delle leggi di natura delle traiettorie temporali di inerzia) e fondamento normativo di qualsiasi decisione su di esso (in forza dei parametri normativi richiamati sin dal primo paragrafo di questo contributo).
7. L’illegittimità costituzionale sopravvenuta del diritto vivente favorevole alle valutazioni atemporali della decarbonizzazione.
Non si intravede “latitudine” del potere alternativa a quella di calcolare il Carbon Budget residuo, per poi decidere se e come decarbonizzare un’installazione fossile (la più grande installazione fossile italiana) come l’ex Ilva di Taranto.
Il che è un problema, considerato che l’Italia, ad oggi, è ancora priva di questo calcolo[65].
Può, tale circostanza, portare alla sospensione delle attività, nei termini indicati dal § 128 della decisione della Corte di Giustizia UE? In effetti, la Corte ha chiarito che, lì dove sussistano violazioni che producono «un pericolo immediato per la salute umana» o «ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente», «l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2010/75 esige che l’esercizio di tale installazione sia sospeso».
L’assenza del calcolo del Carbon Budget residuo, però, non attesta semplicemente un pericolo: come ha spiegato la Corte di Strasburgo, essa consuma una “lacuna critica” nella traiettoria di decarbonizzazione; una lacuna evidentemente incostituzionale, nella misura in cui essa si pone in violazione dell’art. 8 CEDU nell’impostazione ermeneutica formulata secondo l’art. 43 CEDU.
Pertanto, diventa difficile continuare a predicare come ragionevoli le precedenti “latitudini” del potere di valutazione della decarbonizzazione, indifferenti alla dimensione temporale della “policrisi” e viziate da questa “lacuna critica”.
Un’incostituzionalità sopravvenuta, attraverso la porta d’ingresso dell’art. 117 comma 1 Cost., è ormai subentrata relativamente agli orientamenti giurisprudenziali pregressi e alle stesse leggi che quegli orientamenti, in relazione alla decarbonizzazione, hanno potuto permettere, a partire dall’art. 35, comma 2, lett. c) del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (per come modificato dal d.l. 1 marzo 2021, n. 22, convertito con modificazioni dalla l. 22 aprile 2021, n. 55), che, attribuendo al MASE le «funzioni e i compiti spettanti allo Stato relativi allo sviluppo sostenibile … [nelle] politiche per il contrasto dei cambiamenti climatici e … la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra», nulla dispone nei termini dei requisiti necessari elencati dalla Corte di Strasburgo al § 550 di “Verein KlimaSeniorinnen” a tutela dell’art. 8 CEDU.
Una parte della dottrina, invero minoritaria, sembra invocare la separazione dei poteri come baluardo resistente alle nuove sfide, con conseguente primato dell’autonomia della politica indifferente ai (e prevalente sui) tempi inerziali del sistema climatico, come se questi fossero una mera predizione scientifica[66].
In realtà, il baluardo della separazione dei poteri non è affatto venuto meno né è venuta meno l’autonomia della politica: semplicemente è cambiata la “latitudine” di entrambi[67], come spiega rigorosamente “Verein KlimaSeniorinnen” in forza dell’art. 8 CEDU e, non a caso, nella modalità ermeneutica ex art. 43 CEDU[68]; mentre i tempi inerziali non sono per niente un’invenzione della scienza, che pretende di imporsi sulla politica con le sue predizioni, bensì un fatto di natura, di cui prendere atto (come si è preso atto da parte anche dell’Italia, con la sua adesione ai riscontri effettuati dall’IPCC)[69].
La vicenda del rinnovo dell’AIA dell’ex Ilva di Taranto è probabilmente il primo banco di prova per verificare tutto questo.
Nella revisione comune del testo, i paragrafi 1, 6 e 7 sono stati elaborati da Michele Carducci, i rimanenti da Gianvito Campeggio.
[1] La “latitudine” è solitamente evocata in parallelo al principio di “inesauribilità” del potere pubblico: si v. M. Trimarchi, L’inesauribilità del potere amministrativo. Profili critici, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, p. 21 ss. e ivi giurisprudenza.
[2] Si v. il sito https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/info/2038
[3] Sugli elementi identificativi della “policrisi”, si v. M. Lawrence, T. Homer-Dixon, S. Janzwood, J. Rockström et al., Global polycrisis: the causal mechanisms of crisis entanglement, in Global Sustainability, 7, 2024, pp. 1-16.
[4] Sull’emergenza climatica come “emersione” (emergence) di un processo degenerativo bad-to-worst per tutti i segni vitali della stabilità del pianeta, con conseguente “urgenza” (emergency) di intervento rapido di decarbonizzazione per evitare il peggio, si v. almeno B. Gills, J. Morgan, Global Climate Emergency: after COP24, climate science, urgency, and the threat to humanity, in Globalizations, 17(6), 2020, pp. 885-902, W.J Ripple, C. Wolf, J.W. Gregg, K. Levin et al., World Scientists’ Warning of a Climate Emergency 2022, in BioScience, 72(12), 2022, pp. 1149-1155, L. Kemp, C. Xu, J. Depledge, K. L. Ebi et al., Finale di partita sul clima, trad it. in Ingegneria dell’ambiente, 9(3), 2022, pp. 194-207, e W.J. Ripple, C. Wolf, J.W. Gregg, J. Rockström et al., The 2024 state of the climate report: Perilous times on planet Earth, in BioScience, 74 (12), 2024, pp. 812-824.
[5] In particolare, cfr., in ordine di tempo: Risoluzione del Parlamento europeo del 28.11.2019 sull’emergenza climatica e ambientale (2019/2930(RSP)); Risoluzione del Parlamento europeo del 15.1 2020 (2019/2956(RSP); Comunicazione della Commissione europea su «l’ultima generazione che può intervenire in tempo» (COM/2021/550 final); Considerando n. 19 del Regolamento UE n. 2021/1119; Risoluzione del Parlamento europeo del 14.3.2023 (P9_TA (2023)0065); Raccomandazione CM/Rec(2024)6 del Comitato dei Ministri degli Stati membri, su «young people and climate action». Sul significato e il rilievo giuridico delle dichiarazioni di emergenza climatica, cfr. M. Cunha Verciano, L’emergenza climatica tra concetto scientifico e categorie giuridiche: da situazione di pericolo a fatto ingiusto permanente sul Carbon Budget residuo, dopo KlimaSeniorinnen, in Osservatorio sul Costituzionalismo Ambientale(OCA) www.DPCEonline, 8 ottobre 2024.
[6] La “Reykjavík Declaration” è stata adottata dal Quarto Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Consiglio d’Europa, il 17 maggio 2023, riconoscendo, tra le altre cose, l’esistenza di una crisi planetaria intrecciata e interdipendente fra cambiamento climatico, inquinamento e perdita di biodiversità, a discapito della salute umana e della salubrità dell’ambiente.
[7] L’art. 43 CEDU consente l’adozione di sentenze a contenuto determinante su questioni interpretative controverse oppure su importanti questioni di carattere generale, al fine di orientare la successiva giurisprudenza della Corte europea: cfr. S. Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Padova, Cedam, 2012, sub art. 43.
[8] Si veda il § 200 della sentenza. I commenti alla decisione CEDU sono numerosissimi, sia in Italia che all’estero. Per gli spunti della dottrina italiana, si possono consultare le seguenti voci dal sito www.contenziosoclimaticoitaliano.it: Accesso al giudice; Acquiescenza scientifica; Ambiente; Art. 8 CEDU e art. 193 TFUE; Attività pericolose; Bilanciamento e proporzionalità; Carbon Budget residuo; Separazione dei poteri.
[9] Si vedano i §§ 419-444 della sentenza.
[10] Cfr. W. Shaye, R. Bullard, J.J. Buonocore, N. Donley et al., Scientists’ warning on fossil fuels, in Oxford Open Climate Change, 5(1), 2025, kgaf011.
[11] Ci si riferisce alla sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. 27 aprile 2022 n. 13143, in merito all’ammissibilità dell’applicazione dell’art. 2055 Cod. civ., anche in presenza di autonome condotte lesive, discendenti da titoli diversi.
[12] Cfr. C.W. Callahan, J.S. Mankin, Carbon majors and the scientific case for climate liability, in Nature, 640, 2025, pp. 893-901, e ivi bibliografia.
[13] Cfr. R.D. Bressler, The mortality cost of carbon, in Nature Communication, 12, 2021, pp. 1-12, J.M. Pearce, R. Parncutt, Quantifying Global Greenhouse Gas Emissions in Human Deaths to Guide Energy Policy, in Energies, 16, 2023, 6074, e T.M. Lenton, C. Xu, J.F. Abrams, A. Ghadiali et al., Quantifying the human cost of global warming, in Nature Sustainability, 6, 2023, pp. 1237-1247.
[14] Sulla situazione di Overshoot e sulle sue implicazioni sui rischi climatici, si v. E. Bevacqua, C.F. Schleussner, J. Zscheischler, A year above 1.5 °C signals that Earth is most probably within the 20-year period that will reach the Paris Agreement limit, in Nature Climate Change, 15, 2025, pp. 262-265, SNPA, Copernicus: nel 2024 temperatura globale a +1,6°C su livello pre-industriale, in www.snpambiente.it, 10 gennaio 2025, MET-Office, Rise in carbon dioxide off track for limiting global warming to 1.5°C, in www.metoffice.gov.uk, 17 gennaio 2025, WMO report documents spiralling weather and climate impacts, in https://wmo/int/, 19 marzo 2025.
[15] Com’è noto, l’art. 2 dell’Accordo di Parigi del 2015 impegna gli Stati a ridurre le proprie emissioni, al fine di mantenere «l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di +2°C rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo l’azione volta a limitare tale aumento a +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, riconoscendo che questo potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici».
[16] Human Rights Council Forty-ninth session 28 February–1 April 2022, The right to a clean, healthy and sustainable environment: non-toxic environment. Report of the Special Rapporteur on the issue of human rights obligations relating to the enjoyment of a safe, clean, healthy and sustainable environment, A/HRC/49/53, 12 gennaio 2022, p. 11.
[17] Cfr. Legambiente, I nemici del clima: città di Taranto, in www.changeclimatechange.it, da cui si desume che la città ionica è la capitale d’Italia delle emissioni di gas serra.
[18] Sulla decisione europea che prende avvio dalla questione pregiudiziale insorta presso il Tribunale delle imprese di Milano, si v. i Commenti raccolti nella sezione Inibitoria collettiva [Cittadini tarantini c. Acciaierie d'Italia Holding Spa, Acciaierie d'Italia Spa e Ilva Spa in amministrazione straordinaria], in www.contenziosoclimaticoitaliano.it/i-casi/.
[19] Sul concetto di buona fede climatica, si v. la corrispondente voce in www.contenziosoclimaticoitaliano.it.
[20] Per un approfondimento delle decisioni della COP28, si rinvia a M. Carducci: Le novità della COP28 tra uso delle parole e Costituzione, in www.laCostituzione.info, 17 dicembre 2023; e La buona fede “climatica” dopo la COP28, in Eunomia. Rivista di studi su pace e diritti umani, 2, 2023, pp. 127-144.
[21] Il paradigma è ormai ampiamente riconosciuto anche dalla dottrina giuridica e dalla giurisprudenza. Per una sintesi, si v. S. Ragone, One Health e Costituzione italiana, tra spinte eco-centriche e nuove prospettive di tutela della salute umana, ambientale e animale, e F. Vivaldelli, Corti supreme e One Health. Vent’anni di giurisprudenza, entrambi in Corti supreme e salute, rispettivamente 3, 2022, pp. 809-826, e 3, 2024, pp. 1-14.
[22] Così, testualmente, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 1° ottobre 2024 n. 7884, punto 4.5.3.
[23] Così, testualmente, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30 maggio 2022, n. 4355, punto 6.1.
[24] Ibidem.
[25] Così, testualmente, Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza del 2 agosto 2024 n. 6947, punto 7.1.
[26] Ibidem.
[27] Cfr., per esempio, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 1° marzo 2024, n. 2044, e Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28 giugno 2023, n. 633.
[28] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 1° ottobre 2024 n. 7884, punto 18.3.
[29] Cfr., per la qualificazione del tempo come “bene della vita”, A. Nicodemo, Il tempo come bene della vita, Torino, Giappichelli, 2024.
[30] Cfr. P. Bertolini, Nesso causale: criterio del “più probabile che non” anche per il Consiglio di Stato, in https//rgaonline.it/, 2 giugno 2023.
[31] Si v. la voce “Probabilità baconiana e pascaliana” in www.contenziosoclimaticoitaliano.it.
[32] IPCC, www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/.
[33] Sulla centralità delle leggi di inerzia del sistema climatico, spesso sottovalutate dai formanti giuridici, si rinvia a M. Carducci, Costituzionalismo ambientale e leggi della natura, in www.federalismi.it, 12, 2025, pp. 23-36.
[34] L’evidenza è nota sin dal 2001: cfr. IPCC, Climate Change 2001: Synthesis Report: What is known about the inertia and time scales associated with the changes in the climate system, ecological systems, and socio-economic sectors and their interactions?, in https://archive.ipcc.ch/ipccreports/tar/vol4/011.htm.
[35] Cfr. J. Marquardt, L.L. Delina, Making time, making politics: Problematizing temporality in energy and climate studies, in Energy Research & Social Science, 76, 2021, 102073, e R. Maier, J. Behrens, M. Hoffman, F. Kullman et al., Impact of foresight horizons on energy system decarbonization pathways, in Advances in Applied Energy, 18, 2025, 100217 e ivi bibliografia.
[36] Cfr. M. Macrì, Emergenza climatica e funzione amministrativa. Il provvedere nel climate first, Torino, Giappichelli, 2024.
[37] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23 settembre 2022 n. 8167, su cui F. Motta, La riforma dell’art. 41 Cost. davanti al Consiglio di Stato: scelte pubbliche, dati scientifici e transizione ecologica, in www.LaCostituzione.info, 6 ottobre 2022.
[38] Cfr., per i casi: G. Naglieri, Valutazioni di impatto ambientale e downstream emissions. La sentenza Finch v. Surrey della Corte Suprema del Regno Unito, guardando ad Oslo, e L. Cardelli, Utilità sociale intergenerazionale e incompatibilità costituzionale delle emissioni antropogeniche fossili, alla luce di tre recenti decisioni giurisprudenziali, entrambi in Osservatorio sul Costituzionalismo Ambientale(OCA) www.DPCEonline, 17 luglio 2024, G. Trivi, Cambiamento climatico e inquinamento, alla luce di sei recenti decisioni giudiziali: l’analogia come analisi dei “co-benefici” della mitigazione climatica e attuazione del principio europeo di “integrazione”, in Osservatorio sul Costituzionalismo Ambientale(OCA) www.DPCEonline, 2 luglio 2024, e sempre G. Trivi, Catalogo aperto delle emissioni pericolose e tutela della persona tra diritto interno ed europeo, in www.LaCostituzione.info, 1 luglio 2024, nonché S. Pitto, Valutazione d’impatto ambientale ed emissioni indirette: la lettura estensiva e il “favor climatis” della UK Supreme Court nel caso Finch v. Surrey, e M. Carducci, Le affinità “emissive”, entrambi in www.diritticomparati.it, rispettivamente 24 settembre 2024 e 11 luglio 2024.
[39] Così dispone il § 550: «Nel valutare se uno Stato sia rimasto all’interno del suo margine di apprezzamento (si veda il precedente paragrafo 543), … le autorità nazionali competenti, siano esse a livello legislativo, esecutivo o giudiziario, [devono tenere] in debito conto la necessità di: (a) adottare misure generali che specifichino un obiettivo temporale per il raggiungimento della neutralità del carbonio e il bilancio complessivo del carbonio rimanente per lo stesso periodo di tempo, o un altro metodo equivalente di quantificazione delle future emissioni di gas serra, in linea con l'obiettivo generale degli impegni nazionali e/o globali di mitigazione dei cambiamenti climatici; (b) definire obiettivi e percorsi intermedi di riduzione delle emissioni di gas serra (per settore o altre metodologie pertinenti) che siano ritenuti in grado, in linea di principio, di raggiungere gli obiettivi nazionali complessivi di riduzione dei gas serra entro i tempi previsti dalle politiche nazionali; (c) fornire prove che dimostrino se hanno debitamente rispettato, o sono in procinto di farlo, i relativi obiettivi di riduzione dei gas serra (vedere i precedenti sottoparagrafi (a)-(b)); (d) mantenere aggiornati gli obiettivi di riduzione dei gas serra con la dovuta diligenza e sulla base delle migliori prove disponibili; e (e) agire tempestivamente e in modo appropriato e coerente nell'elaborazione e nell'attuazione della legislazione e delle misure pertinenti».
[40] Si v. i §§ 118, 403 e 542 della sentenza, nonché la voce “The closing window” in www.contenziosoclimaticoitaliano.it.
[41] Cfr. M. Carducci, Effettività intertemporale e legalità formale nella lotta all’emergenza climatica, alla luce dell’art. 8 CEDU, secondo l’Alta Corte di Irlanda in www.diritticomparati.it, 25 marzo 2025.
[42] O.V. Giannico, S. Baldacci, L. Bisceglia, S. Minerba et al., Il “mortality cost” delle emissioni di CO2 di uno stabilimento siderurgico nel Sud Italia: una valutazione degli impatti sanitari derivanti dal cambiamento climatico, in Epidemiologia e Prevenzione, 47(4-5), 2023, 273-280.
[43] Cfr. G. Arconzo, Per la Corte di giustizia i decreti Salva Ilva ledono il diritto alla salute degli abitanti di Taranto, in Quaderni Costituzionali, 4, 2024, 947-950.
[44] https://www.ipcc.ch/sr15/.
[45] https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg2/.
[46] https://www.ipcc.ch/report/sixth-assessment-report-cycle/.
[47] Cfr., per tutti, J. Rogelj, P.M. Forster, E. Kriegler, C.J. Smith, R. Séférian, Estimating and tracking the remaining carbon budget for stringent climate targets, in Nature, 571, 2019, pp. 335-340.
[48] Si v. la voce “Carbon Budget Residuo” in www.contenziosoclimaticoitaliano.it.
[49] Come si desume dai glossari dell’IPCC: https://apps.ipcc.ch/glossary/
[50] Sul “doppio rischio sanitario”, cfr. M. Williams, Tackling climate change: what is the Impact on Air Pollution?, in Journal of Carbon Management, 3(5), 2012, pp. 511-519, e C. Facchini, Inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici, in C. Mangia, G. Rubbia, M. Ravaioli, S. Avveduto et al. (a cura di), Ambiente e clima. Il presente per il futuro, CNR, 2021, p. 23.
[51] Cfr. C. Mangia, P. Ielpo, R. Cesari, M.C. Facchini, Crisi climatica e inquinamento atmosferico, in Ithaca. Viaggio nella scienza, 15, 2020, pp. 57-58.
[52] Cfr. A. Haines, Use the remaining carbon budget wisely for health equity and climate justice, in The Lancet, 400, 2022, pp. 477-479, e K. Abbass M.Z. Qasim, H. Songm M. Murshed et al., A review of the global climate change impacts, adaptation, and sustainable mitigation measures, en Environmental Science and Pollution Research, 29, 2022, pp. 42539–42559.
[53] Cfr., da ultimo Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16 novembre 2023 n. 9852, p. 12.
[54] Nell’ordinanza n. 150/2012, la Corte costituzionale ha qualificato le sentenze della Grande Camera ex art. 43 CEDU un novum nel sistema delle fonti, puntualizzando che «la sopravvenienza della sentenza della Grande Camera impone di ricordare che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la questione dell’eventuale contrasto della disposizione interna con la norme della CEDU va risolta, per quanto qui interessa, in base al principio in virtù del quale il giudice comune, al fine di verificarne la sussistenza, deve avere riguardo alle norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo (tra le molte, sentenza n. 236 del 2011, richiamando le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 e tutte le successive pronunce che hanno ribadito detto orientamento), specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione (da ultimo, sentenza n. 78 del 2012), poiché il contenuto della Convenzione (e degli obblighi che da essa derivano) è essenzialmente quello che si trae dalla giurisprudenza che nel corso degli anni essa ha elaborato (per tutte, sentenze n. 311 del 2009 e n. 236 del 2011), occorrendo rispettare la sostanza di tale giurisprudenza, con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi (ex plurimis, sentenze n. 236 del 2011 e n. 317 del 2009), ferma la verifica, spettante a questa Corte, della compatibilità della norma CEDU, nell’interpretazione del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione (sentenza n. 349 del 2007; analogamente, tra le più recenti, sentenze n. 113 e n. 303 del 2011)».
[55] Cfr. M. A. Scurati Manzoni (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Roma, Palazzo della Consulta, 2023.
[56] Cfr. G. Campeggio, L’installazione ex Ilva e la conformità e adeguatezza della valutazione di impatto sanitario dopo la riforma costituzionale dell’art. 41 Cost. e nel quadro della giurisprudenza UE e CEDU, in www.contenziosoclimaticoitaliano.it, febbraio 2025.
[57] M. Cunha Verciano, Il doppio limite del potere di mitigazione climatica dell’Italia dopo le sentenze CEDU del 9 aprile 2024, in www.giustiziainsieme.it, 22 gennaio 2025.
[58] Di «forza vincolante delle pronunce della Corte di Strasburgo» parla la Corte costituzionale nella sentenza n. 7/2024/2024, in una prospettiva di «solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU, che consente di leggere in stretto coordinamento i parametri interni con quelli convenzionali al fine di massimizzarne l’espansione in un rapporto di integrazione reciproca» (Corte costituzionale, sentenze n. 145/ 2022 e n. 4/2024).
[59] Il n. 3 dell’art. 52 dispone che «Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa».
[60] Caso “Coolglass v. An Bord Pleanála”, 10 gennaio 2025.
[61] Sull’estensione del concetto di “nocivo” (harmful) nel diritto UE e sull’inclusione, in esso, della dimensione climatica, si v., tra le altre, la Direttiva IED 2024/1785 del 24 aprile 2024 (in particolare con riferimento alle previsioni di cui all’art. 27-quinquies), la Direttiva sulla qualità dell’aria 2024/2881 del 23 ottobre 2024, il Piano d’Azione della Commissione Europea sull’Acciaio e i Metalli (COM(2025) 125 final) del 19/03/2025.
[62] Si v. la Relazione al Disegno di legge sul clima (Senato della Repubblica, XIX legislatura Atto 743), in cui testualmente si parla di «emissioni nocive di carbonio».
[63] A.T. Cohen, L’Italia senza “quota equa” e Carbon Budget viola Costituzione e CEDU, in www.LaCostituzione.info, 9 ottobre 2024.
[64] Cfr. M. Cunha Verciano, L’emergenza climatica tra giudice e vincoli normativi: sulla soglia accettabile del pericolo, in www.LaCostituzione.info, 13 giugno 2022, nonché le proposte di legge, depositate in Parlamento, per la sua introduzione (cfr. Senato della Repubblica, XIX legislatura, Atto 1007).
[65] Cfr. G. Trivi, La nullità della valutazione ambientale strategica del PNIEC per assenza di Carbon Budget residuo, in Osservatorio sul Costituzionalismo Ambientale(OCA) www.DPCEonline.it, 24 gennaio 2025.
[66] Ci si riferisce alle posizioni di G. Scarelli, Contenzioso climatico e giurisdizione, in www.giustiziainsieme.it, 26 novembre 2024, e M. Magri, Lineamenti dell’amministrazione pubblica del clima, in Diritto pubblico, 2, 204, pp. 321-348.
[67] Lo argomenta bene C. Eckes, “It’s the democracy, stupid!” in defence of KlimaSeniorinnen, in ERA Forum, 25, 2024, 451-470.
[68] Il dettaglio dell’art. 43 CEDU sembra essere sfuggito all’analisi di Scarselli (art. cit.), secondo il quale la sentenza “Verein KlimaSeniorinnen” non vincolerebbe in alcun modo i giudici comuni italiani.
[69] Cfr., per una spiegazione sufficientemente semplice, Q. Wu, G.R. North, Climate sensitivity and thermal inertia, in Geophysical Research Letters, 29(15), 2002, pp. 2-1/2-2.