Ente locale in dissesto e provvedimento di acquisizione sanante: profili di competenza.
di Giuseppe Piluso
Sommario: 1. Premessa - 2.Analisi del quadro normativo - 3. L’orientamento “formale”: la competenza è della gestione ordinaria dell’Ente - 4. L’orientamento “sostanziale”: la competenza è dell’Organo Straordinario di Liquidazione - 5. L’orientamento che distingue la competenza amministrativa da quella contabile.
1. Premessa
Il presente lavoro illustra la problematica concernente l’individuazione dell’organo competente ad adottare il provvedimento di “acquisizione sanante”, ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001, ove l’Ente locale abbia deliberato il dissesto finanziario e il fatto dell’ “occupazione sine titulo” sia intervenuto in epoca antecedente.
Per affrontare questo argomento si analizzerà, in una prima parte, la disciplina sul dissesto degli enti locali con particolare riguardo alla previsione secondo cui l’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente ad “atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato”.
In una seconda parte, al fine di determinare con esattezza quali debiti siano correlati ad “atti e fatti di gestione”, si analizzeranno gli interventi del legislatore, della giurisprudenza amministrativa e contabile attraverso le soluzioni ermeneutiche adottate per giungere all’individuazione dell’organo competente.
Un primo orientamento “formale” e, per così dire, contabile di debito, ha ritenuto di attribuire la competenza ad adottare il provvedimento di “acquisizione sanante” agli organi “ordinari” dell’Ente, ossia il Consiglio Comunale.
A questo intervento sono susseguite ulteriori opzioni ermeneutiche.
Ad avviso di una esegesi spiccatamente “sostanziale”, sostenuta dalla Plenaria del Consiglio di Stato, la competenza andrebbe attribuita, invece, all’Organismo Straordinario di liquidazione, in quanto correlata al “fatto” dell’occupazione intervenuto prima della dichiarazione di dissesto.
Da ultimo si analizzerà una diversa soluzione “intermedia”, sostenuta in alcune recenti pronunce del Tar Sicilia e Tar Campania e considerata da chi scrive più ragionevole e in linea con il sistema normativo, che opera una necessaria distinzione tra la competenza amministrativa in ordine alla scelta di acquisire o restituire il bene, da attribuire alla gestione ordinaria, e quella contabile di “liquidazione del titolo di spesa”, di competenza, invece, dell’Organismo Straordinario di liquidazione.
2. Analisi del quadro normativo
Per poter individuare l’organo deputato ad adottare il provvedimento di “acquisizione sanante”, ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001, occorre un inquadramento delle disposizioni normative inerenti lo stato di dissesto finanziario dell’Ente e, in particolare, il riparto di competenze che il legislatore delinea per i crediti e debiti tra organismo straordinario di liquidazione e organi istituzionali dell’Ente.
In secondo luogo, occorre coordinare la disposizione sull’ “acquisizione sanante” con la disciplina che il legislatore prevede nel caso di dissesto.
La disciplina sul dissesto finanziario degli enti locali è contenuta all'interno del titolo VIII del decreto legislativo n. 267 del 2000 e ha come scopo il ripristino degli equilibri di bilancio e della ordinaria funzionalità degli enti locali in grave crisi finanziaria, al fine di assicurare, in via mediata, la tutela di interessi primari, relativi al buon andamento, alla continuità dell'azione amministrativa e al mantenimento dei livelli essenziali delle prestazioni.
Uno degli aspetti più controversi è sicuramente rappresentato dalla distinzione tra i debiti di competenza della gestione ordinaria, rimessi agli organi istituzionali dell'ente e perciò azionabili dai creditori con le procedure ordinarie, e i debiti di competenza della gestione liquidatoria, rientranti nella massa passiva di competenza dell'organo straordinario di liquidazione (OSL) e, pertanto, non passibili di esecuzione coattiva ai sensi dell’art. 248 TUEL.
Le disposizioni del testo unico degli enti locali dalle quali bisogna prendere le mosse sono gli artt. 252 e 254 che disciplinano, nel dettaglio, la procedura per la formazione e la rilevazione della massa passiva, l’acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento, anche mediante l’alienazione dei beni patrimoniali, e la liquidazione e pagamento della massa passiva.
L’art. 252 comma 4 prevede che “l’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti e atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato”.
L’art. 254 comma 3 disciplina, nel dettaglio, la procedura per la formazione e la rilevazione della massa passiva.
Nel piano di rilevazione della massa passiva adottato dall’organo straordinario di liquidazione vengono inclusi:
- a)I debiti di bilancio e fuori bilancio verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato;
- b)I debiti derivanti dalle procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, dichiarate estinte a seguito di essa;
- c)I debiti derivanti da transazioni compiute dall’organo straordinario di liquidazione inerenti vertenze giudiziali e stragiudiziali relative a posizioni debitorie rientranti nella fattispecie suddette.
A seguito del definitivo accertamento della massa passiva e dei mezzi finanziari disponibili, l’organismo straordinario di liquidazione è tenuto a predisporre il piano di estinzione delle passività.
La difficoltà interpretativa nella lettura di queste disposizioni ha indotto il legislatore ad intervenire con una disposizione di interpretazione autentica volta a chiarire la locuzione “atti e fatti di gestione” utilizzata per individuare la competenza dell’Organismo Straordinario di liquidazione.
Con l’art. 5 comma 2 del d.l. 29 marzo 2004, n. 80 conv. con mod. dalla legge 28 maggio 2004, n. 140, il legislatore chiarisce che “ai fini dell'applicazione degli articoli 252, comma 4, e 254, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si intendono compresi nelle fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all'articolo 256, comma 11, del medesimo testo unico”
Il legislatore interviene, con la predetta disposizione, al fine di perimetrare l’ambito di rilevanza dei fatti genetici delle passività da prendere in considerazione ai fini della rilevazione della massa passiva, tenendo conto della natura e delle circostanze temporali di maturazione del debito.
Tuttavia, tale intervento normativo, seppur in apparenza chiaro, non ha consentito di dirimere la questione interpretativa circa l’esatta portata dell’espressione “atti e fatti di gestione” verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi del bilancio riequilibrato.
Questa espressione aveva indotto, infatti, la Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Campania con la deliberazione 132/2018 a chiarire che dovesse interpretarsi “in base ai noti canoni ermeneutici generali di cui all’art. 12 delle preleggi secondo l’uso comune delle espressioni usate dal legislatore e dunque, nel caso, secondo le ordinarie conoscenze giuridiche della materia alla quale tali elementi normativi appartengono, ossia secondo le comuni conoscenze del diritto privato”.
La Corte richiama la distinzione tra atti e fatti giuridici.
Sul piano della teoria generale del diritto privato, i fatti a cui l’ordinamento riconosce la capacità di produrre effetti giuridici si dividono in “atti” e “fatti” a seconda della presenza o meno di una volontà nella produzione degli effetti.
In questo senso, tipico atto produttivo di effetti giuridici “voluti” è il contratto quale “accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
Diverso dall’atto è, invece, il “fatto giuridico” che è da intendersi come qualsiasi accadimento naturale o umano dal quale possano derivarne effetti giuridici: vi rientrerebbe qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto da risarcire ex art. 2043 c.c..
Chiarita la nozione di “atti o fatti” occorre, tuttavia, considerare che il legislatore, nella disposizione dell’art. 5 del d.l. 80/2004 sopra indicata, si riferisce testualmente ai “debiti correlati ad atti o fatti di gestione”.
È proprio questa correlazione, tra il concetto di “debito” e quello di “atto o fatto” che lo ha generato, ad aver dato luogo a diverse opzioni ermeneutiche
La questio iuris nasce, in sostanza, dal diverso approccio contabile oppure sostanziale con il quale si voglia intendere la predetta locuzione e, in particolare, quando si voglia intendere il momento genetico dell’obbligazione.
Come si vedrà nel proseguo della trattazione, se si richiama un concetto formale, pecuniario e, per così dire, contabile di debito sarà irrilevante il momento in cui il fatto causativo del danno si è verificato, dovendosi piuttosto riferire al momento in cui l’esposizione debitoria del Comune sia divenuta certa liquida ed esigibile.
Leggendo, al contrario, la disposizione con un approccio cosiddetto “sostanzialistico” la competenza dell’O.S.L. dovrebbe riferirsi a tutti quei debiti le cui poste contabili siano eziologicamente e funzionalmente ricollegabili ad un atto o fatto di gestione antecedente alla dichiarazione di dissesto (e cioè al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato), indipendentemente dal momento in cui si siano manifestati contabilmente quale posta passiva pecuniaria.
Questo quadro normativo va coordinato con la disposizione sull’acquisizione sanante dell’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001.
Con tale istituto il legislatore ha introdotto un procedimento espropriativo “eccezionale” per far fronte ad un illecito perpetrato dall’Amministrazione in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o di dichiarazione di pubblica utilità, consentendo di acquisire il bene immobile al proprio patrimonio indisponibile, previa corresponsione al proprietario del valore venale del bene oltre un indennizzo, per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito, nell’importo del dieci per cento stabilito dalla legge.
La Pubblica Amministrazione è tenuta ad illustrare le attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che giustifichino l’emanazione di questo provvedimento di acquisizione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, mediante “un percorso motivazionale rafforzato ed assistito da garanzie partecipative rigorose, che dimostrino in modo chiaro che l’apprensione coattiva si pone come una scelta estrema laddove non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative”. [1]
Come chiarito dalla Corte costituzionale - con la sentenza 30 aprile 2015, n. 71 – nell’escludere che l’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 si ponesse in contrasto con l’art. 42 Cost., il legislatore ha introdotto “una procedura espropriativa che, sebbene necessariamente “semplificata” nelle forme, si presenta “complessa” negli esiti, prevedendosi l’adozione di un provvedimento specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione".
Si tratta, pertanto, di un procedimento ablatorio sui generis “caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc)”.[2]
La natura giuridica del provvedimento acquisitivo, che non ha valore meramente dichiarativo ma costitutivo, ha posto, pertanto, la giurisprudenza dinanzi a due diversi orientamenti: un primo orientamento che ha privilegiato l’aspetto contabile in forza del quale non si accerterebbe un debito preesistente ma piuttosto lo si determinerebbe ex novo e un secondo orientamento che, al contrario, ha dato rilevanza al fatto generatore dell’obbligazione ossia l’occupazione del suolo fonte di un illecito permanente.
In queste due diverse prospettive, che saranno appresso analizzate, occorre tenere conto dei due diversi aspetti, amministrativo e contabile, in forza dei quali l’Ente svolge una duplice attività: la prima consistente nell’esercizio della discrezionalità amministrativa nel valutare di acquisire il bene o restituirlo e una seconda di carattere meramente contabile volta all’effettiva liquidazione del titolo di spesa che costituisce condicio iuris per l’acquisizione al patrimonio indisponibile dell’ente.
Questa distinzione sarà approfondita nel paragrafo dedicato all’orientamento seguito dalla giurisprudenza del Tar Sicilia e Campania che ha innovato il panorama interpretativo con una soluzione che, a parere di chi scrive, è senza dubbio più ragionevole e coerente con il quadro normativo vigente.
3.L’orientamento “formale”: la competenza è della gestione ordinaria dell’Ente
Per un primo orientamento, rappresentato da pronunce del Consiglio di Stato e del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, la competenza ad adottare il provvedimento di acquisizione sanante, nonché gli ulteriori atti contabili di effettiva liquidazione e pagamento del debito correlato, spetterebbe agli organi istituzionali dell’Ente e quindi alla gestione ordinaria. [3]
La locuzione “fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato”, utilizzata dal legislatore nell’art. 252 comma 4 del d.lgs. n. 267/2000 per individuare la competenza dell’organo straordinario di liquidazione, farebbe richiamo ad “un concetto formale, pecuniario e, per così dire, contabile di debito”.
Questa interpretazione troverebbe fondamento proprio nell’art. 5 del decreto legge 29 marzo 2004, n. 80, convertito con la legge 28 maggio 2004, n. 140, secondo cui i debiti correlati ad “atti e fatti di gestione” verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione solo “se accertati”.
Con tale espressione il legislatore non avrebbe esteso le attribuzioni dell’Organismo Straordinario di Liquidazione fino ad includere nella massa passiva debiti ancora in via di accertamento e, pertanto, privi dei caratteri di certezza, liquidità ed esigibilità.
La norma avrebbe inteso, piuttosto, far richiamo non al momento in cui il fatto si è verificato bensì “al successivo momento in cui la posizione debitoria del Comune, intesa come posta passiva di carattere pecuniario, sia divenuta certa, liquida ed esigibile”.
Così, in forza dell’art. 252 comma 4 e 254 comma 3, rientrano tutti i debiti di bilancio e fuori bilancio anteriori all’anzidetto termine di approvazione del bilancio riequilibrato, a quelli derivanti da procedure esecutive estinte dipendenti da transazioni compiute dal commissario liquidatore e vanno esclusi i debiti il cui titolo sia ancora in fase di formazione perché privi della certezza che la legge richiede.
In altri termini, occorre ricercare il momento in cui si è perfezionato il credito nei suoi caratteri di certezza, liquidità ed esigibilità e non il momento genetico del fatto a cui l’obbligazione è correlata.
Secondo i Giudici, proprio la natura giuridica del provvedimento ex art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 ben si attaglierebbe a questa interpretazione: l’emanazione di un provvedimento di acquisizione sanante dopo la dichiarazione di dissesto (ossia dopo il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato) non accerterebbe un debito preesistente ma, piuttosto, lo determinerebbe ex novo, quantificandone anche l’ammontare.
Si tratterebbe, in sostanza, di un provvedimento avente natura costitutiva (di una posta passiva prima inesistente) e non ricognitiva (di un debito preesistente).
Ciò sarebbe confermato dal fatto che il provvedimento adottato produce un effetto traslativo ex nunc, disponendo pro futuro.
Pertanto, ad avviso di questo indirizzo, compete agli organi istituzionali dell’ente in dissesto decidere se restituire il fondo o, in alternativa, emanare il provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis.
In quest’ultimo caso la scelta di acquisire il bene determinerebbe la costituzione ex novo di una posta passiva, comportando che i relativi oneri gravino solo ed esclusivamente sul bilancio ordinario dell’Ente.
L’organo straordinario di liquidazione avrebbe competenza solo per il pagamento di quei debiti pecuniari già sorti, ossia quelli in cui la fattispecie costitutiva si sia integralmente realizzata.
In questi termini, l’art. 42 bis nel disciplinare le poste indennitarie da corrispondere per il soddisfacimento del privato distingue, oltre al ristoro per l’esproprio parametrato al valore venale del bene, anche ulteriori somme parametrate al cinque per cento annuo corrispondente al risarcimento per l’occupazione illegittima e al 10% del valore venale per ristorare il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale.
Di conseguenza, gli organi ordinari dell’Ente sarebbero tenuti a corrispondere il valore venale del bene, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale nonché l’ulteriore somma dovuta per il ristoro dell’occupazione illegittima dopo il 31 dicembre, precedente a quello dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, e sino alla data di emanazione del provvedimento di acquisizione.
Secondo il Consiglio di Stato, nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione rientrerebbe, invece, soltanto la corresponsione del risarcimento del danno da occupazione illegittima per ogni anno di occupazione antecedente all’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.
In definitiva, l’obbligazione indennitaria non potrebbe considerarsi, sotto alcun profilo, alla stregua di un debito preesistente al dissesto in quanto sarebbe solo l’atto discrezionale di acquisizione a far nascere il debito peraltro collegato ad un effetto traslativo non retroattivo.
Accogliere questa interpretazione non è di poco conto perché renderebbe inapplicabile anche il principio, sancito dall’art. 248 comma 2 del testo unico degli enti locali, che vieta di intraprendere o proseguire azioni esecutive a carico dell’Ente per debiti correlati alla procedura liquidatoria.
4. L’orientamento “sostanziale”: la competenza è dell’Organo Straordinario di Liquidazione
Altro orientamento, di natura spiccatamente sostanziale, attribuisce all’Organo Straordinario di liquidazione la competenza ad adottare sia il provvedimento di acquisizione sanante sia i conseguenti atti di liquidazione correlati.
I giudici prescindono dal momento in cui il debito è sorto contabilmente quale posta passiva pecuniaria, piuttosto fanno richiamo al momento in cui il si è verificato il “fatto o atto” eziologicamente riconducibile alla manifestazione contabile.
Secondo un’importante pronuncia del Consiglio di Stato, intervenuta nel 2018, è irrilevante indagare sulla liquidità ed esigibilità del credito prima o dopo la dichiarazione di dissesto perché “anche i debiti dell’ente locale che diventano liquidi ed esigibili dopo il dissesto entrano nella massa passiva e nella liquidazione concorsuale se derivano da fatti e atti di gestione anteriori alla dichiarazione di dissesto”.
A questa conclusione giunge anche l’Adunanza Plenaria, con la pronuncia n. 15 del 2020, secondo cui, operando una interpretazione coordinata degli articoli 252, 254 del testo unico degli enti locali e dell’art. 5 comma 2 del decreto legge n. 80/2004, rientrano nella competenza dell’O.S.L. non solo le poste passive già contabilizzate alla data della dichiarazione di dissesto ma “anche tutte le svariate obbligazioni che, pur se stricto jure sorte in seguito, costituiscano comunque la conseguenza diretta e immediata di atti e fatti di gestione pregressi alla dichiarazione di dissesto”. [4]
Il percorso logico-giuridico seguito dai Giudici amministrativi si fonda su tre argomentazioni: letterale, contabile e teleologico.
Sul piano letterale il provvedimento di acquisizione sanante ha per presupposto “l’indebita utilizzazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”.
In tal senso, l’art. 42 bis comma 4 del D.P.R. 327/2001 statuisce che il provvedimento di acquisizione sanante deve indicare “le circostanze che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio”.
In questi termini, se è pur vero che il provvedimento acquisitivo non accerta un debito preesistente ma lo determina ex novo, non avendo carattere ricognitivo bensì costitutivo, tuttavia, risulta certamente correlato ad atti e fatti di gestione verificatisi prima del 31 dicembre antecedente all’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.
Anche sul piano contabile la conclusione non può essere diversa: se i fatti sono cronologicamente ricollegabili all’arco temporale anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, il successivo provvedimento che fa sorgere il titolo di spesa non può che essere imputato alla gestione liquidatoria.
Peraltro, la stessa Corte Costituzionale, nella pronuncia del 21 giugno 2013 n. 154, relativa ad analoghe disposizioni (art 4 comma 8 bis ultimo periodo d.l. 2/2010, conv. in l. n. 42/2010) per le obbligazioni della gestione commissariale del Comune di Roma, sosteneva la coerenza e legittimità di una norma che – in una procedura concorsuale quale quella del dissesto - ancori ad una certa data il fatto genetico dell’obbligazione.
Sarebbe, invece, del tutto irragionevole far dipendere l’imputabilità, alla gestione commissariale o alla gestione ordinaria, dal momento in cui si forma il titolo esecutivo.
La Plenaria svolge anche un ulteriore passaggio, che sarà oggetto di successivo approfondimento, secondo cui “non solo il debito viene imputato al bilancio della gestione liquidatoria sotto il profilo amministrativo – contabile, e non a quello della gestione ordinaria, ma anche la competenza amministrativa ad emanare il provvedimento che costituisce il titolo di spesa deve essere attribuita al Commissario liquidatore, in quanto è quest’ultimo soggetto che deve costituire la relativa partita debitoria del bilancio da lui gestito”.
La competenza dell’Organismo Straordinario di Liquidazione sarebbe coerente anche sul piano dell’interpretazione teleologica: le norme sul dissesto finanziario, essendo preordinate al ripristino degli equilibri di bilancio degli enti locali in crisi, mediante un’apposita procedura di risanamento, delineano una netta separazione di compiti e competenze tra la gestione passata e quella corrente.
E quest’ultima sarebbe pregiudicata se in essa confluissero anche debiti imputabili alla gestione “fallimentare” che ha portato alla dichiarazione di dissesto.
I Giudici di Palazzo Spada osservano, infatti, che la ratio della normativa sul dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali, può produrre effetti positivi “solo se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’Ente possano essere attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento sia successivo” con l’unico limite rappresentato dall’approvazione del rendiconto della gestione che segna la chiusura della gestione liquidatoria.
Le argomentazioni svolte dall’Adunanza Plenaria trovano eco anche nella giurisprudenza della Corte dei Conti.
Con deliberazione della Sezione Autonomie n. 12 del 2020 la Corte dei Conti ha affrontato il tema del previo riconoscimento del debito fuori bilancio da parte del consiglio comunale ai fini dell’inserimento nel piano di rilevazione.
La Corte, nel disattendere le conclusioni della Sezione rimettente e nell’affermare la competenza esclusiva dell’O.S.L. a riconoscere il debito fuori bilancio, ha analizzato le norme sul dissesto ritenendo che le disposizioni che regolamentano l’attività dell’organo straordinario di liquidazione costituiscano un vero e proprio “microsistema extra ordinem” informato al principio della par condicio creditorum ed alla tutela della concorsualità.
Nello specifico, la Corte dei Conti definisce l’O.S.L. quale “dominus esclusivo della peculiare procedura finalizzata al risanamento dell’Ente” e come tale assume anche il ruolo di organo sostitutivo di quelli ordinari dell’Ente, titolare di elevati poteri organizzatori. Secondo i Giudici contabili una “netta cesura” tra le due gestioni sarebbe, peraltro, deducibile proprio dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5 comma 2 del decreto legge 29 marzo 2004 n. 80 conv. dalla legge 28 maggio 2004 n. 140.
La gestione dissestata prevede “non solo procedure straordinarie ad hoc per il dissesto ma anche competenze straordinarie ad hoc ed un organo straordinario ad hoc, in funzione sostitutiva di quelli ordinari”.
In linea con la ricostruzione dei giudici amministrativi anche il giudice contabile rileva, pertanto, come “la norma di interpretazione autentica sia espressione della volontà del legislatore di rendere quanto più ampia la competenza dell’organo straordinario di liquidazione”.
A distanza di poco meno di due anni, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato si è ritrovata, tuttavia, a dover affrontare nuovamente la questione, già esaminata nella pronuncia n. 15 del 2020.
Con ordinanza di rimessione veniva proposta una rimeditazione della questione alla luce dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, già sanciti nella sentenza De Luca contro Italia.[5]
Per la sezione rimettente l’avvio della procedura di dissesto finanziario a carico di un ente locale e la nomina di un organo straordinario di liquidazione, nonché l’interpretazione autentica svolta con l’art. 5 del decreto legge 80/2004, sarebbero in contrasto con i principi di protezione della proprietà e di accesso alla giustizia riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo tutte le volte in cui occorrerebbe attendere l’esito del procedimento di riequilibrio per ottenere il pagamento dei debiti accertati giudizialmente.
Pertanto, dovrebbe essere ripensata la disciplina normativa sul dissesto e in particolare “il principio secondo cui tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’Ente vanno attratte alla competenza dell’O.S.L. benché il relativo accertamento giurisdizionale o amministrativo sia successivo”.
Nel caso affrontato dai Giudici di Palazzo Spada l’ente aveva dichiarato il dissesto finanziario e, in seguito, si era formato un decreto ingiuntivo non opposto dichiarato esecutivo, cui conseguiva il ricorso per ottemperanza dinanzi al Tar Lazio.
Trattandosi di provvedimento giurisdizionale, intervenuto in relazione a fatti precedenti alla dichiarazione di dissesto finanziario, non potevano essere intraprese o proseguite azioni esecutive ai sensi dell’art. 248 comma 2 del testo unico degli enti locali.
Di conseguenza, in ossequio al principio di par condicio creditorum e di tutela della concorsualità, non poteva essere intrapreso neanche il ricorso di ottemperanza quale misura coattiva di soddisfacimento del credito.
Per questi motivi la Sezione rimettente chiedeva all’Adunanza Plenaria di individuare una soluzione interpretativa che potesse rendere conforme gli articoli 252 comma 4 del d.lgs. 267/2000 e 5 comma 2 del d.l. 80.2004, convertito nella legge n. 140/2004, ai principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
L’Alto Consesso ripercorre gli interventi normativi e giurisprudenziali, sopra delineati, e ribadisce che, alla luce del dettato normativo, ove gli atti e fatti cui è correlato il provvedimento giurisdizionale sono imputabili al periodo anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, l’atto che fa sorgere il titolo di spesa non può che essere di competenza della gestione liquidatoria, a condizione che sia emanato prima dell’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256 comma 11.
Peraltro, nella ricostruzione dei giudici di Palazzo Spada, il debito viene imputato sia finanziariamente sia sotto il profilo amministrativo alla gestione dell’O.S.L. e da ciò ne deriva anche il divieto di intraprendere procedure esecutive fino all’approvazione del rendiconto della gestione.
Anche sul piano teleologico i Giudici ripercorrono quanto già statuito nella precedente Plenaria n. 15/2020 secondo cui le norme sul dissesto finanziario hanno un preciso obiettivo, quello del ripristino degli equilibri di bilancio degli enti locali in crisi mediante un apposita procedura di risanamento; inoltre, tali disposizioni delineano una netta separazione tra la gestione passata e quella corrente che sarebbe, quest’ultima, pregiudicata se in essa confluissero anche debiti sostanzialmente imputabili alla precedente gestione amministrativa.
Opinando diversamente, ossia imputando alla gestione corrente i titoli di spesa accertati con provvedimento successivo alla dichiarazione di dissesto (pur se correlati a fatti anteriori), si metterebbe “a rischio l’esercizio delle stesse funzioni e dei servizi fondamentali svolti dal Comune” che non potrebbe sostenere sul piano finanziario i costi di tali funzioni e servizi, essendo di fatto in uno stato di insolvenza.
Alla luce delle argomentazioni espresse, i Giudici rigettano anche i possibili dubbi di legittimità costituzionale: lo scopo di ripristinare gli equilibri di bilancio e quindi di normalità finanziaria e di capienza finanziaria, che altrimenti sarebbe compromesso dai debiti sorti nel periodo antecedente, risulta prevalente rispetto agli interessi individuali e patrimoniali dei privati, ancorché accertati con provvedimento giurisdizionale.
Anche sul piano del contrasto con i principi della CEDU la Plenaria esprime parere contrario.
Come è noto, in forza dell’art. 117 comma 1 della Costituzione, nasce un dovere per il legislatore ordinario di non violare le previsioni contenute in accordi internazionali. Le norme della C.E.D.U. assumono, pertanto, il ruolo di norme interposte di livello subcostituzionale che, da una parte, sono idonee a fungere da parametro di costituzionalità, dall’altra, sono esse stesse oggetto del giudizio di costituzionalità in quanto la Costituzione non può di certo essere integrata da fonti che ne violino i valori precettivi.
Pertanto, anche le norme sul dissesto, che comportano una netta separazione tra gestione passata e gestione corrente con l’attribuzione della competenza all’O.S.L. per i titoli di spesa correlati a fatti anteriori all’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, devono essere interpretate alla luce dell’art. 117 comma 1 della Costituzione e della CEDU.
Ove si ravvisi un contrasto con i parametri della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la soluzione non potrà che essere la rimessione alla Corte Costituzionale per valutarne la conformità al dettato costituzionale ex art. 117 comma 1 Cost..
I Giudici, tuttavia, non hanno rinvenuto tale contrasto nell’ipotesi, avanzata dall’ordinanza di rimessione, in cui lo stato di dissesto, non essendo a priori limitato temporalmente, “potrebbe determinare una espropriazione sostanziale del diritto di credito del privato, le cui azioni esecutive sarebbero paralizzate sine die”.
Infatti, i possibili effetti deteriori per il privato creditore “deriverebbero non dal dato normativo bensì dalla gestione concreta della procedura liquidatoria”.
Il legislatore, nel disciplinare la netta separazione tra le due gestioni, avrebbe avuto di mira l’esigenza di assicurare massima certezza e maggiore rapidità nella soddisfazione del ceto creditorio dell’ente locale nel rispetto dei principi ordinatori delle procedure concorsuali.
La gestione liquidatoria sarebbe – secondo il Supremo Consesso – analoga alla gestione del fallimento privatistico, anche esso non soggetto a termini finali certi, senza che per questo si sia dubitato della legittimità costituzionale.
In tal senso, i giudici richiamano gli interventi normativi del d.lgs. n. 77 del 1995 e del relativo decreto correttivo (d.lgs. 11 giugno 1996, n. 336) che hanno previsto alcune cause di prelazione dei crediti, la predisposizione da parte dell’O.S.L. di un piano di rilevazione dei debiti recante l’elenco di quelli esclusi dalla massa passiva della procedura, finalizzato all’erogazione del mutuo con la Cassa depositi e prestiti, e il pagamento in acconto dei debiti inseriti nel piano di rilevazione, interventi questi che hanno intensificato il processo di omologazione tra dissesto degli enti locali e fallimento privatistico.
Inoltre, la normativa sui ritardi nelle transazioni commerciali prevederebbe una compensazione pecuniaria (attraverso gli interessi di mora) offerta al credito per sopperire al rischio dell’attrazione alla gestione liquidatoria.
In forza di tali considerazioni, i Giudici concludono per escludere il contrasto con la Costituzione, sia in via diretta sia indiretta, attraverso il parametro ex art. 117 comma 1 Cost., riconfermando che nel procedimento di dissesto sussista “un equilibrato e razionale bilanciamento, a livello normativo, con la necessità, da un lato, di ripristinare la continuità di esercizio dell’ente locale incapace di assolvere alle funzioni e i servizi indispensabili per la comunità locale, e, dall’altro, di tutelare i creditori”.
L’opzione ermeneutica seguita è, pertanto, quella di ritenere che le disposizioni sopra esaminate abbiano inteso concentrare, in capo alla gestione straordinaria, tutte le poste debitorie comunali, causalmente e funzionalmente correlate a scelte e condotte gestionali anteriori al dissesto, a prescindere dalla relativa qualificazione giuridica, dall'eventuale sopravvenienza al dissesto e dall'intervenuta emanazione, in proposito, di pronunce giurisdizionali
5. L’orientamento che distingue la competenza amministrativa da quella contabile
Nonostante l’intervento nomofilattico della Plenaria del Consiglio di Stato, l’orientamento cosiddetto “sostanziale” non sembra aver sopito i dubbi sull’organo competente ad adottare il provvedimento di acquisizione sanante in regime di dissesto.
La Sezione Autonomie della Corte dei Conti, con una importante pronuncia di coordinamento della giurisprudenza contabile, pur affermando di concordare con l’orientamento dei Giudici Amministrativi, ha apportato alcuni correttivi.[6]
In via generale la Corte riconosce il principio di diritto, secondo cui rientra nella competenza dell’Organismo Straordinario di liquidazione gestire i debiti correlati a prestazioni di servizio professionale contrattualizzate entro il 31 dicembre dell’esercizio precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, ma ne esclude alcune fattispecie.
Si tratta di quei casi in cui la particolare struttura del contratto o il carattere continuativo o periodico delle prestazioni determini la manifestazione degli effetti economici, connessi all’esecuzione, successivamente alla stipula del contratto.
In queste ipotesi, i giudici della Corte dei Conti si distanziano dal principio espresso dall’Adunanza Plenaria ritenendo che, per i contratti a prestazioni periodiche o continuative, attribuire la competenza all’O.S.L. in forza del solo aspetto genetico dell’obbligazione andrebbe a ledere “il diritto dei creditori con l’effetto di paralizzare anche l’erogazione dei servizi resi dalla gestione ordinaria che, proprio attraverso il dissesto finanziario, ha inteso ritrovare la propria serenità finanziaria”.
Il percorso logico giuridico, seguito dai giudici contabili, evidenzia che non occorre andare incontro alla metodologia contabile applicata nel tempo “bensì al fatto gestionale che ha determinato, in concreto, un arricchimento patrimoniale dell’ente ovvero un suo impoverimento (nel caso di sopravvenienze passive)”.
Solo in questo modo, nei contratti di durata, verrà garantita la par condicio creditorum e la regolare prosecuzione dell’attività di competenza dell’amministrazione ordinaria.
La Corte dei Conti aggiunge che “la corretta tenuta della contabilità armonizzata agevola ma non sancisce – da sola- l’esclusione o meno dalla massa passiva di fatti e atti verificatisi prima dell’esercizio di efficacia della dichiarazione di dissesto.
Ciò che determina l’attrazione nella massa passiva è il fatto di gestione che abbia, in concreto, determinato una manifestazione economica (costo), con conseguente arricchimento o depauperamento patrimoniale”.
In tal modo, i giudici contabili escludono una interpretazione letterale della norma dell’art. 5 comma 4 del decreto legge n. 80 del 2004 che “finirebbe per imputare al dissesto tutta una serie di contratti che spaziano dai rapporti di lavoro alle prestazioni periodiche e continuative (acqua, luce e gas), dai contratti di mutuo ai contratti di locazione o di leasing, dai contratti di manutenzione pluriennale ai contratti per forniture di beni e servizi aggiudicati e vigenti per le quali si è in presenza di “obbligazioni giuridicamente perfezionate” le cui dimensioni finanziarie ed economiche non si sono ancora manifestate o, comunque, esaurite”.
Di conseguenza, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del decreto legge 29 marzo 2004 n. 80, vanno attratte alla competenza dell’O.S.L. tutte le prestazioni riferibili a contratti ad esecuzione istantanea e contratti a prestazioni periodiche o continuative che sono state già eseguite e per le quali non sia invocabile un rimedio risolutorio o restitutorio. Quindi andrà svolta una valutazione in concreto della natura del contratto: ad esempio, anche nel caso di una consulenza questa potrà avere la natura di contratto ad esecuzione istantanea o differita che si esaurisce in un’unica prestazione, ovvero di un contratto di durata le cui prestazioni vanno rese nel tempo. E in quest’ultimo caso le prestazioni realizzatesi dopo il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato saranno da imputarsi sul bilancio della gestione ordinaria.
L’intervento della Corte dei Conti rappresenta, pertanto, un’erosione, almeno con riguardo alle fattispecie dei contratti di durata, di quel principio sancito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui in capo all’Organismo Straordinario di liquidazione va attribuita un’ampia competenza per tutti i debiti correlati a “fatti e atti di gestione” antecedenti all’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.
Anche sul piano della competenza amministrativa alcune recentissime pronunce del Tar Sicilia e Campania hanno manifestato una distanza rispetto a quanto statuito dai Giudici di Palazzo Spada accogliendo una nuova analisi della fattispecie concreta che ha portato ad aderire ad una soluzione intermedia e, in parte, differente dai due orientamenti analizzati nei paragrafi precedenti.
I giudici siciliani e campani operano una necessaria distinzione tra la competenza amministrativa, in ordine alla scelta di acquisire o restituire il bene, da attribuire alla gestione ordinaria e la competenza contabile di “liquidazione del titolo di spesa” di spettanza, invece, dell’Organismo Straordinario di liquidazione.
L’opzione seguita non è altro che l’evoluzione del principio, già sancito dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui gli organi istituzionali devono occuparsi del “futuro” dell’ente, attraverso la gestione ordinaria, mentre gli organi di liquidazione devono gestire “il passato” procedendo a ripianare il pregresso indebitamento.
In questo quadro, la scelta dell’Amministrazione di restituire il bene, previa sua riduzione in pristino stato, ovvero di acquisirlo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 42 bis o ad altro titolo, non può che afferire alla gestione “futura” dell’ente.
Questa conclusione trova concordi i giudici su un principale argomento legato alla natura discrezionale della scelta amministrativa sottesa all’acquisizione sanante.
A questo va aggiunto una ulteriore argomentazione che seppure non fatta propria dai giudici, appare inestricabilmente connessa alle finalità perseguite con la procedura di acquisizione sanante.
Come è noto, la vicenda dell’occupazione (quale che sia la sua forma di manifestazione: di fatto, occupazione usurpativa o occupazione acquisitiva) ha per presupposto una condotta illecita dell’Amministrazione volta a comprimere il diritto di proprietà del privato che può venire meno, tra i vari modi, anche mediante l’acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001.
Ebbene, il legislatore disciplina tale modalità acquisitiva chiarendo che può essere svolta solo dopo che siano “valutati gli interessi in conflitto”.
Proprio questo giudizio valutativo, anche in un ente in regime di dissesto, non può essere sottovalutato.
Infatti, l’art. 42 comma 2, lett. l), del d.lgs. n. 267/2000 riserva ogni decisione in materia di acquisti e alienazioni immobiliari al consiglio comunale.
Il Consiglio di Stato che si è pronunciato su tale norma ha chiarito che “secondo tale disposizione devono essere adottati con delibera consiliare gli acquisti e alienazioni immobiliari, le relative permute, gli appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del Consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della Giunta, del segretario o di altri funzionari, includendo così anche l'ipotesi di acquisto di immobili disciplinata dall' art. 42 -bis del D.P.R. n. 327 del 2001”. [7]
L’attribuzione di tale scelta al Consiglio Comunale è correlata ad un’amplissima e rilevante discrezionalità[8] in capo all’organo di indirizzo, in coerenza con l’esigenza di valutare l’esistenza di “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico” volte all’acquisizione, anche all’esito di un’effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati.
Questo concetto è stato ribadito dalla recentissima pronuncia del Tar Sicilia del 2024, secondo cui “l’amministrazione è chiamata ad assumere preliminarmente una decisione frutto di un giudizio di natura discrezionale non riconducibile alla mera liquidazione di crediti di natura patrimoniale (derivanti o meno da titolo giudiziario) né consistente nella diretta emanazione di un atto amministrativo che contempli il titolo di spesa, rispetto alla quale il dissesto dell’ente non può determinare effetti preclusivi”[9].
L’attribuzione della competenza ad adottare tale scelta discrezionale in capo al Consiglio Comunale è giustificata, secondo la predetta pronuncia, dalla natura “esclusivamente tecnico contabile” dell’attività posta in essere dall’O.S.L. che, in quanto tale, è priva dei connotati della discrezionalità amministrativa.
In tal senso si è espresso anche il Tribunale amministrativo della regione Campania, in una pronuncia del 30 giugno 2023, nella quale ha aggiunto che l’organo straordinario di liquidazione “sarà eventualmente competente all’esito della scelta discrezionale (tra la restituzione e l’acquisizione) che il Comune deve tutt’ora compiere e dai cui dipendono anche la natura e l’entità delle conseguenti obbligazioni, di facere e di dare, queste ultime sole di competenza, anche amministrativa, della commissione di liquidazione”.[10]
Questa giurisprudenza che ha prospettato il dualismo di competenze (amministrativa e contabile) pone, come detto, a fondamento di questa opzione ermeneutica, la diversa natura delle scelte adottate dalla gestione ordinaria rispetto a quelle dell’organo liquidatore che opererebbe, invece, solo “mere valutazioni di ordine tecnico contabile in sede di ricognizione della situazione debitoria dell’Ente”.
Tale conclusione trova conforto anche in pronunce recenti del Consiglio di Stato secondo cui “l'organo di liquidazione non effettua mai valutazioni caratterizzate da discrezionalità amministrativa, a fronte delle quali sarebbero configurabili posizioni di interesse legittimo, ma compie meri accertamenti o, tutt'al più, valutazioni di ordine tecnico, nei confronti delle quali si pongono e permangono situazioni di diritto soggettivo”. [11]
Lo Scrivente, nel redigere il presente lavoro, ha ritenuto di particolare rilievo anche un ulteriore aspetto di natura teleologica non considerato da questa giurisprudenza: l’interesse pubblico perseguito dai due attori della gestione dell’Ente in fase di dissesto è sicuramente differente.
Nel caso dell’O.S.L., infatti, il fine del risanamento dell’ente sul piano contabile permea ogni atto amministrativo adottato.
Agli organi istituzionali dell’Ente, invece, spetta, perseguire, nell’ambito della gestione ordinaria dell’ente, anche finalità di pianificazione e valorizzazione del territorio che non possono essere rimesse ad un organo liquidatore.
Il provvedimento di acquisizione sanante, nonostante il termine generalmente utilizzato per la sua definizione, non costituisce una sanatoria quanto piuttosto un procedimento espropriativo semplificato che unisce in sé la dichiarazione di pubblica utilità e il decreto di esproprio.
Muovendoci in tale cornice, laddove debbano essere adottate scelte discrezionali funzionali al miglior perseguimento dell’interesse pubblico comunale quale, ad esempio, una pianificazione urbanistica che consenta alla cittadinanza di disporre di infrastrutture sociali e sportive, queste non potranno che essere rimesse all’organo deputate a farle, ossia il Consiglio Comunale.
Al contrario, l’interesse pubblico perseguito dall’Organismo liquidatore è sicuramente quello di risanamento dell’ente e della “gestione pregressa” al fine di consentire la continuità di esercizio dell’Ente locale.
La dottrina più recente ha, peraltro, definito lo stretto legame tra espropriazioni e pianificazione nella materia urbanistica quale emblema della discrezionalità più ampia che in qualsiasi altro ramo della pubblica amministrazione.
D’altronde il potere comunale di autodeterminarsi in ordine all’assetto e utilizzazione del proprio territorio trova il fondamento costituzionale negli art. 5 e 114 comma 2 della Costituzione.
Nel caso in cui l’Ente nel procedere all’acquisizione al proprio patrimonio di un bene del privato conseguente alla realizzazione di un’ opera pubblica non potrà che effettuare valutazioni concernenti “le attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico” che richiedono una complessa valutazione di elementi che non sono riducibili all’esclusiva convenienza economica e alle conseguenze finanziarie, ma anche agli interessi pubblici da soddisfare, alla limitatezza delle risorse e agli interessi privati pregiudicati.
Motivi questi che non possono che far ritenere, sul piano amministrativo, la competenza in capo alla gestione ordinaria.
Per quanto concerne, invece, l’aspetto contabile la competenza permane in capo all’Organismo Straordinario di liquidazione.
Infatti, in consonanza alla giurisprudenza costituzionale e alle pronunce della Plenaria sopra esaminate, la procedura di risanamento divisata dalle norme inerenti il dissesto recate dal Titolo VIII, Capi II-IV del d.lgs. 267/2000, risulta informata all’esigenza di assicurare il ripristino degli equilibri di bilancio degli enti locali in crisi, “in guisa da impedire che debiti sostanzialmente imputabili alle precedenti gestioni amministrative confluiscano nella gestione corrente”, onde assicurare, per il futuro, la sostenibilità finanziaria del bilancio e la par condicio creditorum.[12]
Tale opzione ermeneutica, tracciata dalla giurisprudenza in esame, risulta coerente anche con quell’orientamento della giurisprudenza amministrativa che distingue l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza nei confronti di un ente in dissesto a seconda che debba essere adottato un obbligo di “facere” o di “dare”[13] .
Difatti, ove l’Amministrazione debba, in forza del decisum, esercitare un potere di natura discrezionale non riconducibile alla mera liquidazione di crediti di natura patrimoniale, derivanti o meno da titolo giudiziario, risulta ammissibile il ricorso in ottemperanza.
Di contro, ove si tratti di obblighi di liquidazione di un credito di natura pecuniaria il ricorso dovrà dichiararsi inammissibile per effetto dell’art. 248 comma 2 del d.lgs. 267 del 2000 in forza del quale non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella gestione liquidatoria.
In considerazione di quanto fin qui esposto, non seguire l’orientamento dell’Adunanza Plenaria e optare per la distinzione tra competenza amministrativa e contabile ha sicuramente il pregio di consentire all’Ente locale la possibilità di deliberare l’“acquisizione sanante”, esprimendo una scelta tipica di discrezionalità amministrativa, in coerenza con i propri obiettivi strategici.
E, in accordo con l’orientamento della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, i debiti correlati a “fatti o atti” di gestione potranno, invece, essere correttamente imputati, secondo un criterio sostanziale e non formale o pecuniario, all’organo liquidatore.
[1] Cfr. ex multis: Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 1340 del 2020 in www.giustizia-amministrativa.it
[2] Cfr. Cons Stato, Ad. Plen., sent. 9 febbraio 2016 n. 2 in www.giustizia-amministrativa.it
[3] Cfr. Cons. Stato, IV, ord. 22 luglio 2019 n. 5139, Cons. Giust. Amm. Sicilia, sent. 31 luglio 2017 n. 367 in www.giustizia-amministrativa.it
[4] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 9 aprile 2018, n. 2141 in Foro it., 2018, III, 302;
[5] cfr. sent. Corte Edu 24 settembre 2013, n. 43780/2004, De Luca c. Italia
[6] Cfr. Corte dei Conti, Sez Autonomie, delib. n. 21 del 18 dicembre 2020;
[7] cfr. ex plurimis: C.d.S., sez. IV, 10 maggio 2018, n. 2810; T.A.R. Toscana, sez. I, 15 maggio 2020, n. 572; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 6 dicembre 2019, n. 698 in www.giustizia-amministrativa.it
[8] cfr. Corte cost., 30 aprile 2015, n. 71; C.d.S., ad. plen., 9 febbraio 2016, n. 2 in www.giustizia-amministrativa.it
[9] Cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. V, sent. 18 marzo 2024, n. 997 in www.giustizia-amministrativa.it
[10] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. 30 giugno 2023, n. 3950 in www.giustia-amministrativa.it
[11] cfr. ex multis Cons. Stato Sez. V, Sent., 19 luglio 2022, n. 6238; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2012 n. 5170; TAR Campania Napoli, Sez. V, 20 febbraio 2020 n. 811 e 3 maggio 2019 n. 2353; TAR Piemonte, Sez. II, 17 aprile 2014 n. 6739
[12] Cfr. Corte cost., 21 giugno 2013, n. 154;
[13] Cfr. ex plurimis C.G.A. Sicilia, sent. 8 aprile 2024, n. 285 in www.giustizia-amministrativa.it;