ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La violenza di genere e misure di prevenzione: la valutazione della pericolosità nel contesto delle relazioni familiari
Nota a Corte d’Appello di Bari n. 27405 del 01.06.2022
di Rita Russo
Sommario: 1. La violenza domestica: prevenzione e repressione. - 2. La valutazione del contesto. - 3. L'interesse del minore.
1. La violenza domestica: prevenzione e repressione.
La violenza domestica e di genere è un fenomeno complesso che si è drammaticamente imposto negli ultimi anni alla attenzione del legislatore e degli operatori del diritto. Gli interventi legislativi in materia, in continua sovrapposizione ed aggiornamento, hanno creato un quadro difficile da decifrare, ove si intrecciano misure penali e civili, preventive e riparative. Particolare attenzione è stata riservata alle misure di prevenzione, poiché la violenza all’interno di una relazione familiare di regola non si manifesta subito nelle sue forme più severe, ma segue un andamento crescente (escalation): prima degli atti violenti più severi si presentano segnali d’allarme e indicatori che possono presagire violenze più gravi.
Nel sistema penale, la violenza domestica o di genere viene ricondotta dalla recente legge n. 69 del 2019 (c.d. codice rosso) alle seguenti fattispecie: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); violenza sessuale, aggravata e di gruppo (artt. 609-bis, 609-ter e 609-octies c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.); atti persecutori (art. 612-bis c.p.); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.); lesioni personali aggravate e deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 582 e 583-quinquies, aggravate ai sensi dell'art. 576, primo comma, nn. 2, 5 e 5.1 e ai sensi dell'art. 577, primo comma n. 1 e secondo comma.
Il sistema repressivo è strutturato con completezza e secondo parametri severi, tuttavia la Corte Edu lo ha considerato insufficiente a contrastare il fenomeno in due casi noti, di cui uno molto recente, rimproverando alle autorità italiane di non avere saputo valutare il rischio della escalation della violenza e di non aver adottato idonee misure preventive[1].
Si tratta, a ben vedere, di un rimprovero che riguarda più l'efficienza concreta del sistema che la sua struttura; ed infatti nell'ordinamento giuridico italiano gli strumenti di prevenzione della violenza domestica non solo esistono da molti anni, ma sono stati anche rafforzati ed ampliati di recente.
Per contrastare questi reati sono previste, in ambito penale, sia misure cautelari, che misure di prevenzione. In particolare, per apprestare una difesa anticipata delle potenziali vittime dei reati di questo tipo, si è fatto ricorso alle misure di prevenzione già previste per i delitti di mafia dal D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 estendendone la applicabilità anche alle persone indiziate di maltrattamenti in famiglia (2019) e di stalking (2017), ai sensi dell’art. 4 comma prima lett. i)ter. Le misure di prevenzione sono misure special-preventive, indipendenti dalla commissione di un precedente reato, e da qui la denominazione di misure ante delictum o praeter delictum. Il che comporta una marcata autonomia di queste misure rispetto alle misure cautelari penali e allo stesso processo penale: il giudice deve valutare se le condotte tenute siano sintomatiche della pericolosità sociale del proposto e anche quegli elementi che siano stati acquisiti nel corso di un processo che si è concluso con sentenza di assoluzione possono essere utilizzati ai fini di applicare la misura quando i fatti, pur ritenuti insufficienti a fondare una condanna penale, siano tuttavia in grado di giustificare un apprezzamento in termini di pericolosità[2].
Ciò ha portato la dottrina ad esprimere qualche dubbio sulla compatibilità di dette misure con l’art. 27 della Costituzione e sui presupposti scientifici della prognosi di pericolosità [3], rimarcando la differenza con la disciplina delle misure di sicurezza e delle misure cautelari personali, ove la base del giudizio di pericolosità è la commissione di un previo reato, e quindi il riferimento a una fattispecie incriminatrice determinata e tassativa.
Può di contro osservarsi che diverse sono le finalità del processo penale, che mira a irrogare la pena, e del procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione, che mira invece a prevenire condotte delittuose, ma con autonoma configurazione rispetto alle misure di sicurezza.
È vero che vi è una rilevante difficoltà nell'accertamento della pericolosità e nella valutazione del rischio quando non si può muovere da un fatto storico ben definito, ma soltanto da indizi di reato: si rischia infatti di cadere in pericolosi automatismi correlati alla presentazione di una denuncia, specie quando si tratta di reati di rilevante impatto sociale, quale è la violenza domestica e di genere. Ma il rigore con il quale si deve contrastare questo fenomeno non può trasmodare in una applicazione diffusa e indiscriminata delle misure di protezione, perché è sempre necessaria una attività di giudizio, vale a dire di discernimento e distinzione sulla base di criteri oggettivi e predeterminati.
Il caso esaminato dalla Corte d’appello di Bari con il decreto n. 27405 del 01/06/2022 del 19 maggio 2022 è esemplificativo della difficoltà di rendere un simile giudizio.
Una coppia di coniugi entra in crisi e il marito assume l’iniziativa della separazione chiedendo l’addebito alla moglie; un mese dopo quest’ultima sporge denuncia per maltrattamenti familiari. Mentre il giudizio di separazione segue il suo corso, viene richiesta ed applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. La Corte d’appello di Bari, adita dall’interessato, revoca la misura escludendo la sussistenza di un livello indiziario sufficientemente elevato per giustificare la misura nonché la attualità della pericolosità, e a tal fine valuta anche il contesto familiare e la intervenuta cessazione della convivenza coniugale.
Il decreto offre diversi spunti interessanti.
La Corte più che valutare il fatto in sé e cioè la sussistenza del quadro indiziario e la sua gravità, valuta il periculum, soffermandosi su due punti specifici: esamina il contesto familiare in cui sarebbero maturate le denunciate violenze e tiene in considerazione l'interesse delle figlie minori. Particolare rilievo viene dato alla circostanza che la denuncia penale, mai preceduta da altre richieste di intervento, viene presentata dopo che il marito ha proposto il ricorso per separazione con addebito e si è allontanato dalla casa familiare e che tra le parti non sussiste un'apprezzabile disparità socio-culturale. Si tratta di elementi apparentemente marginali, ma che rivestono invece una certa importanza, poiché la violenza in ambito familiare matura generalmente in un clima di prevaricazione, favorito da una situazione di disparità socio-economica e spesso trova il suo acme quando la vittima cerca di liberarsi del legame contro la volontà del soggetto maltrattante, che invece vuole mantenerlo.
2. La valutazione del contesto.
Le ipotesi di violenza domestica non sempre sono facilmente individuabili in punto di fatto: con essa si intende ogni forma di aggressione fisica, di violenza psicologica, morale economica, sessuale o di persecuzione, attuata o tentata, all’interno di una relazione familiare, o comunque di una relazione intima, presente o passata.
La violenza non necessariamente consiste in atti di aggressioni fisica che lasciano tracce visibili, ma può anche essere psicologica, e ciò significa che per contrastarla non basta il solo allontanamento tra vittima e oppressore, ma occorre impedire che possano essere esercitate pressioni, anche indirette, sulla vittima oppure strategie dirette ad isolare l’offeso dal contesto sociale e dal resto della famiglia.
La violenza può essere economica, ed in tal caso è costituita da una pluralità di comportamenti, tutti volti ad impedire che la vittima divenga economicamente autonoma o a farle perdere l’autonomia economica e quindi ad esercitare il controllo sulla vita del partner tramite il denaro. Vendere la casa familiare, intestare i propri beni a un prestanome, sottarsi continuativamente all’adempimento degli obblighi di collaborazione al ménage familiare, pretendere che la vittima consegni i propri guadagni al soggetto abusante, oppure renda conto minuziosamente delle spese, costituiscono atti di violenza specie quando la vittima non ha alcun autonomo accesso a risorse economiche alternative o supporto da parte della famiglia di origine.
Questo genere di comportamenti può trovare -a seconda dei casi- il suo inquadramento nel delitto di maltrattamenti in famiglia, che si può realizzare, come afferma la giurisprudenza della Corte di legittimità, anche tramite comportamenti aggressivi e prevaricatori, manifestazione della pervasiva volontà prevaricatrice e di controllo, tali da incidere sulle condizioni di vita della persona offesa, costretta a vivere la quotidianità con un senso di turbamento e paura[4].
Il termine “maltrattamento” presenta invero un certo grado di indeterminatezza e per percepircene adeguatamente il significato, rispettando il principio di tassatività, è necessario ancorarlo da un lato ai presupposti di carattere soggettivo e oggettivo che qualificano la condotta, e dall'altro al contesto in cui essa si verifica, in modo da rilevarne un contenuto offensivo compatibile con i principi costituzionali e con l'intera logica del sistema di tutela della famiglia. La caratteristica del reato è quella di punire comportamenti di vessazione fisica o morale non necessariamente qualificabili, se singolarmente considerati, come reato, ma ripetuti nel tempo ed in grado di arrecare offesa, perché la vittima non è un extraneus, ma un soggetto che la relazione familiare pone in condizione di vulnerabilità. All’interno della relazione familiare esistono infatti doveri di solidarietà e protezione che impongono ai loro componenti obblighi positivi, definiti dalla legge, e di astenersi anche da quelle condotte che, di scarso rilevo se tenute nei confronti di un terzo, divengono particolarmente offensive se tenute nei confronti del partner o di un figlio. Ad esempio, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche il pubblico disprezzo, che di per sé non è un reato, ove reiterato e tale da infliggere profonde umiliazioni, può costituire reato di maltrattamenti [5]. D'altro canto, è anche vero che all'interno del nucleo familiare la solidarietà comporta necessariamente un certo grado di tolleranza nei confronti delle offese minime (non penalmente rilevanti), che in un rapporto solido e sostanzialmente sano possono essere riparate spontaneamente.
La complessità di inquadramento refluisce anche sulle modalità di accertamento del reato o del suo fumus. Ai fini del processo penale rileva la ricostruzione storica di ciò che è avvenuto. La difficoltà in questo caso consiste prevalentemente nel reperire le fonti di prova e cioè testimoni attendibili e che abbiano assistito al fatto o ne conoscano sia pure indirettamente i dettagli, e documenti affidabili che con il fatto abbiano una stretta correlazione (ad esempio i referti medici). Nei giudizi per l’applicazione di una misura di prevenzione invece – e analogo problema si pone in sede civile per l’applicazione dell’ordine di protezione – la questione non è tanto o soltanto ricostruire il fatto, ma valutare il rischio, cioè rendere un giudizio prognostico su ciò che potrebbe avvenire.
Il giudizio di pericolosità sociale è uno dei più complessi che si possa immaginare, in particolare quando muove da una base fattuale i cui contorni sono ancora incerti.
La base fattuale è comunque necessaria: le limitazioni della libertà personale non possono fondarsi su un mero “processo alle intenzioni” e cioè sull’esame di quei moti che avvengono all'interno dell'animo umano e che non trovano alcuna manifestazione all'esterno: nessun fenomeno che si risolva in interiore homine rileva per il diritto. Ogni prognosi sfavorevole deve essere fondata su elementi concreti, idonei a dimostrare la pericolosità, l’attualità e la probabile condotta futura del soggetto. Si deve quindi muovere da fatti e comportamenti e da questi desumere la probabilità che il comportamento si ripeta o anche progredisca verso forme più gravi di aggressione dei beni protetti dalla norma. In questo modo si traccia il profilo di personalità del soggetto la cui pericolosità si deve valutare; ma sarebbe un errore pensare che si tratti di un esame meramente individuale perché la valutazione del contesto in cui i comportamenti sono tenuti è altrettanto rilevante, e in particolare quando si tratta di reati che, come quello di maltrattamenti, sono definiti dal contesto e presuppongono l'esistenza di una relazione tra vittima e aggressore.
Poiché la violenza domestica si connota essenzialmente come una prevaricazione che assume di volta in volta le forme più varie – violenza fisica, psicologica, economica – occorre fare attenzione a quegli elementi che favoriscono il crescere e il progredire degli atteggiamenti prevaricatori. Tra questi – come messo in evidenza dalla Corte d’appello di Bari – la attualità della convivenza e la condizione di disparità tra le parti.
Ed è determinante la distinzione tra la mera conflittualità, che è una dinamica molto comune nelle relazioni familiari in fase di dissoluzione, e la violenza, posto che la prima presuppone una situazione interpersonale basata su posizioni di forza (economica, sociale, relazionale, culturale) simmetriche, e di contro la violenza si esercita e si può esercitare perché la relazione è – o divenuta per effetto della violenza – asimmetrica. L’assenza di simmetria determina uno squilibrio di relazione e, quindi, in presenza di violenza non si può parlare di mero conflitto. Per distinguere la conflittualità dalla violenza non deve guardarsi soltanto al comportamento materiale, che potrebbe essere simile nell’uno e nell’altro caso, quanto ai rapporti di forza tra le parti. Ad esempio, la circostanza che la moglie rinunci alla attività extradomestica è un atto di violenza se imposto, è un atto di autonomia privata dei coniugi, che trova il suo riconoscimento nell’art 144 c.c., se frutto di un accordo assunto su posizioni di parità.
Altro elemento di particolare rilievo è la presenza nel contesto familiare di specifici fattori di rischio, quali l’alcoldipendenza, la tossicodipendenza, la disoccupazione, pregressi episodi di maltrattamenti nei confronti dello stesso partner o di partner diverso. Di per sé nessuno di questi fattori è decisivo, poiché ogni caso è diverso dall'altro, ma la loro presenza o assenza orientano il giudizio prognostico sulla pericolosità e quindi devono essere oggetto di indagine da parte del giudice investito della richiesta di una misura di prevenzione.
3. L'interesse del minore.
Altro elemento preso in considerazione dalla Corte d'appello di Bari è l'interesse delle figlie minori della coppia. Sebbene non si tratti di un giudizio che ha per oggetto l'affidamento delle minori, tuttavia vengono presi in considerazione gli effetti che la misura di prevenzione può avere sulla relazione familiare tra il genitore e le figlie. Si fa quindi applicazione del principio secondo il quale se il giudizio riguarda, sia pure indirettamente, la vita del minore, non può prescindersi la considerazione del best interest of the child.
Anche in questo caso rileva la distinzione tra conflitto e violenza.
La violenza nelle relazioni familiari investe di regola anche il minore, spesso nella forma della violenza assistita; il che comporta la necessità di valutare attentamente l’idoneità del soggetto violento ad esercitare le funzioni genitoriali o comunque ad esercitarle senza alcuna limitazione e controllo ed, eventualmente, supporto.
Il mero conflitto tra genitori invece non deve interferire con il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi, ma soprattutto con il diritto a ricevere da entrambi, e non solo dal genitore affidatario, la "prestazione genitoriale" e cioè cura, educazione, istruzione ed assistenza materiale e morale.
Una spinta decisiva alla affermazione di questi diritti è stata data dalla adesione dell'Italia alle Convenzioni internazionali sull'infanzia e in particolare la Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176, e la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli firmata a Strasburgo il 26 gennaio 1996 e ratificata con la L. 20 marzo 2003, n. 77. Il quadro si completa con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) che all'art. 24, tratta espressamente dei diritti del bambino affermando che "I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità".
Esprimendosi con le parole dall'art. 3 della Convenzione di New York del 1989, si può dire che al fanciullo devono essere assicurate le condizioni perché egli possa svilupparsi in modo sano e normale fisicamente, intellettualmente, moralmente, spiritualmente e socialmente, in condizioni di libertà e dignità e, in ogni decisione che lo riguarda il suo interesse deve essere considerato preminente.
Si esplicita così il principio della “prevalenza” dell'interesse del minore, ma senza trascurare l'importanza del diritto del genitore alla relazione familiare, diritto che pure esiste e che sarebbe irragionevole negare, a maggior ragione considerando che gli stessi diritti del minore sono attuati in chiave relazionale. È infatti da chiedersi se l'interesse del minore che il giudice deve tenere in considerazione è veramente “superiore”, cioè prevalente su qualsiasi altro interesse o soltanto il migliore, vale a dire che tra più scelte deve farsi quella che meglio garantisce il suo benessere psicofisico. A questa domanda se ne lega un'altra, sul se, quando e in che misura questo interesse vada bilanciato con ulteriori e diversi interessi di pari rango. La relazione familiare, infatti, non è un diritto solo del minore, ma anche dei genitori.
Un tempo si parlava di interesse superiore della famiglia, cui si potevano (e dovevano) sacrificare gli interessi individuali. La prospettiva si è oggi in un certo senso rovesciata, poiché si parla non più di interesse superiore della famiglia, ma di superiore o prevalente interesse del minore, perpetrando così un errore di fondo, quello di applicare alla famiglia la regola del conflitto, da dirimere individuando una parte vincente ed una soccombente, anziché promuovere la cultura della mediazione. Con la doverosa precisazione che, anche quando si parla di mediazione, è decisiva la distinzione tra violenza e conflitto. La mediazione non deve essere avviata nei casi di violenza familiare, come peraltro prevede la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia con legge 77/2013. Invece, nei casi di conflitto, la mediazione può essere particolarmente utile per riavviare il colloquio tra i genitori e aiutarli a trovare da soli la via migliore per continuare ad esercitare la responsabilità genitoriale, nell’interesse dei figli minori, nonostante la separazione.
In ogni caso, la decisone della interruzione dei rapporti tra i genitori e figli è una questione assai delicata, che non può essere regolata da automatismi, poiché la interruzione della relazione tra genitori e figli sul piano giuridico, ma anche naturalistico, si giustifica solo in funzione di tutela degli interessi del minore. In questi termini la giurisprudenza di legittimità ha affermato il giudice civile deve valutare autonomamente sia sotto il profilo materiale, sia sotto quello della potenziale dannosità per l'equilibrato sviluppo psicofisico del minore, la rilevanza dei comportamenti penalmente censurabili ascritti a un genitore ancora oggetto di accertamento in sede penale[6].
[1] Corte Edu, 2 marzo 2017, Talpis c. Italia, il testo in lingua italiana in www.giustizia.it; Corte Edu 7 aprile 2022, Landi c. Italia, in https://hudoc.echr.coe.int
[2] Cass. pen. sez. II, 05/04/2022, n.22732; Cass. Pen. sez. II, 18/01/2022, n.8166
[3] Cfr. anche per i riferimenti bibliografici, PETRINI, Le misure di prevenzione personali: espansioni e mutazioni in Dir. Pen. e Processo, 2019, 11, 1531
[4] Cass. pen. sez. VI, 30.05.2022, n.27166
[5] Cass. pen. Sez. VI, 12.10.2021, n. 2378
[6] Cass. civ. Sez. I Ord., 19.05.2020, n. 9143
Scheda n. 8 - Le modifiche al regime di procedibilità dei reati
NORME MODIFICATE: Artt. 582, 590-bis, 605, 610, 612, 614, 624, 634, 635, 640, 640-ter, 649-bis, 659, 660 c.p.
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
Gli artt. 2 e 3 del d. lgs. 150/2022 apportano importanti modifiche alla disciplina del regime della procedibilità di alcune fattispecie di reato di più frequente applicazione pratica, ampliando l’ambito di operatività della procedibilità a querela: nello specifico, l’art. 2 interviene su numerosi delitti contro il patrimonio e contro la persona, mentre l’art. 3 modifica il regime di procedibilità di due contravvenzioni.
Considerata la rilevante incidenza numerica delle fattispecie interessate dall’intervento legislativo, l’obiettivo della riforma è quello di conseguire in tal modo “effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario ed effetti positivi sulla durata complessiva dei procedimenti, nell’ottica di una maggiore efficienza del processo penale” (v. Dossier Camere del 7 settembre 2022).
Appare evidente che la nuova disciplina raccoglie almeno in parte le sollecitazioni giunte dalla Corte Costituzionale che, con la pronuncia n. 248/2020, in relazione alle diverse ipotesi di reato ex art. 590-bis c.p., aveva suggerito una complessiva rimeditazione circa la congruità del regime di procedibilità d’ufficio originariamente previsto.
L’estensione dell’ambito della procedibilità a querela trova però un limite generale nella necessità di tutelare alcune categorie di soggetti che non sono in grado di presidiare autonomamente i propri interessi attraverso l’esercizio del diritto di querela, in quanto incapaci, per età o per infermità: pertanto, qualora le persone offese dei reati interessati dalla modifica legislativa presentino tali caratteristiche, viene mantenuto l’originario regime di procedibilità di ufficio.
REATI CHE MUTANO REGIME DI PROCEDIBILÀ
Di seguito si propone un elenco riassuntivo delle fattispecie il cui regime di procedibilità viene modificato dagli artt. 2 e 3 del d. lgs. 150/2022.
Diventano procedibili a querela di parte:
1) le lesione personali, salvo che ricorra taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585 (ad eccezione di quelle contro ascendente o discendente, coniuge o unito civilmente, anche separati o divorziati, convivente, fratello, sorella, padre e madre adottivi, figli adottivi o affini in linea retta, che sono a querela), ovvero salvo che la malattia abbia una durata superiore a venti giorni e la persona offesa sia soggetto incapace, per età o per infermità;
2) le lesioni personali stradali gravi o gravissime, ad eccezione dei casi in cui ricorre una delle circostanze aggravanti previste dall’art. 590-bis c.p.;
3) il sequestro di persona, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;
4) la violenza privata, ad eccezione dei fatti aggravati ai sensi del secondo comma dell’art. 610 c.p. ovvero commessi ai danni di persona incapace, per età o per infermità
5) la minaccia, salvo che sia fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, o sia grave e ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, o la persona offesa sia incapace, per età o per infermità;
6) la violazione di domicilio, salvo che il fatto sia commesso con violenza alle persone, o il colpevole sia palesemente armato o il fatto sia commesso con violenza sulle cose ma nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;
7) il furto, salvo che la persona offesa sia incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorra taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numeri 7 - salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede - e 7-bis) ovvero nel caso di furto di componenti metalliche di infrastrutture per l’energia o il servizio di trasporto o telecomunicazioni, gestite da soggetti pubblici o concessionari pubblici;
8) la turbativa violenta del possesso di cose immobili, salvo che la persona offesa sia incapace, per età o per infermità;
9) il danneggiamento, ad eccezione del fatto commesso in occasione del delitto di interruzione di pubblico servizio o ai danni di persona incapace, per età o per infermità;
10) la truffa, purché non aggravata ai sensi del secondo comma dell’art. 640 c.p.;
11) la frode informatica, salvo non ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma, o vi sia approfittamento di circostanze della persona, anche in riferimento all’età, che ostacolano la difesa;
12) il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, o sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;
13) la molestia o disturbo alle persone, ad eccezione di quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.
Come evidenziato da Giuseppe Amara[1], la selezione compiuta dal Legislatore circa i reati per i quali prevedere una modifica del regime di procedibilità presenta alcune incongruenze rispetto agli obiettivi dichiarati della riforma, poiché rimangono procedibili d’ufficio ipotesi di contenuta offensività ma di frequente applicazione pratica (si pensi al caso del sequestro di persona). Inoltre, l’intervento legislativo non sembra tenere in considerazione l’offensività delle diverse fattispecie, al fine di individuare il regime di procedibilità applicabile, preferendo tracciare una linea di distinzione fondata su ragioni di carattere pratico più che teorico.
A tale proposito, va poi richiamata la presenza di alcune incongruenze nella disciplina introdotta dalla riforma, come l’aver mantenuto procedibile d’ufficio l’ipotesi delittuosa di danneggiamento aggravato dall’aver posto in essere il fatto su cose esposte alla pubblica fede, a fronte dell’esclusione della medesima aggravante dal novero di quelle idonee a rendere procedibile d’ufficio il reato di furto.
MODICHE DEL REGIME DI PROCEDIBILITÀ DEI REATI
TESTO RIFORMATO |
Art. 582 c.p. - Lesione personale. (Omissis) 2. Si procede tuttavia d’ufficio se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1, e nel secondo comma dell'articolo 577. Si procede altresì d’ufficio se la malattia ha una durata superiore a venti giorni quando il fatto è commesso contro persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 590-bis c.p. - Lesioni personali stradali gravi o gravissime. (Omissis) 8. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni lesioni a più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più̀ grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni sette. Il delitto è punibile a querela della persona offesa se non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dal presente articolo. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 605 c.p. – Sequestro di persona. (Omissis) 6. Nell’ipotesi prevista dal primo comma, il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 610 c.p. – Violenza privata. (Omissis) 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 612 c.p. – Minaccia. (Omissis) 3. Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 614 c.p. – Violazione di domicilio. (Omissis) 3. La pena è da due a sei anni se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato. 4. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio quando il fatto è commesso con violenza alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato o se il fatto è commesso con violenza sulle cose nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 623-ter c.p. - Casi di procedibilità d’ufficio. Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 612, se la minaccia è grave, 615, secondo comma, 617-ter, primo comma, 617-sexies, primo comma, 619, primo comma, e 620 si procede d'ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 624 c.p. – Furto. (Omissis) 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede d’ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorrono le circostanze di cui all’articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 626 c.p. – Furti minori. (Omissis) |
TESTO RIFORMATO |
Art. 634 c.p. - Turbativa violenta del possesso di cose immobili. 1. Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, turba, con violenza alla persona o con minaccia, l'altrui pacifico possesso di cose immobili, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 103 a euro 309. (Omissis) 3. Si procede d’ufficio se la persona offesa è incapace per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 635 c.p. – Danneggiamento. (Omissis) 5. Nei casi previsti dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso in occasione del delitto previsto dall'articolo 331 ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 640 c.p. – Truffa. (Omissis) 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall'articolo 61, primo comma, numero 7. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 640-ter c.p. – Frode informatica. (Omissis) 4. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o la circostanza prevista dall'articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all'aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all'età, e numero 7. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 649-bis. Casi di procedibilità d’ufficio. 1. Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 640, terzo comma, 640-ter, quarto comma, e per i fatti di cui all'articolo 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11, si procede d'ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale, diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace per età o per infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 659 c.p. - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. 3. Nell’ipotesi prevista dal primo comma, la contravvenzione è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 660 c.p. - Molestia o disturbo alle persone. 1. Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito, a querela della persona offesa, con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516. 2. Si procede tuttavia d’ufficio quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
DISCIPLINA TRANSITORIA
L'articolo 85 prevede una disciplina transitoria relativa alla possibilità di proporre querela da parte della persona offesa dei reati che rientrano nel catalogo di quelli sottratti all’ambito della procedibilità d’ufficio, stabilendo che, nel caso non sia ancora iscritto a registro notizie di reato un procedimento penale, il termine trimestrale per proporre querela decorra dall’entrata in vigore della riforma, ovvero dalla data del 31/12/2022.
A seguito della modifica operata dalla L. n. 199/2022 all’art. 85, co. 2 d.lgs. 150/2022, nel caso in cui sia già incardinato un procedimento penale relativo ad un reato originariamente perseguibile d’ufficio, la persona offesa non deve più essere informata dall’autorità giudiziaria della facoltà di esercitare il proprio diritto di querela, contrariamente a quanto previsto nella prima versione della norma introdotta.
Pertanto, per i reati divenuti perseguibili a querela della persona offesa e commessi prima del 30 dicembre 2022 il termine ordinario per la presentazione della querela decorre da tale data, sempre che la persona offesa abbia avuto in precedenza la conoscenza del fatto di reato a suo danno.
In forza al comma 2 dell’art. 85 d.lgs. 150/2022, come modificato dall’art. 5-bis D.L. 162/2022, convertito nella legge 199/2022, in relazione ai reati divenuti perseguibili a querela e per i quali può essere disposta misura cautelare personale, la misura in corso di esecuzione alla data del 30/12/2022 perde efficacia se entro 20 giorni, ossia entro il 19/01/2023, non viene acquisita la querela, anche attraverso l’iniziativa dell’autorità giudiziaria procedente.
Ai sensi del comma 2-ter dell’art. 85 d.lgs. 150/2022, come introdotto dall’art. 5-bis D.L. 162/2022, per i delitti di cui agli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter c.p. commessi prima del 30/12/2022 continua a procedersi d’ufficio, qualora il reato sia connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in forza dell’attuale disciplina.
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 85 d.lgs. 150/2022 - Disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità. 1. Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato. 2. Fermo restando il termine di cui al comma 1, le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l’autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A questi fini, l’autorità giudiziaria effettua ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del termine indicato al primo periodo i termini previsti dall’articolo 303 del codice di procedura penale sono sospesi. (Omissis) 2-ter. Per i delitti previsti dagli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si continua a procedere d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto. |
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 86 d.lgs. 150/2022 - Disposizioni transitorie in materia di notificazioni al querelante. 1. Per le querele presentate prima dell’entrata in vigore del presente decreto, le notificazioni al querelante sono eseguite ai sensi dell’articolo 33 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. 2.Quando il querelante non ha nominato un difensore, le notificazioni si eseguono presso il domicilio dichiarato o eletto dal querelante. In mancanza di dichiarazione o elezione di domicilio, le notificazioni sono eseguite a norma dell’articolo 157, commi 1, 2, 3, 4 e 8, del codice di procedura penale. |
[1] G. Amara, Riforma Cartabia. Principali questioni sul tappeto relative alla modifica del regime di procedibilità, in Giustizia insieme, 28.10.2022.
Scheda n. 7 - La nuova udienza predibattimentale dinanzi al G.M.
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
L’obiettivo della riforma è quello di introdurre una forma di udienza preliminare anche per i reati con esercizio dell’azione penale attraverso l’emissione del decreto di citazione a giudizio da parte del P.M. e, allo stesso tempo, istituzionalizzare e disciplinare all’interno del codice di procedura penale la c.d. udienza filtro, ossia la prassi consolidata e diffusa della prima udienza fissata dinanzi al GM esclusivamente per la verifica della regolare costituzione delle parti, le questioni preliminari e l’ammissione ai riti alternativi e deflattivi.
L’udienza predibattimentale, così viene denominata, è concepita come un’udienza in camera di consiglio e, pertanto, più agile e informale. Dovrà essere organizzata, appunto, come udienza camerale, con la partecipazione delle sole parti necessarie e interessate al singolo processo e con verbalizzazione sommaria.
Queste nuove modalità permetteranno da un lato la riduzione delle spese di registrazione e trascrizione, dall’altro la razionalizzazione nell’utilizzo delle aule dibattimentali (che risulteranno riservate alla trattazione dibattimentale dei processi per cui si svolgerà il giudizio ordinario o per i processi trasmessi a seguito di udienza preliminare).
CASI DI CITAZIONE DIRETTA A GIUDIZIO EX ART. 550 C.P.P.
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 550 c.p.p. - Casi di citazione diretta a giudizio. (Omissis) 2. La disposizione del comma 1 si applica anche quando si procede per uno dei seguenti reati: a) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 336 del codice penale; b) resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 337 del codice penale; c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell'articolo 343, secondo comma, del codice penale; d) violazione di sigilli aggravata a norma dell'articolo 349, secondo comma, del codice penale; e) rissa aggravata a norma dell'articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; e-bis) lesioni personali stradali, anche se aggravate, a norma dell'articolo 590-bis del codice penale; f) furto aggravato a norma dell'articolo 625 del codice penale; g) ricettazione prevista dall'articolo 648 del codice penale. (Omissis) | Art. 550 c.p.p. - Casi di citazione diretta a giudizio. (Omissis) 2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche nei casi previsti dagli articoli 336, 337, 337-bis, primo e secondo comma, 340, terzo comma, 343, secondo comma, 348, terzo comma, 349, secondo comma, 351, 372, 374-bis, 377, terzo comma, 377-bis, 385, secondo comma, con esclusione delle ipotesi in cui la violenza o la minaccia siano state commesse con armi o da più persone riunite, 390, 414, 415, 454, 460, 461, 467, 468, 493-ter, 495, 495-ter, 496, 497-bis, 497-ter, 527, secondo comma, 556, 588, secondo comma, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime, 590-bis, 611, 614, quarto comma, 615, primo comma, 619, secondo comma, 625, 635, terzo comma, 640, secondo comma, 642, primo e secondo comma, 646 e 648 del codice penale, nonché nei casi previsti: a) dall’articolo 291-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43; b) dagli articoli 4, quarto comma, 10, terzo comma, e 12, quinto comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110; c) dagli articoli 82, comma 1, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; d) dagli articoli 75, comma 2, 75-bis e 76, commi 1, 5, 7 e 8, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; e) dall’articolo 55-quinquies, comma 1, del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165; f) dagli articoli 5, comma 8-bis, 10, comma 2-quater, 13, comma 13-bis, e 26-bis, comma 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; g) dagli articoli 5, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74. (Omissis) |
Risultano estese le fattispecie per cui è previsto l’esercizio dell’azione penale mediante citazione a giudizio diretta (sul punto la legge delega prevedeva l’estensione per delitti puniti fino a sei anni di reclusione per i quali non vi fossero rilevanti difficoltà di accertamento).
Pertanto, accanto al comma 1° che resta invariato e prevede la soglia generale dei delitti puniti fino a quattro anni di reclusione, al comma 2° è stata ampliata l’elencazione con riferimento alle specifiche ipotesi di reato, venendo a ricomprendere, per esempio, il reato di cui all’art. 495 c.p. e il reato di cui all’art. 646 c.p. (per i quali, quindi, non sarà più necessaria la celebrazione dell’udienza preliminare, come appare più che mai ragionevole e opportuno).
IL NUOVO DECRETO DI CITAZIONE A GIUDIZIO EX ART. 552 C.P.P.
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 552 c.p.p. - Decreto di citazione a giudizio. 1. Il decreto di citazione a giudizio contiene: a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori; b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata; c) l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia; *** e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio; f) l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può presentare le richieste previste dagli articoli 438 e 444 ovvero presentare domanda di oblazione; g) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella segreteria del pubblico ministero e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia; h) la data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell'ausiliario che lo assiste. *** *** *** 1-bis. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale, e per i reati previsti dall'art. 590 bis del medesimo codice, il decreto di citazione a giudizio deve essere emesso entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari. *** (Omissis) 3. Il decreto di citazione è notificato all'imputato, al suo difensore e alla parte offesa almeno sessanta giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione. Nei casi di urgenza, di cui deve essere data motivazione, il termine è ridotto a quarantacinque giorni. 4. Il decreto di citazione è depositato dal pubblico ministero nella segreteria unitamente al fascicolo contenente la documentazione, gli atti e le cose indicati nell'articolo 416, comma 2. | Art. 552 c.p.p. - Decreto di citazione a giudizio. 1. Il decreto di citazione a giudizio contiene: a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori; b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata; c) l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; d) l'indicazione del giudice competente per l’udienza di comparizione predibattimentale nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza; e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio; f) l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, entro il termine di cui all’articolo 554-ter, comma 2, può presentare le richieste previste dagli articoli 438 e 444 e 464-bis ovvero presentare domanda di oblazione; g) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella segreteria del pubblico ministero cancelleria del giudice e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia; h) la data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell'ausiliario che lo assiste; h-bis) l’informazione all’imputato e alla persona offesa della facoltà di accedere a un programma di giustizia riparativa. 1-bis. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale e per i reati previsti dall'articolo 590-bis del medesimo codice, il decreto di citazione a giudizio deve essere emesso entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari. (Omissis) 3. Il decreto di citazione è notificato all'imputato, a pena di nullità, al suo difensore e alla parte offesa almeno sessanta giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione predibattimentale. Nei casi di urgenza, di cui deve essere data motivazione, il termine è ridotto a quarantacinque giorni. 4. Il decreto di citazione è depositato dal pubblico ministero nella segreteria unitamente al fascicolo contenente la documentazione, gli atti e le cose indicati nell'articolo 416, comma 2. |
Nei casi indicati dall’art. 550 c.p., come novellato, il P.M. esercita l’azione penale mediante emissione di decreto di citazione a giudizio, che dovrà necessariamente contenere ai sensi dell’art. 552 lett. d) c.p.p. l’indicazione del Giudice competente per l’udienza di comparizione predibattimentale. Inoltre, detto decreto dovrà contenere gli avvisi relativi alla facoltà di richiedere i riti alternativi di cui agli artt. 438, 444 e 464-bis c.p.p. nei termini di cui all’art. 554 ter comma 2 c.p.p., l’avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella Cancelleria del Giudice, nonché l’informazione della facoltà di accedere a un programma di giustizia riparativa (v. art. 552 lett. f), g) e h)bis c.p.p.).
Rimane il termine della notifica del decreto, a pena di nullità ai sensi dell’art. 552 comma 3 c.p.p., almeno sessanta giorni prima dell’udienza predibattimentale.
L’art. 553 c.p.p. dispone che il P.M. formi il fascicolo per il dibattimento e lo trasmetta al Giudice immediatamente dopo la notificazione del decreto, unitamente al fascicolo di cui all’art. 416 comma 2 c.p.p. (ossia ci sarà la trasmissione di un duplice fascicolo: quello del dibattimento e quello delle indagini preliminari).
L’UDIENZA DI COMPARIZIONE PREDIBATTIMENTALE A SEGUITO DI CITAZIONE DIRETTA EX ART. 554-BIS C.P.P.
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 554-bis c.p.p. - Udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta. 1. L’udienza di comparizione predibattimentale si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato. 2. Il giudice procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e della notificazione di cui dichiara la nullità. Se l’imputato non è presente si applicano le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420-ter, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies. 3. Le questioni indicate nell’articolo 491, commi 1 e 2, o quelle che la legge prevede siano proposte entro i termini di cui all’articolo 491, comma 1, sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente. Esse non possono essere riproposte nell’udienza dibattimentale. Si applicano i commi 3, 4 e 5 dell’articolo 491. 4. Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante, ove presente, è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione. 5. In caso di violazione della disposizione di cui all’articolo 552, comma 1, lettera c), il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l’imputazione e, ove lo stesso non vi provveda, dichiara con ordinanza la nullità dell’imputazione e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. 6. Al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero ad apportare le necessarie modifiche e, ove lo stesso non vi provveda, dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero. Quando il pubblico modifica l’imputazione, procede alla relativa contestazione e la modifica dell’imputazione è inserita nel verbale di udienza. Quando l’imputato non è fisicamente presente, il giudice sospende il processo, rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all’imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza. 7. Se a seguito della modifica dell’imputazione il reato risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nel caso indicato nell’ultimo periodo del comma 6, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata a norma del medesimo comma. Se a seguito della modifica risulta un reato per il quale è prevista l’udienza preliminare, la relativa eccezione è proposta, a pena di decadenza, entro gli stessi termini indicati nel periodo che precede. 8. Il verbale dell’udienza predibattimentale è redatto in forma riassuntiva a norma dell’articolo 140, comma 2. |
L’udienza di comparizione predibattimentale:
- Si svolge in camera di consiglio;
- Richiede la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore dell’imputato;
- Prevede gli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti e, qualora l’imputato non sia presente, l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 420 e ss. c.p.p.;
- Affronta e risolve tutte le questioni preliminari di cui all’art. 491 c.p.p., che devono essere decise “immediatamente” e non potranno essere riproposte all’udienza dibattimentale; nello stesso termine può essere disposto, d’ufficio o su richiesta di parte, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione per la decisione sulla competenza per territorio ai sensi del nuovo art. 24-bis c.p.p.;
- Prevede la necessaria verifica da parte del Giudice della possibilità di remissione della querela, qualora il querelante sia presente;
- Dispone che il Giudice, anche d’ufficio, verifichi che l’imputazione rispetti i parametri di cui all’art. 552 lett. c) c.p.p., ossia che l’enunciazione del fatto e delle circostanze sia chiara e precisa e siano indicati gli articoli di legge violati;
- Il Giudice, sulla base degli atti del fascicolo, ha la facoltà di invitare il P.M. a riformulare l’imputazione, nonché ad apportare le necessarie modifiche e, qualora il P.M. non vi provveda, con ordinanza dispone la restituzione degli atti;
- Nel caso di modifica dell’imputazione da parte del P.M., tale modifica viene inserita nel verbale e il verbale deve essere notificato all’imputato non presente (almeno 10 giorni prima della nuova udienza), con rinvio dell’udienza e sospensione del processo;
- Il verbale è redatto in forma riassuntiva.
I PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE NELL’UDIENZA PREDIBATTIMENTALE EX ART. 554-TER C.P.P.
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 554-ter c.p.p. - Provvedimenti del giudice. 1. Se, sulla base degli atti trasmessi ai sensi dell’articolo 553, sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se risulta che il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che l’imputato non è punibile per qualsiasi causa, il giudice pronuncia sentenza di non luogo procedere. Il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 425, comma 2, 426 e 427. Il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. 2. L’istanza di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell'articolo 444, di sospensione del processo con messa alla prova, nonché la domanda di oblazione sono proposte, a pena di decadenza, prima della pronuncia della sentenza di cui al comma 1. Entro lo stesso termine, quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l'applicazione di una pena sostitutiva di cui all'articolo 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 545-bis commi 2 e 3. 3. Se non sussistono le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere e in assenza di definizioni alternative di cui al comma 2, il giudice fissa per la prosecuzione del giudizio la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso e dispone la restituzione al pubblico ministero del fascicolo contenente la documentazione, i verbali e le cose indicati nell’articolo 416, comma 2. 4. Tra la data del provvedimento di cui al comma 3 e la data fissata per l’udienza dibattimentale deve intercorrere un termine non inferiore a venti giorni. |
Il GM dell’udienza predibattimentale, sulla base degli atti trasmessi dal P.M., deve valutare se sussistano i presupposti per una pronuncia di sentenza di non luogo a procedere nelle ipotesi già previste, come per esempio se sussiste una causa che estingue il reato o per cui l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, etc.
Inoltre, è chiamato a pronunciare sentenza di non luogo a procedere, e questa è un’importante novità introdotta sulla base della trasmissione di tutto il fascicolo del P.M. e che avvicina l’udienza predibattimentale all’udienza preliminare dinanzi al GUP, “anche quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”. Sul punto appaiono applicabili i parametri normativi e di formazione giurisprudenziale sulla analoga pronuncia ex art. 425 c.p.p., che dovranno essere ampliati sulla base di una valutazione logico-giuridica affidata al Giudice e che comporti una previsione di mancata sentenza di condanna.
È prevista una ipotesi di rinvio dell’udienza predibattimentale nel caso in cui l’imputato e il P.M. concordino l’applicazione di una pena sostitutiva ai sensi dell’art. 53 L. n. 689/1981 e la decisione non sia immediatamente possibile; in tal caso, infatti, il GM potrà sospendere l’udienza e rinviarla (non oltre il sessantesimo giorno) dando avviso anche all’ufficio di esecuzione penale esterna competente.
Da segnalare come ai sensi del nuovo art. 20-bis c.p. rubricato “Pene sostitutive delle pene detentive brevi” è stata ampliato l’ambito di applicazione delle pene sostitutive della reclusione e dell’arresto, in quanto la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate in caso di condanna fino a quattro anni, il lavoro di pubblica utilità fino a tre anni, la pena pecuniaria fino ad un anno.
Infine, ove non vi siano le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere e in assenza di definizioni alternative, il Giudice fissa per la prosecuzione del giudizio la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un Giudice diverso, in un termine non inferiore a venti giorni, e dispone la restituzione del fascicolo formato ai sensi dell’art. 416 comma 2 c.p.p. al P.M.
Ai sensi dell’art. 554-quinquies c.p.p. la sentenza di non luogo a procedere può essere revocata dal Giudice, su richiesta del P.M., qualora sopravvengano o si scoprano nuove fonti di prova.
DISCIPLINA TRANSITORIA
Quanto al momento di effettiva entrata in vigore e applicazione di questa parte della riforma, non essendovi disposizioni specifiche e/o derogatorie, per il generale principio del tempus regit actum si può ritenere che dalla data del 30 dicembre 2022 (in forza dell’art. 99-bis del D.L.vo n. 150/2022, come introdotto dall’art. 6 del D.L. n. 162/2022) l’esercizio dell’azione penale da parte del P.M. nei casi di citazione diretta dovrà essere effettuato mediante il nuovo decreto di citazione dinanzi al Giudice Monocratico per l’udienza predibattimentale ai sensi dell’art. 552 lett. d) c.p.p., secondo la nuova formula prevista e con la previsione dei nuovi avvisi (per es. quello che il fascicolo sarà depositato presso la Cancelleria del Giudice e non più della Procura oppure della facoltà di accedere a un programma di giustizia riparativa).
In questo senso si è pronunciata la Circolare del Ministero della Giustizia datata 20.10.2022 ove afferma: "l'avvenuto esercizio dell'azione penale costituisce lo spartiacque della fase procedimentale e, quindi, può essere inteso come punto di riferimento per operare la selezione degli affari soggetti alla previgente o alla nuova disciplina processuale".
Ora, in forza della disposizione di cui all’art. 89-bis D.L.vo n. 150/2022, introdotto dall’art. 5-octies del D.L. n. 162/2022 convertito nella L. n. 199/2022, è stato sancito legislativamente quanto già individuato in base di interpretazione, come sopra specificata, ossia che le disposizioni relative all’udienza di prima comparizione predibattimentale si applicano nei processi nei quali il decreto di citazione a giudizio viene emesso in data successiva al 30 dicembre 2022.
La risposta giudiziaria all’emergenza della violenza di genere e la sfida della formazione
di Costantino De Robbio
Sommario: 1. Introduzione: il fenomeno della violenza di genere e i diversi livelli di contrasto - 2. L’azione di contrasto di breve periodo: la repressione delle singole condotte di reato - 3. La risposta nel medio periodo: le recenti modifiche legislative - 4. Lo stato attuale dell’azione repressiva: miglioramenti e persistenti criticità - 5. La pronuncia della Corte EDU del maggio 2021 e la decisione del Comitato Cedaw del gennaio 2022 - 6. Il terzo livello del contrasto: la formazione dei magistrati in tema di violenza domestica e Codice Rosso - 7. Riflessioni conclusive.
1. Introduzione: il fenomeno della violenza di genere e i diversi livelli di contrasto
È fuori di dubbio che i reati riconducibili alla cosiddetta violenza di genere si sono negli ultimi anni moltiplicati in maniera esponenziale, sino a dare al fenomeno caratteristiche di vera e propria emergenza nazionale.
Secondo un dato recentemente pubblicato dal Servizio centrale anticrimine della Polizia di Stato, nel 2021, ogni giorno, si sono registrate presso gli uffici di polizia 89 vittime di violenza di genere[1].
Non si tratta, come è noto, di una forma delittuosa tipica del nostro Paese, essendo questo tipo di reati diffusi endemicamente in tutto il pianeta: da uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità emerge che più di una donna su tre in tutto il mondo è stata vittima di questo tipo di reati e che “la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni in tutto il mondo è l’uccisione di persone conosciute, in particolare del partner o ex partner”[2].
Si tratta di numeri e dati impressionanti, soprattutto considerando che si tratta di reati spesso connotati da violenza efferata; lo scenario appare ancora più inquietante se si considera che le condotte in esame sono rivolte nei confronti di vittime a cui il responsabile è legato da rapporto diretto (affettivo, verrebbe da dire se non stridesse in maniera evidente con le azioni delittuose in argomento) e non di rado risalente negli anni, quando non addirittura di convivenza.
Il comprensibile allarme sociale destato dal fenomeno ha fatto maturare la consapevolezza della necessità di una risposta straordinaria da parte dello Stato, conseguenza della constatazione della impossibilità di farvi fronte con gli strumenti apprestati dal codice penale e da quello di procedura penale per la repressione degli altri delitti.
In particolare, come sempre è avvenuto ogni volta che i numeri o la percezione dell’opinione pubblica hanno imposto la consapevolezza dell’esistenza di un fenomeno criminale particolarmente allarmante[3], è stata elaborata una risposta articolata in più livelli.
Un primo livello, che potremmo definire emergenziale o di breve periodo, è consistito nel rafforzamento della repressione delle singole condotte di reato, la cui realizzazione è affidata alle forze dell’ordine e alla magistratura, soprattutto inquirente, oggi sicuramente più preparate e consapevoli di quanto avvenisse in passato nell’affrontare questa emergenza criminale.
Al fine di rendere maggiormente incisiva l’azione repressiva sopra descritta sono state poi apportate modifiche legislative alle norme sostanziali e di procedura, affiancando dunque alla risposta nel breve periodo una reazione al fenomeno più meditata e destinata ad agire in una prospettiva temporale di maggior respiro (risposta di secondo livello o di medio periodo).
Infine, si sta affermando negli ultimi tempi la consapevolezza della necessità di agire in maniera più profonda e duratura, facendo leva sulla formazione di magistrati ed operatori del diritto al fine di dotare gli stessi di strumenti tecnici e culturali più adeguati a fronteggiare il fenomeno: è la risposta di terzo livello o di lungo periodo, destinata ad incidere in profondo e con risultati irreversibili per sradicare il fenomeno alla base.
Questo terzo livello di contrasto alla violenza di genere è oggetto specifico del presente breve scritto.
Naturalmente i tre livelli di intervento vanno coordinati e devono agire in sinergia e devono essere considerati tre aspetti della medesima risposta dello Stato all’emergenza criminale.
Pertanto, prima di approfondire gli aspetti culturali e formativi dell’azione dello Stato nel campo in esame, appare opportuna una brevissima panoramica dei primi due livelli, soprattutto per evidenziarne le refluenze sull’offerta formativa e quindi i legami con la risposta di lungo periodo.
2. L’azione di contrasto nel breve periodo: la repressione delle singole condotte di reato
La risposta immediata e quotidiana deve essere attuata attraverso un intervento sul territorio della Polizia Giudiziaria e l’attuazione di adeguate misure cautelari a protezione della vittima da parte della magistratura il più possibile tempestivi.
È noto che si tratta nella maggior parte dei casi di condotte di reato ingravescenti, dove l’autore reitera gli atti aumentandone progressivamente il tasso di aggressività. La violenza dei responsabili di queste condotte si alimenta di se stessa e quasi sempre si accompagna ad un senso di impunità che contribuisce a diminuire i freni inibitori e la sensazione di disvalore del fatto.
Occorre dunque sensibilizzare magistrati e forze dell’ordine in ordine alla necessità di agire presto e con fermezza, anche attraverso un incremento dell’azione della formazione degli operatori.
In questo senso vanno peraltro molte delle modifiche legislative introdotte negli ultimi anni, di cui parleremo di qui a breve.
Un ulteriore sforzo di sensibilizzazione dovrebbe essere rivolto ad evitare di lasciare la vittima sola con il peso di dover rappresentare alle forze dell’ordine ciò che le sta accadendo, ricercando con attenzione riscontri estrinseci e dichiarazioni di terzi.
Tale sforzo investigativo è necessario sia per l’ esigenza di rafforzare il compendio probatorio - che è comune ad ogni procedimento penale - che per evitare che il futuro dibattimento si risolva nella contrapposizione tra le dichiarazioni della vittima e quelle dell’imputato che è a volte fonte di uno dei più ricorrenti bias cognitivi in materia, costituito dalla implicita tendenza a svalutare le prime in presenza delle seconde, nonostante la chiara indicazione contraria agevolmente ricavabile dai principi generali del nostro codice di rito.
Ancora, un compendio accusatorio che non si accontenta delle sole dichiarazioni della vittima (anche se alle stesse, giova ricordarlo, la giurisprudenza unanime assegna da sempre valore sufficiente a considerare provato il reato, in presenza di congrua motivazione della sentenza di condanna) protegge dal rischio, sempre ricorrente in questo tipo di processi, che la vittima sia esposta ai tentativi del reo di condizionarne le condotte proprio in virtù della vulnerabilità e del legame personale con quest’ultimo.
È infatti tristemente noto a chiunque si sia occupato di questa materia nelle aule giudiziarie l’esorbitante numero delle ritrattazioni delle accuse da parte delle vittime di violenza, che portano in moltissimi casi al verificarsi del binomio misura cautelare - sentenza di assoluzione, spia evidente di un andamento non fisiologico del procedimento penale.
Questi dunque i settori in cui la formazione (di magistrati e forze dell’ordine) può migliorare e rendere più efficace (anche) il primo livello della risposta alla tipologia di delitti in esame.
3. La risposta nel medio periodo: le recenti modifiche legislative
Sulla scorta dell’esperienza maturata sul campo dagli operatori giudiziari, sono state realizzate negli ultimi anni diverse modifiche legislative destinate a rendere più efficace l’azione giudiziaria stessa.
In particolare, si è agito in un primo tempo mediante rafforzamento del presidio sanzionatorio, con inasprimento delle pene per le fattispecie di reato già esistenti e la creazione di nuove fattispecie di delitto (fondamentale l’istituzione del delitto di atti persecutori o stalking).
Contestualmente, sono state introdotte nel codice di procedura penale due misure cautelari pensate specificamente per questo tipo di reati[4]. Con la successiva modifica all'articolo 275, terzo comma del codice di procedura penale ad opera della legge 47 del 2015 è poi stata attribuita al giudice la possibilità di adottare misure cautelari anche cumulativamente[5].
È dunque ora possibile adeguare la risposta repressiva al caso concreto, coniugando massima efficacia con il minimo sacrificio della libertà personale del soggetto indagato per questo tipo di reati.
Anche su questo punto la formazione può giocare un ruolo importante, sottolineando come i presidi approntati, proprio perché comportano una compressione quasi irrilevante della libertà personale (in particolare l’ordinanza volta ad impedire a taluno di avvicinarsi ad un certo luogo), devono essere chiesti ed adottati senza indugio in presenza di una denuncia, convincente ed attendibile intrinsecamente, inerente una condotta violenta.
Per altro verso, l’adozione di una misura cautelare anche minima costituisce un deterrente rivelatosi in molti casi efficace, proprio perché fa cessare quel senso di impunità di cui si è detto in precedenza.
Infine, vanno menzionate le modifiche legislative adottate con la legge del 2019 (c.d. Codice Rosso), su cui basti rilevare che esse sembrano adeguatamente realizzare il principio di necessaria immediatezza dell’azione repressiva di cui si è detto in precedenza.
4. Lo stato attuale dell’azione repressiva: miglioramenti e persistenti criticità
Le innovazioni legislative sopra sommariamente descritte e la loro pronta metabolizzazione da parte degli organi di Polizia Giudiziaria e della magistratura inquirente (sia pure con le inevitabili eccezioni e le difficoltà dovute soprattutto alle croniche carenze di organico che affliggono la maggior parte delle Procure del nostro paese) ha comportato un indubbio aumento della repressione al fenomeno della violenza di genere.
Tuttavia, la risposta giudiziaria è sembrata non sempre all’altezza delle aspettative, soprattutto in considerazione del carattere endemico assunto dal fenomeno di cui si è detto.
In particolare, da più punti si è messo l’accento sulla difficoltà di tradurre l’intervento immediato in una repressione dagli effetti duraturi e tale da eliminare effettivamente il pericolo di recidiva in capo ai responsabili dei fatti criminosi.
In altri termini, gli interventi legislativi del 2009, 2013 e 2019 sembrano avere determinato un amento degli interventi in sede cautelare, cui – in percentuale esorbitante rispetto ad altre tipologie di reati - non è seguito il riconoscimento degli elementi raccolti da parte dei Tribunali chiamati a pronunciarsi sull’accertamento processuale dei fatti ipotizzati.
Va ovviamente rilevato che una quota parte di sentenze di assoluzione a fronte di decreti di rinvio a giudizio e persino di ordinanze cautelari deve ritenersi fisiologica ed è conseguenza del modello accusatorio adottato (sia pur con le note limitazioni) dal nostro processo penale.
È infatti logico e persino auspicabile che vi sia uno scollamento tra le decisioni assunte illico et immediato da parte del Giudice delle Indagini preliminari in sede cautelare e quelle adottate dal Tribunale dopo lo svolgimento pieno del contraddittorio. Se così non fosse, lo stesso processo penale come delineato dal nostro legislatore, con la divisione in fasi e la formazione della prova solo nella fase dibattimentale, non avrebbe ragion d’essere.
Tuttavia, come innanzi si diceva, il binomio misura cautelare – sentenza di assoluzione non può considerarsi pienamente fisiologico e comporta la necessità di una riflessione, soprattutto laddove si constati che in questo tipo di reati ricorre molto più di quanto non avvenga normalmente.
In altri termini, in presenza del ripetersi di fenomeni siffatti deve logicamente rilevarsi che o nei reati connotati da violenza di genere si ha un uso eccessivo dello strumento cautelare o si verifica un’anomala percentuale di sentenze di assoluzione, di cui occorre approfondire le cause.
In questo ultimo senso vanno le riflessioni di alcuni giuristi che da tempo rilevano una sottovalutazione delle particolari dinamiche relazionali tra vittima e reo in questo tipo di reati da parte di una certa magistratura giudicante, poco incline ad esempio – secondo questa ricostruzione – all’utilizzo dell’incidente probatorio, unico strumento processuale in grado di evitare i casi di vittimizzazione secondaria e le innumerevoli ritrattazioni in dibattimento delle accuse da cui è scaturito il procedimento penale.
A ciò si aggiungono le voci, sempre più numerose ed autorevoli, degli studiosi della violenza di genere (giuristi e non) che da tempo si interrogano sull’esistenza di un tipo particolare di bias cognitivo nelle decisioni dei giudici che si occupano di reati di violenza di genere, causa diretta di una rilevante parte delle pronunce di assoluzione registrate, non a caso (come meglio si dirà di qui a breve) nei processi di Appello.
Secondo la definizione più comune, i bias cognitivi sono processi di distorsione che intervengono, deviandole, nella valutazione dei fatti ed avvenimenti. Queste distorsioni portano a ricreare una propria visione soggettiva non corrispondente, in tutto o in parte, alla realtà.
In altri termini, si tratta di percorsi mentali indotti che alterano la capacità di giudizio. Come tali, essi possono influenzare le decisioni allontanandole da canoni di logica ed imparzialità. E’ evidente dunque il motivo per cui se ne studiano le applicazioni ai processi mentali che sono alla base delle decisioni dei giudici nei processi[6].
La peculiare categoria di bias cognitivi che affliggerebbe una parte dei giudici penali impegnati nelle decisioni nei processi relativi a reati nella materia in esame sarebbe data dall’esistenza di pregiudizi culturali derivanti dalla millenaria cultura maschilista che affliggerebbe, secondo questa ricostruzione, ancora oggi una rilevante parte della magistratura e che porterebbe ad una svalutazione del compendio probatorio nei processi, diretta responsabile delle sentenze di assoluzione.
Queste cause di distorsione dei giudizi in tema di violenza di genere sono indicate con il nome collettivo di stereotipi di genere.
Un recente studio su un significativo campione di sentenze dei giudici del nostro Paese, ad opera peraltro di un’esponente della categoria, ha messo in luce la persistente pervasività del fenomeno, evidenziando decine di sentenze emesse dai Tribunali e (soprattutto) delle Corti di Appello del nostro paese in cui la decisione appare viziata dalla presenza di questi stereotipi[7].
Con due pronunce emesse a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, il dibattito sull’esistenza degli stereotipi di genere è improvvisamente uscito dal circuito dottrinario per irrompere nelle aule giudiziarie, coinvolgendo altresì il mondo della formazione dei magistrati (ed è questo il motivo per cui si ne parla in questa sede).
5. La pronuncia della Corte EDU del maggio 2021 e la decisione del Comitato Cedaw del gennaio 2022
Il primo provvedimento è stato emesso nel maggio del 2021 dalla Corte EDU, che all’esito di un procedimento per violenza sessuale che riguardava il nostro paese ha qualificato come “deplorevoli ed irrilevanti” i riferimenti alla vita non lineare della vittima.
Nella motivazione la Corte ha altresì ammonito la magistratura italiana ad evitare di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni.
A distanza di pochi mesi da questo primo “ammonimento”, l’Italia è stata oggetto di una decisione di un organismo dell’ONU, che presenta forti analogie con quella della Corte EDU menzionata.
Va premesso che nel dicembre del 1979 l’assemblea Generale dell’ONU ha adottato la “Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle donne” (CEDAW); la Convenzione è stata ratificata dall’Italia nel 1985 con legge.
Nell’ambito delle iniziative connesse alla Convenzione è stato istituito un Comitato (c.d Comitato CEDAW) con il compito di esaminare i progressi realizzati dagli stati aderenti nell’adempimento degli obblighi della Convenzione e dunque operare un monitoraggio della situazione esistente in tema di discriminazione contro le donne. Tra le attribuzioni del Comitato riveste particolare interesse l’esame delle denunce di violazione della Convenzione presentate da singoli, all’esito del quale il Comitato emette delle Comunicazioni agli Stati contraenti.
Tali comunicazioni non hanno valore vincolante ma costituiscono raccomandazioni destinate al singolo Stato.
Il 18 luglio del 2022 il Comitato CEDAW ha formulato una importante Comunicazione nei confronti dello Stato italiano, dopo avere esaminato un processo per violenza sessuale, su impulso della denunciante.
Nell’esaminare il caso discusso davanti ai magistrati italiani, la CEDAW ha infatti concluso che le decisioni della Corte di Appello (che aveva assolto l’imputato dalle accuse, riformando la sentenza di condanna emessa dal Tribunale in primo grado) e della Corte di Cassazione (che aveva rigettato il ricorso confermando dunque e rendendo definitiva la pronuncia di assoluzione) sono state viziate da stereotipi di genere.
In particolare, ha affermato che “la decisione della Corte di annullare la condanna di C.C. per mancanza di prove che dimostrassero gli elementi del reato imputato, nonostante le significative prove forensi, mediche e testimoniali, possa essere attribuita solo a stereotipi di genere profondamente radicati che hanno portato ad attribuire un peso probatorio maggiore al racconto dell'imputato, che è stato chiaramente preferito, senza alcun esame critico delle argomentazioni della difesa, senza alcun riesame o revisione delle prove per consentire ai testimoni di spiegare eventuali incongruenze percepite. Il Comitato ritiene che questa decisione non segua una linea logica di ragionamento se misurata rispetto a qualsiasi criterio oggettivo e non risponda agli obblighi procedurali dello Stato parte”.
Si tratta dunque di un pronunciamento importante, da parte dell’organo dell’ONU addetto al monitoraggio sulla esistenza di discriminazioni contro le donne: questo organo ha formalmente rilevato l’esistenza di stereotipi di genere nelle decisioni di una Corte di Appello e della Corte di Cassazione del nostro paese.
I due provvedimenti emessi dalle Corti italiane dimostrano infatti, ad avviso del Comitato CEDAW, “una chiara mancanza di comprensione dei costrutti di genere della violenza contro le donne, del concetto di controllo coercitivo, delle implicazioni e delle complessità dell'abuso di autorità, compreso l'uso e l'abuso di fiducia, dell'impatto dell'esposizione a traumi consecutivi, dei complessi sintomi post-traumatici, tra cui la dissociazione e la perdita di memoria, e delle specifiche vulnerabilità e necessità delle vittime di abusi domestici”.
In altri termini, siamo di fronte ad un problema culturale che coinvolge l’approccio (di parte) dei magistrati italiani inficiandone l’imparzialità di giudizio.
Ed infatti, all’esito della Comunicazione, il Comitato ha emesso diverse raccomandazioni allo Stato italiano, tra le quali alcune implicano la necessità di promuovere iniziative per aumentare la consapevolezza da parte degli operatori del diritto dell’esistenza degli stereotipi di genere e i mezzi culturali per combatterli[8].
Non è stata recepita nella Comunicazione l’esplicita chiamata in causa della ricorrente, che aveva indicato come causa diretta degli stereotipi la mancata previsione di una formazione obbligatoria dei magistrati sul punto da parte degli organi addetti alla loro formazione[9].
Ciò nonostante, appare imprescindibile un esame delle iniziative intraprese e da intraprendere nel campo della formazione dei magistrati per realizzare l’ineludibile cambio di passo culturale in tema di violenza di genere (il terzo livello di contrasto di cui si è detto).
6. Il terzo livello del contrasto: la formazione dei magistrati in tema di violenza domestica e Codice Rosso
Le pronunce esaminate chiamano dunque in causa, con autorevolezza, quello che in principio di trattazione è stato indicato come terzo livello di intervento: quello che si propone di provocare un vero e proprio mutamento culturale nell’approccio alla materia da parte degli operatori di giustizia.
Come si è visto, da più parti è stato più o meno esplicitamente sollecitato un intervento in tal senso degli organismi di formazione di magistrati, avvocati e forze dell’ordine.
Indubbiamente ricade sulla Scuola Superiore della Magistratura il compito di assicurare una formazione dei magistrati che renda pubblici ministeri e giudici attrezzati per affrontare i delicati processi in tema di violenza domestica e sulle donne evitando le trappole dei bias cognitivi – e gli stereotipi di genere – evidenziati.
Va rilevato sul punto che, sin dalla sua istituzione (avvenuta nel 2012), la Scuola ha dedicato particolare attenzione al fenomeno in oggetto, dedicando all’argomento della violenza di genere e dei reati sessuali almeno due corsi l’anno nell’ambito della formazione cosiddetta permanente, quella cioè dedicata all’aggiornamento periodico dei magistrati.
Si tratta di corsi che hanno rivestito un’importanza centrale nella programmazione annuale della Scuola, testimoniata dall’alto livello di relatori selezionati e che ha trovato una rispondenza nel gradimento sempre crescente dei partecipanti.
È stato favorito in ciascuno dei corsi un dialogo costante sia con gli enti occupati nella prevenzione e nel contrasto contro questo tipo di reati, sia alle istituzioni pubbliche, con il coinvolgimento dei Presidenti di Camera e Senato, dei componenti la Commissione Parlamentare per le Pari Opportunità ed i Ministri competenti, istituzioni con le quali la Scuola ha da sempre un proficuo scambio di informazioni utili a monitorare in tempo reale il fenomeno.
Di recente, sono stati organizzati corsi interdisciplinari, per aumentare il dialogo tra magistrati penali e giudici civili specializzati in diritto di famiglia e tutela dei minori, al fine di aumentare anche in questo caso gli scambi di informazioni tra i diversi protagonisti dei procedimenti giudiziari.
Se si considera che in ogni anno solare non è possibile organizzare più di 70-75 corsi di formazione permanente[10], e che in questo numero devono essere ricompresi tutti i corsi di civile e procedura civile, penale e procedura penale, i corsi comuni e quelli aventi ad oggetto temi etici, ordinamentali eccetera, appare evidente il motivo per cui molto raramente si riesce ad organizzare un corso ogni anno per ciascun argomento e che il numero di due corsi mantenuto costante negli anni per il tema della violenza di genere attesta che nessun argomento riceve attualmente maggiore attenzione di quello in esame da parte degli organi di formazione.
Ciò nonostante, nella consapevolezza del carattere eccezionale della situazione in atto, di cui si è ampiamente detto nei paragrafi precedenti di questo scritto, il Comitato Direttivo ha cercato di rafforzare l’offerta formativa sul tema agendo essenzialmente in due direzioni: attraverso l’impulso alle Strutture Territoriali presenti nei distretti di Corte di Appello e inserendo approfondimenti ad hoc sulla violenza di genere in corsi dedicati ad altri argomenti.
Quanto alle Strutture Territoriali (veri e propri organismi di formazione dislocati in ciascuna Corte di Appello e dedicati alla formazione dei magistrati che ne fanno parte), il Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura ha fortemente raccomandato l'organizzazione in sede locale di ulteriori approfondimenti su questo specifico tema, con una risposta oggettivamente eccellente da parte dei formatori decentrati.
Nel triennio 2016-2018, sono stati infatti organizzati in sede decentrata 25 corsi sul tema in esame, che hanno coinvolto pressocché tutte le Corti di Appello; lungi dall’essere iniziative di formazione “minori”, si è trattato di preziose occasioni di confronto tra magistrati appartenenti ad un medesimo territorio (e portatori a volte di specifiche esigenze operative in relazione al contesto culturale di appartenenza) e relatori, sia colleghi che esponenti del mondo accademico, in uno scambio altamente proficuo proprio perché calato nelle singole realtà concrete dei Tribunali e delle Corti di Appello dislocati sul territorio.
Altrettanto importanti le iniziative intraprese per approfondire il tema della violenza di genere nell’ambito di corsi dedicati ad altri settori del diritto penale. Si riportano di seguito alcuni esempi.
- Nell’ultimo corso sulle scriminanti è stato previsto un gruppo di lavoro (dunque non una relazione ma un intero pomeriggio) dedicato alla “legittima difesa dalla violenza domestica”;
- Nel corso sui reati in tema di immigrazione del 2021 uno dei gruppi di lavoro è stato dedicato a “lo straniero e i delitti culturalmente motivati in ambito domestico”;
- Nel corso sul “Le indagini preliminari dall’apertura delle indagini alla formazione della prova” è stata inserita una relazione su “l’escussione dei testimoni vulnerabili”;
- altri approfondimenti sulle vittime vulnerabili sono stati inseriti nel corso su “Lo statuto della prova dichiarativa” ed in quello denominato “I discorsi d’odio”.
Sul versante processuale, devono altresì ritenersi pertinenti al tema in esame le relazioni e i gruppi di lavoro dedicati all’esame del testimone nei processi di violenza sessuale e domestica, alle tecniche di conduzione dell’incidente probatorio ed al particolare statuto della ripetibilità della prova previsto dall’articolo 190 bis del codice di procedura penale, nonché alla peculiare disciplina della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a cui è stato dedicato apposito spazio nel corso sulle impugnazioni.
Si tratta di alcuni dei numerosi esempi di quella che, nelle intenzioni del Comitato Direttivo della Scuola, è divenuto oggetto non di specifici approfondimenti ma di una sorta di “formazione continua”.
Ancora, vanno menzionati in tema i numerosi approfondimenti dedicati all’argomento nel corso del tirocinio iniziale, sia generico che mirato, molti dei quali sovrapponibili agli argomenti già menzionati in tema di formazione permanente, altri (come gli spazi dedicati ai bias cognitivi nei processi di violenza di genere nella relazione sulla “psicologia del giudicare”) specificamente immaginati per il percorso formativo dei MOT. Altri specifici approfondimenti sono riservati alla gestione processuale delle vittime vulnerabili. Tra di essi, una delle esercitazioni che i MOT sono tenuti a redigere per la valutazione finale del tirocinio.
Parimenti, appositi corsi sono stati specificamente dedicati al tema nei corsi di formazione onoraria, mentre sono allo studio implementazioni nei corsi di preparazione ai direttivi e semidirettivi (c.d. formazione dirigenti).
Occorre infatti promuovere piena consapevolezza del tema anche nei dirigenti degli uffici, con particolare attenzione al linguaggio utilizzato dai magistrati dell’ufficio diretto nella redazione dei provvedimenti ed ai comportamenti da loro stessi tenuti nei confronti delle colleghe e dei colleghi.
In risposta alle sollecitazioni provenienti dagli organismi comunitari, la Scuola ha inoltre aderito al primo dei “laboratori di Strasburgo”, in particolare a quello dedicato a “La tutela dei diritti della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni: la giurisprudenza italiana e della Corte europea dei diritti dell'uomo”.
L’evento, realizzato in dialogo con la Rappresentanza permanente d'Italia presso il Consiglio d’Europa, inaugura il progetto “Laboratori Strasburgo”, volto a realizzare approfondimenti tematici di tipo seminariale in relazione alle questioni controverse sull'applicazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e della tutela dei diritti fondamentali.
7. Riflessioni conclusive
Può fondatamente concludersi che, come detto innanzi, a nessun argomento la Scuola Superiore della Magistratura dedica la stessa attenzione riservata al tema della violenza di genere e domestica.
Certamente si tratta di un piano formativo migliorabile e che la Scuola intende implementare ulteriormente: nella programmazione del 2023 è pressocché certo che si darà spazio per la prima volta, sia in sede di formazione permanente che iniziale, ad una riflessione sugli stereotipi di genere, in conseguenza dei provvedimenti sopra menzionati.
In questo modo la formazione intende raccogliere la sfida di portare la risposta giudiziaria al fenomeno violenza di genere sul piano culturale e formativo.
Appare parimenti ineludibile che il “terzo livello” della risposta si raccordi con gli altri due, con iniziative legislative ed ordinamentali ad hoc.
Il nuovo approccio culturale ha infatti bisogno di consapevolezza e professionalità: sarebbe auspicabile ad esempio che all’operatività di pool altamente specializzati esistenti nelle Procure corrispondesse una speculare specializzazione negli uffici dei Giudici delle Indagini preliminari e nei Tribunali (non tutti possono permettersi una sezione dedicata a questo tipo di reati, che richiede invece sensibilità e competenze del tutto peculiari).
L’auspicato cambio di passo culturale non può, in altri termini, essere delegato solo all’attività di formazione in senso stretto ma deve potersi giovare del dialogo tra formatori, legislatori e operatori del diritto.
[1] “www.Polizia di Stato.it”, periodico on line, “Violenza di genere”, 2022.
[2] P. DI NICOLA TRAVAGLINI – F.MENDITTO, Codice Rosso, Milano 2020, pag. 2.
[3] Si pensi, per rimanere a tempi recenti, al terrorismo internazionale di matrice islamica o ai furti in appartamento che hanno dato origine alle modifiche legislative in tema di “legittima difesa domestica” o, risalendo più indietro, agli omicidi stradali fino ad arrivare ai delitti contro la Pubblica Amministrazione o alla criminalità organizzata, senza trascurare il fenomeno degli infortuni sul lavoro, oggetto di attenzione carsica ed incostante da parte di opinione pubblica e legislatore.
[4][4] L’allontanamento dalla casa familiare (282 bis) e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (282 ter).
[5] il primo periodo dell’articolo 275, 3° comma, dopo la modifica menzionata, dispone ora che “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”.
[6] Come noto, sempre più frequenti sono gli studi sulla “psicologia del giudicare”, oggetto anche di attenzione da parte della Scuola Superiore della Magistratura, che dedica da qualche anno all’argomento corsi di formazione permanente ed approfondimenti destinati ai MOT.
[7] P.DI NICOLA, “La mia parola contro la tua”, Harper Collins, 2018.
[8] In particolare, il Comitato ha raccomandato che l’Italia debba “fornire adeguati programmi di sviluppo delle capacità per giudici, avvocati, funzionari delle forze dell'ordine, personale medico e tutte le altre parti interessate, per spiegare le dimensioni legali, culturali e sociali della violenza contro le donne e della discriminazione di genere; e (...) Sviluppare, attuare e monitorare strategie per eliminare gli stereotipi di genere nei casi di violenza di genere”
[9] Nel riassumere il ricorso, il Comitato CEDAW così si è espresso: “L'autrice sostiene che questi stereotipi sono il risultato della mancata attuazione da parte dello Stato parte di misure volte a modificare, trasformare ed eliminare gli stereotipi di genere, imponendo una formazione obbligatoria a tutti i livelli della magistratura sugli effetti di tali stereotipi sulla gestione imparziale della violenza di genere, per garantire alle donne un accesso paritario alla giustizia, e quindi non affrontando le norme culturali che hanno un impatto sulla cultura giuridica interna e portano a impatti negativi sull'interpretazione degli elementi soggettivi del diritto penale. La donna sostiene quindi di non essere stata protetta dalla discriminazione da parte delle autorità pubbliche, compresa la magistratura, e di non aver esercitato la dovuta diligenza nel punire gli atti di violenza contro le donne, in particolare lo stupro.”
[10] Il numero è conseguenza della divisione delle settimane disponibili tra corsi di formazione permanente, iniziale, corsi per onorari, corsi di formazione dei direttivi, scambi internazionali e le altre attività dell’ente e tiene conto altresì dei limiti strutturali derivanti dalla cronica carenza di organico che affligge il personale amministrativo della Scuola, al pari degli uffici giudiziari di tutto il territorio.
25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne - Editoriale
Una recente pubblicazione della Direzione Centrale della Polizia Criminale, Servizio Analisi Criminale – Dipartimento di Pubblica Sicurezza segnala come nel periodo 1° gennaio 2022 – 20 novembre 2022 in Italia “sono stati registrati 273 omicidi, con 104 vittime donne, di cui 88 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 52 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner".
Analizzando i numeri, rispetto all’anno precedente, si registra, sul dato aggregato, un aumento del 2% (5 episodi in più), mentre diminuisce il numero delle vittime di genere femminile, che da 109 diventano 104 (-5%). Diminuiscono i delitti commessi in ambito familiare/affettivo, che da 136 scendono a 120 (-12%), di cui 88 di genere femminile (da 96, con -6%). Ancora, sono in flessione sia il numero di omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 68 scendono a 56 (-18%), di cui 52 donne (-16%).
Il dato emergenziale, seppur con una tendenza in calo, permane; riprova ne è l’approvazione in Senato, in data 24/11/22, dell’istituzione di una commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere.
Si rende pertanto necessaria una riflessione che consenta di individuare modelli culturali di intervento che siano in grado di comprendere la complessità del fenomeno della violenza di genere.
In tale prospettiva la rivista Giustizia Insieme ha da tempo inteso avviare un percorso[i] – oggi inaugurando una nuova sezione – che possa, attraverso un approccio multidisciplinare, ampliare il punto di osservazione su discipline extra giuridiche, dalla sociologia, alla psicologia, alla linguistica.
Il Legislatore, negli anni, si è fatto carico di arginare quella che, a tutti gli effetti è una piaga sociale. Lo ha fatto attraverso l’introduzione di numerosi istituti che consentono, pur a mente l’imponderabilità del comportamento umano, sia alla magistratura che alle forze di polizia presenti sul territorio, di intervenire tempestivamente con misure che, di frequente, sono idonee a tutelare l’incolumità della persona offesa.
Ciò nondimeno, affrontare le peculiarità del fenomeno della violenza di genere richiede una comprensione che non si limita al fatto storico ed alla sequenziale applicazione di norme sostanziali e processuali ma che, aprendosi ad altri settori della conoscenza, consenta di giungere ad una valutazione ponderata, articolata ma, al contempo, frutto di una sintesi che sia in grado di tratteggiare le vicende dell’agire umano nella sua complessità.
Con tale auspicio, si avvierà questa sezione della rivista proprio muovendo da un contributo sul ruolo della Scuola Superiore della Magistratura nella formazione del magistrato chiamato a confrontarsi, quotidianamente, con fatti di violenza di genere.
[1] La violenza di genere e misure di prevenzione: la valutazione della pericolosità nel contesto delle relazioni familiari Nota a Corte d’Appello di Bari n. 27405 del 01.06.2022 di Rita Russo
"Il Braccialetto elettronico” e protezione vittima di violenza di genere di Maria Monteleone
Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria di Maria Monteleone
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Edipo, la giustizia e le relazioni familiari di Rita Russo
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