ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La “transizione” come ordinamento giuridico[i]
di Giuseppe Severini (Presidente di Sezione emerito del Consiglio di Stato)
Sommario: 1. Il paradigma giuridico della “transizione” – 2. Sulla relazione tra resilienza, transizione e sostenibilità – 3. Su natura e latitudine del PNRR – 4. La consistenza giuridica della “transizione” – 5. Il risultato tempestivo come principio dell’ordinamento della “transizione” – 6. La normativa sulla “transizione” e l’ordinamento generale – 7. Insidie e incongruenze normative.
1. Il paradigma giuridico della “transizione”
Nel linguaggio del diritto, l’alternarsi di paradigmi giuridici è segnato – com’è in genere per i mutamenti prospettici - dall’ingresso attraverso i “cancelli delle parole”[ii] di nuove formule che relativizzano quelle finora egemoni.
Si tratta di solito, almeno in origine, di espressioni dal significato non preciso ma di cui è manifesto l’orientamento – il c.d. valore, di cui esprimono il “punto di attacco” - e che sintetizzano indirizzi, principi, obiettivi, modelli organizzativi nuovi, tesi a ridurre o modificare gli spazi di quelli ancora dominanti, cui si addebitano incoerenze e disfunzionalità[iii]. Il passaggio successivo, di consolidamento, è che il loro nuovo “diritto fondato sui valori” venga mediante congrue fonti di diritto specificato attraverso, finalmente, un “diritto fondato sulle norme”[iv]. Il che, però, avviene spesso in modo meno coerente e compiuto di quanto ci si potrebbe attendere in nome della sicurezza giuridica.
Così oggi, a guardare al punto di attacco, il paradigma della transizione è segnato dall’ingresso di nuove formule linguistiche quali resilienza, transizione, sostenibilità, e così via. Si direbbero parole-chiave utili a una rilevazione formale di novità ma in realtà recano nel mondo del dover essere nuovi concetti[v], seppur in attesa di più compiuti significati giuridici dal reale valore precettivo: per il che occorre una sufficiente determinatezza di oggetto e una definita e adeguata strumentazione organizzativa e procedimentale.
Già nel linguaggio comune, del resto, il loro ingresso, nel senso che oggi si intende, non pare ancora di accezione precisa. Sono espressioni per lo più mutuate dall’inglese (resilience, transition, sustainability, …) e già la non perfetta corrispondenza semantica all’apparenza fonetica (c.d. false friends: omonimi ma non sinonimi) genera indeterminatezze e malintesi. Per noi, ad es., lo accentua quanto è mostrato da, tertium comparationis, la traduzione dall’inglese al francese (résilience, transition, durabilité, …): lì il significato di sustainability meglio si misura, più che con una tollerabilità nell’equilibrio complessivo del pianeta, con la sua costanza nella dimensione temporale, come sarebbe più efficace per noi con il parlare di stabilità o durevolezza o simili[vi]. Quanto alla transition, è espressione di cui venne fatto ampio uso nel dopo-Guerra Fredda a indicare la transizione alla democrazia liberale e al mercato del mondo ex-sovietico e più ancora la convergenza globale, con la “fine della storia”, nell’immaginato nuovo ordine mondiale[vii].
2. Sulla relazione tra resilienza, transizione e sostenibilità
Questo paradigma ha un modello in scala nell’esperienza, concretizzata circa dal 2005, delle c.d. Transition Towns (dapprima Kinsale, in Irlanda e Totnes, in Inghilterra, poi diffusa altrove) promossa dall’ambientalista Rob Hopkins nell’assunto di preparare quelle comunità alle sfide del riscaldamento globale e del picco dei costi e delle disponibilità energetiche tradizionali, e in vista della generale prevenzione di conseguenze irreparabili provenienti da inquinamento, distruzione della biodiversità, ecc.. Dal che l’incentrarsi sulla resilienza – cioè adattività: la capacità di adattarsi flessibilmente ai cambiamenti che impattano dall’esterno, senza attendere di degenerare – da orientare, mediante appunto i mezzi della transizione, verso il nuovo equilibrio durevole concretato nella sostenibilità: anzitutto verde ma anche digitale, cioè tecnologica. Come dire: la resilienza è la condizione di presa di conoscenza del disequilibrio generato e di formazione di una nuova visione e volontà di reazione; la sostenibilità è l’obiettivo da allora raggiungere mediante un percorso uniforme pianificato e guidato, sinteticamente chiamato transizione.
In questa prospettiva, la transizione non viene assunta a mero effetto, ma considerata un insieme complesso di programmi, di piani, di norme e di risorse dedicate; e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è – in termini definitori[viii] e delimitatori – viene indicato a suo strumento di base, organizzativo e pianificatorio, sul quale essa si incentra[ix].
3. Su natura e latitudine del PNRR
Il PNRR, per il vero, è un atto di non ben definita natura[x] e delimitazione, oltre che di non facile lettura anche per la sua dimensione (attualmente, 271 pagine) e soprattutto per il linguaggio spesso atecnico ed estraneo ai canoni di chiarezza e precisione, essenziali alla sicurezza giuridica, evidentemente non assunta nel suo consapevole valore. È, nell’ordinamento interno, lo strumento di attuazione dell’insieme degli atti di diritto derivato UE relativi al Green Deal: atti essenzialmente della Commissione UE, anzitutto il Recovery Plan UE o “Piano per la ripresa dell'Europa”, basato sulla strumentazione finanziaria Next generation EU, finalizzata a una “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa”[xi]. È importante rilevare che, in quanto oggetto di sostanziale negoziazione con, e approvazione da parte della, Commissione europea, in virtù del regolamento UE n. 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, “che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza”, può essere modificato; e che ciò vale anche per gli accordi operativi (operational arrangements) che a valle di esso dettagliano per contenuti e meccanismi di verifica le sue tabelle (mediante milestonee target). Si tratta insomma di un complesso di atti essenzialmente politico-programmatici, di loro non normativi, che può sempre essere rinegoziato – specie al mutare delle circostanze - con la stessa Commissione europea.
Quel che importa qui rilevare è che ci si trova di fronte alla transizione intesa non come mero risultato di passaggio da una situazione ad un’altra, idealmente istantaneo pur se articolato e frammentato; ma come situazione di durata che si articola e sviluppa mediante vari strumenti dedicati e lungo prestabilite e cogenti coordinate temporali: un processo complesso, in parte decentrato e articolato in varie competenze: comunque una situazione intermedia che muove verso obiettivi assunti a valori primari di policy generale (essenzialmente, transizione ecologica e transizione digitale, ma anche – a quanto vi viene assunto - recupero di vari “ritardi che storicamente penalizzano il Paese, relativi ai giovani, alla parità di genere e al divario territoriale”). È perciò – suggerisce la stessa matrice del termine – una fase attiva di trasformazione complessiva, permanente lungo un tempo stabilito e stimato necessario alla sua implementazione, governato da istituti particolari rispetto a quelli ordinari, che nondimeno permangono parallelamente.
4. La consistenza giuridica della “transizione”
Per il giurista cui compete affrontare operativamente il tema con il suo proprio strumentario e alla luce delle categorie che caratterizzano e compongono lo Stato di diritto, la conseguenza di questa rilevazione porta anzitutto a ricercare i fondamenti del nuovo paradigma che così si delinea. La transizione, in questa prospettiva, non è solo un obiettivo di politica generale: essa concretizza di suo, per quel tratto di tempo, un ordinamento giuridico, come sembra suggerire in nuce l’esperienza proattiva di quelle piccole città – metafora dell’ordinamento giuridico[xii] -, con suoi propri principi e sue proprie regole, che coesiste a fianco di quello ordinario e con quello variamente interagisce, in proporzione agli obiettivi suoi propri e alle invarianze di quello.
Non solo: si direbbe che la pretesa sia quella di un ordinamento giuridico - è da rilevare - non di semplice deroga episodica ma di tendenziale eccezione: non, cioè, una serie incoerente di regole speciali rispetto a quelle ordinarie; bensì formule organizzative e procedimentali specifiche ed orientate a una loro referenzialità che tendono a porsi come un insieme di eccezioni.
Il fondamento di questo carattere poggia sull’assetto orientato che l’UE, facendo leva coercitiva sulle cinquantuno condizionalità di utilizzazione[xiii] che ha posto alle sue capacità di finanziamento, figura - in vista di una prospettiva globale - per gli Stati membri a fronte dell’emergenza ambientale e climatica: ciò sulla scorta di quanto già assunto progettualmente con le politiche proposte dalla Commissione tra 2019 e 2020 e sintetizzate appunto in European Green Deal, ovvero Patto Verde per l’Europa, che assume l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano trascende tuttavia questo obiettivo generale perché si sviluppa intorno a tre assi strategici: non soltanto transizione ecologica ma anche digitalizzazione e innovazione, e inclusione sociale. E a tal fine, con un’evidente ampiezza di latitudine, si articola in sei missioni(digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute). Queste sono figurate corrispondere ai sei pilastri posti dall’art. 3 del regolamento (UE) 2021/241 (“che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza”) del 12 febbraio 2021: a)transizione verde [dove centrale è il principio di “non arrecare un pregiudizio significativo” (“Do No Significant Harm” (DNSH) all’ambiente, sulle cui basi - da sviluppare da noi anzitutto sulla base di fonte primaria – va tecnicamente valutata la compatibilità effettiva delle singole iniziative]; b)trasformazione digitale; c) crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, che comprenda coesione economica, occupazione, produttività, competitività, ricerca, sviluppo e innovazione, e un mercato interno ben funzionante con PMI forti; d) coesione sociale e territoriale; e) salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, al fine, fra l'altro, di rafforzare la capacità di risposta alle crisi e la preparazione alle crisi; e f) politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani, come l'istruzione e le competenze.
In effetti, se si guarda alle varie e molteplici formule in cui il PNRR declina la transizione, con i suoi traguardi e obiettivi, parrebbe conseguenziale constatare che il principio ispiratore di questo diritto della transizione tenda a porsi come eccezione al carattere generale dello Stato di diritto quale democrazia procedurale che impronta, nel diritto amministrativo, la prevalenza della struttura del procedimento, metodo acquisitivo e dialettico per produrre di volta in volta la miglior cura degli interessi pubblici.
5. Il risultato tempestivo come principio dell’ordinamento della “transizione”
È nondimeno da rammentare l’assunto, formulato da Schumpeter[xiv], Kelsen[xv],Bobbio[xvi], Dahl[xvii] e ampiamente ripreso, che la democrazia acquisti ormai crescente carattere procedurale piuttosto che sostanziale. Come proiezione dello Stato di diritto, si incentra ben più sul come che sul cosa; sul rispetto di regole e procedure, improntate a confronto, partecipazione e trasparenza, piuttosto che sul conseguimento comunque di risultati prefigurati una volta per tutte intorno a un progetto. Da questa connotazione discende, nella formulazione operativa, la concezione garantistica del procedimento amministrativo sviluppata nella seconda metà del sec. XX che ha dato corpo all’impianto della legge n. 241 del 1990[xviii].
Avviene invece che in quest’ordinamento della transizione sia affiancata alla dimensione procedurale un’accentuazione sostanziale, e non soltanto arricchendo di norme speciali, essenzialmente semplificatorie, quelle ordinarie. ciò in vista dell’esigenza di fondo di raggiungere – resistendo anche al mutamento dell’indirizzo politico parlamentare - entro un tempo prefissato gli obiettivi stabiliti di sostenibilità, vista la loro indefettibilità una volta considerata la non sostenibilità dell’impiego delle risorse sinora praticato.
Il risultato parrebbe dunque, in buona parte, entrare nel metodo e condizionarlo, andando oltre le implicazioni della democrazia rappresentativa, che ha nelle norme poste dal legislatore la centrale fonte del diritto e nel costrutto delle fonti che ne deriva il suo corollario[xix]. Il principio fondamentale cui fare riferimento e che tende a innervare le previsioni discendenti dal PNRR è, in questa prospettiva, ancorato all’effetto risolutivo del mancato rispetto delle condizionalità imposte dalla Commissione UE. Diviene perciò centrale il conseguimento del risultato prestabilito[xx]. Questa convergenza si potrebbe sintetizzare in un enunciato prescrittivo che vale al tempo stesso come metodo e come criterio interpretativo: il conseguimento tempestivo del risultato stabilito dal PNRR.
Questo principio del risultato tempestivo si pone dunque come il precipitato reale della coercitività di fatto del supporto finanziario UE e delle inerenti condizionalità, in rapporto al quale il cosa va a orientare il come. È agevole rilevare che domina la scena del PNRR: o mediante norme ad hoc (ad es., le norme processuali acceleratorie del contenzioso sui contratti pubblici poste dapprima dal d.-l. 7 luglio 2022, n. 85 e poi definite dall’art. 12-bis del d.-l. 7 luglio 2022, n. 85, come conv. dalla l. 5 agosto 2022, n. 108) o – in un’asistematicità di fonti che talora sembra quasi echeggiare tratti di quella dell’emergenza sanitaria, e comunque poco apprezzabile dall’operatore pratico – additando comunque con norme di chiusura soluzioni che, ove ragionevole, fronteggino le non poche contraddizioni e lacune delle norme ad hoc. È in questo complesso scenario che si pone anche la questione del rilievo da attribuire a non-norme, pur copiosamente prodotte al riguardo (come ad es. le ormai numerose circolari della Ragioneria Generale dello Stato).
6. La normativa sulla “transizione” e l’ordinamento generale
Così, se si ha riguardo al c.d. “decreto semplificazioni-bis”, cioè al decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), conv. dalla l. 29 luglio 2021, n. 108 – probabilmente il principale strumento normativo per definire modi e forme organizzative con cui dar seguito al PNRR[xxi] – queste considerazioni conducono a rilevare che l’interpretazione va affrontata alla luce, seppur in misura proporzionata, non soltanto delle forme procedimentali (come normalmente sarebbe e che comunque per le ragioni di sistema ricordate rimangono prevalenti), ma anche del risultato tempestivo cui sono funzionali. Del resto, è lo stesso art. 1, comma 2, a esplicitarlo quando stabilisce, appunto con norma di chiusura, che «ai fini del presente decreto e della sua attuazione assume preminente valore l'interesse nazionale alla sollecita e puntuale realizzazione degli interventi inclusi nei Piani indicati al comma 1, nel pieno rispetto degli standard e delle priorità dell'Unione europea in materia di clima e di ambiente». Il che vale in particolar modo per quel Titolo III, che introduce procedure speciali per alcuni progetti PNRR, appunto di eccezione a quelle ordinarie, come ad es. all’art. 44, dedicato a semplificazioni procedurali in materia di nominate opere pubbliche di particolare complessità o di rilevante impatto[xxii].
Con queste tendenziali coordinate di base il giurista si trova ad affrontare in termini operativi le forme della transizione e i suoi istituti, pur senza poter deflettere da proporzionalità e ragionevolezza che restano immanenti all’intero ordinamento e dimenticare le implicazioni del fondamento rappresentativo della democrazia. Di più: benché ordinamento particolare, il diritto della transizione è pur sempre componente dell’ordinamento generale e di quello partecipa a muovere dall’esigenza indeclinabile di gerarchia delle fonti: in primis i principi e le norme costituzionali, che permangono ineludibili, ma anche i caratteri generali dell’ordinamento, nel quale resta iscritto il carattere di democrazia procedurale. Nei fatti, l’esperienza degli addetti già dà conto della gravosità della ricognizione delle fonti e del loro coordinamento per risolvere adeguatamente antinomie e affrontare lacune.
Ne viene che - in un contesto amministrativo dove incautamente, nella formulazione del PNRR, non pare essere stato dato il rilievo necessario alla dimensione giuridica, anche linguistica – passa ad essere fatale compito dell’interprete, sia amministrativo che giurisdizionale, definire compiutamente il rapporto tra strumentazione ed obiettivi. Nell’attendere a ciò, è bene che egli presti attenzione alle insidie che si annidano nella mera attenzione al risultato della transizione, se vi si è guardato prescindendo dalla strumentazione procedimentale o dalla sua adeguatezza. Guardare al mero risultato è piuttosto compito del livello politico. L’onere del giurista operativo o decidente sarà invece, e in misura non indifferente, prendere sì in debita considerazione il risultato tempestivo, perché entra in termini capitali in questo ordinamento: ma anche rapportarlo ai termini, da vagliare, in cui nelle late sei missioni del PNRR, oltre che nelle riforme “orizzontali” (p.a. e giustizia) e “abilitanti”(semplificazione e concorrenza) - vi è congruenza con l’assunto emergenziale; e, con questi riferimenti, affrontare le questioni della coerenza e della sufficiente specificazione dei nuovi principi e precetti recati anzitutto dal Green Deal[xxiii].
7. Insidie e incongruenze normative
È qui il caso di porre attenzione all’insidia insita nella dilatazione, che viene avanzata all’interno di più d’una delle ricordate missioni, della strumentazione PNRR a temi che esulano dell’oggetto proprio dell’emergenza ambientale che lo giustifica, cui vengono associati temi assunti come “ritardi che storicamente penalizzano il Paese” e perciò solo emergenziali anch’essi. Il Recovery Plan è infatti strumento di eccezione e come tale non può essere ampliato per essere portato a base di una sorta di New European Order, di decostruzione in tutti questi ampi spazi del sistema della democrazia rappresentativa, della sua forma costituzionale di governo e della sua proiezione oggettiva nel sistema delle fonti del diritto. Tanto più ci si discosta con questi temi eccentrici dalle strette esigenze del Green Deal, tanto più le basi della ricordata coercitività che vi è immanente entrano in una tale, seria sofferenza, non potendo la democrazia essere commissariata e divenire indifferente alla sua intima dinamica. Non è plausibile ravvisare nel PNRR un’implicita abrogazione – al di fuori del confronto rappresentativo proprio del procedimento legislativo - degli àmbiti normativi che quei temi regolano, pena una eccezione radicale a quei riguardi dell’ordinamento stesso.
Analogamente, è il caso di rilevare, proprio dal punto di vista dell’incoerenza delle fonti, l’effetto paradossale dell’elevazione del grado di insicurezza giuridica da incompiutezza delle norme, con il suo riflesso inevitabile di crescente giudiziarizzazione a supplenza, che pure è di suo assunto come un assai serio fattore di “ritardo” (e non solo di “ritardo”, a quei propositi, si tratta). È facile infatti immaginare che – a dispetto degli snellimenti così dettagliatamente immaginati o presunti per la riforma “orizzontale” della giustizia – molte, com’è conseguente quando il dato normativo è malcerto, saranno le nuove questioni che verranno portate davanti ai giudici: e che tra queste le conclamate finalità particolari costituiranno un parametro di rilievo nel figurare inediti profili di eccesso di potere e sospetti di nuove irragionevolezze.
Ne viene in sintesi che, fermo che le condizionalità pongono una coercitività di fatto del risultato tempestivo, permane compito del giurista riportare nel giusto equilibrio le clausole incongrue di questo ordinamento e ricomporre le incertezze che gli presenterà in itinerel’incoerenza con cui, ad oggi, si è in più parti inteso procedere nel disegnarlo.
[i] elaborazione dell’introduzione all’incontro “Diritto amministrativo e PNRR”, organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia e dalla Camera Amministrativa dell’Umbria, 23 settembre 2022.
[ii] è la nota immagine di N. IRTI, Un diritto incalcolabile, Milano 2016, 57.
[iii] Il mutamento di paradigma (paradigm shift) è fenomeno concettualizzato dal filosofo della scienza statunitense Thomas Samuel Kuhn in The Structure of Scientific Revolutions (1962) per indicare, in filosofia della scienza e in sociologia, il nuovo complesso di regole metodologiche, modelli esplicativi, criterî di soluzione di problemi che connota una comunità scientifica in una fase particolare dell’evoluzione della loro disciplina: es. il passaggio dalla concezione copernicana a quella tolemaica, o dal creazionismo all’evoluzionismo, ecc.; ma vale anche in economia per il passaggio dal monetarismo al keynesismo e da questo al neoliberismo e così per il diritto: cfr., in relazione alle trasformazioni del mondo contemporaneo e al loro impatto sui sistemi giuridici, G. ZACCARIA, Postdiritto. Nuove fonti e nuove categorie, Bologna 2022. Nel diritto, appunto, quell’ultimo passaggio, nel diritto, agli inizi degli anni ’90 ha condotto alla rivoluzione reticolare e diffusiva delle privatizzazioni e alla tendenziale decostruzione del diritto amministrativo classico: cfr. F. OST e M. V. DE KERCHOVE, De la pyramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles 2002; S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari 2002; B. SORDI, Diritto pubblico e diritto privato. Una genealogia storica, Bologna 2020, 211 ss.; F. BOTTINI, Le néolibéralisme et l'“utilitarisation du droit public. Avant-propos, in Néolibéralisme et droit public, a cura di F. Bottini, Paris 2017, 23; A. ZOPPINI, Il diritto privato e i suoi confini, Bologna 2020, 239 ss.; G.P. CIRILLO, Sistema istituzionale di diritto comune, Padova 2021; F. DENOZZA, Regole e mercato nel diritto neoliberale, in n Rispoli Farina M., Sciarrone Alibrandi A. e Tonelli E., Regole e mercato, Torino2017, XV; O. GIOLO, Il diritto neoliberale; Napoli 2020.
[iv] secondo la nota rilevazione critica di C. SCHMITT, La tirannia dei valori, Milano 2008 [Die Tyrannei der Werte, Stuttgart 1967], 53 ss..
[v] Su resilienza, v. ad es. J. RIFKIN, L'età della resilienza. Ripensare l'esistenza su una terra che si rinaturalizza, Milano 2022, che contrappone all’Età del Progresso, incentrata sul principio di efficienza, l’Età della Resilienza, incentrata sull’adattività.
[vi] È questo uno slittamento tralaticio, data dagli anni ’90 con il consolidarsi della traduzione di sustainable development in sviluppo sostenibile anziché durevole(cioè in vista e a beneficio delle le future generazioni) come appunto in francese è grazie a développement durable. È comunque acquisito che questa sostenibilità dev’essere comune ai suoi tre pilastri, le tre dimensioni: ambientale, economica e sociale e che ciò dev’essere stabile. Sicché non c’è autentica sostenibilità se tale non è, in una, da tutti i tre punti di vista.
[vii] La c.d. “Transition to a New World Order”. Cfr. da ultimo A. COLOMBO, Il governo mondiale dell'emergenza. Dall'apoteosi della sicurezza all'epidemia dell'insicurezza, Milano 2022, 7 ss..
[viii] L’art. 2, lett. b), del regolamento (Ue) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, definisce la resilienza come « la capacità diaffrontare gli shock economici, sociali e ambientali e/o i persistenti cambiamenti strutturali in modo equo, sostenibile e inclusivo».
[ix] Il che, del resto, era ormai già nelle prospettive attuali originate dall’innovazione tecnologica e digitale: cfr. A. BARTOLINI; voce Urbanistica, in Enc. Dir.- i Tematici III 2022, Milano 2022, in particolare il paragrafo di chiusura dedicato a “L’urbanistica della transizione”, dove si collega la transizione digitale all’idea di «smart city» (o «città intelligente»).
[x] Cfr., per un’attenta ricostruzione del procedimento e di alcune criticità di contenuti, G. MONTEDORO, Il ruolo di Governo e Parlamento nell'elaborazione e nell'attuazione del PNRR, in www.giustizia-amministrativa.it, 13 ott. 2021. Sulle prospettive ancora incipienti del PNRR, cfr. M.A. SANDULLI, Sanità, misure abilitanti generali sulla semplificazione e giustizia nel PNRR, in
www.federalismi.it, Osservatorio di diritto sanitario, 28 luglio2021.Sulla natura del PNRR, cfr. N. LUPO, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e alcune prospettive di ricerca per i costituzionalisti, in www. ivfederalismi.it, n. 1/2022, V, che evidenzia come nella dottrina si parli di atto di “indirizzo politico ‘normativo’”. Questo impegnerebbe anche governi e parlamenti futuri, anche a prescindere dal responso elettorale [così A. SCIORTINO, PNNR e riflessi sulla forma di governo italiana. Un ritorno all’indirizzo politico «normativo»?, in www.federalismi.it, 18/2021, 235 ss., spec. 260]; ovvero di “una sorta di “commissariamento”, di una “vera e propria intromissione nella struttura politica, istituzionale e sociale dei Paesi che hanno richiesto l’assistenza finanziaria del Recovery, che potrebbe portare a una sorta di omologazione strutturale degli Stati membri potendo arrivare persino a cambiarne significativamente forma di Stato e di governo” [così F. SALMONI, Piano Marshall, Recovery Fund e il containment americano verso la Cina. Condizionalità, debito e potere, in www.costituzionalismo.it, 2/2021, p. 51, spec. 77 ss.]; ovvero di “una pianificazione a valenza principalmente se non esclusivamente politica, perciò “con un grado di vincolatività diretta piuttosto limitata per i soggetti istituzionali coinvolti nella sua attuazione” [così M. CLARICH, Il PNRR tra diritto europeo e nazionale: un tentativo di inquadramento giuridico, in Astrid-Rassegna, n. 12/2021, 11 ss.]; ovvero un atto sostanzialmente legificato che impegna, quanto ai risultati indicati, “non solo l’amministrazione chiamata ad eseguire il Piano, ma anche gli altri operatori giuridici, gli interpreti tutti, inclusa la giurisdizione ovviamente”, imponendo una decisa valorizzazione della discrezionalità amministrativa e della sua efficacia al fine di assicurare il conseguimento tempestivo dei risultati in questione” [così F. CINTIOLI, Risultato amministrativo, discrezionalità e PNRR: una proposta per il Giudice, in www.lamagistratura.it, 13 novembre 2021]; ne viene “una compressione della funzione legislativa” perché il PNRR “s’inserisce […] nel nostro sistema delle fonti […] in modo dirompente condizionandone il contenuto, i tempi ed i soggetti che avranno la possibilità di elaborare ed approvare i testi. L’unica strada percorribile, per un’attuazione celere della normativa richiesta dal PNRR, è data da atti normativi di provenienza governativa, decreti legge, leggi delega e conseguenti decreti legislativi, sui quali lo spazio per l’influenza degli altri interlocutori istituzionali, Parlamento e Regioni, è assai compresso” [così E. CATELANI, Profili costituzionali del PNRR, in www. https://www.associazionedeicostituzionalisti.it, n. 5/2022, che mette in evidenza quanto e come l’assetto del PNRR incida sulla forma di governo e sulla stessa forma di Stato; cfr. Id., P.N.R.R. e ordinamento costituzionale: un’introduzione, in https://www.rivistaaic.it, n. 3/2022]; in questo contesto, ci si è chiesti “se la disciplina di esecuzione del PNRR presenti una differente capacità sostitutiva del diritto UE rispetto ai parametri costituzionali, dato che il PNRR fa corpo con norme UE” [E. CAVASINO, L’esperienza del PNRR: le fonti del diritto dal policentrismo alla normazione euro-governativa, ibidem].
[xi] Sia consentito rinviare a G. SEVERINI e U. BARELLI, Gli atti fondamentali dell’Unione europea su “transizione ecologica” e “ripresa e resilienza”: prime osservazioni, in Riv- giur. ambiente, https://rgaonline, aprile 2021 e in www.giustizia-amministrativa.it.
[xii] cfr. A. ROMANO, Autonomia nel diritto pubblico, in Dig. disc. pub., II, 1987, 32. Il concetto origina, sull’esperienza comunale, dal De Regimine Civitatis di Bartolo da Sassoferrato (tra il 1355 e il 1357).
[xiii] Il concetto di condizionalità (cross-compliance / écoconditionnalité) come rispetto di regole per accedere a sostegni UE, finalizzate allo sviluppo sostenibile, nasce nel contesto della Politica Agricola Comune (PAC): introdotto dal Consiglio europeo nel 1997, ripreso dall’AGENDA 2000 ed istituito dal regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio del 29 settembre 2003.
[xiv] J. A. SCHUMPETER, Capitalism, Socialism and Democracy, 1942; trad. it. Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano 1955.
[xv] H. KELSEN, Foundations of Democracy, in Ethics, 1955, 66, 1, 2, trad. it. I fondamenti della democrazia e altri saggi, Bologna 1966, 186.
[xvi] N. BOBBIO, Democrazia, in Dizionario di politica a cura di N. Bobbio, N. Matteucci e G. Pasquino, Torino 1990, 287-297.
[xvii] R. DAHL, On Democracy, Yale 1998, trad. it. Sulla democrazia, Bari 2002.
[xviii] lo evidenzia M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, IV ed., Bologna 2013, 237. Sulle origini, v. M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (Il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in L'azione amministrativa tra garanzia ed efficienza, Napoli 1981, 21 ss..
[xix] Il che è di immediato e serio riflesso sulle garanzie costituzionali inerenti le libertà e i diritti fondamentali, oltre che riguardo agli equilibri istituzionali, al riparto delle competenze ed alla separazione dei poteri: G. CERRINA FERONI, PNRR, digitale: gli impatti su diritti e ordinamento costituzionale, in https://www.agendadigitale.eu.
[xx] cfr. F. CINTIOLI, Risultato amministrativo, discrezionalità e PNRR: una proposta per il Giudice, cit., spec.te § 7.
[xxi] L’art. 1, comma 1, dice che il decreto-legge «definisce il quadro normativo nazionale finalizzato a semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».
[xxii] Per un quadro più ampio sulle fonti normative primarie di attuazione del PNRR, v. il dossier del Servizio studi del Senato della Repubblica, n. 4 della XIX legislatura e, sull’attuazione del PNRR, v. il dossier del Servizio studi della Camera dei Deputati (reperibili, rispettivamente, in https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/DOSSIER/0/1361099/index.html e https://temi.camera.it/leg18/temi/piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza.html).
[xxiii] Riguardo a uno di questi temi non congruamente specificato, benché di urgente importanza perché la previa dimostrazione del suo rispetto (non è chiaro su quali parametri tecnici e su quali evidenze) condiziona l’accesso ai finanziamenti previsti dal PNRR, cfr. U. BARELLI, Il PNRR ed il principio "Do No Significant Harm" (DNSH)., in corso di pubblicazione.
La Cassazione civile-tributaria alla sfida del PNRR, in sintesi ed in prospettiva
di Enrico Manzon
Sommario: 1. Per introdurre - 2. Primo livello (breve periodo): le misure deflative - 3. Secondo livello (medio periodo): le misure processuali - 4. Terzo livello (medio-lungo periodo): le misure ordinamentali. L’opzione per la nuova giurisdizione speciale dei magistrati professionali - 5. Segue. La Sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione - 6. Per concludere.
1. Per introdurre
La milestone M1C1-35 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede che ≪La riforma del quadro giuridico deve avere l'obiettivo di rendere più efficace l'applicazione della legislazione tributaria e ridurre l'elevato numero di ricorsi alla Corte di Cassazione≫.
Sia pure con una previsione alquanto generica, appena dettagliata dalla relazione al Piano, l’esercizio della funzione nomofilattica in materia fiscale è stata dunque inserita nel perimetro di attuazione della principale misura di programmazione economico-sociale progettata per i prossimi anni dal Governo italiano, di concerto con la Commissione dell’Unione europea.
Conseguentemente, nell’aprile 2021 i ministri direttamente responsabili (economia-finanze/giustizia) hanno istituito un’apposita Commissione di studio per analizzare, in termini generali, le questioni afferenti la riforma degli organi e delle procedure della giustizia tributaria nel suo complesso; è noto che questo gruppo di esperti, nonostante un lavoro di notevole ampiezza e profondità, a differenza che le coeve analoghe Commissioni per la riforma delle procedure di giustizia penale e civile, non è giunto a determinazioni unitarie, lasciando aperte le prospettive di riforma a più soluzioni, anche antitetiche, sia per la giurisdizione di merito che per quella di legittimità.
In composizione più ristretta, sempre su incarico dei ministri dell’economia-finanze e della giustizia, il lavoro di studio è proseguito nella primavera del 2022, trovando concretizzazione in un disegno di legge governativo approvato dal Cdm a giugno, quindi deliberato - con profonde modificazioni- dal Parlamento nella prima decade di agosto, divenendo la legge n. 130 del 31 agosto 2022.
Tale fonte normativa attua la citata milestone (a quanto è dato sapere, con buona soddisfazione degli organi unionali di verifica) con disposizioni che sia direttamente sia indirettamente attengono alla Corte di Cassazione. Peraltro è significativamente integrata da alcune scelte operate dal legislatore delegato alla riforma del rito civile (v. d.lgs. 149/2022).
Si tratta di un complesso normativo, non particolarmente ampio, ma senz’altro rilevante, che merita di essere ben riflettuto e valutato, cosa che sta già accadendo e che accadrà, anche perché già si intravedono varie problematiche che renderanno necessaria un’attività “manutentiva” non solo ermeneutica, ma anche direttamente legislativa. Del resto il tempo della discussione parlamentare è stato inevitabilmente contratto dalla fine anticipata della legislatura, sicché l’“ultimo miglio”, per così dire, è stato percorso a ritmo di carica. Mentre con questo tipo di interventi sarebbe più opportuno un “passo da montagna”. E la differenza si è vista e si vedrà, anche abbastanza presto, come in questo scritto, si proverà a spiegare.
Tuttavia, siccome - molto “a caldo”, da poco alzata la polvere della battaglia - si tratta di fare una prima analisi e niente di più, la scelta necessitata, oltre alla sintesi delle questioni, è la schematizzazione.
Nel plesso delle norme in esame possono quindi distinguersi tre livelli di intervento: primo livello (breve periodo): le misure deflative; secondo livello (medio periodo): le misure processuali; terzo livello (medio-lungo periodo): le misure ordinamentali.
Di seguito le relative considerazioni
2. Primo livello (breve periodo): le misure deflative
Che la Sezione tributaria della Corte e quindi la Corte avessero sulla schiena uno “zaino” troppo pesante (giacenza media dei ricorsi tributari negli ultimi dieci anni: 50 mila circa) era ed è fatto notorio. Tuttavia, a causa di veri e propri pregiudizi (ideologici), la previsione di un, pur limitato, alleggerimento di questo pesantissimo fardello (la metà circa della coeva pendenza dell’intera Cassazione civile) ha visto la luce solo in articulo mortis ossia alla fine del percorso di studio e di legislazione.
Che si trattasse (e si tratti) di pregiudizi non fondati lo dimostra la scelta legislativa fatta (pur perfettibile, v. appena oltre), tanto prudente, quanto, almeno in astratto, foriera di un buon risultato rispetto alla sua ratio.
Non un condono, ma una definizione agevolata, mirata su due, chiarissimi targets: da un lato, coprire un’area potenziale di applicabilità idonea a far conseguire un risultato “quantitativo” (il peso dello zaino, nella metafora) di rilievo; da un altro lato, incidere sull’“alea” del giudizio di legittimità, nel versante dello jus litigatoris, specificamente del contribuente.
Di qui le due soglie valoristiche di accesso alla definizione e, contestualmente, il loro collegamento con i diversi esiti dei gradi di merito (una o due vittorie del contribuente, almeno parziali); quindi una misura pensata, esclusivamente, per sbloccare il contenzioso di legittimità ed in termini essenzialmente processuali. Per l’appunto fuori dalla “logica condonistica” (in relazione alla quale si può effettivamente sollevare molte obiezioni, anche in relazione ai principi di cui agli artt. 3-53, Cost.).
L’aspettativa, chiara, è dunque quella di scendere molto sotto detto livello del contenzioso tributario di legittimità - anche e soprattutto questo, abnorme per una Corte suprema occidentale - rendendo il fardello meno pesante e quindi la scalata più veloce, ancorchè comunque impegnativa.
Certo, ragionando –finalmente- in termini pratici (non ideologici o almeno astratti), si poteva e dunque si può fare qualcosa di più, non per bulimia deflativa, ma per ragioni logiche e di equità.
In primo luogo si possono alzare le soglie di accessibilità, portandole ad almeno 200.000 euro per la “doppia conforme” (almeno parzialmente) favorevole al contribuente ed a euro 100.000 in caso di una sola, almeno parziale, decisione a lui favorevole.
Si tratterebbe comunque di valori rispettivamente di 4 ed 8 volte inferiori a quello medio delle cause tributarie di cassazione (la media di valore è infatti di 800 mila euro circa), quindi per il contenzioso di legittimità comunque non elevati; con la prima modifica si porterebbe il “definibile” ai due terzi della pendenza, pertanto con tutte e due il potenziale deflativo aumenterebbe sensibilmente (con la normativa attuale è intorno alla metà della pendenza).
In secondo luogo, nella logica stretta della - mera - “deflazione processuale”, tale potenzialità potrebbe vieppiù ampliarsi con la previsione della definibilità anche delle cause in cui il contribuente abbia avuto una “doppia conforme” di merito sfavorevole, ovviamente alzando il “prezzo” della definizione. Oltre che per detta ragione di target, non si comprende infatti la ragionevolezza dell’esclusione di tale ipotesi, soprattutto a fronte del dato statistico - consolidato - dell’alta percentuale di accoglimenti dei ricorsi, quindi di cassazione (con o senza rinvio) delle sentenze di appello, il che induce addirittura a profilare una possibile questione di legittimità per violazione quantomeno dell’art. 3, Cost.
A elezioni politiche fatte, senza dunque la pressione del consenso da acquisire, può auspicarsi che il Governo ed il Parlamento, anche, su questo piano intervengano con spirito pragmatico e costruttivo.
Per chiudere sul punto con la metafora iniziale, sull’Everest si può andare senza il respiratore, ma lo zaino deve essere sostenibile. Se poi c’è in ballo il conseguimento del disposition time della Corte, se quindi bisogna accelerare, allora diventa di fondamentale importanza che lo zaino sia il più leggero possibile.
Al di là dei risultati attesi dagli altri livelli di intervento, il dimensionamento corretto/efficace di questo primo livello rappresenta, indiscutibilmente, una conditio sine qua non, di breve periodo, essendo gli altri livelli proiettati/proiettabili più sul medio/lungo.
3. Secondo livello (medio periodo): le misure processuali
La legge 130 del 2022 non contiene disposizioni processuali direttamente disciplinanti il giudizio di cassazione, diversamente dal ddl governativo, che invece ne conteneva due e di notevole rilievo: il rinvio pregiudiziale ed il ricorso del Procuratore generale presso la Corte nell’interesse della legge.
Può senz’altro affermarsi che la mancata approvazione parlamentare ha delle buone ragioni.
Quanto alla prima misura (rinvio pregiudiziale) va detto che è sicuramente molto più opportuna la sua introduzione quale istituto di diritto processuale comune (art. 363 bis, cod. proc. civ.). A scanso di ogni equivoco teorico ovvero interpretativo/applicativo: il processo civile di Cassazione è e deve essere uno soltanto, indipendentemente dalla materia trattata, poiché il giudice civile di legittimità è uno soltanto e non ha nessun senso differenziare la disciplina processuale applicabile, così evitandosi in radice ogni possibile distonia giuridica. Basti in tal senso pensare al delicato rapporto tra sub-procedimenti (per decreto, camerale e di udienza pubblica) nonché tra l’attività delle Sezioni semplici e quella delle Sezioni Unite, sede massima, unitaria, della nomofilachia civile, processuale e sostanziale.
Quanto alla seconda misura, come si è anche fatto notare da più parti, si trattava di una “fuga in avanti” o forse meglio di un passo davvero troppo spinto verso la de-processualizzazione, quindi è stato opportuno ripensarci e non vararla.
Questo sul piano storico. Su quello della prospettiva, dalla riforma generale del processo rinviene uno strumento - il rinvio pregiudiziale, appunto - che pare avere una sede “di elezione” proprio per le cause in materia tributaria, per due, essenziali e coesistenti ragioni.
La prima riguarda i tempi della nomofilachia, del tutto decisivi in un settore dell’ordinamento giuridico così centrale quale quello delle discipline fiscali. Troppe volte nel passato si è dovuto riscontrare la sostanziale inutilità degli interventi orientatori della Corte essenzialmente a causa della loro tempistica, spesso superata in velocità dall’attività legislativa, a complicazione di un quadro operativo già di per sé non semplice.
La seconda, conseguenziale alla prima, attinge direttamente i “volumi” del contenzioso, tanto più rilevanti quanto meno efficace è la funzione di indirizzo ermeneutico della Cassazione (piano del c.d. jus costitutionis). In altri termini, nella "latitanza" della nomofilachia il contenzioso –inevitabilmente- si espande.
Il saldarsi storico delle due situazioni ha creato il circolo vizioso che nel tempo, nonostante la - meritoria - creazione della sezione specializzata nel 1999 per via “tabellare” (organizzativa interna), ha messo la Corte nelle critiche condizioni attuali, con una forte riduzione dell’impatto - necessario - della giurisprudenza sulla attuazione dei tributi. Troppe cause nel merito, troppe di legittimità, limitazione dell’effetto globale della giurisdizione, come tutela primaria dei diritti e come concretizzazione della legge (jura litigatorum/jura costitutiones).
Ed infatti l’esigenza di porre rimedio è divenuta la milestone citata all’inizio.
Ora, pare chiaro che, se il rinvio pregiudiziale avrà successo presso il giudici tributari di merito (ora Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado), se verrà utilizzato con “sapienza” e quindi integrato secondo i suoi canoni normativi nel sistema processuale del giudizio di legittimità, potrà diventare uno strumento di nomofilachia preventiva davvero importante ed efficace.
Sia per lo jus dei litiganti sia per il diritto (tributario) oggettivo.
Bisogna superare anche qui dei pregiudizi, che astraggono colpevolmente dalla realtà qual è stata e qual è ossia quella di una risposta di giustizia insoddisfacente, pur per ragioni diverse, tra merito e legittimità. Non si può prescindere dalla constatazione che –a “Costituzione invariata” (art. 111, settimo comma, Cost.)- la Corte Suprema italiana è investita da una domanda di giustizia assolutamente sconosciuta nel Mondo. Quindi i rimedi, come quello in esame, vanno necessariamente trovati sul piano di una normazione primaria costituzionalmente compatibile, ma efficace.
In termini concreti, qualsiasi modalità che, senza toccare i principi di cui agli artt 24, 111, Cost., induca ad una riduzione prospettica del flusso di ricorsi, per quanto qui interessa, tributari, quindi ad una velocizzazione/miglioramento della funzione di nomofilachia, deve affermarsi come realmente conforme allo spirito della Costituzione, in parte qua.
Ed il rinvio pregiudiziale “promette” di essere funzionale a questo fine.
Che pure è “servito” da altre nuove previsioni del d.lgs. 149/2022, particolarmente dalla introduzione del rito accelerato, conseguente all’abolizione della “apposita Sezione” civile deputata all’esame preliminare dei ricorsi ed alla decisione di quelli di pronta definizione.
Misure anch’esse di razionalizzazione, che non possono che dare risultati positivi, anche se, ovviamente, tutti da verificare.
Quanto peseranno positivamente le, parziali, modifiche del rito tributario speciale (d.lgs. 546/1992) contenute nella legge 130/2002 è poi tutto da vedere e qui le stime diventano davvero difficili, quindi meglio astenersi dal farle.
4. Terzo livello (medio-lungo periodo): le misure ordinamentali. L'opzione per la nuova giurisdizione speciale dei magistrati professionali
La legge 130/2022 mantiene l'attuale assetto ordinamentale "duale" della giurisdizione tributaria - merito, giudice speciale/legittimità, giudice ordinario - anzi lo consolida ancor più, tendenzialmente lo "cristallizza" in via definitiva.
Che questa fosse l'unica scelta possibile, che fosse quella migliore è lecito dubitare, anche volendo al netto di qualche -nient'affatto peregrina - riserva sul piano della costituzionalità, semplicemente, e non è/non sarà poco, sul piano della praticabilità e dei tempi di attuazione della scelta legislativa nel versante della costituzione della "nuova" (la quinta) magistratura professionale italiana.
La via "maestra", la più costituzionalmente compatibile, quella di meno complessa realizzazione, era sicuramente quella dell'assorbimento della giurisdizione tributaria di merito in quella ordinaria. Pur non potendosi nascondere le difficoltà di questa - radicalmente diversa - prospettiva, a partire dalla necessità di implementare considerevolmente l'organico della magistratura ordinaria (operazione per nulla semplice e veloce) per proseguire con le ulteriori per nulla semplici misure logistiche (edilizia giudiziaria) e complementari (personale ausiliario), tuttavia essa appare indiscutibilmente meno accidentata e sicuramente meno lunga di quella di assumere oltre 700 magistrati tributari speciali per concorso.
Peraltro si potevano anche trovare soluzioni intermedie, quali ad esempio lasciare il primo grado al giudice speciale, ancora di tipo onorario, accentuandone la funzione arbitrale/conciliativa, e portare il grado di appello nell'ambito del giudice ordinario, accentrando le sedi, secondo un modello analogo a quello del tribunale per i minorenni e del tribunale di sorveglianza (quindi anche con l'associazione di giudici non togati).
Ma tant'è, nell'agosto 2022, in una convulsa fase di fine legislatura, con la pressione del PNRR (che, va detto, non imponeva affatto una via riformatrice precisa), si è fatta una scelta diversa, le cui criticità si stanno già evidenziando e che verosimilmente si paleseranno sempre più, forse costringendo il legislatore a ritornare, almeno parzialmente, sui "suoi passi". Questa però è un valutazione da sfera di cristallo, dunque va subito abbandonata all'ambito del vaticinio.
Presa pertanto la realtà normativa per quello che è, senza entrare funditus nel merito del -complicato- compito della costruzione della nuova giurisdizione di merito, si tratta qui essenzialmente di cogliere i profili di "congiunzione" tra essa e quella di legittimità, appunto in relazione alle previsioni che la legge 130/2022 contiene.
Vengono in tal senso in rilievo due determinazioni legislative: lo speciale regime di opzione per i magistrati professionali che siano anche attuali giudici tributari (art. 1, commi 4 ss.) e l'istituzione della sezione specializzata tributaria presso la Corte di Cassazione (art. 3).
La prima previsione ha una ratio evidente: creare subito un "corpo solido" di magistrati formati ed esperti, anche in campo tributario, all'interno della nuova magistratura, in considerazione dei tempi lunghi di costituzione della medesima. Qui c'è una risposta razionale e potenzialmente efficace alla milestone del PNRR, pur latamente intesa.
Tuttavia, la disposizione legislativa de qua sconta la fretta ed ha più di una zona d'ombra. Anzitutto non è del tutto chiara in relazione al trattamento economico degli "optanti", in secondo luogo pone un limite di età troppo basso ed un limite di flusso per i magistrati ordinari altrettanto eccessivamente compresso.
Di per sé, secondo le considerazioni di cui appena oltre, il numero 100 può considerarsi tuttosommato una determinazione quantitativa congrua, ma è piuttosto improbabile che 50 possano affluire dalle magistrature professionali speciali, per un complesso di ragioni (bacini di riferimento ristretti; possibilità di carriera). Tale circostanza, unitamente alle altre due condizioni poste dalle disposizioni legislative in oggetto (trattamento economico, limite di età) rendono perciò alquanto incerto il successo effettivo della misura ordinamentale de qua (lo si sostiene da più parti, da ultimo -con particolare autorevolezza- anche dal Vice Ministro Maurizio Leo).
Peraltro l'interpretazione dell'avverbio «prioritariamente» utilizzato dal legislatore nell'individuare la destinazione degli optanti (alle Corti di giustizia tributaria di secondo grado) data dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (v. delibera n. 1559/2022) affossa definitivamente ogni effettiva potenzialità "di sistema" della misura in esame.
Con tale delibera infatti il CPGT ha determinato in 70 gli optanti destinati alle Corti di primo grado ed in 30 quelli destinati alle Corti di secondo grado, assegnandoli secondo un criterio, non reso palese dai consideranda, che in ogni caso -di fatto- oblitera il tratto indubbiamente saliente della scelta normativa ossia, come detto, quello di creare immediatamente "massa critica" nel grado di appello.
Il collegamento (“da PNRR”) tra questa necessità ed il giudizio di legittimità risulta invero del tutto evidente. Come più volte indicatosi nella relazione inaugurale dell'anno giudiziario ordinario dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, la prima misura per decrementare e qualificare il contenzioso tributario di legittimità è indubitabilmente quella di migliorare la qualità media delle pronunce di appello. Che questo sia un profilo problematico lo evidenza, oltre ogni ragionevole dubbio, la percentuale degli annullamenti, che per le sentenze di appello tributarie è "storicamente" (ultimi 10 anni, dati dell'Ufficio di statistica della Cassazione) doppio a quella delle sentenze di appello civili.
Ammesso, ma non concesso, che 30 optanti vadano nelle Corti di secondo grado, sparsi sul territorio, come detta delibera prevede, non si capisce come detto obiettivo possa essere raggiunto in termini minimamente soddisfacenti.
In realtà gli optanti in appello servono (e sono appena appena sufficienti) tutti e 100. Solo a questa condizione ed a quella ulteriore di una razionale distribuzione territoriale il miglioramento - immediato - della media qualitativa delle decisioni di secondo grado può essere ragionevolmente conseguito.
Sotto quest'ultimo profilo (assegnazione degli optanti alle Corti di giustizia tributaria di secondo grado) vi è comunque da considerare che, a legislazione vigente, già esiste un pregnante potere organizzativo dell'organo di autogoverno della giurisdizione tributaria speciale la cui portata complementare/integrativa risulta del tutto evidente. L'art. 6, comma 1, d.lgs. 545/1992 infatti prevede che «Con provvedimento del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria sono istituite sezioni specializzate in relazione a questioni controverse individuate con il provvedimento stesso». Il Consiglio potrebbe quindi agevolmente attuare tale previsione normativa appunto con l'assegnazione a queste «sezioni specializzate» (per materia: es. tributi armonizzati; per valore: es. da 100.000 euro) gli optanti. E così il "cerchio" della riforma in parte qua si chiuderebbe "virtuosamente".
Per queste ragioni la delibera CPGT appare pertanto radicalmente miope e sostanzialmente errata. L'unico rimedio che si prospetta - di poco momento, ma di decisivo impatto - è che la disposizione della legge 130/2022 in esame venga emendata con la soppressione dell'avverbio «prioritariamente», sicché non possa esservi alcun dubbio interpretativo circa la destinazione -esclusivamente- in appello dei magistrati professionali optanti. Chiaro è tuttavia che bisogna accompagnare questa modifica normativa con altre -sempre di modesto impegno politico legislativo, ma anch'esse decisive- che riguardino il trattamento economico ed il limite di età.
Si potrebbe anche, aggiuntivamente, prevedere il mantenimento della possibilità di opzione, fino al completamento dell'organico di giudici speciali previsto dalla legge, qualora, per qualsiasi causa, la presenza degli optanti nella giurisdizione speciale scenda sotto un certo limite (es. 90).
In questi, modificati, termini l'opzione può diventare una vera "chiave di volta" della riforma (così com'è, non lo è e la delibera del CPGT già lo dimostra) sia sul versante del giudizio di merito sia sull'interfaccia di legittimità.
E non è affatto una questione secondaria. Con una corretta soluzione della stessa infatti si può correggere e limitare l'incongruenza, detta all'inizio di questa parte della riflessione, del permanere della cesura ordinamentale/funzionale tra merito e legittimità, creando una zona di - immediata - omogeneità qualitativa, ma in prospettiva anche soggettiva.
L'art. 1, comma 9, legge 130/2022 prevede infatti espressamente che gli optanti possano rientrare nelle magistrature di provenienza, secondo le rispettive norme ordinamentali. Questa è l'unica possibilità, a Costituzione vigente, che la Sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione venga, nel medio-lungo periodo, arricchita dall'esperienza professionale specialistica dei magistrati ordinari transitati alla giurisdizione tributaria di merito. Ed è questa una chance che non deve essere assolutamente trascurata.
5. segue. La Sezione specializzata tributaria della Corte di Cassazione.
L'art. 3 della legge 130/2022 prevede che «1. Presso la Corte di cassazione e' istituita una sezione civile incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia tributaria. 2. Il primo presidente adotta provvedimenti organizzativi adeguati al fine di stabilizzare gli orientamenti di legittimità e di agevolare la rapida definizione dei procedimenti pendenti presso la Corte di cassazione in materia tributaria, favorendo l'acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati alla sezione civile di cui al comma 1».
Non si tratta affatto di una disposizione pleonastica, esornativa, come fosse soltanto una "etichetta". Essa infatti contiene non solo l'istituzione per legge, come fatto negli anni '70 per la Sezione lavoro della Corte, ma rispetto proprio a questo precedente normativo, anche l'attribuzione di precisi poteri di indirizzo organizzativo del Primo Presidente, con altrettanto precise indicazioni teleologiche.
È dunque una misura che impone delle scelte, ma nient'affatto soltanto del Capo dell'ufficio interessato, che è pur sempre soltanto il "terminale" del sistema del governo autonomo della magistratura. Sono infatti evidenti le responsabilità al riguardo del Consiglio direttivo della Corte, ma, anche di più, del Consiglio Superiore della Magistratura.
L'organo principale dell'autogoverno dovrà dare attuazione alla disposizione legislativa primaria con la normazione secondaria sia tabellare sia concorsuale, trovando i modi più appropriati per implementare l'afflusso di risorse, anche specialistiche, alla Cassazione, giacché altrimenti le attribuzioni presidenziali ne risulterebbero fortemente limitate e sostanzialmente la scelta riformatrice ne verrebbe vanificata.
Oltre ai magistrati ordinari, bisogna peraltro sottolineare che, in base alla previsione di cui all'art. 106, terzo comma, Cost., come attuata dalla legge 303/1998, alla Corte possono essere destinati i c.d. "meriti insigni" (professori universitari ed avvocati) ed è sicuramente anche questa una via che il CSM può e deve potenziare per le finalità di rafforzamento della nuova Sezione specializzata come configurate dal legislatore («stabilizzare gli orientamenti di legittimità»; «acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati...»).
Ed ancora, esercitando il proprio di indirizzo, il CSM può dare alla Scuola Superiore della magistratura l'input di rafforzare l'offerta formativa nella materia tributaria.
Insomma, risulta chiaro che vi sono concrete misure attuative di questa parte, rilevante, della riforma (che è attuazione diretta della milestone del PNRR) che vanno adottate al più presto dai centri decisionali competenti.
6. Per concludere
Tra luci ed ombre la legge 130/2022 presenta comunque delle nuove opportunità per la nomofilachia tributaria, ad impatto evidentemente frazionato nel tempo.
Già ripartire più "leggeri" può, anzi deve, indurre una contrazione dei tempi di giustizia (il disposition time del PNRR) e migliorare la qualità della produzione giurisprudenziale di legittimità.
A regime, le misure processuali, soprattutto esterne alla legge di riforma (in particolare, art. 363 bis, cod. proc. civ.), a loro volta promettono miglioramenti di flusso nonché di prontezza ed efficacia della giurisprudenza di legittimità.
Ad un livello più complesso, ma strutturale, dunque nel medio-lungo periodo con il maggior valore aggiunto, le misure ordinamentali, se opportunamente modificate ed accompagnate, possono indurre una migliore, più adeguata, strutturazione del nesso di collegamento appello/Cassazione e nella parte terminale del circuito giurisdizionale (Sezione specializzata della Corte) un upgrade di notevole, diretto, impatto sulla funzione demandata alla Cassazione dagli artt. 111, settimo comma, Cost., 65, legge di ordinamento giudiziario.
Queste sono soltanto brevi considerazioni ed auspici. Vedremo i fatti dove porteranno la riforma, anche nel segmento, fondamentale, della giurisdizione di legittimità.
Premio “Giulia Cavallone” – anno 2022
Presunzione di innocenza Venerdì 25 novembre 2022, ore 15 - Roma Tre - Sala del consiglio - secondo piano- Dipartimento di Giurisprudenza
Giunge quest’anno alla sua seconda edizione il premio “Giulia Cavallone”, nato da un’iniziativa della Fondazione Piero Calamandrei e della Famiglia Cavallone per ricordare e onorare la memoria di Giulia Cavallone, una giovane donna, magistrato, scomparsa a soli trentasei anni dopo una lunga lotta contro il cancro. Una malattia che peraltro non le impedì di amministrare giustizia fino all’ultimo in quell’aula del Tribunale Penale di Roma che, per tale motivo, da allora porta il suo nome.
Giulia Cavallone è stata una donna e una giurista di respiro internazionale.
Dopo essersi laureata in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università Roma Tre, con una tesi dal titolo “Il reato transnazionale in materia di terrorismo”, conseguì successivamente il dottorato di ricerca presso l’Università “La Sapienza” di Roma, in cotutela con l’Universitè Paris II – Panthéon Assas, con una tesi dal titolo “Obblighi europei di tutela penale e principio di legalità in Italia e in Francia”.
Grazie a numerose borse di studio vinte, svolse periodi di ricerca anche presso l’Università di Losanna e presso l’Istituto di diritto penale straniero e internazionale “Max Planck” di Friburgo, in Germania.
Svolse altresì uno stage presso la Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, a Bruxelles, ove ebbe modo di approfondire la sua conoscenza del diritto e delle istituzioni europee.
Fu giudice penale presso il Tribunale di Velletri, sino all’ottobre 2018, e successivamente ricoprì le medesime funzioni presso il Tribunale di Roma sino alla data della sua morte, prematura e ingiusta, avvenuta in una tiepida mattina del 17 aprile 2020.
In considerazione dell’apprezzamento unanime della sua figura professionale e umana, del prestigio acquisito in Italia e all’estero nonostante la giovane età, del suo instancabile esercizio della funzione giurisdizionale, che la portò a presiedere sino all’ultimo le udienze di un delicato processo d’interesse nazionale, nonché del suo impegno sociale nel promuovere in prima persona l’emancipazione e la difesa dei diritti delle donne lavoratrici in Senegal, la Giunta Capitolina di Roma ha deliberato il 30 ottobre 2020 di riservarle un’area presso il Cimitero Monumentale del Verano, quale persona che ha onorato con la sua vita la città di Roma in Italia e nel mondo.
Anche il Tribunale di Velletri, sua prima sede di servizio ha deliberato, come già avvenuto a Roma, di intitolarle l’aula dove ella aveva tenuto le sue udienze.
In linea con la sua storia personale, il Premio “Giulia Cavallone” ha pertanto lo scopo di finanziare soggiorni di studio presso Università e altri centri esteri di riconosciuto prestigio per consentire a giovani dottorandi nel campo del diritto e della procedura penale di ampliare le loro conoscenze, così da formare giuristi sensibili alle diversità culturali, con una mente aperta, critica e disposta al confronto, la cui azione sia improntata ai valori della solidarietà e della tutela della persona, così com’era Giulia Cavallone.
Come hanno già scritto di lei, Giulia Cavallone “era arrivata in magistratura dopo anni di vita vissuta, dedicati con passione alla ricerca e all’accademia, da giurista (e da persona) matura e raffinata, cui erano bastati pochi mesi di preparazione per superare il concorso. Pochi mesi in cui Giulia studiava di sera, in un monolocale al sesto piano senza ascensore dal cui abbaino si vedeva la Tour Eiffel, di ritorno da lunghe giornate passate all’Institut de Droit Pénal china sulla sua tesi di dottorato. Pochi mesi durante i quali aveva vinto prestigiose borse di studio internazionali, aveva fatto la spola tra Parigi ed Heidelberg, aveva pubblicato articoli scientifici in lingue diverse, e diverse dalla propria, si era fatta ospitare a casa degli amici la sera prima delle conferenze internazionali in cui aveva relazionato. Mesi in cui aveva portato avanti il suo impegno nel volontariato, dando il via a nuovi importanti progetti, partendo per l’Africa. Tutto questo senza mai mancare una serata a teatro, una mostra, un concerto, un’occasione di viaggio, una cena con gli amici. E a cena Giulia dava il meglio di sé. Era una delle persone più brillanti che si potesse sperare di avere intorno. Il suo senso dell’umorismo era la punta dell’iceberg della sua intelligenza. Portava la propria erudizione ed il proprio spessore come si portano un paio di jeans, con la stessa leggerezza con cui, poi, avrebbe portato il fardello della malattia. Che non le avrebbe impedito di continuare a viaggiare, di costruire una casa con il suo compagno, di rinsaldare e coltivare le sue amicizie ed i suoi interessi, ed anzi l’avrebbe spinta a farlo con sempre maggior convinzione. La fatica fisica e morale delle cure, l’apprensione con cui parlava della malattia, l’estenuante alternarsi di speranza e sconforto, nel suo quotidiano sbiadivano dietro l’ironia con cui sapeva celarli …. La gentilezza di cui tutti raccontano era il sintomo di una grande maturità e consapevolezza di sé: non solo indole, ma frutto delle tante esperienze fatte, di un convinto e profondo umanismo. Di pari passo con la dedizione per il lavoro in cui così tanto credeva andava l’impegno che metteva in ogni altro aspetto del vivere, la cura che dedicava alle proprie relazioni, ai propri interessi e passioni, al costruire la propria esistenza di essere umano. Giulia aveva compreso che l’unico modo per essere un buon giudice, un giudice giusto, è essere una persona giusta, qualsiasi cosa voglia dire. Rispettosa della vita e del mondo. Studiosa non solo del diritto, ma dell’umano.(Sibilla Ottoni, Giustizia Insieme, 17 Aprile 2021)”
In un momento storico in cui sembrano prevalere su tutto l’incompetenza, la superficialità, l’incontinenza verbale ed emotiva, il desiderio di fama e di potere come massima realizzazione dell’essere umano, l’eredità che ci lascia Giulia Cavallone è quella di un esercizio della funzione giurisdizionale come servizio da rendere, mai come un privilegio, sempre con competenza, compostezza, garbo e umanità.
In questo spirito, il Premio si propone quindi come obiettivo di contribuire a formare non soltanto migliori operatori del diritto ma, anche, buoni cittadini.
Nell’edizione del 2021 il Premio è stato assegnato alla dottoressa Alice Giannini, dottoranda presso l’Università di Firenze, per un progetto di ricerca di carattere internazionale svolto sull’Intelligenza Artificiale nei suoi riflessi sulla responsabilità penale. Il progetto verteva sulla possibilità di individuare parametri di riferimento per una responsabilità intesa come accountability , atteso che l’imprevedibilità dell’azione operata autonomamente dalla “macchina” pone il problema di come determinare con un grado di certezza giuridicamente ammissibile se un danno causato come conseguenza di un’azione autonoma ed imprevedibile di un’I.A. possa essere attribuito ad un agente umano coinvolto nella catena causale degli eventi. Il suo percorso di ricerca all’estero si è svolto presso la Facoltà di Legge dell’Università di Maastricht.
E’ significativo che la Commissione giudicatrice abbia valutato molto favorevolmente l’impegno duraturo della vincitrice quale Avvocato di strada e nell’assistenza legale ai detenuti. Una forma di volontariato non richiesta dal bando ma ritenuta non estranea allo spirito del Premio, “che ricorda una giovane donna, impegnata nel suo lavoro di magistrata ma sempre con sguardo alto, rivolto agli altri e, tra questi, agli ultimi”.
Nell’edizione 2022 la Commissione esaminatrice ha attribuito il premio alla dottoressa Laura De Stradis, dottoranda presso l’Università del Salento, con un progetto che nuovamente affronta la problematica dell’I.A., questa volta sotto il profilo dell’inserimento dell’intelligenza artificiale nel sistema della compliance aziendale, al fine di ottimizzare le chances di prevenzione del rischio-reato, con particolare riferimento ai reati finanziari, e apportando un contributo in chiave di innovazione digitale. Lo studio, come si legge nel progetto “si focalizzerà in particolar modo sul ruolo dei modelli di organizzazione, gestione e controllo del rischio-reato, cuore pulsante del sistema 231 e chiave di volta per la comprensione della vocazione preventiva del sistema della corporate criminal liability, nonché per la valorizzazione del profilo della rimproverabilità dell’ente, nel rispetto del principio di colpevolezza ex art. 27, comma 1, Cost.”. Il programmato soggiorno di studio all’estero si svolgerà presso l’Universidad de Castilla – La Mancha e contribuirà certamente al conseguimento degli obiettivi scientifici sottesi al progetto di ricerca.
E’ auspicio della Fondazione Calamandrei e della Famiglia Cavallone che, anche per il futuro, l’esempio di Giulia possa contribuire a cambiamenti verso una società più giusta, in armonia con quello che può essere ricordato come il suo invito rivolto a tutti noi: “Siate giusti, siate gentili”.
Il quadro costituzionale e le opzioni politiche nostrane. A proposito delle vicende belliche in atto
di Antonio D’Andrea
Ragionare di “pace” e correlativamente di “guerra” in termini etici e morali – diciamo pure restando sul piano teorico generale – serve ad esprimere, in prima battuta, un bisogno che parte dal profondo dell’animo umano e informa di sé mente e cuore di ciascun individuo orientandone opzioni culturali prevalentemente in termini valutativi rispetto a quello che accade e di cui sono responsabili “altri” (specie se considerati portatori di valori differenti rispetto ai propri riferimenti ideali), così come pure, per quel che può valere, finisce per orientare concretamente azioni e comportamenti personali: si oscilla dalla più banale partecipazione ad una manifestazione pubblica, pro o contra una delle due o più parti del conflitto in atto, sino ad indurre taluno che voglia esprimere un più radicale convincimento a schierarsi apertamente e con slancio, anche solo con sforzi di natura argomentativa quali sono quelli che competono agli intellettuali indotti a ragionare sugli accadimenti che si dipanano sotto i loro occhi, ora a fianco di una parte belligerante di cui si riconoscono le buone ragioni (ad esempio quella di difendersi da un’aggressione alla propria integrità territoriale e alla libertà di autodeterminazione sul piano delle scelte interne e internazionali) ora spendendosi in favore di una visione “pacifista” – ancorché non necessariamente equidistante rispetto al conflitto bellico in atto – sul presupposto della inaccettabilità in ogni caso della guerra (anche ove ci si sforzi lo stesso di darne una spiegazione in chiave geopolitica), conflitto dal quale occorrerebbe uscire ricorrendo esclusivamente a mezzi politico-diplomatici, tanto più per evitare il prolungamento delle sofferenze patite da chi è vittima delle terribili azioni ad esso connesse. Vale a dire, per restare al caso attualmente sotto la lente di ingrandimento europea, sicuramente il popolo ucraino. L’opzione pacifista, come è noto, oltretutto viene spesso invocata come l’unica in grado di evitare l’ulteriore allargamento del conflitto ad altri contesti (nel caso di specie l’area dei Paesi Nato, sul confine tra Ucraina e Russia oltre che gli Stati del nord Europa, al momento “neutrali”) come pure il possibile uso di strumenti di distruzione di massa quali le armi nucleari nella disponibilità dell’invasore russo. Naturalmente per parlare di “guerra” e di “pace” in termini più stringenti rispetto a quanto accade “sul terreno”, al di là di quello che ci viene direttamente documentato in modo molto spesso esemplare per non dire eroico, ci sono competenze “tecniche” specifiche che investono lo studio e l’analisi delle questioni geopolitiche che sono deflagrate così drammaticamente nel nostro Continente. Egualmente abbiamo imparato a conoscere studiosi, più o meno accreditati, ma pur sempre “addetti ai lavori” delle relazioni internazionali e delle prassi diplomatiche e ancora esperti di strategia militare i quali, nel caso di specie, al punto in cui si è giunti, meritano, almeno a mio avviso, di essere ascoltati più di altri che potremmo definire incompetenti generici o, se si vuole, competenti relativi (siano essi giuristi, filosofi, sociologi, storici, politologi) i quali, almeno a mio giudizio, intervengono copiosamente nel dibattito pubblico spesso in modo del tutto approssimativo, ricostruendo, nella migliore delle ipotesi, il loro astratto punto di vista intorno alle “condizioni” sopra evocate senza fornire chiarimenti e opinioni utili su quel che accade oltre il campo visivo, fuori cioè dalle immagini e dai resoconti che rimbalzano dal fronte, e neppure fornendo chiavi di lettura che aiutino a ragionare gli altri – i più – illustrando indispensabili e realistici “punti di vista” su quel che ci si potrà aspettare da qui in avanti.
Non sempre del resto – capita a tutti – si è in grado di esprimere un’opinione autorevole, ancorché si abbia pur sempre un’opinione, che, dunque, di fronte a scenari così terribili da lasciare sbigottiti e, mi pare, senza l’ausilio di una bussola funzionante per comprendere effettivamente i termini delle questioni e degli interessi in gioco, al di là di quel che ciascuno legittimamente pensa dell’invasione russa, della resistenza ucraina, dell’azione o inazione dell’Unione europea, degli interessi americani e del ruolo difensivo o espansivo della Nato, della possibile mediazione cinese, dell’efficacia delle sanzioni economiche promosse nei confronti della Russia e delle inevitabili ricadute in questo o in quel Paese, a partire dal nostro, ci dovrebbe essere risparmiata almeno dai mezzi di informazione più accreditati, specie se da ricondurre al servizio pubblico. E, invece, in tanti “pontificano” non proprio con il rigore e persino la continenza (e la competenza) necessaria, specie quando si accede, e talvolta non si capisce perché, agli ambiti in cui si svolge la comunicazione più pervasiva nei confronti della pubblica opinione (non ho dunque in mente i cc.dd. social, che ovviamente restano spalti e tribune poco consone a valutazioni di principio).
Resta inteso che, se da un piano istintuale e in ogni caso intimamente collegato persino alla moralità della persona e, se si vuole, allo sviluppo del pensiero filosofico e antropologico si volesse davvero passare (al tentativo) di una configurazione strettamente giuridica di fenomeni che hanno da sempre contrassegnato le relazioni tra Stati sovrani – che restano tuttora presenti sulla scena internazionale ancorché impegnati a far parte di organizzazioni sovranazionali operanti su scale differenti, segnandone in profondità i loro destini – occorrerebbe, in primo luogo, partire dalla qualificazione normativa che ciascun ordinamento finisce per dare, direttamente o indirettamente, della “guerra” e della “pace”. Non fosse altro perché, nel secondo dopoguerra, l’aspirazione, ben colta e assecondata nella nostra Costituzione repubblicana, di dare vita ad un nuovo “ordinamento internazionale” non consente una regolamentazione solo domestica di tali “mezzi”. Credo che, in effetti, su questo terreno, almeno per il costituzionalista e per chiunque voglia restare sul piano di una valutazione giuridica, non valga tanto il sentimento più o meno diffuso che si afferma nella Comunità in relazione ad una specifica vicenda che può coinvolgere “emotivamente” lo Stato e i suoi appartenenti, quanto piuttosto il riferirsi alla legittimità o illegittimità di azioni e comportamenti riconducibili immediatamente a quanti detengono le leve del governo statuale che potrebbe muoversi – e si muove – sul piano interno e/o internazionale in una o nell’altra direzione.
Da questo punto di vista, probabilmente insignificante ma almeno tecnicamente definito in un ambito circoscritto, dal quale peraltro molti entrano ed escono con sconcertante disinvoltura, due mi sembrano i precetti costituzionali ricavabili da una lettura sistematica delle disposizioni costituzionali (dunque non solo dall’articolo 11, ma anche, almeno, dagli articoli 78, 80, 87, ottavo e nono comma, della Costituzione) dai quali muovere e che, come spesso accade, esprimono sensibilità non proprio coincidenti, ovviamente da bilanciare, senza che uno possa annullare o svuotare del tutto l’altro per orientare le scelte legittime che ricadono nella piena responsabilità degli organi di indirizzo politico del nostro Paese, a prescindere – mi verrebbe da dire – dagli umori inevitabili della “piazza” che liberamente manifesta e, eventualmente, “spinge” in uno dei due sensi, ma non si assume in nessun caso la responsabilità di governare direttamente. Ometto, a tal proposito, di affrontare il tema del coinvolgimento, peraltro inevitabile e costituzionalmente necessario, degli organi parlamentari sulle scelte che vengono assunte dallo Stato poiché tocca – ahimè – lo stato viziato da molti decenni nelle relazioni istituzionali che intercorrono tra Parlamento e Governo. Dunque, prescindendo da ciò, si fronteggiano con pari dignità costituzionale due principi: il ripudio della guerra per risolvere controversie internazionali (il tema è dunque quello della promozione sul piano internazionale, a partire certo da quello europeo, di attività finalizzate ad ottenere la cessazione dello “sbocco” bellico sia in funzione preventiva sia una volta determinatosi lo scenario di guerra, a prescindere dallo stesso coinvolgimento diretto o indiretto del nostro Paese in quello scenario); e la reattività sul piano militare ad un’aggressione bellica in atto, che comporta conseguentemente la legittimità della guerra difensiva (il che autorizza, a mio modo di intendere, lo stesso ausilio armato che il nostro Paese ritenesse di dover fornire ad uno Stato considerato “aggredito” da altro Stato, prescindendo da obblighi internazionali di difesa comune contratti in favore di Stati alleati). Riguardo a tale “ausilio”, esso mi parrebbe coerente proprio con la salvaguardia delle ragioni dovute al mantenimento della sovranità degli ordinamenti, laddove non “ceduta” in condizioni di parità, come richiesto proprio dallo stesso articolo 11 della Costituzione, al fine di promuovere e favorire pace e giustizia tra le Nazioni attraverso nuovi assetti organizzativi tra gli Stati, e non altro.
Se questa è la cornice costituzionale nella quale restare, per il nostro Paese è evidente che la strada da perseguire sul piano della legittimità dell’indirizzo politico non è l’assoluto prevalere di un principio sull’altro, ma il contemperamento delle due esigenze sopra richiamate in una gradazione che certo rappresenterà pur sempre, inevitabilmente, l’accentuazione anche momentanea dell’una rispetto all’altra.
In fondo il processo per arrivare alla pace, che non c’è, presuppone l’incamminamento su una strada lunga e impervia senza nascondersi che l’obiettivo resta lontano e non si potrà raggiungere con slogan urlati fuori dal contesto interessato dalla guerra, che viceversa è drammaticamente in atto, o con suggestioni irrilevanti per chi la guerra la vive sulla propria pelle.
Scheda n. 5 - Udienza preliminare (artt. 416 ss. c.p.p.)
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
La finalità della riforma, in tema di udienza preliminare, risulta quella di concentrare nella fase predibattimentale una serie di controlli in ordine, in particolare, alla esatta individuazione della competenza territoriale nonché della corretta e precisa enunciazione del fatto oggetto di contestazione, in modo così da evitare successive indebite regressioni procedimentali nel corso del giudizio e contenere così i tempi di definizione dei procedimenti; coerente con tale esigenza risultano poi le novità in tema di (nuovi) casi in cui l’imputato deve essere considerato presente e quelle che garantiscono maggior facilità per la costituzione di parte civile.
Così come, peraltro, anche la nuova regola di giudizio delineata dall’art. 425 c.p.p. risulta rispondere alla necessità che la celebrazione del dibattimento sia limitata ai casi in cui la previsione di condanna sia ragionevole.
APERTURA DELL’UDIENZA PRELIMINARE
La prima innovazione relativa alla disciplina dell’udienza preliminare è contenuta all’art. 416 c.p.p. (“Presentazione della richiesta del pubblico ministero”), ove è stato abrogato il comma 2-bis, già introdotto dalla l. n. 102/2006, che prevedeva che, in caso di procedimento per reati di cui all’art. 589, comma II c.p. (omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) e all’art. 589-bis c.p. (omicidio stradale), la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero doveva essere depositata entro il termine di trenta giorni dalla chiusura delle indagini.
All’art. 419 c.p.p. (“Atti introduttivi”), poi, con riguardo all’avviso di fissazione del giorno, ora e luogo dell’udienza preliminare, viene implementato il novero degli avvisi da dare all’imputato in ordine alla possibilità di celebrazione del processo in sua assenza, mediante l’indicazione – oltre che dei già previsti artt. 420-bis, 420-ter, 420-quater, 420-quinquies c.p.p. – anche dell’art. 420-sexies c.p.p., che ha introdotto, nella rinnovata formulazione della disciplina dell’assenza, la revoca della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo. Si prevede anche l’informazione all’imputato e alla persona offesa della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
COSTITUZIONE DELLE PARTI
TESTO RIFORMATO |
Art. 420 c.p.p. - Costituzione delle parti. (Omissis) 2-bis. In caso di regolarità delle notificazioni, se l’imputato non è presente e non ricorrono i presupposti di cui all’articolo 420-ter, il giudice procede ai sensi dell’articolo 420-bis. 2-ter. Salvo che la legge disponga altrimenti, l’imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall’aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare alle successive, è considerato presente ed è rappresentato dal difensore. È considerato presente anche l’imputato che ha richiesto per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale o che è rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale. (Omissis) |
All’art. 420 c.p.p. (“Costituzione delle parti”) vengono introdotti due nuovi commi, il 2-bis e il 2-ter.
Il comma 2-bis prevede che si procede alla verifica dei presupposti per la dichiarazione di assenza dell’imputato “in caso di regolarità delle notificazioni”, quando l’imputato non è presente e non ricorrono i presupposti di cui all’art. 420-ter (“Impedimento a comparire dell’imputato o del difensore”); viene quindi ribadita con maggior forza la sequenza procedimentale per cui solo a seguito della positiva verifica della regolarità della notifica è possibile poi passare alla valutazione relativa alla procedibilità in assenza.
Il comma 2-ter ridefinisce invece i casi in cui l’imputato deve considerarsi presente, aggiungendo a quelli tradizionali e già previsti all’art. 420-bis, 3° comma c.p.p. dell’imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall’aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare alle successive (ma, per entrambi i casi “Salvo che la legge disponga diversamente”), i casi in cui “l’imputato che ha richiesto per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale o che è rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale”.
Vanno poi segnalate due novità che, ancorché estranee al Titolo IX del Libro V del codice di rito, ove trova sede la disciplina dell’udienza preliminare, sono destinate a produrre effetti anche in relazione ad essa.
COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE
La prima attiene al “Termine per la costituzione di parte civile”, art. 79 c.p.p.; fermo restando che “La costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare”, si specifica ora che tale termine è individuato “prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti”; è in ogni caso confermato, al comma II dell’art. 79 c.p.p., che il (nuovo) termine così precisato è stabilito a pena di decadenza.
Peraltro, per completezza, va osservato che all’art. 78 (“Formalità della costituzione di parte civile”) è stato introdotto un nuovo comma 1-bis, volto a facilitare la costituzione mediante sostituzione, prevedendo che “Il difensore cui sia stata conferita la procura speciale ai sensi dell’articolo 100, nonché la procura per la costituzione di parte civile a norma dell’articolo 122, se in questa non risulta la volontà contraria della parte interessata, può conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione”.
RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI CASSAZIONE PER LA DECISIONE SULLA COMPETENZA PER TERRITORIO
La seconda novità rilevante anche per l’udienza preliminare è quella dal nuovo art. 24-bis c.p.p. (“Rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio”).
La norma così introdotta prevede la facoltà del giudice di rimettere, anche d’ufficio, la questione concernente la competenza per territorio, alla Corte di Cassazione; in tal caso il giudice pronuncia ordinanza con la quale rimette gli atti alla Corte di Cassazione insieme agli atti necessari alla risoluzione della questione, con l’indicazione delle parti e dei difensori; la novellata disciplina risulta quindi costruita sul modello della proposizione e della risoluzione dei conflitti di giurisdizione e competenza, pur con alcuni specifici adattamenti; in particolare, nel caso di risoluzione di conflitto di competenza, la Corte di Cassazione, se dichiara l’incompetenza del giudice procedente, ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente; l’estratto della sentenza è immediatamente comunicato al giudice rimettente, a quello competente – se diverso – nonché ai pubblici ministeri presso i medesimi giudici e alle parti private.
Il termine entro il quale il giudice può disporre il rinvio è individuato dall’art. 24-bis c.p.p. in “prima della conclusione dell’udienza preliminare”; viene inoltre previsto al comma 6° dell’art. 24-bis c.p.p. che la parte che ha eccepito l’incompetenza per territorio, senza chiedere contestualmente la remissione della decisione alla Corte di Cassazione, decade dalla possibilità di riproporre l’eccezione nel corso del procedimento.
MODIFICA DELL’IMPUTAZIONE
TESTO RIFORMATO |
Art. 421 c.p.p. – Discussione. 1.Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti il giudice dichiara aperta la discussione, se rileva una violazione dell’articolo 417, comma 1, lett. b), il giudice, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l’imputazione. Qualora il pubblico ministero non provveda, il giudice, sentite le parti, dichiara anche d’ufficio la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero. 1-bis. L’imputazione modificata è inserita nel verbale di udienza e contestata all’imputato presente. Quando l’imputato non è fisicamente presente, il giudice rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all’imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza. 2. Se non dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, il giudice dichiara aperta la discussione. Il pubblico ministero espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. L'imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, per il quale si applicano le disposizioni degli articoli 64 e 65. Su richiesta diparte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli articoli 498 e 499. Prendono poi la parola, nell'or- dine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato che espongono le loro difese. Il pubblico ministero e i difensori possono replicare una sola volta. (Omissis) |
Tornando alle novità previste nel Titolo IX, due innovazioni di significato attengono al controllo, in sede di udienza preliminare, in ordine alla contestazione contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, da un lato sotto sotto il profilo della specificità e, dall’altro, in ordine alla sua corrispondenza alle risultanze degli atti di indagine, con previsione di specifici ed immediati rimedi.
Quanto al primo profilo, all’art. 421 c.p.p. (“Discussione”) commi 1 e 1-bis, è previsto che, conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti e prima di procedere alla discussione, il giudice, se rileva che la richiesta di rinvio a giudizio non presenta una “enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge” (art. 417, comma 1, lett. b c.p.p.), sentite le parti, deve invitare il pubblico ministero a riformulare l’imputazione.
Qualora il pubblico ministero provveda alla riformulazione, l’imputazione modificata va inserita nel verbale di udienza e contestata all’imputato se è presente in aula, anche mediante collegamento a distanza; se invece l’imputato non è presente, il giudice sospende il processo e rinvia a nuova udienza, disponendo la notifica del verbale contenente la nuova imputazione entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza (art. 421, comma 1-bis c.p.p.).
Qualora, invece, il pubblico ministero non provveda alla riformulazione a seguito dell’invito, il giudice, sentite le parti, dichiara anche d’ufficio la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero (art. 421, comma 1 c.p.p.).
TESTO RIFORMATO |
Art. 423 c.p.p. – Modificazione dell’imputazione. 1. Se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell'articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione. 1-bis. Se rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni. Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero. 1-ter. Nei casi di modifica dell’imputazione ai sensi dei commi 1 e 1-bis, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 421, comma 1-bis. (Omissis) |
Quanto al secondo profilo, l’art. 423 c.p.p. (“Modifica dell’imputazione”), fermo il già previsto potere del pubblico ministero di modificare la contestazione se nel corso dell’udienza preliminare il fatto risulta diverso da come descritto nell’imputazione ovvero se emerge un reato connesso a norma dell’art. 12 comma 1, lett. b) o una circostanza aggravante, viene ora previsto che se emerge che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicate nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni.
Qualora il pubblico ministero provveda alla modifica dell’imputazione, si segue la sequenza già indicata prevista dal nuovo comma 1-bis dell’art. 421 c.p.p.
Qualora invece il pubblico ministero non provveda alla modifica o comunque “se la difformità indicata permane”, anche il tal caso il giudice, sentite le parti, dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero.
La finalità di queste due innovazioni – si legge nella Relazione Illustrativa allo schema di d.l. recante attuazione della l. n. 134/2021 - è quella di “rispondere all’esigenza della celere definizione dei procedimenti, in quanto la completezza dell’imputazione e la sua correttezza (in punto di fatto e di diritto), per di più realizzata (salvo contrasti) senza retrocessione degli atti e nel contraddittorio con le parti, per un verso, consente il più rapido superamento dei casi problematici, per altro verso, facilita l’accesso ai riti alternativi, soprattutto se preclusi proprio dalla qualificazione giuridica o, in ogni caso, scoraggiati da fatti mal descritti o qualificazioni errate. La soluzione adottata, oltre a impedire il verificarsi dell’evento anomalo per cui è solo con il decreto di rinvio a giudizio che emerge la qualificazione ritenuta dal giudice, consente altresì di svolgere il dibattimento su un oggetto (in fatto e in diritto) corretto, riducendo il rischio tanto di istruttorie inutili quanto di modifiche (ex art. 516 ss. c.p.p.) o retrocessioni (art. 521 c.p.p.) in corso di dibattimento o, addirittura, in esito ad esso.
I nuovi poteri attribuiti al giudice dell’udienza preliminare in ordine al controllo sulla corretta descrizione del fatto e sulla sua rispondenza alle risultanze delle indagini preliminari rendono superflua la previsione dell’art. 429, comma 2-bis, che disciplina una situazione non più suscettibile di verificarsi (la norma, infatti, recita: «Se si procede per delitto punito con la pena dell’ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Si applicano le disposizioni dell’art. 485»). L’abrogazione in parola consentirà, oltre tutto, di concentrare la celebrazione del rito abbreviato per tutti i reati per i quali è prevista l’udienza preliminare innanzi al GUP, poiché l’imputazione dovrà essere in ogni caso modificata in udienza preliminare dal pubblico ministero e non potrà essere disposta autonomamente dal giudice in sede di decreto di rinvio a giudizio”.
SVOLGIMENTO DELL’UDIENZA
Ulteriore innovazione è relativa all’art. 422 c.p.p. (“Attività di integrazione probatoria del giudice”), prevedendosi ora che nel caso in cui il giudice abbia disposto l’assunzione di una prova di cui appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere, è possibile disporre che l’esame si svolga a distanza se vi è una particolare disposizione di legge che lo prevede o se comunque le parti vi consentono.
SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE
Rinnovata è anche la regola di giudizio per l’udienza preliminare, art. 425 c.p.p. (“Sentenza di non luogo a procedere”).
Fermo restando che il giudice pronuncia la predetta sentenza negli ordinari casi di cui al I comma, al comma III la previgente formulazione secondo cui il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti “risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” è sostituita con quella secondo cui il giudice pronuncia tale sentenza anche quando essi “non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”.
Con tale formula, quindi, la regola di giudizio si allinea con quella prevista ora in tema di archiviazione ai sensi del novellato art. 408 c.p.p. che dispone che il pubblico ministero presenta richiesta di archiviazione “quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca”.
Quanto all’ “Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere” (art. 428 c.p.p.), viene riscritto il comma 3-quater prevedendo che sono inappellabili le sentenze di non luogo a procedere relative – non più solo a “contravvenzioni” punite con l’ammenda o con pena alternativa – ma a “reati” puniti con la sola “pena pecuniaria o con pena alternativa”.
DECRETO CHE DISPONE IL GIUDIZIO
Quanto al “Decreto che dispone il giudizio” (art. 429 c.p.p.), è ora previsto che esso deve contenere anche, alla nuova lett. d-bis), l’avviso all’imputato e alla persona offesa che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; inoltre viene riscritta la lett. f), prevedendo che il decreto contiene “l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora dell’udienza per la prosecuzione del processo davanti al giudice del dibattimento”.
Sempre all’art. 429 c.p.p. viene infine soppresso il comma 4, che prevedeva che “Il decreto è notificato all’imputato contumace nonché all’imputato e alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del provvedimento di cui al comma 1 dell’art. 424 almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio”.
Tale soppressione - si legge nella Relazione Illustrativa allo schema di d.l. recante attuazione della l. n. 134/2021 – è conseguenza della nuova disciplina in tema di assenza e, in particolare, dalla delega, “la quale al punto d) prevede che il giudice verifica la rinuncia a comparire dell’imputato o, in mancanza, l'effettiva conoscenza dell'atto introduttivo oppure della sussistenza delle altre condizioni che consentono di procedere in assenza “all'udienza preliminare o, quando questa manca, alla prima udienza fissata per il giudizio”. Di conseguenza – continua la Relazione Illustrativa - quel che accade attualmente, per cui vi è una verifica dell’assenza sia in udienza preliminare che alla successiva prima udienza fissata per il giudizio deve essere escluso.
Questa scelta, d’altro canto, muove dall’assunto che il momento in cui si incardina il rapporto processuale con l’imputato e si valuta, quindi, la sua piena consapevolezza di essere sottoposto ad un processo è, nei riti con udienza preliminare, proprio l’udienza preliminare. E’ rispetto a quel momento, infatti, che, in modo connesso, si pretende un livello qualitativo più elevato della notifica dell’atto introduttivo ed è in quella sede che si debbono compiere le accurate verifiche di cui si è detto circa la effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato, per cui è del tutto logico che a quel momento si colleghi la posizione processuale dell’imputato, senza alcuna necessità di rinnovarne la verifica in una fase successiva che ne è la mera prosecuzione, già fisiologicamente prevista come tale dal processo e, quindi, già conosciuta anche dall’imputato.
In ragione di ciò, la verifica dell’assenza in sede di dibattimento (salva sempre la verifica dell’esistenza di impedimenti) è compiuta solo nei casi in cui manca l’udienza preliminare. Nel qual caso soltanto trovano applicazioni le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies”.
NORME TRANSITORIE
Quanto al momento di entrata in vigore e applicazione di queste nuove norme in tema di udienza preliminare, in forza di quanto previsto dall’art. 6 d.l. n. 162/2022, che ha introdotto nel decreto legislativo n. 150/2022, l’art. 99-bis, essa è prevista per il 30 dicembre 2022.
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