Il Parlamento riapra il cantiere sulla ratifica del Protocollo n.16 annesso alla CEDU -Gruppo Area Cassazione-
Sommario: 1. I prodromi - 2. L’esame della dottrina dopo lo stop al Prot.n.16 - 3. La riflessione avviata all’interno del gruppo Area Cassazione - 4. Che fare? - 5. Il convegno di Area Cassazione su “Protocollo n.16. Riaprire il cantiere in Parlamento” del 22 giugno 2021 - 6. La proposta del gruppo Area-Cassazione: il Parlamento riparta dal Prot.n.16!
Gruppo Area Cassazione
1. I prodromi
Il 23 settembre 2020 si arenava, innanzi alle Commissioni riunite II e III della Camera dei Deputati, il progetto di legge relativo alla ratifica del Protocollo n.16 annesso alla CEDU, iniziato con l’esame del disegno di legge C. 1124 Governo e C. 35, Schullian, relativo alla Ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013, e del Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013, entrato in vigore per effetto delle ratifiche operate da 15 Paesi del Consiglio d’Europa.
Nel corso dei lavori assembleari relativi al testo licenziato dalle Commissioni innanzi all’Assemblea della Camera la relatrice del provvedimento dichiarava che il rinvio della ratifica del Protocollo n.16 era sorto a “causa di profili di criticità connessi al rischio di erosione del ruolo delle alti Corti giurisdizionali italiane e dei principi fondamentali del nostro ordinamento.” Il Senato, successivamente, approvava in via definitiva il ddl n.1958 relativo alla ratifica del Protocollo n.15 contenente modifiche della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo nella seduta del 12 gennaio 2021.
2. L’esame della dottrina dopo lo stop al Prot.n.16
Nel silenzio dell’Accademia, dei gruppi associativi della magistratura, dell’Avvocatura e dell’Accademia, Giustizia insieme segnalava, con un editoriale dell’ottobre 2020, gli effetti negativi che quella decisione parlamentare avrebbe provocato sul ruolo delle Alte Corti nazionali italiane, private della possibilità di richiedere, se ritenuto necessario rispetto al giudizio pendente, un parere non vincolante alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ed invitava ad accendere i riflettori sul tema ed a riaprire il dibattito nell'Accademia e nelle giurisdizioni.
Particolarmente vivace è risultato il successivo dialogo a distanza sviluppatosi fra studiosi prestigiosi provenienti da diversi settori accademici - costituzionalisti, processualcivilisti, filosofi del diritto, internazionalisti e studiosi del diritto UE -.
Questo dibattito è stato studiato ed esaminato dai componenti del gruppo Cassazione, i quali hanno realizzato dei report volti a sintetizzare le posizioni assunte dalla dottrina - Antonio Ruggeri, Cesare Pinelli, Elisabetta Lamarque, Carlo Vittorio Giabardo, Enzo Cannizzaro, Paolo Biavati, Sergio Bartole, Andreana Esposito e Bruno Nascimbene- all’indomani della decisione parlamentare di sospendere l’esame del Protocollo n.16.
La premessa dalla quale sono partiti alcuni degli interpreti (Ruggeri, Bartole) è stata quella del principio di apertura al diritto internazionale e sovranazionale voluto dalla Costituzione, aprendosi il diritto interno ai sistemi di protezione dei diritti sovranazionali che a loro volta si integrano nei primi, essendo comunemente ispirati al meta-principio che è la massimizzazione della tutela dei diritti fondamentali, vera e propria Grundnorm della costruzione inter-ordinamentale.
È infatti difficile comprendere come la vocazione universale del discorso sui diritti dell’uomo (e, dunque, la sua naturale inclinazione al dialogo comparatistico) possa costringersi entro i ristretti confini di una singola dimensione politica nazionale (Giabardo).
In questa prospettiva i commentatori si sono ritrovati d’accordo nell’evidenziare le potenzialità “buone” dello strumento rappresentato dalla richiesta di parere preventivo alla Corte edu.
Si è subito sgombrato il campo dai dubbi in ordine alla ritualità dello strumento legislativo ordinario per ratificare il Protocollo, messa in dubbio nel corso dei lavori preparatori, è smentita dall’ordinamento costituzionale ‘vivente’ secondo il quale la conformazione dell’ordinamento interno agli obblighi derivanti dalla adesione a Trattati o Convenzioni internazionali tramite legge ordinaria è del tutto pacifica e la – ipotizzata – rivalutazione di tale assetto appare del tutto strumentale ed eversiva -Bartole -.
Si è poi convenuto sull’improduttività del sovranismo costituzionale che sembra avere ispirato la decisione del Parlamento (Ruggeri) dovendosi scongiurare, attraverso il sostegno alla ratifica del protocollo 16, l’ingiustificata esclusione o l’emarginazione delle Corti italiane da un dialogo culturale al quale il nostro paese non può permettersi di rinunciare (Pinelli, Giabardo). Senza nemmeno dimenticare il valore “filosofico” dell’istituzionalizzazione del dialogo tra le diverse Corti europee (Giabardo).
Non si tratta, dunque, secondo Pinelli, di depotenziare il ruolo della Corte costituzionale o di restringere la capacità interpretativa del giudice nazionale, come sostenuto dal Prof. Luciani, ma, al contrario, dell’attivazione del ruolo istituzionale della Conv. edu che proprio la Corte costituzionale riconosce per prima, vale a dire quello dell’interpretazione della Convenzione. Né il giudice nazionale può ritenersi impedito, dopo il parere, dal rivolgersi alla Corte costituzionale - osserva Cannizzaro - ove non sia convinto della conformità del suo contenuto all’assetto costituzionale dei valori. Senza dire che le sentenze della Corte costituzionale hanno carattere vincolante, come quelle della Corte di giustizia, il che impedisce che il giudice nazionale possa ad esse ribellarsi formulando successivamente una richiesta di parere alla Corte edu (Cannizzaro).
Del resto, le posizioni contrarie alla ratifica del protocollo 16 finiscono con l’ipotizzare un effetto vincolante del parere per il giudice interno che non solo non è nella formulazione del testo (Nascimbene), ma che tradisce il senso di sfiducia verso il senso di responsabilità e lo spirito di indipendenza delle alte Corti nazionali posto a base del meccanismo pregiudiziale (Bartole, Lamarque).
Non si è mancato poi di sottolineare come il parere Cedu possa offrire preziosi elementi per verificare se l’interpretazione della Cedu e della Carta di Nizza-Strasburgo offerta, in parallelo, dalla CGUE sia in linea con la Convenzione edu (Ruggeri).
Inoltre, sul piano delle possibili interferenze, in caso di plurime pregiudizialità, Ruggeri, Pinelli e Cannizzaro si sono ritrovati nel respingere le preoccupazioni di quanti hanno intravisto in questo strumento un pericolo per la centralità della Corte costituzionale, soprattutto nell’ipotesi in cui la richiesta di parere preceda l’incidente di legittimità costituzionale.
Più articolata la posizione espressa da Nascimbene sui rapporti fra richiesta di parere preventivo e rinvio pregiudiziale. I problemi nascerebbero dal vincolo per il giudice nazionale rispetto alla pronunzia resa in sede di rinvio pregiudiziale dalla Corte di giustizia ove il parere reso dalla Corte edu fosse con lo stesso contrastante. Ipotesi che, secondo Nascimbene, determinerebbe la necessità di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per chiedere chiarimenti ovvero un rinvio alla Corte costituzionale, considerato il possibile contrasto fra obblighi che discendono da due fonti diverse, la CEDU e i Trattati UE, e considerato il precetto contenuto nell’art. 117, 1° comma Cost., che impone il rispetto, quanto all’esercizio della potestà legislativa, “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Quanto all’ulteriore ipotesi di rinvio contemporaneo alla Corte di giustizia – in sede di rinvio pregiudiziale – ed alla Corte edu – in seno ad una richiesta di parere preventivo – la stessa non appesantirebbe la durata del processo, ma creerebbe maggiori incertezze per il giudice nazionale qualora le due interpretazioni fossero divergenti, pur non essendo vincolante quella della Corte EDU.
Pinelli, Bartole e Lamarque si sono poi trovati d’accordo nell’escludere che sia solo formale il potere del giudice nazionale di dissentire dal parere reso dalla Corte, se si considera, per un verso, la “circolarità della produzione normativa fra le Corti (Esposito) e la continua interazione fra giurisprudenza della Corte di Strasburgo e quella prodotta dalla giurisdizione italiana e, per altro verso, il ruolo che la Corte costituzionale ha rivendicato quale unico risolutore del potenziale conflitto fra l’interpretazione della Convenzione e quella dei principi costituzionali del nostro ordinamento.
Riguardo all’argomento inerente al paventato “rischio di erosione del ruolo delle alte Corti giurisdizionali italiane”, i timori sono stati considerati privi di rilievo ed espressione di sovranismo giurisdizionale, perché la mancata partecipazione attiva di alcune Corti al dialogo con la Corte edu rischia di renderne alcune mute e passive rispetto ad altre (Lamarque, Esposito).
Nemmeno può ritenersi che l’adesione al Protocollo “eroda i principi fondamentali dell'ordinamento”, secondo un’ottica di sovranismo ordinamentale, lasciando impregiudicato il principio dell’interpretazione conforme della legge italiana al sistema Cedu, come pure il sistema dei contro-limiti (Lamarque).
Molti interpreti hanno poi insistito sulle potenzialità della richiesta di parere preventivo in termini di negoziabilità reciproca fra Corti nazionali e Corte edu, cogliendosi nel dialogo diretto e non mediato dal ricorso della parte a Strasburgo un mezzo capace, nella fase ascendente, non solo di veicolare i cardini del sistema interno all’interno della Corte edu e di esporre la propria visione della questione al giudice che poi dovrà rispondere, ma anche, nella fase discendente, di avere l’ultima parola sulle modalità di attuazione del parere (Lamarque).
La manifestazione di sfiducia verso forme di utilizzo non corrette dei contenuti del protocollo tradisce, secondo Bartole, non confessate paure di alterazione di un desiderato equilibrio di tipo gerarchico – nell’esercizio della giurisdizione - in realtà costantemente contraddetto dalle concrete e costanti forme di interazione tra gli ordinamenti e tra le Corti (Bartole).
Il Protocollo n. 16 sarebbe così divenuto un altro fantasma persecutorio del “sovranismo simbolico” (Pinelli), con il risultato, certamente opposto a quello voluto, di privare le Corti italiane dell’opportunità di giocare un ruolo attivo nella formazione della giurisprudenza europea e di dover eventualmente accettare il parere reso dalla Corte EDU su istanza delle Corti dei paesi che lo hanno ratificato (Pinelli, Ruggeri,Giabardo, Bartole, Biavati e Lamarque).
È dunque la libertà di attivare o meno la richiesta di parere preventivo a rappresentare il dato distintivo tra rinvio pregiudiziale e richiesta di parere preventivo (Biavati).
Infatti, a differenza che per il rinvio pregiudiziale, per cui le parti hanno diritto di arrivare a Lussemburgo orientando la discrezionalità del giudice nazionale, la richiesta di parere ai sensi del Protocollo 16 può al massimo essere sollecitata, ma non pretesa dalle parti.
Quanto poi al rischio del grave ritardo che il processo subirebbe nell’attesa del parere, è stata evidenziata la strumentalità di tale critica - altrimenti estensibile ad altri strumenti di dialogo (Ruggeri) - ipotizzandosi in ogni caso la possibilità di adottare meccanismi volti a favorire la trattazione rapida dei processi interessati dalla richiesta di parere o la introduzione di un divieto di sospensione del processo (Biavati e Lamarque).
In definitiva, il rischio di isolamento dell’ordinamento italiano e delle sue alte Corti dal circuito di dialogo con la Corte edu che deriva dalla mancata ratifica è già palpabile, una volta che si è già da subito riconosciuta piena valenza ai pareri resi dalla Corte edu, anche da parte della Corte costituzionale (sent.n.230/2020, par.6) e dalla stessa prima sezione civile della Corte di Cassazione n.8325/2020 in materia di trascrizione dell'atto di nascita canadese conseguente a gestazione per altri.
3. La riflessione avviata all’interno del gruppo Area Cassazione
L’esame del tema ha condotto il gruppo Cassazione di Area ad una riflessione ampia.
È sembrato opportuno evidenziare, in termini generali, che lo scopo del Protocollo n.16 non era stato adeguatamente valutato dal legislatore, essendo indirizzato non già a sottrarre nicchie di sovranità e di potere giurisdizionale agli organi interni, quanto ad introdurre uno strumento destinato a recuperare segmenti di certezza e prevedibilità al sistema di tutela dei diritti fondamentali, addirittura accentuando il ruolo di autonomia e indipendenza delle giurisdizioni superiori nazionali.
La discrezionalità nel chiedere il parere e la piena autonomia nel disattenderne i contenuti denotano in maniera inequivocabile i tratti caratterizzanti del meccanismo dialogico che sta alla base del Protocollo 16, il quale tanto nella fase ascendente che in quella discendente offre alle giurisdizioni nazionali di ultima istanza la possibilità di sfruttare a fondo il loro ruolo di protagonisti del sistema di garanzia a presidio dei diritti imposto dalla Costituzione.
Le considerazioni appena espresse si accentuano in modo particolare se si pensa al ruolo della Corte di Cassazione nel sistema di protezione dei diritti fondamentali e la sua centralità nell’applicazione uniforme del diritto.
Prospettiva, quella fissata dall’art.65 della legge sull’ordinamento giudiziario che, riletta ed attualizzata alla luce dell’entrata in vigore della Costituzione e della sua apertura alle fonti sovranazionali, agli obblighi internazionali ed alla limitazioni di sovranità finalizzate alla garanzia di pace e sicurezza delinea in modo marcato la funzione di nomofilachia europea che la nostra Corte è andata assumendo e che proprio grazie agli strumenti di dialogo sempre più sfruttati con la Corte costituzionale e con la Corte di Giustizia consente ad essa di essere rappresentata anche all’esterno come organo centrale nel sistema di protezione dei diritti.
Ciò che non intende in alcun modo rivendicare posizioni di primazia o di egemonia nei confronti di altre giurisdizioni interne né di quelle sovranazionali, ma soltanto attestare che proprio attraverso le forme di dialogo la strada di una cooperazione equiordinata fra le giurisdizioni nazionali e sovranazionali deve essere implementata e non già impoverita o erosa secondo una prospettiva ben presente nella mancata ratifica del Protocollo n.16.
Si tratta di una prospettiva necessitata dal fatto che il diritto è sempre più affidato ai principi costituzionali, interni, dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e dunque collegato a tecniche di argomentazione giuridica che proprio attraverso il dialogo si costruiscono continuamente e progressivamente, in un ordine giuridico che non è più dato e fissamente orientato su scale gerarchiche, ma si compone, seppur con accenti di complessità sicuramente elevati, anche grazie all’opera del giudici interni e di quelli sovranazionali, parte attiva di un processo costituzionale nel quale il ruolo dagli stessi svolti di garanti della legalità è espressione democratica dello Stato costituzionale. Ciò perché si considerano tutti i giudici come “orizzontali”, siccome distinti tra di loro unicamente per le funzioni esercitate o, se si preferisce, per la tipicità dei ruoli, senza dunque alcuna “graduatoria” tra di loro: siano giudici comuni e siano pure giudici costituzionali o materialmente costituzionali, quali ormai in modo sempre più marcato e vistoso vanno conformandosi le stesse Corti europee. Dunque, la logica ispiratrice non può che essere quella della leale cooperazione, essa riuscendo a perseguire il miglior risultato possibile per chi si trova davanti al giudice.
Non può tacersi che l’avvento della protezione dei diritti fondamentali in chiave convenzionale da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo è stato per lunghi anni vissuto a livello nazionale come una sorta di aggressione di una giurisdizione altra ed esterna al perimetro dei plessi giurisdizionali riconosciuti dalla Costituzione.
La progressiva assimilazione del corretto ruolo della CEDU nel sistema interno e dei suoi rapporti con la Costituzione, dispiegatosi anche attraverso l’intervento della Corte costituzionale, a partire dalle sentenze gemelle del 2007 e poi via via che i vari seguiti, ha consentito però di comprendere appieno le finalità e potenzialità della Convenzione dei diritti umani, anche grazie all’opera di conoscenza svolta dai protocolli conclusi fra le Corti nazionali e la Corte edu. E non può essere senza significato che sia stata la Corte di Cassazione italiana a concludere, seconda in Europa, un protocollo d’intesa con la Corte edu nel dicembre del 2015, alla quale hanno fatto seguito le altre Corti apicali italiane e la stessa Corte costituzionale nel gennaio 2019.
Anzi, è stato sottolineato che proprio in occasione della firma del Protocollo fra Corte costituzionale e Corte edu al Palazzo della Consulta l’11 gennaio 2019 si auspicò la rapida ratifica del Protocollo n.16, come emerge dal comunicato stampa della Corte costituzionale reso l’11 gennaio 2019 in cui si afferma testualmente che “…dalla discussione è emersa anzitutto la necessità che le Corti europee – in una fase storica di debolezza, in alcuni Paesi, dei diritti fondamentali – dialoghino tra loro per la piena tutela di questi diritti, anche assicurando l’armonizzazione delle rispettive giurisprudenze. A questo scopo è stata sottolineata l’urgenza dell’approvazione, da parte del Parlamento italiano, del Disegno di legge di ratifica e di attuazione del “Protocollo 16”, che consente un effettivo dialogo con la Corte di Strasburgo attraverso la richiesta di pareri sulle questioni oggetto di giudizio nelle Corti italiane”.
Posizione, quest’ultima, che del resto trova piena conferma in quanto già ritenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n.49/2015, allorché si chiarì che “…È perciò la stessa CEDU a postulare il carattere progressivo della formazione del diritto giurisprudenziale, incentivando il dialogo fino a quando la forza degli argomenti non abbia condotto definitivamente ad imboccare una strada, anziché un’altra. Né tale prospettiva si esaurisce nel rapporto dialettico tra i componenti della Corte di Strasburgo, venendo invece a coinvolgere idealmente tutti i giudici che devono applicare la CEDU, ivi compresa la Corte costituzionale. Si tratta di un approccio che, in prospettiva, potrà divenire ulteriormente fruttuoso alla luce del Protocollo addizionale n. 16 alla Convenzione stessa, ove il parere consultivo che la Corte EDU potrà rilasciare, se richiesta, alle giurisdizioni nazionali superiori è espressamente definito non vincolante (art. 5). Questo tratto conferma un’opzione di favore per l’iniziale confronto fondato sull’argomentare, in un’ottica di cooperazione e di dialogo tra le Corti, piuttosto che per l’imposizione verticistica di una linea interpretativa su questioni di principio che non hanno ancora trovato un assetto giurisprudenziale consolidato e sono perciò di dubbia risoluzione da parte dei giudici nazionali.”
In definitiva, si avverte sempre di più l’esigenza di cercare modalità operative e tecniche decisorie che, anche in ragione della pluralità di fonti che governano i diritti, tanto in chiave nazionale che in prospettiva sovranazionale, attenuino o riducano le possibilità di conflitti fra i diversi plessi giurisdizionali, proprio in una prospettiva che prima ancora di essere orientata all’alleggerimento del contenzioso da parte di un sistema giudiziario sempre più in crisi sul versante dei tempi, offra a chi ha a che fare con la giustizia risposte tendenzialmente prevedibili proprio grazie alla conoscenza della posizione della Corte edu.
Se, dunque, il meccanismo del ricorso a Strasburgo contro le decisioni dei giudici nazionali costituisce la valvola di sfogo finale consentita dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il Protocollo n.16 intende prevenire quella possibile ulteriore lungaggine processuale alla quale sarebbe sottoposta la persona che reclama la protezione dei suoi diritti consentendo al giudice nazionale che, nell’esercizio delle sue prerogative dovesse ritenere rilevante un parametro convenzionale, di interloquire prima che l’eventuale conflitto fra le Corti diventi manifesto per effetto dell’accoglimento del ricorso da parte della Corte edu.
4.Che fare?
Al termine di questa prima ricognizione del panorama dottrinario e della successiva riflessione che ha ripercorso buona parte delle ragioni espresse da autorevole dottrina contro la ratifica del Prot.n.16 (cfr, per tutti, M. Luciani, Note critiche sui disegni di legge per l’autorizzazione alla ratifica dei Protocolli n. 15 e n. 16 della CEDU, 26 novembre 2019, in www.SistemaPenale.it; F. Vari, Sulla (eventuale) ratifica dei Protocolli n.15 e16 alla CEDU, in Dirittifondamentali.it,2019,6; G. Cerrina Feroni, Il disegno di legge relativo alla ratifica dei Protocolli 15 e 16 alla CEDU, in Federalismi), la scelta di chiudere le porte al Protocollo 16 era già parsa fortemente inopportuna, tralasciando di considerare le finalità virtuose sottese al varo di tale strumento e l’idea stessa di un diritto che si compone della legge e della sua applicazione e attuazione nel caso concreto.
Da qui, l’organizzazione del convegno da parte del gruppo Area Cassazione sulla piattaforma Zucchetti dal titolo Riaprire il cantiere in Parlamento” del 22 giugno 2021, al quale hanno preso parte esponenti dell’Accademia, dell’Avvocatura e del Parlamento.
5. Il convegno di Area Cassazione su “Protocollo n.16. Riaprire il cantiere in Parlamento” del 22 giugno 2021
Il convegno si è rivelato un serbatoio di idee e di preziosi spunti ricostruttivi.
Il Segretario generale Luigi Marini, in rappresentanza del Primo Presidente della Cassazione, ha evidenziato la centralità dell’incontro sul Protocollo n.16 rispetto al ruolo della Corte di Cassazione, inserita stabilmente nel circuito delle Corti sovranazionali, e l’importanza di avere tenuto acceso l’interesse sul tema, contribuendo a favorire anche prese di posizione diverse da quelle che legittimamente sono state fin qui espresse dalle forze parlamentari.
L’Avvocato generale Luigi Salvato, in rappresentanza del Procuratore generale della Cassazione, ha evidenziato la centralità del tema del convegno, ritenendo che la riapertura dei lavori parlamentari sulla ratifica del Protocollo n.16 sarà un logico e naturale sbocco, volto a rafforzare il confronto fra le Corti. Ha sottolineato l’opportunità di superare logiche ideologiche, evidenziando che l’affermazione del diritto giurisprudenziale non può che determinare l’approfondimento dei meccanismi che ne consentano la formazione. Nessuna preoccupazione può sorgere sulla questione dell’erosione della sovranità nazionale, inoltre auspicando che i problemi connessi all’attuazione del Protocollo n.16 non potranno essere tutti risolti in fase parlamentare, dovendo l’elaborazione giurisprudenziale e proprio l’attività di sollevazione delle richieste di parere e dei pareri stessi contribuire, progressivamente, alla soluzione dei problemi concreti.
Dopo i saluti di Paola Filippi e di Roberto Conti, Maria Cristina Ornano, segretaria generale di Area, dopo avere evidenziato i rischi di marginalizzazione della giurisprudenza italiana nel processo di costruzione di un sistema di tutela dei diritti fondamentali che deve essere sempre più improntato ad una dimensione sovranazionale, ha auspicato la pronta ripresa dei lavori parlamentari sul Prot.n.16, evidenziandone l'importanza e la centralità rispetto al tema dei valori dell'uomo.
Il Presidente Guido Raimondi, che ha coordinato i lavori del convegno, ha messo in evidenza i notevoli vantaggi connessi all’attuazione del Prot.n.16, in ragione della finalità che esso incarna. La ratifica del Prot. 16, secondo Raimondi, non può pregiudicare l’autonomia delle giurisdizioni nazionali, né tanto meno la sovranità del Parlamento ritenendo al contrario che il dialogo fra le giurisdizioni non potrà che sortire effetti positivi attraverso i principi di sussidiarietà e di responsabilità condivisa fra livello europeo e livello nazionale nell’applicazione della CEDU, i quali costituiscono stimolo e violano della giurisprudenza della Corte edu ed alla accresciuta volontà di offrire alle Corti nazionali la possibilità di fare corretta applicazione del diritto vivente della Corte edu, altresì consentendo nel medio periodo uno sgravio del peso dell’arretrato sulla corte di Strasburgo. Un’ultima considerazione è stata espressa da Raimondi a proposito del ruolo centrale che la giurisprudenza consultiva assumerà rispetto alle nuove frontiere dei diritti dell’uomo per le quali non esiste una giurisprudenza della Corte stessa, sicché è proprio un peccato tagliar fuori la sapienza giuridica italiana da questo dialogo, inoltre sottolineando che i problemi che pure si porranno in sede di applicazione del Protocollo non possono incidere in alcun modo sull’opportunità che esso sia comunque celermente ratificato.
Particolarmente rilevanti sono risultati gli interventi degli esponenti del mondo politico, ai quali è mancato, per l’insorgenza di seri problemi di natura familiare, l’apporto dell’On.Pierantonio Zanettin (Forza Italia).
La senatrice Anna Rossomando (PD) si è espressa in modo esplicito nel senso di auspicare il ritorno in aula del progetto di ratifica del Prot.n.16 non confondendo le criticità esistenti con l’opportunità di ratificare tale strumento.
Il riferimento alla sovranità, sventolato come valore da difendere con il vento sovranazionale è secondo la senatrice un feticcio, non cogliendo la realtà delle politiche dei paesi europei, sempre più condizionate da aspetti che oltrepassano i confini nazionali. Anzi, proprio l’universalità dei diritti fondamentali e la prospettiva che questi ultimi facciano capo alla persona non indefettibilmente legata al concetto di cittadinanza rende evidente l’opportunità di scelte di politica giudiziaria dotate di sano realismo che antepongano la protezione dei diritti fondamentali rispetto ad altri interessi non primari.
Occorrerà dunque affrontare i nodi della sospensione del processo interna, del tempo connesso al rilascio del parere ed al ruolo della Corte costituzionale.
Anche la senatrice Grazia D’Angelo (Mov.5 Stelle) ha messo in evidenza come l’idea che deve essere sviluppata, ben lungi dal rappresentare un attacco alla sovranità, finisce con l’esaltarla proprio per effetto della possibilità delle Corti nazionali di ultima istanza di interagire con la Corte edu, dovendosi escludere che tale strumento costituisca una “perdita di tempo”, anzi, dimostrando l’utilità del dialogo
Il Prof. Guido Alpa, anche a nome dell’Associazione civilisti italiani, si è detto ampiamente favorevole alla ratifica del Protocollo n.16, esso inscrivendosi all’interno di una prospettiva che anche nell’ambito del diritto civile tende a favorire l’immediata efficacia dei diritti umani nell’ordinamento interno. Il fatto che all’interno dell’Accademia si discuta sulle modalità con le quali attuare tale esigenza e cioè ricorrere alle forme della tutela diretta dei diritti fondamentali ovvero attraverso forme di tutela mediata- attraverso la clausola generale dell’ordine pubblico – non elide la centralità del meccanismo teso a favorire il dialogo fra le Corti ed un clima di feconda cooperazione.
Anche il Prof. Filippo Donati si è espresso con l’auspicio di una celere riapertura dei lavori parlamentari sul Protocollo n.16 ritenendo errata la prospettiva volta a sostenere la postulata lesione della sovranità che dallo stessa deriverebbe, ricordando come già la giurisprudenza costituzionale tiene conto dei pareri resi dalla Corte in sede consultiva-Corte cost. nn-32 e 33 del 2021-.
Né occorre attendere la ratifica di altri stati, già delineandosi l’erosione di possibilità di dialogo con la Corte edu. Ha poi ricordato la diversità ontologica fra il parere preventivo della Corte edu e la decisione della Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, sottolineando il carattere non vincolante del primo e la sua efficacia affidata all’interpretazione del giudice nazionale in fase discendente.
Il Prof. Bruno Nascimbene, dopo aver messo in evidenza i fattori strettamente giuridici che già oggi, in assenza della ratifica del Preot.n.16, comunque sottoscritto dall’Italia anche se non ratificato, rendono rilevante dal punto di vista del diritto internazionale e dei Trattati detto strumento- già pienamente considerato anche dalla Corte costituzionale italiana in diverse recenti occasioni, ha stigmatizzato l’atteggiamento di alcuni esponenti politici volto a sostenere che il Prot.n.16 costituisce un vulnus alla sovranità del nostro Paese ed alla autonomia ed indipendenza delle autorità giurisdizionali, in ogni caso sottolineando che se critica andava fatta al sistema di tutela convenzionale, si dovrebbe avere il coraggio di denunciare al Consiglio d’Europa la Convenzione europea, della quale il Protocollo n.16 è semplice gemmazione dotata peraltro di ridotta portata. Richiamando i contenuti del suo approfondimento già ricordato, Nascimbene ha quindi auspicato la riapertura dei lavori parlamentari proprio ripartendo dal parere reso dalla Commissioni politiche comunitarie della Camera, peraltro sottolineando che non solo il parere lasciano un naturale margine di apprezzamento al giudice nazionale, come dimostrato nel primo caso fatto oggetto di richiesta di parere preventivo.
L’Avv. Anton Giulio Lana, pur evidenziando la fragilità delle ragioni esposte da una parte della dottrina costituzionalistica in ordine ai pericolo derivanti dalla ratifica del Prot.n.16, non ha mancato di sottolineare l’esistenza di alcune ombre, collegate essenzialmente ai tempi dei processi, destinati ad allungarsi, all’assenza di una richiesta di parere in favore dei giudici di merito che sono più legati al fatto rispetto al giudice di ultima istanza, al rischio che il parere non sia rispondente rispetto alla vicenda concreta, l’esistenza di nodi irrisolti in ordine alle modalità di redazione della richiesta, alla traduzione della stessa e del parere eventualmente reso dalla Corte edu. Elementi che potrebbero anch’essi porsi in antitesi con l’esigenza di una pronta definizione dei processi.
Lana ha peraltro sottolineato che in ogni caso dal varo del Protocollo n.16 non potrebbe che derivare l’esigenza di una formazione continua e comune fra Avvocatura e giurisdizione attorno al tema dei diritti fondamentali e della CEDU.
Il Prof. Cesare Pinelli si è detto favorevole all’immediata riapertura dei lavori parlamentari, ricordando che gli argomenti evocato da chi ha espresso l’auspicio della mancata ratifica del Protocollo n.16 trovano evidente smentita nella finalità dello stesso, visto che la Corte edu non sarà verosimilmente più chiamata a pronunziarsi sulle questioni decise con i pareri. Pinelli ha poi radicalmente escluso che il parere costituisca un nuovo strumento decisorio nelle mani della Corte edu, non potendosi disconoscere che esso, per un verso, è meno incisivo di altre decisioni della Corte edu- sentenze pilota- che pure vanno verso la direzione di rendere più funzionale l’operato della Corte edu. Pinelli si chiede poi come possa sostenersi che i pareri siano vincolanti se la sentenza n.49/2015 della Corte costituzionale ha chiarito la rilevanza della sola giurisprudenza consolidata della Corte edu.
Né assume specifico rilievo il richiamo al tema del margine d di apprezzamento che, seguendo le coordinate della Corte edu, è riferito alla discrezionalità politica nell’interpretare un diritto come garantito dalla CEDU. In definitiva, secondo Pinelli sarebbe grave escludere l’Italia dal processo di confronto con le Corti sovranazionali già dimostratosi assai fecondo in altre occasioni, nelle quali i giudici italiani hanno dimostrato di avere ben chiaro il loro ruolo di cooperazione con le altre giurisdizioni senza rinunziare ad esprimere posizioni collidenti con le altre istanze giudiziarie sovranazionali.
Il Prof. Giorgio Spangher ha insistito sul fatto che il Prot.n.16 rappresenta un tassello fondamentale della costruzione di un nuovo ordine costituzionale europeo che, pur evidentemente contrastato da più parti, non può che rappresentare il modello virtuoso e l’obiettivo del nostro tempo, nel quale la prospettiva di protezione sovranazionale dei diritti umani ed il dialogo fra le Corti appaiono esigenze prioritarie e necessarie. Malgrado le condanne ripetutamente inflitte dalla Corte edu e malgrado la diversità di vedute che spesso emerge fra giurisdizione nazionale e giudici sovranazionali rispetto alle modalità di tutela dei diritti fondamentali, secondo Spangher occorre investire nelle forme di dialogo e di cooperazione, senza che esiste un concreto rischio circa il fatto che la Corte costituzionale possa perdere il suo ruolo nella protezione dei diritti fondamentali.
II rimedio del parere consultivo potrebbe in definitiva deflazionare i ricorsi stabilizzare il consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali quando c’è una autorità e diventa vincolante ecco il senso della facoltatività e nulla esclude che sia recepito
Il Presidente Vladimiro Zagrebelsky, per esordendo col dire che il protocollo n.16 non ha la capacità di realizzare lo scopo primario che lo stesso intende perseguire- ridurre il carico di lavoro della Corte edu- né si porrebbe in coerenza con lo scopo della CEDU- essenzialmente collegato alla reazione del ricorrente danneggiato nei propri diritti sul piano nazionale, ha comunque sottolineato l’erroneità delle argomentazioni espresse contro la ratifica del protocollo, destinate ad avere un effetto suicidario nei confronti dei giudici italiani, tagliati fuori dal dialogo con la Corte edu – che si alimenterà dei pareri r
Il Presidente Valerio Onida nel trarre le conclusioni del dibattito, ha evidenziato che l’esistenza di problemi pratici sulle modalità di attuazione del Protocollo n.16 non elidono l’anima dell’istituto, che non è diversa da quello che emerge dai rapporti costruiti fra Costituzioni nazionali, legislazione e giurisprudenza della Corte edu. Due elementi base sono rappresentati dalla pluralità di ordinamenti che supera la logica del singolo ordinamento. Ciò che orienta verso una logica di universalità dei diritti dell’uomo. Vi è la necessità di mettere insieme la pluralità degli ordinamenti con l’universalità dei diritti umani che riguardano l’universalità delle persone. La soluzione dei possibili conflitti richiede dunque l’apprestamento di tecniche di tutela diverse. Per il diritto convenzionale, dopo che il nostro sistema ha trovato un equilibrio quanto alle relazioni fra diritto interno e diritto UE .
L’obiezione politica di fondo circa la lesione della sovranità è dunque mal posta e fuori luogo.
Universalità dei diritti fondamentali non vuol dire che la declinazione dei diritti in ogni ordinamento debba essere la stessa in ogni sistema. Ci possono dunque essere conflitti, ha ricordato Onida, ma non si può rimanere meravigliati da questi conflitti, essendo questi fisiologici, occorre elaborare la soluzione dei conflitti nel modo migliore possibile. Il coordinamento fra le Corti è dunque fisiologico senza che un clima di incertezza debba disturbare, richiedendo anzi il confronto dialogico fra le Corti e senza che si possa individuare una figura giudiziaria capace di risolvere in forma piramidale il conflitto. Il Protocollo n.16 introduce dunque un parere su una “questione di principio” ed in questo vi è un’evidente novità rispetto alle forme di tutela dei diritti fondamentali rispetto alle ipotesi ordinarie, innovazione capace di arricchire il dialogo fra le Corti.
Il senso dell’intervento del Prof. Onida è dunque di guardare con ottimismo al Protocollo n.16, non potendosi immaginare una soluzione di chiusura al Protocollo, se non giungendo alla negazione stessa del ruolo della CEDU.
6. La proposta del gruppo Area-Cassazione: il Parlamento riparta dal Prot.n.16!
A leggere gli esiti del convegno e le opinioni espresse quasi unanimemente in punto di ratifica o meno del Protocollo n.16, appare chiaro come il richiamo alla lesione di sovranità connessa all’erosione del ruolo delle Corti nazionali sia risultato fuori bersaglio, imponendo di ricercare il senso ultimo, probabilmente non del tutto manifestato apertamente, che ha condizionato la discussione accademica ed anche parlamentare già ricordata.
Le accuse di lesione alla sovranità attengono dunque, se colte nella loro intrinseca essenza e nemmeno tanto celata prospettiva, al modo con il quale le Corti nazionali hanno fin qui favorito l’ingresso del diritto vivente della Corte edu, vissuto in termini di forte contrazione del diritto interno e del giudice naturalmente chiamato ad applicarlo, finendo con l’apparire strumentali nel porre in discussione l’architrave sulla quale si fondano i rapporti fra ordinamento interno e CEDU.
Ed in questo non è tanto in discussione l’autonomia – espressiva di sovranità interna - delle Istituzioni giudiziarie verso le quali sembrerebbero venire in difesa i critici del protocollo n.16 quanto, ancora una volta, il “modo” con il quale tale autonomia viene esercitata.
Quel che non appare gradito, in termini ancora più chiari, non è la Corte edu, il suo Protocollo n.16 e la sua giurisprudenza, quanto l’uso che se ne fa nel diritto interno. Un uso che va al contrario vigorosamente protetto.
Il gruppo Area Cassazione, alla luce delle premesse e dei contenuti del convegno svoltosi lo scorso 22 giugno, si rivolge alle più alte cariche istituzionali del Parlamento e del Governo affinché esse si attivino, ciascuno nel proprio ruolo istituzionale, per riprendere l’iter di approvazione del progetto di ratifica del Protocollo n.16.
Un’idea, quella alla base del Prot.n.16, nella quale una singola vicenda processuale contribuisce alla costruzione di un nuovo ordine costituzionale europeo, marginalizzando una concezione statica del diritto, uno e primo, rispetto a ciò che, alimentandosi delle pronunzie di una
Una prospettiva, quella sottesa al Prot.n.16, secondo cui tutti i giudici, in tutte le loro articolazioni- nazionali e sovranazionali- partecipano attivamente, senza scale gerarchiche, ad un’idea di giurisdizione al servizio dei diritti improntata ad un principium cooperationis, al cui interno implementare le occasioni di reciproca conoscenza e confronto, seguendo l’idea di una nuova nomofilachia che, nel tentativo di rimediare alle fisiologiche incertezze nascenti dalla prospettiva universale propria dei diritti fondamentali, tende a divenire sempre più orizzontale, discorsiva, dialogica, circolare con i giudici sovranazionali e con quelli di merito.
La pretesa di risolvere i nodi problematici che in tema di richiesta di parere preventivo alla Corte edu non ratificando il Protocollo n.16 già entrato in vigore risulta fallace per plurimi motivi, il primo dei quali correlato al fatto che i pareri resi dalla Corte edu confluiscono comunque all’interno della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e dovranno, pertanto, essere presi in considerazioni ed utilizzati dai giudici italiani, allo stesso modo di qualunque altro precedente di quella Corte sovranazionale.
Sicché indicare la prospettiva della ratifica del Protocollo non vuol dire prospettare una strada di automatica trasposizione di tale strumento ma, al contrario, prefigurare una ripresa parlamentare della discussione sul progetto di legge, al cui interno le forze parlamentari avrebbero dovuto offrire eventuale soluzione ad aspetti problematici o tesi a rendere ancor più utile e proficuo lo strumento di cui qui si discute.
Molti sembrano essere gli vantaggi sottesi alla richiesta di parere preventivo alla Corte edu da parte delle Alte giurisdizioni.
Per un verso, la possibilità che esso offra preziosi elementi per verificare se l’interpretazione della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo fatta propria, in parallelo, dalla Corte di Giustizia -sia in linea con la CEDU e con la stessa Costituzione attraverso uno strumento che esalta, piuttosto che comprimere, la indipendenza e la sovranità delle autorità giudiziarie nazionali, dovendo poi escludersi, che sia solo formale il potere del giudice nazionale di dissentire dal parere reso dalla Corte se si considera, per un verso, la continua interazione fra giurisprudenza della Corte di Strasburgo e quella prodotta dalla giurisdizione italiana e, per altro verso, il ruolo che la Corte costituzionale ha rivendicato quale unico risolutore del potenziale conflitto fra l’interpretazione della CEDU e quella dei principi costituzionali del nostro ordinamento.
Nemmeno può ritenersi che l’adesione al Protocollo 16 eroda i principi fondamentali dell' ordinamento, secondo un’ottica che nulla a che vedere con la salvaguardia della sovranità invece inscrivendosi in quel poco commendevole sovranismo ordinamentale, lasciando impregiudicato il principio dell’interpretazione conforme della legge italiana al sistema Cedu, come pure il sistema dei contro-limiti.
Troppo intensi risultano i benefici di un confronto in fase ascendente e discendente dall’attivazione del dialogo fra giudice nazionale e Corte edu per anestetizzare il Protocollo n.16 e, con esso, il valore del diritto praticato in Italia, come si è detto capace di contribuire in modo determinante alla formazione di un “diritto vivente europeo” improntato al rispetto dei diritti fondamentali in favore delle persone.
D’altra parte, proprio l’intervenuta ratifica, nel febbraio 2021, del Protocollo n.15 appena ricordato dimostra come proprio le preoccupazioni circa la deriva europeista e le pesanti limitazioni di sovranità che deriverebbero dalla ratifica del Protocollo n.16 avrebbero dovuto risuonare anche nei confronti dello strumento ratificato, nel quale si riconosce apertamente il ruolo primario della Corte edu nella protezione dei diritti fondamentali di matrice convenzionale, e si insiste sul margine di apprezzamento attribuito ai Paesi aderenti, “sotto il controllo della Corte edu”.
Il gruppo Area è dunque persuaso del fatto che proprio la natura non vincolante del parere non incida affatto sulla sovranità dello Stato e dei suoi giudici, rappresentando piuttosto un complemento alla CEDU, la cui ratifica portò ad una rinunzia parziale alla sovranità in presenza di ragioni giustificatrici, rappresentate dapprima dall’art. 11 Cost. e, successivamente, dall’art. 117, 1°comma Cost. Come si è convinti che nessun rischio di marginalizzazione della Corte costituzionale dal Protocollo n.16 che si innesta in uno scenario ormai svezzato rispetto a quello descritto dalle remote sentenze gemelle quanto ai rapporti fra ordinamento interno e CEDU.
Privare le Corti italiane di ultima istanza dell’opportunità di giocare un ruolo attivo nella formazione della giurisprudenza europea e di dover eventualmente accettare il parere reso dalla Corte EDU reso su istanza di altre Corti europee significa impedire le contaminazioni fra gli organi nazionali e sovranazionali che hanno per statuto il compito di salvaguardare i diritti fondamentali nella loro proiezione universale, arginandone le possibilità di contatto, erigendo i muri, invece che costruendo ponti e porti capaci di accogliere i diversi naviganti, rendendo effettivo il rischio di isolamento del nostro sistema ordinamentale.
Tutte queste circostanze dimostrano quanto ampi siano gli spazi per riannodare i fili del ragionamento, depurandolo da precondizioni che, come emerso dal dibattito dottrinario, sembrano poco solide e scarsamente persuasive.
L’attenzione mostrata da ampi settori della dottrina italiana e di un gruppo di consiglieri della Corte di Cassazione costituisce già un elemento sul quale le Istituzioni potranno riflettere in modo proficuo, superando preconcetti e logiche ideologiche ed invece imboccando la via della più ampia tutela dei diritti fondamentali.
E' dunque il clima costruttivo sul tema "riforme della giustizia" che sembra animare l’intero Parlamento dopo l’intervento del Presidente della Repubblica Matterella reso a Camere riunite in occasione della sua rielezione a favorire la riattivazione del circuito parlamentare su una riforma anch'essa “ineludibile” per una giustizia che potrà essere più efficace e giusta con la ratifica del Prot.n.16. Una riforma che, insieme alle altre in cantiere, assume valore parimenti centrale per la difesa dei diritti nella loro vocazione naturalmente universale.
Roberto Giovanni Conti
Paola Filippi
Giacinto Bisogni
Gabriella Cappello
Gaetano De Amicis
Marco Dell’Utri
Franco De Stefano
Francesca Fiecconi
Raffaello Magi
Anna Rosaria Pacilli