Gli approfondimenti della riforma Cartabia - 5. Le notificazioni dopo la Riforma Cartabia o “Come l’eroe tecnologico fu sconfitto dal temibile Mostro verde”
di Massimiliano Alagna
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il nuovo sistema delle notificazioni: l’apparente sconfitta del “Mostro verde” - 2.1. Le notifiche telematiche: domicilio “digitale” e “telematico” e l’attesa dei decreti attuativi - 2.2 Le altre modalità di notifica: le eccezioni che diventano regola - 2.3. Le notificazioni all’imputato - 2.3.1. La notifica all’imputato detenuto: l’art. 156 c.p.p. - 2.3.2 La notifica degli atti introduttivi: l’art. 157 ter c.p.p. e la “fine dell’era gloriosa” di elezione e dichiarazione di domicilio - 2.3.3. Prima notifica all’imputato non detenuto di atti diversi da quelli contenenti la vocatio in ius: lettura combinata degli artt. 157 e 161, comma 01, c.p.p. - 2.3.4. Notifiche successive alla prima all’imputato non detenuto: l’art. 157 bis c.p.p. - 2.3.5. Notifiche all’imputato irreperibile - 2.4. Le notificazioni agli altri soggetti - 2.5. Nuove nullità delle notificazioni - 2.6. Conclusioni: la potenza del “Mostro verde” e la sconfitta dei suoi avversari.
1. Introduzione
Ogni giovane Magistrato che si appresta per la prima volta allo studio di un fascicolo nel corso del proprio tirocinio non può che scontrarsi con lo sconforto derivante dall’esame della disciplina delle notificazioni: ciò che, infatti, viene usualmente imparato acriticamente – e, perché no, mnemonicamente – nel corso degli studi universitari, si abbatte inesorabilmente sull’inesperto operatore del diritto e sul suo rapporto con la relazione di notificazione, solitamente costituita dalla “cartolina verde”.
Ed ecco che, con sguardo perso nella relata di notifica, il giovane Magistrato inizia a scrutare quel biglietto, quasi come se fossero le istruzioni per il rinvenimento di un tesoro che neanche cercava, gelosamente custodite da quel “Mostro verde” imperturbabile, che lo guarda con aria di sfida e di impassibile arroganza, quasi a volergli dire: “Cambia lavoro o, quantomeno, girami che sono sottosopra e stai facendo la figura dell’incompetente”.
In quel momento si inserisce il provvidenziale intervento del Magistrato affidatario, che potrebbe godersi l’imbarazzo dell’imberbe collega o, più correttamente, armarsi di tutta la pazienza che dispone e iniziare a fare il suo lavoro, formando il giovane Magistrato. Non avendo vissuto la prima situazione, non mi resta che descrivere quello che mi è stato insegnato e che, parafrasando Denis Diderot[1], il saggio affidatario sintetizzò nell’espressione: “Il processo penale è un gigante dai piedi di argilla”.
Agli occhi del giovane Magistrato in tirocinio, allora, la “cartolina verde” e la sua arrogante impassibilità risultano rivisitate: quel fogliettino apparentemente insignificante, infatti, assume la dignità dovuta ai più importanti documenti contenuti nel fascicolo e anche quell’aria arrogante che il giovane discente gli aveva inizialmente addebitato, viene parzialmente riconsiderata, alla luce della consapevolezza che anima il “Mostro verde” circa il fondamentale ruolo assegnatogli dall’ordinamento.
Con questa prospettiva, allora, occorre avvicinarsi al delicato tema della disciplina delle notificazioni dopo la riforma operata con il D.Lgs. 150/2022, con la precisazione che il presente contributo, lungi dal costituire una puntuale ricostruzione della disciplina, intende limitarsi ad esaminare le novità introdotte e l’impatto sulla quotidiana attività d’udienza.
2. Il nuovo sistema delle notificazioni: l’apparente sconfitta del “Mostro verde”
2.1. Le notifiche telematiche: domicilio “digitale” e “telematico” e l’attesa dei decreti attuativi
La notificazione è lo strumento attraverso il quale un atto è formalmente portato a conoscenza del suo destinatario: la verifica sulla regolarità della notifica, allora, presuppone la conoscenza delle regole che presiedono a tale risultato conoscitivo e che sono puntualmente delineate dal Codice di rito agli artt. 148 e seguenti.
Nell’ottica della digitalizzazione della Giustizia penale, l’art. 148, comma 1, c.p.p.[2] ha posto la notifica telematica come regola di notificazione, da prediligere “salvo che la legge disponga altrimenti”.
L’innovazione informatica prospettata dal Legislatore, allora, presuppone la preliminare comprensione di cosa debba intendersi per notificazione telematica e di quale sia il suo ambito di operatività.
Orbene, deve considerarsi telematica la notificazione effettuata presso il “domicilio digitale” del destinatario, la cui definizione può trarsi dall’art. 1, comma 1 lettera n-ter), del C.A.D.[3], che lo individua come “un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata (PEC) o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, di seguito "Regolamento eIDAS", valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale”.
Tale previsione generale risulta, però, ridimensionata nella sua portata applicativa in ambito processuale dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012, che con riferimento ai processi civili, penali, amministrativi, contabili e per la materia stragiudiziale ha imposto che le notifiche telematiche siano effettuate presso domicili digitali reperiti all’interno di pubblici elenchi.
Ne consegue che le notifiche telematiche fin qui descritte possono essere effettuate solo agli indirizzi tratti dai pubblici elenchi attualmente esistenti, ovvero:
- il registro INI-PEC, nel quale risultano inseriti professionisti e imprese[4] e nel quale confluisce il Registro delle imprese;
- il REGINDE, gestito dal Ministero della Giustizia, nel quale risultano inseriti gli utenti esterni abilitati al processo telematico;
- il Registro delle P.A. per le Pubbliche Amministrazioni[5], nonché l’Indice delle P.A.[6].
Per i cittadini non rientranti in tali registri, l’art. 6 quater del C.A.D. ha introdotto il registro INAD, gestito dall’AgID, nel quale sono inseriti i domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese.
In tale elenco, poi, confluiscono ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame i domicili digitali dei professionisti iscritti in albi, salvo che il singolo professionista non indichi un indirizzo ulteriore e personale (non professionale, quindi): ne consegue che, in mancanza di tale opzione, l’indirizzo tratto dal registro INI-PEC confluisce nel registro INAD.
Se, dunque, la regola generale è costituita dalla notifica telematica presso il domicilio digitale avente le caratteristiche descritte, l’art. 161, comma 1, c.p.p. – per il cui esame puntuale si rinvia al paragrafo 2.3.5 - pone la possibilità per l’imputato di indicare un indirizzo PEC non inserito negli elenchi pubblici, che può definirsi, per garantire una ragionevole distinzione terminologica dal “domicilio digitale”, come “domicilio telematico”: ne consegue, che, in assenza di espressa elezione di un domicilio telematico, se il destinatario non dispone di un domicilio digitale - ovvero di un indirizzo PEC inserito in pubblici registri- la notifica non potrà avvenire in modalità telematica.
Ad ogni modo, l’entrata a regime della rivoluzione informatica fin qui descritta risulta attualmente impedita dall’art. 87 delle disposizioni transitorie, che rinvia ad un successivo decreto del Ministro della Giustizia - da adottarsi entro il 31.12.2023 - e a consequenziali indicazioni del DGSIA per l’individuazione delle regole tecniche per le notificazioni telematiche.
2.2. Le altre modalità di notifica: le eccezioni che diventano regola
Nel prosieguo si evidenzierà come l’ipotesi per antonomasia di notifica per la quale la legge impedisce di procedere telematicamente è quella degli atti di vocatio in ius destinati all’imputato, ma è lo stesso art. 148 c.p.p. che prevede ulteriori deviazioni dal criterio generale.
Al comma 2 di tale disposizione, infatti, viene ribadita la previsione precedentemente posta dal comma 5 dell’art. 148 c.p.p., secondo la quale la notifica di provvedimenti e avvisi ai soggetti presenti o che debbano considerarsi tali - come, ad esempio, agli imputati che, pur assenti, sono rappresentati da un procuratore speciale per l’accesso a riti alternativi, come previsto dal nuovo art. 420, comma 2 ter, c.p.p. – può essere surrogata dalla lettura dell’atto in udienza.
Invariata, poi, resta la possibilità di consegna di documento analogico[7] al destinatario a cura della Cancelleria, ipotesi prevista dopo la riforma al comma 3 e precedentemente positivizzata al comma 4: in questo caso, tuttavia, il pubblico ufficiale deve annotare sull’originale dell’atto l’avvenuta consegna e la data in cui vi ha provveduto.
La consapevolezza da parte del Legislatore del carattere futuristico di una notificazione telematica prevalente, tuttavia, ha determinato la previsione al successivo comma 4 dell’art. 148 c.p.p. di un criterio residuale: laddove non sia possibile effettuare la notifica telematica – per divieto di legge, per assenza o inidoneità di un domicilio digitale del destinatario o per impedimenti tecnici – si dovrà ricorrere alle ulteriori forme di notifica previste dalle disposizioni successive.
Assolutamente innovativa, invece, risulta la limitazione del ricorso alle notifiche effettuate tramite la Polizia Giudiziaria, nel dichiarato intento di ridurre l’impiego delle Forze dell’Ordine in tale incombente: il novello comma 6, infatti, permette il ricorso a tale sistema “nei soli casi previsti dalla legge”, sebbene dietro a tale apparente limitazione si nasconda la previsione di molteplici ipotesi nelle quali l’Autorità giudiziaria può procedere con tale modalità, quanto meno con riferimento agli atti contenenti la vocatio in ius dell’imputato (come si preciserà nel prosieguo).
Proprio le peculiarità che contraddistinguono le notificazioni dirette all’imputato, allora, determinano la necessità di una considerazione differenziata della disciplina regolante tali ipotesi rispetto a quella relativa alle notificazioni dirette agli altri soggetti.
2.3. Le notificazioni all’imputato
La rilevanza costituzionale che riveste nel nostro ordinamento l’esercizio del diritto di difesa ha determinato la previsione di regole particolarmente stringenti per le notifiche all’imputato, finalizzate ad assicurare il più alto livello possibile di corrispondenza tra conoscenza formale dell’atto – attestata dall’avvenuta consegna dello stesso – e conoscenza sostanziale dello stesso e del suo contenuto.
La precedente disciplina codicistica, così, distingueva tra imputato detenuto e non detenuto e, con riferimento alla seconda ipotesi, la prima notifica (art. 157, commi da 1 a 8, c.p.p.) dalle successive (art. 157, comma 8 bis, c.p.p.).
Dopo la Riforma in commento resta inalterata la differenza tra imputato detenuto e non detenuto e quella ulteriore tra prima notifica e successive, ma viene aggiunta un’ulteriore peculiarità nel caso di notifica di atti contenenti la vocatio in ius dell’imputato.
2.3.1. La notifica all’imputato detenuto: l’art. 156 c.p.p.
Una lettura veloce e poco attenta del novello art. 156 c.p.p. potrebbe indurre all’erronea convinzione che nulla sul punto sia mutato: in realtà, però, la Riforma ha aggiunto poche parole, sufficienti tuttavia a dettare una regola generale e assoluta, tale per cui tutte le notificazioni all’imputato detenuto vanno effettuate mediante consegna di copia analogica.
Irrilevanti, pertanto, risultano eventuali dichiarazioni o elezioni di domicilio[8], ma, addirittura, anche la circostanza che si tratti di notifiche successive rispetto alla prima, in relazione alle quali la regola generale posta dal Legislatore è quella della notifica al Difensore.
Ciò costituisce la logica conseguenza della peculiare condizione nella quale si trova il soggetto ridotto in vinculis, non avendo lo stesso una totale libertà di relazione con il proprio Difensore, in considerazione del limite fisico dovuto alla restrizione patita: in questo senso, allora, si è preferito eliminare ogni intermediario rispetto alla conoscenza degli atti da parte dell’imputato, al quale va sempre consegnata copia di ciò che gli deve essere notificato.
Meno comprensibile, invece, risulta l’ulteriore previsione di cui al comma 3 dell’art. 156 c.p.p., che vieta le notifiche telematiche anche nel caso in cui l’imputato sia detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari: in tali ipotesi recupera vigore ogni ulteriore modalità di notifica di cui all’art. 157 c.p.p. e, quindi, anche quella mediante consegna al Difensore, se sono stati forniti gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. (di cui si dirà a breve).
Va, allora, evidenziato criticamente come, se la restrizione in carcere rende evidente l’impraticabilità delle notificazioni telematiche in favore dell’imputato, alla stessa conclusione non può giungersi rispetto all’eventuale notifica all’imputato che, per esempio, si trovi in stato di detenzione domiciliare e sia titolare di un indirizzo PEC inserito nei pubblici registri informatici o, comunque, indicato ai sensi dell’art. 161, comma 1 c.p.p.
2.3.2 La notifica degli atti introduttivi: l’art. 157 ter c.p.p. e la “fine dell’era gloriosa” di elezione e dichiarazione di domicilio
Analoga esclusione di ogni forma di notifica telematica è, poi, prevista dall’art. 157 ter c.p.p. per la comunicazione all’imputato non detenuto degli atti contenenti la vocatio in ius, ovvero:
- il decreto di fissazione dell’udienza preliminare;
- il decreto di citazione a giudizio di cui agli artt. 450, comma 2, 456, 552 e 601;
- il decreto penale di condanna.
In questi casi, allora, la notifica va fatta o presso il domicilio dichiarato o eletto oppure presso l’indirizzo PEC dall’imputato comunicati ai sensi dell’art. 161, comma 1, c.p.p.: in mancanza dell’acquisizione di tali indicazioni, quindi, la notifica deve essere effettuata secondo le modalità previste dall’art. 157 c.p.p.
Di particolare rilievo risulta, allora, anche il nuovo ruolo affidato dal Legislatore agli “approdi sicuri” solitamente rappresentati dalla dichiarazione o elezione di domicilio.
Risulta, infatti, solo parzialmente riproposto il tradizionale sistema delineato dalla precedente disciplina con l’art. 161, comma 1, c.p.p., posto che con l’entrata in vigore della Riforma, con il primo atto che si svolge alla presenza dell’indagato o dell’imputato, il Giudice, il P.M. o la Polizia giudiziaria invitano lo stesso a dichiarare o eleggere domicilio oppure ad indicare un indirizzo PEC (cioè un domicilio telematico) per la ricezione degli atti contenenti la vocatio in ius, con l’avviso che in caso di rifiuto, inidoneità o mutamento non comunicato di tali dati, si procederà alla notificazione al Difensore.
Orbene, accanto alla novità costituita dall’indirizzo PEC, balza in maniera prorompente come le dichiarazioni o elezioni di domicilio in esame producano un effetto limitato alla sola notifica degli atti di vocatio in ius: non a caso, l’art. 157 ter c.p.p. è l’unica norma relativa alla notifica degli atti all’imputato che richiama l’art. 161, comma 1, c.p.p.
D’altra parte, la limitazione dell’efficacia della dichiarazione o elezione di domicilio risulta espressamente delineata dall’art. 164 c.p.p., che non a caso recita: “La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall’articolo 156, comma 1”.
Ne consegue che la dichiarazione o elezione di domicilio incide solo sulle notifiche degli atti introduttivi, per il resto trovando applicazione le modalità di cui all’art. 157 c.p.p. e cioè: notifica telematica; in via subordinata notifica al Difensore in presenza degli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. (anche forniti dall’Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 157, comma 8 ter, c.p.p., come si dirà a breve); da ultimo, notifica a mani o nelle altre forme di cui all’art. 157 c.p.p.
Ulteriore conseguenza di quanto indicato è che la Polizia giudiziaria, nel primo atto che compie alla presenza dell’indagato – ad esempio l’arresto o il verbale di identificazione – deve procedere ad acquisire la dichiarazione o l’elezione di domicilio per gli atti introduttivi e a formulare l’avviso di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p., ove sia già in grado di indicare le norme violate e gli altri requisiti previsti da tale norma.
Volendo fare un esempio che si verificherà comunemente, allora, nel caso in cui la Polizia giudiziaria proceda a redigere un verbale di identificazione e in quella sede fornisca gli avvisi di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p., l’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. sarà notificato dal P.M. tramite consegna al Difensore; diversamente, se la Polizia giudiziaria non ha fornito gli avvisi, la Pubblica Accusa – salvo l’ipotesi, in questa prima fase residuale, di una possibile notifica telematica al domicilio digitale - dovrà procedere nelle forme ordinarie poste dall’art. 157 c.p.p. anche in presenza di una dichiarazione o elezione di domicilio (anche telematico), inserendo altresì nell’atto l’avvertimento di cui al comma 8 ter dell’art. 157 c.p.p.; il successivo decreto di citazione diretta a giudizio dovrà, invece, essere notificato presso il domicilio eletto o dichiarato (anche telematico), salvo che le indicazioni fornite dall’imputato siano inidonee o mancanti, nel qual caso si dovrà procedere con notifica al Difensore ex art. 161, comma 4, c.p.p. o, in assenza di un contatto con l’imputato per la dichiarazione o elezione di domicilio, nelle forme di cui all’art. 157 c.p.p.
Ad ogni modo, dell’elezione di domicilio presso il Difensore deve essere immediatamente informato l’Avvocato ai sensi dell’art. 161, comma 4 bis, c.p.p. il quale, nel caso in cui sia nominato d’ufficio, deve accettare l’elezione affinché si perfezioni l’elezione ai sensi dell’art. 162, comma 4 bis, c.p.p.: sotto tale ultimo profilo, allora, la normativa è rimasta inalterata dopo la novella operata con la L. 103/2017, sebbene con la Riforma Cartabia sia stato aggiunto l’onere per il Difensore d’ufficio che rifiuta la domiciliazione di attestare l’avvenuta comunicazione del rifiuto all’imputato o le ragioni che hanno impedito tale comunicazione. Ad ogni modo, il mancato assolvimento a tale onere non risulta sanzionato e non può certamente condurre ad un perfezionamento dell’elezione, che, come indicato, richiede un’accettazione espressa.
2.3.3. Prima notifica all’imputato non detenuto di atti diversi da quelli contenenti la vocatio in ius: lettura combinata degli artt. 157 e 161, comma 01, c.p.p.
Al di fuori degli atti specificamente indicati all’art. 157 ter c.p.p., e pur continuando ad operare in generale la distinzione tra prima notifica e successive - già delineata nella vecchia disciplina – occorre ribadire come la regola introdotta dalla Riforma sia quella della notifica telematica, seguendo a tale via l’ipotesi subordinata della notifica al Difensore e in via estremamente subordinata quella nelle forme dell’art. 157 c.p.p.
L’art. 157 c.p.p., infatti, delimita il proprio ambito di operatività alle ipotesi di cui all’art. 148, comma 4, c.p.p., ovvero a quelle in cui la notifica telematica non possa essere effettuata per espressa previsione di legge, per l’assenza o l’inidoneità di un domicilio digitale o per problemi tecnici.
In simili circostanze, poi, trova applicazione la notificazione al Difensore, laddove all’indagato o imputato siano stati forniti gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p.
Tale disposizione - tralasciando la discutibile scelta di numerazione - prevede che con il primo atto compiuto alla presenza dell’indagato o dell’imputato, la Polizia giudiziaria, se è in condizione di farlo, gli indichi gli articoli di legge violati, la data e il luogo di consumazione del reato e l’Autorità procedente, avvisandolo che gli atti successivi saranno notificati al Difensore di fiducia o d’ufficio, al quale ha l’onere di comunicare i propri recapiti.
Nel caso in cui tale attività sia stata compiuta dalla Polizia giudiziaria, allora, anche la prima notificazione all’imputato non detenuto deve avvenire mediante consegna dell’atto al Difensore, come si può ricavare dall’interpretazione letterale dell’art. 157, comma 1, c.p.p., secondo il quale la prima notifica si deve effettuare a mani “all’imputato non detenuto, che non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 161, comma 01”. Solo nel caso di inoperatività di tale innovativo sistema, allora, la notifica dovrà essere effettuata all’imputato personalmente o nelle altre forme previste dall’art. 157 c.p.p., sostanzialmente analoghe a quanto previsto in passato (consegna a mani proprie, in via subordinata ad un convivente ecc.).
Proprio al fine di garantire la massima operatività del sistema di notifica semplificato al Difensore di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p., infine, il comma 8 ter dell’art. 157 c.p.p. prevede che l’Autorità giudiziaria che proceda alla prima notifica all’imputato che non abbia ricevuto in precedenza gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. dalla Polizia giudiziaria, debba inserire l’avvertimento che le notificazioni successive – diverse da quelle contenenti la vocatio in ius - saranno effettuate al Difensore di fiducia o d’ufficio e dell’onere di comunicare i propri recapiti allo stesso.
2.3.4. Notifiche successive alla prima all’imputato non detenuto: l’art. 157 bis c.p.p.
La norma ha preso il posto del vecchio art. 157, comma 8 bis, c.p.p., in parte semplificando il quadro.
La nuova previsione, infatti, permette di effettuare – ad eccezione degli atti di vocatio in ius – le ulteriori notifiche al Difensore di fiducia o d’ufficio, mentre il vecchio art. 157, comma 8 bis, c.p.p. operava solo in caso di Difensore di fiducia.
Tale semplificazione, tuttavia, è soggetta a delle importanti limitazioni nel caso di Difesa d’ufficio: in tale ipotesi, infatti, la notifica degli atti successivi al primo mediante invio al Difensore opera solo laddove:
- l’imputato abbia ricevuto gli avvisi di cui agli artt. 161, comma 01, c.p.p. dalla Polizia giudiziaria o quelli di cui all’art. 157, comma 8 ter, c.p.p. dall’Autorità giudiziaria;
- vi sia stata, in assenza della condizione precedente, una precedente notifica a mani o la stessa sia stata effettuata in favore del convivente o del portiere.
In caso contrario (si immagini una notifica presso la Casa comunale), dovrà procedersi nelle forme dell’art. 157 c.p.p. e tale modalità dovrà continuare ad essere adottata finché non sia comunicato all’imputato l’avvertimento di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. (o art. 157, comma 8 ter, c.p.p.) o si concretizzi una notifica a mani, al convivente o al portiere: da tale momento troverà applicazione il meccanismo semplificato, che permetterà di effettuare le successive notifiche mediante invio al Difensore.
2.3.5. Notifiche all’imputato irreperibile
Non risulta coinvolta da particolari innovazioni la disciplina delle notifiche all’irreperibile, restando identiche sia le ricerche che l’art. 159 c.p.p. impone prima dell’emissione del decreto di irreperibilità, sia la previsione delle notifiche al Difensore dopo l’adozione di tale provvedimento.
Viene, tuttavia, ridotto il periodo di efficacia del decreto di irreperibilità: prima della Riforma, infatti, il decreto emesso in sede di indagini perdeva efficacia con il provvedimento che definiva l’udienza preliminare o, nel caso di reato a citazione diretta, con la chiusura delle indagini preliminari.
Tale impostazione determinava che, per esempio, il G.u.p. potesse procedere sulla base dell’irreperibilità decretata dal P.M., sebbene per la notifica del decreto che dispone il giudizio – in quanto atto successivo al provvedimento definitorio dell’udienza preliminare – fosse richiesta l’emissione di un nuovo decreto di irreperibilità[9]; allo stesso modo, nei procedimenti a citazione diretta il P.M. che aveva decretato l’irreperibilità per la notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. doveva procedere a nuove ricerche e all’emissione di un nuovo decreto di irreperibilità per la notifica del decreto di citazione a giudizio, posto che l’atto conclusivo delle indagini preliminari è costituito proprio dall’informazione di garanzia[10].
In questo sistema la Riforma Cartabia è intervenuta riducendo il tempo di efficacia del decreto di irreperibilità, che viene ancorato alla notificazione dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. – o, nel caso in cui questo manchi, alla chiusura delle indagini -: ne consegue che, in presenza di reati per i quali è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare, ad un primo decreto di irreperibilità emesso dal P.M. in sede di indagini ne dovrà seguire uno ulteriore per la notifica del decreto di fissazione dell’udienza dinanzi al G.u.p.
2.4. Le notificazioni agli altri soggetti
La regola generale delle notificazioni telematiche ha determinato la riforma dell’art. 153 c.p.p., in conseguenza della quale le notifiche al P.M. vanno effettuate telematicamente sia dalle parti che dalla Cancelleria, salvo impedimenti tecnici che rendano necessaria la notifica di copia analogica.
Altra importante novità è costituita dalle notifiche alla persona offesa, rispetto alle quali la Riforma ha operato una distinzione a seconda che la stessa sia anche querelante.
Così, l’art. 153 bis c.p.p. disciplina le notifiche alla persona offesa querelante, disponendo che la stessa in querela[11] indichi un indirizzo PEC o formuli una dichiarazione o elezione di domicilio; un’eventuale inottemperanza in tale fase può, in ogni caso, essere successivamente sanata con una indicazione di tali dati mediante raccomandata autenticata da notaio o avvocato o tramite dichiarazione in Cancelleria o Segreteria, forme mediante le quali devono essere comunicate eventuali variazioni.
Ciò posto, ove la persona offesa querelante goda del patrocinio di un Difensore, la regola generale è costituita dalla notifica allo stesso: si tratta, evidentemente, di un’ipotesi residuale nella prassi, soprattutto per quanto attiene alla notifica degli atti introduttivi, quando raramente la persona offesa dispone già di una Difesa tecnica.
Ad ogni modo, la norma prevede che “le notificazioni al querelante che non ha nominato un difensore” siano eseguite secondo la regola generale introdotta dalla Riforma, ovvero in modalità telematica: solo nelle ipotesi di cui all’art. 148, comma 4, c.p.p. – ovvero ove manchi o sia inidoneo il domicilio digitale o vi siano impedimenti tecnici -, poi, potrà procedersi nelle forme della notifica dell’atto analogico presso il domicilio dichiarato o eletto.
La vera innovazione operata sul punto dalla Riforma e tesa ad uno snellimento delle notifiche è, allora, rappresentata dall’ipotesi in cui la persona offesa querelante non abbia né nominato un Difensore né dichiarato o eletto domicilio (o gli stessi siano inidonei o insufficienti): in questa ipotesi, infatti, si dovrà procedere alla notificazione mediante deposito in Cancelleria o Segreteria.
Emerge, allora, una responsabilizzazione della persona offesa querelante, la quale, dopo aver avviato la complessa macchina del processo, ha un onere di semplificare il proprio rintraccio da parte dell’Autorità giudiziaria, dovendo in caso contrario assumersi il rischio della mancata conoscenza del processo, con conseguente possibile frustrazione del proprio interesse a costituirsi parte civile. D’altra parte, la responsabilizzazione della persona offesa querelante nel progetto della Riforma è evincibile non solo nell’esclusione dell’impiego dei sistemi di ricerca di cui all’art. 157 c.p.p. nei suoi confronti, ma anche dalla novella previsione contenuta nell’art. 152, comma 3 n. 1, c.p., che individua un’ipotesi di remissione tacita di querela nella mancata comparizione senza giustificato motivo della persona offesa all’udienza nella quale è stata citata in qualità di testimone[12] .
Occorre ad ogni modo evidenziare come la disposizione transitoria di cui all’art. 86 del D.Lgs. 150/2022 abbia derogato con riferimento a tale disposizione di semplificazione al principio tempus regit actum, operante comunemente in tema di notificazioni.
Ed invero, dalla Relazione illustrativa alla Riforma emerge come l’operatività delle modalità semplificate di notificazione – mediante deposito in Cancelleria o Segreteria – costituisca la conseguenza del mancato assolvimento ad un obbligo imposto alla persona offesa querelante e del quale la stessa è stata messa a conoscenza con l’informativa che le è dovuta ai sensi del novello art. 90 bis c.p.p.: in assenza di tale obbligo, quindi, si è ritenuto di non far ricadere sulla persona offesa la conseguenza di tale omissione incolpevole, quantomeno con riferimento alle querele presentate in data antecedente all’entrata in vigore della Riforma, con conseguente operatività in simili ipotesi della tradizionale notifica nelle forme previste dall’art. 157 c.p.p.
Con orientamento condivisibile, tuttavia, l’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione[13] ha precisato che, trattandosi di disposizione transitoria e, quindi, di stretta interpretazione ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, la stessa operi esclusivamente nei casi di mancata dichiarazione o elezione di domicilio e non anche nelle diverse fattispecie di domicilio insufficiente o inidoneo: in tale ipotesi, allora, troverà applicazione la notificazione con modalità semplificata, ovvero quella mediante deposito in Cancelleria o Segreteria.
L’art. 154 c.p.p. disciplina, invece, la differente ipotesi della notifica alla persona offesa non querelante.
In questo caso, ove manchi la nomina di un Difensore e non siano stati indicati (o sono insufficienti o inidonei) dalla persona offesa un domicilio dichiarato o eletto, ritornano a trovare applicazione i meccanismi di cui all’art. 157 c.p.p.: il deposito in Cancelleria o Segreteria, pertanto, ritorna ad essere una via residuale.
In caso di conoscenza di un indirizzo all’estero, infine, la persona offesa deve essere invitata con raccomandata con avviso di ricevimento a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato o ad indicare un indirizzo PEC per le notifiche, con l’avviso che in mancanza (o insufficienza o inidoneità) di tali comunicazioni nel termine di venti giorni, si procederà mediante deposito in Cancelleria o Segreteria.
Da ultimo e conclusivamente, si precisa come le notificazioni alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria che si siano già costituiti in giudizio sono eseguite mediante invio al Difensore. Il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria non ancora costituiti, poi, riceveranno la notifica telematica e, laddove non dispongano di un domicilio digitale, hanno l’obbligo di dichiarare o eleggere domicilio nel luogo in cui si procede o indicare un indirizzo PEC, pena l’operatività della forma semplificata di notificazione con deposito in Cancelleria.
2.5. Nuove nullità delle notificazioni
L’ingresso di nuove modalità di notificazione come quella telematica e l’estensione generalizzata della notifica al Difensore anche per la prima notifica – ad eccezione degli atti contenti la vocatio in ius – nel caso in cui siano stati forniti gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p., ha imposto la previsione all’art. 171 c.p.p. di due nuove ipotesi di nullità delle notificazioni, ovvero quelle della:
- notifica telematica che non rispetti i requisiti di cui all’art. 148 comma 1 c.p.p., ovvero avvenuta con modalità tali da non assicurare l’identità di mittente e destinatario, l’integralità del documento trasmesso e la certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione;
- notifica al Difensore senza che sia stato dato l’avviso all’imputato di tale modalità di notifica dalla Polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 161, comma 01, c.p.p. o dall’Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 157, comma 8 ter, c.p.p.
2.6. Conclusioni: la potenza del “Mostro verde” e la sconfitta dei suoi avversari
Alla luce delle riflessioni fin qui esposte, non può che evidenziarsi come, a fronte del meritorio sforzo di semplificazione, il “Mostro verde” sia stato ferito, ma non abbattuto.
Ed invero, da un lato è sicuramente un passo verso la semplificazione l’individuazione di una disciplina del deposito in Cancelleria degli atti diretti alla persona offesa in tutte le ipotesi sopra descritte; nello stesso senso, poi, depone la generale estensione delle notifiche al Difensore, con la previsione della possibilità di procedere in tal modo anche con riferimento alla prima notifica all’imputato non detenuto che abbia ricevuto gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. (sempre che non si tratti di atti di vocatio in ius).
Dall’altro lato, però, risulta attualmente inapplicabile la disciplina delle notificazioni telematiche e, anche quando la stessa verrà puntualmente disciplinata nei suoi tratti operativi, non può che evidenziarsene il limite operativo, a fronte di una non obbligatorietà per ogni cittadino di dotarsi di un indirizzo PEC da inserire nel registro INAD. Ne consegue che la semplificazione telematica in esame sarà limitata ai pochi casi di notifiche a professionisti, imprese e P.A., per il resto continuando a trovare applicazione nella maggior parte dei casi la disciplina ante riforma.
Tale conclusione emerge con tanto maggiore prorompenza nei casi di espressa esclusione legislativa di ricorso alle notifiche telematiche, ovvero non solo nelle ipotesi – comprensibili - di imputato detenuto, ma anche di notifica degli atti di vocatio in ius all’imputato non detenuto: tale ultima scelta, sebbene orientata a garantire la certezza della conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, palesa una profonda diffidenza verso la tecnologia, a dire il vero del tutto inspiegabile.
Ed infatti, il Legislatore ha ritenuto più garantista accertare che l’imputato abbia ricevuto la notifica in una delle forme di cui all’art. 157 c.p.p. che non presso la propria casella PEC inserita in pubblici registri, modalità che restituisce la certezza di ora e giorno dell’avvenuto invio e della consegna al destinatario: tralasciandosi l’ipotesi – in vero residuale nella prassi, se non si ricorre alla notifica per il tramite della Polizia giudiziaria - della consegna in mani proprie, allora, come può ritenersi che la consegna ad un perfetto estraneo, come il portiere dello stabile, garantisca maggiormente l’imputato rispetto al recapito dello stesso atto nella casella PEC di quest’ultimo, e, quindi, nella maggior parte dei casi, direttamente nel taschino della giacca, dei pantaloni o della borsa dove custodisce lo smartphone?
Dinanzi ad una simile considerazione, ancora più paradossale nei casi estremi di deposito dell’atto presso la casa comunale o, addirittura, di compiuta giacenza del plico inviato tramite il servizio postale, può, allora, concludersi come con riferimento alle ipotesi più importanti – in quanto incidenti anche sull’eventuale dichiarazione di assenza – di notifica degli atti introduttivi all’imputato si sia preferito mantenere quel sistema arcaico che è causa della lentezza dell’instaurazione del contraddittorio e che con la Riforma si intendeva scardinare.
Dovremo, quindi, continuare a fare i conti col “Mostro verde”, che, silenzioso e spesso sottosopra tra le mani dei meno esperti, continuerà a guardare con ancora maggiore arroganza il povero Magistrato in tirocinio, consapevole di essere sopravvissuto anche alla modernità.
[1] Con riferimento alla Russia di Caterina II, definita un “colosso dai piedi di argilla”.
[2] Recependo l’art. 1, comma 5 lett. a), della legge delega, secondo il quale era demandato al Legislatore delegato il compito di “[...] prevedere che nei procedimenti penali in ogni stato e grado il deposito di atti e documenti, le comunicazioni e le notificazioni siano effettuati con modalità telematiche; prevedere che le trasmissioni e le ricezioni in via telematica assicurino al mittente e al destinatario certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione, nonché circa l’identità del mittente e del destinatario; prevedere che per gli atti che le parti compiono personalmente il deposito possa avvenire anche con modalità non telematica”.
[3] Si tratta del testo unico denominato Codice dell’Amministrazione Digitale, istituito con il D.Lgs. 82/2005 e successivamente modificato e integrato con il D.Lgs. 179/2016 e, da ultimo, con il D.Lgs. 217/2017.
[4] Di cui all’art. 6 bis del C.A.D., richiamato dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012.
[5] Previsto dall’art. 16 co. 12 del D.l. 179/2012.
[6] Indicato dall’articolo 6 ter del D.Lgs. 82/2005, dopo le modifiche dettate dall’art. 28 del D.L. 76/2020 che ha modificato l’art. 16 del D.L.179/2012.
[7] Definito dall’art. 1, lett. p-bis) del C.A.D. come “la rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.
[8] In linea con quanto graniticamente sostenuto dalla Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 12778 del 27.02.2020 - dep. 22.04.2020 - Rv. 278869 - 01
[9] In tal senso, ad esempio, Cass. Pen., Sez. 5, sentenza n. 50080 del 14.09.2017 - dep. 02.11.2017 - Rv. 271540 – 01.
[10] Impostazione accolta, ex multis, da Cass. Pen., Sez. 4, sentenza n. 29771 del 24.03.2015 - dep. 10.07.2015 - Rv. 264042 – 01.
[11] Avendo ricevuto gli avvisi di cui all’art. 90 bis, comma 1 lettere da “a bis)” fino ad “a quinquies)”, c.p.p.
[12] Tale previsione, in realtà, costituisce la positivizzazione di un granitico orientamento giurisprudenziale, da ultimo sostenuto da Cass. Pen., Sez. 4, sentenza n. 5801 del 29.01.2021 - dep. 15.02.2021 - Rv. 280484 – 01. Deve, però, evidenziarsi come risulti innegabile il vantaggio derivante dalla previsione normativa di tale ipotesi di revoca tacita, posto che in tal modo si elimina l’ulteriore passaggio imposto in precedenza, ovvero la notificazione della citazione con l’avviso espresso che non comparendo senza addurre una giustificazione, il comportamento della persona offesa sarebbe stato inteso quale condotta incompatibile con la volontà di coltivare il processo.
[13] Relazione n. 68/2022 del 07.11.2022, pag. 12.