Le nuove indagini preliminari fra obiettivi deflattivi ed esigenze di legalità
di Roberta Aprati
Sommario: 1. Premessa a mo’ di conclusione. - 2. I criteri di priorità. - 3. L’iscrizione della notizia di reato. - 4. I controlli sulle iscrizioni. - 5. I tempi delle indagini preliminari contro ignoti e i loro controlli. - 6. I termini delle indagini preliminari contro persone note e i loro controlli. - 7. I termini delle determinazioni e i loro controlli. - 8. L’avocazione. - 9. L’archiviazione. - 10. La riapertura delle indagini.
1. Premessa a mo’ di conclusione
Anche se metodologicamente potrebbe sembrare un errore, illustrando le “novità” in tema di indagini preliminari, appare necessario aprire con una conclusione. L’inversione di metodo si giustifica perché se si analizzassero, una per una, tutte le nuove disposizioni, senza una visione d’insieme, ciascuna sembrerebbe andare verso una diversa direzione. Va allora prima individuato il sistema che si è voluto costruire e, alla luce di esso, va ricercato il senso e il significato delle parole utilizzate nelle singole disposizioni introdotte.
Ebbene, il legislatore si è mosso con un’unica idea: evitare la celebrazione dei processi. In quest’ottica vanno lette tutte le novità. In pratica, l’obiettivo non è la semplificazione dell’iter procedimentale del singolo processo, che, anzi, in alcuni casi è assai più complesso, ma piuttosto “l’abbattimento” del numero dei procedimenti.
E proprio sul tema delle indagini preliminari emerge chiaramente tale quadro: il legislatore invita, quasi ossessivamente, a non mettere in moto il procedimento processuale, o comunque, se avviato, a chiuderlo il prima possibile.
Si deve iscrivere di meno (come emerge dai nuovi parametri per l’iscrizione della notizia di reato oggettiva e soggettiva di cui all’art. 335, commi 1 e 1-bis, c.p.p.), si deve cestinare di più attraverso l’archiviazione anomala (alla luce della nuova definizione di notizia di reato oggettiva), si deve archiviare di più contro ignoti (in ragione della nuova definizione di notizia di reato soggettiva) ed entro i termini predeterminati (in ragione del nuovo assetto dei termini delle indagini), si deve archiviare di più nei confronti di persone note (in forza della nuova definizione della regola generale di archiviazione di cui all’art. 408 c.p.p.) e anche qui entro termini precisi (in ragione del nuovo assetto dei termini delle indagini e delle determinazioni), si deve archiviare di più in tema di particolare tenuità del fatto (per effetto dell’allargamento delle relative ipotesi contenute nell’art. 411 c.p.p.), si deve archiviare di più per estinzione del reato – con correlate sospensioni – per esito positivo della messa alla prova (stante l’allargamento delle relative ipotesi) o per adempimento delle prescrizioni impartite dall’organo accertatore (si pensi all’introduzione di una nuova disciplina per i reati di igiene alimentare), si deve archiviare di più per mancanza di una condizione di procedibilità (considerando l’ampliamento dei reati perseguibili a querela), si deve archiviare di più per le nuove ipotesi tipizzate di remissione tacita di querela (introdotte in tema di giustizia riparativa).
Il tutto alla luce dei criteri di priorità, con i quali si permette di rinviare le indagini per un gran numero di procedimenti, in attesa che siano prima trattate le questioni più importanti.
Il mutato quadro normativo implica allora una serie di assestamenti conseguenziali, i quali inevitabilmente ricomprendono anche le norme rimaste invariate e, soprattutto, le prassi.
2. I criteri di priorità.
L’intervento culturalmente più significativo della riforma probabilmente va visto nell’introduzione dei “criteri di priorità per la trattazione delle notizie di reato e per l’esercizio dell’azione penale” (art. 3 disp. att. c.p.p. e art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 106/2006) [1].
Si è infatti andato ad incidere sul principio di obbligatorietà dell’azione penale, baluardo sì del principio di legalità/uguaglianza in sede processuale, ma in via di fatto in perenne crisi a causa della sua concreta inesigibilità. L’azione rimane obbligatoria, così come immutato è l’obbligo di indagare, ma l’effettivo esercizio dei due connessi doveri viene modulato: le notizie di reato che presentano certe caratteristiche – individuate dai criteri di priorità - devono essere prese in carico, tanto per l’avvio dell’indagine quanto per la scelta sull’azione, con precedenza sulle altre. E tutto questo impone una seria riflessione sulla compatibilità con l’art. 112 Cost.
Ebbene, tutto il sistema delle priorità appare condizionato, nella sua effettiva “applicabilità”[2], dall’approvazione della legge del parlamento sui criteri generali (ex art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 106/2006). Ma la proverbiale lentezza del legislatore fa sorgere il dubbio che bisognerà attendere a lungo. Certo, la riforma del processo penale è nata dalla necessità di adeguarsi a quanto ci chiede l’Europa, nonché ad ottenere i fondi del PNRR, sicché si può anche pensare che la marcia di adeguamento non si fermerà.
Appare allora legittimo interrogarsi su come bisognerà comportarsi in assenza, o comunque in attesa, dell’intervento legislativo.
Bisogna partire dal presupposto che la disciplina previgente taceva sul punto; erano state piuttosto le famose circolari del C.S.M. a regolare la materia. Sicché in senso tecnico qui non si pone un problema di “ultrattività” del precedente assetto normativo[3], ma solo di “applicabilità sospesa” della nuova disciplina (ovverosia degli artt. 3 e 127-bis disp. att. c.p.p. e dell’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. 106/2006) in attesa dell’intervento normativo.
Si potrebbe allora ritenere che nella parte relativa alle priorità rimane a regime il vecchio sistema: possibilità – e non già obbligatorietà – dei progetti organizzativi di continuare a prevedere le priorità in virtù delle indicazioni del C.S.M. E sappiamo che in tutti i progetti organizzativi delle procure è ormai presente la regolamentazione delle priorità.
Occorre allora domandarsi in che modo - oggi, ma anche domani - le priorità agiscono e agiranno concretamente nell’ambito delle modifiche avvenute sulle indagini preliminari.
E da questo punto di vista si pongono due versanti di indagine: come trattare i reati non prioritari, in armonia con il principio di obbligatorietà; come garantire effettività alla trattazione prioritaria.
Dal primo punto di vista occorre capire il destino dei reati non prioritari, sul versante delle iscrizioni, così come su quello dei termini delle indagini e delle relative proroghe, nonché sulle scelte relative all’azione.
Sebbene si stia ipotizzando che per i reati non prioritari si dovrebbe imporre l’adozione di un provvedimento esplicito di sospensione della stessa iscrizione nei registri delle notizie di reato (collocandoli nel frattempo nel registro degli atti non costituenti notizia di reato), va decisamente esclusa questa possibilità: sarebbe in aperto contrasto con l’art. 112 della Cost.
Si deve piuttosto ritenere, da una parte, che la notitia criminis relativa a fattispecie non prioritarie vada del pari iscritta nei modelli 21 o 44, e, dall’altra parte, che comunque i termini delle indagini continuino a decorrere. Di conseguenza, anche per questi procedimenti dovranno prendersi le esplicite decisioni conclusive circa l’azione alla scadenza dei termini finali o entro i termini di determinazione se la notizia è stata già iscritta nel registro delle persone note.
“Priorità” vuol dire solo “precedenza”, la quale deve comunque intendersi riferita al contesto delle cadenze temporali previste, e il cui rispetto deve essere garantito indifferentemente. I reati non prioritari, quindi, non possono essere abbandonati a loro stessi, in attesa che si prescrivano, così che si precostituiscano le condizioni dell’archiviazione per avvenuta estinzione del reato. Questa, del resto, è una prassi già oggi pienamente affermata, ed è proprio alla sua eliminazione che è volta l’azione legislativa.
Invero anche i reati non prioritari devono essere, nel rispetto dei termini, oggetto di una decisione, nella quale chi ha interesse possa contraddire.
Sicché vedremo di volta in volta (infra, §. da 3 a 9) come nelle trame della nuova disciplina delle indagini si inserisce il trattamento di tali fattispecie non prioritarie, al fine di non violare l’obbligatorietà dell’azione penale.
Quanto al secondo tema di indagine, ossia quello dell’effettività delle priorità, occorre interrogarsi fin da ora su quanto sarà cogente il sistema delineato dalle riforme del 2022, una volta che entrerà a pieno regime con l’adozione della legge del parlamento e dei conseguenti progetti organizzativi. In pratica si tratta di capire se siano individuabili delle sanzioni, o comunque delle reazioni, da parte dell’ordinamento qualora non si rispetti l’ordine di precedenza nell’avvio delle indagini ovvero nell’esercizio dell’azione penale.
Va subito sottolineato però che l’inosservanza delle disposizioni relative alle priorità è configurabile solo nel caso in cui una notizia di reato non venga lavorata con precedenza, e non già nell’ipotesi contraria, in cui un reato non prioritario sia preso in carico senza attesa. L’affermazione trova la sua ragione nella formulazione dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 106/2006, nel quale si precisa che le notizie di reato prioritarie devono essere esaminate con precedenza rispetto ad altre. La violazione, dunque, riguarda solo il reato prioritario post-trattato. L’ipotesi contraria, al più, potrebbe configurarsi come indice sintomatico di una trasgressione, perché allora ci sarà un reato prioritario trascurato, e solo qui si anniderebbe l’eventuale invalidità.
Tale situazione, a prima vista, potrebbe sembrare una violazione relativa all’iniziativa del p.m. nell’esercizio dell’azione penale, ma invero è solo apparente la sussunzione della situazione nella nullità generale di cui all’art. 178, comma 1, lett. b), c.p.p. L’iniziativa riguarda le azioni non esercitate dal p.m., l’esercizio officioso dell’azione, e non già la mera inerzia.
Ma non solo, se anche si volesse sostenere che la materia attiene all’iniziativa del p.m., dal punto di vista strutturale non c’è un atto da annullare e poi reiterare conformemente al dettato normativo. Sicché il sistema di reazione che scaturisce dalla dichiarazione di nullità non avrebbe ragion d’essere.
Qui invero è necessario trovare dei meccanismi che consentano di dar corso al procedimento prioritario.
La materia allora va coordinata – per quanto riguarda le priorità nell’esercizio dell’azione - con tutto il nuovo sistema previsto dal legislatore nei casi in cui il p.m. non assuma le sue determinazioni entro i termini previsti dal nuovo art. 407-bis, comma 2, c.p.p.
In tali ipotesi si è costruito un complesso sistema di “messa in mora”, che trova il suo apice nella richiesta dell’indagato e della persona offesa rivolta al giudice di ordinare al p.m. di determinarsi (ex artt. 415-bis, comma 5-quater, e 415-ter, comma 3, c.p.p.). In tal modo tanto l’indagato, quanto soprattutto l’offeso, potranno reclamare il rispetto anche – se pur non solo - delle priorità.
In merito invece all’inerzia investigativa su un reato prioritario, la forma di reazione dell’ordinamento va trovata nel procedimento di archiviazione. L’opposizione della parte offesa per inerzia investigativa è la sede elettiva per lamentarsi della mancata indagine su un reato prioritario. Senza contare che in sede di udienza di archiviazione il giudice anche d’ufficio, con l’ordine di indagare, può stimolare il supplemento investigativo su un reato prioritario.
Ma l’aspetto più significativo di tutela delle priorità (tanto di quelle investigative quanto di quelle sull’azione) si rinviene nella nuova disciplina dell’avocazione (ex art. 412 c.p.p.), la quale a sua volta si inserisce – anche se non solo - nell’ambito del procedimento di messa in mora del p.m. che non si determini (ex artt. 415-bis c.p.p. e 415-ter c.p.p.).
Per le priorità nell’azione, l’avocazione può infatti essere disposta in tutti i plurimi casi in cui (e vedremo che non sono pochi) si verifichi un’inerzia sulle determinazioni conclusive delle indagini; e, inoltre, in tutte le ipotesi in cui vi sia inerzia sull’adempimento prodromico all’azione, ovverosia quello relativo all’ostensione degli atti (infra §. 7 e 8).
Ma anche rispetto alla violazione delle priorità investigative, l’avocazione costituisce uno strumento utile. Se viene aperta l’udienza di archiviazione, il Procuratore generale può sostituirsi al pubblico ministero e far valere la necessità di indagare sul reato prioritario.
Non è allora casuale che il legislatore abbia esplicitamente fatto menzione dei criteri di priorità nella disciplina dell’avocazione (ex il nuovo art. 127-bis. disp. att. c.p.p.): si è così introdotto un sistema di controllo gerarchico sui criteri di priorità, di tipo eventuale e di carattere sostitutivo. In definitiva i reati prioritari andrebbero avocati con priorità rispetto ai non prioritari, ferma restando la facoltatività dell’avocazione.
Probabilmente questo nuovo sistema dovrà pregiudizialmente fare i conti con il quadro costituzionale.
È palese che i criteri si pongano in maniera assai problematica rispetto all’obbligatorietà costituzionale dell’azione penale; ed anche la selezione delle “reali” priorità è in grado di suscitare seri attriti con l’art. 3 Cost.
Occorre allora capire come la Corte costituzionale possa essere investita di un eventuale sindacato di legittimità costituzionale.
A ben vedere, però, assai difficilmente si potrebbe configurare la possibilità di sollevare un giudizio incidentale. Il problema risiede nel fatto che, almeno prima facie, non appare individuabile una sede processuale nella quale la questione possa essere sollevata o qualificata come “rilevante”.
Se già pregiudizialmente non è configurabile una nullità (o altra sanzione processuale) rispetto al mancato rispetto della disciplina delle priorità, a maggior ragione, viene a mancare la tipica sede processuale nella quale avviare l’incidente di costituzionalità.
Si potrebbe poi discutere se la sede per sollevare la questione possa individuarsi nell’ambito del procedimento per messa in mora del p.m. ritardatario nelle determinazioni circa l’azione (ovvero se si tratti di un “giudizio” di fronte ad un “giudice”[4]). Ma non vale la pena scioglier il nodo, perché in tali contesti la questione sarebbe comunque irrilevante: le norme da applicare non contengono alcun riferimento ai criteri di priorità, sicché non sarebbe applicabile nel processo a quo la disciplina che si vuole sindacare sotto il profilo della compatibilità costituzionale[5]. E la medesima conclusione – ovverosia l’assenza di rilevanza – va tratta rispetto il procedimento di archiviazione.
Invero l’unica strada possibile, per evitare un cortocircuito normativo in cui una legge del parlamento sia insindacabile dalla Corte costituzionale, è quella di prevedere la possibilità di esercitare un conflitto di attribuzioni.
Il procuratore della repubblica è il titolare dell’azione penale obbligatoria, e in tale veste – come ci ha spiegato la Corte costituzionale[6] - è legittimato a sollevare un conflitto di attribuzioni per tutelare le sue prerogative costituzionali in merito, proprio, all’azione. Analoga conclusione può trarsi poi rispetto al procuratore generale presso la corte d’appello, ma solo dopo che abbia avocato il procedimento ai sensi dell’art. 412 c.p.p. e di conseguenza sia investito delle scelte relative all’azione.
Ebbene: la legge del parlamento che regolerà i criteri generali delle priorità ben potrebbe incidere sulle attribuzioni del p.m., nel “modo” e nella “misura” in cui interferisca sull’obbligo dell’azione in violazione degli artt. 112 e 3 Cost.
E la Corte costituzionale ormai da tempo ha ritenuto che il conflitto di attribuzioni possa avere ad oggetto una legge, a condizione però che non sia configurabile una sede incidentale in cui far valere la questione[7]. Ma non solo: in tali contesti – in assenza di un atto – è consentita la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge che lede le prerogative dell’organo, producendone così l’annullamento in analogia a quanto avviene nel giudizio incidentale.
Si può poi discutere se la legittimazione a sollevare il conflitto di attribuzioni competa solo al procuratore della repubblica e al procuratore generale, o, invece, anche ad ogni p.m. La soluzione dipende ancora una volta da una pregiudiziale: è necessario prima capire se con la riforma si è configurata una “titolarità esclusiva” dell’azione penale in capo al procuratore capo, o, al contrario, una “titolarità diffusa” in capo a ogni singolo p.m.
3. L’iscrizione della notizia di reato.
Si è dunque codificato ciò che fino a ieri era lasciato alla determinazione dell’interprete e della prassi[8].
I commi 1 e 1-bis dell’art. 335 c.p.p. indicano le condizioni affinché le notizie di reato possano essere iscritte nei relativi registri: se contengano la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi ad una fattispecie incriminatrice (per il modello 44); se risultino indizi a carico di una persona (per il modello 21)[9].
Guardando alla nozione oggi ricavabile dall’art. 335 c.p.p. di notizia di reato oggettiva, la tentazione sarebbe di affermare che nulla sia cambiato: anche ieri non si potevano iscrivere fatti inverosimili, indeterminati e non riconducibili ad una fattispecie di reato, sarebbe stato certo un abuso.
Ma alle tentazioni occorre resistere e affermare, al contrario, che si è alzata la soglia dell’iscrizione oggettiva: il legislatore sta invitando con forza a “cestinare” tutte quelle notizie nelle quali non sia già descritta una “pre-imputazione” vera e propria.
Se ieri si riteneva che nella notizia fosse sufficiente l’indicazione anche dei soli elementi nucleari del reato (condotta e/o evento) [10], oggi appare necessario – proprio a causa della parola “fatto” inserita nell’art. 335 c.p.p. - descrivere tutti gli elementi fattuali richiesti da una fattispecie astratta: condotta, evento, nesso causale, presupposti e modalità della condotta[11].
Fatti “acefali”, in cui emerga solo un frammento della fattispecie incriminatrice non possono più essere iscritti. Occorre quindi descrivere, per esempio, la finalità del profitto o la modalità abusiva della condotta, o quella violativa di norma di legge, o ancora, il metodo mafioso, e così dicendo per tutti gli elementi fattuali che denotano e connotano il nucleo essenziale del reato. Questo vorrà dire che probabilmente si iscriveranno più notizie relative alla fattispecie di reato “generale” piuttosto che alla corrispondente fattispecie di reato “speciale” (corruzione per l’esercizio della funzione piuttosto che la corruzione propria), e, di conseguenza, potrebbero aumentare i casi in cui sarà necessario aggiornare la notizia di reato[12]. Ma, al contrario, potrebbe assistersi ad una diminuzione degli aggiornamenti rispetto agli elementi fattuali non specializzanti[13].
Insomma, se va confermato che il termine “fatto” all’interno del codice è usato dal legislatore in più significati (ai fini, per esempio, del contenuto dell’imputazione, o delle modifiche dell’imputazione), si deve ritenere che in tale contesto esso valga ad indicare tutti gli elementi del “fatto tipico” descritti in una fattispecie incriminatrice, allo stesso modo in cui è stato inteso dalla Corte Costituzionale in riferimento al divieto di un secondo giudizio, ex art. 649 c.p.p.[14]
Ma non solo, viene così confermato che i fatti esposti nella notizia devono già corrispondere di per sé agli elementi astratti del reato. Fatti che solo in via inferenziale e indiretta riportano ad una fattispecie incriminatrice vanno ora sicuramente cestinati, come ad esempio tutte le descrizioni di fatti che secondo l’id quod prelunque accidit sono solo indici sintomatici – anche se ad altissima valenza - della commissione di un reato (il c.d. sospetto che sia stato commesso un reato).
In merito alla non inverosimiglianza e alla determinatezza, invece, sembrerebbe che il legislatore stia sollecitando ad escludere dall’iscrizione tutti i fatti che “non hanno l’apparenza di essere veri e reali”. Ma la “non apparenza al vero” dipende dalla descrizione dei fatti, che non a caso devono essere determinati. Probabilmente i due requisiti vanno letti insieme: è l’analiticità che consente di valutare la non inverosimiglianza. La determinatezza, quindi, dovrebbe essere intesa come necessità di caratterizzare i fatti che si affermano avvenuti. Senza dubbio, quindi, non può essere considerata notizia di reato una proposizione referenziale che, nella sua formulazione, risulti corrispondente alla proposizione legislativa: è il caso, ad esempio, dell’informazione che si limiti semplicemente ad affermare che “qualcuno ha cagionato la morte di un uomo”, o che “qualcuno si è impossessato di una cosa mobile altrui sottraendola a chi la deteneva”. Ma la determinatezza impone di superare il più possibile tale soglia, in quanto è necessario raggiungere un livello che permetta una valutazione concreta, e non già solo astratta, sulla apparente realtà del fatto. È sempre possibile, astrattamente, che qualcuno abbia rubato, ma concretamente i fatti descritti devono apparire come realmente avvenuti. Non si tratta però di escludere solo i fatti “assurdi” o “abnormi”, ovverosia di impossibile verificazione, ma anche quelli che, proprio per mancanza di determinazione, non appaiono come realmente avvenuti. È, insomma, necessario un racconto.
E qui si tratta di operare una valutazione solo in fatto, che però ha ad oggetto la rappresentazione: i “fatti rappresentati” devono essere determinati e verosimili, e non già i “fatti reali”. La verosimiglianza non è una soglia probatoria da raggiungere prima dell’iscrizione, ma un carattere dell’affermazione, della narrazione. Da questo punto di vista, allora, nulla è cambiato rispetto al passato: la notizia di reato oggettiva continua ad essere un’informazione “nuda”; non richiede la presenza di elementi investigativi volti a dimostrare che non è inverosimile che il fatto sussista e costituisca reato, perché è sufficiente che il fatto narrato appaia come sussistente e costituente reato[15]. Non sembra, insomma, che il legislatore abbia abiurato alla scelta fatta con l’adozione del Codice Vassalli: la verifica processuale inizia dopo l’iscrizione e non già prima.
E sotto tale profilo è emblematico l’inserimento nell’art. 335 c.p.p. del sintagma “in ipotesi”. Si tratta del giudizio conclusivo cui è chiamato il p.m. nel momento in cui iscrive: i fatti rappresentati, se fossero in ipotesi veri, sarebbero “previsti dalla legge come reato”, e su questa ipotesi di lavoro si apriranno le indagini preliminari[16].
In definitiva, la notizia di reato è, come nel passato, “l’ipotesi” su cui si indagherà, che diventerà “tesi” qualora fosse formulata l’imputazione, e che diventerà - dopo la “critica” dibattimentale - “verità” con la sentenza, secondo l’attuale accezione relativistica e scientifica del concetto di verità[17]. Ma si tratta ora di un’ipotesi ben strutturata.
Dal punto di vista della notizia di reato soggettiva, invece, la novità appare assai più evidente: non è più sufficiente che il nome del possibile responsabile sia indicato o sia comunque identificato, occorre piuttosto che risultino degli indizi a suo carico. In pratica oggi è consentito ciò che ieri appariva vietato: direzionare l’indagine verso un sospettato ben identificato, senza che sia necessaria la previa iscrizione soggettiva, perché quest’ultimo adempimento presuppone che già risulti un quadro probatorio indiziario[18]. L’iscrizione, quindi, impone una valutazione dei risultati investigativi: sono gli esiti dei singoli atti di indagine che consentono, ad un certo momento, di procedere all’iscrizione. Viene dunque invertito il meccanismo rispetto al passato: prima si indaga e solo dopo si iscrive, e non più il contrario.
In particolare, il legislatore si è servito della regola giurisprudenziale utilizzata per sindacare la qualifica del dichiarante nell’art. 63 c.p.p.
In via generale si può subito osservare che la soglia probatoria da raggiungere si pone a metà strada fra il sospetto e i gravi indizi: sono necessari degli indizi - e non dei meri sospetti - ma gli indizi non devono ancora essere gravi.
Si tratta di una soglia sicuramente “vaga”: il passaggio dalla categoria più bassa (il sospetto) a quella intermedia (gli indizi) a quella alta (i gravi indizi) non è individuabile con precisione ed oggettivamente: ma questa è proprio la caratteristica dei termini vaghi[19]. Non a caso tale aspetto di vaghezza si riflette – e poi lo vedremo meglio - sul controllo che è chiamato a fare il giudice: la retrodatazione dell’iscrizione presuppone una inequivocità del ritardo, ovverosia che con certezza si sia passati dalla soglia più bassa a quelle più alta, o addirittura alla successiva. Nella progressione è proprio la soglia intermedia ad essere in assoluto – obiettivamente - incerta, rispetto alle altre due, e - ancor di più - alle ipotesi concrete che si pongono al confine fra l’una e le altre due[20].
La conseguenza più vistosa di tale mutamento di prospettiva è l’allargamento delle ipotesi in cui si deve iscrivere nel registro delle notizie di reato contro ignoti e - a cascata - l’allargamento dei casi di archiviazione contro ignoti.
In conclusione, finché si indaga su un mero sospettato, la notizia di reato è ancora oggettiva, e dunque va lasciata nel registro delle notizie di reato contro ignoti. Scaduti poi i primi sei mesi di indagine, di fronte a dei meri sospetti, si può o chiedere l’archiviazione per essere rimasto ignoto l’autore del reato, o, in alternativa, la proroga delle indagini.
Alla luce di tale inedito quadro occorre fare delle riflessioni di sistema, soprattutto in relazione alle prassi codificate nelle circolari e nei progetti organizzativi delle Procure, nonché nelle circolari e delibere del C.S.M., che probabilmente andranno riviste. E appare opportuno a tal fine distinguere fra notizie di reato tipiche e atipiche.
Rispetto le notizie di reato tipiche, si configureranno degli “oneri” aggiuntivi in capo a chi le presenta.
I difensori che eventualmente cureranno per una parte offesa una querela, o anche eventualmente una denuncia, dovranno con molta più precisione descrivere i fatti che portano all’attenzione degli organi investiganti. E lo stesso si può dire per i titolari dell’obbligo di referto o comunque di denuncia. Il rischio altrimenti è l’auto-archiviazione delle comunicazioni. Senza contare che rimane ferma la possibilità di presentare già, insieme alla notizia di reato, elementi a conferma di quanto segnalato.
Occorre poi capire quale sia il protocollo da seguire se una denuncia o una querela - ma fermiamoci ora alla notizia di reato in cui non è indicato alcun autore – non sia dotata dei requisiti richiesti dalla legge ai fini dell’iscrizione. Di fronte ad una notizia di reato qualificata, idonea soltanto a far sorgere il sospetto che un reato sia stato commesso, perché acefala o non troppo determinata, o contenente la descrizione di fatti solo indirettamente sussumibili sotto una fattispecie incriminatrice, nascono vari dubbi.
Se la notizia di reato ancora non iscrivibile viene presentata alla polizia giudiziaria, è incerto se permanga il dovere di trasmetterla al p.m. E, di conseguenza, occorre chiedersi se sia stato spostato il confine fra gli atti di indagine compiuti ex art. 347 c.p.p. (ovverosia dopo che sia acquisita una notizia di reato e prima che sia trasmessa al pubblico ministero) e i c.d. atti pre-investigativi – non regolati dalla legge - compiuti al fine di formare una notizia di reato iscrivibile[21].
Sono temi discussi da sempre. Si potrebbe infatti affermare - senza mai errare - tutto e il contrario di tutto:
- che la notizia tipica priva dei caratteri richiesti dal 335 c.p.p. vada cestinata direttamente dalla polizia giudiziaria, non costituendo informazione da trasmettere al p.m.;
- che non sia possibile procedere all’immediata cestinazione, ma che sia comunque necessario per la polizia giudiziaria verificare preliminarmente se l’informazione tipica acquisita in realtà nasconda una notizia di reato vera e propria, cosicché solo all’esito della verifica si imporrebbe la trasmissione al p.m., o addirittura solo in caso di esito positivo della stessa.
- che vada trasmessa al p.m. senza nessun approfondimento, né investigativo, né pre-investigativo. E in questo ultimo caso occorre chiedersi ancora se il titolare delle indagini debba subito inviarla all’archivio della procura, o possa decidere lui se sottoporla ad una verifica preliminare, ad una pre-inchiesta, che porterà all’iscrizione o alla cestinazione.
Dubbio, quest’ultimo, che riguarda anche le notizie di reato tipiche, sempre non iscrivibili, che vengono acquisite direttamente dal p.m., senza il tramite della polizia giudiziaria.
Invero per le notizie di reato tipiche prive dei caratteri di cui all’art. 335 c.p.p. sembrerebbe che debba rimanere ferma la regola secondo cui è il p.m. a dover valutare se iscriverle o meno ai sensi dell’art. 109 disp. att. c.p.p.: la polizia giudiziaria non può dunque cestinarle, attraverso la non informazione al p.m. Eppure, sembra che le prime circolari delle procure stiano andando in una direzione contraria, ovviamente giustificata dalla difficoltà oggettiva di gestire le enormi masse di notizie di reato tipiche che vengono trasmesse. Si stanno infatti esortando gli uffici di p.g. a trasmettere solo notizie di reato ben determinate e già provviste di un solido quadro investigativo.
Invero andrebbe coltivata una diversa e nuova prospettiva. Per esempio, immaginando un’informativa cumulativa, nella quale la p.g. trasmetta alla procura tutte quelle notizie di reato tipiche, che non presentino i requisiti richiesti dal nuovo art. 335 c.p.p. ai fini dell’iscrizione. Senza dunque che vengano svolte né pre-investigazioni, né indagini preliminari vere e proprie. Ferma restando poi la facoltà del pubblico ministero di individuare quelle che ritiene meritevoli di approfondimento, attraverso una pre-inchiesta, delegata o meno, finalizzata ad una scelta più ponderata fra iscrizione o auto-archiviazione[22]. Va invece escluso con forza che in tal caso possano essere compiuti già atti investigativi a tutti gli effetti.
Certo è che se già rispetto alle notizie di reato iscritte operano (ora in via facoltativa, nel futuro con la legge che dovrà essere approvata dal parlamento in via obbligatoria) criteri di priorità per indagare, occorre domandarsi se sia coerente un sistema che, da un lato, inviti a tralasciare l’indagine di una notizia iscritta ma non prioritaria e, dall’altro, consenta di verificare – tramite una pre-inchiesta - se una denuncia non costituente ancora una notizia di reato possa arrivare alla soglia dell’iscrizione.
La conseguenza dovrebbe essere quella di sottoporre la scelta di aprire una eventuale pre-inchiesta sulla notizia di reato tipica, ma non iscrivibile ai sensi dell’art. 335 c.p.p., quantomeno alle stesse priorità investigative delle notizie di reato, se non addirittura a “priorità pre-investigative” ancora più selettive.
E la stessa considerazione può estendersi alla presa di iniziativa delle notizie di reato.
In riferimento alla c.d. ricerca delle notizie di reato, per esempio, se un’intercettazione preventiva informa sulla commissione di un reato, rimane doverosa la pre-inchiesta, così come se la notizia sia trasmessa dai sevizi di informazione. E lo stesso può predicarsi per le morti sospette: si tratta di notizie relative per lo più a reati prioritari. Ma le medesime riflessioni si possono fare per la ricerca della notizia di reato che trova la sua fonte in qualunque altra informazione: occorrerà solo verificare la priorità o meno del fatto. E questo dovrebbe valere tanto per una generica inchiesta giornalistica, quanto per una denuncia anonima, tanto per una notizia appresa da un informatore di polizia, quanto per quella appresa a seguito di un colloquio investigativo eseguito da organi di polizia giudiziaria, o per notizie acquisite durante lo svolgimento di attività amministrative di tipo ispettivo, o rispetto a quelle comunicate per legge al p.m. (sentenze di fallimento, nuove procedure regolate dal codice della crisi d’impresa, attività bancarie o finanziarie sospette). In tutti i modi in cui una pre-notizia di reato arriverà al p.m. o alla polizia, non muta l’esigenza di una eventuale pre-inchiesta per ciò che dovrebbe diventare una notizia di reato prioritaria.
In riferimento invece alle notizie di reato atipiche che consentono invece un’immediata iscrizione, nulla muta, se non che, essendosi alzata la soglia dell’iscrizione, si è allargata la categoria delle pre-notizie di reato che richiedono – per arrivare all’iscrizione - una pre-investigazione e, di contro, si è ridotta la categoria delle notizie di reato atipiche già formate e immediatamente iscrivibili.
In pratica, perquisizioni preventive, indagini e acquisizioni provenienti dal procedimento di prevenzione antimafia, atti di indagine e prove acquisite in altri procedimenti, inchieste giornalistiche specifiche e determinate, notizie di reato raccolte dai collaboratori di giustizia o durante i colloqui investigativi svolti dal procuratore antimafia continuano ad essere notizie di reato, a condizione però che superino la soglia oggi pretesa dal legislatore: dunque, si impone una più accurata ponderazione del contenuto di tali atti.
Rispetto invece all’iscrizione nel registro delle notizie di reato contro persone note, appare in qualche modo semplificato il sistema.
Da una parte, richiedendosi indizi, appare quasi scontato che ci saranno meno occasioni di coincidenza fra l’apprensione della notizia di reato oggettiva e soggettiva.
Dall’altra, e di conseguenza, ben difficilmente si verificherà l’esigenza di una pre-investigazione soggettivamente indirizzata, che anzi a questo punto andrebbe in assoluto esclusa.
Infine, probabilmente si allargheranno di molto i numeri delle archiviazioni per essere rimasto ignoto l’autore del reato.
Dal punto di vista operativo, poi, si dovrà con maggiore attenzione verificare il passaggio da un mero sospetto all’indizio, attraverso un’attenta lettura degli atti investigativi compiuti. Va evitato da subito che possa intervenire un provvedimento di retrodatazione.
In conclusione, se si guarda all’obiettivo generale che si vuole realizzare, - iscrivere meno procedimenti – si dovrebbero modificare i documenti organizzativi del C.S.M. e delle singole procure.
Vi dovrebbe essere un invito rivolto ai p.m. e alla polizia giudiziaria: su tutte le notizie di reato relative a “reati non prioritari” che non raggiungono la soglia dell’iscrizione non deve essere svolta alcuna verifica preliminare.
Dovrebbe poi rimanere ferma la prassi, per i “reati prioritari”, di svolgere la pre-investigazione rispetto a quelle informazioni - tipiche o atipiche – che non raggiugano la soglia dell’iscrizione oggettiva, al fine di verificare se possa invece essere raggiunta.
Parallelamente a ciò dovrebbe essere inserito un ulteriore invito rivolto alla polizia giudiziaria: di svolgere gli atti investigativi veri e propri nel periodo che va dalla acquisizione della notizia di reato alla sua trasmissione al p.m. ex art. 347 c.p.p. , solo nei casi in cui la notizia di reato relativa a un reato prioritario già presenti – senza dubbio - i caratteri per procedere all’iscrizione, ribadendo che in tal caso possano essere compiuti atti soggettivamente indirizzati, sia ai fini della mera identificazione, sia, se necessario, ai fini della eventuale responsabilità.
Si dovrebbe poi sottolineare il dovere in capo al p.m. di far decorrere la data dell’iscrizione dal primo atto investigativo vero e proprio compiuto dalla p.g. prima della formale iscrizione.
Infine, si dovrebbe sottolineare la possibilità per il p.m. di cestinare le notizie – tipiche o atipiche - che, se pur oggetto di iniziale indagine preliminare vera e propria da parte della polizia di sua iniziativa ex art. 347 c.p.p., non siano considerate – a differenza di quanto ha ritenuto la polizia giudiziaria - notizia di reato iscrivibili ai sensi dell’art. 335 c.p.p.
4. Il controllo sulla correttezza delle iscrizioni
Alla fine si è introdotto ciò che da anni si reclamava: il sindacato sulle date di iscrizione nei registri delle notizie di reato[23].
Ed è questa la ragione fondamentale per la quale il legislatore ha individuato i parametri che devono guidare le iscrizioni sui registri nell’art. 335 c.p.p.: se si introduce un controllo, è necessario fornire le regole su cui effettuarlo, altrimenti all’ampia discrezionalità del p.m., si sarebbe solo sostituita quella del giudice[24].
Si è al cospetto di un sistema virtuoso, che ha guardato più in là della tanto attesa facoltà da parte dell’indagato di reclamare la retrodatazione dei termini della sua indagine: si è infatti còlta l’occasione per costruire un sistema più ampio, in cui il controllo sulle iscrizioni viene diversificato per contenuto, per legittimazione attiva e per momenti processuali di intervento[25].
Quanto al contenuto, va distinto il controllo sulla mancata iscrizione soggettiva (che porterà alla c.d. iscrizione coatta), dal sindacato sulla data di effettiva iscrizione oggettiva e soggettiva (che porterà alla retrodatazione di iscrizioni già avvenute).
Quanto ad iniziativa, l’omissione dell’iscrizione soggettiva è attribuita alla sola iniziativa officiosa del g.i.p., mentre il sindacato sulle date di iscrizione viene costruito come un’eccezione dell’indagato o dell’imputato rivolta al giudice procedente. Al p.m., invece, è lasciato solo un intervento autocorrettivo sulle date di iscrizione, con il quale si cerca di prevenire l’eccezione di parte[26].
Quanto al momento di intervento, il g.i.p. può ordinare l’iscrizione soggettiva tanto nella fase delle indagini contro ignoti, quanto in quella contro persone note, compresi i relativi procedimenti di archiviazione; di contro la persona indagata può – necessariamente - chiedere il sindacato soltanto dal momento in cui diviene indagato, ma anche dopo in qualità di imputato. Da parte sua, il p.m. può autocorreggersi solo al momento della prima iscrizione, tanto oggettiva quanto soggettiva.
Venendo più nel dettaglio, in merito all’art. 335-ter c.p.p. si è al cospetto di una inedita ipotesi di iscrizione soggettiva coatta “diffusa”[27]. Il giudice per le indagini può ordinare al p.m. di iscrivere il nominativo di un indagato quando sia investito di una qualunque decisione riservata alla sua competenza. In pratica, il giudice può imporre l’iscrizione durante lo svolgimento sia delle indagini contro ignoti, sia contro noti, individuando in questo secondo caso ulteriori indagati.
Tale forma di controllo troverà nelle procedure di richiesta di proroga delle indagini contro ignoti o nella corrispondente archiviazione – nella quale era già prevista - la sua sede elettiva; probabilmente tale momento procedimentale – rispetto al passato - sarà destinato a decollare, molto più di quanto sia successo fino ad oggi e lo vedremo (§. 5).
Per il resto la disposizione – nei procedimenti contro ignoti – potrebbe permettere l’iscrizione coattiva qualora sia stata richiesta un’intercettazione o un controllo sui tabulati telefonici.
Per i procedimenti contro persone note, invece, è immaginabile un assai più ampio ricorso: l’ordine di iscrivere ulteriori indagati potrebbe normalmente nascere tanto da una richiesta cautelare, quanto da un interrogatorio di garanzia; tanto da una richiesta di intercettazione, quanto da quella volta all’acquisizione dei dati esterni alle comunicazioni; ma, soprattutto, in sede di proroga delle indagini e di archiviazione, ipotesi, quest’ultima già praticata diffusamente. Va invece per lo più escluso che da una convalida di una misura pre-cautelare, o da una richiesta di incidente probatorio, il giudice possa trarre le informazioni necessarie per individuare altri indagati, sebbene non sia normativamente escluso.
Va infatti ricordato che per procedere all’ordine di iscrizione soggettiva al giudice deve palesarsi che vi siano indizi nei confronti della persona. Qui il sindacato dipende dal materiale che il giudice è chiamato a valutare per prendere la decisione di cui è investito: potrebbero essere tutti gli atti fino a quel momento raccolti, ma anche solamente una loro selezione[28]. Probabilmente è questo il motivo per cui è previsto, da un lato, che il p.m., quando presenta una richiesta al g.i.p. deve sempre indicare i reati e i nominativi completi dei vari indagati (ex art. 110-ter disp. att. c.p.p.), e, dall’altro, che l’ordine di iscrizione del giudice ai sensi dell’art. 335-ter c.p.p. sia preceduto dall’interlocuzione con il p.m.[29]
Va poi escluso che in tale sede si possa valutare se la mancata iscrizione sia giustificata o inequivocabile, in analogia con quanto previsto per il sindacato sulla retrodatazione. Qui la norma tace: l’omissione non entra quindi nella fattispecie, imponendo un accertamento volto a verificarne le ragioni e i caratteri, a differenza di quanto accade per il ritardo ai fini della correzione della data di iscrizione.
Non a caso il g.i.p. d’ufficio può ordinare solo l’iscrizione soggettiva, e non già la data da cui essa inizia a decorrere: tale scelta verrà fatta dal p.m. nel momento in cui gli venga ordinata l’iscrizione e solo dopo potrà essere sindacata, attraverso l’eccezione di parte volta alla retrodatazione, allo stesso modo di quando iscriva di sua iniziativa.
Al p.m. però è concessa una facoltà: può indicare una data precedente a far corso della quale si intende iscritta la notizia. È un potere esercitabile ogni volta che egli procede alla prima iscrizione (tanto oggettiva, quanto soggettiva; tanto spontanea, quanto coattiva), volto a prevenire a monte le eccezioni sulla retrodatazione, sebbene anche l’intervento autocorrettivo sia sindacabile con la successiva eccezione di parte.
Le ragioni sono ovvie e varie: il p.m. valuta meglio l’esistenza degli indizi, magari nel momento di passaggio fra l’iscrizione da un modello all’altro; si rende conto che un reato ulteriore – per lo più connesso o collegato - già emergeva agli atti; si accorge che la polizia giudiziaria ha compiuto una serie di rilevanti attività investigative prima della trasmissione dell’informativa; ma si possono immaginare le più svariate ragioni.
È escluso invece che possa essere compiuta un’auto-correzione in un momento successivo alla prima iscrizione, attraverso una sorta di retrodatazione in itinere. Durante lo svolgimento di un’inchiesta al p.m. è solo consentito di procedere a nuove iscrizioni. La ragione va ricercata nella necessità di non rendere la data di inizio delle indagini (tanto oggettive, quanto soggettive) troppo fluida e incerta: e così sarebbe inevitabilmente se il p.m. in ogni momento potesse correggersi.
Invero solo alla persona indagata – o imputata - spetta di avviare la procedura che porterà, se accolta, a modificare la data di decorrenza dei termini delle indagini durante l’iter procedimentale; di contro, solo in tale contesto, il giudice potrà indicare, in accoglimento dell’istanza, la data dalla quale deve intendersi iscritta la notizia di reato e il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito.
A tal fine, l’art. 335- quater c.p.p. regola un vero e proprio procedimento, invero assai complesso[30].
La richiesta, a pena di inammissibilità, deve indicare le ragioni e gli atti su cui si fonda: il requisito richiama palesemente la giurisprudenza sui ricorsi autosufficienti. Non spetterà dunque al giudice verificare la consistenza di tutto il quadro investigativo raggiunto nel momento in cui viene fatta la richiesta, ma dovrà limitarsi agli atti indicati dall’istante, così che non è da escludere – proprio in analogia con i principi giurisprudenziali sui ricorsi autosufficienti – che sarà richiesta anche la “produzione” degli stessi[31].
Bisognerà dunque individuare gli “specifici indizi” a carico della persona poi indagata, emersi precedentemente alla data in cui è avvenuta l’iscrizione soggettiva. Si richiederà quindi la comparazione fra gli atti investigativi compiuti, perché occorrerà ricostruire lo sviluppo investigativo, al fine di individuare il momento di passaggio fra il mero sospetto e gli indizi specifici.
Il giudice, di contro, potrà pronunciare la retrodatazione solo in assenza di una causa di giustificazione[32], e in mancanza di equivocità del ritardo[33]. Si tratta di presupposti che evocano assai la terminologia penalistica.
Il primo requisito farà sì che la retrodatazione non potrà essere ordinata per la presenza di contrapposti interessi tutelati da parte dell’ordinamento, come, ad esempio, la necessità di mantenere ancora riservata l’indagine dal punto di vista soggettivo, perché in corso operazioni sotto copertura, o, più in generale, perché ricorrono le condizioni che oggi giustificano una richiesta di posticipazione della discovery ai sensi degli artt. 415-bis e 415-ter c.p.p.: pericolo di vita, sicurezza pubblica, o svolgimento di particolari attività investigative che sarebbero frustate anche dalla semplice iscrizione tempestiva.
Il secondo requisito, invece, determinerà la necessità di accertare, ai fini dell’ordine di iscrizione, un ritardo evidente: si pensi, per esempio, al caso in cui si stiano svolgendo inchieste particolarmente complesse, con pluralità di persone coinvolte; così che, se a posteriori è possibile con chiarezza individuare il passaggio fra il sospetto e l’indizio, a priori tale operazione risulta impraticabile. Si potrebbe ritenere che qui venga in rilievo una valutazione che richiama una sorta di mancata colpevolezza, non psicologica però, ma fattuale, che si concretizza in un giudizio “ora per allora”, come avviene per il delitto tentato di cui all’art. 56 c.p. Più in generale, sembrerebbe che il legislatore abbia voluto risolvere la difficoltà obiettiva di individuare con precisione il momento in cui emergano degli indizi. L’idea insomma è di evitare troppe questioni sul punto, semplificando l’accertamento: in questa prospettiva, va individuato il momento in cui non è più controversa la consistenza probatoria nei confronti dell’indagato.
Si tratta di due requisiti che dal punto di vista degli oneri probatori sembrerebbero – per come è costruita la disposizione - degli “elementi negativi” della fattispecie “ritardo”, così che spetterebbe all’indagato il relativo onere, con conseguenziale necessità di fornirne la piena prova: nel dubbio o nell’assenza di prova, la retrodatazione non può essere concessa.
Ma ricostruita in questi termini, la fattispecie rischia di dar luogo ad una probatio diabolica, soprattutto per il profilo che attiene alla mancata giustificazione: è noto, del resto, che il riparto dell’onere probatorio debba basarsi altresì sulla vicinanza della prova. Il problema può essere risolto allora ricorrendo alla giurisprudenza sulle cause di illiceità speciali: spetta qui al p.m. allegare la giustificazione[34]. Si tratta però di un semplice onere di allegazione dei motivi non conosciuti né conoscibili dal giudicante, né dalla persona indagata, sicché non potrà essere ordinata la retrodatazione in presenza di un mero principio di prova o di una prova incompleta; di contro, dovrà essere ordinata la retrodatazione in difetto assoluto di prova sull’assenza di giustificazione oltre che in presenza prova contraria[35].
Un requisito aggiuntivo poi è previsto nella sola ipotesi in cui la questione sia sollevata durante un incidente che si apre nel corso delle indagini, qui è infatti richiesta la rilevanza della questione, nel senso che la retrodatazione deve essere elemento che concorre alla decisione. L’idea sottesa, probabilmente, va individuata nella volontà di non appesantire le decisioni con questioni che esulano dal tema. In quest’ottica, certamente, il requisito della “rilevanza” è soddisfatto se la retrodatazione è finalizzata a far valere l’inutilizzabilità di atti che devono essere utilizzati per la decisione richiesta (come, ad esempio, per le misure cautelari). Si può poi ipotizzare una diversa “rilevanza” per l’incidente probatorio, laddove la retrodatazione incida sulla qualifica che riveste la persona che si vuole sentire (quella di testimone o quella di parte). Ma, ancora, la questione è “rilevante” in sede di richiesta di proroga delle indagini, ai sensi dell’art. 406 c.p.p.: ben potendo il giudice negare la proroga se gli ulteriori termini che si chiedono sono stati già impiegati ritardando l’iscrizione soggettiva.
A pena di inammissibilità, è poi previsto un termine di venti giorni da quando si è venuti a conoscenza degli atti investigativi che giustificano l’istanza. La ragione è chiara: da una parte, il ritardo presuppone una relazione rispetto alla sequenza delle attività (di per sé un singolo atto non ci può dire molto se non è comparato con quelli precedenti); dall’altra, per evitare l’eventualità di un impiego strumentale dell’eccezione (conservarla e sollevarla per la prima volta solo nei giudizi di impugnazione), si è deciso di introdurre un termine, che, se rispettato, legittima poi la riproposizione dell’istanza eventualmente denegata durante tutta la sequenza processuale, in analogia con il regime delle nullità.
Certo, dal punto di vista sistematico è un po’ un pasticcio, perché l’incidente non è volto a far valere l’inutilizzabilità, ma piuttosto è finalizzato alla sola retrodatazione, la quale, dunque ha un suo regime specifico[36]. La conseguenza è però l’emergere di una inutilizzabilità, la quale dovrebbe conservare il suo statuto.
Invero qui si è in presenza di una inutilizzabilità eventuale: fino a quando non è modificato il termine, l’inutilizzabilità non esiste, è solo potenziale, secondum eventum. Ma non solo: è anche destinata a sparire e poi ricomparire, qualora ogni giudice investito del riesame sulla retrodatazione prenda una decisione diversa. Senza dimenticare che, una volta dichiarata, la questione di inutilizzabilità potrà essere fatta valere sempre, qualora l’atto sia comunque utilizzato senza che sia preliminarmente ribaltato il sindacato sull’iscrizione. Non ha allora più senso continuare ad applicare l’eccentrico regime della inutilizzabilità relativa, codificato dalla giurisprudenza in riferimento all’art. 407 c.p.p.
Quanto al regime giuridico, il sistema varia a secondo della sede e del momento in cui è proposta.
Se nasce come incidente specifico durante le indagini, il regime è costruito ad imitazione della richiesta di proroga, ma con delle differenze. Essendo invertiti i ruoli delle due parti, l’istante è qui l’indagato, mentre la domanda va notificata al p.m. a sua cura, in quanto deve darne prova contestualmente all’istanza; sono poi previste delle controdeduzioni scritte di entrambi, dopo l’iniziale confronto fra l’istanza dell’indagato e le memorie scritte del p.m.; infine nell’eventuale contraddittorio orale, convocato con un avviso e senza termini pre-indicati dal legislatore per la fissazione, è assente il richiamo alle forme dell’art. 127 c.p.p. Probabilmente il legislatore vuole evitare il più possibile che l’incidente sia fonte di invalidità e costringa ad un’inesigibile ripetizione.
Ma durante le indagini si può anche scegliere di proporla direttamente nei contesti in cui il g.i.p. è già chiamato a prendere una decisione con la partecipazione delle parti: in tal caso le forme di proposizione e di decisione sono quelle del sub-procedimento in cui si inserisce.
Infine, l’istanza può essere presentata durante l’udienza preliminare e il giudizio: depositata in cancelleria o presentata direttamente in udienza, e trattata e decisa secondo le regole delle relative sedi.
Il disegno è chiaro: si cerca di favorire la trattazione in un contesto processuale già in atto, evitando così un ulteriore sub procedimento. Ma la scelta della sede è rimessa alle parti, compatibilmente però con le scadenze temporali: invero proprio i venti giorni concessi predeterminano in massima parte la scelta del momento in cui far valere la questione[37].
Vi sono poi delle regole comuni che valgono per tutto il sistema: non si può duplicare la richiesta nelle diverse sedi; una volta proposta, è comunque preclusa, ma questo non esclude la proposizione di una domanda nuova fondata su nuove ragioni; le parti posso chiederne un riesame.
Quanto a tale ultima facoltà, si è costruito un sistema ad imitazione delle eccezioni sulle nullità relative: onere di risollevare la questione in ogni momento utile previsto a tal fine, così da renderla poi oggetto di impugnazione.
Si è così consentito il ricorso in cassazione: sarà dunque la Suprema Corte, quale organo della nomofilachia, a spiegarci come vada interpretata tutta questa complessa disciplina. Ma, a differenza del passato, con decisioni destinate ad imporsi, in quanto direttamente applicabili ai procedimenti portati alla sua attenzione. Se infatti anche nel passato la Corte di cassazione ci aveva detto che l’iscrizione soggettiva presuppone degli indizi, tale indicazione rimaneva comunque solo esortativa, non essendo ancora previsto il sindacato sull’iscrizione.
5. I termini delle indagini preliminari contro ignoti e i loro controlli
Le conseguenze provocate dalle modifiche normative, in un sistema processuale, sono imprevedibili, perché tutti i momenti processuali sono in qualche modo connessi gli uni agli altri, così che non sempre è possibile da subito cogliere tutti gli effetti che si provocano nei contesti diversi da quelli in cui si è intervenuti direttamente.
E proprio per tale regione appare opportuno prendere le mosse dai termini delle indagini preliminari contro ignoti, anche se in apparenza sembrerebbe che nulla sia qui cambiato.
A seguito della novella legislativa, l’art. 415 c.p.p. è infatti rimasto invariato, a parte lo spostamento meramente topografico della c.d. iscrizione soggettiva coatta (ora collocata nell’art. 335-bis c.p.p.), che dunque rimane immutata nella sua applicazione in tale contesto.
Nella disposizione, da una parte, continua ad essere prevista la necessità per il p.m. di rivolgersi al giudice se entro sei mesi non ha iscritto il nome di almeno un indagato nel relativo registro, chiedendogli o la proroga o l’archiviazione; dall’altra parte, permane l’assenza dell’indicazione della durata della proroga eventuale concessa e dei motivi che la giustificano, né compaiono indicazioni sui termini finali di tale indagine e, di conseguenza, su una possibile distinzione fra tipologie di reato. Sicché continuerà ad essere necessaria l’integrazione di tali vuoti (ex art. 415, comma 3, c.p.p.) con la disciplina generale che governa i tempi delle indagini contro persone note, la quale, però, è sensibilmente variata con la riforma, come vedremo (infra, §. 6)
Ebbene, rispetto all’art. 407 c.p.p., se si mettono in risalto gli obiettivi generali della novella - archiviare il più possibile e prendere le decisioni il prima possibile – e si rapportano alle ragioni che avevano giustificato nel passato una valutazione di compatibilità – il termine finale garantisce l’obbligatorietà[38] - ne consegue che la norma sia ancora applicabile nei procedimenti contro ignoti, là dove individua, innovando, tre diversi termini di durata massima dell’indagine (dodici, diciotto o ventiquattro mesi a seconda della tipologia di reato).
E le stesse ragioni portano a confermare la perdurante compatibilità dell’art. 406 c.p.p., nella parte in cui continua a fissare in sei mesi la durata della proroga[39].
Più controvertibili invece sono le valutazioni di compatibilità rispetto all’art. 405 c.p.p., in riferimento alla durata iniziale delle indagini, e all’art. 406, comma 2, c.p.p., dove specifica che la proroga può essere autorizzata una sola volta. Le due disposizioni sono strettamente connesse, sicché o si applicano entrambe o nessuna delle due.
Sul punto è necessario considerare – nella valutazione di compatibilità - la disciplina innovativa della riforma, volta a porre fine all’abusivo superamento dei termini delle indagini contro persone note con nuova forza. Ebbene l’art. 415 c.p.p., là dove stabilisce che “il p.m. entro sei mesi presenta richiesta di proroga”, paradossalmente sembrerebbe scritto proprio per soddisfare tale rinnovata esigenza: il p.m. si dovrebbe rapportare il prima possibile con il giudice, affinché quest’ultimo vigili in itinere se l’indagine sia già soggettivamente indirizzata ex art. 335-bis c.p.p. In tema di ignoti, allora, si dovrebbe ritenere che il termine iniziale sia di sei mesi e sia regolato solo dall’art. 415 c.p.p., con esclusione, quindi, dell’art. 405 c.p.p., come invece si era ritenuto nel passato[40]. La conseguenza sarebbe allora che in tema di indagini contro ignoti si potrebbero chiedere più proroghe, nei limiti dei termini finali previsti dall’art. 407 c.p.p., così che si arriverebbe a due proroghe per i delitti diversi da quelli previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. e ben a tre per questi ultimi.
Così ritenendo, i termini iniziali delle indagini contro ignoti sarebbero di sei mesi per tutti i reati, i termini finali complessivi sarebbero invece differenziati per classi di illeciti, e sarebbero raggiungibili attraverso la possibilità di chiedere più proroghe.
Certo, la soluzione proposta aumenterebbe gli adempimenti, che vanno contro la logica della riforma; tuttavia non va trascurato che la richiesta di proroga in tale sede è assai agile e che in tal modo si limiterebbe il rischio che venga sollevata successivamente l’eccezione di retrodatazione, o quantomeno che sia accolta, con le gravi conseguenze che porterebbe in tema di inutilizzabilità; in tal modo, poi, si favorirebbe la possibilità di chiudere celermente la fase, perché, costringendo il p.m. a presentarsi al giudice per le sue richieste ogni sei mesi, si favorirebbe la possibilità di avviarsi già in questo momento verso l’archiviazione in tutti i casi in cui il p.m. ritenga che non ci siano le condizioni per iscrivere, né quelle per ottenere una proroga.
E proprio sulla unica ragione che giustifica oggi la proroga ai sensi del nuovo art. 406 c.p.p., ossia la complessità investigativa, la valutazione di compatibilità con il procedimento contro ignoti appare assai controversa.
Ebbene, se si ritenesse che la proroga possa essere concessa solo per tale motivo, in tutti i casi in cui non si è svolta alcuna indagine, si legittimerebbe l’immediata richiesta di archiviazione (ovverosia entro sei mesi dall’iscrizione) per essere rimasto ignoto l’autore del reato: se non si è indagato, non si può proprio valutare se un’indagine sia o meno complessa, poiché è lo stesso concetto di “complessità” ad implicare uno svolgimento[41].
Di contro, se si è indagato da tempo nei confronti di un sospettato, ma ancora non si è riusciti ad arrivare alla soglia degli indizi richiesta dall’art. 335, comma 1-bis, c.p.p., l’indagine si configura senza dubbio come complessa. Senza contare che in tale sede il giudice potrebbe ritenere già superata la soglia probatoria e ordinare l’iscrizione soggettiva coattiva ex art. 335-bis c.p.p. Il potere affidato al giudice sull’iscrizione trova proprio nella richiesta di proroga delle indagini contro ignoti – ancor più che nella richiesta di archiviazione contro ignoti dove la logica è piuttosto l’effettività dell’obbligatorietà - il suo momento saliente. Se ormai, finché c’è un sospettato, l’indagine è ancora contro ignoti, sarà questo il momento istituzionale del controllo sull’avvenuta iscrizione, si dovrà valutare a fondo se ancora si è in presenza di un sospettato o se invece vi sia già un indiziato. In pratica è proprio in questa sede in cui si valuta se – di fronte ad un’indagine in corso di svolgimento effettivo - sia stata già raggiunta la soglia probatoria richiesta dall’iscrizione, per evitare che venga ulteriormente posticipata. E tutto questo già di per sé implica una complessità investigativa.
A maggior ragione, appare “complessa” un’indagine regolarmente svolta in cui non si è nemmeno arrivati alla individuazione o all’identificazione di un possibile indagato, pur avendo indagato a fondo. Anche qui vi è una palese complessità investigativa, che legittima e fonda la richiesta del p.m., fermo restando il potere del giudice di negarla qualora ritenga non risolvibile lo stallo.
E tale soluzione sembra essere proprio quella voluta dal legislatore, il cui obiettivo è quello di accelerare le decisioni conclusive del procedimento.
In tal modo si stroncherebbe la prassi in forza della quale per molti reati, in tale fase, si attende inerti che si consumi la prescrizione, a volte passando per una generica proroga per giusta causa, a volte nemmeno per questa, per poi arrivare a chiedere l’archiviazione per estinzione del reato ex art. 411 c.p.p.
Insomma, se si ammettesse che la proroga possa essere concessa solo per complessità investigativa, si creerebbe un nuovo percorso, assai più celere e trasparente: l’immediata richiesta di archiviazione – trascorsi sei mesi dall’iscrizione – tutte le volte in cui siano assenti – per inerzia investigativa – gli elementi di prova idonei a raggiungere la soglia dell’indizio nei confronti di qualcuno.
In tal modo, poi, l’offeso troverebbe maggior tutela, perché mentre di fronte alla richiesta di archiviazione per estinzione del reato non potrebbe certo interloquire, nella richiesta di archiviazione motivata dalla non individuazione dell’indagato, potrebbe far valere da subito le sue ragioni, nell’ambito di un contraddittorio strutturato, in cui potrebbe anche offrire elementi probatori importanti al fine di portare il giudice a ordinare il supplemento investigativo, o addirittura a ordinare l’iscrizione coatta ai sensi del nuovo art. 358-bis c.p.p.
Tutto il sistema così congeniato presuppone però una condizione: non può essere il p.m. a scegliere i reati da accantonare per le difficoltà organizzative. E a ciò provvedono i criteri di priorità, oggi adottati da pressoché tutte le Procure, ma destinati a diventare obbligatori con la riforma (v. anche retro §. 2 e infra. §. 6, 7, 8 e 9).
Si potrebbe allora immaginare una richiesta cumulativa di archiviazione, avente ad oggetto tutte le notizie di reato iscritte nel registro degli atti costituenti notizie di reato contro ignoti e relative a reati non prioritari, in cui si specifichi che, essendo scaduti i termini per l’indagine senza aver potuto indagare a causa delle precedenti priorità, si chiede l’archiviazione per assenza di indizi nei confronti di alcuno. Fermo restando il potere del giudice di escludere dall’archiviazione cumulativa ciò che ritenga comunque – concretamente - meritevole di approfondimento, convocando l’udienza di archiviazione, sia o meno stata fatta l’opposizione dell’offeso.
Accantonati così i reati non prioritari, per quelli prioritari riemergerebbe la possibilità concreta, fattuale di indagare, per cui alla scadenza dei sei mesi avrebbe senso subordinare la proroga alla ricorrenza della complessità investigativa.
Dopodiché, scaduti tutti i termini (prorogati o meno) si apre la via conclusiva dell’iscrizione o dell’archiviazione.
E va notato come sia possibile scegliere la via dell’iscrizione soggettiva non solo quando ricorrono i presupposti indicati dall’art. 335, comma 1-bis, c.p.p., ma anche qualora la persona sia ancora solo sospettata. L’iscrizione del sospettato non è certo sanzionata, né sindacata, a differenza del ritardo nell’iscrizione.
Richiesta invece l’archiviazione, spetterà ancora una volta al giudice valutare se concederla o se ordinare l’iscrizione coatta ex art. 335-bis c.p.p., al ricorrere delle condizioni regolate dall’art. 335, comma 1-bis, c.p.p., in ossequio al principio di obbligatorietà, inteso qui come necessità di agire.
Qualsiasi sia il percorso che porta all’iscrizione soggettiva, da questo momento decorrono i termini per le indagini preliminari contro persone note.
6. I termini delle indagini contro persone note e i loro controlli
La durata delle indagini preliminari è stata rimodulata dalla novella legislativa, attraverso l’interpolazione degli artt. 405, 406 e 407 c.p.p. [42].
L’intervento correttivo è qui, a livello di meccanica processuale, assai semplice.
Il legislatore ha ritenuto – come già accennato - di diversificare la disciplina, individuando tre categorie di reati, sottoposte a termini via via più lunghi: sei mesi per le contravvenzioni; diciotto mesi per i delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p.; dodici mesi per tutti gli altri delitti[43].
È poi prevista una sola proroga di sei mesi, giustificata dalla “complessità delle indagini”.
Il meccanismo operativo rimane invece invariato, sebbene debba ricordarsi che in tale sede – caratterizzata comunque da un contraddittorio (cartolare o orale) – l’indagato potrà sollevare l’eccezione di retrodatazione ai sensi dell’art. 335-ter c.p.p., finalizzata alla mancata concessione della proroga per essere già stati consumati i tempi investigativi (v. amplius, §. 3 e 4). Del pari, nella stessa sede, il g.i.p. potrebbe d’ufficio ordinare nuove iscrizioni soggettive ex art. 335-bis c.p.p., qualora dalla lettura degli atti emergessero altri indiziati del reato (v. amplius, §. 3 e 4).
Va poi segnalato che forse sarebbe stato opportuno abrogare il riferimento all’ordine di provvedere, in caso di diniego di proroga, ancora previsto dal comma 7 dell’art. 406 c.p.p.
In via generale, è plausibile assumere che l’unica ipotesi per cui può essere concessa la proroga possa desumersi da quelle codificate nell’art. 407, comma 2, lett. b), c) e d), c.p.p., le quali, effettivamente, tipizzano casi tutti riconducibili al concetto generale di “complessità investigativa”, ferma restando la possibilità di qualificare in tal modo anche altre situazioni fattuali[44].
Il dubbio che qui sorge – come per le indagini contro ignoti - è se possa essere concessa la proroga qualora vi sia stata semplicemente un’inerzia investigativa, giustificata dalla materiale impossibilità di dedicarsi pienamente all’inchiesta per gli alti numeri dei procedimenti da seguire[45]. Si tratta di un quesito che costituisce una linea rossa che unisce tutta la riforma (su cui v., amplius, retro §. 2 e 5 e infra §. 7 e 9).
In realtà, il problema veniva sollevato già prima della riforma, sebbene oggi vi sia un nuovo dato su cui riflettere: il legislatore sta puntando ad accelerare le decisioni conclusive delle indagini in tutt’uno con la riduzione dei processi da celebrare. E per arrivare a tale obiettivo ha deciso di regolare esso stesso le inerzie procedimentali. Il riferimento non è solo ai più famosi termini di determinazione, ma proprio all’eliminazione della giusta causa di proroga delle indagini, in tutt’uno con la scelta di introdurre per legge i criteri di priorità.
Rispetto ai reati non prioritari appare dunque giustificata l’inerzia investigativa - lo abbiamo già visto in tema di indagini contro ignoti – al punto che, anche qui, scaduti i nuovi termini iniziali dell’indagine dell’art. 405 c.p.p., si dovrebbe chiedere l’archiviazione, senza possibilità del passaggio intermedio finalizzato ad ottenere una proroga: se non si è indagato, non si appalesano né la “complessità” per cui può essere richiesta la proroga, né, a maggior ragione, i presupposti dell’azione.
Senza contare che tali reati già dovrebbero essere stati archiviati nella fase delle indagini contro ignoti. Tuttavia, se per qualsiasi ragione su di essi si è già iscritta la notizia di reato soggettiva, non muta la conclusione: dovrebbe scattare immediatamente la successiva fase della determinazione.
Di contro, per i reati prioritari il legislatore parte dalla premessa che per essi ormai si possa indagare a fondo: visto il congelamento dei reati non prioritari, non si dovrebbe più verificare l’ipotesi di inerzia investigativa. Di conseguenza la proroga – in via di fatto - dovrebbe sempre essere richiesta per un’indagine effettivamente in corso di svolgimento. Sicché si può valutare se essa sia o meno complessa.
Se, dunque, l’indagine non è complessa, la conseguenza dovrebbe essere quella di aprire subito la fase della determinazione[46] alla scadenza dei termini iniziali delle indagini (ovvero i termini non prorogati); ma lo stesso si dovrebbe predicare se poi non si è indagato affatto, nonostante la priorità, e gli auspici di un legislatore ottimista.
Se ci si interrogasse sulla ragionevolezza di un sistema così strutturato, occorrerebbe osservare che esso è la conseguenza non già della nuova modulazione dei termini investigativi, né dell’introduzione dei criteri di priorità, ma della scelta più generale di sottoporre a termini le indagini, già fatta dal codice Vassalli nell’89. Ma è noto come la Corte costituzionale abbia ritenuto compatibili con il principio di obbligatorietà le conseguenze che scaturiscono dalla predeterminazione dei termini di indagine, valorizzando il diritto della persona indagata a veder ad un certo punto comunque chiusa la sua posizione[47]. E tale osservazione legittima ad affermare che il medesimo valore possa essere tutelato anche quando non si indaghi per nulla, dolosamente, colposamente, o in virtù dei criteri di priorità trasparenti, predeterminati e uniformi.
7. I termini delle determinazioni e i loro controlli
Il nuovo art. 407-bis c.p.p. introduce gli inediti “termini per le determinazioni”: entro la loro scadenza il p.m. deve decidere se richiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale[48]. Ma non solo, al rigoroso rispetto degli adempimenti che devono essere svolti entro tali termini è dedicata un’analitica ed innovativa disciplina negli artt. 415-ter e 415-bis c.p.p.[49].
Si è così creata - in maniera meno equivoca rispetto al passato - una vera e propria fase procedimentale, in cui viene collocata l’attività di delibazione, finalizzata a concedere esplicitamente del tempo al p.m. per riflettere sulle importanti scelte cui è chiamato.
Tuttavia, va subito sottolineato che, in un sistema in affanno, tali termini non sono tanto volti a consentire la riflessione sul “singolo fascicolo”, ma piuttosto pensati per permettere la gestione di “tutti i fascicoli”: di fatto, la loro previsione consente al p.m. di organizzarsi meglio, essendo oggettivamente impossibile, per la mole di lavoro, richiedere che la determinazione avvenga in coincidenza della scadenza dei termini investigativi[50].
Invero, se si volesse scavare più a fondo, si potrebbe anche notare che il legislatore ha voluto avocare a sé il problema relativo all’inesigibilità di gestire tutti i procedimenti di cui è titolare ogni p.m., avendo come obiettivo principale quello di frenare la prassi in forza della quale molti procedimenti vengono in via di fatto accantonati – id est non indagati - in attesa della prescrizione, per poi essere avviati all’archiviazione ai sensi dell’art. 411, comma 1, c.p.p. ad avvenuta estinzione del reato, prescindendo dalle cadenze temporali previste dal previgente art. 407 c.p.p.[51]
Si sono quindi volute regolare tali prassi sommerse, rendendo “trasparente” il modo – in pratica, necessitato - in cui alcuni procedimenti devono essere destinati all’archiviazione: scaduti i termini delle indagini, bisogna subito rivolgersi al giudice se non si è in grado di esercitare l’azione, senza attendere che maturi la prescrizione.
E proprio per garantire a tutti i costi che ad un certo punto – in attuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale - le relative decisioni siano comunque prese, malgrado le difficoltà organizzative, si è introdotto un portentoso deterrente: se nonostante l’introduzione di una fase per decidere, l’inerzia persiste, viene attivato un vertiginoso meccanismo di reazione, che possiamo denominare – prendendo a prestito la terminologia amministrativistica – “procedimento per il silenzio inadempimento del p.m.” (artt. 415-ter e 415-bis c.p.p.) con il quale si arriva ad ottenere ciò che è stato omesso.
Certo si tratta di un sistema assai complesso, che rischia di paralizzare le procure, basti pensare che sono previste nel complesso dieci nuove comunicazioni/notifiche, otto nuove ipotesi di avocazione, due nuovi incidenti che richiedono l’intervento del g.i.p.
Sicché è palese il fortissimo effetto deterrente; la procedura rischierebbe di mettere in seria difficoltà tanto le Procure, quanto le Procure generali a livello organizzativo e gestorio; senza contare i riflessi, non tanto disciplinari, quanto sulla valutazione delle carriere dei singoli magistrati: un’avocazione è sicuramente qualcosa da evitare.
Per risolvere tali oggettive perplessità, appare necessario aggiungere il fondamentale tassello dei criteri di priorità.
Se per molte notizie di reato l’indagine si può posticipare per dare preferenza a quelle prioritarie, occorrerebbe allora fare in modo che da subito siano selezionati i procedimenti da collocare in stasi investigativa, insomma andrebbe formalizzata, esternata, documentata la selezione dei procedimenti relativi a notizie di reato non prioritarie: esagerando, addirittura con un nuovo registro.
Una volta scaduti i termini delle indagini, tali procedimenti dovrebbero essere tutti avviati all’archiviazione, senza necessità di una particolare riflessione: non essendosi indagato è palese che non si sia raggiunta la soglia prevista dal nuovo art. 408 c.p.p., ovverosia la prognosi di condanna (cfr. §. 5 e 6 e 8).
Si deve allora costruire una procedura standardizzata che permetta di formulare la richiesta di archiviazione immediatamente, a ridosso della scadenza dei termini di indagine, senza consumare quelli di determinazione.
E abbiamo già visto che a tal fine si potrebbero immaginare delle richieste cumulative, che mettano insieme tutte le notizie di reato già protocollate come non prioritarie e per cui siano scaduti i termini delle indagini senza che nulla sia stato fatto perché ancora si è stati impegnati sui procedimenti prioritari (cfr. sul tema §. 5, 6 e 8). Insomma, si dovrebbe pensare ad un adempimento quasi automatizzato e “burocratico”.
In tal modo, il termine per le determinazioni diventerebbe veramente “per la riflessione” e cesserebbe di essere “per l’organizzazione”, riguardando solo i procedimenti per cui effettivamente si è indagato, che numericamente dovrebbero essere assai meno.
Del pari, la procedura del “silenzio inadempimento” ridurrebbe notevolmente il suo campo di operatività, trovando di fatto applicazione solo rispetto a situazioni veramente e propriamente patologiche, in quanto tali eccezionali. In quest’ottica, più che rimediare ad un’inesigibilità fisiologica, il sistema consentirebbe, questa volta sì, di neutralizzare possibili condotte abusive.
Venendo alla regolamentazione, il legislatore ha dunque scelto di introdurre una specifica fase nella quale devono essere prese le determinazioni relative all’esercizio dell’azione penale. Essa si apre alla scadenza dei termini finali delle indagini preliminari, eventualmente prorogati, o dalle date di scadenza previste dall’art. 415-bis, commi 3 e 4, c.p.p., qualora sia stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari; e si chiude entro nove mesi per i reati indicati nell’art. 407, comma 2, c.p.p. ed entro tre mesi per tutti gli altri[52].
Scelta ragionevole o meno[53], in ogni caso questi sono i tempi entro cui il p.m. deve decidere la sorte di tutti i procedimenti.
Tutto il nuovo sistema ruota attorno all’effettività di tali termini di riflessione, attraverso il procedimento del “silenzio inadempimento del p.m.” la cui caratteristica più vistosa è senza dubbio l’enorme complessità. Con esso si garantiscono tanto l’ostensione degli atti, quanto le determinazioni circa l’azione. Sul piano strutturale, poi, il medesimo si distingue in due sotto procedure, quella per l’inerzia totale e quella per l’inerzia parziale, che tuttavia sono meno distanti da quello che possa a primo impatto apparire.
In merito all’inerzia totale (art. 415-ter c.p.p.), il procedimento prende avvio da un’omissione plurima: il p.m. non ha depositato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, né ha esercitato l’azione penale, né, ancora, ha richiesto l’archiviazione alla scadenza dei termini iniziali per le determinazioni di cui all’art. 407-bis, comma 2, prima parte, c.p.p. È insomma rimasto totalmente dormiente. E si tratta dei casi più critici e anche dei più diffusi: o si è al cospetto di procedimenti non trattati che vengono abbandonati a loro stessi; o, al contrario, si è in presenza di procedimenti a cui si è dedicato molto tempo, ma che per varie ragioni richiederebbero ancora tempo e riservatezza.
Il p.m. deve allora provvedere ad un nuovo e inedito adempimento, sostitutivo dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari: all’ostensione spontanea di tutti gli atti di indagine, depositando la relativa documentazione nella sua segreteria e notificando l’adempimento alla persona indagata, all’offeso che ha richiesto di essere informato sugli esiti delle indagini e al procuratore generale. La notifica contiene anche l’avviso della possibilità di richiedere al giudice un provvedimento con il quale si ordini forzatamente al p.m. di determinarsi, oltre che della possibilità di esaminare la documentazione depositata e estrarne copia [54].
Se il p.m., però, rimane inerte, non depositando, la fase continua con un’ostensione forzosa. Il procuratore generale può - se non avoca le indagini - ordinare al p.m. di provvedere all’adempimento entro il termine forzoso di venti giorni (notificando l’ordine anche all’indagato e alla persona offesa che abbia richiesto di essere informata dell’esito delle indagini). Tali facoltà sono esercitabili dal procuratore generale quando siano passati dieci giorni dalla scadenza dei termini di determinazione (che conosce in virtù delle comunicazioni del nuovo art. 127 disp. att. c.p.p.), eventualmente prorogati dal differimento autorizzato del deposito (ai sensi dell’art. 415-ter, comma 4, c.p.p.), senza che riceva la notifica dell’avvenuto deposito.
Se le indagini sono avocate, il procedimento passa in mano al procuratore generale, e analizzeremo dopo le conseguenze di tale trasferimento.
Se invece avviene il deposito, spontaneamente o forzatamente, la fase comunque si chiude.
Per il legislatore è ora arrivato il momento delle decisioni relative all’azione.
Il p.m. a questo punto può ancora spontaneamente determinarsi: gli viene infatti concesso un termine supplementare di un mese o tre mesi per reati dell’art. 407, comma 2, c.p.p., il cui inizio decorre o dalla notifica del deposito spontaneo che ha inviato anche al procuratore generale, o dalla notifica dell’ordine di deposito forzoso che aveva ricevuto dal procuratore generale.
Scaduto tale termine, se ancora rimane inerte, il procuratore generale può avocare il procedimento. Altrimenti la procedura continua per passare alla determinazione forzosa: scaduti i termini supplementari, la persona indagata o l’offeso possono chiedere al giudice di ordinare al p.m. di determinarsi (e qui il giudice deve pronunciarsi entro venti giorni), e il p.m. – se l’ordine è dato - deve decidere entro un termine forzoso di venti giorni.
In tal caso, se il p.m. rimane ancora inerte, l’unico rimedio – comunque facoltativo - è l’avocazione, la cui praticabilità, anche qui, è condizionata da una serie di comunicazioni e notifiche reciproche: il giudice deve notificare il suo provvedimento a chi ha sollevato l’istanza, e comunicarlo al p.m. e al procuratore generale; di contro il p.m. deve trasmettere la copia delle sue determinazioni al procuratore generale e al giudice.
Infine, si potrebbe aprire un’ulteriore fase: se il p.m., in attuazione dell’ordine, opta per la notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, decorrono anche qui degli ulteriori termini supplementari per permettergli di determinarsi spontaneamente (un mese o tre mesi per i reati di cui all’art. 407, comma 2, c.p.p.).
Se per caso non si determinasse ancora, l’unico rimedio sarebbe ancora una volta l’avocazione per inerzia sulle determinazioni.
In merito invece all’inerzia parziale ex art. 415-bis c.p.p., il procedimento è analogo rispetto a quello dell’art. 415-ter c.p.p., ma si caratterizza per una maggiore contrazione delle fasi, tanto di quella dell’ostensione, quanto di quella della determinazione.
La procedura si mette in moto nel caso in cui sia stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ma il pubblico ministero non abbia poi optato né per l’azione, né per l’archiviazione alla scadenza dei termini di riflessione dell’art. 407-bis, comma 2, seconda parte, c.p.p.
Per quanto riguarda la fase discovery, essa è qui caratterizzata per essere rivolta solo all’offeso. In tale contesto l’indagato ha già ricevuto l’avviso di conclusione dell’indagine preliminare, mentre l’offeso non è a conoscenza di nulla (ad eccezione delle persone offese dei reati di cui all’art. 572 e 612-bis c.p.). Sicché anche qui, scaduti i termini di determinazione, il p.m. deve comunque notificare alla persona offesa l’avviso che gli atti sono stati depositati, informandolo che può mettere in moto il meccanismo attraverso cui si arriva all’ordine del giudice di determinarsi. Ma non solo, se l’avviso non è inoltrato, scatta anche la fase dell’ostensione forzosa su ordine del procuratore generale, il quale, in alternativa, può invece avocare.
In merito alla fase della determinazione, invece l’indagato e l’offeso, già alla scadenza dei termini dell’art. 407-bis, comma 2, seconda parte, c.p.p., possono chiedere al giudice di ordinare al p.m. di determinarsi, senza dover attendere ulteriori termini supplementari, come invece accade ai sensi dell’art. 425-ter c.p.p. Per il resto si segue la procedura già analizzata in sede di inerzia totale, compresa la facoltà del procuratore generale di avocare in caso di inerzia all’ordine del giudice.
Per evitare l’avvio del procedimento di silenzio inadempimento - tanto per inerzia totale che per quella parziale - è concesso al p.m. di richiedere un differimento dell’ostensione degli atti al procuratore generale (ex artt. 415-bis, comma 5-bis, e 415-ter, comma 4, c.p.p.).
In tal modo, il p.m. può ottenere una proroga sia del termine per notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (e in tal caso l’istanza va presentata prima della scadenza dei termini delle indagini eventualmente prorogati), sia del termine relativo al nuovo adempimento del deposito degli atti e alla sua notifica (e in tal caso l’istanza va presentata prima della scadenza dei termini di determinazione) [55].
Il procedimento per ottenere la proroga è il medesimo: identici sono i motivi tassativi per cui può essere richiesto e, di conseguenza, concesso; uguali sono gli eventuali termini di differimento accordati (fino al massimo di sei mesi o un anno per i reati di cui all’art. 407 comma 2 c.p.p.); in ambedue il procuratore generale, se non accorda la proroga, può ordinare di provvedere ai due adempimenti entro i termini forzosi di venti giorni e avocare se poi non si provveda; in ciascuna delle situazioni il provvedimento di diniego va notificato alla persona indagata e all’offeso che ha richiesto di essere informato sugli esiti delle indagini.
Le due procedure vanno invece distinte per alcune conseguenze.
Rispetto all’avviso di conclusione delle indagini preliminari, se il p.m. comunque non notifica l’atto dopo aver ottenuto il differimento, o dopo il diniego al differimento e in spregio all’ordine di notificare, si apre la procedura dell’inerzia totale dell’art. 415-ter c.p.p.
In pratica si torna indietro, e l’adempimento da effettuare diventa il deposito degli atti con la relativa notificazione – e non più dell’avviso di conclusione delle indagini -. In tal caso, però, il differimento del deposito non può essere richiesto. Avendo già presentato la richiesta in relazione all’avviso di conclusione dell’indagine preliminare, la domanda è preclusa: in pratica, né può cumulare una seconda proroga, se già l’ha ottenuta; né, se è stata respinta, può insistere, essendo medesimi i motivi.
Rispetto al deposito degli atti e della relativa notificazione, invece, se il p.m. non adempie spontaneamente alla scadenza del differimento ottenuto, la procedura si innesta sempre sull’art. 415-ter c.p.p., ma direttamente al comma 2, ovverosia alla fase della ostensione forzosa; quindi: ordine del procuratore generale, termine forzoso per provvedere, avocazione per inerzia e via dicendo. Nel caso, invece, in cui non abbia ottenuto il differimento - e quindi è stato già dato l’ordine di provvedervi da parte del procuratore generale - la procedura si innesta direttamente nella fase della determinazione (art. 415-ter, comma 3, c.p.p.).
Volendo famigliarizzare con il funzionamento di tale complesso procedimento, si possono individuare una serie di parole chiave, che consentano di mettere subito in luce come, al di là delle apparenze, i tasselli che ne compongono l’insieme sono sempre i medesimi, anche se di volta in volta diversamente incastrati: invero la complessità è solo apparente. Si tratta, a ben vedere, di un procedimento in cui per superare le eventuali inerzie sono previsti dei meccanismi tanto sollecitatori, quanto coattivi e sostitutivi, che si ripetono più volte, al reiterarsi delle inerzie.
Dal punto di vista sistematico il legislatore ha bipartito la materia, distinguendo il procedimento di “inerzia totale” (415-ter c.p.p.) da quello di “inerzia parziale” (415-ter c.p.p.), ma le due procedure sono analoghe e hanno molti vasi comunicanti, sicché dall’una si passa all’altra e viceversa, a seconda degli accadimenti.
All’interno di ambedue i procedimenti si possono individuare una serie di fasi.
Le fasi dedicate alle “determinazioni relative all’azione”: una “prima” (art. 407-bis comma 2 c.p.p.); poi una “seconda” (artt. 415-ter, comma 3, primo, secondo e terzo periodo e 415-bis comma 5-quater, c.p.p.); e infine una “terza” (art. 414-ter, comma 3, ultimo periodo, c.p.p.).
Le fasi dedicate “all’ostensione degli atti”: quella della “posticipazione dell’ostensione” (artt. 415-ter, comma 4 e 415-bis, commi 5-bis e 5-quater, c.p.p.), e poi quella della “ostensione” vera e propria (art. 415-ter, commi 1 e 2, e 415-bis, comma 1, c.p.p.).
All’interno di ciascuna fase, poi, appaiono tanto adempimenti spontanei, quanto forzosi. In particolare si incontrano prima le “determinazioni spontanee” e dopo le “determinazioni forzose” circa l’azione, a seconda che vi provveda di sua iniziativa il p.m. o siano ordinate dal giudice su richiesta (artt. 415-ter, comma 3, e 415-bis, comma 5-quater, c.p.p.); del pari, si individuano prima “le ostensioni spontanee” e dopo le “ostensioni forzose” a seconda che vi provveda di sua iniziativa il p.m. (artt. 415-ter, comma 1, e 415-bis, comma 1, c.p.p.) o siano ordinate d’ufficio dal procuratore generale ” (art. 415-ter, comma 1, e 414-bis, comma 2 e 3, c.p.p.).
Poi sono previsti una serie di termini. Per le determinazioni relative all’azione penale si individuano i “termini iniziali” (tre o nove mesi, art. 407-bis, comma 2, c.p.p.), i “termini suppletivi” (uno o tre mesi, artt. art. 415-ter, comma 3, primo, secondo e ultimo periodo, c.p.p.) e i “ termini forzosi” (venti giorni, art. art. 415-ter, comma 3, terzo periodo e 415-bis, comma 5-quater, c.p.p.); di contro, per le ostensioni si incontrano i “termini iniziali” (prima della conclusione dei termini delle indagini, art. 415-bis comma 1 c.p.p., e prima della scadenza dei termini di determinazione, art. 415-ter, comma 1, c.p.p.), i “termini prorogati” (sei mesi o un anno, artt. 415-bis, comma 5-ter, primo periodo e 415-ter, comma 4, c.p.p.) e i “termini forzosi” (venti giorni, art. 415-bis, comma 5-ter, secondo periodo e 415-ter, comma 2 e 4, c.p.p.).
Infine, ci sono gli interventi sostitutivi del procuratore generale presso la corte d’appello: “l’avocazione per inerzia sulle determinazioni” (alla scadenza del “termine ordinario”, del “termine suppletivo” e del “termine forzoso”), oltreché “l’avocazione per inerzia sulle ostensioni” (alla scadenza dei “termini ordinari”, dei “termini prorogati” e dei “termini forzosi”).
Venendo alle regole generali di funzionamento, il procedimento si presenta più o meno lungo a secondo che vi sia stata “un’inerzia totale” o “un’inerzia parziale”.
Ambedue si compongono della “fase della “ostensione” e delle “fasi di determinazioni”, se pur in maniera diversamente combinata.
In ogni caso l’inizio del procedimento di silenzio-inadempimento, tanto per quello di inerzia totale, quanto per quello di inerzia parziale, può essere evitato da una richiesta di “differimento dell’ostensione”, che mette in moto un subprocedimento, che poi, attraverso percorsi alternativi, si rinnesta a quello principale.
Nella fase di ostensione interviene solo il procuratore generale, nelle fasi di determinazioni prima interviene il giudice e dopo, eventualmente, anche il procuratore generale, sicché ogni inerzia (tanto delle determinazioni, quanto delle ostensioni) è sempre accompagnata dalla possibilità di avocare.
Tutto il meccanismo, dal suo avvio, alla sua progressione, fino alla sua conclusione, dipende dal verificarsi di rinnovate inerzie: il non aver disposto, il non aver esercitato, il non aver richiesto, si ripetono più volte.
Inoltre, è sempre l’omissione totale degli adempimenti che viene considerata, non si qualifica mai come inerzia il mancato perfezionamento dell’iter che comunque è stato avviato. L’inerzia è: il non aver disposto la notifica dell’avviso di conclusione, a prescindere se sia arrivata o meno al destinatario; il non aver richiesto l’archiviazione, a prescindere se sia già stata presentata al giudice e se la notifica sia arrivata all’offeso o all’indagato se è convocata l’udienza; il non aver esercitato l’azione penale, a prescindere se sia stata già depositata nella cancelleria del giudice e sia stata notificata la richiesta di rinvio a giudizio. Non a caso anche le comunicazioni settimanali delle notizie di reato che devono essere trasmesse al procuratore generale ex nuovo art. 127 disp. att. c.p.p. guardano a tali omissioni.
E questo si riflette sulla decisione con la quale il giudice ordina di determinarsi, perché bisognerà accertare se vi sia una vera e propria inerzia: se l’adempimento è avvenuto, ma sia ancora in itinere, l’adempimento forzoso non può essere decretato. Si tratta poi di una valutazione meccanica, senza che possa “giustificarsi” l’omissione. Non ci sono indicazioni testuali sul punto, né è previsto un contraddittorio nel quale si potrebbe discutere la questione (né nella forma della interlocuzione fra le parti, né con un mero apporto del p.m.). Insomma, è un controllo di mera legalità formale: accertati i requisiti, deve ordinare di procedere [56]. La motivazione del decreto, allora, va vista come un mero resoconto della presenza o assenza dei presupposti di fatto che legittimano l’una o l’altra soluzione.
8. L’avocazione
Il sistema dell’avocazione è stato totalmente rinnovato, ed ora va coordinato con tutto il procedimento di “silenzio inadempimento”, fermo restando che è ancora prevista l’avocazione nel caso in cui si apra l’udienza di archiviazione[57].
In via generale due sono le regole che governano l’avocazione: la facoltatività e la necessità di tener conto dei criteri di priorità.
Quanto alla prima, si tratta di un ripensamento del legislatore, vista l’inesigibilità pratica della precedente obbligatorietà[58].
Quanto alla seconda, si tratta di un invito ad avocare prima i procedimenti prioritari, e non già di un divieto rispetto ai non prioritari. In pratica, l’art. 127-bis disp. att. c.p.p. regola le priorità dell’avocazione e stabilisce che i reati prioritari sono da intendersi tali anche con riferimento a quest’ultima (cf. amplius §. 2).
In merito alle singole ipotesi, invece, emerge come in ogni momento del complesso procedimento contro l’inerzia decisionale del p.m. si inserisca la possibilità di avocare.
Il procuratore generale è messo nelle condizioni di intervenire tutte le volte cha al p.m. è richiesto un adempimento sull’azione o sulla discovery e quest’ultimo rimanga invece inerte: così nel caso in cui il p.m. non sciolga l’alternativa fra azione e archiviazione entro i termini di volta in volta previsti; altrettanto laddove il p.m. non depositi gli atti entro i termini concessi, senza esclusione della mancata notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini a seguito di proroghe e seguenti ordini[59].
L’idea sottesa è quella di lasciare alla valutazione del procuratore il momento di intervento: appena si manifesti l’inerzia; dopo che non si è deciso nonostante siano stati concessi ulteriori termini; in un momento ancora successivo, a seguito dell’ordine del giudice rimasto inevaso[60]. Volendo, tale regolamentazione potrebbe consentire – sempre che la norma decolli nella prassi - di approntare una sorta di protocollo predeterminato del tipo: “si avoca subito per una certa tipologia di reati; per altri si aspetta prima la risoluzione spontanea; per altri ancora l’avocazione si posticipa al momento in cui arriva l’ordine del giudice”.
Va poi evidenziato come in tema di deposito degli atti e di avviso della conclusione delle indagini, il sistema sia più pregnante, perché il procuratore deve comunque attivarsi. Egli è qui coinvolto necessariamente: o ordinando la discovery o avocando. Nelle inerzie sulle azioni, invece potrebbe non apparire mai.
Per consentire il funzionamento di tale sistema, sia a livello operativo, sia a livello programmatico, il legislatore ha imposto la trasmissione di elenchi settimanali (ex art. 127 disp. att. c.p.p.) di tutti i procedimenti in cui è registrabile un’inerzia, così che si possa monitorare di continuo lo stato in cui si trovano, oltreché conteggiare il termine da cui si può avocare: dei procedimenti in cui sono scaduti i termini di riflessione dell’art. 407-bis, comma 2, c.p.p. senza alcuna decisione (tre o nove mesi); di quelli in cui ancora non vi sia una determinazione entro i termini suppletivi concessi dopo il deposito degli atti (un mese o tre mesi); di quelli in cui sono scaduti i termini entro cui deve decidere a seguito dell’ordine del giudice (venti giorni); di quelli in cui, in adempimento dell’ordine del giudice, si sia notificato l’avviso di conclusione delle indagini, ma poi non si sia sciolta l’alternativa fra azione e archiviazione entro i termini di cui all’art. 407-bis, comma 2, c.p.p. ridotti (un mese o tre mesi). Tale ultima ipotesi va inserita nell’elenco, perché non è altro che una fattispecie che entra nella categoria generale indicata nella lett. a) della disposizione. Non a caso il legislatore invece che indicare direttamente il termine di un mese o tre mesi, utilizza la perifrasi “entro i termine del 407-bis ridotti di un terzo”.
Infine, va segnalato che se il procuratore avoca, ma poi è lui che diviene inerte, non determinandosi entro trenta giorni, per le parti scatta anche qui la possibilità di rivolgersi al giudice per richiedere l’ordine di provvedere (ex art. 412, comma 1, ultimo periodo, c.p.p. allorché richiama, in quanto compatibili, gli artt. 415-bis, commi 5-quater e 5-quinquies, e 415-ter, commi 1 e 3, c.p.p.)[61].
Più nel dettaglio, e volendo fornire una sistematica delle ipotesi di avocazione, con riferimento all’art. 415-ter c.p.p., sono enucleabili cinque diversi momenti in cui il procuratore generale può esercitare il potere di avocazione di cui è titolare.
1) Quando vi è l’inerzia assoluta iniziale: ovverosia quando sono scaduti i termini per le determinazioni di cui all’art. 407-bis, comma 2, prima parte, c.p.p., e sono trascorsi altri dieci giorni, se il p.m. non abbia né agito, né richiesto l’archiviazione, né notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, e se il procuratore generale non abbia ricevuto la comunicazione relativa all’avvenuta notifica dell’avviso di deposito degli atti (la disciplina di riferimento è contenuta nell’art. 412 c.p.p. nella parte in cui fa riferimento all’art. 407-bis, prima parte, c.p.p., oltreché direttamente nell’art. 415-ter, comma 2, c.p.p.).
2) Quando vi è l’inerzia nella seconda fase della determinazione in riferimento all’adempimento spontaneo: ovverosia quando sono scaduti i termini supplementari di uno o tre mesi che decorrono dal deposito degli atti ex art. 415-ter c.p.p., se il p.m. ancora non abbia preso alcuna determinazione (la norma che qui viene in rilievo è l’art. 412 c.p.p. là dove fa riferimento all’art. 415-ter, comma 3, c.p.p.; richiamo da intendersi riferito ai soli primo e secondo periodo).
3) Quando vi è inerzia nella seconda fase della determinazione in riferimento all’adempimento coattivo: ovverosia quando sono scaduti i termini forzosi di venti giorni che decorrono dall’ordine del giudice di determinarsi, se il p.m. ancora non abbia preso alcuna determinazione (qui la disciplina si rinviene nell’art. 412 c.p.p. nella parte in cui fa riferimento all’art. 415-bis, comma 5-quater, c.p.p., il quale, a sua volta, trova applicazione altresì nell’ipotesi di cui all’art. 415-ter, comma 3, c.p.p. in forza del richiamo contenuto nel terzo periodo).
4) Quando vi è l’inerzia nella terza fase della determinazione: ovverosia quando sono scaduti i termini supplementari di uno o tre mesi, che decorrono dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini inoltrato in adempimento dell’ordine forzoso del giudice, se il p.m. non abbia optato né per l’azione né per l’archiviazione (il fondamento normativo qui deve rintracciarsi nell’art. 412 c.p.p., là dove fa riferimento ai termini dell’art. 407-bis, comma 2, seconda parte, c.p.p.).
5) Quando vi è inerzia nella fase del differimento dell’ostensione: ovvero quando sono scaduti i termini forzosi di venti giorni, che decorrono dalla mancata autorizzazione al differimento del deposito degli atti, e il procuratore generale non abbia ricevuto la comunicazione dell’avvenuta notifica dell’avviso di deposito degli atti (l’ipotesi è contemplata nell’art. 412 c.p.p., nella parte in cui richiama l’art. 415-bis, comma 5-ter, c.p.p., il quale, a sua volta, trova applicazione nell’ipotesi di cui all’art. 415-ter, comma 4, c.p.p. in forza del richiamo ivi contenuto).
Analogamente, ricostruendo la disciplina dell’avocazione con riferimento all’ipotesi di inerzia parziale (art. 415-bis c.p.p.), possono individuarsi tre diversi momenti, posti in progressione tra di loro, nei quali il procuratore generale può esercitare il potere di avocazione.
1) Quando vi è l’inerzia parziale iniziale: ovverosia quando sono scaduti i termini della riflessione di cui all’art. 407-bis, comma 2, seconda parte, c.p.p., se il p.m. non abbia né agito, né richiesto l’archiviazione (l’ipotesi è disciplinata nell’art. 412 c.p.p., là dove fa riferimento all’art. 407-bis, comma 2, seconda parte, c.p.p., oltreché direttamente nell’art. 415-ter, comma 2, c.p.p. il quale, a sua volta, trova applicazione nell’ipotesi di cui all’art. 415-bis, comma 5-quinquies, c.p.p., alla quale si deve applicare anche il comma 5-sexies, così che se vi è una parte offesa per un reato diverso da quelli degli art. 572 e 612-bis c.p., è necessario attendere altri dieci giorni per procedere all’avocazione, in attesa della notifica a quest’ultima dell’avviso di deposito degli atti).
7) Quando vi è inerzia nella seconda fase della determinazione in riferimento all’adempimento forzoso: ovverosia quando sono scaduti i termini forzosi di venti giorni, che decorrono dall’ordine del giudice di determinarsi, se il p.m. non abbia optato né per l’azione né per l’archiviazione (l’ipotesi trova riferimento nell’art. 412 c.p.p. dove si richiama l’art. 415-bis, comma 5-quater, c.p.p.)
8) Quando vi è inerzia nella fase del differimento dell’ostensione: ovvero quando sono scaduti i termini forzosi di venti giorni, che decorrono dalla mancata autorizzazione al differimento della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, se il p.m. non abbia provveduto alla notifica (la norma che viene in rilievo qui è l’art. 412 c.p.p. là dove fa riferimento all’art. 415-bis, comma-5 ter, c.p.p.).
9) Rimane poi ferma la classica ipotesi di avocazione, nel caso in cui si apra l’udienza di archiviazione.
9. L’archiviazione
Dal punto di vista ideologico, l’innovazione più eclatante della riforma è senz’altro rinvenibile nel mutamento della regola di giudizio che governa, in maniera speculare, l’archiviazione e l’udienza preliminare: la scelta tra azione ed inazione e, correlativamente, quella tra rinvio a giudizio e sentenza di non luogo a procedere sono oggi fondate sulla possibilità - per il giudice e, ancor prima, per il p.m. - di «formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca» sulla scorta degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari[62].
Nelle trame della scelta legislativa si riconosce l’influenza di quella impostazione - minoritaria, ma già presente nella vigenza dell’art. 125 disp. att. – secondo cui il p.m. avrebbe dovuto prescegliere la via dell’archiviazione a fronte dell’impossibilità di prevedere un esito dibattimentale favorevole alla tesi accusatoria[63]. E tuttavia oggi il riferimento alla condanna è esplicito nel discorso normativo: quanto meno sul piano formale, la distanza tra i due sistemi è netta[64].
Rimane invece aperto l’interrogativo che concerne il piano dell’applicazione concreta, la cui soluzione non può prescindere da una pregiudiziale teorica. Qualsiasi lettura si voglia dare alla nuova disposizione, esiste una soglia interpretativa che non può comunque essere superata: la «ragionevole previsione di condanna» non può significare che l’azione si esercita solo quando, se si potesse decidere nel merito allo stato degli atti, si condannerebbe. In tal modo, invero, si negherebbe la valenza epistemica del dibattimento, si ripudierebbe il senso e il significato del principio del contraddittorio nella formazione della prova e si disconoscerebbe il valore della “falsificazione della tesi” come metodo scientifico di ricostruzione dei fatti.
La “tesi” avanzata dal p.m. con l’esercizio dell’azione penale allora deve essere supportata non solo sugli elementi di prova raccolti (che, a monte, consentono di delinearne i contorni), ma altresì sulla prospettiva del contraddittorio e sulla sua capacità di resistere alla fase di “falsificazione” che esso implica. Insomma, è proprio guardando agli aspetti critici, controversi o dubbi della sua ipotesi che il p.m. deve formulare il giudizio prognostico. In quest’ottica, la condanna è “ragionevolmente prevedibile” quando sia possibile assumere che l’accusa sia capace di resistere ai tentativi di confutazione implicati dallo scontro dialettico tipico della fase dibattimentale.
In considerazione di tali premesse irrinunciabili, il giudizio prognostico di certo non viene meno. Ciò che rispetto al passato pare mutare è piuttosto l’oggetto di tale previsione: la valutazione invero non è più rivolta genericamente «alle superiori risorse cognitive del dibattimento», ma piuttosto «a quelle applicazioni del metodo del contraddittorio che possono avvalorare le prospettive di accoglimento dell’ipotesi accusatoria»[65]. Ogni situazione di dubbio, di incertezza, non dovrebbe più giustificare la celebrazione del dibattimento[66]. E, in questo senso, può affermarsi che, rispetto a ieri, il confine fra azione ed archiviazione si sia “spostato in avanti”: alla “sostenibilità dell’accusa in giudizio” si sostituisce la “ragionevole previsione di condanna”; all’in dubio pro actione si sostituisce l’in dubio pro reo[67]. Certo, siamo ancora una volta di fronte a termini vaghi, la cui esatta definizione rimane affidata all’esercizio concreto dell’ampia discrezionalità che viene di fatto rimessa all’interprete.
Le considerazioni fin qui svolte consentono però di anticipare alcune conclusioni di ordine pratico e, in particolare, di ritenere che, tra i motivi dell’archiviazione giustificati dalla impossibilità di formulare una ragionevole previsione di condanna non possa rientrare la valutazione sulla possibile prescrizione del reato nel corso del processo.
È lo stesso contenuto della regola decisoria a vietarlo: il legislatore richiede la formulazione di un giudizio prognostico fondato “sugli elementi raccolti nel corso delle indagini”; mentre la valutazione della prescrizione ha ad oggetto tutt’altro[68].
Piuttosto, la ragionevole previsione di prescrizione dovrebbe rilevare su un diverso piano, quello dei criteri di priorità. In particolare, bisognerebbe introdurre un criterio di priorità dal tenore: “sono prioritari i reati in cui non c’è un rischio di prescrizione durante il giudizio di primo grado”. Si tratta di una valutazione che, alla luce dei tempi di durata delle indagini (predeterminati) e dei tempi di durata media del primo grado, è ben possibile formulare immediatamente, già dal momento in cui la notizia di reato perviene a conoscenza degli organi inquirenti.
In questo sistema, i reati rispetto ai quali si propone il rischio della prescrizione in primo grado andranno trattati solo dopo quelli per i quali un medesimo rischio non si pone.
E, se del caso, andranno archiviati perché, se non si è indagato, su di essi non si sono raccolti gli elementi probatori necessari a formulare una ragionevole prognosi di condanna, e non già perché c’è una prognosi sulla prescrizione.
In definitiva, alla scadenza dei termini, tali notizie di reato sfoceranno nell’archiviazione per mancanza di un quadro investigativo che permetta di esercitare l’azione (v. anche retro §. 6 e 7), come già avviene con riferimento alle indagini contro ignoti (retro §. 5).
Invero l’archiviazione per mancanza di indagini è una conseguenza legata alla scelta di predeterminare i tempi investigativi, tale possibilità è già nel sistema dall’89, non è certo una novità; ora, però, con i criteri di priorità è quantomeno deciso dal legislatore dove direzionare l’inerzia investigativa (sul punto v. retro, §. 6).
Volendo poi, il giudice potrebbe anche decidere di superare lo sbarramento rispetto al reato non prioritario in sede di archiviazione, sulla base di una valutazione tutta concreta. In un sistema così congeniato, poi, l’offeso non verrebbe più lasciato in balia delle istanze non formalizzate, volte a stimolare il p.m. ad indagare: in sede di archiviazione, se ha già manifestato vero interesse per il procedimento, potrebbe far valere le sue pretese, in un contraddittorio perfetto. Inoltre, ad archiviazione avvenuta, qualora recuperasse qualche ulteriore elemento, potrebbe offrirlo al p.m. (c.d. “sopravvenuti” nella terminologia dei progetti organizzativi), stimolando così una riapertura delle indagini.
Ma si tratta di ipotesi più teoriche che realmente realizzabili, in quanto ambo le evenienze troveranno riscontro effettivo solo nei casi di inerzia rispetto ai reati prioritari, come già abbiamo visto (v. retro, amplius, §. 2).
Certo questa è la fine dei reati di piccolo calibro; ma è comunque un passo avanti rispetto alla disdicevole prassi di archiviarli per tenuità del fatto, senza che venga prima valutata la consistenza probatoria, come invece impone il legislatore.
Il punto insomma è che l’intero sistema non può essere letto senza considerare il ruolo, centrale ed innovativo, dei criteri di priorità. Questi già oggi - ma a maggior ragione quando saranno codificati dal legislatore e dunque assumeranno il rango di regole processuali a tutti gli effetti - sono destinati ad incidere profondamente sulla struttura e sulla prassi del processo. Tanto l’archiviazione per essere ancora ignoti i responsabili, quanto l’archiviazione ai sensi dell’art. 408 c.p.p. saranno destinate ad accogliere i reati non prioritari sul presupposto che per essi non si è ancora indagato e sono nel frattempo scaduti i termini delle indagini.
In conclusione, va ormai immaginato un doppio binario: reati prioritari e reati non prioritari.
10. La riapertura delle indagini
In sintonia con il sistema fin qui analizzato, si colloca la modifica del regime relativo alla riapertura delle indagini preliminari[69].
Come si è visto, l’intero sistema riformato risulta chiaramente proteso ad evitare a monte l’apertura del procedimento e, quand’anche esso risulti oramai avviato, a concluderlo il prima possibile; e proprio alla medesima logica risponde la scelta legislativa di frapporre maggiori ostacoli alla riapertura del procedimento medesimo[70]. Ad una visione d’insieme, insomma, appare evidente come una soluzione diversa sul punto sarebbe risultata contraddittoria.
Il legislatore in questa sede interviene, in primo luogo, riformulando - in termini più stringenti rispetto al passato - la regola che deve guidare il giudice nell’autorizzare la riapertura del procedimento già archiviato; e, in secondo luogo, introducendo nel nuovo comma 2-bis dell’art. 414 c.p.p. un’espressa previsione di inutilizzabilità degli atti di indagine «compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice»[71].
L’idea di fondo è che la riapertura delle indagini non possa essere fondata su una mera rilettura degli elementi già presenti[72]. In particolare, la modifica normativa agisce su due fronti: da un lato, impone al p.m. di motivare la richiesta sull’esigenza di nuove investigazioni; dall’altro, specifica che il giudice è chiamato a respingere tale richiesta «quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare l’esercizio dell’azione penale» (art. 414, comma 1, c.p.p.).
La disposizione, in sostanza, introduce un inedito “giudizio di ammissione” degli atti investigativi.
Per poter dar corso alla nuova inchiesta è necessario che «le nuove investigazioni» da compiere siano “determinanti” («determinare») e “decisive” («da sole o insieme alle altre») in riferimento alla regola decisoria che consente l’azione («all’esercizio dell’azione»), e non già rilevanti e non superflue rispetto all’imputazione da formulare.
E la soglia di tale giudizio di ammissione si assesta sulla “ragionevole previsione” che gli atti investigativi indicati siano determinanti e decisivi. La ragionevolezza connota tale valutazione collocandola in una posizione, per così dire, “intermedia”: essa invero risulta, da un lato, innalzata rispetto a quella fissata dall’art. 190 c.p.p., nel quale si chiede il “non manifestamente” e, dall’altro, più specificata e selettiva rispetto a quella individuata dall’art. 507 c.p.p. (“assolutamente necessaria”).
Nel suo complesso, la nuova formulazione dell’art. 414 c.p.p. - e, soprattutto la ratio che le è sottesa - apre all’interrogativo relativo al suo ambito di applicazione: vale cioè domandarsi se a tutt’oggi rimanga ferma l’esclusione di tale procedura per le archiviazioni contro ignoti[73].
La soluzione della questione passa inevitabilmente dalla individuazione del valore che la disciplina della procedura di riapertura delle indagini mira a tutelare.
È chiaro, infatti, che se la finalità della norma viene ravvisata, in via esclusiva, nell’esigenza di apprestare una tutela nei confronti del soggetto indagato - il quale ha beneficiato di un provvedimento di archiviazione - l’esclusione per incompatibilità permane[74].
Se invece - valorizzando la ratio deflattiva sottesa all’intervento riformatore, per cui i procedimenti devono essere aperti solo nel caso in cui sia veramente necessario - si intendesse sottesa alla disciplina in questione anche un’esigenza di “tutela del sistema”, il principio meriterebbe quanto meno di essere rimeditato. In quest’ottica - pensando soprattutto ai casi di archiviazione per totale inerzia investigativa, che, dal punto di vista numerico, sono i più significativi -, si potrebbe concludere che il procedimento possa esser riavviato previa autorizzazione, solo se c’è la possibilità di acquisire un atto di indagine risolutivo. Tanto più se si considera che tale circostanza è, di fatto, quella che, già nella realtà operativa, porta il p.m. a determinarsi per riaprire i processi contro ignoti nei quali, invece, si è indagato a fondo.
[1] Sul tema, più amplius, v. E. Albamonte, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Penalista.it, 22 settembre 2021; R. Aprati, Criteri di priorità e progetti organizzativi delle procure, in Leg. pen., 24 maggio 2022; R. Aprati, I criteri di priorità per la trattazione delle indagini preliminari e per l’esercizio dell’azione penale, in La riforma Cartabia, G. Spangher (a cura di), Pacini, Pisa, 2022, p. 165 ss.; P. Ferrua, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Verso quale modello processuale?, in Proc. pen. e giust., 2021, 4, p. 1141.
[2] Per applicabilità di una norma si intende “l’obbligo di applicarla da parte degli organi giurisdizionali e amministrativi”, R. Guastini, Le fonti del diritto, Giuffrè, Milano, 2010, p. 283.
[3] “Diremo ultrattiva una norma che connetta conseguenze giuridiche a fatti successivi alla sua abrogazione”, R. Guastini, Op. cit., p. 286.
[4] Cfr. A. Cerri, Giustizia costituzionale, Napoli, 2019, 101 ss.
[5] Cfr. A. Cerri, op. cit, 114 ss.
[6] Cfr. Cort. cost., 16.12.1993, n. 462.
[7] Cfr. Cort. cost., 14.12.1999, n. 457; Cort. cost., 9.5.2001, n. 139; Cort. Cost. 22.5.2002, n. 221.
[8] Su cui per una prima e completa analisi v. D. Curtotti, L’iscrizione della notizia di reato e il controllo del giudice, in La riforma Cartabia, G. Spangher (a cura di), Pacini, Pisa, 2022, p. 198 ss.; C. Gittardi, Le disposizioni della riforma Cartabia in materia di indagini: tempi e “stasi” delle indagini, discovery degli atti e controllo giurisdizionale delle iscrizioni, in www.giustiziainsieme.it. Per una analisi del testo della legge delega, A. Marandola, Notizia di reato, tempi delle indagini e stadi procedurali nella (prossima) riforma del processo penale, in Dir. pen. proc., 2021, 1566;
[9] Per la funzione di certezza e uniformità che assume la definizione v. D. Curtotti, Op. cit., 202 s.
[10] Cfr. R. Aprati, La notizia di reato nella dinamica processuale, Jovene, Napoli, 9 ss.; A. Marandola, I registri del pubblico ministero, Cedam, Padova, 2001, p. 46 ss.;
[11] Con esclusione quindi di quelli relativi all’autore, quali, in primis, la colpevolezza, intesa in senso lato come tutto ciò che è necessario per imputare soggettivamente il fatto all’autore, facendo riferimento alla teoria quadripartita del reato (un fatto tipico, colpevole, antigiuridico e punibile).
[12] Tutto ciò potrebbe influenzare il problema della utilizzabilità delle intercettazioni in caso di mutamento della fattispecie incriminatrice, riducendone le ipotesi di concreta verificazione.
[13] Rispetto a tale tema continua ad essere fondamentale la distinzione fra “aggiornamenti” e “nuove iscrizioni”, considerando appunto che è dall’iscrizione che decorrono i tempi dell’indagine: si avrà nuova iscrizione se continua la permanenza, se si iscrivono fatti nuovi ed ulteriori siano o meno connessi o collegati, o indagati aggiuntivi; mentre l’elemento specializzante è solo un aggiornamento.
[14] Cfr. Corte cost., 31.5. 2016, n. 200.
[15] In senso contrario D. Curtotti, Op. cit., p. 203.
[16] Cfr. E. Naville, La logica dell’ipotesi, Rusconi, Milano, 1989, p. 130 s.: «le tre operazioni del pensiero che si ritrovano nella soluzione di ogni problema scientifico [sono]: osservare, supporre, verificare».
[17] Cfr. P. Ferrua, Modello scientifico e processo penale, in Dir. pen. proc., Dossier, La prova scientifica nel processo penale, 2008, p. 16 s., il quale nota che «anche nel processo penale si dovrebbe abbandonare l’idea di “metodo scientifico”, se con esso s’intendesse quello in grado di garantire il risultato di giustizia. Ma, quando lo concepisca alla stregua del paradigma popperiano – problemi-teorie-critiche – nulla vieta di qualificare come scientifico il metodo che si segue per l’accertamento della colpevolezza. Il “problema” in cui si inciampa è la notizia di reato. La “teoria” equivale alla formulazione dell’accusa che dà inizio al processo in senso stretto. La “critica” corrisponde al contraddittorio fra accusa e difesa o, più in generale, al dibattimento a seguito del quale sarà emessa la sentenza».
[18] Cosi già D. Curotti, Op. cit., p. 203.
[19] «La vaghezza sorge dall’impossibilità di stabilire quali siano le qualità essenziali o definitorie nella nozione [...]. Non esiste un numero chiuso di proprietà necessarie e sufficienti comuni [al termine indizio per esempio] e solo ad esso; nel concetto espresso vi è una pluralità di fuochi o di nuclei concettuali [...]», E. Luzzati, Prìncipi e principi, Giappichelli, Torino, 2012, p. 9.
[20] «Di fronte ad un caso marginale, cioè ad un caso che cade ai margini della trama, può discrezionalmente decidere se la fattispecie in esame debba o non debba essere inclusa nel campo di applicazione della norma in questione», G. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Giuffrè, Milano, 2004, p. 75 s.
[21] Sulle nozioni di “pre notizia di reato”, di “atti pre-investigativi” e di “pre-inchiesta” si rinvia a R. Aprati, La notizia, cit., p. 45 ss.
[22] Qui potrebbero valere le considerazioni circa l’opportunità di formalizzare tutta la sequenza dell’attività di ricerca della notizia di reato, su cui già R. Aprati, La notizia, cit., p. 47 s.
[23] Su cui per una prima e completa analisi v. D. Curtotti, L’iscrizione della notizia di reato e il controllo del giudice, in La riforma Cartabia, G. Spangher (a cura di), Pacini, Pisa, 2022, p. 198 ss.
[24] Per analoghe considerazioni già D. Curtotti, Op. cit., p. 302 s.
[25] Sulla natura “costitutiva” del rimedio v. F. Di Vizio, Il nuovo regime delle iscrizioni delle notizie di reato al tempo dell’inutilità dei processi senza condanna, in dicrimen.it, 12 novembre 2022, p. 17 s.
[26] Cosi già D. Curtotti, Op. cit., 204 s.
[27] K. La Regina, L’archiviazione del vortice efficientista, in La riforma Cartabia, G. Spangher (a cura di), Pacini, Pisa, 2022, p. 300 s., la quale - rilevando perplessità circa l’efficacia della misura rispetto allo scopo nei casi in cui il p.m. «possa esercitare un potere di selezione degli atti da trasmettere» - mette in evidenza come «nella configurazione dell’area del controllo giudiziale» abbia giocato un ruolo centrale «il pesante vulnus al principio di legalità perpetrato attraverso una dilatazione surrettizia dei tempi delle indagini, che impatta enormemente sulla salvaguardia delle garanzie individuali, compresa quella della ragionevole durata complessiva del procedimento la quale, oltretutto, apre un fronte contro cui si stagliano le aperte critiche del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea, oltre che innumerevoli condanne inflitte al nostro Paese dalla Corte di Strasburgo».
[28] In senso critico sull’ipotesi in cui il controllo avvenga su atti di indagine selezionati cfr. K. La Regina, Op. cit., p. 300.
[29] Sui profili di criticità relativi all’interlocuzione del p.m. v. F. Di Vizio, Il nuovo regime delle iscrizioni, cit., p. 20.
[30] Sulla formulazione del comma 1 dell’art. 335 quater v. D. Curtotti, Op. cit., p. 205, la quale rileva come il legislatore sembri “sganciare” la richiesta di verifica della tempestività da quella della retrodatazione, osservando sul punto che però «non è pensabile […] che l’istanza contenga solo una verifica della tempestività dell’iscrizione senza una successiva richiesta di retrodatazione della stessa. Dal che se ne deduce che la dualità dell’attività è solo apparente. Il legislatore ha inteso sottolineare, indicando in questo l’oggetto della richiesta, l’esigenza di fondo del controllo giurisdizionale, ossia la tempestività della individuazione del dies a quo di durata delle indagini preliminari. Ma, nel farlo, forse ha scambiato il fine con il mezzo».
[31] Sottolinea la funzione acceleratoria di tali requisiti D. Curtotti, Op. cit., 206 s.
[32] Sull’eventualità di un ritardo “giustificato” da «carenze organizzative o dal sovraccarico dell’ufficio» v. F. Di Vizio, Il nuovo regime delle iscrizioni, cit., p. 22.
[33] Sulla portata dei due requisiti cfr. altresì D. Curtotti, Op. cit., p. 207 s.
[34] Sez. I, 7 luglio 1992, n. 9708, Giacometti, in C.E.D. Cass., n. 191886.
[35] Vista la complessità degli accertamenti richiesti, si potrebbe ipotizzare la necessità di individuare degli “indici sintomatici” dell’inadempimento ingiustificato e inequivoco. E, in quest’ottica, si potrebbe considerare “indice sintomatico elettivo” la “carenza di motivazione” negli atti investigativi che richiedono un provvedimento (del giudice o del p.m.). Diventerà allora quanto mai necessario, per esempio, spiegare nella richiesta di intercettazioni del p.m. le ragioni per cui si è deciso di intercettare una certa persona non iscritta nel registro: così che la presenza di una motivazione completa permetterà al giudice di valutare la doverosità o meno dell’adempimento relativo all’iscrizione; mentre una totale assenza di indicazioni sul tema configurerà l’indice sintomatico elettivo del “ritardo ingiustificato ed inequivocabile” richiesto dalla proposta di legge delega. Altro indice sintomatico, va individuato nella audizione della persona, poi iscritta, come persona informata dei fatti in un momento successivo alla prime battute delle indagini. Sicuramente si impone di sentire la persona come informata dei fatti, e non già come indagato solo all’inizio dell’indagine; se invece già ci sono altri atti investigativi che direzionano, si deve iscrivere prima e dopo sentirlo come persona indagata: in teoria non si dovrebbe più creare la situazione di cui all’art. 64, comma 2, si è rafforzata la reazione all’abuso. Le due norme vanno coordinate.
[36] Sul punto, cfr. G. Ruta, Verso una nuova istruzione formale? Il ruolo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, in www.questionegiustizia.it, p. 10.
[37] A tal proposito v. D. Curtotti, Op. cit., p. 206, la quale individua come sede elettiva un incidente subito dopo l’avviso di conclusione delle indagini, perché assai difficilmente si avranno a disposizione gli atti su cui fondare l’istanza.
[38] Cfr. Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 1304, in C.E.D. Cass., n. 233197.
[39] Cfr. Sez. Un.,28 marzo 2006, n. 1304, in C.E.D. Cass., n. 233197.
[40] Sez. VI, 12 dicembre 2002, n. 1295, in C.E.D. Cass., n. 223588.
[41] Così già F. Alonzi, Tempi nuovi per le indagini?, in La riforma Cartabia, G. Spangher (a cura di), Pacini, Pisa, 2022, p. 249 ss., se pur in riferimento alle indagini contro persone note.
[42] Per una prima ed esaustiva analisi della nuova disciplina v. F. Alonzi, Op. cit., p. 242 ss.; G. Garuti, L’efficienza del processo tra riduzione dei tempi di indagine, rimedi giurisdizionali e “nuova” regola di giudizio, in Arch, pen., 2022, p. 3 ss. Per una analisi del testo della legge delega G. Amato, Passa la “rivoluzione” temporale dei termini delle investigazioni, in La riforma del processo penale. Commento alla legge n. 134 del 27 settembre 2021, Giuffrè, Milano, 2021, 137; C. Valentini, The untouchables: la fase delle indagini preliminari, l’ufficio del pubblico ministero e i loro misteri, in Arch. pen. online, 2022, 1.
[43] Per le ragioni in forza delle quali il termine di diciotto mesi riguarda solo i delitti si cui all’art. 407 comma 1 lett a), v. F. Alonzi, Op. cit., p. 245 ss.
[44] Così già F. Alonzi, Op. cit., p. 249 ss. Sulla valenza delle ipotesi di cui all’art. 407, comma 2, lett. b), c), e d), c.p.p. v. A. Camon, Le indagini preliminari, in Fondamenti di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2020, p. 4002.
[45] Così già F. Alonzi, Op. cit., p. 249 ss
[46] In questi termini si vedano già le considerazioni di F. Alonzi, Tempi nuovi, cit., p. 251.
[47] Corte cost., 27 novembre 1991, n. 436; Corte cost., 15 aprile 1992, n. 174; Corte cost., 25 maggio 1992, n. 222, Corte cost., 10 febbraio 1993, n. 48.
[48] Per una prima ed esaustiva analisi della nuova disciplina dell’art. 407-bis c.p.p. v. F. Alonzi, Op. cit., p. 252 ss.;
[49] Per una prima ed esaustiva analisi della nuova disciplina degli artt. 415-bis e 415-ter c.p.p. v. G.M. Baccari, I nuovi meccanismi per superare le stasi procedimentali dovute all’inerzia del pubblico ministero, in in La riforma Cartabia, G. Spangher (a cura di), Pacini, Pisa, 2022, p. 263 ss.; G. Garuti, Op. cit., p. 3 ss. Per una analisi al testo della legge delega v. R. Fonti, Strategie e virtuosismi per l’efficienza e la legalità delle indagini preliminari, in “Riforma Cartabia” e rito penale. La Legge delega tra impegni europei e scelte valoriali, a cura di A. Marandola, Giuffrè, Milano, 2022, 91 ss.; A. Sanna, Cronometria delle indagini e rimedi alle stasi procedimentali, in Proc. pen. giust., 2022, 43.
[50] Cosi già F. Aolonzi, Op. cit., p. 260.
[51] Cosi già G.M. Baccari, Op. cit., p. 263.
[52] Sulla bipartizione dei termini di riflessione, v. F. Alonzi, Op. cit., p. 253, e G.M. Baccari, Op. cit., p. 265.
[53] Per l’irragionevolezza della disciplina, e in particolare per il suo contrasto al canone costituzionale della ragionevole durata del processo v. F. Alonzi, Op. cit., p. 258 ss., soprattutto p. 261.
[54] Per la ratio di tale adempimento v. G.M. Baccari, Op. cit., p. 267 ss.
[55] Su cui v., per la ratio, F. Alonzi, Op. cit., p. 257, e G.M. Baccari, Op. cit., p. 270 s.
[56] Così già G.M. Baccari, Op. cit., p. 273 s.
[57] Per una prima e completa analisi della nuova disciplina v. K. La Regina, Op. cit., p. 291 ss.
[58] Sullo “stato di crisi” di effettività dell’avocazione già G.M. Baccari, Op. cit., p. 266, K. La Regina, Op. cit., p. 291.
[59] Cos’ già K. La Regina, Op. cit., p. 291
[60] Cfr. K. La Regina, Op. cit., p. 293, dove mette in luce l’idea di extrema ratio dell’avocazione rispetto una possibile soluzione spontanea dello stallo procedimentale.
[61] Cfr., per una soluzione parzialmente diversa K. La Regina, Op. cit., p. 294.
[62] Il legislatore oltre ad incidere sull’ampiezza del filtro sull’accusa, è intervenuto altresì sulla sua portata applicativa «attraverso l'introduzione, per tutti i procedimenti di competenza del tribunale monocratico, di un’udienza predibattimentale», come evidenziato da M. Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, in www.dirscrimen.it, 13 luglio 2021.
[63] Per un’analisi delle posizioni affermatesi circa l’interpretazione da offrire al criterio della “sostenibilità dell’accusa in giudizio” enucleabile dagli artt. 408 c.p.p. (precedente formulazione) e 125 disp. att. (oggi abrogato) v. K. La Regina, Op. cit. p. 276 ss.
[64] In questo senso, la riforma senz’altro assolve una “funzione pedagogica”, R. Aprati, Le indagini preliminari nel progetto di legge delega della Commissione Lattanzi, in www.questionegiustizia.it, 9 novembre 2021, p. 9.
[65] Così già K. La Regina, Op. cit., p. 284.
[66] Sul profilo critico dei rapporti tra “regola di giudizio” e “presupposti del singolo provvedimento” v. le riflessioni di P. Ferrua, Brevi appunti in tema di udienza preliminare, appello e improcedibilità, in www.discrimen.it, p. 25.
[67] In tal senso v. già M. Daniele, Op. cit., p. 3 s., il quale osserva che «il canone dell’in dubio pro reo è chiaramente affermato – sia pure in via prognostica – superando l’ambiguità della […] formula dell’inidoneità a sostenere l’accusa in giudizio». In senso analogo, v. F. Alvino, Il controllo giudiziale dell’azione penale: appunti a margine della “riforma Cartabia”, in Sist. pen., 10 marzo 2022, p. 32.
[68] In senso analogo, v. F. Alvino, Op. cit., cit., p. 32.
[69] Per un’analisi della quale v. K. La Regina, Op. cit., p. 296 ss.
[70] La nuova previsione, si è notato, determina un rafforzamento dell’efficacia preclusiva del provvedimento di archiviazione, pur lasciando al giudice margini notevoli di discrezionalità: cfr. K. La Regina, L’archiviazione, cit. p. 296. Sull’efficacia preclusiva dell’archiviazione v. altresì G. Ruta, Verso una nuova, cit., p. 15
[71] Si tratta del recepimento espresso di un’acquisizione oramai pacifica nel sistema. Con specifico riferimento al giudizio abbreviato cfr. Sez. V, 22 novembre 2017, n. 11942, in C.E.D. Cass., n. 272709.
[72] Vale tuttavia di segnalare come già la giurisprudenza affermatasi durante la vigenza della vecchia formulazione dell’art. 414 c.p.p. escludesse che la riapertura potesse essere accordata a fronte di una mera rilettura delle risultanze investigative. In tal senso cfr. Sez. un., 22 marzo 2000, n. 9, in Cass. pen., 2000, p. 2610.
[73] Sul tema, nel senso della esclusione dell’archiviazione del procedimento contro ignoti dall’ambito della riformata disciplina, già F. Di Vizio, Il nuovo regime, cit., p. 34.
[74] In tal senso si è finora chiaramente espressa la Cassazione: sul punto cfr. Sez. II, 13 ottobre 2015, n. 42655, in C.E.D. Cass., n. 265128; nonché Sez. un. 28 marzo 2006, n. 13040, ivi, n. 233198.