Separazione delle carriere a Costituzione invariata. Problemi applicativi dell’art. 12 della legge n. 71 del 2022
di Pasquale Serrao d’Aquino
Sommario: 1. Introduzione. - 2. I divieti di mutamento di funzioni secondo la riforma Castelli-Mastella del 2006. - 3. La riforma dell’art. 13: una separazione delle carriere a Costituzione invariata. - 3.1. I cambi nei primi nove anni di funzioni giudiziarie. - 3.2. Le possibilità di scelta residue dopo nove anni dal conferimento delle funzioni giudiziarie. - 3.3. Le funzioni di legittimità. - 3.4. I procuratori europei delegati e il procuratore europeo. - 4. La normativa transitoria e la tutela del principio dell’affidamento. - 5. Gli ulteriori problemi sollevati dalla riforma: assegnazione d’ufficio delle funzioni, incoerenza e irrazionalità delle finalità sottese alle norme introdotte.
La modifica dell’art. 13, introdotta dopo la presentazione del d.d.l. Cartabia al Parlamento, attua una separazione tendenziale delle carriere analoga a quella già prevista dalla Legge n. 150 del 2011 e dal d.lgs. 160/2006 nella sua prima formulazione, prima della “controriforma” operata con la legge n. 111 del 2007 . E’ previsto un solo cambio delle funzioni durante la carriera che, solo ove posto in essere nei primi nove anni di funzioni, non comporta il sorgere di incompatibilità assolute di funzioni (requirente) o di settore (penale), anche nell’ambito della legittimità.
A prescindere dalla costituzionalità della riforma, vengono a crearsi numerose difficoltà applicative e incongruenze, quali l’operatività delle incompatibilità anche per le funzioni svolte prima dell’entrata in vigore della legge n. 71 del 2022 e fino al primo cambio di funzioni o trasferimento ad altro ufficio, nonché in tutti i casi di trasferimento o applicazione d’ufficio. Si impone un’interpretazione costituzionalmente orientata che tuteli l’affidamento dei magistrati in servizio a poter effettuare le proprie scelte professionali senza che la novella abbia effetti retroattivi, nonché che eviti le criticità organizzative degli uffici e del Consiglio Superiore della Magistratura derivanti dall’impossibilità di assegnare a determinare funzioni o settori i magistrati non su domanda, determinando con loro pregiudizio la successiva impossibilità di accesso alle diverse funzioni o al medesimo settore.
L’ ipotetica inidoneità a svolgere le funzioni giudicanti penali da parte del pubblico ministero o, all’opposto, le funzioni requirenti da parte del giudice penale, non è ragionevolmente perseguita, posto che le incompatibilità previste sono collegate al momento del cambio di funzione, piuttosto che alla durata delle pregresse funzioni esercitate; analogamente l’ulteriore ratio, sottesa alla novella, dell’alimentare una percezione di estraneità reciproca tra giudici e pubblici ministeri risulta frustrata dall’identità di status di tutti i magistrati, appartenenti al medesimo ordine e soggetti al comune governo autonomo, costituzionalmente garantiti.
1. Introduzione.
I risultati modesti del referendum sulla giustizia del 12 giugno, con le loro percentuali di voto minime, indicative di una scarsa adesione reale della cittadinanza ai propositi riformatori, hanno costituito un’efficace arma di distrazione di massa, nascondendo il velocissimo rush finale operato dall’Assemblea del Senato che ha condotto all’approvazione del DDL Cartabia sulla riforma ordinamento giudiziario il 17 giugno, a distanza di meno di una settimana dalla consultazione popolare.
La magistratura, ferma tra le secche degli scandali della consiliatura passata, indebolita dagli interessati attacchi mediatici da parte della politica, che agiscono sinergicamente con le lacerazioni interne, non è riuscita a compiere un’elaborazione critica dell’andamento della consiliatura attuale, giunta agli sgoccioli, e sembra, con un singolare istinto di rimozione, voler continuare il dibattito sulle riforme che, per forza inerziale, si protrae sebbene superato dall’approvazione del testo legislativo definitivo. Attraversato lo spartiacque tra il prima e il dopo occorre, invece, interpretare la nuova fase storica e focalizzare l’attenzione su tre aspetti: l’attuazione delle norme immediatamente applicabili; la corretta elaborazione delle norme attuative dei principi di delega; il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura.
Gli interventi sull’ordinamento giudiziario preesistente e sulla disciplina del Consiglio Superiore prevista dalla legge n. 195 del 1958, come successivamente modificata sono così invasivi che, rispetto all’assetto precostituzionale del r.d. n. 12 1941 e alla successiva riforma Castelli-Mastella operata con il d.lgs. 160/2006 e il d.lgs. 109/2006[1], occorre approcciarsi alla legge n. 71 del 2022 come ad un nuovo ordinamento giudiziario 3.0.
In questa sede è opportuno soffermarsi su quella che è l’innovazione più dirompente, costituita dalla separazione quasi integrale delle carriere, prevista da norme direttamente applicabili, rinviando ad altra sede sia un esame complessivo della riforma sia alcune riflessioni di fondo sulla sua costituzionalità e sulla opportunità di questa e altre misure[2].
2. I divieti di mutamento di funzioni secondo la riforma Castelli-Mastella del 2006.
L’art. 13 del d.lgs. 160/2006, come accennato, nella versione risultante dalle modifiche attuate con la legge n. 11 del 2007 (controriforma “Mastella”), conteneva delle disposizioni che irrigidivano i passaggi di funzioni, abbandonando, tuttavia, quella radicale destinazione prevista dalla legge n. 150 del 2011 e dal relativo decreto legislativo attuativo.
Non è fondata la tesi emersa in alcune sentenze, per le quali la finalità dell’art. 13, non sarebbero quelle in seguito illustrate ma, più semplicemente quella di rendere più difficili i passaggi di funzioni per separare le carriere (es. T.A.R. del Lazio n. 3711 del 2022), per la banale considerazione che si tratta di una tautologia: l’irrigidimento dei passaggi non può essere la finalità della norma, se non politica e, quindi, metagiuridica; ogni divieto, come ovvio, deve salvaguardare interessi costituzionalmente rilevanti.
Tanto precisato, la precedente versione dell’articolo, in primo luogo, garantiva la terzietà del giudice anche sotto il profilo dell’apparenza, vietando i cambi repentini dalla scrivania del requirente a quella del giudicante e viceversa, attraverso precisi limiti territoriali, di settore e temporali.
Per i cambi nell’ambito del settore penale era fissata un’incompatibilità a livello regionale, e non solo distrettuale (comma 3). Il divieto era temperato dalla possibilità di cambi infraregionali. Per modificare le funzioni di pubblico ministero con quelle giudicanti civili, così come quelle di giudicante civile per quelle pubblico ministero, bastava per il magistrato, infatti, cambiasse provincia e circondario.
Allo scopo di evitare cadute nella percezione della terzietà del giudice, vi erano due regole distinte: (1) la prima, relativa all’ufficio di provenienza, prevedeva che il giudice civile che intendeva trasferirsi in Procura non doveva avere svolto funzioni penali per cinque anni; la seconda, relativa, invece, all’ufficio di destinazione, prevedeva che chi acquisiva le funzioni giudicanti provenendo dalla procura, non potesse “essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni”; analogamente, chi, al contrario, assumeva le funzioni requirenti, non poteva essere assegnato a funzioni civili o promiscue nella procura di destinazione fino al successivo trasferimento o cambio di funzioni (comma 4).
In secondo luogo, per assicurare che la facoltà di cambio non ostacolasse la maturazione di una certa professionalità nelle funzioni, indipendentemente dal fattore territoriale e dal settore di esercizio, era previsto un tempo minimo per cinque anni tra un cambio di funzioni e quello successivo, oltre che numero massimo di quattro cambi nell’arco dell’intera carriera.[3]
Tali limitazioni valevano anche per le funzioni di legittimità, anche direttive (commi 6 e 14), salvo quella relativa al mutamento di sede, logicamente necessitata dalla giurisdizione nazionale degli uffici di legittimità, con l’eccezione di quelle direttive superiori ed apicali (art. 10, commi 15 e 16). Discutibile, per ragioni che in questa sede non è possibile approfondire compiutamente, era la mancata sottrazione integrale delle funzioni di legittimità, requirenti e giudicanti, per le loro specificità connesse all’assenza di funzioni requirenti della Procura generale, al suo agire nell’interesse della legge (si pensi ad esempio al ricorso ex art. 363 c.p.c.) e, soprattutto, per la sua partecipazione alla funzione nomofilattica, di assicurazione dello ius constitutionis piuttosto che dello ius litigatoris.[4]
In questo quindicennio non sono stati eccessivi i problemi interpretativi di dovuti all’attuazione dell’art. 13, anche per il ridotto numero di cambi di funzione effettuati, disincentivati dalla necessità di trasferimento in altra Regione, con le conseguenze familiari che ne derivano[5] . Essi hanno riguardato essenzialmente i seguenti aspetti:
1) l’applicazione di tali disposizioni anche ai trasferimenti per incompatibilità funzionale, esclusa da un risposta a quesito del CSM del 9 febbraio 2011 sia sulla base di argomenti testuali (secondo l’art. 13, comma 3 esso non poteva ”essere richiesto” più di quattro volte”) sia di incomprimibilità della facoltà futura di scelta del magistrato come effetto eccedente le finalità dell’art. 2 l. guarentigie [6];
2) l’applicazione in genere ai trasferimenti d’ufficio, al primo trasferimento dei magistrati di nuova nomina dopo aver svolto le funzioni nella sede iniziale[7], ai trasferimenti d’ufficio su disponibilità verso le sedi disagiate (s. alle quali i recenti bandi del CSM prevedono espressamente che debbano rispettarsi i vincoli di cui all’art. 13);
3) la possibilità, cambiate le funzioni e mutata la regione di servizio, di ritornare nel distretto di provenienza con le diverse funzioni prima del decorso dei cinque anni di decantazione minima, inizialmente in qualche caso ammesso dal CSM e, successivamente, invece,negato, conformemente alla giurisprudenza amministrativa e, in particolare ad una decisione del Consiglio di Stato (Sez. IV n. 1961 del 2015[8]), la quale ha affermato che tale ritorno è possibile solo dopo cinque anni anche nel caso in cui il magistrato effettui dei trasferimenti cd. intermedi (dall’ufficio A verso l’ufficio B e poi nuovamente a quello A o, comunque, nella provincia, circondario o distretto di A), rilevando, ai fini dell’art. 13, solo il risultato finale;
4) l’estensione di tali divieti ai casi in cui un magistrato, negatogli il trasferimento in un determinato distretto, per essere ad esempio, preferito altro magistrato abbia presentato ricorso e, medio tempore trasferitosi in quel distretto mutando le funzioni con bando successivo, abbia successivamente vinto il ricorso per il posto preventivamente richiesto, trovandosi in tal modo ad essere assegnato, in ottemperanza alla sentenza, ad funzioni nel distretto incompatibili ex art. 13 rispetto a quelle attualmente svolte (es. domanda di trasferimento al Tribunale di Roma rigettata dal CSM, ricorso al giudice amministrativo, trasferimento alla Procura di Roma con successivo bollettone e relativa presa di possesso, accoglimento del ricorso per il trasferimento nel distretto di Roma come giudice). In tale caso il giudice amministrativo, per assicurare effettività alla tutela giurisdizionale ha ritenuto inapplicabile il divieto;
5) più di recente, l’applicabilità di tali divieti anche in caso di passaggio dalle funzioni di legittimità a quelle di merito di diversa natura (requirente o giudicante), ancora sub iudice;
6) la configurabilità del divieto di mutare le funzioni per chi, prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia-Mastella, aveva già esaurito il numero di cambi di funzione ammissibile, ritenuto inapplicabile secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata (v. infra);
7) la rilevanza del periodo fuori ruolo ai fini del decorso del quinquennio di decantazione.
3. La riforma dell’art. 13: una separazione delle carriere a Costituzione invariata.
Il nuovo testo apporta modifiche radicali all’art. 13, non più volte ad assicurare una semplice immagine nella dimensione regionale di terzietà del giudice, ma a realizzare una effettiva separazione delle carriere giudicanti e requirenti. Esse, infatti, secondo la riforma finiscono tendenzialmente per divaricarsi una volta maturati nove anni di funzioni giudiziarie per le incompatibilità che si maturato, per poi definitivamente divenire separate una volta esercitata la facoltà unica di cambio delle funzioni.
La misura adottata, infatti, presenta diverse analogie con quella prevista dal testo originario del d.lgs. 160/2006 (riforma Castelli), successivamente modificato dalla legge n. 11 del 2007 (testo Mastella), che prevedeva l’obbligo di una scelta definitiva tra le funzioni giudicanti e quelle requirenti entro i primi cinque anni.[9]
Nell’interpretazione delle nuove norme, come per ogni modifica normativa occorre distinguere il fine perseguito dalla maggioranza parlamentare rispetto alla ratio obiettivata nelle norme definitivamente approvate dall’Aula. Rispetto alla loro effettiva formulazione i lavori parlamentari, forniscono un mero ausilio attraverso una verifica, con rilevanza decrescente, delle modifiche apportate la testo definitivo, delle Relazioni allegate al testo o delle dichiarazioni di voto. Nella specie, trattandosi di emendamenti non vi sono, tuttavia argomentazioni utili sottese alla modifica del disegno di legge di origine governativa.
La finalità politica generale è quella di “separare le carriere”, non solo ostacolando i passaggi da una funzione all’altra, ma creando in tal modo un’alterità di status che dovrebbe contribuire ad accentuare la terzietà del giudice rispetto alle richieste del pubblico ministero. E’ necessario, tuttavia, perché l’assetto normativo che ne consegue risponda al principio di ragionevolezza che esso presenti una sua coerenza e che l’interprete possa individuare i singoli interessi sottesi alle incompatibilità previste e riconoscerli come meritevoli di tutela.
Ebbene, risulta chiaro che la creazione di una alterità categoriale e la percezione del pubblico ministero come “altro da sé” da parte dei giudici resti una mera declamazione politica di principio, priva di ogni addentellato normativo nella legge 71/2022, la quale, non modificando la Costituzione, non può che confermare l’unicità della progressione in carriera e il comune governo autonomo: giudici a pubblici ministeri sono nominati con il medesimo concorso; l’assegnazione alla prima sede avviene d’ufficio e coloro che sono nella parte bassa della graduatoria non possono scegliere tra funzioni giudicanti e requirenti; il consiglio giudiziario e il CSM restano comuni; lo statuto ordinamentale del magistrato, giudice o pubblico ministero è unitario, non solo quanto alle valutazioni di professionalità, ma anche per ciò che concerne tutte le guarentigie previste dall’ordinamento giudiziario.
Occorre, verificare, quindi, quali siano le più stringenti incompatibilità previste nel cambio di funzione e quale sia la finalità oggettiva della previsione di un solo cambio.
Come può verificarsi in base alla lettura delle norme, il risultato pratico delle modifiche, complessivamente considerate, è quello: A) di rendere incompatibili, dopo un certo periodo, con le funzioni giudicanti penali tutti coloro che hanno svolto funzioni requirenti; B) di consentire il passaggio alle funzioni requirenti solo dei magistrati che non hanno mai svolto funzioni penali.
3.1. I cambi nei primi nove anni di funzioni giudiziarie.
Andando nel dettaglio, l’art. 12 sostituisce il secondo periodo del comma 3 dell’art. 13: «Il passaggio di cui al presente comma (NB di funzioni) può essere richiesto dall'interessato, per non più di una volta nell'arco dell'intera carriera, entro il termine di sei anni dal maturare per la prima volta della legittimazione al tramutamento previsto dall'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.»
La regola generale, pertanto, è quella della possibilità di un cambio di funzioni nella prima parte della carriera. Per l’esercizio di tale facoltà i limiti sono quelli che derivano esclusivamente da quanto previsto dai non modificati primo periodo del comma 3 (incompatibilità regionale per i cambio nel medesimo settore penale)[10] e del comma 4[11] (e, quindi, incompatibilità provinciale per i cambi da e verso il civile, con i limiti dei cinque anni sopra indicati).
La ragione per cui scompare il divieto di cambio di funzioni prima del decorso dei cinque anni è perché diviene possibile un solo mutamento di funzioni. Il cambio diviene possibile una volta maturato il termine di legittimazione previsto dall’art. 194 ord. giud. (attualmente quattro anni, ma ridotti a tre per i magistrati di prima destinazione dall’art. 7 della legge n. 71 del 2022)[12]; ancora prima, deve ritenersi, ove il trasferimento avvenga da parte di soggetto non legittimato ex art. 194 ord. giud. (es. trasferimento in sedi a copertura necessaria, trasferimento in base alla legge 104/92 o 100/87).
Per i passaggi nella medesima regione dalle funzioni requirenti a quelle civili e viceversa, restano, invece, i limiti dei cinque anni di non espletamento nell’ufficio di provenienza, o di funzioni giudicanti penali per chi assume le funzioni requirenti e il divieto di assegnazione invece, al settore penale del pubblico ministero che cambia le funzioni, fino a quando questi resta nell’ufficio di destinazione (e, quindi, anche oltre i cinque anni).
È altresì consentito il mutamento dalle funzioni (giudicanti o requirenti) di primo grado a quelle (requirenti o giudicanti di secondo grado), alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA), il conferimento, previo mutamento delle funzioni, delle funzioni requirenti e giudicanti di legittimità e le funzioni semidirettive giudicanti e requirenti di secondo grado. Per accedere a tali funzioni, infatti, è sufficiente il superamento della seconda valutazione di professionalità, che si consegue dopo otto anni dal d.m. di nomina.
La nuova previsione solleva dei problemi per l’accesso all’ufficio del Massimario e del Ruolo, per il quale occorre, invece, aver conseguito la terza valutazione di professionalità (oltre che anche otto anni di effettivo esercizio delle funzioni), da parte di chi ha svolto funzioni requirenti (art. 7 l. 72/2022, che modifica l’art. 115 ord. giud.). Dal momento che è possibile un solo cambio di funzioni e che, ove esso sia effettuato dopo i primi nove anni di funzioni, infatti, scatta il divieto di assegnazione a funzioni giudicanti penali. Pertanto, l’unico modo che hanno i pubblici ministeri per essere assegnati a tale ufficio è cambiare le funzioni entro i primi nove anni, senza poter transitare direttamente dalla Procura al Massimario della Cassazione, se non venendo assegnati solo al settore civile. Per contro, i giudici che aspirano ad accedere in futuro al Massimario, potendo effettuare un solo cambio di funzioni, dovranno rinunciare a svolgere l’esperienza requirente.
Ad una diversa conclusione si potrebbe giungere solo intendendo che l’equiparazione alle funzioni giudicanti è solo di natura ordinamentale e che non scattano le incompatibilità di settore previste dai commi 3 e 4 dell’art. 13. Si tratta, tuttavia, di una forzatura poco convincente, per tre ragioni: a) le funzioni del Massimario sono strettamente collegate con quelle tipicamente giurisdizionali; b) essi possono essere applicati ai collegi della Cassazione; c) sarebbe illogico che, ove successivamente acquisiscano le funzioni giudicanti di legittimità, non possano essere addetti al penale e, invece, come addetti al Massimario, sia prevista tale possibilità.
3.2. Le possibilità di scelta residue dopo nove anni dal conferimento delle funzioni giudiziarie.
Questa libertà di mutamento delle funzioni, viene drasticamente ridimensionata dopo nove anni dal conferimento delle stesse essendo previste delle incompatibilità assolute tra funzioni requirenti e funzioni giudicanti penali. Prosegue, infatti, il secondo periodo del comma 3 «Oltre il termine temporale di cui al secondo periodo è consentito, per una sola volta, il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, quando l'interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali, nonché il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro».
Chi ha già cambiato le funzioni non può avvalersi di tale facoltà posto che il primo periodo del 3° comma, come su riportato prevede che essa può essere esercitata ”per non più di una volta nell'arco dell'intera carriera”.
Tra coloro che, invece, non hanno cambiato fino a tale momento, chi ha svolto le funzioni requirenti non potrà in alcun modo, nell’intero arco della carriera, essere destinato, quale che sia il luogo di lavoro, a funzioni giudicanti penali: di primo grado e di secondo grado (da vedersi se semidirettive, di legittimità, presso uffici specializzati e se in caso di conferimento di funzioni direttive, possa essere tabellarmente assegnato anche a tali funzioni). Al tempo stesso chi ha svolto, anche per un giorno funzioni penali, non potrà mai assumere le funzioni requirenti (salvo quelle di legittimità, v. infra).
In altre parole, a carriera avviata, il cambio di funzioni è possibile solo: a) se non si sono mai mutate le funzioni in precedenza; b) se non si sono mai svolte funzioni penali oppure se, nel mutamento da requirente a giudicante, si è assegnati definitivamente a funzioni civili o lavoro. Un pubblico ministero non potrà mai essere trasferito al Tribunale di Sorveglianza o al Tribunale per i Minorenni, ove è difficilmente ipotizzabile che possa svolgere esclusivamente funzioni civili, senza alcun ruolo, anche accessorio o come sostituto, che implichi lo svolgimento di funzioni penali.
La tassatività di tale divieto deriva dal periodo successivo per il quale “In quest'ultimo caso, il magistrato non può in alcun modo essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni giudicanti di natura penale o miste, anche in occasione di successivi trasferimenti.”
I due perni della separazione quasi integrale delle carriere magistratuali, accomunate dall’autogoverno unico, sono, per l’appunto, l’unicità del passaggio, che rende la scelta irreversibile, e il fattore impeditivo segnato dall’impossibilità totale di qualsiasi osmosi nel settore penale tra funzioni giudicanti e requirenti: salve le funzioni svolte nei primi nove anni, nessuno che ha svolto le funzioni di pubblico ministero potrà essere inserito un collegio penale o svolgere funzioni penali monocratiche e nessun giudice penale potrà divenire pubblico ministero.
Di scarsa rilevanza, invece, è il fatto che per attuare tale passaggio, sia necessario, come attualmente già previsto che il magistrato previamente partecipi “ad un corso di qualificazione professionale” e che esso sia subordinato “a un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario.” [13]
3.3. Le funzioni di legittimità.
Regole specifiche, non meno insoddisfacenti, sono dettate per le funzioni di legittimità.
Il comma 6 distingue due categorie di funzioni di legittimità assoggettate a regole diverse. Il primo periodo prevede che: “Per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché per il conferimento delle funzioni requirenti di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10 non opera alcuna delle limitazioni di cui al comma 3 del presente articolo.” Il secondo, periodo, invece, dispone che: Per il conferimento delle funzioni giudicanti di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dell’articolo 10, che comportino il mutamento da requirente a giudicante, fermo restando il divieto di assegnazione di funzioni giudicanti penali, non operano le limitazioni di cui al comma 3 relative alla sede di destinazione”.
Solo per il conferimento delle funzioni requirenti e direttive requirenti di legittimità (sostituto procuratore generale e avvocato generale), oltre che direttive superiori e apicali, giudicanti e requirenti (presidente aggiunto, presidente del Tribunale Superiore delle acque pubbliche e procuratore aggiunto – art. 10, commi 15 e 16) “non opera alcuna delle limitazioni di cui al comma 3 del presente articolo”. Per le funzioni giudicanti (e direttive giudicanti) di legittimità (consigliere e presidente di sezione), vi è una deroga solo “le limitazioni di cui al comma 3 relative alla sede di destinazione”, e resta fermo “il divieto di assegnazione di funzioni giudicanti penali. Se ne desume chiaramente che per queste seconde trovano applicazione tutte le altre, ivi incluso il divieto di secondo mutamento delle funzioni.
Le regola dei cambi, pertanto, analogamente a quanto previsto per le funzioni di merito, è asimmetrica per gli uffici requirenti e giudicanti di legittimità.
In pratica, i giudici di merito e i consiglieri di cassazione addetti (o che in passato sono stati addetti) al settore penale, potranno svolgere tutte le funzioni requirenti di legittimità; i pubblici ministeri inclusi i sostituti procuratori generali della Cassazione (e gli avvocati generali), invece, potranno svolgere le funzioni di consigliere di cassazione, ma solo nel settore civile o lavoro.
Il ricorso all’espressione “conferimento” delle funzioni, potrebbe indurre alla conclusione che i divieti non trovino applicazione per i mutamenti interni alla legittimità, in coerenza con il quadro ordinamentale che individua la funzione di legittimità come comune alla Cassazione e alla Procura Generale. Si è recentemente evidenziato[14] che l’art. 104 Cost. prevede che siano membri di diritto il Primo Presidente della Cassazione e la Procura Generale della (e non presso) la Cassazione, a riprova di tale unitarietà. Deve osservarsi, tuttavia, che l’espressione conferimento è identica a quella prevista già dalla precedente versione dell’art. 13, comma 6, finora interpretata nel senso della rilevanza, ai fini del rispetto dei numero massimo dei cambi di funzione, anche del mutamento di funzioni di legittimità.
Si realizzano in tal modo, a regime, due evidenti paradossi: I) chi è stato sempre pubblico ministero può divenire consigliere di cassazione, anche se deve svolgere le funzioni giudicanti civili; chi, invece, ha sempre svolto funzioni giudicanti, non operando la deroga al numero dei trasferimenti e ha ricevuto le funzioni requirenti di legittimità, non potendo a regime effettuare un secondo cambio di funzioni, non può divenire consigliere di cassazione, in qualunque settore; II) inoltre, non distinguendosi tra funzioni requirenti civili e penali di legittimità, anche chi ha svolto la propria carriera interamente nel settore civile, ma espleta le funzioni requirenti di legittimità nel settore civile, senza avere fatto un solo processo penale, superato il periodo transitorio, non può ricevere le funzioni giudicanti di legittimità e, anche secondo la norma transitoria, ove muti le funzioni deve essere assegnato al settore civile o lavoro.
3.4. I procuratori europei delegati e il procuratore europeo.
La legge n. 71 del 2002, trascura speciali funzioni svolte dai procuratori europei delegati e dal procuratore europeo, non affrontando il tema dei cambi di funzioni dei magistrati che intendono svolgere o hanno svolto queste funzioni.
L’art. 5, comma 3 di tale decreto prevede che “Possono candidarsi per l'incarico di procuratore europeo delegato i magistrati, anche se collocati fuori dal ruolo organico della magistratura o in aspettativa, i quali alla data di presentazione della dichiarazione di disponibilità alla designazione non hanno compiuto il sessantaquattresimo anno di età e hanno conseguito almeno la terza valutazione di professionalità. Quando l'accordo di cui all'articolo 13, paragrafo 2, del regolamento prevede la designazione di procuratori europei delegati addetti in via esclusiva alla trattazione dei giudizi innanzi alla Corte di cassazione, la dichiarazione di disponibilità a ricoprire tale incarico può essere presentata unicamente da magistrati che svolgono o che hanno svolto funzioni di legittimità. “[15]
Ebbene, come si coordina l’art. 13 con la disciplina dell’EPPO? Si consideri che l’accesso alle funzioni EPPO è previsto per coloro che “sono membri attivi delle procure o della magistratura dello Stato membro interessato”, con una volontà di ampliare, anche se in modo non tassativo, la sfera dei legittimati non solo ai pubblici ministeri, ma anche ai giudici.
Quale delle due norme deroga rispetto all’altra? E’ legittimo precludere ad un giudice che abbia già svolto le funzioni di pubblico ministero l’assunzione delle funzioni PED, oppure al PED di cambiare funzioni al termine del mandato? Poiché le funzioni PED rivestono carattere nazionale, come si attua il cambio di funzioni senza violare le norme di cui a comma 3, primo periodo e comma 4? Questi è obbligato ad andare al settore civile? Si tratta di una condizione analoga a quella della DNAA?
4. La normativa transitoria e la tutela del principio dell’affidamento.
A temperare transitoriamente il rigore della superazione surrettizia delle carriere operata interviene, appunto, il comma 2 dell’art. 12 del disegno di legge approvato: “I magistrati che prima della data di entrata in vigore della disposizione di cui al comma 1, lettera c), hanno effettuato almeno un passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, o viceversa, possono effettuare un solo ulteriore mutamento delle medesime funzioni nonché richiedere il conferimento delle funzioni requirenti di legittimità ai sensi del comma 6 dell'articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, come sostituito dal presente articolo, a condizione che non abbiano già effettuato quattro mutamenti di funzione.”
Nel ritenere ammissibile il quesito referendario votato il 12 giugno 2022 la sentenza n. 58 della Corte Costituzionale del 2022, oltre a richiamare la precedente sentenza n. 37 del 2000 dettata in tema, afferma significativamente “che la possibilità - rientrante tra i compiti del legislatore - che, a seguito dell'eventuale abrogazione referendaria, si pongano in essere gli interventi legislativi necessari per rivedere organicamente la normativa "di risulta", e per l'introduzione di discipline transitorie e conseguenziali, onde evitare, in particolare, la immediata "cristallizzazione" delle funzioni attualmente in essere.”
La norma è piuttosto generica, non prevede esplicitamente una deroga alle norme sopra riportate e, pertanto, richiede di essere interpretata.
Secondo una prima interpretazione la norma prevede una deroga solo al numero dei passaggi possibili, fermi restando tutti gli altri divieti: chi si trova in una determinata funzione o ha svolto funzioni penali (giudicanti o requirenti), che radicano le nuove incompatibilità, troverebbe la sua condizione definitivamente ingessata, e gli sarebbero inibiti i passaggi su indicati vietati a regime.
Una diversa, interpretazione, invece, porta a ritenere che in ogni caso il primo trasferimento successivo all’entrata in vigore della legge sia sempre integralmente sottratto alle restrizioni previste dal comma 3 novellato dell’art. 13. Escluso, ovviamente un trasferimento “libero”, inibito tanto dalla versione precedente quanto da quella attuale dell’art. 13, esso resta soggetto alle regole della riforma Castelli-Mastella; pertanto, può essere espletato decorsi cinque anni dal precedente mutamento, rispettando i limiti regionali nel caso di permanenza con funzioni diverse nel settore penale, senza essere assoggettato alle incompatibilità definitive sopra descritte.
Si tratta, quanto alla seconda, di una soluzione costituzionalmente imposta.
Per i magistrati in servizio impediti nel mutamento di funzioni o nell’assegnazione al settore penale per ragioni diverse dai divieti preesistenti (cambio funzioni nella regione o distretto e limite dei quattro cambi), la norma, ove interpretata nel primo senso, determinando una parziale cristallizzazione delle funzioni, precludendo l’accesso a determinati settori o funzioni, viola il principio dell’affidamento, di rilevanza costituzionale e avente un riconosciuto fondamento eurounitario.
Il Consiglio di Stato ha già riconosciuto proprio per i mutamenti di funzione dei magistrati l’operatività di tale principio anche nell’ambito dell’ordinamento giudiziario e le necessità di assicurare tutela alla sua lesione (Cons. Stato, V Sez., n. 7695/2020[16]).
Senza ripercorre l’ampia evoluzione dell’istituto dell’affidamento, valevole non solo nei confronti della pubblica amministrazione, ma anche nei confronti del legislatore, è sufficiente richiamare alcuni dei rilievi mossi da tale sentenza ad una delibera del Consiglio Superiore della Magistratura che vietava un ulteriore cambio di funzioni ad un magistrato della procura generale della Cassazione che aveva già cambiato cinque volte le funzioni:
La delibera è stata annullata affermando che il limite dei quattro mutamenti non poteva che valere per il periodo successivo all’entrata in vigore del d.lgs. 160/2006 proprio per la lesione dell’affidamento e l’illegittimità costituzionale di una norma preclusiva dei mutamenti di funzione sulla scorta delle funzioni giudiziarie svolte prima sella sua entrata in vigore.
In tale occasione il giudice amministrativo come, per la Corte Costituzionale, la retroattività nelle disposizioni normative concernenti settori dell’ordinamento diversi da quello penale ”è ammissibile solo nel rispetto dei principi generali di ragionevolezza, proporzionalità e prevedibilità, atteso che il divieto di retroattività della legge, previsto dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, costituisce valore fondamentale di civiltà giuridica e può essere compromesso solo per l’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) (cfr. Corte cost., 29 maggio 2013, n. 103).” [17]
È necessario, quindi, se “interessi pubblici sopravvenuti” richiedono “interventi normativi in grado di comprimere posizioni consolidate, è comunque necessario, per un verso, che l'incidenza peggiorativa non sia sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito nell'interesse della collettività e, per altro verso, che l'intervento di modifica sia prevedibile, non potendosi tollerare mutamenti retroattivi del tutto inaspettati” (Corte cost., 26 aprile 2018, n. 89). Sulla scorta di tali principi, il Consiglio di Stato, nel caso esaminato ha evidenziato come “prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 160 del 2006 non sussisteva alcun limite al mutamento di funzioni nella carriera del magistrato, non potendosi prevedere in alcun modo che tali mutamenti di funzione sarebbero stati in futuro pregiudizievoli; anzi, gli stessi, all’epoca in cui sono stati posti in essere, erano considerati un arricchimento della carriera e non un elemento di disvalore. Invero, per la Corte costituzionale, l'imprevedibilità di un intervento normativo è proprio uno degli elementi sintomatici della lesione del legittimo affidamento (cfr. Corte cost., 24 gennaio 2017, n. 16).”
Se tali principi hanno trova applicazione rispetto al caso in cui sono stati già effettuati ben cinque passaggi di funzione, nella medesima e più ancora più irrazionale e inaspettata condizione, lesiva del loro legittimo affidamento, vengono a trovarsi tutti i magistrati italiani, specie coloro che, avendo già svolto nove anni di funzioni, vedono improvvisamente l’accesso a determinate funzioni o settori radicalmente vietato, con una sorta di inaspettata incompatibilità assoluta rispetto alle funzioni penali giudicanti e requirenti, estesa all’intero territorio nazionale e di carattere definitivo.
Per giungere a tale interpretazione non è in alcun modo necessario sollevare l’incidente di costituzionalità. La disposizione transitoria, infatti, non contiene deroghe testuali al regime di nuova introduzione (in tal caso, la questione neppure si porrebbe in quanto già positivamente risolta in termini espliciti), ma neppure ne prevede espressamente l’applicabilità a trasferimenti da essa previsti (se lo facesse, in questo secondo caso, invece, la strada della incostituzionalità sarebbe obbligata non lasciando il dato testuale spazio all’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata e, quindi, dovendo l’interprete andare contro la norma). Nel suo silenzio, pertanto, il contenuto dell’enunciato non è dirimente e, pertanto, sono ammissibili più letture del dato semantico.
Va precisato che non costituisce un dato con valenza ostativa neppure il fatto che l’art. 12, comma 2 del disegno di legge approvato, da un lato, prevede il diritto soggettivo ad un ulteriore trasferimento (“I magistrati che prima della data di entrata in vigore della disposizione di cui al comma 1, lettera c), hanno effettuato almeno un passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, o viceversa, possono effettuare un solo ulteriore mutamento delle medesime funzioni”), dall’altro, con il termine “nonché” – nell’univoco significato di “e anche” - la disposizione precede la possibilità la possibilità ulteriore di “richiedere il conferimento delle funzioni requirenti di legittimità” (e non di quelle giudicanti di legittimità).
È evidente, infatti, che aggiungendosi questa seconda facoltà (accesso alle funzioni di sostituto procuratore generale, ma non di consigliere di cassazione) alla prima (previsione generale della possibilità di un secondo cambio di funzioni), i magistrati in servizio, anche dopo avere mutato le funzioni, come previsto dalla norma generale (da p.m. a giudice di merito o di legittimità), dopo l’entrata in vigore della norma, possono effettuare un secondo cambio di funzioni, circoscritto, tuttavia, alle sole funzioni requirenti di legittimità.
Si tratta, pertanto di due disposizioni distinte: una più generale che assicura a tutti i magistrati il diritto a cambiare le funzioni dopo la modifica ordinamentale; l’altra specificamente dettata per le funzioni requirenti di legittimità , che consente a tal fine anche un secondo passaggio.
Ne deriva che, se la disposizione transitoria non contiene un rimando ineludibile “ai limiti di cui al comma 3” ma, secondo l’intenzione del legislatore, si limita a presupporli, vi è spazio per una interpretazione conforme a costituzione che impedisca la violazione del principio dell’affidamento, del divieto di retroattività e del principio di ragionevolezza.
Risulta, pertanto, conforme all’art. 12 disp. prel. cod, civ. e ai principi sopra riportati, l’interpretazione per la quale la disposizione transitoria non trova applicazione per le situazioni di fatto già consolidate al momento della entrata in vigore della norma, ma solo per quelle che costituiscono esercizio di facoltà da parte dei magistrati esercitate dopo tale momento. Ciò significa che il magistrato che intende ora cambiare le funzioni è soggetto all’art. 13 nella formulazione applicabile le regole vigenti nel momento in cui ha espletato le funzioni, mentre il magistrato muta che muta le funzioni (o, probabilmente, effettua un qualunque altro trasferimento), nella vigenza del d.d.l. di riforma è soggetto alle nuove più stringenti regole del novellato art. 13 a parte da tale momento.
La necessità di tutelare l’affidamento dei magistrati, e la manifesta incostituzionalità della tesi dell’applicabilità delle incompatibilità di settore e di funzioni alle posizioni già consolidate, comporta che il Consiglio Superiore, dovrebbe ritenere inapplicabili tali norme ai bandi in corso (manca all’uopo una norma transitoria), ma dovrebbe altresì opportunamente evidenziare per quelli successivi quale sia il regime transitorio del mutamenti di funzione, con particolare riguardo, ma non solo, per i magistrati che hanno maturato un’anzianità di almeno nove dal conferimento delle funzioni.
Concludendo sul punto, in pratica, deve ritenersi che per il primo mutamento di funzioni (successivo alla riforma), deve escludersi per tutti l’operatività dei rigorosi divieti: sopra descritti a) il pubblico ministero che cambia funzioni, potrà essere assegnato al settore penale se cambia regione; b) il giudice che svolge, o che ha svolto funzioni penali, potrà assumere le funzioni requirenti; c) lo svolgimento delle funzioni penali giudicanti o quelle requirenti farà scattare l’incompatibilità solo a partire dal primo trasferimento o cambio di funzioni successivo all’entrata in vigore della legge. Ad esempio, il giudice con funzioni penali deve ritenersi attualmente non incompatibile, ma se si trasferisce ad altre funzioni giudicanti ed è nuovamente assegnato al settore penale, non potrà acquisire, nella vigenza della norma le funzioni requirenti; allo stesso modo, il magistrato requirente non potrà svolgere le funzioni giudicanti penali ove si trasferisca ad altro ufficio requirente, perché tali passaggi sono avvenuti nell’ambito del regime della riforma attuale.
5. Gli ulteriori problemi sollevati dalla riforma: assegnazione d’ufficio delle funzioni, incoerenza e irrazionalità delle finalità sottese alle norme introdotte.
Accanto a tali temi principali, impregiudicata la questione della costituzionalità della separazione delle carriere introdotta[18], emergono anche altri problemi:
1) i magistrati nella prima destinazione sono assegnati d’ufficio; tale assegnazione impedirà loro di svolgere le funzioni desiderate se non riescono ad acquisirle entro i primi dieci anni di carriera. Es. chi vorrà fare il PM o il giudice penale a Roma (o, come già indicato, quelle di addetto al Massimario) ed è stato assegnato, come regolarmente avviene, come giudice o PM penale nella prima sede lontana, dovrà cambiare le funzioni entro i primi nove anni, se intende esercitare le funzioni preferite nel settore penale;
2) i magistrati assegnati a funzioni promiscue (o come si esprime la norma “miste”) incontreranno gli stessi ostacoli e così anche i magistrati assegnati agli uffici specializzati (minori, sorveglianza); pertanto, decorsi i nove anni, essi non potranno mai assumere funzioni requirenti e i pubblici ministeri mai potranno accedere a tali funzioni. Un’interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto del principio di ragionevolezza potrebbe indurre ad escludere l’operatività dei divieti per gli uffici specializzati;
3) la nuova disposizione prevede che “il magistrato non può in alcun modo essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni giudicanti di natura penale o miste, anche in occasione di successivi trasferimenti”). Appare forzato interpretare la norma nel senso che i trasferimenti successivi vietati sono solo quelli “interni” e non anche quelli esterni, ovvero i tramutamenti successivi; il comma 4, infatti, per il passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti civili nella medesima regione, prevede il divieto di assegnazione al penale “prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni”. Proprio tale locuzione, diversa dall’altra contenuta nel medesimo articolo, unitamente all’unicità del passaggio, è quella che determina la separazione delle carriera;
4) le norme disincentivano il trasferimento verso sedi disagiate da parte di chi vuole mutare le funzioni. Un giudice civile che non vuole “bruciarsi” il mutamento di funzioni, non chiederà mai di andare in disagiata con assegnazione al penale o promiscua;
5) in generale, sicuramente si verificherà una fuga dalle funzioni requirenti che renderà difficile la copertura di tali posti;
6) delle due l’una, o il Consiglio, rimeditando il proprio precedente orientamento, ritiene che la norma non trovi applicazione per tutti i trasferimenti o assegnazioni d’ufficio, oppure ogni applicazione interna, endodistrettuale o extradistrettuale o trasferimento d’ufficio, ivi incluso quello ex art. 2 l.g., potrà essere legittimamente rifiutata dal magistrato se implica il cambiamento di funzioni o l’assegnazione a funzioni penali o promiscue; certamente al magistrato non può essere imposto uno svolgimento, anche temporaneo, di funzioni che gli preclude con decisione autoritativa e contingente le successive opzioni di carriera;
7) per le funzioni di legittimità, nessun consigliere di cassazione assegnato dal penale potrà mai avere svolto funzioni in Procura, Procura Generale, DNNAA e Procura Generale Cassazione, limite gravissimo e perdita di patrimonio complessivo di esperienza e professionalità complessive della Cassazione, che, all’evidenza, abbisogna di coagulare tutte tali esperienze e, nel caso, della Procura Generale, uno snaturamento delle sue peculiari funzioni requirenti di legittimità.
Peraltro, deve rilevarsi aggiuntivamente in Cassazione possono essere assegnati come consiglieri meriti insigni che avevano svolto la professione legale nel settore penale: i consiglieri di cassazione penale possono essere ex avvocati di lungo corso, ma non a quelli ex pubblici ministeri (salve le funzioni svolte ad inizio carriera), perfino, come si è visto, nel caso in cui, come quello dei sostituti procuratori generali della Corte di Cassazione addetti al civile o lavoro, non hanno mai svolto funzioni penali.
Per la particolare rilevanza della tematica delle incompatibilità che possono scaturire dall’assegnazione delle funzioni penali d’ufficio, deve ritenersi l’unicità della carriera magistratuale impone un’interpretazione costituzionalmente orientata per la quale non possono sorgere incompatibilità rispetto ad un determinato settore (penale) o funzioni (requirenti) per effetto di un trasferimento o di un’assegnazione o attribuzione di funzioni tabellari avvenuta d’ufficio. In tale caso, infatti, il magistrato viene pregiudicato nell’accesso a determinate funzioni giudiziarie per effetto di una decisione che non ha mai preso, con ciò vulnerandosi la sua legittima aspettativa a poter svolgere, nei limiti dei posti disponibili e, naturalmente, ove abbia le specifiche attitudini, tutte le funzioni giudiziarie previste dall’ordinamento.
Infine, esaminato l’impatto complessivo delle modifiche operate dall’art. 12 della legge n. 71 del 2022 sui cambi di funzione, occorre focalizzare gli interessi dalla stessa perseguiti. Come si è indicato, emerge come: a) resti immutato il comma 4 dell’art. 13 e, quindi, la finalità di preservare, fin dall’inizio della carriera, l’apparenza di terzietà del giudice rispetto al pubblico ministero in ambito regionale, limitandosi la possibilità di cambio in tale ambito al diverso settore (penale e civile o lavoro); b) sia stato eliminato, invece, il limite dei cinque anni, sostituito dall’unicità del cambio e, se svolto dopo i primi nove, anni dal sorgere di incompatibilità assolute rispetto alle funzioni requirenti o giudicanti penali. Il legislatore, in tal modo non persegue più la finalità di consentire la maturazione adeguata di una professionalità nelle funzioni scelte e, quindi, di impedire continue variazioni. Introducendo tali incompatibilità ritiene, invece, che, svolte le funzioni penali o requirenti, il magistrato dopo un certo periodo, divenga inidoneo ad espletare le funzioni requirenti o giudicanti penali.
La soluzione presenta degli aspetti di irrazionalità perché tale inidoneità è collegata al momento in cui il magistrato cambia, e non alla durata di svolgimento delle diverse funzioni: se ha svolto le funzioni di pubblico ministero per i primi otto anni, può fare il giudice penale, ma se ma cambia dopo i primi nove anni dopo avere svolto per un brevissimo periodo le funzioni “incompatibili”, esse gli sono precluse; allo stesso modo chi è stato giudice civile per 10-20 anni di carriera ed è stato assegnato al penale, d’ufficio o su domanda per pochi mesi, non può cambiare le funzioni dopo i primi nove anni. La riforma, pertanto, non persegue con coerenza il proposito di impedire che chi ha sviluppato la “mentalità” del pubblico ministero negli anni - secondo l’attuale dibattito politico asseritamente incompatibile con quella del giudice - possa divenire giudice penale, ma è orientata ad imporre una scelta professionale definita dopo il primo quarto di carriera nella logica del “separare purché si separi”. L’incompatibilità del giudice penale a svolgere le funzioni di pubblico ministero poi rafforza tale idea perché le è estraneo, non solo il tema della “forma mentis”, ma anche quello della “competenza”, dal momento che può assumere tali funzioni il giudice civile. In parole povere, precludendo proprio a chi ha più motivazione e competenza nel settore a mutare le funzioni, si incentiva in tal modo un’ulteriore riduzione del già ridotto numero di magistrati che mutano le funzioni[19] in modo da stimolare la maturazione di una percezione da parte dei giudici e pubblici ministeri di una reciproca estraneità per essere i loro percorsi professionali non sovrapponibili. Che quest’ultima possa rappresentare una finalità delle norme conforme al principio di ragionevolezza, posto anche che giudici e pubblici ministeri continuano ad appartenere al medesimo ordine, conservando – per espressa previsione costituzionale - identità di status e di guarentigie, e che nulla muti sul piano processuale in termini di “parità delle armi tra pubblico ministero e avvocato”, è poi discorso da affrontare in altra sede.
Conclusivamente le modifiche dell’art. 13, sollevano dei dubbi di costituzionalità che richiedono un approfondimento a parte; creano numerose incertezze interpretative e, inoltre, pongono notevoli difficoltà alla organizzazione degli uffici e alle politica consiliare dei trasferimenti orizzontali e verticali. Appare urgente, pertanto, un ricorso da parte del Consiglio Superiore ai suoi poteri paranormativi, rispettoso tanto dell’opzione legislativa appena esercitata quanto della morfologia costituzionale delle carriere e delle funzioni dei magistrati, quale garante dell’unitarietà della magistratura prevista dall’art. 104 Cost., dell’indipendenza del pubblico ministero, nonché responsabile dell’organizzazione generale degli uffici giudiziari.
[1] V. in tema su questa Rivista, A. Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati: una proposta di riforma anacronistica ed inutile, 2017. Sempre su giustiziainsieme è intervenuto sul tema anche il prof. C. Smuraglia, Il delitto Pinelli e il diritto alla verità, 2019, da poco scomparso, e che la Rivista ha recentemente ricordato .
[2] Occorre, tuttavia, quanto meno, richiamare le fonti internazionali, che consentono uno sguardo sulla questione, dall’”esterno”. La prima è la Raccomandazione REC (2000)19 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sul “Ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento penale”, adottata il 6 ottobre 2000 , ove si prevede (al punto 18) che: “…se l’ordinamento giuridico lo consente, gli Stati devono prendere provvedimenti concreti al fine di consentire ad una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e quelle di giudice , o viceversa. Tali cambiamenti di funzione possono intervenire solo su richiesta formale della persona interessata e nel rispetto delle garanzie”. Ancora si argomenta che: “ La possibilità di <> tra le funzioni di giudice e quelle di Pubblico Ministero si basa sulla constatazione della complementarità dei mandati degli uni e degli altri, ma anche sulla similitudine della garanzie che devono essere offerte in termini di qualifica, di competenza, di statuto . Ciò costituisce una garanzia anche per i membri dell’ufficio del pubblico ministero”. La seconda è il parere 9 (2014) del Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei destinato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, approvato a Roma il 17 dicembre 2014, avente ad oggetto “Norme e principi europei concernenti il Pubblico Ministero”.
[3] Per il conferimento delle (diverse) funzioni di secondo grado era necessario cambiare distretto. Anche se la norma non indicava esplicitamente se, in tal caso, per il cambio nello stesso settore fosse necessario cambiare regione ai sensi del comma 3, e non solo distretto, come affermava la norma specifica dettata dal comma 4; tale conclusione era obbligata in ragione della collocazione della norma speciale nell’ambito delle deroghe, nonché dalla ratio complessiva dell’art. 13, prevalendo le ragioni di “apparenza” rispetto a quelle enucleabili dalla diversità tra funzioni di primo e secondo grado.
[4] Funzioni incompatibili con il ruolo di parte o, quanto meno, secondo una formula solo sintatticamente contraddittoria di parte imparziale. Sul punto v. C. Sgroi, La funzione della Procura generale della Cassazione, in questionegiustizia.it, 2018.
[5] V. P. Filippi, La separazione della carriera dei magistrati: la proposta di riforma e il referendum, in questa Rivista.
[6] Ove sono richiamate le delibere che hanno escluso l’applicabilità dell’art. 13 ai trasferimenti ex art. 2; cfr. in tale senso anche sent. del T.A.R. del Lazio n. 6324 del 2009, non impugnata.
[7] Es. con delibera del 12 giugno del 2008 il Consiglio ha affermato che:”La regola per la quale il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti (e viceversa) può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata, prevista dal comma terzo all’art. 13 decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 non si applica per la prima domanda di trasferimento dei magistrati del D.M. 6 dicembre 2007 dalla sede assegnata d’ufficio al termine del tirocinio.”.»
Lo stesso legislatore, con l’art. 3-bis, comma 1 del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, conv. in legg 22 febbraio 2010, n. 24, rimaneggiando la norma che prevedeva il divieto di assegnazione delle funzioni requirenti ai magistrati dei magistrati di aveva successivamente affermato che per le sedi con scopertura superiore al 30% e prima dell’abrogazione del secondo comma dell’art. 13 ad opera dell’art. 1, , comma 2 del d.l. 168/2016, conv. in legge n. 193 del 2016, che prevedeva, appunto, tale divieto, ha disposto che "provvedimento motivato, il Consiglio superiore della magistratura, ove alla data di assegnazione delle sedi ai magistrati nominati con il decreto ministeriale 2 ottobre 2009 sussista una scopertura superiore al 30 per cento dei posti di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 4 maggio 1998, n. 133, come da ultimo modificato dal presente decreto, puo' attribuire esclusivamente ai predetti magistrati, in deroga all'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni, le funzioni requirenti al termine del tirocinio, anche antecedentemente al conseguimento della prima valutazione di professionalita'". Coerentemente ha, inoltre disposto (con l'art. 3, comma 1) che "Il trasferimento d'ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma puo' essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa all'interno di altri distretti della stessa regione, previsto dall'articolo 13, commi 3 e 4, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160”.
[8] Sentenza che è intervenuta proprio su un caso di trasferimento verso una sede disagiata con cambio di funzioni e sul diniego di un successivo trasferimento nel distretto di provenienza senza che il magistrato avesse maturato la legittimazione quinquennale.
[9] L’art. 2 della legge delega n. 150 del 2015 prevedeva che addirittura l’opzione dovesse essere esercitata già al momento del concorso, anche se poi era consentito il cambio successivo entro tale termine. Art. 2 l. n. 150 del 2005 “Principi e criteri direttivi, nonché disposizioni ulteriori. 1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere per l'ingresso in magistratura: 1) che sia bandito annualmente un concorso per l'accesso in magistratura e che i candidati debbano indicare nella domanda, a pena di inammissibilità, se intendano accedere ai posti nella funzione giudicante ovvero a quelli nella funzione requirente” (…) 4) “che, al momento dell'attribuzione delle funzioni, l'indicazione di cui al numero 1) costituisca titolo preferenziale per la scelta della sede di prima destinazione e che tale scelta, nei limiti delle disponibilità dei posti, debba avvenire nell'ambito della funzione prescelta”.
[10] Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all'interno dello stesso distretto, né all'interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell' articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni».
[11] “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all'interno dello stesso distretto, all'interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d'appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento. »
[12] L’art. 194 dell’ordinamento giudiziario (Tramutamenti successivi) prevede che il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede, non possa essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di 4 anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia. Su tale previsione interviene l’articolo 7 del disegno di che, aggiungendovi un comma, precisa che “per i magistrati che esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione il termine di cui al primo comma è di 3 anni”.
[13] “Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell'ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità’'.
[14] L. Salvato, La struttura argomentativa dei provvedimenti, l’organizzazione del lavoro e la gestione dei carichi, in giustiziainsieme.it, 2022, che cita la riflessione di F. Auletta.
[15] L’art. 2, comma 3 del d.lgs. n. 9 del 2021 prevede che 3 “Possono candidarsi per l'incarico di procuratore europeo i magistrati, anche se collocati fuori dal ruolo organico della magistratura o in aspettativa, i quali alla data di presentazione della dichiarazione di disponibilità alla designazione non hanno compiuto il cinquantanovesimo anno di età e hanno conseguito almeno la quarta valutazione di professionalità.” Una delle differenze tra le due funzioni è che il procuratore europeo, a differenza, dei PED, è collocato fuori ruolo.
[16] Richiama, in particolare, Corte cost., 11 giugno 2010, n. 209; 29 maggio 2013, n. 103, nonché Corte cost., 24 luglio 2009, n. 236 e la giurisprudenza costituzionale tedesca, sulla “retroattività “propria”, cioè comportante la modifica di un assetto di interessi già interamente definito e pienamente sedimentato tra le parti o che sopprime integralmente un’aspettativa giuridicamente qualificata connessa a un rapporto di durata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1432), a differenza dalla cosiddetta retroattività “impropria”, che si limita ad introdurre per il futuro una modificazione peggiorativa del rapporto di durata e determina anche una contrazione del momento finale di quello status che si riflette negativamente sulla posizione giuridica già acquisita dall'interessato” e sullo stesso tema Cass. civ., sez. I, 5 maggio 1999, n. 4462.
[17] Inoltre, “l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce un elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto e trova copertura costituzionale nell’art. 3 della Costituzione”. Pertanto, sebbene “non in termini assoluti e inderogabili”, “dette disposizioni non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l'affidamento del cittadino, che postula, tuttavia, il consolidamento nel tempo della situazione normativa che ha generato la posizione giuridica incisa dal nuovo assetto regolatorio, sia perché protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale idoneo a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento.”
[18] Sebbene, come ricorda A. Spataro, la Corte Costituzionale, in relazione ad un precedente quesito referendario ha affermato (sentenza 3-7 febbraio 2000, n. 37/2000) quanto segue: “la Corte non può non rilevare che il titolo attribuito al quesito dall'Ufficio centrale per il referendum "Ordinamento giudiziario: separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e requirenti" appare non del tutto adeguato, e in sostanza eccedente, rispetto alla oggettiva portata delle abrogazioni proposte, concernenti piuttosto, come si è detto, l'attuale disciplina sostanziale e procedimentale dei passaggi dall'una all'altra funzione in occasione dei trasferimenti dei magistrati a domanda”, precisando che: “Non può dirsi che il quesito investa disposizioni il cui contenuto normativo essenziale sia costituzionalmente vincolato, così da violare sostanzialmente il divieto di sottoporre a referendum abrogativo norme della Costituzione o di altre leggi costituzionali (…). La Costituzione, infatti, pur considerando la magistratura come un unico "ordine", soggetto ai poteri dell'unico Consiglio superiore (art. 104), non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni”.
[19] V. P. Filippi, La separazione della carriera dei magistrati: la proposta di riforma e il referendum, in questa Rivista.