ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. Una premessa sul senso dell’esperienza di componente delle Sezioni Unite civili. - 2. Il “giudicare” ed il “cooperare” delle Sezioni Unite. - 3. Chiarezza e concisione nelle sentenze delle Sezioni Unite. - 4. Qualche conclusione (in movimento).
1. Una premessa sul senso dell’esperienza di componente delle Sezioni Unite civili.
Per affrontare il tema indicato nel titolo vorrei muovere da una domanda: l’interpretazione di una sentenza va operata considerandola come una legge o ha natura negoziale?
Si tratta di una questione assai delicata, come dimostra il dubbio più volte emerso in sede di esame dei ricorsi proposti in sede di legittimità contro le sentenze del giudice di merito al fine di individuare il parametro normativo esatto per consentirne il sindacato. Problema affrontato da diversi precedenti ed oggetto di diverse interpretazioni e, alla fine, posto all’esame delle Sezioni Unite civili.
Cass. S.U. n.11501/2008 ha quindi ritenuto che ai fini dell'interpretazione di provvedimenti giurisdizionali si debba fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt.12 e seguenti disp. prel. cod. civ., in ragione dell'assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l'esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in quanto dotati di "vis imperativa" e indisponibilità per le parti; ne consegue che la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore. Pertanto, "la vis normativa del provvedimento giurisdizionale comporta che la correlativa esegesi debba essere coerentemente operata alla stregua della interpretazione delle norme e non di quella degli atti e dei negozi giuridici-cfr.Cass.S.U. nn. 13916/2006 e 24664/07-.
Orbene, sembra importante muovere da questo incipit per tratteggiare il ruolo nomofilattico delle Sezioni unite della Corte di Cassazione[1], in quanto la ricordata soluzione al dubbio iniziale, che dunque parifica la sentenza alla legge quanto ai parametri da utilizzare per interpretarla non risolve, ma lascia inesplorato l’ulteriore quesito in ordine a cosa sia la legge (e dunque la sentenza). Ci si interroga infatti da tempo se la legge si limiti a prescrivere una regola di condotta, che dunque non è né vera né falsa, ovvero abbia una valenza ulteriore e complessa- o come si dice, a volte, creativa- nella quale la regola astratta non è l’unico elemento che consente di descrivere il fenomeno regolato, occorrendo anche ulteriori elementi fra i quali, appunto, l’interpretazione di chi applica la legge facendola diventare norma del caso concreto[2]. Questione che arriva a lambire il tema spinoso della giurisprudenza come fonte del diritto, avendo le Sezioni Unite - Cass. S.U. n.38162/2022 - di recente offerto talune importanti considerazioni sulle quali si avrà modo di tornare nel prosieguo.
Già qui è comunque evidente che il tema del ruolo dell’interpretazione della legge costituisce il classico campo di battaglia nel quale si scontrano e si incontrano nella dottrina, nell’avvocatura e fra gli stessi magistrati diverse, anzi diversissime opinioni.
Queste ultime convergono unicamente su un dato e cioè quello di riconoscere l’ampliamento del diritto vivente, a volte descrivendosi questo fenomeno come sovversivo, eversivo o egemone rispetto al diritto scritto, soprattutto quando i canoni ermeneutici si discostano dal testo della disposizione e così valicandolo pericolosamente in nome di principi o valori dell’uomo e così spingendosi verso un’innaturale attività definita creativa del diritto[3]. Visione alla quale si contrappone una diversa prospettiva che vede nell’attuale sistema l’edificazione di una commendevole attività coerenziatrice e di collegamento della disposizione astratta al caso che ne sollecita l’applicazione e che dunque grazie al caso diventa norma effettiva[4], vivente appunto.
Insomma, questioni che fanno tremare i polsi e che quando giungono al cospetto delle Sezioni Unite assumono ancora di più rilevanza, rispetto alla complessità che emerge sovente.
Ci si è così lentamente avvicinati al cuore dell’esperienza di componente delle Sezioni Unite civili per delinearne i caratteri peculiari che sembrano giustificare un approccio particolare al tema del linguaggio e della chiarezza della giurisprudenza e degli atti difensivi che il convegno ha inteso approfondire.
2.Il “giudicare” ed il “cooperare” delle Sezioni Unite.
Si proverà dunque a spiegare il “perché” del carattere sui generis del ruolo delle Sezioni Unite attingendo per lo più alla carne dell’esperienza vissuta e dunque alle camere di consiglio sempre calibrate su un preliminare approccio preparatorio, volto in sede di “precamera” di consiglio ad inquadrare le questioni da parte di tutti i componenti in modo da focalizzare quelle più “complesse”, per le quali spesso si prende tempo perché, suol dirsi, …la notte porta consiglio… oppure ci pensiamo stanotte… ci ragioniamo su. Si giunge così all’udienza pubblica, quando c’è, che fa da preludio alla decisione finale sulla questione ormai metabolizzata e digerita grazie alle difese degli avvocati e alle conclusioni del Procuratore generale.
Un farsi della decisione delle Sezioni Unite assolutamente straordinario per un giudice abituato nel merito a decidere, in generale, “da solo” o in composizione collegiale (a tre), poi riconvertito al giudizio di legittimità con obbligatoria composizione a cinque – salvo l’istituto, di recente fattura, delle c.d. PDA[5]- e, invece, catapultato all’interno di un’esperienza davvero singolare.
Singolarità che comincia già dal luogo in cui maturano le decisioni delle Sezioni Unite.
L’Aula magna della Corte ex se incute sentimenti difficili da descrivere ma che certamente provocano un fascio di reazioni emotive in ragione del rispetto del luogo, della sua maestosità, dell’idea che sulle e nelle gigantesche poltrone delle Sezioni Unite sedettero colleghe e colleghi che “vivono” nelle massime redatte dall’Ufficio del Ruolo e del Massimario e nelle decisioni destinate a diventare “diritto vivente”[6]. Là dove il vivente non sta solo a marcare il dichiarato fine di comporre i contrasti o di delineare un principio che si offre alla comunità dei giuristi per fare chiarezza in modo più o meno definitivo sul tema giunto all’esame delle S.U. e che abbisogna di qualcosa in più rispetto al diritto scritto per porsi come regola attiva nei rapporti fra viventi. Ed è, per l’appunto, vivente perché respira attraverso la motivazione non è lapidario e marmoreo e nemmeno granitico, arrivando alla fine di un percorso spesso tortuoso, complesso, ambiguo, incerto, controverso. Niente di diverso, a ben considerare da chi ciò è persona viva, vivente.
L’essere parte o co-parte di quell’organo produce, dunque sentimenti tipicamente umani al contempo di “grandezza e di piccolezza” quando si prende consapevolezza di essere investito di una funzionalmente destinata a “fare” il diritto, per quel piccolo granello di sabbia che nel tempo ogni componente rappresenta quando accende il microfono ed espone le sue ragioni.
Si vuole qui rappresentare l’aspetto più umano del giudizio svolto dalle Sezioni Unite e così le emozioni, le paure, la rabbia, a volte, ma anche la serenità che si prova quando si prende parte alla discussione e si ascolta il “giudizio” degli altri con l’umana speranza di avere proposto “il vero”[7] – id est la soluzione più coerente, ragionevole, proporzionata, adeguata al quadro delle norme e dei valori che essa stessa è tenuta a rispettare - e di avere convinto gli altri componenti che si trasforma in ( sana) preoccupazione quando si ascoltano le opinioni concorrenti, alternative, dissenzienti in tutto o in parte.
Un’esperienza fatta anch’essa di linguaggio comunicativo, di rappresentazione delle “ragioni” che inducono verso una certa soluzione, dell’interpretazione che si propone degli argomenti espressi, di sussunzioni della vicenda nella legge e nel diritto (vivente e scritto) fatte e rifatte, con tutta la complessità che queste operazioni recano con sé.
Dunque, in sintesi, un plus di condivisioni ma anche (a volte) di contrapposizioni che il Primo presidente ed i più illuminati nelle camere di consiglio – e fra questi nella esperienza particolare e personale di chi scrive ha occupato un posto centrale la figura umana e professionale di Alberto Giusti - si adoperano per appianare, nei limiti del possibile, le tesi differenti, per trovare un ragionevole accomodamento, con un occhio attento alla coerenza della decisione con il sistema generale oltre che alla vicenda concreta ed agli indirizzi giurisprudenziali già sedimentati. Un appianamento che, a volte, non si avverte poiché vi è convergenza delle opinioni, ma altre si impone come necessario ed altre volte non si riesce a raggiungere.
Ora, il confronto a nove - spesso ancora più arricchito dalla presenza di consiglieri giovani che compongono i collegi solo per le loro cause - è qualcosa di assolutamente singolare nell’esperienza di un giudice.
Un’esperienza al tempo stesso esaltante e logorante quando, ed a chi scrive è capitato – si propone una soluzione diversa da quella poi raggiunta dalla maggioranza che, a volte, con gli esiti della votazione lascia in sonora minoranza e altre volte si ferma a quel cinque a quattro che dovrebbe abbattere anche i più resilienti.
Ecco, la “soccombenza” rispetto all’esito approvato dalla maggioranza rappresenta una delle esperienze più uniche e al contempo più arricchenti e formative, soprattutto per chi- come lo scrivente- mai ha inteso avvalersi della possibilità di chiedere la sostituzione nella redazione della sentenza-art.276, ult. comma, c.p.c.-, in essa cogliendo l’essenza del giudicare di chi compone il collegio delle Sezioni Unite, un’esperienza di servizio alla nomofilachia, capace di mettersi al servizio del sistema nel modo migliore (ma pur sempre umano) possibile[8].
Ed è qui che occorre riportare l’analisi al tema di questa sessione, al linguaggio della sentenza delle Sezioni Unite proprio quando il relatore avrebbe, se fosse stato persuasivo agli occhi della maggioranza, utilizzato argomenti capaci di sostenere la tesi offerta al collegio e poi prevalsa. Il difficile, ma il bello, viene quando si è chiamati a redigere una motivazione coerente con la decisione della maggioranza e con l’interpretazione della norma prevalsa in base agli argomenti espressi, ma che risulta distonica con gli (altri) argomenti che si sarebbero utilizzati se a prevalere fosse stata la soluzione non condivisa dalla maggioranza.
Questo conflitto interno mette in discussione, spersonalizza ma al contempo impone di mettere in campo le migliori energie per rappresentare la volontà del Collegio che è una (e unica), anche se ha preso corpo attraverso il confronto del quale si è detto sopra[9]. E qui che emerge, forse in maniera più marcata che in qualunque altra decisione collegiale diversa da quelle adottate dalle Sezioni Unite della Corte, la necessità che le motivazioni siano assolutamente coerenti ed adamantine rispetto alla soluzione adottata, lineari e non suicide o incerte o rivolte a “far capire” all’esterno che il relatore, in realtà, non era d’accordo con la soluzione adottata.
Dunque, è in questi casi che si misura forse ai massimi livelli la forza nomofilattica di una decisione delle Sezioni Unite.
Ora tutto questo credo sia parte del ruolo nomofilattico delle Sezioni Unite.
Pensare che la decisione di un conflitto o di una questione di massima di particolare importanza sia anche questo può forse aiutare gli operatori del diritto a mettere al posto giusto la funzione delle Sezioni Unite, prendendo a prestito una suggestione dell’ultimo saggio di Massimo Luciani[10]. Aiuta a rendere evidente che in tutto questa costruzione della decisione finale la tela che si può tentare di dipingere sia composta da tratti di razionalità ed al contempo di umanità che non perdono tuttavia di vista il contesto nel quale maturano le decisioni, le esperienze culturali e professionali plurime che animano i collegi delle sezioni unite, non a caso composti ogni volta da Presidenti di sezione e componenti provenienti dalle diverse sezioni della Corte- e dunque portatori i saperi ed esperienze professionali diverse -, le sempre continue (e proficue) contaminazioni provenienti dalle giurisprudenze delle Corti sovranazionali. Una composizione che, ancora una volta, è dimostrazione plastica di quanto complesso sia il diritto e di quanto il diritto vivente non possa essere in alcun modo classificato con formule matematiche.
Una prospettiva che, dunque vivifica e rende onore, in definitiva, a quel che Massimo Fioravanti ha individuato come tratto distintivo dello Stato costituzionale, appunto la “pari dignità costituzionale” di legislazione e giurisdizione, in questo contesto rappresentata dalle Sezioni Unite[11].
2.Chiarezza e sinteticità nelle sentenze delle Sezioni Unite.
Torniamo ora alla prospettiva più tecnica.
La pronunzia delle Sezioni Unite diventa il crocevia della soluzione dei contrasti fra diversi orientamenti giurisprudenziali o dell’esame di questioni di massima di particolare importanza prima ancora che giungano all’esame della sezione semplice - come è accaduto di recente per le note vicende dei provvedimenti resi dalla Giudice del Tribunale di Catania in materia migratoria-.
Intervento che, d’altra parte, è ancora necessitato per le ipotesi in cui le Sezioni Unite abbiano già affrontato la questione tornata all’esame di una sezione semplice che ritenga di non condividere la soluzione espressa dalle Sezioni Unite e che, non potendo da questa discostarsi sollecita un nuovo intervento del medesimo organo (art.374, comma 3, c.p.c.).
Per altro verso, l’intervento nomofilattico può derivare dal rinvio pregiudiziale del giudice di merito alla Corte di cassazione (art.363 bis c.p.c.) per questioni esclusivamente di diritto necessarie alla definizione anche parziale del giudizio, non ancora risolte dalla Corte di cassazione, suscettibili di porsi in numerosi giudizi e caratterizzate da gravi difficoltà interpretative. Anche in questi casi, la decisione del rinvio pregiudiziale può essere assegnata all’esame delle Sezioni Unite, vuoi perché presenta aspetti di particolare rilevanza, vuoi perché attiene a questioni che involgono il tema del riparto delle giurisdizioni[12], suscitando un intervento che vede la Corte custode dell’interpretazione più che della legalità della decisione del giudice di merito. Decisione che non è nel caso di specie “impugnata” innanzi alla Corte, ma è essa stessa richiesta di intervento del giudice di legittimità[13].
Per riassumere, la fonte di innesco della decisione delle Sezioni Unite è generalmente rappresentata da un’ordinanza interlocutoria della sezione semplice, o appunto, dalla richiesta di rinvio pregiudiziale del giudice di merito.
In entrambe le occasioni le Sezioni Unite hanno il campo già tracciato, perché la sezione semplice fissa il contorno della questione, ne evidenzia la rilevanza o i contrasti giurisprudenziali esistenti, a volte rimanendo esterna al contrasto stesso, altre rappresentando le ragioni che sembrerebbero orientare verso l’una ipotesi o l’altra.
E se i contenuti dell’ordinanza interlocutoria di una sezione semplice non sono in alcun modo fissati dal codice, più stringenti sembrano essere le regole per il giudice di merito che si rivolge alla Corte di cassazione con la richiesta di rinvio pregiudiziale dovendo rappresentare, fra l’altro, con “specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili”.
In tutti questi casi l’attività delle Sezioni Unite prosegue un percorso già iniziato da precedenti pronunzie giurisdizionali, alcune di natura decisoria, altre di natura interlocutoria, che comunque rappresentano l’ineludibile punto di partenza di un “farsi” progressivo che dà ancora oggi il senso della unità della giurisdizione.
Ecco dunque disvelarsi le caratteristiche della nomofilachia dalle stesse parole delle Sezioni Unite- Cass. S.U. n.24414/2021-:
La nomofilachia delle Sezioni Unite è un farsi, un divenire che si avvale dell'apporto dei giudici del merito e delle riflessioni del Collegio della Sezione rimettente, dell'opera di studio e di ricerca del Massimario, degli approfondimenti scientifici e culturali offerti dagli incontri di studio organizzati dalla Formazione decentrata presso la Corte, delle sollecitazioni e degli stimoli, espressione di ius litigatoris, derivanti dalle difese delle parti e del contributo, ispirato alla salvaguardia del pubblico interesse attraverso il prisma dello ius constitutionis, del pubblico ministero. Le Sezioni Unite sono dunque inserite in un contesto di confronto, di dialogo e di contraddittorio tra le parti, che consente alla Corte di legittimità di svolgere il suo ruolo con quella prudenza "mite" che rappresenta un connotato del mestiere del giudice.
Si delinea, così, in modo plastico quella che a buon titolo è definita l’arte del giudicare[14], il ruolo interpretativo svolto dalle Sezioni Unite, i cancelli nei quali esse si muovono, il prima della decisione che fa da preludio ad un poi, nel quale la sentenza che decide la questione entra nel circolo o circuito della comunità interpretativa composta dalla scienza giuridica e dai giudici di merito e viene poi testata, commentata, criticata, lodata, avversata, presa a modello del buon giudicare o del cattivo – o creativo, per alcuni - giudicare.
Ciò aiuta a comprendere il ruolo centrale degli organi giurisdizionali che attivano il rinvio alle Sezioni Unite, tanto che questo provenga da una Sezione semplice che da un giudice di merito (art.363 bis c.p.c.).
Con riferimento a tale ultima ipotesi ci si deve infatti interrogare sul valore della domanda di rinvio pregiudiziale, sul suo significato e sulla sua centralità che fa del giudice di merito volano di pronunzie di sistema, partecipe di una funzione di nomofilachia nella quale non ha più senso insistere sul ruolo verticistico della Corte di cassazione se appunto si considera che la richiesta di rinvio proviene dal giudice di merito che ha obblighi stringenti di esplicitare, pena l’inammissibilità, le ragioni che giustificano il rinvio pregiudiziale, le difficoltà interpretative in ordine alla disposizione rilevante nel processo, la opinabilità delle soluzioni, l’assenza di precedenti della Corte di legittimità, la serialità del contenzioso.
In definitiva, un giudice di merito assoluto ed incontrastato protagonista di una funzione che non è più soltanto quella del “giudicare”, ma si arricchisce per diventare funzione del “cooperare”, del “giustificare” non la decisione-soluzione della questione ma, anzi, la complessità del tema, esponendo argomenti plurali che possono in astratto essere utilizzati per la decisione dalla Corte di cassazione.
Una funzione del cooperare che, d’altra parte non è meno intensa, anzi assume tratti ancora più marcati quando sia la stessa Corte di cassazione, con una sua sezione, a “decidere di non decidere” rimettendo la questione all’esame delle Sezioni Unite[15]. Il rinvio alle Sezioni Unite rappresenta nel sistema una straordinaria opportunità di confronto fra rimettente e Sezioni Unite, capace di germinare frutti tanto più fecondi quando il rinvio non sia fatto perché si è sicuri che le Sezioni Unite adotteranno una certa linea ma, appunto, perché si ha la consapevolezza che l’autorevolezza delle Sezioni Unite, l’ampiezza del dibattito che all’interno potrà nascere, l’apporto a quella decisione dei diversi costruttori potranno fornire contribuirà a dare vita ad una soluzione “giusta”.
In questo cooperare sta, probabilmente, il futuro dei giudici e degli avvocati, ai quali ultimi non può e non deve sfuggire la funzione pubblica che essi hanno tanto quanto l’hanno i giudici, cooperando insieme alla giurisdizione per un sistema sempre più effettivo ed efficace di protezione dei diritti fondamentali in un piano di assoluta equi ordinazione con la giurisdizione. Prospettiva, quest’ultima, capace di lasciare sullo sfondo il ragionare fondato su schemi gerarchici e che consente di dare un senso all’art.101 Cost. ed alla guarentigia che esso prevede per i giudici.
E per riprendere una riflessione lasciata in sospeso all’inizio sul ruolo della giurisdizione rispetto al tema delle fonti, sono ancora le espressioni utilizzate dalle Sezioni Unite (Cass.S.U., n.38162/2022) in tema di trascrizione dell’atto di nascita di minori nati all’estero e frutto di concepimento per il tramite della c.d. maternità surrogata a rendere evidente l’in se della funzione nomofilattica.
Chiamate a verificare se la richiesta di trascrizione avanzata dal genitore sociale del minore potesse trovare una base giuridica interna tale da renderla compatibile con l’ordine pubblico internazionale, le Sezioni Unite descrivono, per un verso, la funzione del giudice rispetto all’interpretazione dei principi e delle clausole generali[16], mettendo in risalto il travaglio della decisione, il senso della ricerca, dello scavo[17], la coscienza del giudicare e la responsabilità che ne consegue, sempre più condivisa, partecipata, dialogata.
Uno scavo che incontra dei limiti rispetto al compito riservato al legislatore[18], tanto più quando essi sono stati circoscritti dal giudice delle leggi; limiti che, tuttavia, non possono essere indefiniti ed indeterminati se il potere legislativo protrae la situazione di stallo e di inerzia[19]. Serve piuttosto che i vuoti che la giurisprudenza a volte colma vengano considerati nel contesto che si è cercato di delineare a proposito del giudicare sui generis delle Sezioni Unite, al contempo metro e misura del buon giudicare, capace di vincere la prospettiva creazionista in nome di canoni riempiti di legalità connessa al sistema processuale che fissa regole precise per giudici di merito e di legittimità rispetto al ruolo della pronunzia delle Sezioni Unite, di ascolto, di dialogo, di cooperazione[20] e di fiducia reciproca fra i diversi costruttori del diritto[21].
È dunque anche la coscienza sociale[22], alla quale guarda come valore fondamentale l’art.2 Cost., ad imporre una regolamentazione, una disciplina che, ricercata nel sistema, è necessario fare emergere per garantire la civile convivenza ed il rispetto dei diritti fondamentali ma anche la tutela rispetto alle naturali cambianti che prendono corpo e vivono nella società[23].
Ecco così tratteggiarti i compiti ed il ruolo della nomofilachia, tutta protesa a realizzare quello che sembra impossibile tenendo insieme i precedenti, le dinamiche sociali, le voci provenienti dagli altri plessi giurisdizionali, l’apporto dell’Accademia e delle parti processuali e di chi ha cooperato alla decisione finale[24]. Dunque, un’attività dinamica di raccordo e di emersione delle polarità[25] che finisce, in definitiva, per dare il senso massimo della legittimazione del giudice (di qualunque giudice, di merito e di legittimità) ad operare nel mondo del diritto con i tratti che la comunità dei giuristi conosce[26], talvolta apprezzandoli, talaltra criticandoli anche aspramente.
4.Qualche conclusione (in movimento).
È giunto il momento di mettere qualche punto fermo.
Il linguaggio della nomofilachia, se è destinato a rispondere ad un’esigenza di chiarezza e di risoluzione di conflitti interpretativi o di determinazione di un diritto vivente destinato a realizzare l’uniforme interpretazione del diritto, deve essere utilizzato in maniera accorta dalle Sezioni Unite, per evitare che le stesse proposizioni utilizzate delle Sezioni Unite siano oggetto di quelle incertezze interpretative che l’intervento chiarificatore ha inteso appianare.
Tanto più è elevata la necessità di porre un punto fermo su una questione, quanto più chiara e lineare dovrà essere la soluzione adottata.
Per altro verso, il carattere sui generis delle pronunzie delle Sezioni Unite abilita forse a ritenere che il canone della sinteticità mal si addice alla soluzione delle questioni ad essa demandata, abbisognando degli aggiustamenti, appunto correlati alla complessità delle vicende trattate. Il che non giustificherà certo la redazione di “sentenze trattato”, ma renderà necessaria la “messa in campo” delle argomentazioni capaci di offrire quella stabilità a livello massimo la persuasività e stabilità della decisione[27].
Ciò non vuol dire che la pronunzia sia la verità assoluta, essa appunto inserendosi nel circuito interpretativo del quale si è detto in un moto che non è dunque destinato mai a concludersi, ma semmai ad arrestarsi temporaneamente per poi essere eventualmente rivalutato in relazione a fattori plurimi che caratterizzano oggi il diritto, rispetto ai quali il fiorire di diritti viventi provenienti dalle Corti sovranazionali e dalle Carte dei diritti nazionali e sovranazionali rendono mobile ed in un continuo movimento che va, peraltro, necessariamente mediato con le assolutamente legittime e parimenti centrali prospettive di salvaguardia dei canoni di certezza e prevedibilità[28], all’interno di una continua e mai paga ricerca di un bilanciamento fra i diritti, i valori ed i principi che animano la società.
Perciò, concludere queste riflessioni è abbastanza agevole se si afferma che le Sezioni Unite non pongono fine ai contrasti, ma li appianano come è giusto che sia in un sistema improntato ai valori del confronto fra diverse opinioni alle quali va data, necessariamente coerenza ed uniformità[29].
Si tratta di una prospettiva pienamente condivisa con la giurisprudenza della Corte edu che, anche di recente, ha avuto modo di apprezzare, esaminando una vicenda originata in Serbia, come l’esistenza di fisiologici contrasti interni di giurisprudenza su una questione di natura processuale destinata a ripetersi in modo frequente avevano trovato soluzione attraverso un “parere” espresso dalla Corte suprema al sulla base di un parere preventivo (previsto dall’art.176 del codice di procedure serbo) assai simile a quello previsto dall’art.363 bis c.p.c. al quale erano seguite pronunzie dei giudici di merito allo stesso conformi. Questo ha consentito alla Corte edu di riconoscere che non potevano dirsi presenti nel caso differenze profonde e duratura nella giurisprudenza nazionale tali da giustificare la violazione del giusto processo (art.6 CEDU)[30].
Un’uniformità che tuttavia vale fintantoché il composito e complesso piano del diritto non richieda un nuovo intervento che potrà essere sollecitato nelle forme che il sistema prevede, alla continua ricerca della verità[31] e con la straordinaria carica di vitalità che questa prospettiva, agli occhi di chi scrive, arricchisce la funzione di chi opera nel diritto e la rende essa stessa in continuo movimento[32]. Il che, beninteso, non assolve in alcun modo la Corte di cassazione e le Sezioni Unite dalle sue criticità, ben note alla comunità dei giuristi, pure di recente ricordati dal Presidente Ernesto Lupo[33]. Tenta semplicemente di rappresentarne il volto umano, come tale imperfetto, ma pur sempre vivo, per quel che ancora oggi possa valere.
* Intervento svolto al Convegno organizzato dal Prof. D. Velo Dalbrenta presso l’Università di Verona il giorno 1° dicembre 2023 sul tema “Il ragionamento giuridico tra deontologia e senso comune.” Le opinioni espresse nel presente articolo sono rese a titolo personale e non possono dunque in alcun modo impegnare la Corte di cassazione.
[1] Giova fin da subito chiarire che nella prospettiva che condivido la nomofilachia appartiene all’intera giurisdizione, di merito e di legittimità, per ragioni altre volte espresse ed alle quali rinvio, per quel nulla che può valere-R.G. Conti, Nomofilachia integrata e diritto sovranazionale. I “volti” della Corte di Cassazione a confronto, in Il giudizio civile di cassazione, Quaderno n.20 a cura della Scuola superiore della magistratura, 2022, 177, consultabile anche sul sito della SSM (https://www.scuolamagistratura.it/ e nelle pubblicazioni ufficiali dell’IPZS -https://www.bv.ipzs.it/.
[2] V. R. Rordorf, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, Libro dell’anno 2012, Treccani.
[3] S. Chiarloni, Ruolo della giurisprudenza e attività creative di nuovo diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002,1.
[4] F. Roselli, Il principio di effettività e la giurisprudenza come fonte del diritto, in Riv. dir. civ., 1998, II, 23.
[5] Istituto, quello introdotto dal riformato art.380 bis c.p.c. che non può essere oggetto di esame ma che, all’interno della Corte di cassazione, è oggetto di riflessione articolata all’interno di un gruppo di lavoro intersezionale appositamente costituito dalla Prima Presidenza proprio al fine di offrire orientamenti volti a garantire una certa uniformità alle tecniche di motivazione che possano in tal modo orientare i magistrati della Corte ed il Foro. V., in generale, sul tema della motivazione dei provvedimenti della Corte di Cassazione, le indicazioni elaborate dal Primo Presidente Ernesto Lupo e la relativa relazione, in Foro it., 2011, V, 183.
[6] G. Evangelista-G. Canzio, Corte di cassazione e diritto vivente, in Foro it., 2005, V, 82. G. Borrè, P. Martinelli e L. Rovelli su Unità e varietà nella giurisprudenza. A proposito della c.d. rotazione in Cassazione, in Foro it., 1999, V, 45.
[7] Sia consentito il rinvio a R. Conti, Il mestiere del giudice ed il diritto incordato di verità, in Accademia, n.1/2023, 313.
[8] Una precisazione occorre fare a proposito dell’uso del termine verità che qui come in altra occasione si propone. Un’idea sicuramente dicotomica rispetto al brocardo «Auctoritas, non veritas, facit legem» invece intesa soprattutto come valore, come prospettiva e per dirla con Massimo Vogliotti -Perché una cattedra intitolata ad Alessandro Galante Garrone? La crisi dello Stato costituzionale di diritto, la distopia nichilistica e l'esigenza di una nuova educazione giuridica, in L’arcipelago del diritto. Lezioni per i futuri naviganti. In ricordo del decennale della cattedra Galante Garrone, a cura di M. Vogliotti, Torino, 2022, 54- come “funzione concettuale” che "attiviamo quando diciamo o pensiamo "è vero", "è falso", "non è vero"», fino ad ipotizzare che il diritto, come il linguaggio, altro non è che una convenzione basata su veridicità e fiducia. Orbene, fatta questa premessa, a sposare la logica dei vincitori e dei vinti e della verità processuale “unica” di cui al testo, si dovrebbe sostenere che nel caso di decisione finale diversa da quella proposta dal relatore appena ricordata nel testo abbia perso la tesi (la verità) del relatore ed abbia vinto quella della maggioranza delle Sezioni Unite. Eppure a chi scrive pare che tale sia logica profondamente errata quando si discute di giustizia e di sentenze, proprio alla luce dell’esperienza viva vissuta all’interno delle Sezioni Unite. A ben considerare, la verità introiettata nel giudicato reso in funzione nomofilattica non può realizzarsi senza i contributi, parimenti indispensabili, di chi, all’interno del Collegio decidente, credeva in un’altra verità ed ha contribuito alla ricerca, alla “invenzione” della verità poi espressa nel giudicato. Una verità che, malgrado il giudicato, potrebbe peraltro non essere quella finale e che si presta ad essere, in astratto, messa in discussione dai seguiti che la sentenza stessa produce nella dottrina e nella stessa giurisprudenza. Come è noto, infatti, non esiste nel nostro ordinamento il principio della vincolatività della giurisprudenza di legittimità sugli altri giudici, gli stessi pienamente legittimati a porla in discussione, in maniera argomentata, al punto di prospettare l’incostituzionalità della decisione o la contrarietà a parametri sovranazionali ed in tal modo invitando altre Corti a verificare il fondamento ultimo di quella verità coperta dalla pronunzia delle Sezioni Unite. E che quanto qui esposto appartenga al campo del plausibile trova conferma, a titolo esemplificativo, nelle diverse prospettive che hanno animato le Sezioni Unite nel decidere, in funzione nomofilattica, un contrasto interno alla Corte sul tema della procura speciale nei ricorsi per cassazione in materia di protezione internazionale. A pochi giorni distanza dalla decisione adottata- Cass.S.U. n. 15177/2021- la terza sezione civile -Cass.n.17970/2021 - si è rivolta alla Corte costituzionale prospettando vizi di costituzionalità che la sentenza anzidetta aveva ritenuto manifestamente infondati. Questione di costituzionalità poi decisa da Corte cost.n.13/2022. V. sul punto, G. Famiglietti, Autentica della firma e certificazione della data per me pari sono. Il doppio onere relativo alla procura speciale per il ricorso in Cassazione in materia di protezione internazionale al vaglio della Corte costituzionale (commento alla sent. n. 13/2022), in Diritto, immigrazione, cittadinanza, n.2/2022, 307. Non meno sintomatico delle considerazioni appena espresse risulta la vicenda, sulla quale si tornerà nel testo, della trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero relativi a minori nati a seguito di maternità surrogata che ha visto una sezione della Corte di Cassazione rivolgersi dapprima alle Sezioni Unite e poi mettere in discussione, sotto il profilo della tenuta costituzionale, la decisione da quell’organo resa sollevando questione di legittimità costituzionale e, quindi, nuovamente investendo le Sezioni Unite a seguito dell’ordinanza che aveva ritenuto infondati i dubbi di costituzionalità prospettati.
[9] Quanto detto nel testo corrisponde, del resto, alle dinamiche delle decisioni assunte dalla Corte costituzionale e fotografate dal recente comunicato del 19 dicembre 2023 della Consulta- consultabile sul sito della Corte costituzionale- ove si afferma, tra l’altro, che “è fisiologico che vi possano essere diversità di opinioni tra i singoli giudici, come accade del resto in ogni organo giurisdizionale collegiale. In queste situazioni, la decisione non può che essere adottata a maggioranza, e vincola l’intera Corte, compresi i giudici dissenzienti.”
[10] M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023.
[11] M. Fioravanti, Per una storia della legge fondamentale in Italia: dallo Stato alla Costituzione, in M. Fioravanti, (a cura di), Il valore della Costituzione. L’esperienza della democrazia repubblicana, Roma, Bari, 2009, 32.
[12] È questo il caso del rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Agrigento sul tema delle controversie in tema di incentivi introdotti dalla decretazione di urgenza post Covid in favore di imprenditori e proferssionisti-R.G.7201/2013, Provv.Primo Pres. 18.4.2023. Vicenda approdata all’esame delle Sezioni Unite e decisa con la recente Cass.S.U., 13 dicembre 2023 n.34851. V. anche R.G.n.12668/23, Provv.Primo pres.P.7.7.2023, R.G.13777/2023, Provv. Primo. Pres. 26.7.2023, R.G.n.16885/2023, Provv.P.P. 18.9.2023, tutti inseriti nel sito internet della Corte di cassazione.
[13] V., per la vicenda approdata all’esame delle Sezioni Unite indicata alla nota precedente su rinvio pregiudiziale della Corte di giustizia tributaria di Agrigento la recente Cass.S.U., 13 dicembre 2023 n.34851.
[14] G. Rossi, “Suum cuique tribuere”:il render giustizia e la sua “narrazione”, tra diritto e arte, in L’arte del giudicare. Percorsi ed esperienze tra letteratura, arti e diritto, a cura di G. Rossi, D.Velo Dalbrenta, C. Pedrazza Gorlero, Napoli, 2022, 20; F. Puppo, Dell’inutilità del processo in Salvatore Satta, ibidem,174.
[15] In questa prospettiva può essere ricordata la vicenda della rilevanza, ai fini delle unioni civili, della pregressa convivenza che una sezione della Corte di cassazione-Cass.n.2507/2023-, chiamata per la prima volta ad interpretare la nuova legge varata all’esito di alcune pronunzie della Corte edu, ritenne di rinviare all’esame delle Sezioni Unite offrendo delle possibili chiavi di lettura in ordine al testo normativo ed al contesto nel quale esso era maturato. Prospettive poi condivise dalle S.U.- Cass.S.U. n.35969/2023-. Ora, al di là del merito della vicenda, non può sfuggire che la soluzione maturata dalle Sezioni Unite sia dotata di un grado di autorevolezza particolare, proprio perché promossa da una sezione semplice della Corte di cassazione, anch’essa pienamente partecipa della funzione nomofilattica pur se non espressa attraverso la forma del “giudicare” ma in quella del “cooperare”.
[16] Cfr.Cass. S.U. n.38162/2022, più volte qui richiamata: “Nell’attesa dell'intervento, sempre possibile ed auspicabile, del legislatore, il giudice, trovandosi a dover decidere una questione relativa allo status del figlio di una coppia omoaffettiva, non può lasciare i diritti del bambino indefinitamente sospesi, ma deve ricercare nel complessivo sistema normativo l'interpretazione idonea ad assicurare, nel caso concreto, la protezione dei beni costituzionali implicati, tenendo conto delle indicazioni ricavabili dalla citata sentenza della Corte costituzionale.
[17] P. Grossi, Prefazione a Il mestiere del giudice, a cura di R. G. Conti, Padova, 2020, XVI: “Il vecchio giudice, condannato ad essere ‘bocca della legge’ dai riduzionismi strategici degli illuministi (dapprima) e dei giacobini (successivamente), non può che togliersi volentieri di dosso la veste opprimente dell’esegeta, ormai del tutto inadatta, e indossare quella dell’interprete, dell’inventore, intendendo la sua operazione intellettuale irriducibile in deduzioni di semplice natura logica (come in una celebre pagina di Beccaria) e concretizzabile piuttosto in una ricerca, in un reperimento, con le conseguenti decifrazione e registrazione. Quello che mi sentirei, invece, di rifiutare, decisamente perché fonte di più che probabili malintesi, è il sintagma ‘creazione giurisprudenziale’, .... Infatti, è proprio di ‘creazione ‘ e di ‘creazionismo’ che parlano gli adepti del legalismo statalistico stracciandosi le vesti di fronte a un ruolo, innaturale perché para-legislativo, conferito (almeno secondo loro) ai giudici dalla riflessione ermeneutica. Insisterei, come ho fatto anche di recente, su un ruolo inventivo, marcando bene che si fa esclusivo riferimento alla inventio dei latini consistente appunto in un ‘cercare per trovare’.”
[18] Cfr. Cass., S.U. n.38162/2022, cit.: Anche quando non si trova al cospetto di un enunciato normativo concepito come regola a fattispecie, ma è investito del compito di concretizzare la portata di una clausola generale come l'ordine pubblico internazionale, che rappresenta il canale attraverso cui l'ordinamento si confronta con la pluralità degli ordinamenti salvaguardando la propria coerenza interna, o di un principio, come il migliore interesse del minore, in cui si esprime un valore fondativo dell'ordinamento, il giudice non detta né introduce una nuova previsione normativa. La valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l'assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore. La giurisprudenza non è fonte del diritto. Soprattutto in presenza di questioni, come quella oggetto del presente giudizio, controverse ed eticamente sensibili, che finiscono con l'investire il significato della genitorialità, al giudice è richiesto un atteggiamento di attenzione particolare nei confronti della complessità dell'esperienza e della connessione tra questa e il sistema. Si tratta di temi, infatti, in rapporto ai quali lo stesso diritto di famiglia, nel mentre riflette, come uno specchio, lo stato dell'evoluzione delle relazioni familiari nel contesto sociale, tuttavia non può prescindere dal sistema, affidato anche alle cure del legislatore. Ciò vale soprattutto in una vicenda, come l'attuale, nella quale si profila un ambito di discrezionalità del legislatore che la Corte costituzionale ha inteso preservare, indicando un percorso di collaborazione istituzionale nel quadro di un bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata e l'imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori.
[19] Cfr. Cass. S.U. n.38162/2022, più volte citata: Il rispetto del pluralismo e dell'equilibrio tra i poteri, profilo centrale della democrazia, perché la ricerca dell'effettività deve seguire precise strade compatibili con il principio di leale collaborazione e con il dialogo istituzionale che la Corte costituzionale ha avviato con il legislatore. La presa d'atto che talora la ricerca dell'effettività richiede un camminare in direzione di una meta non ancora completamente a portata di mano, perché la gradualità concorre a far assorbire il cambiamento e le novità nel sistema, con la giurisprudenza che accompagna ed asseconda l'evoluzione che si realizza nel costume e nella coscienza sociale. La coerenza degli orientamenti giurisprudenziali, giacché le nuove frontiere dell'interpretazione che aspirino a offrire stabilità e certezza non conseguono a bruschi cambiamenti di rotta, ma sono il frutto di un progredire nel dialogo con i precedenti, con le altre Corti e con la cultura giuridica. Non c'è spazio, in altri termini, né per una penetrazione diretta - attraverso la ricerca di un bilanciamento diverso da quello già operato dal Giudice delle leggi - di quell'ambito di discrezionalità legislativa che la Corte costituzionale ha inteso far salvo, né per una messa in discussione del punto di equilibrio da essa indicato.
[20] V. G. Canzio, Corte di cassazione e Corte costituzionale: il diritto vivente quale fondamento del giudizio di legittimità costituzionale, in questa Rivista, 15 dicembre 2023.
[21] T. Greco, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Roma, 2021.
[22] V. A Giusti, Tutela effettiva dei diritti, ordinamento vivente e coscienza sociale nelle sentenze della Corte di cassazione", Relazione tenuta all’incontro svolto il 12 aprile 2018 presso la Corte di Cassazione, consultabile sul sito internet di Radio radicale
[23] Estremamente significativo un passaggio di recente espresso dalle Sezioni Unite civili – Cass., S.U., 18 dicembre 2023, n.35385 - chiamate a valutare l’incidenza della convivenza prematrimoniale sulla commisurazione dell’assegno divorziale, offrono all’interprete un’immagine comune della evoluzione sociale e del diritto vivente, inestricabilmente destinati ad alimentarsi vicendevolmente. Da un lato si legge in Cass., S.U. n.35383 che “la convivenza prematrimoniale è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca "un accresciuto riconoscimento - nei dati statistici e nella percezione delle persone - dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali". A questa continua metamorfosi delle vicende umane, proseguono le Sezioni Unite, “costantemente si ripresenta, soprattutto nella materia del diritto di famiglia, l'esigenza che la giurisprudenza si faccia carico dell'evoluzione del costume sociale nella interpretazione della nozione di "famiglia", concetto caratterizzato da una commistione intrinseca di "fatto e diritto", e nell'interpretazione dei vari modelli familiari.” Per tali ragioni, dunque “tra i canoni che orientano l'interpretazione della legge deve annoverarsi anche quello dell'interpretazione storico - evolutiva, "che si aggiunge ai canoni letterale, teleologico e sistematico e, nutrendosi anche del diritto positivo successivo alla disciplina regolatrice della fattispecie, getta sulla stessa una luce retrospettiva capace di disvelarne significati e orientamenti anche differenti da quelli precedentemente individuati”.
[24] G. Canzio, Il ruolo e la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, in Dire il diritto nel XXI secolo, Milano, 2022,99.
[25] M. Naro, La verità nel suo rovescio, L'altra parola: Riscritture bibliche e questioni radicali, Roma, 2022, 224: “…Sentire i contrari significa invece oltrepassare l’apparenza fenomenica in cui essi si lasciano avvertire, penetrare nel loro più intimo orizzonte e, al contempo, interiorizzarli entrambi in sé: per scoprire che essi non sono semplicemente e inappellabilmente contrapposti, bensì polarmente posti. La loro polarità, seppur li oppone, li fa anche esistere in reciproco riferimento. I contrari, polarmente sentiti, sono l’uno dell’altro, l’uno per l’altro. A tal punto che, escludendosi, essi cessano di essere. I poli sono tali- anzi, assolutamente: sono- in quanto si esigono a vicenda.”
[26] A. Nappi, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Torino,2011, 11.
[27] In termini generali, sul linguaggio delle sentenze della Corte di Cassazione, v. A. Virgilio, Lo stile delle sentenze della Corte di cassazione, in Foro it., 1987, V, 265.
[28] R. Bin, Funzione uniformatrice della Cassazione e valore del precedente giudiziario, in Contr. e impr. 1988, 545.
[29] E. Lupo, Il giudizio interpretativo tra norma scritta e diritto effettivo, in questa Rivista, 28 dicembre 2023, par.4.. V., volendo, R. Conti, Il mutamento del ruolo della Corte di cassazione fra unità della giurisdizione e unità delle interpretazioni, in Consultaonline,2015, III, 807.
[30] Cfr.Corte edu, 12 gennaio 2021, Svilengaćanin e a. c. Serbia – ric.n. 50104/10 –.
[31] Una verità, quella a cui si fa cenno nel testo ricostruita, ricercata, scoperta nel processo, attraverso gli avvocati, autentici motori dei diritti, con l’ascolto delle parti, con l’esame del caso, filtrata dalla carnalità dei fatti e rivisitata ed arricchita alla luce dei valori fondamentali dell’uomo che possono e devono irrorare il giudizio di verità. E non perché la verità sia patrimonio del giudice ed il giudice sia il tiranno della verità o sia egli stesso titano-Prometeo. Ma, tutto al contrario, perché è il giudizio, il processo, il luogo eletto per raggiungere una delle verità possibili del mondo degli umani attraverso chi è al suo servizio -v., volendo, R. G. Conti, Prometeo, il Potere, l’uomo e la giustizia fra l’umano e il divino, in Ordine internazionale e diritti umani, 2023, pp. 482-487; id., Appunti su alcuni aspetti della verità nel diritto, in Diritti comparati, n.3/2022, 826. V., ancora, R. Rordorf, A. Gentili, I civilisti e la verità, Intervista a cura di R.G. Conti, in corso di pubblicazione sul n.4/2023 di Accademia.
[32] R. Conti, Il mutamento del ruolo della Corte di cassazione fra unità della giurisdizione e unità delle interpretazioni,cit..
[33] E. Lupo, Il giudizio interpretativo tra norma scritta e diritto effettivo, cit..
Sommario: 1. Vent’anni dopo – 2. Clientela vecchia e nuova – 3. Ombre crescenti – 4. Le cose cambiano – 5. La ‘’Bozza Cendon’’ del 1986 – 6. Scorciatoie, espedienti gestionali – 7. Sotterfugi disciplinari, esempi stranieri – 8. Un metro empirico di valutazione – 9. Economia domestica – 10. Fare male, non fare affatto – 11. Rischi accentuati – 12. Una treccia a tre fili colorati – 13. Crisi del consenso presunto – 14. Prima no e poi sì – 15. Negozi di tipo personale – 16. Una distinzione importante – 17. Sì da una parte, no dall’altra – 18. Centralità della persona del beneficiario – 19. Soggetti deboli e soggetti indeboliti – 20. Persone con disagi psichici – 21. Altri esempi – 22. Messe a confronto – 23. No a privilegi eccessivi – 24. Gli artt. 428 e 2046 cod. civ. – 25. Quando l'amministratore non può essere un familiare – 26. Casistica – 27. Abrogare l’interdizione – 28. Neppure ha senso oggi l’inabilitazione – 29. Conferme – 30. Ragioni a favore della dignità e libertà – 31. Spirito e linee dell’AdS: spiegare e diffondere – 32, Formazione, sensibilità a 360° – 33. Haters seriali, gruppi antipsichiatrici – 34. Scontentezze croniche – 35. Astuzie nei media – 36. Che fare – 37. Il mondo dei giudici – 38. Disfunzioni – 39. Decreti-fotocopia - 40. Occuparsi degli altri – 41. Resistenze, manchevolezze – 42. Disparità comunicative – 43. Correttivi, aggiustamenti – 44. Il patto di rifioritura – 45. Quattro storie – 46. Matrimonio sì o no – 47. Ultime volontà – 48. Atti della vita quotidiana – 49. Neo-sovranità negoziali – 50. Eluana Englaro – 51. Altre vicende – 52. Il mandato di protezione – 53. Inconvenienti di un assetto pan-negoziale – 54. Il profilo esistenziale di vita – 55. Comportamenti, abitudini – 56. Procedure – 57. Il patrimonio con vincolo di destinazione – 58. Dettagli – 59. L’ufficio-sportello comunale per la fragilità – 60. Espletamenti burocratici.
1. Vent’anni dopo
Pochi istituti privatistici hanno conosciuto, nel bilancio che possiamo trarre, a vent’anni dall’approvazione parlamentare, una crescita impetuosa come l’Amministrazione di sostegno. Si è molto allargata dal 2004 – prima notazione sociologica/disciplinare – la ‘’clientela’’ di riferimento. La lista dei beneficiari comprende ormai non soltanto sofferenti psichici, in senso stretto, ma in generale tutti coloro che, per serie ragioni, ‘’non ce la fanno’’ a gestirsi utilmente, sotto il profilo esistenziale. Ad esempio, anziani non più padroni di sé, esseri affetti da disabilità fisiche, malati contingentemente in difficoltà; oppure vittime di dipendenze, di ictus pesanti, portatori di disturbi invalidanti, nonché, secondo alcuni interpreti, analfabeti di ritorno, carcerati, eremiti irriducibili, homeless, migranti. E a rientrare nel raggio della protezione, come la Cassazione ha più volte riconosciuto, sono altresì coloro i quali erano affidati un tempo, in via esclusiva, alle competenze tecniche dell’interdizione, ossia gli infermi mentali gravi.
2. Clientela vecchia e nuova
Per la maggior parte i destinatari appartengono oggi, statisticamente, a tipologie di persone le quali non stanno – ecco la zona grigia del disagio – abbastanza bene da cavarsela da sole, in qualsiasi frangente; e che neppur risultano, sul piano fisiologico e spirituale, debilitate al punto da dovere essere sostituite, nell’area patrimoniale o non patrimoniale, interamente e per sempre. Creature a metà fra il bianco e il nero, nel campionario della mancata autosufficienza. Individui i quali sarebbero, un tempo, rimasti ai margini del diritto, abbandonati a se stessi: in balia del destino, delle proprie inettitudini, degli stenti, delle altrui incurie o cattiverie. Oggi è sempre meno così, anche di fatto. Attualmente gli ’’amministrati’’ in Italia sono all’incirca 400.000, il ritmo espansivo del presidio ex art. 404 cod. civ. è stato crescente, in percentuale, di anno in anno. Gli interdetti giudiziali sono oggi 140.000; si tratta in parte di persone le quali erano già interdette nel 2004, che non sono defunte nel frattempo, e che non sono state fin qui, per le ragioni più varie, “disinterdette" dai Tribunali, come pure era teoricamente possibile. Gli inabilitati sono press’a poco 20.000.
3. Ombre crescenti
Col passare degli anni alcune difficoltà, in vista della salvaguardia dei più fragili, sono venute acuendosi. Così, ad esempio, per effetto dei contrasti fra teoria e pratica del diritto. Da un lato i proclami, si osserva, delle convenzioni internazionali, del diritto europeo, della legislazione nazionale e regionale: con nobili affermazioni di principio, sulla carta, con un proliferare di vessilli e declamazioni, circa le prerogative degli esseri vulnerabili, in merito agli obblighi dello Stato, delle pubbliche istituzioni. Dall’altro lato le contro-segnalazioni del welfare in affanno, in quell’ambito, degli impegni rinviati o disattesi: allorquando emerga di giudici che scarseggiano, in particolare, di cancellieri che non vengono rimpiazzati, di fondi decurtati o dirottati altrove, di decreti dell’AdS impersonali, troppo standardizzati, di amministratori di buon cuore che latitano. O quando si sappia – aggiunge qualcuno – dell’assistenza domiciliare che verrà sospesa, a partire dal mese prossimo, del day hospital che sta per chiudere, salvo miracoli; degli sportelli che non apriranno subito, in Comune, del consultorio che accorcerà gli orari, del corso di formazione non più finanziabile.
4. Le cose cambiano
Forte in effetti il pericolo – si continua – che situazioni di relativo splendore possano, da un giorno all'altro, iniziare a perdere colpi, anche per quanto riguarda i più esposti alle intemperie; con uffici man mano anchilosati da tensioni interne, frustrati in qualche fantasia di riassetto, via via meno incisivi negli interventi, ridotti a gusci sostanzialmente vuoti. Neo forme di debolezza poi – sul piano dell’efficienza informativa, nella giungla burocratica, dei saperi e accessi tecnologici – che si affacciano insidiose; e non è detto che le difese rituali, per chi resti emarginato comunicativamente, saranno sempre utilizzabili. La scarsezza di risorse che incombe poi, a livello economico, deludendo e offuscando i sogni migliori, presso i consigli comunali e regionali; ed è già chiaro come alcune garanzie, quanto al lavoro dei malati di mente, o per l’aiuto scolastico agli allievi con disabilità, a proposito dei care giver, dei protettori di minori non accompagnati, non siano generalizzabili oltre una certa soglia, nelle rivendicazioni delle magistrature più alte. Psichiatri o psicologi i quali traslocano, per sempre talvolta; pensionamenti a raffica, assistenti sociali orientati a cambiare reparto, giudici chiamati a fare carriera altrove. Come evitare – se quella orale, mimica o gestuale è la forma con cui i disadattati si raccontano di solito, attraverso cui parlano e rispondono all’esterno – che ogni cambio fra i custodi, fra gli interlocutori abituali o prediletti, disperda ricchezze preziose? Vanificando subliminarità e automatismi, giochi di sinapsi scontati fino ad allora, pre-comprensioni collaudate negli anni?
5. La ‘’Bozza Cendon’’ del 1986
Molteplici i fattori che, grazie anche alla collaborazione di studiosi di altri Atenei, indurranno un gruppo di giuristi dell’Università di Trieste – dopo lo svolgimento dell’importante convegno tenutosi alla Stazione Marittima nel giugno del 1986, "Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione’’ – a stendere quell’estate una neo intelaiatura per gli assetti inerenti, nel codice civile, al continente dei ‘’civilmente disadattati’’. Occorreva per i redattori prendere atto, anzitutto, che la quasi totalità delle persone con disturbi mentali, salvo quelle accolte in cliniche private o in micro-istituzioni, erano destinate a vivere – dopo il 1978 – non più all’interno di un "Moloch totalitario’’, di un formicaio compattato della Sanità; bensì in famiglia, quella d’origine o quella propria, oppure in micro comunità, certuni in appartamenti alloggio, magari in un’abitazione da soli. A casa propria insomma. Non poteva prorogarsi allora, in via ulteriore, un sistema di risposte concepite nell’'800 per destinatari ammassati abitativamente, parti di un mega ingranaggio, a porte chiuse dall’interno. Con la “Chose sanitaria e inframuraria’’ che custodiva stabilmente gli ospiti, da un lato, e che aveva se non altro il merito di provvedere, mese per mese, più o meno gratis, al soddisfacimento dei loro bisogni elementari (dormire, mangiare, luce, acqua, riscaldamento, igiene).
6. Scorciatoie, espedienti gestionali
Era sempre più chiaro che i moduli risalenti, all’interno del codice civile, quali l’interdizione e l’inabilitazione, offrivano al popolo della vulnerabilità, sub specie di gestione ordinaria, risposte invecchiate, non più presentabili. Sia perché troppo severe come gabbie, quanto a ispirazione politica, per l’ordine pubblico. Sia perché schemi architettati in alto, destinati a entrare in gioco uniformemente, in termini meccanici: rispetto a una folla di esseri pur differenziati, sul piano umano, inconfondibili fra loro – per genere, diagnosi medica, età, carattere, salute fisica, tessuto familiare. Divise legali, in altre parole, nel grande falansterio di vita e di cura; livree uguali l’una all’altra, simili a camicie di forza, a righe orizzontali o verticali. Alle "voci legali e amministrative’’ dopo il 1978 – e cioè alle riscossioni e ai pagamenti, alle rate e alle multe, alle tasse e alle bollette, alle iscrizioni, agli abbonamenti e ai recessi contrattuali – provvedevano le famiglie, di solito, per i frequentatori dei Centri di salute mentale. Oppure gli operatori stessi dei Centri, infermieri e assistenti, intervenendo quasi sempre senza vere procure, neanche verbali; comunque sulla base di attribuzioni rappresentative e facoltizzazioni di dubbia regolarità. Spesso in forza di una filigrana accuditiva puramente empirica, "selvaggia’’; coltivata in modo spontaneo, emergenza per emergenza, se non proprio svolgentesi sulla base della negotiorum gestio. Entro cioè una cornice quantomeno precaria, dipendente dal buon cuore, un po’ approssimativa, come per i quasi contratti di stampo giustinianeo. Il che si traduceva alfine (ecco il punto) per metà in serie possibilità di abusi, di prevaricazioni insidiose per l’assistito; per l’altra metà nel rischio di incurie e neghittosità, di rimandi di comodo nelle consegne, negli assolvimenti, nelle bonifiche, nei condoni, nelle messe in regola al catasto: tutti disguidi solo in parte giustificabili col pericolo, per gli interessati, di incorrere in questa o in quella sanzione.
7. Sotterfugi disciplinari, esempi stranieri
Era anche palese che l’espediente utilizzato, dopo il 1978, da alcuni fra i nostri giudici tutelari – i quali muovevano da una mini disposizione contenuta nella legge 180, volta a riconoscere alcuni poteri d’intervento al GT, in via di urgenza, riguardo agli infermi sottoposti a un trattamento sanitario obbligatorio (norma che veniva estesa poi, in generale, a tutti i fragili psichici bisognosi di un soccorso gestorio) – non poteva dilatarsi oltre una certa misura. Pur se esso valeva a fornire, occorreva riconoscerlo, un tampone/accorgimento esemplare sul come operare post manicomio, per un sistema privatistico; anzitutto a livello giudiziale, in via di emergenza, un giorno magari sul piano legislativo. In più esistevano, lungo un’altra vetrina, quella dell’Europa, i grandi paradigmi offerti – sul terreno riformatore, a livello europeo – da alcuni ordinamenti stranieri: quelli culturalmente più sensibili alle necessità di svecchiamento e civilizzazione, per il diritto dei meno fortunati, come la Francia e l’Austria. Paesi che in vario modo, a partire dagli anni sessanta, la prima con l’introduzione della Sauvegarde de justice nel code civil, la seconda con l’abrogazione dell’interdizione e l’inserimento nell’ABGB della Sachwalterschaft, avevano ammodernato le loro officine. Non si trattava anche qui – ecco la domanda – di indicazioni preziose a livello normativo, di cui tenere conto per l’ambiente italiano?
8. Un metro empirico di valutazione
La chiave di volta allora dell’amministrazione di sostegno – come versione del terzo decennio, per il terzo millennio – nell’inchiesta affidata al giudice tutelare? Il criterio attraverso cui decidere, oggigiorno, se far luogo o meno alla misura in questione, riguardo a un determinato cittadino, al centro del ricorso presentato? Si tratta, va sottolineato, di una cifra funzionale e insieme comparativa, rimessa applicativamente al Tribunale, ossia di un filtro storico/contabile, in senso ampio: da identificarsi come ‘’adeguatezza/inadeguatezza di gestione’’, per quella data persona, nel suo contesto abituale di vita, tenuto conto di ogni aspetto, anche extra-monetario, immateriale. Cifra ravvisabile – ecco il raffronto indicatore – nella corrispondenza o meno (a) tra i comportamenti che sono stati tenuti dal soggetto in esame, specificamente, lungo un cert’arco di tempo; (b) a fronte di un modello ideale di dare/avere, sul piano spirituale e commerciale, come astratta fragranza quotidiana, del cuore e del portafoglio.
9. Economia domestica
In questa prospettiva le questioni-base per gli uffici preposti, nei confronti del beneficiando, verteranno non tanto e non solo sul se ci si trovi dinanzi a un individuo ‘’malato o menomato’’, a livello fisico o psichico: di fronte a un essere rientrante, come tale, in qualche casella nosologica o accademica. Occorrerà domandarsi soprattutto – a valle dell’inchiesta, partendo dagli estratti conto, dai tabulati, dai video di registrazione, dagli scontrini, dai prospetti condominiali, dai segni digitali di passaggio, dai test dello psicologo o del confidente domestico – se le azioni che la persona in esame compie, o non compie, mediamente, siano quelle che hic et nunc (a fin di bene, in vista di un risultato fruttuoso) dovrebbero venir intraprese nei contesti familiari, scolastici, lavorativi, relazionali, in cui la stessa si trova immersa. Diagnosi o etichette di tipo medico, previdenziale, sindacale, religioso, universitario, laboratoriale? Influiranno certamente, anche nell’ottica dell’Amministrazione di sostegno. Sempre fino a un certo punto però, come tracce di prima correlazione; per un raccordo fra i diversi saperi, nel computo d’insieme.
10. Fare male, non fare affatto
I fatti omissivi allora, le astensioni e mancanze spicciole, ‘’ruspanti’’? I materiali consistenti nel non essersi l’amministrando attivato, in nessun modo, quando un’iniziativa sarebbe invece stata indispensabile per lui, o almeno propizia? Sono elementi destinati quasi sempre – salvo che non ci si riferisca a soggetti abituati a vivere sugli alberi, o in una grotta di montagna – ad assumere un valore ben più marcato, all’interno del giudizio, rispetto ai fatti di tipo commissivo. Prescrizioni o decadenze dimenticate allora, oppure i figlioletti lasciati senza libri scolastici, senza giocattoli o senza scarpe. Convocazioni in tribunale che vengono disertate, col rischio di condanne in automatico. Il cane e il gatto di casa a digiuno, i fiori non innaffiati, centimetri di polvere sui libri, segni di rassegnazione sul piano igienico, sanitario.
11. Rischi accentuati
Certo è un male – sperando che non tardi eccessivamente l’annullamento contrattuale, o la condanna penale del truffatore – se colui che si trova ai margini dell’assennatezza, o del buon senso, effettua una donazione assurda, cosa che proprio non dovrebbe, per il suo bene; oppure se il nostro acquista un quadro pagandolo dieci volte il suo valore, o vende un prezioso mobile di casa per quattro soldi. Peggio ancora tuttavia, per certi versi, quando l’interessato evita (come talvolta succede) di pagare le bollette, in nome del suo stile di vita, o per vizi endemici, o per disinvolta noncuranza; se non si cura dei suoi debiti, e nemmeno dei crediti, se non aggiusta per tempo – nel segno dell’originalità riservata ai grandi della mente – qualche persiana delle finestre o una ringhiera di ferro pericolante, con sotto i pedoni che passano o i bambini che giocano. E ancor più preoccupante, il contesto, per chi usa gettare senza aprirle le raccomandate postali, con dentro i moduli di versamento; per chi scorda di prendere regolarmente gli antibiotici o gli anticoagulanti o le pasticche al litio: per chi non fa riparare i freni guasti o non cambia le gomme consumate dell’automobile.
12. Una treccia a tre fili colorati
Alcuni fra i nostri interpreti – per scandire immaginificamente quanto avvenuto, a partire dal 2004, nel campo dell’Amministrazione di sostegno – sogliono far riferimento allo Scooby Doo; quel giochino a basso costo (caro soprattutto alle bambine) che si compra dal giornalaio, e che consiste in tre fili di plastica di colore diverso, ad esempio rosso, verde e giallo, da ricomporre l’uno insieme agli altri, con le dita, in modo da formare una piccola treccia.
(a) In effetti, allorché la ‘’Bozza Cendon’’ era stata redatta, nel 1986, l’attenzione degli autori, circa le questioni riservabili al giudice o al vicario, si era rivolta in via pressoché esclusiva ai lemmi di tipo economico: e cioè spese ordinarie e straordinarie, canone tivù, condominio, garage, banca, conto postale, investimenti (giusti e sbagliati), contributi della badante, assicurazione, bollo auto, tagliandi, e così via.
(b) a partire dal 2004 il da farsi, per giudici e per gli amministratori di sostegno, era invece destinato a lievitare, sia nelle voci sia nei livelli generali. Anzitutto sotto il profilo sanitario.
Fino ad allora – salvo il caso degli interdetti e degli inabilitati, dove esisteva pur sempre un tutore o un curatore, in grado di prestare/incoraggiare il consenso – ad autorizzare l’atto medico, fuori dall’ipotesi dello ‘’stato di necessità’’, provvedeva di solito (allorché l’interessato non fosse in condizione di esprimersi direttamente) qualche familiare. Oppure si faceva capo all’espediente del ‘’consenso presunto’’, o dell’assenso ‘’tacito’’, secondo cui, dinanzi a un certo malanno fisico o psichico, è plausibile che chiunque di noi – contingentemente obnubilato o alienato – sarebbe d’accordo con le vie d’uscita proposte dal sanitario. Il giudice non veniva pressoché mai chiamato in causa.
13. Crisi del consenso presunto
Dopo l’entrata in vigore dell’AdS, alcuni fra gli scenari di cui sopra sarebbero caduti. I familiari non erano più abilitati a fornire, in quanto tali, un consenso informato per il congiunto; dovevano a quel fine essere stati prima nominati, ritualmente, amministratori di sostegno. L’espediente del consenso presunto – ora che in materia esisteva una normativa specifica – perdeva molto del suo credito presso i Tribunali. E di conseguenza presso i medici, consapevoli per primi dell’azzardo legale che incombeva, da allora in poi, per ogni gesto sanitario irregolare. Decisi pertanto a non subire accuse di violenza privata o di sequestro di persona o di abuso professionale, con i relativi corollari penali e risarcitori. Ecco perché, già nel 2004, si moltiplicheranno le istanze in cui un medico – per procedere a quell’atto, specie se di tipo chirurgico, talvolta anche poco impegnativo – pretendeva che entrasse in gioco qualcuno con le credenziali giuste: un fiduciario in condizione di prestare ufficialmente, riguardo al malato non in grado di esprimersi, il consenso informato.
14. Prima no e poi sì
All’inizio vi sarà – ricordiamo la cronaca dei Tribunali – qualche magistrato il quale respingerà l’istanza in questione: dichiarando di non possedere competenze formali, in quanto Ufficio dello Stato, sul piano sanitario/farmacologico. Sarà ben presto evidente tuttavia, a fronte di un medico deciso a non procedere di sua iniziativa, che l’unico modo onde uscire dall’impasse (evitando che fosse il malato a scapitarne) era quello di invitare il GT a nominare lui, con sollecitudine, un’“avatar privatistico’’: autorizzato espressamente nel provvedimento a prestare il consenso.
Dopodiché tutti i magistrati concordi, allineati in breve tempo. Il problema poteva dirsi temporaneamente risolto per l’Italia. Lacuna istituzionale colmata, salvo che per i casi (ma era già un altro discorso) in cui risultasse arduo reperire, di fatto, un incaricato disponibile alla bisogna; in assenza di un familiare a portata di mano. E le difficoltà si spostavano, semmai, sull’altra serie di crinali operativi – i più intricati fra tutti – al cui centro c’era un paziente non proprio lucido, magari, confuso sui dettagli, affetto da qualche tremolio psichiatrico; e fermamente contrario però (questo il punto) rispetto all’atto medico o farmacologico in questione. Si tratterà – ecco la conclusione – di una congerie di neo fattispecie medico/legali, spesso non semplici da ricomporre per il GT: ad esempio nell’eventualità di una mancata convergenza, presso lo stesso apparato sanitario, circa la via migliore da seguire.
15. Negozi di tipo personale
Non meno impegnativo, dopo l’avvento dell’AdS, il settore inerente al ‘’terzo filo colorato’’ dello Scooby Doo: quello relativo ai problemi di natura familiare e successoria. Pur tanto meno rilevanti a livello quantitativo, casi del genere, per come venivano affacciandosi sul tavolo del magistrato, apparivano nel 2004 di particolare delicatezza. Più di un giurista aveva prospettato, all’inizio, la conclusione secondo cui immaginare una delegabilità a terzi di momenti simili – così intrinsecamente legati al nucleo profondo di ciascuno, sul piano ideale e pulsionale – non fosse consentito nel diritto. Nessun alter ego avrebbe potuto gestire quei filamenti (tale l’assunto di fondo) in vece dello stretto interessato.
16. Una distinzione importante
Era una posizione che si articolava, sul piano casistico, in due distinti tronconi.
(a) Vi erano le ipotesi in cui appariva pressoché impossibile, salvo che in un film distopico, di fantascienza, immaginare una sostituibilità legale del beneficiario, in carne e ossa, quale autore del negozio.
Così ad esempio per atti come il matrimonio o il testamento: ambiti in cui (si osservava) la pregnanza del momento egoico/affettivo, non strettamente razionale e ufficiale, risultava palese a tutti.
(b) E vi erano poi le fattispecie in cui il dato cruciale, ai fini di una decisione circa il ‘’ponte di comando’’, poteva ravvisarsi (riguardo alle persone svantaggiate) non già nei tratti di una signoria ancestrale, d’ordine recondito/emotivo; quanto piuttosto nei lemmi del ‘’benessere oggettivo’’ per il singolo – alimentare, sopravvivenziale, metropolitano – con un’attenzione spiccata per il motivo del best interest.
Ad esempio là dove – come esito di iniziative tarate su provvedimenti come la separazione coniugale o il divorzio, o rivolte a un annullamento del matrimonio, a una rinuncia all’eredità, perfino a un riconoscimento del figlio naturale, o a una dichiarazione giudiziale di paternità – risultava pacifico cosa fosse e non fosse, anche psicologicamente, consigliabile per la miglior quotidianità dell’interessato (inerte ma non oppositivo).
17. Sì da una parte, no dall’altra
Bene dunque – ecco la conclusione – l’Amministrazione di sostegno, dopo un periodo di titubanza nelle Corti, per le evenienze tecniche del secondo tipo. No invece per quelle del primo tipo. Così è ancor oggi in linea di massima; sempre più diffusamente potremmo dire.
Naturale poi che la soluzione sarà destinata a complicarsi dinanzi a un beneficiario, afflitto da malesseri psichici, il quale si dichiari ostile – poniamo – al compimento di un atto personale per lui consigliabile, anzi necessario, secondo quanto suggerito dall’amministratore. O, in modo simmetrico, nel caso di un assistito incline alla conclusione di negozi che si annuncino, per lui, secondo l’opinione concorde del vicario e del giudice, visibilmente azzardati o temerari (ad es. il matrimonio con persona di dubbia moralità e affidabilità).
18. Centralità della persona del beneficiario
Il legislatore italiano ha avuto cura di sottolineare in più sedi, entro la cornice normativa del 2004, l’imprescindibilità (del motivo) della sovranità decisoria, nelle sue diverse declinazioni.
Autodeterminazione, libertà di gestione, propensioni hic et nunc: salvo eccezioni sarà il beneficiario a stabilire, così come meglio desidera, quel che rientra o non rientra nelle sue ‘’praterie d’inveramento’’ – e di tali elementi non si potrà non tener conto, fin che possibile, dagli operatori che lo attorniano.
Più d’una le disposizioni che interessano. Nell’art. 1 della l. 6\2004, si parla, in particolare, di "finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia’’. Nell’art. 406 cod. civ., di "ricorso per l'istituzione dell'Amministrazione di sostegno’’ che "può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato’’.
Nell’art. 407 cod.civ., di un giudice tutelare che "deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova’’ e che "deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa’’. Nell’art. 408 cod.civ., di scelta dell'amministratore di sostegno, che dovrà compiersi "con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario’’, precisandosi poi che "l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata’’.
Nell’art. 409 cod.civ. si sottolinea che "Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'Amministratore di Sostegno’’ e che egli “può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana’’. Nell’art. 410 cod.civ. viene stabilito che “nello svolgimento dei suoi compiti l'amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario’’, che egli “deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso’’, aggiungendo che “in caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all'articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti’’.
19. Soggetti deboli e soggetti indeboliti
Scansato l’ostacolo, addolcite le creste, i problemi operativi verranno ad attenuarsi; scompariranno in parte dall’agenda del beneficiario. Non esistono in definitiva – ecco la conclusione di molti – creature “deboli intrinsecamente”; non si danno individui segnati da ombre arcane, ab origine, soggetti con un marchio scritto in fronte, tali una volta per sempre. Vi sono non più che esseri ‘’indeboliti’’ dalle circostanze, nel corso della stagione, cittadini resi claudicanti ex post, in via provvisoria; e ciò a causa di un’omessa rimozione degli ostacoli, da parte della Repubblica; per effetto di una proroga cieca e impigrita delle saracinesche, dei cavalli di Frisia dell’interessato.
L’ottica diventa così quella di un approdo/ritorno ai giusti ritmi, da ricercare attentamente, in vista di una rifioritura sostenibile. Così bisogna giudicare l’esistente, nella sostanza e già nelle parole che si impiegano. Non sarà fragile dunque, non almeno di default, il bambino rimasto orfano, esposto a insidie circostanti; il giovane extraeuropeo, magari albino e dai piedi rovinati, con ritardi di apprendimento. Casomai il minore privo di figure adulte sostitutive, istituzionalizzato sconsideratamente, ignorato dalle strutture educative; l’adolescente in cerca di affetto, buttato in un angolo, senza telefoni a portata di mano, senza i suoi colombi viaggiatori: la ragazzina bisognosa di un dentista, mancante di qualcuno in grado di registrare segnali, confidenze, invocazioni.
20. Persone con disagi psichici
Disturbi mentali? Di nuovo a contare – più che i misteri sotterranei – sarà il quadro dei rapporti con gli altri, il nesso di fluidità con l’ambiente. Indebolito potrà dirsi l’oligofrenico che i familiari sequestrino in casa, quello obeso per pigrizia, improduttivo suo malgrado, con gli occhiali da miope mentre gli servirebbero da presbite. Cesserà di esserlo, sarà meno in scacco, il giorno in cui gli operatori avranno rivisto il dosaggio di psicofarmaci, ritoccato le scadenze; inserendo l’utente in un circuito di impegni, di fermenti a sua misura, facendogli nominare un custode premuroso, procurandogli una pensione di invalidità. Ricomparirebbe, la parte oscura, il giorno in cui il nostro si trovasse interdetto senza necessità, dismesso dalla cooperativa, sottratto ai luoghi del tempo libero, boicottato nei legami sentimentali; minacciato qua e là nella sua riservatezza, ostacolato nello sport, scoraggiato nella coltivazione dei suoi hobby, affidato a un tutore (magari onesto ma troppo) austero e taccagno.
21. Altri esempi
Così di seguito. Non sarà fragile lo spastico, il sordomuto, il paraplegico avvolto in coltri idonee a valorizzare, al meglio, quanto il soggetto è in grado di compiere. Non Gregor - il neo-scarafaggio di Kafka, umano sino al giorno prima - qualora lo trattino in casa come un figlio malgrado tutto, come un fratello sfortunato. Non lo sarà la donna incinta, segnata da afflizioni psicosomatiche, che il consultorio sappia guidare dolcemente, sino al momento del parto; poi nei mesi successivi, con scrupolosità. Non sarà debole l’alcolista accolto in un centro che si prenda, continuativamente, cura di lui. Né il gay messo in condizione di accompagnarsi a qualcuno, alla luce del sole, di optare per un regime di comunione, di non testimoniare ai processi contro il compagno. Né il detenuto ospite di una prigione con celle adeguate, servizi di biblioteca, bagni puliti, contatti periodici, possibilità di tenerezze incluse, rispetto al mondo esterno; quello incoraggiato a organizzare quartetti d’archi dentro le mura, a diplomarsi, ad allevare uccellini.
22. Messe a confronto
Raffronti indicativi per l’interprete? Non tanto quelli tra la squadra dei "forti" da un lato, e la compagine dei "deboli" dall’altro; oppure i confronti – preziosi nei discorsi sul danno, un po’ meno rispetto al primo libro – tra ciò che un essere in difficoltà fa e disfa attualmente, con un minor tasso di freschezza, e il modo in cui il soggetto si muoveva, corpo e anima, prima che nella sua casella irrompessero i fattori di scompenso.
Piuttosto la messa a paragone – questa sì – fra quel che un “debole” si trova costretto a fare, contingentemente, e ciò che avverrebbe, per lui, qualora fossero attivi nella realtà i supporti (educativi, rincuoranti, sportivi, ospedalieri) capaci di neutralizzare, riguardo alle sue giornate, i riflessi negativi delle manchevolezze.
Parole chiave? Scambio, interfaccia, empatia: ponderare ciò che sta accadendo, dentro e fuori l’individuo, capire quali vie d’uscita saranno preferibili. Le leve giudiziali come percorsi elastici, da rinnovare ogni tanto, anche dietro istanza dell’interessato. Il bon ton quale insieme destinato a fluire, che dovrà spendersi con la giusta scioltezza – qualcosa privo di intralci, a misura d’uomo.
23. No a privilegi eccessivi
Il risultato che minaccia un’indulgenza eccessiva, alle volte, nello statuto della fragilità? A parte l’oggettiva iniquità per la controparte (vittima innocente del caso), potrebbe scattare una sorta di ingessamento – negoziale e sociale, per il soggetto privilegiato – quale contraccolpo indesiderabile; alla lunga un blocco ‘’pervasivo–esistenziale’’ nella sua agenda. Stante il presumibile rifiuto a monte, da parte dei terzi, a entrare in affari con creature autorizzate a monte, dall’ordinamento, a fare sempre ciò che vogliono, nel bene e nel male; creature ammesse ad agire anche capricciosamente, persino scompostamente, senza dover mai fornire spiegazioni, esenti per definizione da conseguenze. Meglio allora – opinano alcuni – prevenire per tempo i boomerang della vita corrente. Una tendenziale parità di trattamento, tra fragili e non fragili, nell’interesse anche dei primi, si profilerà a volte come la miglior linea di politica del diritto.
24. Gli artt. 428 e 2046 cod.civ.
Bene così un’impugnativa per (atti conclusi da) soggetti cui il potere dispositivo era stato, in via formale, sospeso o negato dal giudice tutelare.
Dubbi tuttavia sulla funzionalità di norme:
(a) come l’art. 428 cod.civ., secondo comma, che parrebbe consentire, una volta emersa la malafede della controparte, l’annullabilità anche di contratti equilibrati per sé stessi, impeccabili nella sostanza, nient’affatto dannosi per l’ ‘’incapace’’ - e che soprattutto rende inattaccabili il 99% dei contratti sbagliati fatti a distanza, tipo Amazon;
(b) o come l’art. 2046 cod.civ., che a beneficio degli infermi gravi di mente mantiene in vita una sorta di licenza a recare danni, senza dover pagare dazi, almeno in prima battuta.
Quale condominio in situazioni del genere – volendo metterla sul pratico – accetterebbe di ospitare al proprio interno una casa/appartamento per creature (‘’chi rompe stavolta non paga’’) instabili psichicamente? Quanti interlocutori, sapendo di aver a che fare con qualcuno facile da abbindolare, miracolato tuttavia dal sistema, in grado di sottrarsi agli obblighi esecutivi, a suo piacere, non preferiranno scansarlo a monte, isolare e ostracizzare già in partenza il ‘’fuorilegge’’?
25. Quando l'amministratore non può essere un familiare
Si sostiene da alcuni che la disciplina dell’AdS andrebbe modificata, a livello normativo o quantomeno applicativo, in un punto specifico; mai attribuire il ruolo di amministratore di sostegno al di fuori della famiglia – occorrerebbe pescare sempre, a tal fine, entro l’ambito domestico. Soltanto il coniuge, ad esempio, oppure un genitore, un figlio, un fratello, uno zio, un parente stretto; meglio se un consanguineo. Escluse altre soluzioni. Che dire al riguardo?
Occorre prudenza in questi casi, come sempre; bisognerà informarsi bene, ogni volta, candidato per candidato: lente di ingrandimento alla mano, per il magistrato. Accorgersi via via di ogni ombra, indovinare le furberie e i tranelli, procedere coi piedi di piombo. Diventare sospettosi, specie quando vi siano in ballo ‘’case e alberghi’’, analizzare il conto in banca, sistematicamente, il portafoglio titoli del beneficiario. Diffidare di chiunque si offra troppo disinvoltamente per quell’ufficio. Con scrupolo, meticolosità: il controllo può manifestare dei buchi a volte, non riuscire a smascherare gli imbrogli in atto, in cantiere.
26. Casistica
Va detto allora che l’inclinazione pro focolare, agli effetti della nomina, può essere accettabile in tutta una serie di ipotesi. È la linea che il legislatore ha fatto sua, del resto, allorquando ha indicato quello casalingo come il bacino entro cui attingere, in prima istanza, da parte del magistrato (art. 408 cod.civ.). Sono molte le situazioni però, ecco la realtà, in cui occorrerà indirizzarsi diversamente, scegliendo come amministratore un estraneo.
(a) Così anzitutto – per scendere a qualche esempio – quando non ci sia nessun parente cui far capo; è evidente che occorrerà qui pescare al di fuori. Lo stesso allorché il familiare esista, sulla carta, con un beneficiario che lo respinge però come gestore; nella misura del possibile andranno trovate altre soluzioni. Lo stesso nel caso in cui il congiunto, il quale potrebbe svolgere il compito assistenziale, detesti vivamente il beneficiario, e viceversa; o quando il candidato appaia indisponibile, e faccia sapere, motivatamente, di non voler assumere siffatto munus; oppure nel caso in cui il familiare abbia passato il proprio tempo – capita a volte – a derubare il fragile in passato, a truffarlo, a insidiarlo, ovvero nel caso in cui sussista un serio contrasto d’interessi, fra i due.
(b) Idem allorché il familiare risulti portatore di gravi dipendenze, tipo alcol, droga, sostanze, disturbi alimentari, gioco d’azzardo; o quando egli si trovi in carcere, oppure abiti in Australia o in Canada.
Conclusione analoga quando il familiare (candidato) appaia gravemente malato o disabile; o sia un centenario, o abbia meno di 18 anni, o sia interdetto o inabilitato, o risulti a sua volta un beneficiario di AdS. Oppure quando si tratti di un soggetto analfabeta, ritardato tecnologico, inesperto rispetto alle questioni che interessano la vita del fragile; o sia un credulone inguaribile, uno spilorcio, come peggio non si potrebbe, oppure un essere maniacale, smemorato, imprudente per natura, negligente di carattere, prodigo con tutti, ribelle patologico, seguace di sette misteriose.
In generale, allorché ci si trovi in presenza di un gruppo familiare – quello di partenza – pieno di odio, intrinsecamente tossico, un nucleo di vipere; con dissidi gravi e ricorrenti, con minaccia di ricadute negative per il beneficiario (tenuto conto anche delle convivenze in atto), laddove uno dei parenti diventasse AdS.
27. Abrogare l’interdizione
A vent’anni dall’entrata in vigore della legge n. 6 del 2004 sono maturi, oggigiorno, i tempi per far luogo all’abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione. Non sussiste alcun motivo valido che giustifichi la conservazione, nel codice civile, dei due vecchi modelli “incapacitanti’’. E anzi tale abrogazione è divenuta non più rinviabile, per un ordinamento che voglia dirsi realmente sensibile ai diritti fondamentali dell’individuo – quali, in primo luogo, la dignità personale e il diritto al sostegno. Una chiara indicazione in tal senso proviene dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’Osservatorio ha, in particolare, elaborato un documento nel quale riferisce circa le osservazioni e istanze formulate dal Comitato Onu, riguardo all’attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. La preoccupazione del Comitato è che si continui oggi a “perpetuare la sostituzione’’ della persona disabile, mediante il ricorso a un tutore, per quanto concerne le decisioni da assumere. La raccomandazione è nel senso di abrogare, in concreto, le leggi che permettano siffatta sostituzione, per giungere ad assetti imperniati su un presidio autentico del processo decisionale. Sulla base di detta istanza l’Osservatorio passa allora in rassegna – con la lente di ingrandimento – le tre misure difensive contemplate oggi nel codice civile; ciò allo scopo di vagliarne la compatibilità con le indicazioni del Comitato. Riguardo all’interdizione, in particolare, l’Osservatorio così si esprime: “Sicuramente la prima delle tre misure di protezione giuridica (interdizione) deve essere abrogata, visto che prevede la sostituzione della persona con disabilità da parte del tutore nominato dal Giudice sempre e per l’esercizio di qualsiasi diritto, patrimoniale e non (incluse le scelte esistenziali: dove vivere, ecc.) parlandosi in tal caso di ‘rappresentanza esclusiva’ (il tutore compie gli atti da solo e firmando in nome e per conto della persona interdetta)”. Tale passaggio condensa in poche parole il d.n.a. dell’interdizione, ovverosia il taglio espropriativo e di totale rimpiazzo per la creatura in difficoltà; la quale si trova collocata dal tribunale – come spesso vien detto – entro una maglia giuridica equivalente alla morte civile. Con l’interdizione la persona viene dichiarata, urbi et orbi, legalmente incapace di agire, il che comporta un'estromissione dalla possibilità di compiere qualsivoglia atto produttivo di effetti giuridici (contratti anche semplici, negozi di natura personale, come il matrimonio o il riconoscimento di un figlio).
28. Neppure ha senso oggi l’inabilitazione
Al riguardo, l’Osservatorio ricorda come il Curatore intervenga, qui, ad “assistere’’ e non già a “sostituire’’ la persona, nel compimento dei soli atti di straordinaria amministrazione; talché l’interessato rimane libero di compiere quelli di ordinaria amministrazione. Pur tuttavia, prosegue il documento, “i poteri del curatore e quindi l’ampiezza dei suoi poteri è già declinata in maniera generale nel codice civile, senza aver cura di calibrare tale attività rispetto alle esigenze di supporto del caso concreto; quindi all’eventuale ricorrere di alcune condizioni stabilite dal codice civile, si prevede che il curatore agisca sempre in una certa maniera nell’‘assistere’ la persona nel compimento di tutti gli atti di straordinaria Amministrazione controfirmando e dando valore agli atti. ovvero non controfirmando gli atti posti in essere dalla persona con disabilità e quindi bloccandoli”. Da qui la necessità – secondo l’Osservatorio – di abrogare pure l’inabilitazione: “Anche rispetto a tale misura di protezione giuridica, si deve considerare l’automatismo nell’attività di una figura (curatore) che interviene, con una sorta di potere di veto, nelle scelte della persona con disabilità su un novero di atti già identificato dal codice, semmai per il ricorrere solo di alcune condizioni che non permettano solo alcuni di tali atti di straordinaria Amministrazione”. In effetti l’istituto dell’inabilitazione risulta da tempo disapplicato, in Italia, sostituito com’è nella prassi dall’Amministrazione di sostegno; e tale sfioritura conferma la necessità di procedere a una cancellazione formale.
29. Conferme
La stessa Convenzione delle Nazioni Unite, sui diritti delle persone con disabilità, fa obbligo agli Stati di prendere le misure necessarie a che le persone con disabilità ricevano il sostegno di cui hanno bisogno per esercitare la loro capacità (art. 12, par. 3). Tutte le misure statali suscettibili di incidere sulla capacità, precisa la Convenzione, devono essere tarate sulle specifiche esigenze della persona interessata, e devono tener conto della volontà e delle preferenze di quest’ultima (art. 12, par. 4). E nello stesso Preambolo della Convenzione – come rammenta ancora l’Osservatorio – “si riconosce la necessità di promuovere e proteggere i diritti umani, incluso quindi quello più intrinseco all’essere Persona, quale quello all’autodeterminazione, per tutte le persone con Disabilità, incluse quelle che richiedono un maggiore sostegno, anche ad intensità elevatissima”. Va poi sottolineato che la nostra Corte di Cassazione, con sentenza 25.10.2012, n. 18320, ha sancito la piena compatibilità sostanziale dell’AdS rispetto a tali indicazioni; a differenza di quanto non possa dirsi (ecco il punto) per una figura come l’interdizione, che appare una risposta non proporzionata allo scopo, quale misura in sostanza irrevocabile, di fatto non revisionabile. Merita anche segnalare come, a favore dell’abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione, si sia pronunciato in modo esplicito – nell’ultimo ventennio – l’intero Gotha della dottrina civilistica italiana: basterà ricordare qui i nomi di R. Sacco, P. Rescigno, C. M. Bianca, P. Schlesinger, S. Rodotà, F. Busnelli, P. Perlingieri.
30. Ragioni a favore della dignità e libertà
È il caso di ricordare, in estrema sintesi, le negatività tecniche che sono proprie dell'interdizione (e dell'inabilitazione):
31. Spirito e linee dell’AdS: spiegare e diffondere
Non sempre dagli addetti ai lavori, dalle autorità, dai professori, dagli esperti vengono coltivati - con la necessaria solerzia - i profili della formazione, culturale e istituzionale: offrire alle famiglie e al vasto pubblico, agli stessi operatori on the field, i chiarimenti opportuni circa i ‘’motivi’’ della legge 6/2004. Lavorando anche sull’esegesi sui testi normativi, fornendo i ragguagli sistematici del caso. Momenti tanto più importanti per un’area non scontata - arieggiante com’è al ‘’diritto dal basso’’, da riplasmare e adattare per ogni situazione – qual è la difesa dei meno fortunati. Esempi di errori in proposito? A fornirne uno significativo è un recente decreto giudiziale: dove leggiamo che l’amministrazione di sostegno, a livello di diritti e di poteri, costituirebbe sempre una misura "incapacitante’’; nel senso che ogni applicazione dell’art. 404 cod.civ. produrrebbe, lo si voglia o meno, qualche restrizione nella sovranità del beneficiario. Si tratta – secondo quanto risulta dall’art. 409, primo comma, cod.civ. – di un’affermazione sicuramente lontana dal vero. Ed è sufficiente pensare al campo delle disabilità fisiche: dove potrà ben manifestarsi civilmente, qua e là, la necessità di un ausilio tecnico, a favore dell’interessato, fra cui la nomina di un vicario ad negotia (art. 404 cod.civ.); e dove raramente si segnalano, però, insidie tali da giustificare soluzioni restrittive della sovranità. Lo stesso vale – può aggiungersi – per settori come quelli delle persone anziane, dei fragili istituzionali, dei malati cronici, del fine vita.
32. Formazione, sensibilità a 360°
Né il discorso è limitato all’area degli atti e dei contratti, in senso stretto. Esempi ulteriori possono ricercarsi oltre l’ambito prettamente negoziale, dispositivo. Basta pensare ai risvolti di emotività che costellano, tendenzialmente, l’aggravarsi di un deficit psicofisico; più in generale, ai fondali umani e antropologici della volontaria giurisdizione, quale ramo del diritto privato. È palese come solo una buona educazione spirituale e interdisciplinare – presso chi è chiamato a decidere – potrà abbassare qui il rischio che venga trascurato l’ascolto degli svantaggiati, il dialogo sereno e pacato con loro. Che si eviti di indagare circa gli effetti psicologici delle decisioni assunte in Tribunale; che non sia controllata via via la qualità delle regole e delle atmosfere che vigono nei luoghi di cura, negli asili, negli hospice. Che escano qua e là calpestate le prerogative dei familiari del beneficiario, accolto in una casa di cura o in una RSA.
33. Haters seriali, gruppi antipsichiatrici
Altri imprevisti sono quelli legati al diffondersi, presso la communis opinio, di momenti di ostilità preconcetta – di avversioni umorali, spesso distillate a tavolino – nei confronti dell’amministrazione di sostegno, come entità del primo libro del codice. Beninteso rispetto alla legge 6/2004, cioè alla sua applicazione in Tribunale, si incontrano spesso critiche ben argomentate, giustificate nei fatti; critiche mosse da spirito costruttivo, allora, dentro e fuori i palazzi di giustizia, rilievi accorti e provvidenziali, lamentele che centrano in modo sapiente il bersaglio.
Alle volte ci si trova dinanzi invece, specie negli ultimi tempi, a contestazioni che travalicano le soglie della ragionevolezza, della buona fede: invettive di stampo aprioristico, programmatico, avvelenate da un che di strumentale, cahiers e requisitorie che sembrano venire da lontano, accuse intrise di un fiele di bottega.
34. Scontentezze croniche
Due al riguardo, fra esasperazioni accumulatesi nel tempo e sbandamenti polemici, le tipologie di base.
Da un lato si segnalano gli ’’infelici cronici’’, nel mondo nell’AdS: donne e uomini un po’ incattiviti, esacerbati internamente, cani perduti senza collare, con poche speranze, vittime pure e semplici della sfortuna. Persone nei cui confronti la sorte, in passato, si è accanita più o meno crudelmente; esseri che hanno perduto l’affetto di una persona cara, magari in circostanze drammatiche, scontratisi poi con decisioni avvilenti dei medici, del capo ufficio, dell’assessorato, della caserma: individui colpiti e inaciditi da sfratti, espulsioni, pignoramenti, usciti non bene da espropriazioni giudiziali, da conflitti in famiglia, da licenziamenti. Creature passate da un insuccesso all’altro, nella vita, rimbalzanti da una comunità a un ospedale, da un reparto cattivo a uno ancora peggiore. Anime schiave di qualcosa, incollerite, senza più sogni, costrette a vivere in condizioni penose.
35. Astuzie nei media
Sull’altro fianco si collocano – figure assai diverse – certi ‘’addetti all’informazione’’, grandi esperti della cronaca spettacolare, circense. Professionisti abili a far nascere le breaking news, quasi dal nulla, in ambito di fragilità umana e risvolti giuridici. Insuperabili nel fiutare scoop e colpi di scena, per il mercato, esaltando ciò che convenga, attraverso i report, in vista di un aumento del fatturato, degli applausi, tacendo tutto il resto.Autori di trasmissioni giornalistiche, responsabili di testate, di blog, odiatori che frequentano Facebook, talvolta aggregatori di vittime sentimentali. Gente familiarizzata con l’universo televisivo, che ben conosce le debolezze subliminali del pubblico, legata magari a compagini antipsichiatriche, a giuristi spregiudicati, a ex compagne di un disabile famoso. Gruppi consumati nel trasformare le storie di miseria, di débauche, ogni neo-vertenza di carta bollata, in qualcosa di mondano, di stuzzicante a livello mediatico; gonfiando qualsiasi riflesso atto a indignare i lettori, gli ascoltatori, a commuoverli in profondità. Comunicatori maestri nello svelare – con forti impennate nell’audience (fra gioielli rubati, macchine di lusso, firme estorte, quadri scomparsi) – i tristi segreti di vecchie celebrità del cinema, di star musicali, di personaggi di spicco.
36. Che fare
Difficile immaginare qui contromisure.
Vedremo come possano reagire, in certe ipotesi, gli uffici giudiziari.
Altrimenti? La frangia del pubblico più ragionevole si lascerà persuadere, ogni tanto, a tentare di contro-informarsi: in cerca di versioni meno tendenziose, presso qualche tivù o giornale on line. Decidendo poi se credere davvero alle tesi di complotti segreti, orditi dai giudici, dai p.m. e degli amministratori, contro quel beneficiario.
Una quota consistente, anche se minoritaria, non cambierà affatto opinione. Non presterà fede ad altre versioni; continuerà– spesso ignorando dove sia disciplinata l’AdS, non avendo messo piede mai in Tribunale, all’oscuro di cosa sia la Cassazione – a ripetere che l’intero ‘’sistema’’ è sbagliato, in Italia, a giurare che i magistrati sono per metà senza cuore, per l’altra metà collusi con gli amministratori. A insistere che questi ultimi sono per terzo dei ladri, per un terzo degli indifferenti patentati, per un terzo degli accaparratori di fascicoli.
Una parte significativa dirà invece che, al mondo, i disguidi accadono purtroppo, che certe risposte dei magistrati suonano frettolose, che alcuni divieti di accesso agli ospizi e alle cliniche sono eccessivi. E che dietro quell’avvenimento "tenebroso’’ non ci sarà magari il dolo, un po’ di colpa sì però - più o meno lieve - in chi ha preso le decisioni.
37. Il mondo dei giudici
Altri passaggi critici sono quelli legati al funzionamento dei Tribunali.
La prima osservazione, in proposito, è che l’amministrazione di sostegno deve molto del suo sviluppo positivo, dopo il 2004, a una coppia di elementi. C’è anche del buono, del confortante a livello istituzionale, nella conduzione del diritto.
Bene in particolare – verso il basso – la lungimiranza con cui tanti giudici tutelari hanno saputo cogliere, fin dal primo momento, l’essenza della novità del 2004: obbedendo alla saggezza del cuore, alle voci del coraggio, non tirandosi indietro rispetto a una serie di dilemmi applicativi. Non ripiegando sulle linee più comode, tralatizie, nel decidere su questo o quel garbuglio.
Bene poi – verso l’alto – l’atteggiamento della Corte di Cassazione: che su molteplici versanti, sostanziali e processuali, ha mostrato di condividere fin da subito le ambizioni più luminose dell’AdS; ponendo ogni approccio alla materia, tanta rifinitura teorico-pratiche, al servizio dei meno forti e più scoperti della società. A presidio dell’istanza ad avere, in Italia, regole lievi e civili sul disagio.
38. Disfunzioni
Con questo non si vuol dire che tutto, presso le Corti nostrane, proceda al meglio.
La volontaria giurisdizione non vanta, presso i magistrati, un’immagine granché attraente. Solo una minoranza tra i vincitori di concorso è disposta a occuparsene, a vederla come un buon tramite, da sperimentare utilmente per un lawyer.
La progressione di carriera non è strutturata - a livello cartaceo, negli incentivi formali - per valorizzare il lavoro dedicato ai meno felici, agli esseri più inanimati della schiera. Un "mestiere da donne’’, quello del giudice tutelare, un impegno "da assistenti sociali’’, pensano in tanti (anche se non sempre lo si dice). Una professione in cui i decreti dell’AdS varranno poco come titoli; dove otterranno blandi riscontri, per salire di grado, i pomeriggi spesi a colloquiare con gli assistiti, le mattinate a sentirli pazientemente. Dove garbo e premura verso i derelitti, i perdenti del milieu, lasciano il tempo che trovano.
Col numero dei beneficiari in costante aumento, poi, con fascicoli mai definitivi, stanti le continue novità nella vita degli interessati. Fatiche aggiuntive in Tribunale, altrettanti accomodamenti nel dossier, che non promettono avanzamenti di sorta.
Non era meglio tutto sommato – si chiedono alcuni – non tentare nulla di funambolesco, nel 2004, non era saggio accantonare i fremiti da Don Chisciotte? Non c’era più umiltà nell’arrendersi al destino, filosoficamente, rinunciando ai sogni di grandezza, volando bassi con le riforme? Non era raccomandabile – quel fine 2003 - astenersi dai propositi di cambiare il mondo, a colpi di diritto civile? Non era più sensato voltare e le spalle ai sogni, al buonismo quale metodo, non conveniva lasciare che i poveretti si arrangiassero, cavandosela da soli, come sempre, ognuno per i fatti propri?
39. Decreti-fotocopia
Come numero i magistrati risultano oggi insufficienti, tendenzialmente, nelle stanze e nelle cucine dell’AdS. Spesso sono davvero pochi, gli addetti al lavoro, non reggono decorosamente alla bisogna; con un organico già in crisi, in varia misura secondo le sedi territoriali. Le energie personali che potrà dedicare ai ‘’clienti’’ ciascun giudice, dipendono dal contagocce; le clessidre previste per chi bussa alla porta, non sono adeguate, né in partenza generose. Mancano setacci appropriati nella formazione, che rassicurino circa le attitudini – liquide, introspettive, relazionali – per chi dovrà gestire i temi della sofferenza.
Così anche nei Dipartimenti di Giurisprudenza, in quelli di Scienze morali, così fra i manuali delle professioni d’aiuto, nelle aule universitarie.
Il ricorso a giudicanti non togati, nei cui confronti i filtri di assunzione non sono sempre rigorosi, è talora esorbitante; le deleghe interne eccessivamente disinvolte, in certi casi, generiche.
Finisce per cronicizzarsi così, giorno dopo giorno, la prassi dei decreti fatti in serie, troppo laconici e allo stesso tempo troppo ampi, come dettato. L’approdo a provvedimenti emessi in serie, con la fotocopiatrice: l’opposto di quella logica del "vestito su misura’’, confezionato ago e filo per quel certo individuo, in cui tanti interpreti avevano giustamente ravvisato – fin dall’inizio – l’anima stessa dell’AdS.
40. Occuparsi degli altri
Interrogativi ulteriori attengono alla figura dell’amministratore di sostegno.
Al fondo della riforma, sembra esservi la fiducia che l’Italia 2024 abbondi di Cirenei ansiosi di occuparsi del prossimo, spontaneamente, evangelicamente. Felici di aiutare chiunque balbetti, incespichi - chi non sappia gestirsi da solo. Senza mai chiedere cosa vi sia in cambio, come riconoscimento; senza informarsi se arriverà un corrispettivo prima o poi, per l’opera prestata. E v’è pure l’idea che i destinatari del soccorso, per la maggior parte, si conformeranno volentieri alle indicazioni ricevute, alle scelte fatte nei loro confronti; con sentimenti di gioia, per quanto hanno ottenuto, ringraziando per la fortuna, ogni volta che possono. Sarebbe anzi tale remissività a giustificare poi l’abnegazione del gestore, sull’altro versante; compensandolo per le energie spese pro assistito: innescando così un gioco di scambi virtuosi, fatti di buoni sentimenti, in cui tutti gli attori in scena si apprezzano e si complimentano, vicendevolmente, nella luce del Signore.
41. Resistenze, manchevolezze
Così non è in effetti, nella maggioranza dei casi.
Lo si è già detto: i beneficiari sono spesso – a vedere le cose come sono, non come si vorrebbe che fossero – persone ferite dalla vita; vittime offese in modo profondo, talora beffardo. Individui poco collaborativi, mortificati dentro e fuori. Delusi nei sentimenti e frustrati dal lavoro, amareggiati dall’ex–riformatorio, dai Sert, dal carcere, dal pronto soccorso, dalla comunità terapeutica. Esseri convinti – a volte al crepuscolo - di avere il diritto che ci si occupi di loro, amabilmente, senza indugi, dando il meglio che c’è; pronti a incolpare a ogni passo lo Stato, il Governo, non inclini a particolari sentimenti di gratitudine.
Ancora: le Regioni italiane che hanno legiferato in tema di AdS sono, fino ad oggi, la metà del totale nazionale; manca nelle altre - oltre al resto - la previsione di un fondo utile a pagare le indennità per i beneficiari incapienti: col risultato che gli amministratori, rispetto a questi ultimi, si vedono costretti a lavorare gratis, a volte, rimettendoci magari di tasca propria.
I giudici, quando cercano un amministratore di sostegno, là dove manchi un familiare adatto, non sanno spesso a chi rivolgersi. E finiscono così per far capo a certi studi di avvocato, quelli cui si sono abituati, nello smistamento delle pratiche, che da tempo godono della loro fiducia. Buoni legali magari, tecnici bravi nella procedura, sempre quelli però ripetitivamente: stesso indirizzo, stessa pec, stesso codice fiscale. Sicché troviamo nelle città professionisti i quali accumulano e concentrano oggigiorno, sopra di sé, decine e decine di fascicoli di AdS; con quali risultati - ai fini di un accudimento gentile, personalizzato dei sofferenti - si può ben immaginare.
"Beato il paese che non ha bisogno di eroi’’, diceva Bertold Brecht.
42. Disparità comunicative
Gli inconvenienti del riserbo obbligato, adesso. Dinanzi alle campagne ordite da certa stampa, i Tribunali appaiono qua e là disarmati. I pericoli sparsi, i dettagli che hanno indotto quel dato giudice ad adottare, poniamo, un provvedimento restrittivo dell’accesso al conto bancario, a bloccare un matrimonio, a optare per l’entrata in una casa di riposo: ebbene, si tratta di particolari che non possono venir rivelati, esternamente, coperti come sono dai sigilli della discrezione, della riservatezza. Così la pubblica opinione, cui mancano i dettagli esplicativi, illuminanti, può uscirne seriamente sconcertata: ha l’impressione di una giustizia frettolosa, di crudeltà commesse senza ragione. Gli elementi negativi, come look complessivo, finiscono così per sopravanzare quelli positivi, nell’amministrazione di sostegno; il che ha l’effetto di appannare l’immagine stessa della giustizia, il suo stemma araldico, quale circolante nel paese. Con l’ingenerarsi di complicazioni non da poco, allora, per quanto concerne lo stato d’animo, le propensioni naturali negli utenti; ciò anche presso le famiglie dei beneficiandi, in generale, riguardo alle future evenienze.
43. Correttivi, aggiustamenti
Il tema è complesso, ci si può forse interrogare sugli antidoti – non è semplice trovarli.
Basterà a volte (a tranquillizzare gli scettici) il computo dei fascicoli rispetto ai quali le cose procedono invece, a livello di territorio, ragionevolmente bene o almeno in modo discreto e talora proprio risolutivamente, con riguardo all’AdS?
Confidare poi che la buona stampa, se non altro nei dossier coinvolgenti celebrità dello spettacolo, riuscirà a mettere mano sui delitti nascosti – piccoli crimini, affiorati dalle pieghe di un processo penale, a sorpresa - da passare poi al campo civile, per il grande pubblico?
Incoraggiare infine i Tribunali a pubblicizzare ogni tanto (se non proprio le brutture dei casi singoli) quantomeno i binari e i fuochi ispiratori lungo cui, per l’anno in corso, si svolgerà in ufficio la gestione dei fascicoli – il metodo abituale di lavoro, lo stile degli interventi tecnici, riguardo alla protezione dei bisognosi, agli orizzonti operativi che si assumono - in chiave di politica del diritto?
44. Il patto di rifioritura
Come riuscire – altra questione adesso – ad aiutare chi sia afflitto da serie dipendenze, tali da fiaccarlo nel corpo e nello spirito, come fargli ritrovare il sentiero perduto?
Primo passaggio, allora, affidarsi alla regia di un’autorità sperimentata, ossia il giudice tutelare. Anche là dove il dato sanitario figuri in primo piano, resteranno decisivi, per l’agenda di chi zoppica, i momenti di tipo non biologico: il focolare, il lavoro, il tempo libero, la scuola, le intese col volontariato.
Meglio sia un’équipe composita, suggeriscono allora certi interpreti, a occuparsene istituzionalmente. Il timone rimesso a chi è abituato, per mestiere, a soppesare e bilanciare i risvolti secolari del giorno per giorno, del tenore di vita.
(a) E occorre abbandonare l’idea di un marchingegno ospedaliero – tipo la settimana del trattamento obbligatorio, di cui alla legge 180 – esaurentesi in pochi giorni.
Le cose vanno viste come destinate a svolgersi in più fasi: continue, progressive, all’insegna di un accorto interscambio, del non primato per i muscoli e la chimica. Con alternanze di passaggi, medici e non medici, fintantoché la presa in carico perduri; qualche mese di impegno o anche più tempo, nella coscienza che i miracoli sono rari, che necessitano di pazienza, di realismo. Un metodo condiviso, il più possibile. Meno diritto penale, meno psichiatria. Che non escluda all’orizzonte l’eventualità di momenti energici, all’occorrenza, di ‘’coazioni benigne’’: nel segno di un richiamo ai doveri della civitas, per l’assistito, della coerenza operativa.
Ogni sacrificio – giri di boa, astinenze virtuose, rinunce alla tossicità, self–restraint – concertato col gruppo istituzionale di ripristino: in stretta armonia d’intenti.
Chi brontola o protesta, invitato a smetterla - dal cane pastore, dall’équipe salvavita - per il bene di tutti quanti: ammonito a rispettare gli accordi, ‘’altrimenti si andrà avanti col programma’’, piaccia o non piaccia, fino in fondo.
(b) Resta da aggiungere come l’Amministrazione di sostegno si sia confermata, dopo anni di applicazione, quale corpus pienamente rilevante ai sensi dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione. Figura e bastione istituzionale in grado di legittimare - con le dovute garanzie - diffide/ultimatum in ordine ai doveri che ogni individuo accusa verso se stesso (autoprotezione, dignità, onore, cautela); nonché in merito agli obblighi che gravano, su di lui, rispetto ai familiari e alle persone che lo attorniano (assistenza, mantenimento, educazione, promozione).
45. Quattro storie
Non dovrà più accadere così che Bianca – diciottenne tossicodipendente, a rischio di autodistruzione, facile preda di malintenzionati – possa uscire a suo piacere dalla comunità che la ospita. Al custode che vigila alla guardiola sarà stato attribuito dal Tribunale, in partenza, il potere di rifiutare alla ragazza, che lo domandasse, l’apertura del cancello.
Ancora. Luciano, un ludo–dipendente, poker, macchinette, corse al trotto: tre giorni dopo aver preso lo stipendio se l’è già "fatto fuori’’; risultato i bambini di casa denutriti, senza scarpe, la moglie che non può andare dal dentista. Un provvedimento giudiziale, circoscritto ai meri profili finanziari, non esteso agli aspetti sanitari, terapeutici, farmacologici, potrebbe reputarsi per il futuro, con buona ragione, non proprio adeguato.
Evelina, aspetta un bambino da un mese e mezzo, risulta che fino al giorno del concepimento si faceva di eroina, un giorno sì e un giorno no. Andrà messa in condizione di non poter assumere nessuna sostanza, non perfettamente innocua, sino al parto concluso, e anche dopo se allatta.
Gregorio, beve ogni giorno sino a stordirsi, non appena ubriaco picchia moglie e figli, quando non è assecondato. Un itinerario all’insegna dell’ascolto, disseminato però di aut–aut, di robuste saracinesche, di allontanamenti prolungati, dovrà al più presto – secondo quanto suggeriscono il sociologo, il farmacista, l’analista dell’anima – tratteggiarsi dal magistrato.
46. Matrimonio sì o no
Infermiera tuttofare. La diciannovenne dell’est, bionda di capelli, sensuale, occhi da gatta, che vorrebbe sposare il novantenne arzillo a lei affidato, milionario, apparentemente felice di impalmare la giovinetta e, difficoltà linguistiche a parte, di farla sua. Sì, oppure no alla cerimonia, deve decidere il giudice, sollecitato dai parenti preoccupati per l’eredità: è questo un matrimonio che s’ha da fare? Sì allora – è il responso – qualora lei figuri almeno un minimo affidabile, di buona indole: non troppo rapace, gentile, ragionevolmente onesta, affezionata quel tanto che basta.
No alle nozze invece (basterà e avanzerà una convivenza di fatto, per i colombi) se è evidente che la biondina comincerebbe, già al secondo giorno della luna di miele, a spolpare il ‘‘marito’’; se è una pessima cuoca che gli preparerebbe, magari apposta, piatti poco digeribili; se è ben chiaro che, entro breve tempo, porterebbe in casa qualche amante; se è scontato che quelle mini–tenerezze, ragione non ultima per cui lui vuol darle il suo nome, lei smetterebbe tre settimane dopo la cerimonia di prodigargliele.
47. Ultime volontà
Cosi press’a poco per le decisioni relative al testamento.
S’intende che, in merito a quello olografo, l’interessato può scrivere sul foglio di carta quello che gli pare, magari quello che gli detta lei, vocabolario alla mano, dietro le sue spalle; si vedrà poi in sede di giudizio sull’impugnativa.
A livello notarile tutto si sposta sul momento iniziale: che cosa ammettere e che cosa bloccare subito?
No alla validità dell’atto allora – no alla sua possibile redazione – qualora le lusinghe amorose mostrino di oltrepassare una certa soglia, di seduttività e di scaltrezza; allorché la lucidità del testatore riveli, specularmente, di scendere sotto un certo limite, ogni giorno peggio.
Sì invece, coi debiti scongiuri, nell’ipotesi opposta.
Resta solo da interrogarsi – presenze ammaliatrici a parte – sul ruolo che è o sarebbe affidabile all’amministratore, in vista della messa a punto di un testamento notarile, al limite perfino olografo, da parte di un de cuius con qualche ombra cognitiva; deciso però a far sentire la sua voce, l’ultima per il ‘’dopo di me’’, nel consuntivo che gli resta. Si tratta, comunque, di interrogativi quasi interamente de iure condendo.
48. Atti della vita quotidiana
Il fatto di accusare disturbi mentali non significherà che la persona non possa, sul piano delle iniziative, collaborare alla propria rinascita. Anche sul piano contrattuale.
Anzitutto è pacifico che un individuo, per quanto instabile o bizzarro, è pressoché sempre in grado di compiere gli atti della vita di ogni giorno. Nessun barista, al "pazzerello’’ che gli chieda un cappuccino, porgendo due euro, potrà mai rispondere dunque: “Non ti servo, sei fuori di testa. Puoi restare nel mio locale, niente però consumazioni; al massimo un bicchier d’acqua dal rubinetto, in regalo”.
Lo stesso per quanto concerne il fornaio, il tassista, il salumiere, il calzolaio, il fruttivendolo (art. 409 cod.civ., ultimo comma).
Conclusione analoga, fin che possibile, rispetto a negozi meno semplici.
Non si parla di operazioni societarie, beninteso, né di fusioni tra banche. Ciò che è sensato dovrà accogliersi tuttavia – in vista di una miglior risocializzazione – nella portata virtuale del fragile; almeno in chiave informativa, di partecipazione ai vari anelli.
Complicità, accompagnamenti; mai esclusioni o segretezze, nessun individuo messo di fronte al fatto compiuto. Decisive nei dettagli, sempre, le caratteristiche del caso specifico: natura del vulnus cognitivo, curiosità e disponibilità al coinvolgimento, importanza del contratto da stipulare, costi/benefici sulla carta, idoneità di un’assistenza (doppia firma) civilistica.
49. Neo-sovranità negoziali
Neanche il fatto che un individuo sia "incapace di intendere e volere’’, secondo i crismi ufficiali, significherà che i suoi propositi interni non contino
Una persona può non aver stilato disposizioni anticipate, non aver lasciato alcunché di solenne: rimarrà libera di indicare al medico, al momento cruciale, cosa debba accadere di lei, del suo corpo. E se il paziente è obnubilato, magari in coma, sarà comunque decisivo ciò che egli risulti aver detto, ai familiari e agli amici, quando stava bene di salute. Tutti al mondo parlano, si esprimono, basta saperli ascoltare.
“Non ti pronunci, non hai scritto nulla”.
“Non è vero, sei tu che non leggi, che non presti attenzione”. “Forse hai poco cervello e niente cuore”.
50. Eluana Englaro
È questo un passaggio su cui Beppino Englaro insiste particolarmente, nelle sue conferenze. Le lotte per porre fine allo strazio di Eluana, la figlia tenuta in vita dalle macchine, una lesione irreversibile al cervello. “Non mi sarei battuto con tanto impegno, – ripete sempre, – senza il ricordo della fermezza con cui Eluana, a vent’anni, parlando in generale, un po’ riferendosi a un amico al quale era capitata una disgrazia, ripeteva che in frangenti simili, mancando speranze di ripresa, lei non avrebbe accettato prolungamenti artificiali dell’esistenza”. “La memoria di quel vigore, ecco perché sono sceso in campo”: soltanto a certe condizioni, di freschezza e dignità elementari, merita di essere vissuta la vita.
51. Altre vicende
Lo stesso per chi da un certo momento in poi, emergenze terminali a parte, stenti a indicare chiaramente cosa vuole.
Flebo, interventi chirurgici, anestesie, riabilitazioni, sondini. Verrà ancora dal paziente la risposta: confidenze fatte agli amici, trent’anni prima, pagine di diario, scritti per un concorso; collezioni di aforismi nel blog, testi di canzoni famose modificati appositamente e registrati sul telefonino. Più gli indizi e i segnali che trasmette il presente: battiti degli occhi, movimenti del corpo, le narici, il sudore sulla fronte, la mano che si apre o che si chiude: chi vuol documentarsi ha ciò che gli serve. Anche per quanto riguarda il matrimonio.
(a) Vincenzo ad esempio, è portatore di una seria diagnosi psichiatrica, con scompensi ricorrenti; vorrebbe sposare Arianna: neanche lei sta bene, depressa cronica, poche speranze di rimessione. Gli esperti sono pessimisti. Ecco un caso in cui l’ultima parola, in Tribunale, non potrà che essere nel senso: questo matrimonio non s’ha da fare.
(b) Lucio invece. Affetto da oligofrenie visibili sarebbe intenzionato – lei d’accordo – a sposare Carolina, non perfetta a sua volta. Cresciuti insieme, le famiglie si conoscono, hanno sempre presidiato quella che, per anni, era una semplice amicizia. I due novizi con gli occhi a mandorla hanno frequentato buone scuole, entrambi dispongono di un mestiere sicuro in mano, lui magazziniere, lei sarta; tutti li conoscono, ambedue vantano un bel carattere, ci sarà sempre a un metro di distanza un’ala protettiva. Due le coppie, normali, che si sono sposate ultimamente, fra i coetanei del quartiere. Perché non lo stesso anche loro? Carolina con l’abito bianco che ha già adocchiato, boccioli e strascico, in una boutique specializzata del centro; Lucio quel nuovo vestito grigio perla, coi risvolti lucidi e il cravattino a righe.
52. Il mandato di protezione
Trattasi di una figura già nota all’estero – presente con alterni successi in Europa – che non pochi vorrebbero oggi importare in Italia. In sostanza; invece che affidarsi all’amministrazione di sostegno, un soggetto il quale tema di perdere presto o tardi la sua lucidità, stipula un contratto di mandato, quando sta ancora bene, con un altro soggetto. Nel momento in cui si verificherà la detta condizione, il mandatario entrerà in carica, occupandosi lui degli affari del mandante, di lì in avanti, secondo i termini stabiliti nel contratto. Gli interpreti nostrani appaiono divisi nel conteggiare/misurare vantaggi, e svantaggi, di questa soluzione.
Opportunità, vantaggi
53. Inconvenienti di un assetto pan-negoziale
I punti critici adesso
54. Il profilo esistenziale di vita
Prendiamo ora il caso di una donna, Juliette, vicina ai quarant’anni. Vive in un borgo in provincia di Bologna, è nata con un forte ritardo mentale. Figlia unica, per fortuna con dei bravi genitori, si sono sempre occupati di lei. La madre, Viola, fa la bidella in un istituto scolastico, ormai alle soglie della pensione; il padre, Franco gestisce una piccola officina di elettrauto, ha il suo carico di anni. Non parla Juliette, praticamente, vede e sente così così; in carrozzina da sempre. Simpatie e antipatie estreme: gusti categorici, mai mezze misure. Una cosa le piace o non le piace. Se tutto fila come lei desidera, ove la cucina sforni leccornie, qualora il gioco che sta facendo la diverta, allora è felice come un usignolo; iniziano a splenderle gli occhi, saluta con le mani. Ride, alza e abbassa le spalle più volte, sporge la bocca per dare baci. Quando succede il contrario, eccola invece strepitare; pugni battuti per aria, cinque minuti, si chiude poi in un silenzio rassegnato: sopracciglia aggrottate, espressione tra la furia e lo sconforto. Da quarant’anni va avanti così. Colpa del reparto di ostetricia – il ritardo, la disgrazia. L’ultimo giorno Juliette aveva assunto una posizione sbagliata, nel grembo materno: occorreva far luogo a un taglio cesareo, ogni pericolo sarebbe stato superato. Purtroppo quel black–out in ospedale: risultato, il cordone ombelicale attorcigliatosi intorno al collo del feto, la mancata ossigenazione al cervello, per un paio di minuti; donde la lesione anatomica finale. C’era stato un risarcimento poi, il punto evidentemente non era quello.
55. Comportamenti, abitudini
I gusti di Juliette si sono fissati via via nel corso del tempo; benché ricchi di variabili, sono oggi ben chiari ai genitori, per l’intera gamma. Sì alla cioccolata fondente, ai lamponi di bosco, ai fagioli bianchi, al salame coi pistacchi; no alla polenta, al formaggio di capra, al gelato di cocco, alle pere cotte, alla lingua salmistrata. Sì alle storie d’amore, in televisione, ai cartoni animati retro, alle pellicole in costume; no ai telegiornali, ai dibattiti culturali, ai film del terrore. A Juliette piace andare al mare, esita a entrare in acqua però. Il viola quello chiaro, che dà sul lilla; l’azzurro se sfuma sul turchese. Sì al gelsomino, come profumo, anche alle spighe, no alla verbena. I bambini la divertono, i cani grossi la spaventano; vanno bene i gatti, quando vede le galline stringe gli occhi e ride. Meglio le canzoni cantate dalle donne che dagli uomini, soffre l’umido, i rumori forti, gli spifferi. Odia che la si faccia dormire sul fianco sinistro, detesta non essere lavata ogni giorno; gli sconosciuti prima di accettarli deve studiarli da lontano, per qualche minuto, poi dipende.
58. Procedure
Viola e Franco, come madre e come padre, hanno iniziato a pensare che – un giorno neanche tanto lontano – loro due non saranno più al mondo. Sanno che esiste l’art. 3 della Costituzione. Juliette, benché in serie difficoltà, ha buona tempra e vivrà a lungo: chi sarà lì a decidere (ecco la preoccupazione) il giorno che lei non avrà più accanto qualcuno che, come quelli di casa, conosce a memoria ogni segreto? Qualcuno che sappia come prenderla, volta per volta, che decodifichi ogni battito d’occhi al volo, qualunque smorfia.
Per questo occorre mettere a punto nuovi scudi istituzionali. Il ‘‘Profilo esistenziale di vita’’: ossia uno strumento a garanzia dei più fragili, qualcosa da porre al centro di una legge apposita; un testo che andrà approvato al più presto dal Parlamento.
(a) Ecco in breve i punti chiave. I genitori, una volta decisi ad assicurare al figlio quella rete difensiva, o in mancanza i Servizi sociosanitari, si rivolgono all’apposito ufficio del Comune. Viene attivato un procedimento teso alla confezione materiale del Profilo: mirante cioè a raccogliere, sotto la regia di un ‘’accompagnatore’’ incaricato dal Comune, i dati biografici necessari. Materiali che forniranno il disabile stesso, nella misura del possibile, i genitori, gli esperti che hanno seguito il caso, i restanti membri della famiglia. Nessun dettaglio trascurato: quale abitazione e con chi, disposizione del letto, tipi di film, insofferenze coi negozi, gusti nei vestiti, uso del frigorifero. Il tutto – con corredo di foto, di clip, di registrazioni, di video – convogliato entro un format di una decina di pagine. Documento destinato a essere parte, per un verso, della carta di identità della persona; da trasfondere, per altro verso, nell’apposito registro del Comune: a sua volta in rete con la banca–dati nazionale dei ‘’Profili esistenziali di vita’’.
(b) Da allora in poi nessun operatore avrà facoltà di prendere decisioni, sul conto di quella persona, qualora non abbia prima consultato il Profilo esistenziale di vita. Consultazione scrupolosa, fatta al microscopio, specie dopo che i genitori sono mancati. E ogni scelta non conforme al Profilo – riguardante il cibo, il tragitto della carrozzina nelle passeggiate, la presenza nei social, il colore delle tende – sarà impugnabile presso il Giudice tutelare. Ogni tanto il testo andrà aggiornato, se invecchia; un organo apposito in Municipio vigilerà su quella persona, minuziosamente, verificando che funzioni tutto al meglio, mese per mese. “Chi mi protegge è l’Italia”, ecco il vessillo per il beneficiario.
57. Il patrimonio con vincolo di destinazione
Soluzioni nuove per il “dopo di noi”. L’abrogazione dell’interdizione determina in prospettiva, negli artt. 692 ss. del codice civile, l’aprirsi di un “vuoto’’ disciplinare; vuoto suscettibile di essere coperto, agli effetti patrimoniali, tenendo presenti le istanze umane e tecniche che si ricollegano oggi all’universo del “durante e dopo di noi”. In effetti il vuoto in questione esisteva già, funzionalmente, nella vigenza dei vecchi istituti; essendo la sostituzione fedecommissaria un meccanismo quantomai farraginoso, oggetto di scarsa applicazione nella pratica. Né il deficit di presidio legale, da sempre registrabile nell’ambito del bisogno, poteva dirsi utilmente aggirato/colmato attraverso eventuali ricorsi all’istituto (non proprio italiano) del trust, o dalla legge (super laconica) sul ‘’dopo di noi’’, o dalla disciplina (puramente secondaria) dell’art. 2645 ter del codice civile. Anzi un recente bilancio circa lo stato di attuazione della legge sul dopo di noi ha messo in evidenza (gennaio 2020) che, per facilitare la diffusione degli strumenti in essa previsti, può "risultare utile completare la disciplina del contratto di affidamento fiduciario che, ad oggi, appare soltanto parzialmente regolamentato nell'ambito della legge in questione, con inevitabili conseguenze in merito alla sua concreta applicazione". È stato così immaginato, a livello di "Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili’’, un neo–bastione privatistico, denominato “patrimonio con vincolo di destinazione a favore della persona fragile”, che occuperebbe statutariamente gli articoli da 692 a 697 del codice civile (articoli ospitanti fino ad oggi la disciplina del fedecommesso). Tenuto conto, d’altronde, quanti siano nella prassi i casi in cui, rispetto ad una persona vulnerabile, il giudice tutelare mostra di orientarsi – per le ragioni più varie, allorché sia operativa una buona rete domestica – verso una non apertura hic et nunc dell’Amministrazione di sostegno, si è ritenuto opportuno ampliare il target del neo–istituto, allargandolo in generale a tutte le persone che vivano in condizioni di spiccato disagio.
58. Dettagli
Brevemente allora: con l’introduzione di detto strumento diviene possibile, per i familiari della persona in difficoltà, costituire un fondo gestito da un affidatario, nell’interesse e per l’esclusivo sostegno del fragile: in particolare per il mantenimento, la cura, la formazione, la partecipazione sociale dello stesso. È esperienza comune – merita sottolineare – come risulti spesso non opportuno intestare i beni direttamente alla persona bisognosa; x) essendo più utile che detti beni costituiscano un patrimonio separato, y) gravato da un vincolo di destinazione e contrassegnato da pressanti obbligazioni fiduciarie a carico del proprietario–gestore, z) in modo che sia assicurato il rispetto del programma che il costituente ha stabilito. Elemento caratterizzante del nuovo istituto appare, in sintesi, il favor per l’autosufficienza economico-esistenziale dell’interessato. La realizzazione del programma e il rispetto della finalità sono posti sotto l’egida del Giudice tutelare. L’istituto in esame si colloca nel solco già tracciato dall’art. 2645-ter del codice civile, delineando e disciplinando un atto di destinazione volto, in prospettiva, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, secondo il nostro ordinamento giuridico. Esso risponde sia alle preoccupazioni dei familiari, relative alla futura eventuale impossibilità di prendersi direttamente cura della persona con fragilità, sia ad esigenze del “durante noi”. Diversamente da quanto previsto nella legge 112/2016 (legge sul ‘’dopo di noi’’), il patrimonio vincolato potrebbe costituirsi anche a vantaggio di persone non classificabili come “disabili gravi”: un passaggio disciplinare mirante alla esaltazione/promozione della sovranità, per tutte le persone civilmente svantaggiate, a prescindere dalla serietà della patologia che le affligga.
59. L’ufficio-sportello comunale per la fragilità
Una proposta che si affaccia, sempre più spesso, è in tema di fragilità quella di un “Ufficio–sportello triangolare per la fragilità e l’Amministrazione di sostegno” (Ustfas), da insediare tendenzialmente a livello di Comune o di Consorzi di Comuni. Un’agenzia di supporto – viene precisato – affidata al coordinamento dell’Assessore comunale alle politiche sociali, gestibile eventualmente attraverso un’apposita fondazione, o agenzia esterna, o cooperativa, sotto il controllo dell’ente locale. Composta al suo interno da vari soggetti, pubblici e privati: personale del Comune stesso, rappresentanze degli amministratori di sostegno, operatori del Tribunale, enti della Cooperazione sociale, uffici del Dipartimento di salute mentale della A.S.L., e poi espressioni del volontariato, delle famiglie dei malati di mente, o comunque delle persone anziane, dei portatori di dipendenze, delle persone con disabilità.
"Non vi spiegherò cari utenti come fare le cose – questo il motto – le faccio io direttamente per voi”.
A monte allora una legge–quadro nazionale, istitutiva dell’Ustfas per l’intero paese, seguita poi da leggi regionali di attuazione. Tre interfacce sociali di riferimento: x) cittadinanza, famiglie, persone fragili del territorio; y) ufficio del giudice tutelare, z) amministratori di sostegno in carica. Obiettivi di fondo: accogliere, prendere in carico i non autosufficienti, sgravare il giudice e l’amministratore di sostegno da tutta una serie di mansioni (meccaniche, burocratiche, computerizzabili); consentendo a entrambi di gestire, al meglio, i rapporti personali con gli assistiti (dialogo, ascolto, confidenze, passaggi maieutici, rassicurazioni).
60. Espletamenti burocratici
Fra i compiti dell’Ustfas, soprattutto:
(Immagine: Dino Campana, Fabbricare fabbricare fabbricare, illustrazioni di Sebastiano Vassalli, Edizioni Pulcinoelefante, Osnago, 2009.)
Sommario: 1. Criticità della configurazione del condominio come consumatore - 2. L'evoluzione della giurisprudenza nel tempo: i precedenti nazionali - 3. Le sentenze della Corte di Giustizia europea (sent. 3 aprile 2020, in causa C-329/19 e sent. 27 ottobre 2022, in causa C-485/21) - 4. Rilievi conclusivi e possibili scenari futuri.
1. Criticità della configurazione del condominio come consumatore
La questione oggetto della presente riflessione può essere sinteticamente espressa in questi termini: “può il condominio essere considerato un consumatore?”, o meglio, “si può pensare di applicare la disciplina prevista a tutela del consumatore, dagli art. 33 ss. c. cons., anche ai negozi giuridici conclusi dall’amministratore di condominio?”. Posto che il condominio, nell’ordinamento giuridico italiano, non è da considerarsi né una persona fisica né una persona giuridica, e sul presupposto che le disposizioni in materia di tutela del consumatore indicano la “fisicità del soggetto” come caratteristica essenziale ai fini dell’attribuzione della qualifica di “consumatore”, è lecito chiedersi se, e in che modo eventualmente, possa estendersi la disciplina del consumatore nei confronti dell’istituto condominiale.
I dubbi circa la configurabilità del condominio come consumatore sono da ascrivere non solo alla compagine condominiale frequentemente eterogenea, potendo risultare costituita sia da condòmini che ivi svolgono attività imprenditoriale o commerciale sia da condòmini che fruiscono delle proprie unità immobiliari a scopi meramente residenziali, ma anche all’annosa, e non ancora risolta, questione riguardante la soggettività giuridica dell’istituto condominiale. Il condominio (evocando Pirandello) è, infatti, nell’ordinamento giuridico italiano, ancora “un personaggio in cerca di autore”.
Non è possibile rintracciare una soluzione legislativa al problema in disposizioni comunitarie o nazionali. Invero, né nei considerando e nei lavori preparatori alle direttive, né nel codice del consumo si rinvengono elementi utili a fornire una pacifica soluzione.
Peraltro, è appena necessario sottolineare che, qualora si attribuisse al condominio la qualifica di consumatore, si giungerebbe ad una conclusione non priva di conseguenze. Basti pensare alle innumerevoli disposizioni di tutela applicabili esclusivamente ai rapporti tra professionista e consumatore; a partire dal così detto foro del consumatore, passando per il principio di trasparenza, per finire alla disciplina delle clausole vessatorie.
2. L'evoluzione della giurisprudenza nel tempo: i precedenti nazionali
Occorre partire da una considerazione concreta: il condominio è, da diverso tempo e sia pure senza una condivisa giustificazione, considerato un consumatore dalla giurisprudenza di merito e dalla stessa Corte di Cassazione.
Si pensi alla sentenza del 24 luglio 2001, n. 10086, in cui la Cassazione stabilisce che al contratto concluso con il professionista dall'amministratore del condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si debbano applicare, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, gli artt. 1469 bis ss. c.c. (oggi 33 ss. c. cons.), atteso che l'amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condòmini, i quali “vanno senz’altro considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Poco dopo la stessa Corte, in una controversia riguardante l’individuazione del foro competente, stabilisce che si debba ritenere competente il giudice del luogo in cui il consumatore, in questo caso il condominio, abbia la residenza o il domicilio elettivo e che sia da considerarsi vessatoria la clausola che stabilisce una diversa località come sede del foro competente, posto che “per quanto concerne la qualificazione del condominio quale soggetto consumatore non sussistono ragioni per discostarsi dalla sentenza n. 10086/01”[1].
Seguendo lo stesso iter logico-giuridico, e sulla base delle medesime motivazioni, la Corte di Cassazione si pronuncia, con la sentenza del 22 maggio 2015, n. 10679, in una controversia in cui si discute della vessatorietà di una clausola compromissoria, che prevede la rimessione in arbitrato irrituale di tutte le controversie concernenti l’esecuzione del contratto[2].
Diverse sono le sentenze della giurisprudenza di merito che condividono l’orientamento di legittimità, estendendo al condominio le disposizioni previste, dall’ordinamento italiano e comunitario, a tutela del consumatore[3].
Tuttavia non mancano pronunzie disomogenee rispetto ad un orientamento giurisprudenziale consolidato.
In particolar modo, nella sentenza del 16 gennaio 2019, il Tribunale di Bergamo, a proposito di una controversia concernente l’applicabilità della disciplina prevista per il sovraindebitamento, precisa che sia “inammissibile il piano del consumatore proposto da un condominio di edifici in quanto soggetto privo dei requisiti di cui all’art. 6 perché non riconducibile ad una persona fisica”[4].
L’orientamento giurisprudenziale favorevole all’applicabilità della disciplina consumeristica al condominio si è basato, e continua a basarsi, sul presupposto che l’amministratore agisca quale rappresentante della comunità dei condòmini, sicché i rapporti giuridici scaturenti dai contratti così stipulati fanno direttamente e collettivamente capo all’insieme dei condòmini, e non al condominio inteso come soggetto separato e distinto rispetto a questi ultimi[5]. Si tratta di una conclusione influenzata dall’orientamento prevalente in giurisprudenza secondo cui il condominio è un mero ente di gestione sfornito di personalità giuridica. Questa considerazione, infatti, fa sì che gli effetti giuridici dei negozi conclusi dall’amministratore si producano direttamente in capo ai singoli condòmini, e non al condominio in quanto tale.
In nessuna delle sentenze citate viene presa in considerazione l’eventualità che non tutti i proprietari delle singole unità immobiliari perseguano scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta, né vengono esaminate le conseguenze che potrebbero derivare dalla presenza di un “professionista” all’interno della compagine condominiale. Non viene affrontata nemmeno la questione se la circostanza che l’amministratore stipuli, agendo nell’ambito della sua attività professionale, contratti per il condominio, possa valere ad escludere l’applicabilità della disciplina consumeristica[6].
3. Le sentenze della Corte di Giustizia europea (sent. 3 aprile 2020, in causa C-329/19 e sent. 27 ottobre 2022, in causa C-485/21)
Di recente è intervenuta la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 2 aprile 2020, in causa C-329/19, resa su domanda di rinvio pregiudiziale formulata dal Tribunale di Milano.
In una questione riguardante la vessatorietà di una clausola inserita in un contratto di fornitura di energia termica stipulato tra un condominio e una società, il Tribunale di Milano si chiede “se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva n. 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione”.
La Corte di Giustizia, nel risolvere la questione, viene fortemente influenzata dalla sua formulazione e dalla ricostruzione del diritto italiano offerta dal giudice remittente, sostanzialmente sbilanciata verso la concezione atomistica, e comunque imprecisa nel declinare il tradizionale concetto di “ente di gestione”, elaborato dall’orientamento collettivistico maggioritario[7].
Il giudice di Lussemburgo parte dalla problematica applicabilità, all’istituto condominiale, della nozione di “consumatore” contenuta nella lettera b dell’art. 2 della direttiva n. 93/13/CEE, e dalla necessità che siano soddisfatti entrambi i requisiti: occorre che si tratti di una persona fisica, e che abbia altresì agito per fini che non riguardano l’attività economica o imprenditoriale eventualmente svolta.
Nella domanda di rinvio pregiudiziale, il giudice remittente descrive l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui “da un lato, i condomini, pur non essendo persone giuridiche, si vedono riconoscere la qualità di soggetto giuridico autonomo”, dall’altro, secondo la medesima giurisprudenza, le norme a tutela dei consumatori si applicano ai contratti stipulati tra un professionista e l’amministratore di un condominio, definito come un “ente di gestione sfornito dipersonalità distinta da quella dei suoi partecipanti”, in considerazione del fatto che “l’amministratore agisce per conto dei vari condòmini, i quali devono essere considerati come consumatori”.
A proposito della qualificazione del consumatore come “persona fisica”, occorre immediatamente ribadire come la giurisprudenza comunitaria ne abbia sempre fornito una definizione restrittiva[8].
Infatti, la Corte di Giustizia ha costantemente negato il riconoscimento della qualifica di “consumatore” alle persone giuridiche, sottolineando come la nozione di “consumatore”, contenuta nell’art. 2 lettera b della direttiva n. 93/13/CEE, debba essere interpretata esclusivamente nel senso di “persona fisica”[9].
È evidente che, alla luce del rilievo che la “fisicità” assume ai fini della qualificazione dell’individuo-consumatore, l’orientamento consolidato della C.G.U.E. non permette di estendere l’applicabilità della relativa disciplina al caso del condominio, non potendo essere quest’ultimo una persona fisica.
Resta da stabilire se la giurisprudenza italiana, che estende la normativa di recepimento della suddetta direttiva in materia di clausole vessatorie anche al condominio, sia compatibile con quanto disposto dalla disciplina comunitaria a tutela dei consumatori. Nel caso in analisi, risulta che l’orientamento della giurisprudenza nazionale sia effettivamente volto a tutelare maggiormente il consumatore, ampliandone la tutela anche all’istituto condominiale.
Alla luce dei predetti presupposti, nella sentenza del 2 aprile 2020, la Corte concludeva che “alla questione sollevata occorre rispondere che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva n. 93/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva”.
Il 26 novembre 2020, a seguito della pronuncia sulla questione pregiudiziale della Corte di Giustizia, il Tribunale di Milano è intervenuto con sentenza definitiva.
Si tratta di una pronuncia che induce a qualche perplessità non solo e non tanto per l’improvviso capovolgimento delle posizioni espresse dal giudice di rinvio nell’ordinanza di rimessione, quanto perché, lungi dal risultare una mera applicazione del principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia, risulta sostanzialmente svilirne la portata innovativa. Inoltre, chi auspicava di ricevere una risposta definitiva sulla natura giuridica del condominio è rimasto deluso nello scoprire che, né a livello comunitario né a livello nazionale, vi sono tutt’oggi certezze sul punto.
La Corte, infatti, ha basato la sua pronuncia sulla valorizzazione della natura giuridica della parte contraente, ovvero il dover essere una “persona fisica”, ponendo in secondo piano l’altra condizione, cioè l’agire per scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta. Quest’ultima deve essere verificata unicamente nel caso in cui risulti sussistente la prima.
È chiaro che, in questo ragionamento, non vi può essere spazio per la configurazione del condominio come consumatore, posto che esso non è evidentemente una persona fisica ma neanche una persona giuridica, per l’ordinamento giuridico italiano.
A contrario, il Tribunale di Milano fonda la sua pronuncia su di un punto di vista differente, non più nella prospettiva “sfuggente” della teoria del soggetto (che, invece, aveva costituito proprio il punto di partenza nell’ordinanza di rinvio), ma in quella del rapporto giuridico.
È necessario, precisa il Tribunale, verificare caso per caso la destinazione delle unità immobiliari appartenenti alla compagine condominiale, dovendosi considerare “consumatore” unicamente il condominio che sia costituito “prevalentemente” da unità immobiliari di proprietà di persone fisiche, destinate a scopi estranei all’attività imprenditoriale e/o professionale da essi eventualmente svolta. Tale ragionamento consente di risolvere la questione del regime giuridico degli atti compiuti da un imprenditore con una parte plurisoggettiva.
Nel caso di specie si è ritenuto che il condominio fosse un consumatore, ma quello contiguo (diversamente composto) potrebbe non esserlo, e allo stesso modo anche il primo potrebbe mutare la propria qualificazione giuridica qualora venisse modificata la compagine condominiale.
In un’ulteriore e più recente decisione la Corte di Giustizia ha confermato i propri assunti ritenendo legittima l’estensione della disciplina prevista a tutela del consumatore anche alla compagine condominiale.
Con la sentenza del 27 ottobre 2022, in causa C-485/21, la Corte ha ribadito che “una persona fisica, proprietaria di un appartamento in un immobile in regime di condominio, deve essere considerata un «consumatore», ai sensi di tale direttiva, qualora essa stipuli un contratto con un amministratore di condominio ai fini della gestione e della manutenzione delle parti comuni di tale immobile, purché non utilizzi tale appartamento per scopi che rientrano esclusivamente nella sua attività professionale”.
Ciò significa che, tenuto conto dell’orientamento nazionale (l’unico, a voler essere precisi, considerato dalla Corte di Giustizia) che qualifica il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica, i singoli condòmini devono essere considerati consumatori laddove stipulino contratti per scopi che non siano esclusivamente professionali.
Anche in questa occasione, dunque, i giudici di Lussemburgo non fanno altro che confermare la stretta connessione che lega la questione della natura giuridica del condominio all’estensibilità ad esso delle tutele previste dal Codice del Consumo.
4. Rilievi conclusivi e possibili scenari futuri
Partendo dall’analisi della pronuncia della Corte di Giustizia del 2 aprile 2020, il primo punto che desta qualche perplessità è che la decisione, fortemente influenzata dal contenuto dell’ordinanza di rimessione del giudice meneghino, ha dato per scontato che, per l’ordinamento giuridico italiano, il condominio sia da considerare un centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, distinto dai singoli condòmini[10].
In conseguenza di ciò, la Corte ha omesso di pronunciarsi sulla possibilità di estendere la nozione di “consumatore” alla parte soggettivamente complessa ma priva di soggettività giuridica (come il condominio in Italia), e si è limitata a precisare di non poterlo considerare come un consumatore, in quanto non è “persona fisica”.
La conseguenza di questo travisamento è che il decisum della Corte risulta vincolante in tutti gli Stati membri che riconoscono autonoma soggettività giuridica, ma non per quelli che non la riconoscono, compreso l’ordinamento giuridico italiano[11].
Non si può non concordare, quindi, con chi evidenzia che, per quanto possa apparire paradossale, la rilevanza della sentenza, pronunciata per risolvere una questione pregiudiziale sollevata da un giudice italiano, per questo stesso ordinamento finisce per dipendere, in modo decisivo, dalla soluzione che verrà data alla vexatissima quaestio della soggettività del condominio[12].
Finora, nell’innegabile indeterminatezza della natura giuridica del condominio, il ricorso all’ambiguo concetto di ente di gestione, sostenuto dalla prevalente giurisprudenza, ha permesso di ritenere integrati i requisiti della figura del consumatore e di conseguire il risultato voluto, ovvero la nullità delle clausole vessatorie.
Volendo aderire alla tesi prevalente nella giurisprudenza, che fa coincidere le parti del contratto con i singoli condòmini, occorrerebbe verificare, caso per caso, la compagine condominiale, al fine di accertare la sussistenza della qualità di consumatore in capo a ciascuno dei condòmini. Di conseguenza, la tutela dovrebbe essere negata nel caso di unità immobiliari tutte destinate a scopi professionali. Invece, nell’ipotesi di composizione mista, si potrebbe pensare ad un trattamento giuridico differenziato, a seconda che siano in maggioranza consumatori o no. Quest’ultima teoria sembra proprio il criterio applicato dal Tribunale di Milano. Tuttavia, la stessa sentenza non chiarisce quale sia il criterio da utilizzare per verificare la prevalenza: se debba essere calcolata per quote, oppure per teste.
Peraltro, i giudici di merito sembrano lontani dall’approdare ad una soluzione univoca, invocando, in alcuni casi, il criterio della “prevalenza” e sostenendo, altre volte, l’applicazione della disciplina consumeristica, anche ai complessi edilizi in cui sono ubicate solo unità immobiliari destinate ad attività commerciali o professionali, sul presupposto che l’atto concluso sarebbe sempre estraneo all’attività professionale, in quanto finalizzato soltanto alla gestione delle parti comuni[13].
Una parte della dottrina ha sottolineato le criticità che derivano dall’adozione del criterio della prevalenza, in quanto, per tale via, non vi sarebbe alcuna prevedibilità, dovendosi procedere necessariamente ex post ad una verifica della destinazione degli immobili e, inoltre, si troverebbero a beneficiare della tutela alcuni soggetti, quali enti e persone giuridiche che, in condizioni di normalità, ad essa sarebbero sottratti ex lege[14] o, per esempio, persone fisiche che, locando gli appartamenti dello stabile, esercitano la loro precipua attività professionale di agenti immobiliari[15].
Al fine di risolvere tali criticità, vi è chi ha proposto la tesi secondo cui bisognerebbe “oggettivare il profilo consumeristico” degli atti di gestione dei beni comuni, in virtù del fatto che essi non perdono il proprio “lineamento necessariamente personalistico” e la propria funzionalizzazione al godimento della proprietà da parte di più persone fisiche anche quando la situazione formale di appartenenza delle porzioni di immobile faccia a capo a enti e/o professionisti. Di conseguenza, sotto una “dimensione dinamico-utilitaristica”, lo sfruttamento del condominio rappresenterebbe “una forma speciale, soggettivamente neutra e oggettivamente tipizzata (...), di atto di consumo”. Una tale soluzione avrebbe il vantaggio di garantire certezza del diritto sottraendo il giudice all’odiosa spada di Damocle, laddove la situazione rimessa allo scrutinio giudiziale presenti evidenti chiaroscuri, come accade nel caso in cui il condominio abbia una composizione mista o nel caso in cui le persone giuridiche proprietarie degli immobili lochino i medesimi a terzi per scopi abitativi[16].
Altra parte della dottrina, invece, ha proposto la creazione di una definizione transtipica di consumatore, che superi le dicotomie classiche di persona fisica e persona giuridica, facendo prevalere il profilo teleologico, che connota il comportamento del consumatore, su quello prettamente soggettivo. In questo modo, rilevando quale unico discrimen la situazione di inferiorità e debolezza in cui versa il soggetto nei confronti del professionista, si garantirebbe il raggiungimento di un equilibrio tra le parti, reale e non solo formale, in tutte le situazioni caratterizzate da uno squilibrio di potere contrattuale e da un’asimmetria informativa, e si realizzerebbe quell’eguaglianza sostanziale che è l’obiettivo di tutta la disciplina consumeristica[17].
Secondo un altro orientamento[18], trattandosi di parte plurisoggettiva mista, composta da consumatori e professionisti, la disciplina del codice di consumo, letta come diritto speciale, sarebbe del tutto inapplicabile, dovendo trovare applicazione la disciplina generale del codice civile. A sostegno della citata tesi, si fa riferimento all’art. 54 dell’abrogato codice di commercio ai sensi del quale “se un atto è commerciale per una sola delle parti, tutti i contraenti sono per ragione di esso soggetti alla legge commerciale, fuorché alle disposizioni che riguardano le persone dei commercianti, e salve le disposizioni contrarie di legge”.
Un ultimo orientamento giunge, invece, a conclusioni opposte ritenendo di poter applicare, in presenza di una parte plurisoggettiva mista, la disciplina del codice del consumo, in ogni caso e anche ai professionisti, in quanto tra un eccesso di tutela, ove si applichi a tutti i soggetti la disciplina del codice di consumo, ed un rischio di eccesso di rigore, ove si applichi a tutti i soggetti la disciplina del codice civile, “tutto sommato è forse preferibile correre il primo pericolo”[19].
Il criterio della prevalenza fa sorgere anche il problema dell’identificazione della parte su cui grava l’onere di dimostrare di essere un consumatore. La dimostrazione spetta all’amministratore del condominio che ha concluso il contratto, in quanto tale qualifica costituisce un elemento strutturale della domanda o dell’eccezione, da porre a carico di chi rivendica l’applicabilità alla fattispecie contrattuale della disciplina pro consumatore[20].
Tuttavia, occorre rilevare come la pronuncia della Corte di Giustizia ha posto una grave ipoteca sul tema della sussumibilità del condominio nella nozione di “consumatore” giacché, nello stabilire che, qualora gli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri attribuiscano un’autonoma soggettività giuridica al condominio, al medesimo non possa essere data immediata applicazione della disciplina consumeristica, ha legato indissolubilmente la questione in esame al problema della soggettività giuridica[21].
Il punto è che, nell’ordinamento giuridico italiano, il condominio continua a rimanere un “personaggio in cerca di autore”, con l’aggravante che, in base alla sentenza in commento, non si potrà più considerare quest’ultimo sic et simpliciter consumatore[22].
A destare ulteriori perplessità è ancora il Tribunale di Milano che, dopo aver ottenuto dalla Corte sovranazionale una pronuncia che conferma e rende vincolante proprio il suo assunto di partenza, non si pronuncia poi sulla questione della soggettività giuridica del condominio e, tornando a considerare il condominio semplicemente come una parte soggettivamente complessa, giunge ad una conclusione che presupporrebbe risolta proprio la questione della natura giuridica.
Sembra ragionevole ritenere che così viene elusa la pronuncia della Corte di Giustizia dallo stesso giudice che l’aveva chiesta. Infatti, volendo considerare il condominio come una semplice parte soggettivamente complessa, una mera somma di comproprietari che partecipano uti singuli, rappresentati dall’amministratore, alla stipulazione del contratto, non sussisterebbero dubbi, qualora risultasse soddisfatto il criterio della prevalenza, circa l’estensibilità della disciplina consumeristica al condominio.
Sembra quasi che l’unico modo per garantire ai condòmini la qualità di parte “consumatrice” sia la negazione dalla soggettività giuridica del condominio[23].
Laddove, invece, si attribuisse al condominio un’autonoma soggettività giuridica, scatterebbe il vincolo interpretativo della Corte di Giustizia, e sarebbe esclusa a priori la qualificabilità del condominio come un consumatore. In tal caso, il sistema per assoggettare il condominio alla disciplina consumeristica sarebbe quello di ricorrere ad un’interpretazione estensiva dell’art. 3 lett. a del Codice del consumo, ovvero un’applicazione analogica delle disposizioni del codice medesimo.
A proposito del primo orientamento, vi è chi ha ritenuto che “il gruppo condominiale sia tanto particolare (…) da non poter essere comunque ascritto agli enti collettivi cui il legislatore risulta aver negato la qualifica di consumatori” [24]. Tuttavia, questi assunti non sembrano convincenti, come sostenuto da altra parte di dottrina, in quanto “vi è un punto di rottura oltre il quale l’elasticità semantica del testo non consente all’interprete di procedere”[25].
Per quanto concerne, invece, l’ipotesi di applicazione analogica, appare difficile da giustificare in un ordinamento giuridico come quello italiano per due motivi fondamentali: 1) la normativa a tutela del consumatore è inserita nel codice del consumo o in decreti legislativi di natura settoriale, che sono posti in rapporto di specialità rispetto al diritto privato comune affidato al codice civile; 2) l’art. 32, lett. c, l. n. 234 del 24 dicembre 2012 (recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”), stabilisce che gli atti di recepimento di direttive dell’UE “non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse”, per “livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” dovendosi intendere, fra l’altro[26], “l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, laddove ne derivino maggiori oneri amministrativi per i destinatari”[27] [28].
A questo punto, per superare i limiti dell’interpretazione analogica, le soluzioni proposte dalla dottrina sono due.
La prima è quella di estendere la disciplina consumeristica al condominio al fine di un’interpretazione sistematica. Questa soluzione[29] si basa su due presupposti fondamentali: da un lato, la coerenza e la completezza del sistema impone di prevedere soltanto due possibili categorie di contraenti, quelle di “professionista” e di “consumatore”, non essendovi spazio per un tertium genus, sicché indipendentemente dalla natura giuridica della parte contraente e dagli scopi per i quali agisce, è sempre indispensabile qualificarlo come un “professionista” o un “consumatore”; dall’altro, occorre valorizzare la circostanza che nel diritto italiano l’ambito di operatività di alcune disposizioni consumeristiche è stato esteso anche ai rapporti contrattuali intercorrenti fra “professionisti” e “microimprese” e, dunque, se si escludesse la possibilità di equiparare il condominio al consumatore, si perverrebbe ad un risultato paradossale: l’applicazione delle disposizioni citate potrebbe essere invocata dalle microimprese, cioè da soggetti che agiscono in ogni caso nell’ambito di un’attività imprenditoriale, ma non dal condominio.
Pertanto, qualora si ritenesse il condominio un ens tertium dotato di soggettività giuridica, non vi sarebbero dubbi circa l’applicabilità ad esso della disciplina consumeristica, in virtù del fatto che il condominio, agendo per finalità sicuramente estranee a qualsiasi attività imprenditoriale e/o professionale (beninteso, quando agisce per soddisfare le esigenze relative alle parti in comune dell’edificio condominiale), è da considerarsi non un consumatore in senso stretto, ma un soggetto che, per ragioni sistematiche, di completezza e di coerenza, non può non essere equiparato ad un consumatore[30].
La seconda soluzione proposta dalla dottrina è quella di analizzare la ratio della disciplina posta a tutela del consumatore. Laddove la si rinvenisse nella protezione del fruitore finale di beni o di servizi, non si potrebbe più sottrarre il condominio alla sua applicazione, in quanto quest’ultimo, al pari del consumatore, si inserisce nel mercato per consumare e non per produrre ricchezza. Sostenendo questa tesi, anche qualora si volesse propendere per il riconoscimento della soggettività giuridica al condominio, lo si potrebbe assoggettare alla disciplina consumeristica, senza superare la definizione di consumatore, e trovando un avallo nella sentenza della Corte di Giustizia[31].
Non è difficile rendersi conto che il condominio si pone esattamente a metà strada tra la nozione di “consumatore” e la nozione di “professionista”: non è un consumatore in quanto non può essere una persona fisica, ma non è neanche un professionista perché, almeno quando conclude negozi giuridici al fine di garantire la gestione, l’amministrazione e il godimento delle parti comuni, non agisce per fini professionali e/o imprenditoriali.
In definitiva, per quanto consapevole che concludere l’analisi di un istituto giuridico auspicando l’intervento del legislatore non si caratterizzi per originalità metodologica, credo non ci si possa esimere dal ritenere che solo una novella normativa chiarificatrice consenta di evitare le inevitabili incertezze derivanti da una verifica caso per caso.
In quest’ottica, una soluzione che risulterebbe efficace, al fine di porre un punto fermo alla vexata questio, potrebbe consistere nell’estendere, sul modello di altri Paesi europei e per opera del legislatore, la nozione di “consumatore”.
Allo stato attuale della giurisprudenza, e senza una risposta certa sulla natura giuridica del condominio che possa far propendere in un senso piuttosto che nell’altro, è innegabile che il condominio (e non i singoli condòmini che concorrono a formare la parte soggettivamente complessa, qualora si continui ad aderire a quest’ultima tesi) non sia e non possa essere, in quanto tale, un “consumatore”, ma semplicemente possa godere (condivisibilmente) delle stesse tutele giuridiche.
[1] Cass., 12 gennaio 2005, n. 452.
[2] La Corte Suprema precisa, infatti, che “va ricordato che al contratto concluso con il professionista dall'amministratore del condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la normativa a tutela del consumatore, atteso che l'amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condòmini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale”.
[3] Ex multis: Trib. Ravenna 27 settembre 2017; Trib. Massa 26 giugno 2017; Trib. Milano 21 luglio 2016; Trib. Cagliari 19 giugno 2014, n. 1890; Trib. Genova, 14 febbraio 2012; Trib. Milano, 8 settembre 2008, n. 10854; Trib. Reggio Emilia, 6 marzo 2008; App. Catania, 26 febbraio 2008; Trib. Genova, 6 novembre 2007; Trib. Monza, 28 giugno 2007; Trib. Milano, ord., 20 novembre 2004; Trib. Modena, 20 ottobre 2004; Trib. Pescara, 28 febbraio 2003; Trib. Bologna, 3 ottobre 2000.
[4] www.condominioelocazione.it, nota a sentenza del 29 settembre 2020; vedi anche Cerri, La Suprema Corte definisce la nozione di consumatore nella composizione della crisi da sovraindebitamento, in Il diritto fallimentare, 2016, pp. 1291 ss.
[5] De Cristofaro, Diritto dei consumatori e rapporti contrattuali del condominio: la soluzione della Corte di Giustizia UE, in Nuova giur. civ. comm.,2020, I, p. 844.
[6] De Cristofaro, Contratti del condominio e applicabilità delle disposizioni concernenti i contratti dei consumatori: il diritto italiano dopo la sentenza della Corte Giust. UE del 2 aprile 2020, in Nuove leggi civili commentate, 2021, pp. 594-596.
[7] Oliviero, Mandato dell’amministratore di condominio e disciplina consumeristica nel quadro delineato dalle recenti pronunce della corte di giustizia UE, in Nuove leggi civili commentate, 2020, pp. 1375-1376.
[8] Ex multis: Corte di Giustizia, 5 dicembre 2013, in causa C-508/12; Corte di Giustizia. 19 gennaio 1993, in causa C-89/91 e Corte di Giustizia, 21 giugno 1978, in causa C-150/77.
[9] Corte di Giustizia, 22 novembre 2001, cause riun. C-541/99 e C-542/99, nella quale sono state escluse dalla nozione di consumatore sia la società in nome collettivo sia la società a responsabilità limitata, facendo leva proprio sulla impossibilità di ricondurre questi tipi sociali alla nozione di “persona fisica”.
[10] A tal proposito, il ragionamento della Corte è evidente, ad esempio: al punto 22 (“occorre stabilire se un soggetto giuridico che non sia una persona fisica possa (...) rientrare nella nozione di consumatore”); al punto 26 (“il giudice del rinvio indica che nell’ordinamento italiano un condominio è un soggetto giuridico che non è né una “persona fisica”, né una “persona giuridica”); al punto 28 (ove muovendosi dalla considerazione che il condominio non può essere considerato una persona fisica si riconosce che gli Stati membri sono liberi di decidere se esso sia una vera e propria “persona giuridica” (...) ovvero un tertium genus non riconducibile né all’una né all’altra categoria) e al punto 37 della sentenza della Corte (ove si afferma che gli Stati membri possono estendere l’applicazione delle norme di recepimento della direttiva n. 93/13 CEE anche a “soggetti giuridici” (...) che non rientrano nella nozione di consumatore” e si individua esplicitamente proprio nel condominio, quale concepito nel diritto italiano, un esempio tipico di soggetti giuridici siffatti).
[11] Foresta, Il recente approdo della Corte di Giustizia sul condominio consumatore, in Studium iuris, 2021, p. 18.
[12] De Cristofaro, Diritto dei consumatori e rapporti contrattuali del condominio: la soluzione della Corte di Giustizia UE, cit., pp. 845 ss.
[13] App. Milano, 13 novembre 2019, n. 4500. Si consideri, per esempio, la sentenza della Corte d’Appello di Genova il 20 novembre 2020, in cui si trattava di stabilire se un condominio-centro commerciale potesse essere considerato come consumatore. I giudici della Corte d’Appello hanno ritenuto che il condominio in questione rientri nella categoria dei consumatori. Posto che, precisava la Corte, la questione rilevante consisteva nel verificare se il condominio svolgesse un’attività imprenditoriale o professionale o se tale attività fosse svolta da tutti i suoi condòmini o da una parte prevalente di essi, tale ultima situazione non ricorreva nel caso di specie, non potendosi escludere, per la sola denominazione di “condominio-centro commerciale”, che il complesso edilizio fosse costituito da negozi ed abitazioni, anziché esclusivamente da persone giuridiche e/o imprenditori. La Corte d’Appello sembra correlare la qualifica di consumatore non ad una “formalistica” condizione permanente del soggetto, bensì alla “sostanziale” attività dello stesso, ed alla finalità dell’atto negoziale posto in essere. Si dovrebbe escludere la qualità di consumatore non al condominio-centro commerciale in quanto tale, ma solo a quello in cui tutti i condòmini svolgano un’attività commerciale, essendo necessaria, per tale via, una verifica ex post dello scopo per cui sia stato concluso il contratto. Se tale situazione non ricorre, si deve ritenere che tutti i contratti condominiali, in quanto volti alla conservazione/manutenzione delle parti dell’edificio o al funzionamento dei servizi comuni, non sono connessi all’attività imprenditoriale e/o professionale eventualmente svolta nelle singole unità immobiliari (Bordolli, Il condominio destinato a centro commerciale, composto di negozi e abitazioni, può essere considerato come un “consumatore”, 2021, in condominioelocazioni.it).
[14] Chiesi, Condominio: “essere o non essere” (consumatore)?, in Immobili&Proprietà, 2020, p. 498.
[15] Celeste, Il condominio diventa "consumatore" sia pure solo se le unità immobiliari dell'edificio risultino prevalentemente di proprietà di persone fisiche, 2021, in condominioelocazione.it
[16] Calvo, Complessità personificata o individualità complessa del condominio-consumatore, in Giur. It., 2020, p. 1326, il quale aggiunge che il criterio della prevalenza, se applicato a tali soluzioni, “rende a nostro avviso arbitraria e sindacabile qualunque soluzione prescelta. Si rinnovi alla memoria che le ipotizzate impasse sono in apicibus annientate ove si segua l’orientamento da noi proposto, facente perno sulla categoria razionalizzante e unificatrice dell’atto obiettivo di consumo”. A tal proposito, Pagliantini, Il consumatore “frastagliato” (Istantanee sull’asimmetria contrattuale tra vicende circolatorie e garanzie), Pisa, 2021, pp. 77 ss., ha obiettato che “ragionare di un atto oggettivo di consumo, scisso dalla qualità soggettiva dei condòmini (…) riscrive il disposto dell’art. 3 lett. a) c. cons.”, dove non vi è menzione “di una neutralità soggettiva degli atti soppiantata da una rilevanza del loro contenuto oggettivo”.
[17] Cerri, Il condominio è qualificabile come consumatore? La questione rimessa alla Corte di giustizia, in il Corriere giuridico, 2020, pp. 207-208.
[18] Stella Richter, Il tramonto di un mito: la legge eguale per tutti (dal diritto comune dei contratti al contratto dei consumatori), in Giust. Civ., 1997, II, pp. 201 ss., ove si precisa che “l’orientamento non merita consenso: non convince né l’assunto secondo cui il diritto dei consumatori sarebbe diritto speciale come tale non applicabile quasi per definizione, né il richiamo ad una norma ormai abrogata quale l’art. 54 c. comm”.
[19] Atelli, Consumo individuale e consumo “aggregato”: insufficienze del modello legale del consumatore in Tendenze evolutive nella tutela del consumatore, 1998, p. 34; a tal proposito, vedi anche Minervini, Condominio e consumatore, in Giur. It., 2022, p. 253, dove si sottolinea che “neanche questo orientamento merita consenso: l’arbitrarietà dell’argomentazione addotta a sostegno è palese”.
[20] Calvo, Complessità personificata o individualità complessa del condominio-consumatore, cit., p. 1326.
[21] Oliviero, Mandato dell’amministratore di condominio e disciplina consumeristica nel quadro delineato dalle recenti pronunce della corte di giustizia UE, cit., pp. 1380-1381.
[22] Spoto, Il condominio non è un consumatore ma ha le stesse tutele, in Corriere giuridico, 2020, p. 901.
[23] Oliviero, Mandato dell’amministratore di condominio e disciplina consumeristica nel quadro delineato dalle recenti pronunce della corte di giustizia UE, cit., p. 1381.
[24] Simeon, Il condominio è un consumatore? La decisione della Corte di Giustizia non scioglie i dubbi, in Giur. Comm., 2021, II, pp. 476 ss.
[25] Bin, Clausole vessatorie: una svolta storica (ma si attuano così le direttive comunitarie?), in Contratto Impr./Europa, 1996, p. 436; vedi anche Minervini, Condominio e consumatore, cit., p. 251, ove si aggiunge che la tesi va ben oltre il “punto di rottura” in quanto l’art. 3 lett. a c. cons. parla chiaro e non ammette una siffatta interpretazione estensiva.
[26] Ai sensi del comma 24 ter, lett. b, dell’art. 14 l. n. 246 del 28 novembre 2005, espressamente richiamato dallo stesso art. 32 cit.
[27] De Cristofaro, Contratti del condominio e applicabilita` delle disposizioni concernenti i contratti dei consumatori: il diritto italiano dopo la sentenza della Corte Giust. Ue del 2 aprile 2020, cit., p. 619.
[28] A tal proposito, Pagliantini, Il consumatore “frastagliato” (Istantanee sull’asimmetria contrattuale tra vicende circolatorie e garanzie), cit., p. 70, sottolinea che non è ammissibile il ricorso all’analogia in quanto quest’ultima non è una “formula magica”, sicchè se non vi è una lacuna “l’interprete non può maneggiare lo scopo di protezione come se questa ci fosse”.
[29] De Cristofaro, Contratti del condominio e applicabilità delle disposizioni concernenti i contratti dei consumatori: il diritto italiano dopo la sentenza della Corte Giust. Ue del 2 aprile 2020, cit., p. 621.
[30] A contrario, Minervini, Condominio e consumatore, cit., p. 251, obietta che “non si rinvengono ragioni di coerenza e completezza del sistema, tali da giustificare siffatta equiparazione”.
[31] Scapellato, Per la Corte di giustizia UE la tutela del consumatore può estendersi al condominio, in Giurisprudenza italiana, 2021, p. 1594.
Sommario: 1. Premessa: Il contenzioso bancario. Uno sguardo d’insieme dell’intero problema. - 2. L’ordinanza del Tribunale di Salerno del 19 luglio 2023. - 3. Il provvedimento della Prima Presidente della Corte di Cassazione. - 4.1. L’ammortamento cd. alla francese ed il divieto di anatocismo. - 4.2. L’ammortamento cd. alla francese: maturazione ed l’esigibilità degli interessi. - Segue: 4.2.1. Ancora sulla maturazione ed l’esigibilità degli interessi: Cass. Civ. sez. I, 11 novembre 2021, n. 33474. - 5. Ammortamento alla francese: fra determinatezza, trasparenza e (non?) meritevolezza. Una recente posizione dell’ABF. - 6. Ammortamento alla francese: una questione di determinatezza? - 7. Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. Il controverso utilizzo dell’interesse composto. - 8. segue: Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. La rilevanza del piano di ammortamento. - 9. Ammortamento alla francese: rimedi esperibili per una questione di trasparenza. - 10. Conclusioni.
1. Premessa: Il contenzioso bancario. Uno sguardo d’insieme dell’intero problema.
Alla fine, saranno le Sezioni Unite a dirci se l’ammortamento alla francese sia legittimo o meno.
È da qualche tempo, in verità, che, sulla spinta delle discussioni di matematici e giuristi, nelle aule di Tribunale di tutta Italia si discute della legittimità o meno di tale modalità di rimborso.
Salito sul banco degli imputati degli imputati con l’accusa di un malcelato effetto anatocistico insito nello sviluppo rateale del piano di rimborso, più di recente il dito viene puntato sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto e sulla violazione della c.d. trasparenza bancaria, in relazione alla ritenuta applicazione del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori e del conseguente, ma inespresso e quindi non convenuto, incremento del costo complessivo del denaro preso a prestito.
Ecco che, sfruttando immediatamente le potenzialità del nuovo rinvio pregiudiziale, il Tribunale di Salerno investe la Corte di Cassazione della questione che presenta evidenti difficoltà interpretative e che ha già dato luogo, nella giurisprudenza di merito, alle più disparate letture delle norme di riferimento e su cui, salvo, in verità, sporadiche pronunce di cui si farà menzione, la Corte non si è ancora ex professo pronunciata.
Alle origini di tale contrasto giurisprudenziale – che trascende la questione specifica devoluta – si pongono, in generale, alcune motivazioni di fondo.
È sufficiente una rapida “carrellata” all’interno dei repertori di giurisprudenza per cogliere che il contenzioso bancario e finanziario è, forse, uno degli argomenti in questo momento maggiormente divisivi e le ragioni di una tale conflittualità (giudiziaria) possono rinvenirsi in una pluralità di fattori.
V’è, da un lato, la complessità del sistema normativo derivante da una normazione “multilivello”: i testi normativi, quando non ne siano diretta promanazione, sono condizionati dal formante sovranazionale che incide sull’attività del Legislatore, prima, e dell’interprete, poi, chiamato a ricondurre le disposizioni normative (o la loro interpretazione) in linea con la legislazione eurounitaria, antitrust o, ancora, con il cd. Statuto del consumatore.
V’è, ancora, l’elevato tasso di tecnicismo che connota la materia: le categorie tradizionali del diritto contrattuale sono, infatti, chiamate a confrontarsi ed arricchirsi dei contenuti propri delle scienze matematiche, non sempre di immediata intellegibilità, di modo che è (anche) sulla scorta di queste che devono, poi, compiersi valutazioni giuridiche afferenti alle prime, in un dialogo sempre più difficile che rende il settore dei contratti bancari e finanziari quasi un “microcosmo” del diritto contrattuale, governato da regole sue proprie.
Dall’altro lato, v’è, poi, una contrapposizione di matrice che potremmo definire in un certo senso “ideologica”.
Il contenzioso bancario e finanziario è, infatti, uno di quelli ove maggiormente si riscontra l’asimmetria contrattuale – che è anzitutto, ma non solo, asimmetria informativa – dove ad un professionista certamente qualificato sul mercato si contrappone una vasta platea di soggetti, che su quel mercato agiscono per le più disparate finalità o per soddisfare le più diverse esigenze ed il cui potere negoziale, siano essi consumatori o meno, può essere, spesso, marginale quando non del tutto inesistente[1].
Del resto, la difficoltà di addivenire ad un momento di sintesi di tali contrapposti fattori ben la si coglie sol che si ponga mente alla diversità di posizioni espresse dalla giurisprudenza di merito ed al rapido susseguirsi, anche nel recente periodo, di plurimi interventi della giurisprudenza di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, tanto con riferimento ai contratti finanziari che a quelli bancari.
Così, senza pretesa alcuna di esaustività e limitando il richiamo agli esempi più rilevanti del “fermento” che attraversa la materia – evidente espressione di un’esigenza di chiarezza ma, al contempo, anche di ricerca di stabilità di un intero sistema il cui rilievo va oltre il momento della singola contrattazione – nel volgere di pochi anni la giurisprudenza, è intervenuta dapprima affermando una lettura funzionale e non strutturale del requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998[2].
A tale intervento ha, poi, fatto seguito l’affermazione della possibilità dell’investitore di “gestire” a suo vantaggio gli effetti processuali e sostanziali della nullità per difetto di forma scritta contenuta nell’art. 23 comma 3 del d.lgs. n. 58 del 1998, potendo questa essere fatta valere esclusivamente dell’investitore, con il temperamento che, ove la domanda fosse diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, l’intermediario avrebbe potuto opporre l’eccezione di buona fede qualora la “selezione” della nullità avesse determinato un ingiustificato sacrificio economico a suo danno alla luce della complessiva esecuzione degli ordini conseguiti alla conclusione del contratto quadro[3].
Nella materia bancaria, poi, si sono registrate, dapprima, le pronunce sull’usura sopravvenuta[4], quindi, quelle sui rapporti tra disciplina dell’usura e la Commissione di Massimo Scoperto[5], ancora quelle sul rilievo che nella disciplina dettata in tema di usura hanno gli interessi moratori, con affermazioni importanti tanto in ordine all’interesse ad agire quanto in ordine alla disciplina concretamente applicabile[6].
Il tutto senza tralasciare il dibattito, presente in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità, ad esempio, quanto alla necessità del previo esperimento della richiesta ex art. 119, comma 4, t.u.b., al fine di poter invocare in giudizio la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio ai sensi dell’art. 210 c.p.c.[7], al superamento del limite di finanziabilità, anch’esso di recente oggetto di un intervento delle Sezioni Unite[8], alla nullità del tasso di interesse per la violazione del parametro EURIBOR[9], in relazione al quale sarà interessante verificare se ed in che misura, nelle differenti posizioni già emerse in seno alla giurisprudenza di merito (e che non si possono qui indagare) la soluzione che adotterà la giurisprudenza di legittimità sarà influenza dagli approdi cui si è pervenuti in una fattispecie, certo non sovrapponibile ma sicuramente contigua, rappresentata dalle sorte delle fideiussioni omnibus reiterative del modello ABI[10].
Da ultimo, tutto il contenzioso giudiziario è, di recente, chiamato ad occuparsi delle vicende connesse alle cessioni del credito ed alla prova delle stesse.
Non è evidentemente questa la sede per soffermarsi, analiticamente, su tutti gli argomenti che si sono appena indicati; può, tuttavia, ritenersi che tutti tali interventi abbiano un minimo comune denominatore che è quello di contemperare, sul piano rimediale, le diverse esigenze di trasparenza, correttezza, informazione, equilibrio contrattuale, ma anche equità, proporzionalità e stabilità di un sistema che, negli ultimi anni, ha visto un costante incremento del tasso di litigiosità.
Tornando, allora, all’oggetto delle considerazioni che seguiranno, ad occupare, oggi, l’attenzione degli interpreti si pone la questione – predicata in termini di (in)validità, (in)determinatezza, (maggiore) onerosità, modalità di imputazione ed esigibilità degli interessi – dell’ammortamento alla francese e delle condizioni – tra tutte l’utilizzo o meno dell’interesse composto – che il piano rateale di rimborso pone.
Per cogliere i termini del problema posti dal piano di ammortamento ala francese, ancora una volta potrebbe essere sufficiente scorrere rapidamente in rassegna le pronunce – in larghissima parte rinvenibili nelle banche dati di giurisprudenza – delle sentenze di merito in materia.
Procedendo in via di prima approssimazione, da un lato v’è la posizione di quanti ritengono che la modalità di rimborso rateale del mutuo secondo le formule dell’ammortamento alla francese dia luogo ad una forma di anatocismo vietato dall’art. 1283 c.c., derivante dall’uso della capitalizzazione composta per il calcolo della rata costante.
Dall’altro lato, la posizione, che nel panorama giurisprudenziale appare, allo stato, essere ampiamente maggioritaria, che esclude tale fenomeno sull’assunto che l’anatocismo è vietato nel caso in cui gli interessi scaduti si sommino al capitale e producano a loro volta interessi e tale fenomeno si verifica solo nel caso in cui la banca determini l’ammontare della rata applicando il tasso stabilito nel contratto sia sull’ammontare del capitale complessivo ancora da rimborsare, sia su una quota di interessi scaduti nel periodo preso a riferimento per l’addebito della rata in scadenza, ma non nel caso in cui alla scadenza della rata il tasso pattuito in contratto viene applicato sul capitale ancora da restituire giacché in tal caso nessun addebito di interessi su interessi scaduti verrà addebitato al mutuatario.
Da qui la conclusione per cui tale modalità di rimborso risulta più rispettosa del principio di cui all’art. 1194 c.c. dal momento che prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione dei pagamenti agli interessi piuttosto che al capitale laddove l’eventuale maggior onere di interessi rispetto di tale piano di ammortamento rispetto a quello all’italiana costituisce un rilievo fattuale inidoneo ad incidere sulla validità del piano di ammortamento.
Tale questione – dopo essersi già tradotta in un ampio e diffuso contenzioso, che la pronuncia della S.C. più che prevenire, come ipotizza il Tribunale di Salerno nell’ordinanza di remissione, potrebbe, semmai sedare – giunge, quindi, all’attenzione delle Sezioni Unite non già per effetto della proposizione degli ordinari mezzi di impugnazione, ma attraverso l’attivazione del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. cui ha fatto seguito il provvedimento che ha investito direttamente le Sezioni Unite della Suprema Corte della questione.
Nel vasto panorama giurisprudenziale, la pronuncia del Tribunale di Salerno merita di essere segnalata in quanto rivolge il proprio sguardo non all’esistenza di profili di antigiuridicità intrinseci del piano di ammortamento alla francese, di cui la pronuncia salernitana, per il vero, non sembra farsi carico, ma perché dubita della (carenza di) trasparenza e determinatezza del regolamento contrattuale e, ancor prima, di una compiuta informazione sulle sue caratteristiche.
Plurimi sono, quindi, i fronti problematici aperti da tale pronuncia sia in merito alla violazione delle regole di trasparenza sia, qualora positiva sia la risposta a tale primo quesito, in merito alle conseguenze che da ciò dovrebbero farsi discendere.
Su tali interrogativi, dunque, pur senza pretesa di esaustività argomentativa, è opportuno soffermarsi.
2. L’ordinanza del Tribunale di Salerno del 19 luglio 2023.
Veniamo, allora, alle coordinate di fondo in cui si iscrivono le questioni poste al Tribunale di Salerno ed oggetto del rinvio pregiudiziale.
Da quanto si ricava dalla ricostruzione in fatto operata nel provvedimento in commento, la questione origina da un contratto di mutuo caratterizzato dalla presenza di un piano di ammortamento.
Più nel dettaglio, all’attenzione del Tribunale, in particolare, era stato portato un contratto di mutuo che non recava alcuna indicazione della modalità di ammortamento, del regime finanziario adottato e della modalità di calcolo degli interessi, pur essendo presente – ed in tale direzione era andata la difesa dell’istituto di credito – il piano di ammortamento, recante l’indicazione del numero delle rate, del relativo ammontare e della composizione quanto a quota capitale ed interessi.
Da qui, quindi, la richiesta da parte del mutuatario di declaratoria di nullità della clausola recante la pattuizione del tasso di interesse passivo per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, sull’assunto che a fronte della mancata indicazione del regime finanziario adottato in punto di capitalizzazione degli interessi, il piano di ammortamento alla francese a parità di importo finanziato, di tasso di interesse convenuto, di durata del finanziamento, avrebbe comportato costi “diversi ed ulteriori” rispetto ad altri piani di ammortamento, tra cui, ad esempio, quello cd. all’italiana che, sovente al primo viene contrapposto.
Il giudice campano, ritenendo sussistenti tutti i presupposti previsti dall’art. 363 bis c.p.c., ha sollevato il rinvio pregiudiziale dinanzi la Suprema Corte di Cassazione, ricostruendo gli aspetti problematici della questione.
Anzitutto, osserva il Tribunale di Salerno, quanto alla mancata espressa indicazione della modalità di ammortamento cd. alla francese, che, alla tesi secondo cui dalla mancata specificazione del regime finanziario prescelto, non deriverebbero conseguenze in punto di determinatezza delle condizioni contrattuali né in punto di trasparenza (vuoi perché desumibile dal piano di ammortamento, vuoi perché lo stesso non attiene al “prezzo” o alle “condizioni praticate”), si contrappone altra opzione interpretativa che, di contro, ravvisa una carenza del regolamento contrattuale, non colmabile con la presenza del piano di ammortamento.
Quest’ultimo, infatti, potrebbe non essere compreso dal cliente, perché magari non in possesso delle conoscenze necessarie a comprendere la portata economica di un determinato assetto negoziale (recte: finanziario).
Dall’altro lato, prosegue il giudice salernitano, gli istituti di credito sono tenuti a rendere edotti i clienti del tasso di interesse ma anche di prezzo e condizione praticati in modo da consentire ai clienti, specie se consumatori, di orientare le proprie scelte; in quest’ottica, dunque, anche l’indicazione della modalità dell’ammortamento costituirebbe un costo o un prezzo che deve essere indicato nel contratto.
Sul piano delle conseguenze, il Tribunale di Salerno muove dal duplice presupposto che venga impiegato il regime di capitalizzazione composta e che nel regime di capitalizzazione composto gli interessi prodotti in ogni periodo sarebbero destinati a sommarsi al capitale per cui producono a loro volta interessi a differenza di quanto accade nel regime di capitalizzazione semplice, determinandosi, per l’effetto, una maggiore onerosità del primo regime di capitalizzazione rispetto al secondo.
Rileva, pertanto, il provvedimento in commento che, accanto alla tesi per cui già la lettura delle condizioni contrattuali potrebbe fare emergere il regime di capitalizzazione applicato, v’è l’opzione interpretativa in base alla quale l’esigenza di trasparenza bancaria (e di determinatezza del regolamento contrattuale) sarebbe soddisfatta solo da una precisa ed esplicitainformazione nei confronti del cliente di tutte le condizioni applicate, agendo anche la modalità di ammortamento ed il regime di capitalizzazione applicato sul terreno del (maggior) prezzo del denaro mutuato e, dunque, del suo costo in termini di interessi, con conseguente nullità per mancato rispetto del requisito di forma.
Ciò, sostiene il Tribunale di Salerno, per una duplice ragione: da un lato, la maggiore onerosità del regime di capitalizzazione composto potrebbe non essere ravvisata dal cliente, privo delle necessarie competenze; dall’altro, i principi di derivazione sovranazionale non si accontentano della intellegibilità della clausola sul piano sintattico-lessicale, ma richiedono che il consumatore medio sia messo in condizione di comprendere il funzionamento concreto delle modalità di calcolo del tasso e valutare le conseguenze economiche delle clausole che va a sottoscrivere.
3. Il provvedimento della Prima Presidente della Corte di Cassazione.
Riepilogati i termini della questione, il provvedimento della Prima Presidente della Suprema Corta si vede costretto, in realtà, a dedicare un intero paragrafo ad una questione procedurale, ritenuta, tuttavia, non integrare assorbenti profili di inammissibilità, tali già di per sé da risultare ostativi all’ingresso del rinvio pregiudiziale: la mancata attivazione del contraddittorio con le parti prima di disporre il rinvio pregiudiziale.
Trattasi, tuttavia, di aspetto che allontanerebbe queste brevi riflessioni dal tema su cui intendono focalizzarsi sicché sullo stesso non ci si può attardare[11].
Nel merito, il provvedimento presidenziale condivide e fa proprie le diverse letture ed opzioni interpretative sollevate dal Tribunale campano, ritenendo, pertanto, di investire, anche alla luce delle ricadute processuali del profilo concernente la mancata attivazione del contraddittorio prima dell’adozione dell’ordinanza di rinvio, che si è sopra unicamente accennata, le Sezioni Unite della Corte[12].
Una precisazione.
Mantenendo fede alla premessa di metodo che si è fatta in apertura, le considerazioni che seguiranno si concentreranno – in termini necessariamente sommari – unicamente sulle sorti dell’ammortamento alla francese, nel difficile dialogo tra le formule di matematica finanziaria sottese al calcolo degli interessi e le regole di validità contrattuale previste dalla normativa bancarie.
Nel far ciò, però, non si seguirà integralmente lo schema adottato dalla decisione in commento: come sarà osservato anche in seguito, la pronuncia del Tribunale di Salerno non ha inteso contestare la validità del piano di ammortamento alla francese in quanto tale.
Non è chiaro, in realtà, se ciò avvenga perché si dia per scontata la legittimità di tale modalità di ammortamento o perché la valutazione condotta dal giudice campano e l’individuazione delle relative questioni siano avvenute attenendosi alle allegazioni ed alle domande svolte dalle parti che avevano sostenuto la nullità parziale del finanziamento per la mancata indicazione della modalità di ammortamento, del regime finanziario prescelto e della mancata pattuizione e indicazione della modalità di calcolo degli interessi passivi.
Nondimeno, l’eco delle problematiche, che continuano a dividere la giurisprudenza di merito e che poco più sopra si sono sinteticamente anticipate, è certamente presente anche nella pronuncia in commento che, pur non affrontandole espressamente, da queste appare nella realtà muovere, sicché è bene da queste prendere l’avvio.
4.1. L’ammortamento cd. alla francese ed il divieto di anatocismo.
Nell’ambito dei finanziamenti a rimborso graduale, nei mutui costruiti secondo l’ammortamento cd. alla francese, il piano di rimborso prevede la restituzione del capitale erogato secondo un meccanismo rateale che incorpora in ciascuna rata una quota (crescente) di capitale e una quota (decrescente) di interessi calcolata sul capitale residuo, caratterizzata dall’iniziale imputazione dei pagamenti ai secondi ma con invarianza dalla rata corrisposta nel tempo[13].
In tale modalità di rimborso, in ogni rata, la quota di interessi è calcolata tramite il prodotto fra tasso di interesse e debito residuo al termine di ciascun periodo di ammortamento e la quota capitale rimborsata per differenza tra l’ammontare della rata e gli interessi di periodo; il calcolo degli interessi sul capitale residuo comporta che gli interessi si riducano progressivamente di rata in rata in ragione dell’ammortamento del debito capitale, che nella invarianza della rata viene rimborsato per quote capitali, invece, crescenti.
Trattasi della modalità di restituzione certamente più diffusa (ma, altrettanto certamente, non l’unica possibile) nell’operatività (recte: prassi) dei finanziamenti a restituzione rateale, e che, proprio in ragione della sua diffusività all’interno del sistema bancario è stata ritenuta idonea a fondare, un vero e proprio uso in grado di derogare all’art. 1283 c.c.[14]
Riprendendo quanto prima accennato, e come del resto suggerisce lo stesso provvedimento in esame, attorno a tale modalità di rimborso, oramai da qualche tempo, è insorto un vivace dibattito tanto nella dottrina quanto nella giurisprudenza in merito alla legittimità dei piani rateali di restituzioni costruiti secondo tale modalità di ammortamento, la cui legittimità è stata via via contesta, talvolta per l’effetto anatocistico che si anniderebbe al suo interno, talaltra per la ritenuta maggiore onerosità di tale piano di rimborso, talaltra ancora in relazione alla esigibilità degli interessi[15].
Problematiche, queste, che, per la verità, sono tenute presenti nell’ordinanza qui in esame, di cui costituiscono, in qualche modo, “l’ossatura”; ciò che cambia è che le stesse non sono declinate quali vizi propri del piano di ammortamento cd. alla francese bensì lette sotto la diversa prospettiva della carenza di determinatezza e trasparenza delle condizioni contrattuali applicate.
Per il vero, mentre le posizioni assunte in dottrina, pur sembrando convergere per l’esclusione della violazione del divieto di anatocismo posto dall’art. 1283 c.c.[16], seguitano ad evidenziare alcuni aspetti ed elementi problematici in merito alla concreta costruzione del piano di ammortamento, nella giurisprudenza di merito l’orientamento più recente e diffuso tende, oramai, ad escludere che il piano di ammortamento alla francese comporti la violazione del divieto di anatocismo previsto dall’art. 1283 c.c. quest’ultimo “…frettolosamente assimilato all’impiego del regime composto”.[17]
In particolare, al netto di poche pronunce di segno contrario, la posizione più recente assunta dalla giurisprudenza di merito (ma che inizia ad affacciarsi anche nella giurisprudenza di legittimità[18]) si è andata progressivamente assestando nel senso che l’ammortamento alla francese altro non è che un metodo di restituzione i cui elementi sono dati dal capitale dato in prestito, dal tasso di interesse fissato per periodo di pagamento nonché dal numero delle rate e che consente di pianificare, in base alla periodicità di restituzione stabilita, la restituzione del capitale mutuato e degli interessi pattuiti con un piano di pagamento a rata costante, di talché, al termine del periodo stabilito di ammortamento, il debito sia completamente estinto, sia in linea capitale sia per interessi.
Tale modalità di rimborso, si legge ancora, comporta che gli interessi vengano calcolati unicamente sulla quota di capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata, senza possibilità che sugli interessi maturati in relazione a ciascuna di essa possano maturare ulteriori interessi, con conseguente esclusione della violazione del divieto di anatocismo.
Ed anzi, correttamente distinguendo il fenomeno dell’anatocismo da quello della capitalizzazione composta[19], l’esclusione della violazione dell’art. 1283 c.c. è fatta pur nella prospettiva che nel piano di ammortamento alla francese la composizione della rata evidenzi il meccanismo dell’interesse composto sul capitale in scadenza: ciò in quanto si ha anatocismo, rilevante ai fini dell’art. 1283 c.c., soltanto se gli interessi maturati sul debito in un determinato periodo si aggiungono al capitale, andando così a costituire la base di calcolo produttiva di interessi nel periodo.
Tali conclusioni appaiono, invero, condivisibili.
Il fenomeno dell’anatocismo vietato non pare essere caratteristica riferibile a tale modalità di rimborso laddove si consideri che lo stesso è configurabile solo ove gli interessi maturati sul debito in un certo periodo si aggiungono al capitale, andando così a costituire, in un meccanismo di produzione secondaria ed esponenziale, la base di calcolo produttiva di interessi nel periodo successivo.
Tale fenomeno non può, invece, ritenersi ricorrente nel piano di ammortamento alla francese la cui modalità di rimborso comporta che gli interessi vengano comunque calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata e non anche sugli interessi pregressi: ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce e gli interessi conglobati nella rata successiva sono al loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti.
Detto altrimenti, il pagamento della singola rata estingue del tutto gli interessi maturati in relazione alla rata mensile medesima, mentre gli interessi considerati nella rata successiva vengono, a loro volta, calcolati unicamente sulla residua somma dovuta in linea capitale ed unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata precedente.
E d’altro canto, come osservato in maniera condivisibile in giurisprudenza[20], la produzione di interessi su interessi è elemento, certamente, necessario del divieto di anatocismo, ma da solo non sufficiente in quanto “…determinanti nella considerazione legislativa del divieto sono: dal lato del creditore, l’esigibilità immediata dell’interesse prima; dal lato del debitore, il pericolo di indefinita crescita del debito d’interessi, incalcolabile ex ante, prima che l’inadempimento si sia verificato…”.
Senonché “…nel mutuo con ammortamento francese, o a rata costante, mancano entrambe le caratteristiche determinanti del divieto di anatocismo – rischio di crescita indefinita e incalcolabile ex ante del debito d’interessi dal lato del debitore; esigibilità immediata del pagamento degli interessi primari dal lato del creditore – anche a considerare la circostanza che il calcolo della rata utilizza l’interesse composto.
Il primo rischio non sussiste, se si considerano gli interessi corrispettivi (o “di ammortamento”). Anche se la quota interessi, calcolata sulla quota capitale in scadenza, rende evidente la produzione di interessi su interessi per annualità successive alla prima, è decisiva la considerazione che gli interessi corrispettivi sono conosciuti o conoscibili ex ante sulla base degli elementi contenuti nel contratto e non sono esposti a una crescita indefinita, poiché la loro produzione cessa alla scadenza del periodo di ammortamento…”.
4.2. L’ammortamento cd. alla francese: maturazione ed l’esigibilità degli interessi.
Proseguendo nell’esame delle posizioni assunte dalla giurisprudenza, si è, di poi, ritenuto che tale strumento risulta rispettoso del principio di cui all’art. 1194 c.c. dal momento che prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione dei pagamenti agli interessi piuttosto che al capitale; ancora, si assume che lo stesso risponde anche all’interesse del mutuatario di avere contezza sin dal momento della stipulazione del contratto, dell’entità dell’impegno periodico assunto con la Banca[21].
In verità, anche a voler prescindere dalla correttezza dell’assunto[22], il rapporto fra maturazione ed esigibilità degli interessi impone alcune precisazioni alla luce delle posizioni emerse soprattutto in dottrina.
Se, come visto, la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere che il piano di ammortamento alla francese risulti rispettoso del meccanismo di imputazione descritto dall’art. 1194 c.c., è stato affermato che, pur condividendosi l’idea di fondo che il piano di ammortamento alla francese abbia struttura d’imputazione di pagamento, le regole di imputazione dei pagamenti dovrebbero essere lette in funzione della regola di maturazione del debito da interessi di cui all’art. 821, co. 3, c.c.
Ne seguirebbe, in tale prospettiva, per un verso, che gli interessi maturano giorno per giorno e divengono esigibili nel momento in cui, però, anche il capitale è divenuto esigibile e, per l’altro verso, che la modalità di imputazione degli interessi propria di tale piano di ammortamento è tale da determinare, nei fatti, “una rinuncia a un diritto che è proprio del debitore”, imponendo, dunque, una valutazione di meritevolezza del piano[23].
Nella medesima direzione si è, di poi, sostenuto che, se i frutti civili si ricavano dalla cosa “come corrispettivo del godimento che altri ne abbia” (art. 820 c.c.), il piano di ammortamento alla francese presterebbe il fianco a criticità laddove lo stesso non vada a remunerare alcun godimento di capitale, rendendo la relativa convenzione invalida in quanto priva di causa, nel momento in cui finisce con il remunerare interessi non ancora maturati[24].
Entrambi tali assunti, tuttavia, non sembrano condivisibili.
Ed infatti, se, per un verso, è certamente vero che maturazione ed esigibilità degli interessi attengono a profili differenti, paiono condivisibili le osservazioni di chi evidenzia, quanto alla maturazione degli interessi, che essa consegue al semplice fatto che il mutuante si è privato della somma che è andata, dunque, nella disponibilità del mutuatario, rinvenendo, da quello stesso istante, il debito di interessi la propria causa in ragione del mancato godimento del capitale messo a disposizione del mutuatario[25].
Quanto, invece, alla loro esigibilità, già si è detto sopra che il metodo alla francese comporta che gli interessi vengano comunque calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata e non anche sugli interessi pregressi.
Detto altrimenti, nel sistema progressivo secondo la periodicità stabilita, ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti gli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce, senza che sia dato apprezzare il pagamento di interessi che corrisponda ad una quota di capitale non goduto: il pagamento degli interessi avviene in funzione del tempo decorso e sul capitale residuo.
Con altre parole, “…il problema non è di interessi pagati in anticipo rispetto alla loro generazione (qui, non ve ne sono); ma di interessi che, in quanto commisurati a tutto il debito residuo, sono pagati – per la parte generatasi – in anticipo rispetto al rimborso del capitale cui si riferiscono…”.[26]
Ma, non essendo revocabile in dubbio la possibilità di disciplina convenzionale in punto di esigibilità degli interessi[27], muovendosi in tale prospettiva, non persuade l’idea di una rinuncia ad un diritto proprio del debitore ed al conseguente giudizio di meritevolezza che se ne fa discendere, anche in ragione del fatto che la previsione di cui all’art. 1193, da un lato, individua una facoltà per il debitore che potrebbe non essere esercitata, lasciando in tal caso spazio ai criteri legali di imputazione e, dall’altro, segna comunque una disciplina dispositiva derogabile dal differente accordo tra le parti.
Segue: 4.2.1. Ancora sulla maturazione ed l’esigibilità degli interessi: Cass. Civ. sez. I, 11 novembre 2021, n. 33474.
La questione concernente la divaricazione tra maturazione e debenza degli interessi era stata, in verità, posta da Cass. Civ. sez. VI, 24 maggio 2021, n. 14166, di cui è bene ripercorrere molto sinteticamente i fatti che ne stanno alla base.
In particolare, la vicenda originava da una domanda di ammissione al passivo in via di privilegio ipotecario di crediti derivanti da due distinti contratti di mutuo strutturati con ammortamento alla francese.
Con una prima pronuncia il giudice delegato aveva ammesso al passivo il credito in linea capitale, escludendo la quota di interessi.
Cassata, quindi, la decisione che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione al passivo in quanto tardiva, il giudice del merito, nuovamente investito della questione, aveva disposto l’ammissione al passivo in grado ipotecario anche delle quote di interessi corrispettivi delle rate scadute calcolate al tasso convenzionale, riconoscendo, ai sensi del secondo comma dell’art. 2855 c.c., alla quota di interessi il medesimo rango ipotecario in forza dell’estensione del relativo privilegio agli interessi compensativi.
Su ricorso della Curatela, il procedimento perviene, quindi, nuovamente alla S.C. che ha ritenuto che l’assenza di precedenti sul tema ed il rilievo della questione in ragione della “diffusa operatività del mutuo ipotecario” consigliassero la decisione in pubblica udienza.
L’ordinanza interlocutoria aveva essenzialmente posto il dubbio che il rientro rateale del finanziamento potesse dar luogo al pagamento di interessi non ancora maturati in quanto corrispondenti a quote di capitale non ancora godute[28].
Orbene, la S.C., con la pronuncia Cass. Civ. sez. I, 11 novembre 2021, n. 33474, ha però dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla Curatela, ritenendo che lo stesso non abbia colto la effettiva ratio decidendi sottesa al provvedimento impugnato.
Più nel dettaglio, la Corte di Cassazione, nel richiamare l’incedere argomentativo del giudice del merito, ha osservato che lo stesso poggiava su una duplicità presupposti e cioè, da un lato, che lo scioglimento del rapporto operasse per il futuro, impedendo all’istituto di credito di richiedere la quota di interessi, già conteggiata nell’ammortamento ma in relazione alla rate a scadere; e dall’altro, che la particolare composizione della rata – comprensiva, come più volte detto, di una quota di interessi ed una di capitale in rapporto variabile tra di loro – non impedisse l’effetto estensivo dell’art. 2855, co. 2, c.c. nella parte in cui interessi dovuti erano quelli risultanti dal piano di ammortamento in relazione alla rate scadute nel limite del biennio.
Ritiene, cioè, la S.C. – e il rilievo dell’assunto sarà ripreso nella parte conclusiva delle presenti note – che attraverso il rinvio al piano di ammortamento, le parti avessero disciplinato la modalità di rientro dell’erogato “con coeva determinazione dell’entità dei frutti percentualizzati per ogni singola scansione del pagamento”, così dando luogo ad una clausola negoziale vincolante tra le parti, eventualmente da invalidare secondo le ordinarie azioni con riferimento alla singola clausola ovvero all’intero contratto.
V’è, in verità, un passaggio di detta pronuncia che potrebbe risultare “distonico” con quanto poco prima sostenuto.
Si legge, infatti, che la parte ricorrente non solo non avrebbe chiarito in base a quale parametro era stata determinata la composizione delle singole rate, ma, inoltre, sarebbe stato anche da verificare se gli interessi inglobati nelle rate fossero stati maggiori di quelli maturati in relazione al capitale in restituzione, soggiungendo, poi, che “…questo, infatti, potrebbe essere magari vero per le prime rate…che le stesse fossero quasi tutte composte di interessi, ma non necessariamente per quelle intermedie o per le ultime …in cui la quota capitale sarebbe maggiore”.
Se tale ultimo inciso sembra effettivamente ammettere la possibilità di una non perfetta corrispondenza tra maturazione degli interessi e pagamento degli stessi ma anche, e verrebbe da dire a fortiori, l’inversione del medesimo rapporto quantitativo nel periodo finale dell’ammortamento, pare che l’epilogo della vicenda giudiziaria in esame conforti quanto prima detto in punto di maturazione (dalla data della dazione) ed esigibilità (concordata) degli interessi, identificando come dovuti gli interessi indicati nei piani di ammortamento perché, per dirla con le parole della Corte, “così pattuito tra le parti”, purché vi sia equivalenza tra i valori[29].
Ora, se tale affermazione è certamente condivisibile laddove dalla stessa si faccia discendere l’esistenza di una convenzione sulla modalità di imputazione degli interessi nello sviluppo diacronico dell’ammortamento, v’è da chiedersi quanto la stessa valga a rappresentare, più in generale, una convenzione sulle modalità e sulle condizioni di rimborso che possa dirsi trasparente.
5. Ammortamento alla francese: fra determinatezza, trasparenza e (non?) meritevolezza. Una recente posizione dell’ABF.
Le considerazioni che precedono, anche in punto di rilevanza del piano di ammortamento, consentono di tornare alle questioni poste dall’ordinanza del Tribunale salernitano.
Già lo si è detto e lo si ripete: il Tribunale di Salerno non si occupa della validità del piano di ammortamento alla francese ed, anzi, in un inciso del provvedimento sembra espressamente escludere qualsivoglia violazione del divieto di anatocismo.
Come si diceva, superata la dicotomia fra validità/invalidità del piano di ammortamento alla francese in base all’occulto effetto anatocistico che il piano celerebbe, sotto accusa finisce la compatibilità di tale piano di ammortamento con l’esatta determinatezza dell’oggetto contrattuale e con le norme in tema di trasparenza bancaria in ragione della mancata espressa menzione della modalità di ammortamento prescelto (“alla francese”) e – verrebbe da dire, soprattutto – della (mancata indicazione della) capitalizzazione composta accolta nel medesimo piano in luogo di quella semplice ritenuta, nel provvedimento in rassegna, la modalità fisiologica[30] di computo degli interessi, “con evidente maggiore onerosità” di tale modalità di rimborso.
Non può non osservarsi che la prospettiva, in verità, non è del tutto nuova.
Questi stessi contenuti, nel recente passato, sono stati infatti portati all’attenzione del Collegio dell’ABF e il Collegio di Coordinamento n. 14376 dell’8 novembre 2022[31], a fronte di censure sollevate dal mutuatario in quella sede sostanzialmente analoghe a quelle oggetto di scrutinio nell’ordinanza in rassegna, aveva ritenuto di poter escludere qualsivoglia profilo di illegittimità del piano di ammortamento, affermando che in caso di finanziamento con ammortamento alla francese la mancata consegna del piano di ammortamento al momento della conclusione del contratto non comporta violazione da parte dell’intermediario né rende indeterminato l’oggetto del contratto qualora nel contratto medesimo siano riportati tutti gli elementi e le informative previsti dalla normativa in materia.
La questione, forse troppo celermente risolta dall’Arbitro[32], merita una maggiore riflessione.
6. Ammortamento alla francese: una questione di determinatezza?
Giova muovere da una considerazione fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità: nei c.d. mutui ad ammortamento, la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse.
Il fatto che nella rata esse concorrano, allo scopo di consentire all’obbligato di adempiervi in via differita nel tempo, non è dunque sufficiente a mutarne la natura né ad eliminarne l’autonomia[33].
Ciò posto, come ritenuto in maniera condivisibile in giurisprudenza[34], per affermare la determinatezza o determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione accessoria relativa agli interessi, è indispensabile che gli elementi estrinseci o i parametri della determinazione degli interessi ad un tasso diverso da quello legale siano specifici; mentre la determinabilità è definibile come la possibilità di identificare chiaramente l’oggetto sulla base dagli elementi prestabiliti dalle parti.
Si ha indeterminatezza quando le clausole, pur apparendo di per sé analitiche, da un punto di vista matematico finanziario, sono formulate in modo tale da non dar luogo ad un’univoca applicazione, richiedendo la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportante l’applicazione di tassi di interessi diversi e, pertanto, non determinate o determinabili nel loro oggetto.
Orbene, provando, ora, a ripercorrere gli stessi passaggi motivazionali dell’ordinanza in rassegna, muovendo dalla diversità e dall’autonomia delle obbligazioni, par lecito ritenere che, nella vicenda da cui muove il Tribunale di Salerno, non sia, neanche astrattamente, ravvisabile una carenza di determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale: il contratto di mutuo portato all’attenzione del Tribunale recava l’indicazione delle rate da restituire, del relativo ammontare del tasso annuo nominale e del tasso annuo effettivo, quest’ultimo di entità maggiore del T.A.N. e, pertanto, esso stesso espressivo della capitalizzazione infrannuale degli interessi[35].
In sostanza ben può ritenersi che nel momento in cui il contratto rechi l’indicazione del capitale, l’indicazione del tasso di interesse nominale, l’indicazione del numero delle rate, non può esservi dubbio alcuno circa la determinatezza del tasso di interesse espresso, in realtà, in modo univoco.
Sicché, la tesi della carenza dell’oggetto appare francamente poco plausibile tutte le volte in cui risulti perfettamente determinata l’obbligazione degli interessi ed il costo complessivo del credito.
E ciò tanto più se, come nella specie scrutinata dal Tribunale di Salerno, il contratto sia corredato dal piano di ammortamento con indicazione delle rate, queste ultime, addirittura, espresse non solo nel loro ammontare ma anche nella relativa composizione circa la quota per capitale e per interessi.
Peraltro, quanto alla determinatezza o determinabilità del regolamento contrattuale, sembra corretto ritenere che a non dissimili conclusioni si dovrebbe pervenire anche per la differente ipotesi in cui il piano di ammortamento non risulti allegato[36], tutte le volte in cui, però, risultino espressi i dati economici del contratto, da cui poter desumere, per l’appunto, la stessa maggiore onerosità del finanziamento in ragione del meccanismo di capitalizzazione composta espressa dal valore maggiore del TAE rispetto al TAN.
7. Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. Il controverso utilizzo dell’interesse composto.
Maggiormente spinosa può risultare la questione, su cui la S.C. è stata investita dall’ordinanza in commento, relativa alla mancata indicazione del regime di capitalizzazione (semplice o composta) adottato nel contratto, tale da determinare una maggiore onerosità del finanziamento costruito secondo la capitalizzazione composta rispetto ad uno analogo piano costruito, invece, secondo la metrica dell’interesse semplice.
L’ordinanza in commento nuove da un presupposto che sembra, invero, dare per assodato.
Si legge, invero, che il piano di ammortamento alla francese ponga il problema della modalità di rimborso degli interessi quali frutti civili (arg. art. 820 c.c.) e che la modalità di capitalizzazione semplice degli interessi ne costituisce la modalità ordinaria di loro computo, ai sensi dell’art. 821, co. 3, c.c., difformemente da quella invece adottata; anche nel provvedimento in rassegna, anzi, si afferma che in tali casi, l’interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce, a sua volta interessi, e viene calcolato con una formula dove il tempo è esponente e non fattore.
Evidente, dunque, risulta l’eco di numerosi pronunciamenti di merito – le cui citazioni potrebbero moltiplicarsi – ove si legge che “poiché il tempo è esponente e non fattore, nella determinazione della rata costante è implicito l’uso della legge di capitalizzazione composta per il calcolo della rata”.
Peraltro, sembra che ciò di cui il provvedimento in rassegna dubita non sia, neanche in tal caso, la legittimità del piano di ammortamento quand’anche costruito secondo la metrica dell’interesse composto rispetto a quella dell’interesse semplice.
Il dubbio espresso dal Tribunale di Salerno, invece, attiene al fatto che tale modalità venga adottata senza essere stata sorretta da una scelta consapevole da parte del prenditore.
Ora, proprio l’effettivo impiego dell’interesse composto nella costruzione dell’ammortamento è aspetto dove le posizioni giuridiche e quelle matematico/finanziarie segnano la maggiore distanza.
In particolare, come per il Tribunale di Salerno, nella giurisprudenza di merito è largamente diffusa l’affermazione per cui il metodo di ammortamento alla francese evidenzierebbe la composizione della rata secondo il meccanismo nell’interesse composto; ciò nonostante, come visto, sarebbe esclusa ogni coincidenza con il fenomeno anatocistico, rispetto a cui la costruzione della rata in interesse composto rimane eterogena, affermandosi che la capitalizzazione composta “è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile a un capitale dato”[37].
In dottrina, invece, accanto a chi ritiene che l’ammortamento alla francese evidenzi l’impiego dell’interesse composto[38], v’è la posizione di chi, invece, esclude categoricamente la sussistenza di tale fenomeno affermando che l’ammortamento alla francese “standard” non si svolge secondo le regole dell’interesse composto ma dell’interesse semplice, ritenendo che l’intera questione rimessa alla Suprema Corte si fondi, dunque, tutta su un equivoco[39].
Sta di fatto, peraltro, che nella prassi giudiziaria è tutt’altro che infrequente imbattersi in accertamenti tecnici da cui sembra emergere che l’ammortamento alla francese venga costruito mediante il ricorso all’interesse composto.
Sicché, anche a voler spostare il discorso sul differente terreno della concreta struttura del singolo mutuo di cui si discute – il che a sua volta impone di verificare che cosa sia stato eventualmente allegato e provato – un piano di ammortamento con frequenza delle rate infrannuale è determinato applicando a ciascun capitale residuo, precedente la rata di riferimento, un tasso di interesse nominale periodale; quest’ultimo, poi, potrà essere applicato in regime di capitalizzazione semplice[40] o – per lo meno astrattamente – in regime di capitalizzazione composta, ancorché quest’ultima sembri, poi, di fatto essere la forma largamente in uso nella prassi bancaria[41].
Ed allora, nell’ottica della trasparenza della pattuizione, dunque, effettivamente i dubbi sollevati dal Tribunale di Salerno potrebbero essere, entro certi limiti, condivisibili.
Vediamo, allora, in che senso il dubbio può essere condiviso.
A scanso di equivoci: deve ribadirsi, anche in questa sede, che il piano di ammortamento alla francese, nel suo fisiologico svolgimento, non corrisponde alla pratica dell’anatocismo vietato di cui all’art. 1283 c.c.
Caratteristica di questa tipologia di ammortamento è, come detto, che la quota interessi componente ciascuna rata di rimborso è calcolata unicamente sul debito in linea capitale residuo, e non anche su eventuali interessi maturati in un periodo precedente in quanto essi vengono periodicamente pagati alla scadenza di ogni singola rata, di talché l’obbligazione assunta con la sottoscrizione di un mutuo regolato nelle forme del piano di ammortamento alla francese nulla ha a che vedere con il divieto di anatocismo né appare sanzionabile con un negativo giudizio di meritevolezza o per il tramite dell’applicazione della previsione di cui all’art. 1344 c.c., potendosi escludere una intrinseca contrarietà all’ordinamento del piano di ammortamento alla francese.
La maggiore onerosità, messa in risalto come fattore problematico anche dall’ordinanza in commento, effettivamente sussiste e la stessa è derivante dal fatto che, partendo dalla costruzione della rata come costante, ma con una diversa composizione nel tempo della componente interessi e della componente capitale, viene maggiormente diluito nel tempo il godimento del secondo in conseguenza di una inizialmente maggiore restituzione dei primi.
In tal senso, va da sé che se l’ammortamento alla francese, oltre a non ricorrere all’uso della capitalizzazione composta, è costruito secondo il solo ed unico sviluppo possibile, l’intera questione posta dal Tribunale di Salerno, verrebbe immediatamente a cadere nella sua interezza.
Di contro, se è concepibile il concreto sviluppo del piano di ammortamento secondo la formula dell’interesse composto, può risultare in effetti corretto ritenere che il regime finanziario adottato (e la conseguente modalità di costruzione di una rata), laddove si dimostri che lo stesso si è tradotto in un maggior onere per il mutuatario, individui una di quelle “altre condizioni” che, a mente del quarto comma dell’art. 117, D. lgs. 1 settembre 1993, n. 385, devono essere indicate nel contratto, la cui inosservanza può dar luogo, se del caso, alle conseguenze di cui ai successivi sesto e settimo comma della medesima disposizione.
Ciò, invero, non già perché si ritenga che su tale modalità di calcolo della rata si debba raccogliere l’assenso del cliente[42], non potendosi negare la libertà degli operatori di fissare il prezzo dei propri prodotti, e non potendosi imporre un prodotto costruito secondo un determinato ammortamento o, ancora, la rappresentazione di un regime finanziario non oggetto di proposta né di trattativa, o avviare su di esso un confronto[43].
Le indicazioni sulla modalità di costruzione della rata possono, però, legarsi alla necessità che il cliente sia messo in grado di sapere quanto ed in che termini quella data condizione incide sul contratto che si andrà a stipulare.
È in questo senso, e in questo soltanto, dunque, che l’ammortamento alla francese, più che presentare problematiche connesse alla legittimità del criterio di calcolo, può destare preoccupazioni, con riferimento al rischio, cioè, che esso possa risultare non intellegibile per il cliente in relazione al prodotto che sta per sottoscrivere.
In tale direzione, del resto, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato, di recente, che al fine di rispettare l’obbligo di trasparenza di una clausola contrattuale che fissa un tasso d’interesse nell’ambito di un contratto di mutuo ipotecario (nella fattispecie considerata, variabile), tale clausola deve non solo essere intelligibile sul piano formale e grammaticale, ma consentire altresì che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie[44].
Le perplessità, allora, sembrano doversi rivolgere, più che altro, alla modalità di formazione della rata (recte: alla mancata indicazione delle modalità di formazione della rata), nella misura in cui la struttura dell’ammortamento incide concretamente su “prezzo” e “condizioni” praticati, esponendo il prenditore alla restituzione di una quota di interessi maggiore.
Detto altrimenti, la questione diviene, allora, non già se il tasso di interesse sia determinato, ma, da un lato, se le condizioni del contratto siano state, o meno, rappresentate correttamente nella, differente, prospettiva delle norme in tema di trasparenza bancaria (oltre che, a questo punto, nella prospettiva del rispetto dell’onere di forma scritta) nonché, dall’altro, quali siano le modalità di assolvimento di tale onere.
8. segue: Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. La rilevanza del piano di ammortamento.
Ed allora, se di trasparenza si discorre, anzitutto, par lecito ritenere, con riferimento al primo dei profili indicati dal Tribunale di Salerno, che lo stesso non possa certo esaurirsi né essere risolto con la presenza dell’espressione “alla francese” o con la semplice affermazione per cui il piano è costruito con una data modalità di capitalizzazione: non pare, detto altrimenti, che sia l’indicazione della “nomenclatura” dell’ammortamento o della capitalizzazione concretamente utilizzati, laddove la stessa si esaurisca in un mero dato letterale (“alla francese” ovvero capitalizzazione “composta”) privo di altre informazioni, che possa spostare gli equilibri della valutazione di legittimità o meno del piano di ammortamento né sul piano della trasparenza ma nemmeno sul quello della determinatezza del regolamento contrattuale[45].
Laddove, invece, il contratto descriva l’obbligazione degli interessi, il costo complessivo del credito, rechi l’indicazione del TAN e del TAE – quest’ultimo, in verità facoltativo[46], il cui valore però, è, come detto, in grado di esprimere la maggiore onerosità del finanziamento in ragione del meccanismo di pagamento infrannuale degli interessi – nonché, soprattutto, il piano di ammortamento allegato con indicazione delle rate (magari non solo nel loro ammontare ma anche nella relativa composizione circa la quota per capitale e per interessi), non sembra potersi dubitare della corretta e trasparente pattuizione delle condizioni contrattuali.
Sicché, contrariamente a quanto pare “suggerire” alla S.C. il Tribunale remittente, espressi nel regolamento contrattuale i tassi di interesse e le condizioni nei termini appena indicati, sintetizzati nel piano di ammortamento, nell’invarianza della rata (che costituisce in un certo senso l’elemento caratteristico del piano di ammortamento), non sembra esservi spazio per alcun profilo di indeterminatezza o di carente trasparenza, anche con riferimento al regime finanziario adottato[47].
Soccorre, allora, nuovamente la pronuncia, già sopra richiamata, secondo cui mediante il rinvio al piano di ammortamento, le parti disciplinano la modalità di rientro dell’erogato “con coeva determinazione dell’entità dei frutti percentualizzati per ogni singola scansione del pagamento”.
Del resto, in materia di leasing, la Corte di Cassazione[48] ha ricordato che è soddisfatto il requisito di determinabilità del tasso di interesse anche laddove sia necessario fare ricorso a calcoli di tipo matematico, a prescindere dalla difficoltà.
Si è ricordato, infatti, che in tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata, ai sensi dell’art. 1346 c.c., è sufficiente che la stessa - nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154 - contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse. A tal fine occorre che quest’ultimo sia desumibile dal contratto con l’ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione, ammettendosi, in definitiva, una sorta di rinvio per relationem anche laddove lo stesso avvenga alle altre condizioni del contratto.
Ed infatti, se la trasparenza ha (anche) la finalità di consentire al cliente di comprendere il peso economico di una determinata operazione, un contratto che descriva il costo totale del credito, l’importo complessivo degli interessi, l’ammontare della rata e la sua durata nel tempo sembra potersi ritenere idoneo soddisfare il contenuto imposto dall’art. 117 TUB, quarto comma, e contenere tutti gli elementi che consentono al cliente di comprendere le condizioni di quel contratto e non di un altro, perché, a quel punto, contrapporre a quel contratto un altro il cui ammortamento è costruito nelle forme dell’ammortamento, ad esempio, all’italiana o secondo il regime di capitalizzazione semplice, significa confrontare, in realtà, prodotti diversi da quelli correttamente convenuto e, dunque, parlare di un altro contratto.
Come si accennava, nell’ambito delle opzioni ricostruttive fatte proprie dal Tribunale remittente, la possibilità di desumere il regime finanziario applicato dalle condizioni convenute non pare essere ritenuta sufficiente.
Tuttavia, seguendo fino in fondo il ragionamento del Tribunale di Salerno, secondo cui “il cliente è normalmente privo del necessario bagaglio di conoscenze tecniche indispensabili per comprendere la reale portata economica delle singole clausole…” ed è “…di norma dotato di competenze tecniche in materia di matematica finanziaria elementari, se non inesistenti”, appare ancor più improbabile che il medesimo cliente, soprattutto se non professionale – ma probabilmente poco muterebbe quand’anche avesse tale qualifica – sia in possesso di quel bagaglio di conoscenze ulteriori per comprendere le regole e le formule della matematica finanziaria che dovrebbero presiedere alla formulazione della rata ed all’esplicitazione dell’interesse composto.
Ed anzi, se, ad esempio, il contratto di mutuo, piuttosto che contenere il piano di ammortamento con indicazione del TAE, contenesse l’indicazione sul metodo di matematica finanziaria utilizzato per la predisposizione del piano ovvero ne riportasse la formula, ci si dovrebbe seriamente interrogare su quanto sia effettivamente esauriente ed esaustiva tale informazione sul reale importo delle rate da pagare e sull’ammontare complessivo della somma da restituire, rispetto alla allegazione del piano di ammortamento che consente concretamente di avere piena contezza delle condizioni e del loro sviluppo nella futura esecuzione del contratto sottoscritto per come rappresentate nella tabella di ammortamento.
A diverse conclusioni, per contro, potrebbe doversi giungere tutte le volte in cui tali elementi in realtà non siano adeguatamente espressi.
Così, ad esempio, è il caso in cui il contratto, pur esprimendo il costo complessivo della rata (costante) che il prenditore andrà a pagare, il numero delle rate (quando), quantificando magari l’entità complessiva degli interessi (quantum), non espliciti in alcun modo la modalità di costruzione (quomodo) di tali importi o il tasso effettivo, così incidendo sulla formazione di una volontà consapevole quanto alle condizioni con cui troveranno applicazione i parametri individuati nel contratto sottoscritto e come questo avrà, dunque, concreta esecuzione.
Ciò in quanto, a meno di non voler ritenere ricompreso all’interno del TEG[49] quel maggior onere a titolo di interessi riconducibile per l’appunto al piano di ammortamento adottato, risulta inespresso – né è diversamente ricavabile – quell’elemento che esprime le modalità matematiche e finanziarie di costruzione della rata e, prima ancora, e l’applicazione dei parametri che conducono a quel determinato risultato, secondo quanto disposto l’art. 6 della delibera C.I.C.R. del 9 febbraio del 2000.
Sicché, se può ritenersi che permanga, tuttora, valida l’affermazione della giurisprudenza, per cui la produzione del piano di ammortamento non costituisce elemento indefettibile della prova del residuo credito da mutuo, specie ove i requisiti costitutivi delle reciproche obbligazioni, e in particolare quella restitutoria, risultino dalla chiara previsione contrattuale, dalla natura delle rate e dalla prevedibilità del loro importo per quota di interessi separata rispetto al capitale, tale assunto merita forse una riconsiderazione in relazione al differente tema della chiara e trasparente la modalità di formazione delle rate e di determinazione degli importi dovuti a titolo di interessi.
9. Ammortamento alla francese: rimedi esperibili per una questione di trasparenza.
Ove allegata e provata la costruzione del piano di ammortamento nelle forme dell’interesse composto, una siffatta carenza delle condizioni contrattuali, più che rendere indeterminato l’oggetto contrattuale e, per certi versi, prima ancora di porre un problema di trasparenza, potrebbe far ritenere non soddisfatto, in radice, il requisito della forma scritta imposto dal quarto comma dell’art. 117 TUB.[50]
In sostanza, in tali casi, non sembra porsi semplicemente un problema di determinatezza dell’interesse pattuito, perché lo stesso è indicato e perché, anche nella metrica dell’interesse composto è quel tasso ad essere utilizzato; ciò che però può ritenersi non correttamente indicata in relazione alla quota di interessi dovuta, è la modalità di determinazione di ciascuna rata in relazione al regime di capitalizzazione utilizzato, precludendo al mutuatario di conoscere il meccanismo applicativo degli interessi.
Quanto sopra è tanto più evidente se effettivamente si assume che il piano di ammortamento alla francese può ammettere[51], per lo meno astrattamente, una costruzione anche nelle forme dell’interesse semplice oltre che dell’interesse composto[52], con una differenza di costo che ridonda a carico del mutuatario.
Sarebbe difficile negare, in tale prospettiva, che l’operatività di un regime finanziario idoneo a comportare un innalzamento del montante degli interessi costituisca un “prezzo” o una “condizione”, la cui mancata indicazione può assumere rilievo ai fini dell’art. 117 TUB.
Anche in questo caso, vediamo in che termini.
In primo luogo, poco percorribile parre la soluzione, talvolta pure invocata, della sostituzione dell’ammortamento alla francese con l’ammortamento cd. all’italiana.
È, invero, assolutamente diffusa l’affermazione che l’ammortamento alla francese, ove raffrontato con il piano di ammortamento all’italiana (restituzione mediante rimborso graduale secondo importi di capitale costante), determini un maggior onere per il mutuatario in termini di interessi, sicché l’eventuale ricostruzione dell’ammortamento “viziato” dovrebbe avvenire con l’uso di tale diverso ammortamento.
Tuttavia, trattasi di soluzione non condivisibile perché non condivisibili ne sono i presupposti.
Appare, anzitutto, corretta la precisazione di chi nota[53] che tale maggiore onerosità non debba essere affermata confrontando l’ammortamento alla francese e l’ammortamento all’italiana atteso che “…a parità di condizioni, tutti i prestiti standard presentano lo stesso TAE: e dunque sono ugualmente onerosità per il finanziato, ugualmente profittevoli per il finanziatore”.
Va da sé che, laddove non vi sia parità di condizioni, la comparazione tra i due ammortamenti espressa in termini maggiore o minore onerosità mette a confronto, molto semplicemente, grandezze differenti e tra loro non omogenee in quanto fra ammortamento all’italiana e ammortamento alla francese difetta, per l’appunto, il presupposto della parità delle condizioni: il minor onere dell’ammortamento all’italiana discende dalla costruzione del rimborso che quote costanti di capitale di talché alla maggiore restituzione del capitale non può che conseguire un minor importo di interessi.
Ne consegue che, posto che tale raffronto attiene a contratti costruiti con ammortamenti diversi e, dunque, a contratti diversi, è del tutto evidente che risulti illogica la “riscrittura” dell’ammortamento nelle forme del cd. ammortamento all’italiana.
Ciò posto, la soluzione che suggerisce il Tribunale di Salerno è, in realtà, del tutto in linea con gli approdi della giurisprudenza di legittimità le cui affermazioni, ancorché rese in materia di leasing, risultano, però, applicabili anche a tale soluzione.
Per il vero, l’art. 117, co. 6, lett. b, prevede che in caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso mentre in mancanza di pubblicità nulla è dovuto.
Detto altrimenti, partendo dall’assunto che rileva per l’incidenza sui prezzi e le condizioni applicate, tale disposizione potrebbe suggerire che l’eterointegrazione del contratto non debba avvenire mediante la sostituzione dell’interesse regolarmente e legittimamente convenuto con quello sostitutivo.
Del resto, una l’applicazione dell’interesse sostitutivo in sé considerata appare, in realtà, soluzione eccentrica rispetto al problema in esame, da un lato, perché, come detto, anche con l’interesse composto, è l’interesse pattuito che trova applicazione; dall’altro lato, perché anche in ipotesi di sostituzione dell’interesse ultralegale convenuto con quello sostitutivo di cui all’art. 117 TUB, si porrebbe il problema della modalità con cui procedere alla costruzione dell’ammortamento che dovrebbe avvenire nelle forme dell’interesse semplice, salvo verificare quale sia la diversa condizione pubblicizzata
Laddove, cioè, risultasse che l’ammortamento sia stato costruito nelle forme dell’interesse composto, la nullità parziale potrebbe reagire alla mancata indicazione di una condizione dell’ammortamento dando corso all’inserimento della condizione pubblicizzata per la corrispondete categoria di operazione dunque, in ipotesi, anche la modalità di ammortamento alla francese se questa si rinvenisse pubblicizzata, mentre, in assenza di pubblicità, nulla risulterebbe dovuto, di talché si renderebbe necessario procedere alla costruzione della rata con l’interesse semplice.
Ad ogni buon conto, la Corte di Cassazione in tema di leasing ha precisato che la irrogazione della sanzione sostitutiva non è riservata alle ipotesi nelle quali nel contratto manchi la relativa pattuizione ma che alla stessa “…deve essere equiparata quella in cui il tasso sia indicato nel contratto, ma esso porti ad un ammontare del costo dell'operazione variabile in funzione dei patti che regolano le modalità di pagamento, sì da ritenere che il prezzo dell’operazione risulti sostanzialmente inespresso e indeterminato, oltre che non corrispondente a quello su cui si è formata la volontà dell'utilizzatore…”
Pur non versandosi in una “intrinseca” ipotesi di nullità del tasso o di mancata indicazione dello stesso, ad essere sanzionata è, dunque, l’opacità dell’operazione complessiva in cui la volontà del mutuatario si è formata su un tasso di interesse ma non sulle modalità in cui lo stesso sarebbe stato declinato e che hanno portato – ove si riscontri che così effettivamente è stato – ad un aumento del montante interessi da corrispondere in ragione delle modalità concretamente seguite nella costruzione della rata.
10. Conclusioni.
Come si è visto, le questioni oggetto del rinvio pregiudiziale sono, in realtà, molteplici e possono essere lette e declinate nelle più disparate prospettive, a cominciare da quale sia il rimedio concretamente percorribile.
Intanto, in attesa che della pronuncia delle sezioni unite della Corte, la questione della legittimità dell’ammortamento è stata già oggetto di una pronuncia della Cassazione, ancorché nello specifico settore tributario.
Si tratta di Cass. civ., sez. trib., 2 ottobre 2023, n. 27823, la quale ha escluso la fondatezza della censura in ordine al difetto di trasparenza delle condizioni di rateizzazione applicate e costruite nelle forme dell’ammortamento alla francese, rilevando che il metodo di ammortamento a rata fissa è predeterminato e manifestato attraverso un atto dell’Ente di portata generale, la Direttiva Nazionale di Equitalia DSR/NC/2008/012 del 27 marzo 2008, e trova un chiaro aggancio normativo nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 19 laddove, al comma 1-ter dispone che “il debitore può chiedere che il piano di rateazione di cui ai commi 1 e 1-bis preveda, in luogo di rate costanti, rate variabili di importo crescente per ciascun anno”, ritenendo tale disposizione estensibile, per identità di ratio, a tutte le forme di rateizzazione fiscale.
Non è dato sapere quanto tale pronuncia sarà indicativa degli approdi cui perverranno le sezioni unite sia per la specialità del settore cui si riferisce sia perché, a ben vedere, la pronuncia da ultimo citata non sembra neanche confrontarsi con la questione devoluta poco tempo prima.
Non ci resta che attendere, dunque, l’intervento della S.C. a sezioni unite, auspicando, dunque, che l’intervento della Suprema Corte diventi, nei limiti e nei confini tracciati dal rinvio pregiudiziale[54], l’occasione per fare un po' di chiarezza sulla legittimità del piano di ammortamento alla francese.
[1] Si veda ROPPO, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto», Riv. Dir. Priv., 2007, p. 669; ancora MINERVINI, Il terzo contratto, Contr., 2009, pp. 493 e ss.; per una ricostruzione complessiva, E. CAPOBIANCO, Profili generali della contrattazione bancaria, in I contratti bancari, a cura di E. CAPOBIANCO, Utet, 2016, p. 42.
[2] Si tratta di Sez. U - , Sentenza n. 898 del 16/01/2018, Rv. 646965 - 01), Foro It., 2018, 4, p. 1289, con nota di G. LA ROCCA, “Interessi contrapposti” e “conseguenze opportunistiche” nella sentenza delle Sezioni unite sulla sottoscrizione del contratto; in Le Società, 2018, 4, p. 481, con nota di R. NATOLI, Una decisione non formalistica sulla forma: per le Sezioni Unite il contratto quadro scritto, ma non sottoscritto da entrambe le parti, è valido; in I contratti: rivista di dottrina e giurisprudenza, 2018, 2, 133, con nota di G. D’AMICO, S. PAGLIANTINI, R. AMAGLIANI, Le sezioni unite sul cd. contratto mono-firma.
[3] Sez. U - , Sentenza n. 28314 del 04/11/2019, Rv. 655800 – 01 in Resp. Civ. prev., 2020, 3, p- 835, con nota di F. GRECO, La nullità “selettiva” e un necessitato ripensamento del protezionismo consumeristico, in esito alla pronuncia delle Sezioni Unite, in I contratti: rivista di dottrina e Giurisprudenza, 2020, 1, p. 11, con nota di S. PAGLIANTINI, Le stagioni della nullità selettiva (e del “di protezione”), in Foro It., 2020, 3, p. 948, Id., La nullità selettiva quale epifania di una deroga all’integralità delle restituzioni: l’investitore è come il contraente incapace?
[4] Il pensiero è a Sez. U - , Sentenza n. 24675 del 19/10/2017, Rv. 645811 – 01, Foro it., 2017, 11, I, p. 3274 con nota di CARRIERO, Usura sopravvenuta. C'era una volta?, nonché con nota di LA ROCCA, Usura sopravvenuta e "sana e prudente gestione" della banca: le sezioni unite impongono di rimeditare la legge sull'usura a venti anni dall'entrata in vigore, la quale ha affermato che nei contratti di mutuo, ma con principio estensibile ai rapporti di conto corrente, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto. Si veda, però, Cass. civ. sez. III, 28 settembre 2023, n. 27545, Diritto e Giustizia, 2023, 29 con nota G. SATTA, ove si legge in motivazione che «Dando seguito al dictum delle Sezioni Unite, occorre qui affermare che: "i saggi di interesse usurari - che non siano stati pattuiti originariamente, ma siano sopraggiunti in corso di causa - costituiscono in ogni caso importi indebiti. Il creditore che voglia interessi divenuti nel corso del rapporto in misura ultra legale pretenderebbe per ciò stesso l'esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata: il suo comportamento sarebbe contrario al generale principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti comportamenti collaborativi, anche in sede di esecuzione del contratto».
[5] Si tratta di Sez. U - , Sentenza n. 16303 del 20/06/2018, Rv. 649294 – 02, con nota di M. TICOZZI, Autonomia contrattuale e interesse convenzionali dopo Cass., Sez. un., n. 16303/2018., Giur. It., 2018, 10, p. 2086; A. STILO, Il c.d. principio di simmetria oltre le Sezioni Unite: nuovi scenari interpretativi e possibili "effetti collaterali, I contratti: rivista di dottrina e giurisprudenza, 2018, 5, p. 521, la quale ha, per un verso, ritenuto che l’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato dai decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 4, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare, dunque per il futuro, la complessa normativa, anche regolamentare, tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari; per l’altro, ha ritenuto che la verifica del rispetto delle disposizioni in tema di usura ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata procedendo alla separata comparazione del tasso effettivo globale degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia - ricavato dal tasso effettivo globale medio indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108 del 1996 - e con la CMS soglia - calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale margine residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.
[6] Si tratta di Sez. U - , Sentenza n. 19597 del 18/09/2020, Rv. 658833 - 02), Foro It., 2021, 2, p. 581, con nota di A. Palmieri “Usura e interessi moratori: questo matrimonio s’ha da fare; in Jus civile, 2021, 6, p. 1805, con nota di P. MAZZAMUTO, L’usurarietà degli interessi moratori. Considerazioni critiche sulla sentenza delle Sezioni Unite 18 settembre 2020, n. 19597; in Giur. It., 2021, 6, p. 1395, con nota di B. PETRAZZINI, Interessi moratori e usura: l’intervento delle Sezioni unite; in Giur. It., 2021, 3, 564, con nota di A. BARENGHI, Mora usuraria e interessi corrispettivi: le Sezioni unite disinnescano il contenzioso, la quale, dopo aver precisato che l'interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati, salvo diversificarne il trattamento, giacché nel primo caso si deve avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo, nel secondo la valutazione di usurarietà riguarderà l’interesse concretamente praticato dopo l'inadempimento, ha osservato che la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell'ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui all'art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest’ultimo caso, il tasso-soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l'aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell’art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarietà discende l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c.; nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005, con decisione rimessa all'interessato di far valere l'uno o l'altro rimedio.
[7] Ed infatti, l’orientamento, maggiormente condivisibile e che da ultimo si è andato affermando è quello per cui, muovendo dall’onere probatorio gravante sul correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di danaro, che afferma essere stato indebitamente corrisposto all'istituto di credito nel corso dell'intera durata del rapporto sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente o per addebiti non previsti in contratto (Cass. 7 dicembre 2022, n. 35979; Cass. 28 novembre 2018, n. 30822; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948), il diritto del cliente di ottenere, ex art. 119, comma 4, t.u.b., la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell'ultimo decennio, può essere esercitato, nei confronti della banca inadempiente, attraverso un’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c., nel corso di un giudizio, a condizione che la documentazione invocata sia stata precedentemente fatta oggetto di richiesta, non necessariamente stragiudiziale, e siano decorsi novanta giorni senza che l'istituto di credito abbia proceduto alla relativa consegna (Cass. 1 agosto 2022, n. 23861; Cass. 13 settembre 2021, n. 24641). Siffatto orientamento, in tempi recenti, era però stato messo in discussione da altre pronunce ad avviso delle quali il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell’art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1993, anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non ritenendo corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante (così Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 3875 del 08/02/2019, Rv. 653135 - 01).
[8] Il riferimento è a Sez. U - , Sentenza n. 33719 del 16/11/2022, Rv. 666194 - 01), Giur. It., 2023, 3, 527, con nota di S. PAGLIANTINI, La validità secca del mutuo fondiario sovra finanziato: un the end (più) agro (che) dolce e con nota di A. PURPURA, La controversa validità del mutuo fondiario eccedente il limite di finanziabilità.
[9] Si segnala che la questione è stata rimessa da Cassazione civile sez. III, 27/07/2023, n. 22946), inedita, alla trattazione in pubblica udienza per la rilevanza della questione.
[10] Si tratta di Sez. U, Sentenza n. 41994 del 30/12/2021, Rv. 663507 - 01), con nota di S. PAGLIANTINI, Fideiussioni omnibus attuative di un’intesa anticoncorrenziale: le Sezioni Unite, la nullità parziale ed il “filo” di Musil, in Foro It., 2022, 2, p. 523, di G. D’AMICO, Modelli contrattuali dell’Abi e nullità dei contratti cd. a valle, in Foro It., 2022, 4, p. 1309, di A. MONTANARI, Nullità dei contratti attuativi dell’intesa illecita e “prova privilegiata”: qualche appunto alle Sezioni Unite n. 41994/21, in Foro It., 2022, 2, p. 528.
[11] Non è questa la sede per trattare diffusamente dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità del rinvio pregiudiziale. Ai fini che ci occupano, sia consentito unicamente notare che l’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. deve essere adottata “sentite le parti costituite”. La ratio di tale previsione è evidente: a fronte di uno strumento rimesso, essenzialmente, nelle mani del giudice circa le ragioni e l’opportunità del rinvio, le parti devono potersi, comunque, esprimere a riguardo onde poter contribuire, pur non potendosi opporre alla decisione di procedere al rinvio, come a quella di non farlo, alla individuazione del thema disputandum, stante l’efficacia vincolante nel giudizio a quo che il pronunciamento della S.C. andrà ad assumere. La disposizione, tuttavia, tace circa le sorti dell’ordinanza per l’ipotesi in cui il contraddittorio non venga provocato dal giudice remittente. Il dato testuale, in realtà, sembrerebbe escludere che l’attivazione del contraddittorio sia una condizione prevista a pena di inammissibilità del rinvio: in tal senso, infatti, il filtro di ammissibilità è funzionalmente connesso alla verifica della ricorrenza delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 363 bis c.p.c., le quali, a loro volta, sono testualmente individuate in quelle descritte ai punti 1, 2 e 3 della detta disposizione. In tale solco si colloca il provvedimento della Prima Presidente che, per un verso, osserva come il rispetto di tale requisito non rientra tra gli aspetti da rilevare già in sede di filtro di ammissibilità e, per l’altro verso, ipotizza come il contraddittorio omesso “a monte” (dal giudice del merito) possa poi essere recuperato “a valle” dinanzi al giudice di legittimità. Nondimeno, se il dato testuale dell’art. 363 bis c.p.c. consente effettivamente di escludere che la mancata attivazione del contraddittorio possa essere ravvisata già in sede di filtro preliminare, e salve ragioni di economia processuale, le ragioni di una nullità dell’ordinanza di rimessione per violazione del contraddittorio sembrano ravvisabili non tanto per avere il Giudice remittente analizzato, d’ufficio, una questione di puro diritto senza sottoporla alle parti, quanto, piuttosto, nell’avere frapposto un impedimento alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con pienezza le proprie difese in funzione della questione da sottoporre; in tal senso, tenuto conto degli effetti vincolanti attribuiti alla decisione della S.C., la violazione del contraddittorio appare costituire ex se un vulnus al principio del contraddittorio ed una violazione del diritto di difesa, senza necessità che siano precisati gli argomenti che sarebbero stati svolti, non consentendo alle parti, non già di “paralizzare” il rinvio, quanto di offrire ulteriori elementi di valutazione della fattispecie. Si veda, già richiamata in nota 13, Cass. Civ. 27 ottobre 2023, n. 29961, non massimata, segnatamente par. 9, pag. 23 e ss.
[12] Per la nullità dell’ordinanza pronuncia senza la preventiva instaurazione del contraddittorio R. TASCINI, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione dell’art. 363 -bis c.p.c. La disciplina. La Casistica, in Giust. Civ., 2023, 2, p. 343; nella stessa direzione G. TRISORIO LUIZZI, La riforma della giustizia civile: il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, in Judicium.it.; nello stesso senso, pare andare E. D’ALESSANDRO, Il rinvio pregiudiziale in Cassazione, in Il Processo, 1, p. 51 e ss. Si veda ancora A. SCARPA, Il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: una nuova «occasione di nomofilachia», in Questa rivista 3 marzo 2023, ad avviso del quale la nullità dell’ordinanza sarebbe rilevabile su iniziativa della parte interessata nella prima istanza o difesa successiva, a norma dell’art. 157, comma 2, c.p.c. e, dunque, tenuto conto dell’effetto sospensivo che consegue al deposito dell’ordinanza da parte del Giudice del merito, nel contraddittorio che sarà recuperato dinanzi la S.C. o, come avvenuto nel caso di specie, già con memoria depositata in occasione del filtro del Primo Presidente. Non risulta, per il vero, che la S.C. abbia ex professo affrontato la questione; nondimeno, in Cass. civ. sez. I, 16 ottobre 2023, n. 28727, non massimata, espressamente si legge che «è, altresì, necessario che la questione sia stata preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti».
[13] Si veda A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese»: gravosità del meccanismo e sua difficile intelligenza, in Banca Borsa Titoli cred., 2022, 5, p. 641, ad avviso del quale, in realtà la rata costante non è un elemento identificativo di tale modalità di rimborso ma solo uno dei possibili profili che concretamente tale ammortamento può assumere.
[14] Così, testualmente, Trib. Alessandria, 10 maggio 2023, n. 405, inedita.
[15] Limitando ai contributi più recenti, si veda R. NATOLI, L’ammortamento alla francese: una questione di trasparenza, in Banca Borsa tit. cred., 2023, 2, pag. 201 e ss.; R. MARCELLI, L’anatocismo nei finanziamenti con ammortamento graduale. Matematica e diritto: due linguaggi che stentano ad incontrarsi, ibidem, 2021, 5, pag. 700 e ss.; G. B. BARILLA’, F. NARDINI, Legittimità dell’ammortamento alla francese e lo “spettro” dell’anatocismo. Un po' di chiarezza tra matematica e diritto, ibidem, 2021, 5, pag. 679, nonché A.A. DOLMETTA, op. ult. Cit.
[16] In questa direzione pare andare R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, in Banca Borsa tit. cred., 2, 2023, pag. 201 e ss.; nella stessa direzione pare, in realtà, andare anche N. de LUCA, Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro. Di sicuro, c’è qualcosa che non va, in Banca borsa tit. cred., 2, 2021, pag. 233 e ss. Si veda, però, anche A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese», cit., il quale, pur reputando non del tutto convincente la tesi della violazione dell’art. 1283 c.c., suggerisce una più attenta valutazione del piano di ammortamento alla francese sul, per il vero differente, terreno del giudizio di meritevolezza e della causa in concreto che dovrebbero sorreggere detto meccanismo in termini di maggiore severità. Si veda ancora, R. MARCELLI, L’anatocismo nei finanziamenti con ammortamento graduale. Matematica e diritto: due linguaggi che stentano ad incontrarsi, il quale osserva come le pronunce che hanno negato la ricorrenza del fenomeno dell’anatocismo vietato nei piani di ammortamento alla francese non abbiano tenuto in debito conto le modalità di pattuizione della rata.
[17] Così testualmente, R. MARCELLI, L’anatocismo nei finanziamenti con ammortamento graduale. Matematica e diritto: due linguaggi che stentano ad incontrarsi, in Banca Borsa Tit. Cred., 5, 2021, pag. 700.
[18] Trattasi di orientamento che si trova affermato anche nella giurisprudenza di legittimità: si tratta di Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2023, n. 13888, inedita.
[19] R. MARCELLI, op. ult. Cit., evidenzia come “il regime dell’interesse composto…non si pone in un rapporto di sinonimia con l’anatocismo, bensì è il genus nel cui ambito si colloca l’anatocismo come species”.
[20] Si tratta di Trib. Torino 31 maggio 2019, n. 2676, inedita. La pronuncia è, però, richiamata da N. de LUCA, Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro, cit.La tesi è ripresa, ancora, in Trib. Torino, 22 settembre 2020, n. 3225.
[21] In tal senso, sempre limitando i richiami agli arresti più recenti della giurisprudenza, si vedano App. Torino, Sez. I, 14.5.2019, n. 807; App. Torino, Sez. I, 21.5.2020 n. 544; App. Torino, sez. I, 17/09/2020, n. 905; App. Torino, sez. I, 10/03/2022, n.287, App. Brescia, 9 febbraio 2023, n. 240; Trib. Sassari, 16 gennaio 2023, n. 47; Trib. Pisa, 10 gennaio 2023, n. 40; Trib. Napoli Nord, 11 ottobre 2022, n. 3549; App. Firenze, 29 agosto 2022, n. 1846; App. Roma, Sez. imprese, 5 luglio 2022, n. 4620; Trib. Torino, 22 febbraio 2022, n. 747; App. L’Aquila, 2 febbraio 2022, n. 175; App. Milano, 21 gennaio 2022, n. 204; nella giurisprudenza di legittimità, oltre quella richiamata in nota n. 19, Cass., 24 novembre 2022, n. 34677; Cass., 19 maggio 2022, n. 16221.
[22] La rispondenza o meno all’interesse del mutuatario è argomentazione che deve rimanere fuori dalla quaestio iuris rappresentata dalla legittimità o dalla chiarezza del piano di ammortamento alla francese alla stessa identica maniera di quanto deve ritenersi quanto alla valutazione della eventuale convenienza o appetibilità da parte degli istituti di credito del prodotto così costruito (in confronto, cioè, ad altre tipologie di prodotti che presentano meccanismi di restituzione graduale differente del capitale).
Ad ogni modo, condivisibili criticità circa la rispondenza di tale piano di ammortamento all’interesse del mutuatario vengono poste in risalto da G.B. BARILLA’, F. NARDINI, Legittimità dell’ammortamento alla francese e lo “spettro” dell’anatocismo. Un po' di chiarezza tra matematica e diritto, in Banca Borsa Tit. cred., 5, 2021, pag. 679 nonché R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, in Banca Borsa tit. cred., 2, 2023, pag. 201 e ss. che, in maniera condivisibile, evidenzia come siffatta presunzione abbia “il sapore di una petizione di principio”.
[23] La posizione che si è percorsa, così la parte testualmente citata, è di A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese», cit.
[24] In tal senso, N. de LUCA, Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro, cit., il quale fa in proposito l’esempio della pattuizione di interessi di cd. preammortamento. Nel senso della possibilità di una divaricazione tra interessi maturati ed interessi esigibili anche G. B. BARILLA’, F. NARDINI, Legittimità dell’ammortamento alla francese, cit., laddove si ammette la possibilità dell’addebito di una quota di interessi anche superiore a quella corrispondente al capitale oggetto di rimborso purché non eccedente quelli complessivamente dovuti. In detta affermazione sembra cogliersi il concetto di equivalenza, proprio della tecnica matematica, su cui si veda F. CACCIAFESTA, Risposte al Prof. de Luca. Con una osservazione in tema di interessi anticipati, in Banca Borsa e tit. cred., 4, 2022, pag. 636.
[25] R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, cit.
[26] Così, testualmente, F. CACCIAFESTA, op. ult. cit. A riguardo, mette conto evidenziare che il commento da ultimo citato si inserisce in un avvincente “botta e risposta” sulle pagine della Rivista tra il Prof. de Luca ed il Prof. Cacciafesta che risultato particolarmente stimolante nel far emergere la differente posizione del giurista rispetto a quelle del matematico. Si tratta in particolare di F. CACCIAFESTA, Osservazioni sull’articolo “Mutuo alla francese di N. de Luca”, in Banca borsa tit. cred., 4, 2022, pag. 627; N. DE LUCA, Ringraziamento e replica al prof. Cacciafesta, ibidem, 4, 2022, pag. 633 nonché, F. CACCIAFESTA, Risposte al Prof. de Luca. Con una osservazione in tema di interessi anticipati, ibidem, 4, 2022, pag. 636. Si veda, a riguardo, ancora, R. NATOLI, op. ult. cit. nonché G. MUCCIARONE, Ammortamento alla francese: meritevolezza e trasparenza, in Banca borsa e tit. cred., 4, 2023, pag. 599.
[27] Si veda ancora R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, cit.; nella stessa direzione si veda altresì M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, in Riv. Dir. Banc., 10, 2023, la quale evidenzia come l’art. 821 c.c. ponga unicamente una regola di acquisto degli interessi, laddove la scadenza del credito di interesse sarebbe disciplinata in regime di anno ai sensi dell’art. 1284 c.c., di cui ricorda il carattere dispositivo della previsione e la sua derogabilità ad opera delle part. Si veda ancora G. MUCCIARONE, op. ult. cit., il quale evidenzia come il piano di ammortamento alla francese non contenga neanche un deroga alla disciplina dell’imputazione dei pagamenti, recando, piuttosto una disciplina delle scadenze.
[28] Si veda N. de LUCA e G. RIPA di MEANA, Mutuo alla francese: non è detto che gli interessi esigibili siano anche maturati, in Dirittobancario.it, 2021; A. DIDONE, Ammortamento alla francese e «anatocismo secondario», in Dirittobancario.it, 2021 nonché, ancora, R. MARCELLI, Ammissione al passivo fallimentare degli interessi relativi a mutuo con piano di ammortamento a rata costante (alla francese). L’art. 2855 c.c., in Ilcaso.it, 10 giugno 2021, il quale sottolinea, altresì, che, sempre in relazione alla possibile divaricazione fra esigibilità ed interessi, “…l’applicazione dell'art. 2855, 2 comma c.c. richiederebbe propedeuticamente la ricostruzione del piano nel rispetto degli artt. 1284 e 1194 c.c., per l'individuazione degli interessi maturati sino all'ultimo biennio, che non risultino già corrisposti anticipatamente negli anni precedenti…”.
[29] Così, F. CACCIAFESTA, Risposte al Prof. de Luca. Con una osservazione in tema di interessi anticipati, cit., ove si legge che “…il prezzo da pagare anticipatamente non può, per equità, coincidere con quello da corrispondere posticipatamente: le due somme non devono (“non possono”) essere uguali, ma devono essere “equivalenti”. “Equivalenti” nel senso, umile e convenzionale, ma rigoroso, della Matematica Finanziaria: quanto si paga, o pagherebbe, prima, deve essere il valor attuale di quanto si paga, o pagherebbe, dopo; tale valor attuale essendo calcolato in base ad un fattore di anticipazione (o “di sconto”) oggettivamente dettato dal contesto”.
[30] In realtà, come si dirà subito infra, l’asserita fisiologia della modalità di computo degli interessi è elemento tutt’altro che pacifico e scontato e divide giuristi e matematici. Si veda a riguardo, per uno spaccato di tali differenti ricostruzioni, F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, in Ilcaso.it, 10 marzo 2022 nonché R. MARCELLI, Finanziamento con ammortamento alla francese. La pattuizione dei rimborsi e gli interessi maturati, in www.altalex.com.
[31] La pronuncia è commentata da V. FARINA, Piano di ammortamento alla francese: liceità, meritevolezza e trasparenza della relativa clausola, in Riv. Dir. Banc., 2023, fasc. I, sez. II, pag. 131 e ss. nonché F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza dell’oggetto nei contratti di finanziamento con «ammortamento alla francese». Commento a Collegio di Coordinamento ABF, 8 novembre 2022, n. 14376, ibidem, 2022, fasc. IV, sez. II, pag. 319 e ss.
Nella stessa direzione, Collegio di Tornio, n. 5149/2022 e Collegio di Milano n. n. 6906/2022, richiamate, in maniera critica, da A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese»: gravosità del meccanismo, cit.
[32] Peraltro, sembra potersi ricavare dalla pronuncia dell’Arbitro, alla luce di un quadro fattuale ben diverso in quanto privo non solo della dicitura dell’ammortamento alla francese ma anche di una tabella di ammortamento di riferimento. In tale prospettiva appaiono cogliere nel segno le critiche di FARINA, Piano di ammortamento alla francese, cit. e F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza, cit.
[33] Così, Cassazione civile sez. I, 22/05/2014, n.11400, in Dir. e Giust., 2014, 23 maggio 2014, con nota di G. TARANTINO, Rata non pagata: no agli interessi moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi.
[34] Si veda, App. Brescia, sez. I, 17 luglio 2023, n. 1190, inedita.
[35] In questo senso, M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, in Dir. Banc., 10, 2023.
[36] Si veda ancora, M. SEMERARO, op.ult. cit.
In tal senso, peraltro, sembra corretto richiamare Corte di Giustizia UE 9.11.2016, causa C-42/15, Home Credit Slovakia, secondo cui “l’art. 10, par. 2, lett. h) e i), Dir. 2008/48 dev’essere interpretato nel senso che il contratto di credito a tempo determinato, che prevede l’ammortamento del capitale mediante versamenti consecutivi di rate, non deve precisare, sotto forma di tabella di ammortamento, quale parte di ogni rata sarà destinata al rimborso di tale capitale. Siffatte disposizioni, in combinato disposto con l’art. 22, par. 1, della direttiva in parola, ostano a che uno Stato membro preveda un obbligo del genere nella sua normativa nazionale”.
[37] Solo per limitare le citazioni si veda App Torino, sez. I, 10 marzo 2022, n. 287 inedita.
[38] Su tutti, ancora, M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, cit; si veda ancora, diffusamente R. MARCELLI, Finanziamento con ammortamento alla francese. La pattuizione dei rimborsi e gli interessi maturati, in www.altalex.it.
[39] Si veda, in particolare, F. CACCIAFESTA, Un’ordinanza fondata su un equivoco (l’ammortamento alla francese secondo il Tribunale di Salerno), in ilcaso.it del 23 ottobre 2023; ID. L’ammortamento alla francese “in interesse composto”: un normale ammortamento progressivo, in Ilcaso.it 31 luglio 2021; ancora ID. Sulla presunta indeterminatezza di alcuni contratti di prestito (e altro: a proposito di una sentenza del Tribunale di Cremona), in Il caso.it, 6 luglio 2023; si veda ancora R. NATOLI, I mutui con ammortamento alla francese, aspettando le Sezioni unite, in Riv. Dir. Bancario, novembre 2023.
[40] Ad esempio, nel già citata pronuncia dell’ABF dell’8 Novembre 2022, si assume per l’appunto, che il piano di ammortamento era stato costruito con il regime finanziario dell’interesse semplice.
[41] Si veda, in proposito, F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, Cit., par. 6, il quale sembra postulare l’astratta configurabilità di tale modalità di ammortamento salvo rilevarne la sua concreta non percorribilità in quanto non idoneo a “stabilire…quando due somme di denaro disponibili in tempi diversi vadano considerate equivalenti…non consente di definire in modo univoco il tasso effettivo di un’operazione…che può ragionevolmente determinarsi solo se si impiega l’interesse composto”, sicché, prosegue l’A., “la sua applicabilità si ferma, in definitiva, alla gestione infraannuale di un conto corrente, e poco più”, giacché darebbe luogo ad “…un modello largamente irrealistico ed insoddisfacente per la maggior parte degli operatori”.
[42] Non è affetto detto, anzitutto, che il cliente, infatti, sia “indotto a ritenere il tasso convenzionale riportato in contratto calcolato sul in regime semplice, nell’ordinario rapporto proporzionale disposto dall’art. 1284 c.c., nell’equilibrio contrattuale riferito al corrispondente utilizzo medio periodale del capitale…”, così R. MARCELLI, Finanziamenti con ammortamento alla francese. Scienza e dottrina asservite al pensiero corrente, in Ilcaso.it, 27 gennaio 2023; anche a voler dare per vera tale supposizione ed ammettere che un cliente medio nutra effettivamente tale aspettativa, deve, al contempo, notarsi che non sembra potersi ritenere che l’operatore bancario sia obbligato a rappresentare che il mercato offra anche altri tipi di ammortamento o, ancora, che altri ammortamenti avrebbero un costo diverso e magari inferiore (in tal senso F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, cit.). Si veda ancora G. MUCCIARONE, Ammortamento alla francese: meritevolezza e trasparenza, in Banca borsa e tit. cred., secondo cui “…Pertanto, definiti nel contratto tasso, durata, ammortamento a rata costante, periodicità della rata, il cliente non deve poi capire come viene calcolata la rata, per fortuna o per grazia. Ma deve sapere, mi sembra, quanto deve pagare ad ogni scadenza e fino a quando, per vedere se riesce; e quanto paga d'interessi per vedere se gli conviene in rapporto ad altre offerte — a Dio piacendo, anche all'italiana o alla thailandese — e quanto paga tempo per tempo d'interessi per vedere se gli può convenire chiudere prima il finanziamento, se ha la facoltà di estinzione anticipata, e quanto dovrebbe pagare per capitale residuo e interessi maturati in caso di decadenza dal beneficio del termine. A ciò mi sembra sufficiente il piano di ammortamento che distingua, rata per rata, capitale e interessi. Se non avesse la facoltà di estinzione anticipata, forse, neppur sarebbe necessario al cliente conoscere l'esatta composizione di ciascuna rata”.
[43] In questo senso, salvo quanto si dirà in seguito circa il rilievo del piano di ammortamento, si veda l’obiezione di R. NATOLI, L’ammortamento alla francese: una questione di trasparenza, cit., secondo cui a venire in gioco sarebbe la trasparenza precontrattuale prevista dagli artt. 120 novies e 124 T.U.B. ed il principio in essi espresso per cui il finanziatore deve consentire al mutuatario di valutare le implicazioni del contratto di credito e di comprendere quale sia più adeguato alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. Nondimeno, anche a voler dare per seguire tale impostazione, l’eventuale rimedio per la violazione di tale obbligo non dovrebbe essere quello previsto dall’art. 117 TUB ma, a tutto concedere, un rimedio risarcitorio.
[44] In tal senso Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 3 maro 2020, in Causa C125/18. Si è, in particolare, osservato che in tale prospettiva, costituiscono elementi particolarmente pertinenti ai fini della valutazione da effettuare al riguardo, da un lato, la circostanza che gli elementi principali relativi al calcolo di tale tasso siano facilmente accessibili a chiunque intenda stipulare un mutuo ipotecario, grazie alla pubblicazione del metodo di calcolo di detto tasso, nonché, dall’altro, la comunicazione di informazioni sull’andamento, nel passato, dell’indice sulla base del quale è calcolato questo stesso tasso.
[45] In tal senso, specie assumendo che l’ammortamento alla francese sia costruibile tanto con l’interesse semplice quanto con l’interesse composto, appare condivisibile l’affermazione di chi reputa che tale sola dicitura “si risolva in una formula ambigua”: così, F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza, cit.
[46] Si veda l’art. 6 della delibera del C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, rubricato “trasparenza contrattuale”, secondo cui “…I contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo l’entrata in vigore della presente delibera indicano la periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato. Nei casi in cui sia prevista una capitalizzazione infra-annuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione. Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto”.
[47] Di contrario avviso F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza, cit. il quale, in realtà, invita ad un riesame delle posizioni della giurisprudenza sul punto. Nondimeno, non appare condivisibile l’idea che il piano di ammortamento sarebbe vincolante solo laddove costituente “sviluppo univoco, su basi prettamente matematiche, delle fondamentali condizioni economiche già compiutamente indicate in contratto”. Anche ad ammettere che il piano di ammortamento, anche quello alla francese possa avere una pluralità di sviluppi, l’ammortamento indicato in contratto è certamente idoneo ad esprimere quale sia lo sviluppo del rimborso del prestito, non rinvenendosi nell’ordinamento alcun onere per gli intermediari di indicare formule differenti o, addirittura, di contrarre secondo tali formule.
[48] Si tratta di Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2021, n. 12889, in Guid. al dir., 2021, 26, su cui si tornerà nuovamente infra.
[49] Sulla necessaria indicazione del TAE M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, cit; nonché F. QUARTA, op. ult. Cit.
[50] In questo senso sembra andare M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, cit.
[51] Ma, come correttamente rileva, R. NATOLI, L’ammortamento alla francese: una questione di trasparenza, cit., gli usi non possono integrare la regolamentazione dei contratti bancari, posto quanto previsto dall’art. 117, co. 6, TUB, secondo cui “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.
[52] In realtà paiono escludere decisamente la circostanza, F. CACCIAFESTA, Un’ordinanza fondata su un equivoco (l’ammortamento alla francese secondo il Tribunale di Salerno), in ilcaso.it del 23 ottobre 2023 nonché R. NATOLI, I mutui con ammortamento alla francese, aspettando le Sezioni unite, in Riv. Dir. Bancario, novembre 2023.
[53] In tal senso F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, in Ilcaso.it, 10 marzo 2022
[54] Estremamente di recente, sui presupposti del rinvio pregiudiziale e sull’estensione del principio di diritto espresso Cass. Civ. 27 ottobre 2023, n. 29961, non massimata, segnatamente par. 9, pag. 23 e ss.
Antonio Albanese, pur essendo tutt’ora un attore dai formidabili tempi comici, ci ha abituato da tempo a film incentrati su tematiche sociali.
Negli ultimi anni molti dei suoi lavori, pur presentandosi in punta di piedi e senza sembrare militanti, sono ricchi di spunti “politici” e contengono riflessioni mai banali, soprattutto laddove il nostro abbini il ruolo di attore a quello di regista.
Se nelle commedie e negli sketches prevalgono il registro grottesco e l’uso del paradosso, quando è regista di se stesso Albanese predilige infatti interpretare personaggi ordinari e dai sentimenti puliti, uomini ingenui che fa muovere in un mondo popolato da tipi mediocri se non cattivi, proprio come molte delle sue maschere comiche.
Non sfugge allo schema il suo ultimo film in sala, "Cento domeniche”, in cui presta volto e movenze ad un operaio specializzato cui ha dato il suo nome (Antonio), appena mandato in prepensionamento in una fabbrica di un piccolo paese; un personaggio dalla vita normale, che gode di piccole gioie ed è esposto, come tutti, ai rovesci della vita.
Rovesci anch’essi piccoli, ben attutiti da un ambiente in cui è facile e naturale fidarsi degli altri perché ci si conosce tutti da sempre, al di là dei ruoli e dell’età, e si condividono spazi limitati ed accudenti come il bar o la piazza.
E Antonio si fida: del suo datore di lavoro, che lui considera quasi un parente e non un padrone (si danno del tu, sembrano in gran confidenza e l’imprenditore, che lui chiama confidenzialmente Carlo, lo invita persino a cena nella sua magione, in un angolo del giardino della quale consente che Antonio allevi delle galline), dei suoi colleghi, con cui divide le chiacchiere del dopolavoro e i tornei di bocce, della sua donna, che pur appartenendo ad un ambiente evidentemente più altolocato del suo lo ospita nella sua lussuosa villa e con cui divide momenti di tenero amore.
Qualcosa sembra non quadrare del tutto, ma all’inizio non ci si fa quasi caso, mentre assistiamo scena dopo scena allo sgretolamento di questo piccolo (e forse mal riposto) capitale di fiducia: il datore di lavoro lo licenzia da un giorno all’altro, pur consentendogli di continuare a recarsi in fabbrica per aiutare con la sua esperienza gli operai più giovani. E Antonio si fida e continua a lavorare, convinto di essere in un mondo dove una stretta di mano vale più di un contratto.
La donna con cui ha una relazione è sposata, ma anche questo sembra un particolare quasi senza importanza. E Antonio si fida e si lascia andare ai sentimenti e all’amore al punto da chiederle se è pronta a lasciare il marito per lui, salvo fingere di avere scherzato alla incredula e stizzita reazione di lei.
Più la storia va avanti e più sembra che tutto poggi su un pavimento di mera apparenza, destinato a sgretolarsi al primo scossone: una visita ispettiva in fabbrica porta alla immediata reazione del datore che ingiunge ad Antonio di non farsi vedere più, perché altrimenti la fabbrica rischierebbe sanzioni. E tanti saluti all’esperto tornitore e alla sua insostituibile esperienza.
Poco dopo Antonio rivela alla sua amante che la figlia si è accorta della loro relazione e che vorrebbe invitarla al matrimonio: la donna, rendendosi conto improvvisamente del rischio che si sappia di loro in paese lo caccia urlando dalla macchina e tronca da un minuto all’altro ogni rapporto.
Sono solo le prime avvisaglie della tempesta vera e propria, destinata a provocare il crollo dell’intero sistema affettivo del protagonista e che scaturisce da un evento che difficilmente viene spontaneo associare con i sentimenti: la crisi finanziaria dell’istituto di credito del suo paese.
Il fatto è che anche la banca è percepita da Antonio con le lenti comode e deformanti della fiducia: gli impiegati sono persone che ha conosciuto da bambine, ed è bella la sensazione che ogni volta che ha bisogno di recarvisi gli aprono una porta di servizio per non farlo passare dai tornelli, perché sanno che egli soffre di claustrofobia.
È insomma anche quello un ambiente fatto di relazioni consolidate ed informali, a cui affidare con un sorriso i risparmi di una vita, come del resto hanno fatto tutti nella sua piccola comunità (e come, a ben pensarci, tendiamo a fare tutti un po’ ovunque).
Ed è alla sua “amica” banca che Antonio si rivolge per chiedere i soldi per organizzare il matrimonio della figlia, suo momento di massimo orgoglio e piccolo riscatto sociale.
Il nostro tornitore è convinto di avere investito il suo denaro in modo sicuro e facilmente smobilizzabile e che quindi possa avere indietro quanto ritiene suo con un sorriso, magari con un piccolo aiuto tecnico del suo interlocutore per le eventuali quisquilie burocratiche: sarà destinato ad essere deluso ancora una volta.
Il direttore di banca, con la solita finta bonomia che Antonio ha già sperimentato in tutti gli altri suoi interlocutori, gli ricorda che tempo fa ha firmato una modifica del suo investimento, rendendolo da obbligazionario ad azionario (quindi, ad alto rischio); e che in questo momento è meglio non vendere le azioni perché sostanzialmente hanno visto pressoché azzerato il valore che avevano al momento dell’acquisto… di fatto, gli comunica che i suoi risparmi non esistono più.
La reazione del tornitore è quella di sempre: rifiuta di credere che il mondo non sia quello che si è sempre rappresentato, anche se uno degli impiegati lo segue fuori dalla banca per dirgli che la banca è sull'orlo del fallimento e gli consiglia di prelevare tutti i soldi e mettersi in salvo. Rifiuta di capire – e di reagire - anche quando lo stesso impiegato, poco dopo il colloquio, si suicida per la vergogna di avere contribuito a truffare la gente; ed anche quando il barista gli fa leggere i titoli dei giornali ove si parla di crack della banca e del suo prossimo, inevitabile fallimento.
Chiede consiglio al suo ex padrone, rifiutando di accettare come vera la notizia appresa che i ricchi del paese i soldi dalla banca li hanno già prelevati - contribuendo ad aggravare il dissesto - e continua come un sonnambulo a camminare in un mondo che non corrisponde alle sue percezioni.
In un crescendo di drammaticità, Antonio prende coscienza della realtà quando ascolta il racconto di un altro operaio ridotto come lui sul lastrico dal crollo dell’istituto di credito e torna in banca deciso finalmente a chiedere spiegazioni al direttore: ma il direttore è cambiato e il nuovo, inaspettatamente, lo tratta come se fosse lui ad essere in torto: è lui che ha firmato, è lui il responsabile della sua rovina.
Antonio reagisce esclamando (come forse faremmo tutti): “ma chi di noi legge quello che firma?”.
È qui che Albanese metaforicamente ci schiaffeggia, ricordandoci che non sta mettendo in scena una maschera grottesca o esagerata ma la semplice realtà, che anche noi come il protagonista della storia preferiamo fingere di non vedere…. perchè è troppo brutto dire a se stessi che la fiducia non esiste, che si è nudi di fronte alla cattiveria altrui; che sono finiti i tempi della solidarietà, dell’unione fa la forza, dei deboli che alzano la voce per reclamare i propri diritti; che oggi chi è debole può solo subire e semmai cercare di diventare più forte di qualcun altro, per arraffare un briciolo togliendolo a chi è più in basso nella catena alimentare.
In un ultimo sussulto di ricerca di solidarietà il nostro tornitore si reca alla riunione in piazza dei clienti dell’istituto di credito, dove assiste all’ennesima pantomima: quando vede che a prendere la parola non sono gli scontenti ma un avvocato sconosciuto a tutti e poi il sindaco del paese capisce finalmente che nessuno aiuta nessuno.
E va via, deciso all’epilogo individuale che non sveliamo per non "spoilerare".
La tematica del rapporto del singolo con le banche è una delle più attuali e sconvolgenti dei nostri tempi e tocca da vicino il lavoro dei magistrati sia civilisti che penalisti.
Sempre più spesso le disuguaglianze sociali e le istanze di tutela dei diritti individuali e fondamentali prendono le forme processuali della tutela del singolo dallo strapotere degli istituti di credito.
Ne sono prova la giurisprudenza (tremolante e altalenante) sull’usura bancaria in campo penale e le controversie civilistiche su interessi moratori, clausole abusive (“Ma chi di noi legge quello che firma?”), anatocismo, commissioni di massimo scoperto.
Emmanuel Carrère ne ha fatto materia per uno dei ritratti più riusciti della sua galleria di personaggi nel magnifico libro intitolato "Vite che non sono la mia": è la storia (vera) della passione civile della cognata, giudice di prima istanza che ha dedicato la vita a propugnare nelle sue sentenze i semi di un’interpretazione dei contratti bancari volta alla tutela sociale dei più deboli (i clienti).
Nel libro l’autore descrive la pluriennale lotta della magistrata con stuoli di avvocati blasonati e con la stessa giurisprudenza della cassazione francese, sempre pronta a chiudere gli spiragli di giustizia sociale che la protagonista ed un suo collega che fa udienza pochi metri più in là tentano ingegnosamente di aprire dal Tribunale di provincia in cui si trovano ad operare.
Una storia che parla di chi, da dietro le quinte e con le armi della tecnica giuridica e dell’ingegno, prova a ristabilire il filo interrotto della fiducia tra l’individuo e la società e che costituisce l’ideale pendant del film di Albanese.
Il filo della fiducia chiama in causa dunque, per vie sorprendenti, la giurisprudenza di merito nel suo compito insostituibile di tutela dei diritti fondamentali.
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