Sul tema si leggano anche: Audizione di Claudio Castelli in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura, L'audizione di Armando Spataro alla Camera dei Deputati del 25 gennaio 2024 sulla separazione delle carriere dei magistrati, Collegialità del giudice della misura cautelare e separazione delle carriere: due tasselli di uno stesso mosaico di Costantino De Robbio, Mozione sul d.d.l. costituzionale in materia di separazione delle carriere, Separazione delle carriere a Costituzione invariata. Problemi applicativi dell’art. 12 della legge n. 71 del 2022 di Pasquale Serrao d’Aquino, La separazione della carriera dei magistrati: la proposta di riforma e il referendum di Paola Filippi, La separazione delle carriere dei magistrati: una proposta di riforma anacronistica ed inutile di Armando Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati? una riforma da evitare di Armando Spataro, La mafia si combatte con investimenti tecnologici, non con la separazione delle carriere di Maurizio De Lucia, Separazione delle funzioni dei magistrati vs. celerità dei processi e tutela dei diritti. Intervista di Marta Agostini al prof. David Brunelli.
Il presente contributo costituisce un aggiornamento e un ampliamento dell'articolo pubblicato il 29 maggio 2024.
Il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle “distinte carriere” dei magistrati.
Eterogenesi dei fini, aporie e questioni aperte [1]
di Giovanni Canzio
I) Nel breve saggio Il pubblico ministero «parte imparziale»?, pubblicato in Questione Giustizia, nn. 1-2/2024, avevo svolto, fra l’altro, alcune considerazioni critiche in replica alla proposta di legge costituzionale n. 23 del 13 ottobre 2022, d’iniziativa del deputato Enrico Costa, in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura, cui ha fatto seguito di recente il – non sovrapponibile - disegno di legge costituzionale presentato il 13 giugno 2024 dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Ministro della giustizia in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare (Atto n. 1917/C).
Il progetto, che prevede la sostanziale destrutturazione di larga parte del vigente modello costituzionale sull’ordinamento e del sistema di governo autonomo della magistratura, sembra potenzialmente destinato a determinare, di riflesso, una più spiccata autoreferenzialità (anche nei rapporti con la narrazione mediatica e con l’opinione pubblica) e un ancora più accentuato distacco o indifferenza della pubblica accusa rispetto alle sorti del processo e all’accertamento della verità.
L’organo di giustizia sarebbe naturalmente sollecitato ad assumere il ruolo di incontrastato vertice della polizia giudiziaria, con la disponibilità di rilevanti risorse di personale e tecnologiche e con la funzione di dirigere indagini finalizzate al raggiungimento di obiettivi concreti e immediati, che potrebbero pure apparire sconnessi dalla lontana nel tempo e imprevedibile opera del giudice – terzo e imparziale - di ricostruzione probatoria dei fatti e della verità nel contraddittorio fra le parti.
Sembra evidente il rischio che, per una paradossale eterogenesi dei fini, prevalgano vieppiù logiche di chiusura corporativa, opposte alla linea, tracciata dalla Costituzione, dell’attrazione ordinamentale del pubblico ministero nel sistema e nella cultura della giurisdizione.
In poche parole, con il distacco del pubblico ministero dal perimetro della cultura della giurisdizione si viene prospettando la costituzione di un secondo e autonomo potere giudiziario, indipendente da ogni altro potere dello Stato e dallo stesso potere pertinente alla giurisdizione in senso stretto, sulla base di un eccentrico e inedito modello nel panorama della giustizia internazionale, nel quale non è dato rinvenire il riconoscimento di un così largo statuto di autonomia e indipendenza a favore di un pubblico ministero “separato” dal giudice e dalla giurisdizione. Con l’effetto collaterale, certamente non auspicato dai promotori dell’iniziativa riformatrice, di legittimare, con l’ulteriore frammentazione dei poteri dello Stato, l’obiettivo rafforzamento, oltre ogni ragionevole limite, della sfera di influenza nel sistema di giustizia dell’organo di accusa, al quale, munito di ampie risorse investigative e di forti garanzie di autonomia e indipendenza, resta attribuito il ruolo di titolare esclusivo dell’inchiesta e dell’azione penale.
La smisurata implementazione della figura e dei poteri di questo organo di giustizia potrebbe a questo punto rendere inefficace – nelle dinamiche dei comportamenti concreti, pure extrafunzionali – il precetto, preminente e valido per ogni magistrato, di «agire e apparire agire liberi» da ogni condizionamento o influenza esterna indebita.
Un duro colpo, dunque, al delicato equilibrio dell’architettura costituzionale disegnata per la Magistratura nel Titolo IV del Capo II della Costituzione, nei termini approvati dai Costituenti e fortemente voluti, in particolare, da Piero Calamandrei (con altri eccelsi giuristi, quali Leone e Bettiol), allora presidente del ricostituito Consiglio Nazionale Forense dopo la sconfitta del fascismo, nonché alle reali esigenze di tutela dei diritti della persona.
En fin, un risultato certo non esaltante per il complessivo assetto delle garanzie della difesa a fronte della inedita ampiezza dei poteri del magistrato inquirente.
Anziché proporre interventi destinati ad esaltare vieppiù la logica di separatezza e autoreferenzialità dell’ufficio del pubblico ministero e a rivelarsi inoltre compressivi dell’indipendenza interna dei singoli magistrati di quell’ufficio, meriterebbe attenzione, viceversa, la proposta alternativa di aprire ulteriori, ancora più pregnanti finestre di controllo di legalità del giudice – questo sì davvero «terzo e imparziale» – fin nei momenti topici delle indagini preliminari, non soltanto, quindi, molto più tardi e spesso infruttuosamente nel giudizio.
Come pure andrebbe perseguito con determinazione il valore della condivisione della missione di giustizia e dell’organizzazione della giurisdizione da parte della magistratura e dell’avvocatura, che, nel reciproco riconoscimento dei rispettivi ruoli e funzioni, ne accrescerebbe l’autorevolezza e ne rafforzerebbe l’indipendenza rispetto al potere politico (essendo l’una sinergicamente custode e garante dell’indipendenza dell’altra), insieme con l’idea di una comune cultura della giurisdizione che dovrebbe virtuosamente contaminare i pur differenti mestieri del giudice, del pubblico ministero e dell’avvocato.
Le suesposte considerazioni, che riguardano la cornice, i contenuti e le finalità del disegno legislativo di riforma costituzionale, vanno tuttavia integrate da una serie di specifici rilievi critici attinenti agli aspetti strettamente tecnico-giuridici della relativa legistica.
Occorre, da un lato, sgomberare il terreno del confronto politico e culturale da talune premesse fattuali empiricamente non verificate e per ciò stesso non vere (post-truth) e, dall’altro, avanzare alcune domande su temi finora inesplorati, poiché - va rimarcato con forza - restano senza risposta numerose, rilevanti questioni di straordinario rilievo istituzionale e organizzativo, pure strettamente collegate e conseguenziali al disegno costituzionale di separazione delle distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti.
II) Talune premesse del ragionamento, che talora vengono anche pubblicamente enunciate, a fondamento del disegno di riforma costituzionale sono storicamente non corrispondenti alla verità.
- “Soltanto grazie alla separazione delle carriere, il giudice sarà davvero terzo e imparziale”: come dire “fino ad oggi i giudici si sono dimostrati non terzi rispetto alla posizione di parità delle parti e parziali”.
L’affermazione non risponde a verità e ciò è testimoniato dall’elevato numero di decisioni giudiziarie che non confermano l’ipotesi formulata dall’accusa sia in primo grado (oltre il 40%), sia nei gradi di impugnazione in appello e in cassazione.
- “La separazione delle carriere realizza finalmente la riforma epocale della giustizia”.
La separazione delle carriere dei magistrati non ha alcuna influenza, diretta o indiretta, sulla qualità e sull’efficace funzionamento della macchina della giustizia. La riforma strutturale e organica del sistema giudiziario italiano, in adesione a quanto concordato con l’Unione Europea (sulla base del Next Generation EU e del PNRR), è stata realizzata negli anni 2021-2022 dal Governo Draghi e dal Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, e viene oggi faticosamente attuata nelle aule di giustizia da magistrati e avvocati, nonostante le persistenti criticità organizzative in materia di organici del personale di magistratura e di cancelleria, di risorse materiali, di logistica e di procedure informatiche, tutte ascrivibili alla competenza del Ministro della giustizia.
- “La riforma in senso accusatorio del codice di procedura penale del 1989 non ha avuto successo perché non è stata allora completata dalla riforma ordinamentale sulla separazione delle carriere dei magistrati”.
Invero, fino ad oggi non si era dubitato che il progetto riformatore del 1989 avesse evidenziato criticità e disfunzionalità -innanzitutto- per la debolezza dei poteri e delle funzioni, perciò della figura, del giudice nelle fasi delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, mirata al controllo del corretto e non superfluo esercizio dell’azione penale, anche a causa del filtro a maglie larghe previsto per il decreto di rinvio a giudizio. Fattori, questi, che hanno altresì impedito il pieno dispiegarsi dei riti alternativi, alla cui larga attivazione era condizionato il successo del nuovo rito.
- “Le finestre di giurisdizione, oggi recepite dalla legge Cartabia, sono frutto di una lettura creativa della giurisprudenza di legittimità diretta a contrastare la proposta di riforma della separazione delle carriere”.
Il termine “finestre di giurisdizione”, viceversa, risale ai lavori del Progetto del disegno di legge delega di riforma del processo penale, elaborato dalla Commissione “Riccio” (fra i componenti accademici si ricordano i professori di procedura penale G. Spangher, G. Giostra, G. Illuminati, F. Caprioli) e definitivamente approvato il 19/12/2007 con l’allegata relazione di accompagnamento, in funzione del rafforzamento del controllo giurisdizionale durante le indagini preliminari. E ciò per realizzare il “diritto al giudice” anche in quella fase, che già al tempo risultava egemonizzata dal ruolo del Pubblico Ministero, ancor prima della deriva del processo mediatico e del populismo penale.
- “La giurisdizione disciplinare della magistratura ordinaria va sottratta al Consiglio superiore della magistratura perché sarebbe stata fino ad oggi esercitata secondo logiche correntizie di pregiudiziale favore o sfavore nei confronti dei magistrati incolpati”.
Sono invece noti, soprattutto ai magistrati e agli avvocati loro difensori, il sistematico, talora esasperato, rigore e l’efficace funzionamento - salvo rarissimi e deprecabili episodi che non vanno certamente oscurati - sia in primo grado della Sezione disciplinare del CSM, presieduta dal Vicepresidente, che in sede d’impugnazione di legittimità delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, e ancora prima l’equilibrato e corretto esercizio del potere d’inchiesta disciplinare riservato, oltre che al Ministro della giustizia, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione.
III) A questo punto, vanno elencate, secondo un doveroso ordine logico, quelle che si configurano a prima lettura come aporie, contraddizioni, lacune o questioni aperte del disegno di legge di riforma costituzionale, che invece si ritiene meritino puntuali risposte e soluzioni esplicite e coerenti.
1. Una volta separate le distinte carriere dei magistrati e istituiti i due organi di governo autonomo della magistratura, giudicante e inquirente, in quali modi e termini verrebbero regolati e decisi gli eventuali conflitti fra i due organi, entrambi presieduti dalla medesima persona del Presidente della Repubblica?
2. In quali forme sarebbero disciplinate le necessarie esigenze di coordinamento fra i due organi di governo autonomo della magistratura e fra ciascuno di essi e il Ministro della giustizia, ai fini dell’efficace funzionamento e del buon andamento del complessivo sistema di giustizia?
3. A un’analoga sorte di separazione delle carriere non dovrebbero andare incontro tanto la giustizia militare quanto quella contabile, per le quali sono parimenti previste le distinte funzioni inquirenti e giudicanti? Si perverrebbe così a un’ulteriore moltiplicazione e frammentazione, a livello costituzionale, dei Poteri dello Stato?
4. In quale proporzione sarebbe distribuita fra giudici e pubblici ministeri la quota di un terzo dei giudici della Corte costituzionale nominati dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa, ai sensi dell’art. 135, commi 1 e 2, Cost.?
5. Quale sorte sarebbe riservata allo speciale ufficio della Procura Generale presso la Corte di cassazione, che, com’è noto, non svolge un ruolo di inchiesta o di accusa nel processo, bensì quello di autorevole collaboratore nell’esercizio della funzione nomofilattica e nella formazione del diritto vivente ad opera dei Giudici di legittimità, sia civili che penali, nonché di titolare, insieme col Ministro della giustizia, del potere d’inchiesta disciplinare nei confronti di tutti i magistrati ordinari, sia inquirenti che giudicanti?
6. A quale ufficio sarebbe attribuito il ruolo di vertice/dirigente/coordinatore, a livello nazionale, della complessa struttura e articolazione organizzativa della magistratura inquirente? Allo stesso organo di governo autonomo della magistratura inquirente o al Ministro della giustizia o a un’Autorità indipendente o, indistintamente, a ciascuno dei capi delle singole Procure della Repubblica?
7. A quale speciale e indipendente Autorità sarebbe attribuito il potere di inchiesta disciplinare nei confronti dei magistrati giudicanti, che viene oggi esercitato dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione e dal Ministro della giustizia nei confronti di tutti i magistrati, sia inquirenti che giudicanti?
8. All’Alta Corte disciplinare, composta anche da magistrati del pubblico ministero e da giudici, viene attribuita la giurisdizione disciplinare, sia in primo che in secondo grado, per tutti i magistrati della giurisdizione ordinaria, benché separati e facenti capo a distinti e autonomi organi. Dunque, le distinte figure dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti, prima si separerebbero e poi si riunificherebbero nell’ambito di un’unica giurisdizione disciplinare? Perché restano estranei all’Alta Corte i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati appartenenti ai plessi delle giurisdizioni speciali (militare, amministrativa, contabile), che pure sono notoriamente connotati da storiche e vistose criticità?
9. Se il procedimento disciplinare conserverà, come sembra, il suo tradizionale carattere “giurisdizionale” e non sarà degradato a mera procedura di tipo amministrativo, sopravviverà il giudizio di legittimità riservato alle Sezioni unite civili della Corte di cassazione avverso le decisioni di appello (anche per motivi di merito) dell’Alta Corte disciplinare nei confronti di tutti i magistrati, sia inquirenti che giudicanti. A prescindere dall’evidente appesantimento (ben tre gradi di giudizio!) di una procedura che dovrebbe essere ispirata a criteri di semplificazione e di ragionevole durata per il rilievo dei valori in gioco, come si costituirebbe il collegio dell’Alta Corte disciplinare in caso di cassazione con rinvio di una sua decisione?
10. Sarebbe prevista una regola di proporzione fra magistrati inquirenti e giudicanti ai fini del collocamento fuori del ruolo organico della magistratura, soprattutto nelle funzioni apicali di rilievo presso il Ministero della giustizia?
11. Come si articolerebbe il concorso di accesso alla magistratura: in termini di unità o di separazione delle materie e delle prove per i candidati alla magistratura inquirente o giudicante? E prima ancora come si atteggerebbe l’insegnamento delle materie giuridiche nelle Università: in termini di comune cultura della giurisdizione o di anticipata e funzionale specializzazione degli studi?
12. Come si realizzerebbe la formazione professionale, iniziale e continua, dei magistrati: presso un’unica Scuola superiore della magistratura, articolata in plurimi e coordinati segmenti, o presso due differenti e autonome Scuole?
13. Sarebbe prevista una differente collocazione logistica degli uffici dei magistrati inquirenti e di quelli giudicanti oppure questi continuerebbero ad operare nei medesimi edifici e uffici destinati all’attività giudiziaria?
14. La distinzione degli organi di governo autonomo si rispecchierebbe anche nella composizione e nelle funzioni dei Consigli giudiziari distrettuali (uno o due distinti Consigli giudiziari)?
15. In quali forme e tempi sarebbe prevista la doverosa disciplina intertemporale per consentire l’ordinata transizione, su domanda ed eventualmente anche in sovrannumero, dagli uffici attualmente rivestiti dai magistrati, inquirenti e giudicanti?
IV) Si tratta di aporie, contraddizioni e questioni aperte a differenti soluzioni legislative che evidenziano silenzi, lacune e vuoti progettuali del disegno costituzionale di riforma dell’ordinamento giurisdizionale in ordine ad aspetti di assoluto rilievo, sia istituzionale che organizzativo, rispetto ai quali non appare affatto confortante l’astratta e generica disposizione transitoria, secondo cui “Le leggi del Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare sono adeguate alle disposizioni della presente legge costituzionale entro un anno dalla sua entrata in vigore”.
Dunque, in pervicace ossequio a una scelta di matrice politica e ideologica si prospetta la destrutturazione della sapiente e ineguagliabile architettura della Costituzione repubblicana, con l’obiettivo consapevole o meno (che sembra leggersi dalla profilazione mediatica delle persone dei singoli magistrati ai test psico-attitudinali dei candidati magistrati, alla scandalosa estrazione “a sorte” dei componenti chiamati a far parte di un organo costituzionale secondo la pessima regola “uno vale uno”, alla ingiustificata sottrazione della giurisdizione disciplinare dei magistrati ordinari al suo alveo naturale) della delegittimazione della magistratura ordinaria e, va sottolineato, solo di quella ordinaria, come Ordine autonomo e indipendente da ogni altro Potere, e del declino della fiducia dei cittadini nell’opera dei magistrati.
Un’operazione, questa, che certamente non fa bene all’equilibrio fra i Poteri dello Stato e alla tenuta complessiva dello Stato di diritto e della democrazia.
[1] Testo, riveduto e ampliato, dell’intervento svolto nel convegno organizzato il 27 giugno 2024 presso l’Università degli Studi di Milano: “Separare e sorteggiare. Primo confronto sul disegno di legge costituzionale di riforma del Consiglio superiore della magistratura”.