Recensione di Dino Petralia a Il cognome delle donne di Aurora Tamigio, Feltrinelli 2024.
Un romanzo del tempo. Dove il tempo ha la stessa dimensione del luogo ed entrambi la forza inebriante e agghiacciante dell’eternità.
Si, perché in questa storia di donne lo scorrere del tempo nel minuscolo paese dell’entroterra siciliano, tra stenti, sogni e vittorie, è solo un pretesto, un artifizio descrittivo per celebrare un’immanente sovranità esistenziale: il coraggio vitale di Rosa, inventatasi oste generosa e insieme medico al bisogno, capace di parlare ai morti e predire il futuro, l’industriosa pazienza di Selma e le sue tre figlie, Patrizia, Lavinia e Marinella, un trio familiare tutto al femminile in perfetta simbiosi d’energia, in cui la grinta sfidante della prima ha la stessa potenza vivificante della candida curiosità del mondo di Lavinia e così pure dell’ardore della più piccola, al cospetto di una modernità che incalza.
Cinque donne, attorno alle quali, in un girotondo di figure maschili in servizio permanente effettivo di comparse, soffia leggero l’alito di una paesanità struggente e tormentata. E al tempo stesso attraente e magica.
Un romanzo lungo di pagine ma breve di lettura, senza l’enfasi della saga o la retorica del tema, dal tratto semplice e raffinato insieme di un’intimità sapiente di antica sicilianità.