L’incostituzionalità delle proroghe legali delle concessioni balneari per violazione della “direttiva servizi” (nota a Corte cost. n. 109/2024)
di Matteo Timo
Sommario: 1. Premessa: la questione di legittimità costituzionale – 2. La decisione assunta dalla Corte costituzionale – 3. (Segue) La declaratoria di incostituzionalità – 4. Osservazioni conclusive
1. Premessa: la questione di legittimità costituzionale
Con la pronuncia in rassegna la Corte costituzionale torna, nuovamente, sul dibattuto tema delle proroghe legali delle concessioni demaniali marittime e lacuali ad uso turistico-ricreativo, meglio note con l’espressione di sintesi “concessioni balneari”.
L’occasione per l’ennesima pronuncia nel senso dell’illegittimità del peculiare regime delle proroghe ope legis è fornita al Giudice delle leggi da un ricorso, promosso dal Presiedente del Consiglio dei ministri, avverso la legge regionale siciliana n. 2 del 2023[1] e, in particolar modo, in merito al disposto degli artt. 36 e 38.
Le disposizioni gravate dal Governo attengono, invero, a tematiche solo indirettamente connesse a quelle del rinnovo e della proroga delle concessioni, sicché la lettura della pronuncia in parola offre un peculiare spaccato delle scelte normative che, nella materia che ci occupa, possono presentare difformità dal dettato costituzionale e, come vedremo, dal parametro interposto rappresentato dal diritto eurounitario.
Lungi dall’imporre una proroga dei titoli in essere, l’art. 36 della l.r. siciliana n. 2/2023, seppur rubricato “Modifiche di norme in materia di concessioni demaniali marittime”, interviene, invero, sui termini del procedimento amministrativo volto alla presentazione dell’istanza per il rinnovo della concessione in essere e alla conferma della medesima istanza. Con maggior precisione, la disposizione regionale de qua fissava un nuovo termine per il deposito della domanda di proroga dei titoli demaniali in essere: termine equiparato a quello per la conferma delle istanze già presentate. Giova a tal riguardo precisare che la proroga legale delle concessioni balneari siciliane era stata disposta, con separata legge regionale n. 24/2019[2], al 31 dicembre 2023, in aderenza al disposto della legge n. 145/2018[3], quest’ultima abrogata – in quanto dichiarata più volte incompatibile con il diritto dell’Unione europea[4] – dalla legge n. 118/2022[5].
Quanto al disposto dell’art. 36 della l.r. siciliana n. 2/2023, esso prevedeva che il termine del 31 agosto 2021 di presentazione delle istanze di rinnovo, originariamente imposto dalla l.r. n. 17 del 2021[6], fosse sostituito dal nuovo termine del 30 aprile 2023. Analogo termine veniva previsto, come sopra anticipato, per la conferma delle istanze di rinnovo già presentate negli anni precedenti.
Il Governo ricorrente interpretava la suddetta “sostituzione” del termine, quale “proroga” del medesimo e, pertanto, quale risultato di una disposizione che «“corrobora la proroga delle concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2033”, nonostante i citati commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018 siano stati abrogati, per “incompatibilità con l’ordinamento unionale”, dall’art. 3, comma 5, lettera a), della legge 5 agosto 2022, n. 118»[7]: vale a dirsi che, nell’ottica del Governo italiano, la proroga del menzionato termine procedimentale costituisce barriera alla piena applicazione del diritto dell’Unione europea, analoga a quella rappresentata dalla proroga ope legis dei titoli concessori.
In conclusione, ne deriva, ad avviso del ricorrente, la violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. per lesione del paramento interposto costituito dalla nota disposizione di cui all’art. 12 della cd. “direttiva servizi”[8], ritenuta dall’Esecutivo autoapplicativa in forza dell’interpretazione datane dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[9] e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea[10].
Quanto alle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 38 della legge siciliana in parola – peraltro afferenti a tematiche altre rispetto a quelle di cui al presente scritto – è opportuno precisare come la Corte costituzionale abbia dichiarato la cessazione materia del contendere, attesa la sopravvenuta abrogazione dell’articolo citato, sicché nei paragrafi successivi sarà possibile concentrarsi esclusivamente sull’esame dei vizi dell’art. 36 l.r. siciliana n. 2/2023.
2. La decisione assunta dalla Corte costituzionale
La pronuncia della Corte costituzionale in commento appare apprezzabile quantomeno sulla scorta di tre profili che dalla medesima sono stati approfonditi: innanzitutto, per il contributo fornito alla ricostruzione della natura giuridica dell’attività dello “stabilimento balneare”; successivamente, per la rielaborazione e, di conseguenza, per il massimo riconoscimento delle interpretazioni fornite tanto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, quanto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato; da ultimo, per aver nettamente sancito l’illegittimità costituzionale delle proroghe legali per violazione del diritto eurounitario (concepito alla stregua di “parametro interposto”) e non, come sovente accaduto in passato, per lesione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza[11].
Nel seguire gli argomenti come poc’anzi riportati – peraltro, desumibili anche dall’ordine di trattazione di cui alla pronuncia annotata – il Giudice delle leggi ha avuto modo di porre l’accento[12] sulle singolarità che connotano quel peculiare imprenditore[13] che è lo stabilimento balneare: peculiarità che, come si è avuto modo di osservare in altra sede[14], discendono dall’esercizio di un’attività imprenditoriale, dal carattere lucrativo, ma presupponente il godimento esclusivo di un bene demaniale scarso, in deroga al suo uso naturale, ossia quello “comune”, aperto alla collettività indistinta[15].
A tal riguardo, la Corte ha osservato come lo stabilimento balneare eserciti «attività economiche che, come nel caso delle concessioni demaniali, utilizzano a fini imprenditoriali la disponibilità esclusiva di un bene pubblico caratterizzato dalla “scarsità” della relativa risorsa», attività d’impresa per le quali «il diritto dell’Unione europea sottopone il rilascio del titolo autorizzativo a stringenti condizioni, atte a favorire il ricambio tra gli operatori e a rimuovere gli ostacoli all’ingresso nel mercato di riferimento».
La rielaborazione fornita sul punto dalla Corte costituzionale appare apprezzabile, dapprima, per la sua aderenza al dettato normativo – al d.l. n. 400/1993, ma altresì alla direttiva servizi –, il quale espressamente attribuisce la natura imprenditoriale alle attività turistico-ricreative prestate dallo stabilimento balneare sulle coste e sulle rive. Inoltre, la lettura della pronuncia ben sottolinea il carattere strumentale del bene pubblico per l’esercizio dell’impresa, sia quale elemento indispensabile per la prestazione dell’attività economica, sia quale area demaniale che è messa nella sola “disponibilità” dell’imprenditore, attraverso il titolo “autorizzatorio” (rectius concessorio, qualora si utilizzi la terminologia interna), per archi di tempo limitati. Infine, e prima ancora di entrare nel merito della legittimità costituzionale della disposizione regionale impugnata, la sentenza n. 109/2024 immediatamente attribuisce al bene demaniale il carattere della “scarsità”, sottoponendo la concessione del medesimo alle «stringenti condizioni» prescritte dall’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, vale a dirsi espletamento della procedura di selezione imparziale e trasparente, nonché rilascio del titolo per una durata limitata, senza rinnovo automatico e senza attribuzione di privilegi al concessionario uscente.
In questo frangente, la Consulta si colloca nel solco tracciato dalla giurisprudenza amministrativa e dalla Corte di giustizia, ribandendo concetti e qualificazioni giuridiche che sono state proprie, negli ultimi anni, della ricostruzione pretoria della concessione balneare. Peraltro, a pochi giorni di distanza dal deposito della sentenza de qua, l’interpretazione fornita ha ricevuto un ulteriore consolidamento ad opera di un nuova decisione della Corte di giustizia (sentenza 11 luglio 2024[16], su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato), la quale – sebbene chiamata a pronunciarsi sul tema della devoluzione gratuita al demanio delle opere inamovibili edificate dal concessionario[17] – ha rimarcato alcune delle linee fondamentali del regime italiano dei beni pubblici, evidenziando come il carattere precario della concessione sia funzionale alla stessa inalienabilità del demanio: «il principio di inalienabilità implica segnatamente che il demanio pubblico resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili»[18].
Ancora – e questo si dimostra essenziale nel meglio comprendere il nesso fra il titolo amministrativo, l’attività economica prestata sul demanio e i connessi rischi imprenditoriali – la CGUE rileva che, in osservanza al summenzionato principio di inalienabilità, la regolazione normativa applicabile alle concessioni demaniali «fissa, senza alcun possibile equivoco, i termini dell’autorizzazione all’occupazione che viene concessa. Ne consegue che [l’operatore] non poteva ignorare, sin dalla conclusione del contratto di concessione, che l’autorizzazione all’occupazione demaniale che le era stata attribuita aveva carattere precario ed era revocabile».
Alla luce del secondo profilo d’interesse che si è delineato all’inizio del presente paragrafo, la Corte costituzionale, seppur succintamente, evoca, facendole proprie, la conclusioni cui sono pervenute la Corte di giustizia e l’Adunanza plenaria. Per quanto concerne la giurisprudenza dell’Unione europea, oggetto di richiamo è tanto la celeberrima pronuncia Promoimpresa del 2016[19] che, per prima, ha statuito la non conformità delle proroghe legali all’art. 12 della direttiva servizi, quanto la più recente sentenza del 20 aprile 2023[20], in ordine alla quale il giudice costituzionale italiano giunge ad affermare che essa «ha ricordato che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE impone agli Stati membri, in termini incondizionati e sufficientemente precisi, l’obbligo di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali e vieta di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività».
In merito, invece, alle due sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza plenaria, la Corte costituzionale ne accoglie l’elaborazione, senza, peraltro, menzionare la pronuncia delle Sezioni Unite[21] che – in sede di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione – ha cassato la pronuncia n. 18: il Giudice delle leggi pare, quindi, porsi nel filone interpretativo[22] che riconosce la bontà sostanziale del portato della Plenaria, indipendentemente dai vizi di rito rilevati dalla Cassazione. In questo senso, con la pronuncia qui in commento, la Corte costituzionale evoca i punti fondamentali delle due sentenze e, in particolare, osserva che: in primo luogo, è stato accertato il contrasto tra il modello delle proroghe legali e il diritto dell’Unione in materia di libertà di stabilimento e di non discriminazione degli operatori economi, con il conseguente obbligo di procedere alla disapplicazione della normativa nazionale; in secondo luogo, è stata dichiarata l’insussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto concessorio in capo all’operatore uscente.
Così ragionando, la Consulta si appropria sia delle risposte pregiudiziali, sia dell’elaborazione della Plenaria, al fine di ricostruire il portato sostanziale del parametro interposto – ossia dell’art. 12 della direttiva servizi – nell’intento di impiegarlo per sondare, in forza dell’art. 117, primo comma, Cost. la disposizione regionale impugnata. È proprio sull’obbligo del legislatore, statale e regionale, di uniformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione, che la Consulta procede al vaglio di compatibilità tra la normativa siciliana e la direttiva servizi.
3. (Segue) La declaratoria di incostituzionalità
È possibile così accedere al terzo dei profili che ci si era proposti di sondare all’inizio del paragrafo precedente, vale a dirsi quello concernente l’illegittimità costituzionale delle proroghe legali. A tal scopo, è doveroso osservare come la pronuncia in esame rappresenti in qualche modo un mutamento della giurisprudenza costituzionale, giacché la Consulta è messa nella condizione di entrare nel merito della suddetta costituzionalità o meno delle proroghe ope legis. Con quanto scritto si vuole sottolineare che, negli anni passati, è stato più volte invocato l’intervento della Corte nell’intento di sondare la conformità a Costituzione del meccanismo delle proroghe legali, statuite a livello regionale. Tuttavia, in quei casi il parametro richiamato o, in qualche maniera, prescelto dalla Corte – dichiarando assorbiti gli altri – è stato quello dell’art. 117, commi 2, 3 e 4, Cost., nella misura di appurare se la potestà legislativa regionale fosse sufficientemente estesa da ricomprendere la disciplina degli usi marittimi/lacuali. Di tal guisa, la Consulta è addivenuta, in numerose pronunce[23], alla conclusione che gli usi del demanio, ivi compresa la concessione del medesimo ad uso particolare, sia annoverabile nella materia “tutela della concorrenza” rimessa alla legislazione esclusiva dello Stato. Conseguenza dell’appena riportato iter argomentativo sono state le molteplici declaratorie di incostituzionalità di leggi regionali per violazione dell’art. 117, comma 2, Cost.
Per tal via, pur nel riconoscere tra le righe una certa valenza alle logiche proconcorrenziali[24], la Corte ha pressoché sempre assunto una posizione “formale”, edificata sul corretto riparto della potestà legislativa, di fatto evitando di entrare nel “merito” della legittimità costituzionale delle proroghe ex lege e, piuttosto, rimettendo alla legge dello Stato la disciplina della materia[25]. La circostanza è di tutta evidenza nella misura in cui la pronuncia in esame – “cambiando il registro” e adottando il parametro più “sostanziale” dei vincoli comunitari di cui al primo comma dell’art. 117 Cost. – non trova numerosi precedenti in materia cui ancorarsi. In effetti, una volta ricostruito, come prima si è avuto modo di vedere, il portato dell’art. 12 della direttiva servizi, i giudici costituzionali rinvengono solo due precedenti idonei ad essere impiegati per dichiarare fondata la questione promossa avverso la disposizione siciliana: di essi, uno risale alla sentenza n. 180 del 2010[26]; l’altro, di cui alla più recente sentenza n. 233 del 2020[27], concerne, invero, le acque minerali e termali e la Corte ne estende il principio di diritto alla materia delle concessioni balneari.
Con la prima delle sentenze menzionate la Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità di una normativa della Regione Emilia-Romagna concernente la regolazione del demanio marittimo e del mare territoriale, giungendo alla conclusione che siffatta regolazione «viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza. Infatti la norma regionale prevede un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, consentendo il rinnovo automatico della medesima. Detto automatismo determina una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza». Peraltro, anche in quel frangente, la Corte non esitò a rilevare uno sconfinamento del legislatore regionale in materie statali, nell’affermare che la «norma impugnata determina, dunque, un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, invadendo una competenza spettante allo Stato, violando il principio di parità di trattamento (detto anche “di non discriminazione”), che si ricava dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi».
Di converso, avendo riguardo alla più recente pronuncia del 2020, il Giudice delle leggi ha ricondotto lo sfruttamento delle acque termali, minerali e di sorgente all’art. 12 della direttiva servizi[28], nel costatare che «In applicazione dei principi del diritto europeo in materia, questa Corte ha ripetutamente affermato che il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo (da ultimo, sentenza n. 1 del 2019) e, per quanto qui di interesse, delle acque termominerali (sentenza n. 117 del 2015), viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, dal momento che altri possibili operatori non avrebbero la possibilità, alla scadenza della concessione, di concorrere per la gestione se non nel caso in cui il vecchio gestore non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti».
Invero, occorre osservare che il precedente di cui alla sentenza n. 1/2019[29] richiamato dalla appena riportata pronuncia n. 233/2020, non si riferiva all’art. 117, comma 1, Cost., ma si collocava tra le numerose pronunce di incostituzionalità poco sopra menzionate e basate sull’art. 117, comma 2, Cost. In quella sede, la Corte costituzionale – nel vagliare una proroga trentennale delle concessioni balneari varata dalla Regione Liguria – dichiarò, infatti, che «la questione relativa all’art. 2, comma 2, dell’impugnata legge regionale è fondata, in relazione al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., restando assorbito ogni altro profilo di censura. L’enunciata finalità di tutelare, relativamente alla Regione Liguria, l’affidamento e la certezza del diritto degli operatori locali, non vale ad escludere il vulnus arrecato dalla disposizione in esame alla competenza esclusiva dello Stato, in materia di tutela della concorrenza».
Ne deriva che la pronuncia cui è dedicato questo commento si presenta del tutto innovativa nel panorama della giurisprudenza costituzionale, giacché – se si esclude il parziale richiamo alla sentenza n. 180/2010 – si presenta come prima a prendere in considerazione l’incompatibilità sul piano costituzionale della normativa italiana con il portato dell’art. 12 della direttiva servizi, arrivando ad una declaratoria di incostituzionalità.
Infatti la Corte, una volta ricostruito (sulla scorta della giurisprudenza amministrativa e dell’Unione europea) il contenuto prescrittivo dell’art. 12 della direttiva servizi, impiega quest’ultimo articolo quale parametro interposto al fine di sondare la bontà delle proroghe legali dei titoli e, nel caso concreto, delle proroghe dei termini procedimentali per chiedere il rinnovo delle concessioni in essere.
Seguendo tale iter, la Consulta giunge a due statuizioni finali.
Dapprima, riconosce l’incostituzionalità delle proroghe automatiche delle concessioni del demanio marittimo, poiché costituenti normativa primaria adottata in violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., ossia in spregio all’art. 12 direttiva n. 2006/123/CE.
In secondo luogo, la Corte estende la declaratoria di incostituzionalità – basata sulla violazione del medesimo paramento interposto – anche alle disposizioni che di per sé non costituiscono proroga del titolo, ma, come poc’anzi scritto, proroga del termine per la presentazione dell’istanza di proroga del titolo. Non a caso e con ragionamento condivisibile, la pronuncia de qua osserva che anche la sola proroga del termine di proposizione dell’istanza «finisce con l’incidere sul regime di durata dei rapporti in corso, perpetuandone il mantenimento, e quindi rafforza, in contrasto con i principi del diritto UE sulla concorrenza, la barriera in entrata per nuovi operatori economici potenzialmente interessati alla utilizzazione, a fini imprenditoriali, delle aree del demanio marittimo»[30].
4. Osservazioni conclusive
La pronuncia che si è avuto modo di commentare nelle pagine precedenti appare meritevole di segnalazione sulla base di differenti prospettive.
Innanzitutto, essa consolida un approccio critico della Corte costituzionale nei confronti del regime di proroga ope legis e, se volgiamo, di “proroga della proroga” che il legislatore ha perpetuato, ormai, da oltre un decennio. Se, originariamente, il modello era giustificabile nell’intento di assicurare un congruo arco temporale al legislatore per addivenire ad una complessiva riforma del demanio marittimo e dei suoi usi, oggi, a fronte della costante inerzia normativa, lo stesso modello non può più trovare cittadinanza, tramutandosi in un’evidente incertezza regolatoria per le pubbliche amministrazioni, gli operatori e i consociati in generale.
Alla luce di un altro punto di vista, la pronuncia de qua appare apprezzabile per il fatto di costituire una cesura nella giurisprudenza costituzionale che, nella sostanza, aveva sempre impiegato il parametro dell’art. 117, comma 2, Cost., dichiarando incostituzionali leggi regionali di proroga per aver illegittimamente espropriato allo Stato la disciplina della concorrenza, rimessa appunto alla potestà legislativa esclusiva. L’aver, diversamente, riscontrato un vizio per violazione dei vincoli comunitari ex art. 117, comma 1, Cost., comporta una “sostanziale” incostituzionalità del modello delle proroghe legali, replicabile – parrebbe – in ogni disposizione normativa di egual tenore.
Ancora, proprio il riscontro di una incostituzionalità nel portato sostanziale della disposizione censurata pone le basi per un generalizzata incostituzionalità del regime delle proroghe legali delle concessioni balneari, che si estende, pertanto, anche alle regole statali di egual tenore.
Inoltre, la sentenza in commento contribuisce ad arricchire quel “diritto pretorio” delle concessioni balneari, formatosi nella vacanza del legislatore statale. Non solo le proroghe ex lege sono contrastanti con il diritto dell’Unione europea e, quindi, disapplicabili dal giudice nazionale e dalla pubblica amministrazione, come assodato dalla Corte di Giustizia e dalla Plenaria, ma le medesime sono, altresì, incostituzionali.
Da ultimo, è pregevole l’ulteriore approccio sostanziale che la Corte costituzionale ha impiegato nell’equiparare la proroga del titolo alla proroga del termine per presentare l’istanza di rinnovo: anche quest’ultima tipologia di disposizione, come correttamente osserva il Giudice delle leggi, comporta un dilatarsi del titolo in essere oltre la sua naturale scadenza, cristallizzando il mercato di riferimento.
[1] Legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2, recante “Legge di stabilità regionale 2023-2025”.
[2] Art. 1, comma 1, legge della Regione Siciliana 14 dicembre 2019, n. 24, recante “Estensione della validità delle concessioni demaniali marittime”.
[3] Art. 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, avente ad oggetto “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”: per un esame delle disposizioni menzionate, sia consentito il richiamo di M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia. Profili procedimentali e contenutistici delle concessioni balneari, Torino, 2020.
[4] La letteratura in materia assume dimensioni tali da non poterne dare compiutamente atto in questo commento. Oltre alle opere di volta in volta richiamate, sia sufficiente ricordare, Aa.Vv., La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, in Diritto e società, 2021, numero speciale, 3, nonché V. Caputi Jambrenghi, Appunti sullo stato delle concessioni marittime, in Liber amicorum per Vittorio Domenichelli, Bari, 2018, p. 130 ss.
[5] Legge 5 agosto 2022, n. 118, recante “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”.
[6] Legge regionale siciliana 21 luglio 2021, n. 17, a sua volta modificata dalla successiva legge regionale 3 agosto 2021, n. 22.
[7] Sentenza in commento, punto 1.1. del ritenuto in fatto.
[8] Direttiva n. 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, nota anche come “Direttiva Bolkestein”.
[9] Cons. di Stato, Ad. Plen., 9 novembre 2021, n, 17 e 18, in questa Rivista, E. Zampetti, Le concessioni balneari dopo le pronunce Ad. Plen. 17 e 18 2021. Definito il giudizio di rinvio innanzi al C.G.A.R.S. (nota a Cgars, 24 gennaio 2022 n. 116), 2022.
[10] CGUE 20 aprile 2023, causa C-348/22, in questa Rivista, annotata da A. Persico, Concessioni balneari: interviene la Corte di giustizia, a conferma della posizione dell’Adunanza Plenaria. (Nota a Corte di giustizia, Sez. III, sentenza 20 aprile 2023, in causa C-348/22), 2023. Per un’analisi del rinvio pregiudiziale, cfr. M. Timo, Le proroghe ex lege delle concessioni “balneari” alla Corte di Giustizia: andata e ritorno di un istituto controverso (nota a T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, ordinanza 11 maggio 2022, n. 743), ivi, 2022. In merito alle ulteriori pronunce del TAR Puglia, Sede di Lecce, si rinvia all’ampia analisi di G. Mari, Demanio costiero e uso generale: la “scarsità della risorsa naturale” (nota a TAR Puglia, Lecce, nn. 1223 e 1224 del 2023), ivi, 2023.
[11] Nel prosieguo si avrà modo di menzionare la giurisprudenza della Corte costituzionale che, in anni recenti, ha dichiarato l’incostituzionalità di disposizioni normative regionali di proroga delle concessioni demaniali per l’aver le medesime esorbitato le potestà legislative riconosciute alle Regioni, ledendo la riserva statale di cui all’art. 117, comma 2, Cost.
[12] Punto 2.1. del considerato in diritto.
[13] D’altronde, è la legge stessa che detta le attività economiche esercitabili sulle aree concesse: cfr. art. 01 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito in L. 4 dicembre 1993, n. 494.
[14] M. Timo, op. cit., p. 42 e p. 171.
[15] Cfr. sul punto già Cons. di Stato, Sez. V, 2 marzo 2018, n. 1296, in Dir. mar., 2019, 1, p. 119 ss., con nota di M. Timo, Il Consiglio di Stato riqualifica una “auto-concessione” quale uso generale del demanio marittimo, ha statuito che «la destinazione alla collettività tramite la gestione diretta del bene demaniale marittimo è la regola e la concessione è di conseguenza l’uso speciale o eccezionale». Con maggior precisione, illustre dottrina ha precisato che «l’uso comune, l’uso speciale, e l’uso eccezionale, consistenti il primo in quello – conforme alla destinazione primaria del bene – cui siano ammessi tutti indifferenziatamente, senza bisogno di un particolare atto amministrativo; il secondo in quello – anch’es so conforme alla destinazione primaria del bene – pel cui esercizio sia richiesto un particolare atto permissivo […]; il terzo in quello – non conforme alla destinazione primaria del bene – che sia reso possibile dalla sottrazione (per lo più parziale), mediante atto di concessione, del bene all’uso comune (o a quello dell’amministrazione), onde metterlo a disposizione di soggetti particolari (per esempio, concessioni di acqua a fini di irrigazione, alimentazione, ecc.; concessioni di aree cemeteriali per edificarvi tombe, ecc.)» (A.M. Sandulli, Beni pubblici, in Enc. dir., 1959, p. 277 ss.).
In ordine all’uso comune è stato, perlato, osservato che i «compiti che l’ordinamento assegna all’ente proprietario di bene pubblico aperto all’uso comune, infatti, implicano la sua “amministrazione”; si tratta di compiti immanenti di amministrazione, di difesa della sua integrità fisica, della sua apertura alla fruizione generale sostanzialmente libera, paritaria e gratuita; in particolari – ma frequenti – situazioni essi si configurano come vere e proprie obbligazioni»: così, V. Caputi Jambrenghi, L’interesse pubblico nelle concessioni demaniali marittime, in D. Granara (a cura di), In litore maris. Poteri e diritti in fronte al mare, Torino, 2019, p. 70.
[16] CGUE, 11 luglio 2024, causa C-598/22, disponibile in eur-lex.europa.eu.
[17] Prevista dall’art. 49 del codice della navigazione. Peraltro, la Corte di giustizia è pervenuta alla conclusione che «L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che: esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione».
[18] CGUE, 598/2024, punto 54. Su questa tematica, si veda già il contributo di M. Calabrò, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo e acquisizione al patrimonio dello stato delle opere non amovibili: una riforma necessaria, in Diritto e società, 2021, 3, pp. 441 ss.
[19] CGUE, 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67-15, disponibile in eur-lex.europa.eu, e annotata ex multis da G. Bellitti, La direttiva Bolkestein e le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, in Giorn. dir. amm., 2017, 1, p. 60 ss., e da L. Di Giovanni, Le concessioni demaniali marittime e il divieto di proroga ex lege, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 3-4, p. 912 ss.
[20] CGUE, C-348/22, cit.
[21] Cass., S.U. 23 novembre 2023, n. 32559, in Foro it., 2024, I, 181, con annotazione di A. Travi.
[22] Ex multis, Cons. di Stato, Sez. VII, 20 maggio 2024, n. 4479, e Cons. di Stato, Sez. VII, 20 maggio 2024, nn. 4480 e 4481, tutte reperibili in www.giustizia-amministrativa.it.
[23] Corte Cost., 7 luglio 2017, n. 157, in www.cortecostituzionale.it, con nota di richiami in Foro it., 2017, 10, I, p. 2923; Corte Cost., 7 giugno 2018, n. 118, in www.cortecostituzionale.it, con nota di richiami in Foro it., 2018, 7-8, I, p. 2218; Corte cost., 9 gennaio 2019, n. 1, in www.cortecostituzionale.it, connota di richiami in Foro it., 2018, 7-8, I, p. 2218. In dottrina, L. Longhi, Concessioni demaniali marittime e utilità sociale della valorizzazione del patrimonio costiero, in Rivista della Corte dei conti, 2019, 1, p. 184 ss., e A. Lucarelli, Il nodo delle concessioni demaniali marittime tra non attuazione della Bolkestein, regola della concorrenza ed insorgere della nuova categoria “giuridica” dei beni comuni, in www.dirittifondamentali.it, n. 1/2019.
[24] Invero, già in precedenza la Corte costituzionale aveva sottolineato la necessità di rispettare la normativa unionale a presidio della concorrenza. Nel senso accennato 23 luglio 2020, n. 161, in www.cortecostituzionale.it, la quale, per un verso, afferma che nel «consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 86 del 2019, n. 118 del 2018, n. 157 del 2017), la disciplina concernente il rilascio di concessioni su beni demaniali marittimi investe diversi ambiti materiali, attribuiti alla competenza sia statale, sia regionale» e, per un altro verso, sostiene che «questa Corte ha poi costantemente affermato che i criteri e le modalità di affidamento delle concessioni sui beni del demanio marittimo devono, comunque, essere stabiliti nel rispetto dei princìpi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento previsti dalla normativa dell’Unione Europea e nazionale, e corrispondenti ad ambiti riservati alla competenza esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (sentenze n. 118 e n. 109 del 2018, n. 157 e n. 40 del 2017, n. 171 del 2013 e n. 213 del 2011); in siffatta competenza esclusiva, le pur concorrenti competenze regionali trovano così “un limite insuperabile” (fra le altre, sentenza n. 109 del 2018)» .
[25] Chi scrive ha analizzato quella giurisprudenza della Corte costituzionale formatasi essenzialmente negli anni ’10 di questo secolo, aveva osservando come essa si fosse essenzialmente concentrata sulla violazione dell’art. 117, comma 2, Cost.: M. Timo, Funzioni amministrative e attività private di gestione della spiaggia, cit., pp. 159 ss.
[26] Corte cost., 20 maggio 2010, n. 180, in www.cortecostituzionale.it, annotata, ex multis, da M. Esposito, La triade schmittiana à rebours, in Giur. Cost., 2010, 3, 2167 ss.
[27] Corte cost., 9 novembre 2020, n. 233, in www.cortecostituzionale.it.
[28] Del quale, nella sentenza n. 233/2020 in parola, afferma che: «Al fine di garantire la libera circolazione dei servizi e l’apertura del mercato a una concorrenza non falsata e più ampia possibile negli Stati membri, l’art. 12 della direttiva da ultimo richiamata prevede l’obbligo per gli stessi di adottare “una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento” e il conseguente rilascio di un’“autorizzazione” per una durata adeguata, ma pur sempre limitata, senza possibilità di “prevedere la procedura di rinnovo automatico”, né di “accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”».
[29] Corte cost. n. 1/2019, cit., annotata da P. Vipiana, Le concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo fra leggi statali leggi regionali, in Il diritto marittimo, 2020, 2, 439.
[30] Pronuncia in rassegna, punto 2.4.2. del Considerato in diritto.