L’inarrestabile ascesa delle influenze illecite.
Commento alla sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione del 29 febbraio 2024, n. 19357 - Presidente dott.ssa Margherita CASSANO, Estensore Cons. dott. Ercole APRILE.
di Giuseppe Nicola De Nozza
Sommario 1. Introduzione - 2. L’attuazione degli obblighi internazionali assunti dall’Italia in seno alle Convenzioni di Mérida e di Strasburgo - 3. La sorte del millantato credito dopo la riformulazione dell’art. 346 bis del c.p. e la contestuale abrogazione dell’art. 346 del c.p. - 3.1. L’orientamento favorevole alla continuità normativa tra il reato di millantato credito e quello di traffico d’influenze - 3.2. L’orientamento contrario alla continuità normativa tra il reato di millantato credito previsto dal comma secondo dell’art. 346 del c.p. e quello di traffico d’influenze - 4. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite - 5. Le motivazioni delle Sezioni Unite “Mazzarella”- 6. Il traffico d’influenze nella Legge “Nordio” - 7. Lo “stato dell’arte” dopo le Sezioni Unite “Mazzarella” e la Legge “Nordio” – la nuova prospettiva europea.
1. Introduzione
La sentenza in commento[1] scioglie uno dei numerosi nodi interpretativi che hanno caratterizzato nell’ultimo quinquennio la vigenza del reato di traffico d’influenze illecite[2], il nodo relativo, cioè, al se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346[3] del Codice penale, abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), della Legge 9 gennaio 2019, n. 3[4], e quello di traffico d’influenze così come riformulato dall’art. 1, comma 1, lett. t), della medesima legge.
Introdotto nel sistema penale dall’art. 1, comma 75, lett. r)[5], della Legge 6 novembre 2012, n. 190[6], il reato di traffico d’influenze è stato oggetto di un primo intervento di restyling ad opera della Legge n. 3 del 2019[7] e, da ultimo, di un secondo intervento riformatore parimenti incisivo ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. e)[8], della Legge 9 agosto 2024, n. 114[9].
Ad esser investite dal raggio d’azione delle due riforme sono state, in poco più di cinque anni, la tipicità del fatto, la cornice edittale e, da ultimo, l’elemento soggettivo del reato, con l’inevitabile conseguenza che tale incedere frenetico del legislatore ha finito per generare nodi interpretativi che non sempre sono stati sciolti dalla giurisprudenza di legittimità in modo uniforme.
Nella configurazione originaria, il reato di traffico, infatti, tipizzava solo lo sfruttamento delle relazioni esistenti con il decisore pubblico; con l’entrata in vigore della Legge n. 3 del 2019, anche lo sfruttamento di quelle asserite, per poi tornare allo sfruttamento solo di quelle esistenti con la legge n. 114 del 2024[10].
Sempre nella configurazione originaria, il reato era stato costruito quale delitto a dolo generico, costruzione ribadita dal legislatore del 2019 e, invece, ribaltata da quello del 2024, che ha ristretto la classe dei fatti tipici ai sensi dell’art. 346 bis del c.p. (anche) mediante la previsione del dolo eventuale “rafforzato”.
All’originaria cornice edittale della reclusione da uno a tre anni è subentrata nel 2019 quella più severa della reclusione da uno a quattro anni e sei mesi e, poi, nel 2024, quella ancor più severa della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi.
Nei trascorsi dodici anni, l’attenzione del legislatore è parsa letteralmente monopolizzata dal profilo sostanziale della fattispecie, mentre è stato lasciato in disparte il profilo investigativo e quello processuale.
Nella relazione d’accompagnamento al disegno di legge n. 1189, che ha innescato l’iter legislativo conclusosi con l’approvazione della Legge n. 3 del 2019, si è testualmente scritto[11] che: “Vi è la consapevolezza che l’effettività di un’incriminazione dipende non solo dalla formulazione delle fattispecie incriminatrici e dall’entità della pena edittale, ma anche dagli strumenti d’indagine e dai poteri d’accertamento che l’ordinamento mette a disposizione degli organi inquirenti e dell’autorità giudiziaria per perseguire efficacemente i reati”.
Nonostante la più che condivisibile dichiarazione d’intenti, ad essa non hanno, però, fatto seguito azioni riformatrici coerenti, perché la cornice edittale selezionata per il traffico d’influenze (punito, nella versione vigente, con la pena della reclusione fissata nel massimo in quattro anni e sei mesi e nella configurazione originaria con quella di tre anni) non ha consentito di fare ricorso allo strumento dell’intercettazione telefonica, ambientale e telematica, il cui impiego è stato ed è tutt’ora inibito dall’art. 266, comma 1, lett. b), del c.p.p., che autorizza il ricorso a tale strumento, in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, solo in relazione a quelli per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4 del medesimo Codice.
La scelta del legislatore si è mostrata ancor più originale sol che si tenga conto che il sistema processuale vigente consente il ricorso allo strumento dell’intercettazione per conclamare la prova dell’abusiva occupazione da parte di una famiglia molto numerosa di un immobile di proprietà pubblica o privata nonché per conclamare la prova del disturbo provocato dalle telefonate insistenti, ripetute, a qualsiasi ora del giorno e della notte, degli operatori commerciali, che fanno a gara per proporre l’acquisto di beni e di servizi di qualsivoglia natura[12].
Originalità che ha uniformemente caratterizzato sia l’agire del legislatore “Severino” sia di quello “Bonafede” che, infine, di quello “Nordio”.
A rendere ulteriormente “ineffettiva” la fattispecie ha poi concorso la non applicabilità ad essa della causa di non punibilità - introdotta proprio dalla Legge n. 3 del 2019 – oggi prevista dall’art. 323 ter[13]del c.p. per l’autore del delitto contro la pubblica amministrazione che ne faccia denuncia volontaria, tempestiva e fattiva nonchè la non applicabilità a tale fattispecie anche della circostanza attenuante prevista dal secondo comma dell’art. 323 bis del c.p., che, in cambio (non della non punibilità ma) di un “robusto” abbattimento della pena sino ai due terzi, agisce quale spinta all’emersione del delitto contro la pubblica amministrazione anche oltre il termine dei quattro mesi dalla commissione del fatto previsto dall’art. 323 ter del c.p.
La non applicabilità al delitto di traffico d’influenze dei due istituti ha agito da controspinta severa all’emersione di fatti penalmente rilevanti in relazione ad una fattispecie costruita come “reato contratto”, cioè come accordo illecito a prestazioni corrispettive in relazione al quale l’incriminazione è prevista per ciascuna parte dell’accordo e per di più con la medesima pena e in relazione al quale, quindi, non vi è interesse di nessuna di esse a denunciarne l’esistenza.
Causa di non punibilità e circostanza attenuante, invece, estese al traffico d’influenze rispettivamente dall’art. 1, comma 1, lett. d) e c), della Legge n. 114 del 2024, che, inasprendo il minimo edittale ma non anche il massimo, ha ribadito la non utilizzabilità dell’intercettazione per portare ad emersione i fatti tipici ai sensi dell’art. 346 bis del c.p.
Estensione che, però, come si argomenta nel prosieguo, non ridimensiona il risultato dell’ultima novella in ordine di tempo, che è stato quello di restringere a dismisura l’ambito della fattispecie, consegnandola, probabilmente, al definitivo isolamento applicativo.
È pur vero che la Legge 9 gennaio 2019, n. 3, ha esteso, per il tramite dell’art. 1, comma 8, anche al delitto previsto dall’art. 346 bis il ricorso alle “operazioni sotto copertura”, ma è parimenti vero che il bilancio dell’applicazione ai White collar crime di tale tecnica d’investigazione è, ad oggi, tutt’altro che confortante[14].
Potrebbe, quindi, apparire anomalo il fatto che sia stata oggetto di plurime azioni riformatrici una fattispecie scritta con penne che avevano finito l’inchiostro, ma anomalo non lo è sol che si tenga conto che tale fattispecie, al pari di quella di abuso in atti d’ufficio, è stata ed è utilizzata quale bandiera ideologica ora per criminalizzare, ora per decriminalizzare, a seconda del colore politico della maggioranza di volta in volta uscita vincitrice dalle urne.
Come si è accennato, uno dei nodi interpretativi generati dalla riforma del 2019 è stato quello relativo al rapporto tra il reato di millantato credito previsto dall’art. 346 del c.p. e quello di traffico d’influenze previsto dall’art. 346 bis del medesimo Codice.
L’art. 1, comma 1, lett. s), della Legge n. 3 del 2019 ha, infatti, abrogato il reato di millantato credito.
Nell’intenzione del legislatore del 2019 i fatti di millantato credito avrebbero, però, dovuto continuare a mantenere rilevanza penale (nonostante l’abrogazione della fattispecie di riferimento) in ragione della riformulazione dell’elemento oggettivo del reato di traffico d’influenze, riformulazione programmata dalla lettera t) del comma 1 dell’art. 1 della Legge n. 3 del 2019, con la quale si conferiva tipicità allo sfruttamento non solo delle relazioni esistenti ma anche di quelle asserite e, quindi, almeno nelle intenzioni di quel legislatore, anche di quelle millantate.
Plurime le ragioni che hanno sostenuto la riformulazione del traffico d’influenze e la contestuale abrogazione del millantato credito, tra le quali la necessità di dare attuazione agli obblighi internazionali assunti dall’Italia in questa materia.
2. L’attuazione degli obblighi internazionali in seno alle Convenzioni di Mérida e di Strasburgo.
Le ragioni della scelta abrogativa – ma non abolitiva della rilevanza penale dei fatti di millantato credito – sono state diffusamente illustrate nella relazione d’accompagnamento al disegno di Legge n. 1189 e sono state indicate, la prima, nella necessità di completare il processo di adeguamento della normativa nazionale agli impegni assunti dal nostro Paese in ambito internazionale[15], la seconda in quella di risolvere “una serie di problemi interpretativi e di coordinamento non facilmente risolvibili, sui quali la stessa giurisprudenza di legittimità ha fornito risposte disomogenee e che, comunque, rendono scivolosi e opinabili i confini tra le due fattispecie e difficile la prova del delitto in giudizio[16]”.
Non è arduo comprendere a cosa facesse riferimento la relazione con la prima delle ragioni enunciate, più difficile, invece, è comprendere a cosa volesse far riferimento con la seconda di esse, perché i problemi interpretativi e di coordinamento non sono stati nella relazione più dettagliatamente enunciati.
Il riferimento era alla Convenzione penale sulla corruzione firmata, in seno al Consiglio d’Europa, a Strasburgo il 27 gennaio del 1999[17] e a quella firmata in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite, adottata dall’Assemblea Generale il 31 ottobre del 2003 con la risoluzione n. 58/4[18].
Si tratta delle più importanti fonti normative sovranazionali in tema di contrasto alla corruzione, fonti che hanno tracciato il perimetro all’interno del quale sono andate a maturazione le riforme degli ultimi dodici anni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione.
Le due convenzioni hanno, tra i temi oggetto di pattuizione, anche il delitto di traffico d’influenze illecite.
L’art. 12 della Convenzione di Strasburgo, rubricato “traffico d’influenza”, prevede che: “ciascuna parte adotta le necessarie misure legislative e di altra natura affinché i seguenti fatti, quando sono commessi intenzionalmente, siano definiti reati penali secondo il proprio diritto interno: il fatto di promettere, offrire o procurare, direttamente o indirettamente, qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di remunerazione a chiunque afferma o conferma di essere in grado di esercitare un’influenza sulla decisione di una persona di cui agli articoli 2, 4 – 6 e 9 – 11, così come il fatto di sollecitare, ricevere o accettarne l’offerta o la promessa a titolo di remunerazione per siffatta influenza, indipendentemente dal fatto che l’influenza sia o meno effettivamente esercitata oppure che la supposta influenza sortisca l’effetto ricercato”.
L’art. 18 della Convenzione di Mérida, rubricato invece “millantato credito”, prevede che: “ciascuno Stato Parte esamina l’adozione di misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quanto tali atti sono stati commessi intenzionalmente:
a) Al fatto di promettere, offrire o concedere ad un pubblico ufficiale o ad ogni altra persona, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio affinché detto ufficiale o detta persona abusi della sua influenza reale o supposta al fine di ottenere da un’amministrazione o da un’autorità pubblica dello Stato Parte un indebito vantaggio per l’istigatore inziale di tale atto o per ogni altra persona;
b) Al fatto, per un pubblico ufficiale o per ogni altra persona, di sollecitare o di accettare, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona al fine di abusare della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito vantaggio da un’amministrazione o da un’autorità pubblica dello stato Parte”.
La matrice del delitto è, quindi, chiaramente e inequivocabilmente sovranazionale.
Il delitto di traffico è stato introdotto, quindi, nell’ordinamento giuridico nazionale in attuazione di precisi obblighi internazionali assunti dal nostro Paese in seno al Consiglio d’Europa nel 1999 e all’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2003.
Il ricorso in entrambe le Convenzioni all’indicativo presente (nell’art. 12 di quella di Strasburgo si è scritto “Ciascuna Parte adotta le necessarie misure legislative…” mentre, nell’art. 18 di quella di Mérida, “Ciascuno Stato Parte esamina l’adozione”) - e non all’indicativo presente preceduto dal verbo servile “può” – indurrebbe ragionevolmente a ritenere che gli Stati firmatari abbiano assunto precisi obblighi internazionali da attuare nei rispettivi ordinamenti nazionali.
L’attuazione di tale obbligo da parte dell’Italia ha avuto luogo con sensibile ritardo, perché il delitto di cui all’art. 346 bis del c.p. ha esordito il 28 novembre 2012 e, cioè, quando è entrata in vigore la Legge 6 novembre 2012, n. 190.
Prima del 28 novembre 2012, la vendita dell’influenza esistente era condotta non penalmente rilevante, mentre lo era, ai sensi dell’art. 346 del c.p., quella dell’influenza millantata.
Nel 2012, quindi, il legislatore nazionale ha affiancato all’art. 346 del c.p., che tipizzava la vendita della relazione d’influenza inesistente, l’art. 346 bis che puniva, invece, la vendita della relazione d’influenza esistente.
Pare utile evidenziare, però, che, allorquando il legislatore del 2012 è intervenuto con la Legge n. 190, introducendo il delitto di traffico d’influenze illecite ma mantenendo in vigore quello di millantato credito, sia la Convenzione di Mérida che quella di Strasburgo erano già state fatte oggetto di ratifica e di esecuzione da parte dell’Italia, quella di Mérida addirittura più di tre anni prima.
Il Legislatore del 2012, quindi, non aveva interpretato né l’art. 12 della Convenzione di Strasburgo né l’art. 18 di quella di Mérida nel senso che l’uno o l’altro imponessero all’Italia né di abrogare il delitto di millantato credito né di costruire una nuova macro fattispecie di reato che prevedesse una sorta di “casa comune” per lo sfruttamento delle relazioni esistenti e di quelle millantate.
Il crinale costituito dall’esistenza o meno della relazione oggetto di sfruttamento avrebbe potuto costituire un valido strumento in chiave interpretativa per ricondurre a sistema il tema delle relazioni con il decisore pubblico “messe a reddito”.
Tale crinale avrebbe potuto, però, svolgere tale funzione di orientamento ermeneutico se solo si fosse aspettato il tempo necessario perché si consolidasse, ma quel tempo non si è aspettato perché si è deciso di intervenire sul sistema stravolgendolo, per di più dopo solo sei anni.
La prima attuazione di tali obblighi internazionali era apparsa, infatti, ai più un prodotto legislativo ampiamente migliorabile.
La vendita dell’influenza esistente su un decisore pubblico veniva, infatti, punita meno gravemente[19] della vendita di quella millantata, seppur la prima si prospettasse proporzionalmente più grave per il numero e la rilevanza degli interessi in gioco, così come appariva meritevole di un intervento di riforma il fatto che andasse esente da pena l’acquirente dell’influenza millantata, cioè il c.d. “compratore del fumo”, perché costui aveva acquistato del fumo, ma, nel momento in cui si era rivolto al trafficante, aveva intenzione di acquistare anche altro.
È su questo terreno, quindi, che è stato piantato il seme di una rinnovata attuazione degli obblighi internazionali, che si è poi materializzata con la Legge 9 gennaio 2019, n. 3, che, quindi, per rimediare all’esclusione dall’ambito del penalmente rilevante della condotta di chi offriva o prometteva un vantaggio al millantatore d’influenza e, più in generale, per conformare fedelmente la normativa interna a quella sovranazionale, ha apportato una radicale modifica in senso ampliativo della fattispecie incriminatrice del traffico d’influenze, con riassorbimento in essa delle condotte di millantato credito, e con contestuale abrogazione, quindi, dell’art. 346 del c.p.
A seguito della novella del 2019, il delitto di traffico ha subito, quindi, una profonda rivisitazione, in chiave ampliativa, della proiezione incriminatrice.
Almeno nell’intenzione del legislatore del 2019 avrebbe dovuto assorbire le condotte in precedenza penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 346 del c.p., dando luogo a quello che autorevole dottrina[20] ha descritto come un fenomeno di “abrogatio sine abolitione”; all’elemento costitutivo del vantaggio patrimoniale è subentrata l’utilità, indebita anche se sprovvista di un contenuto patrimoniale; ha esordito il traffico d’influenze c.d. internazionale e, cioè, quello relativo ad un pubblico ufficiale straniero o ad altro soggetto menzionato nell’art. 322 bis del c.p.; ha esordito, infine, la rilevanza penale della dazione o della promessa funzionale anche solo a remunerare l’esercizio delle funzioni o del potere, con riallocazione nel comparto delle circostanze aggravanti della remunerazione corrisposta in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio o alla sua omissione o al suo ritardo.
A seguito della novella del 2019, è stata costruita, soprattutto, una sorta di “casa comune” per due mondi tra loro per nulla omogenei, anche perché portatori di una capacità d’offesa decisamente molto diversa al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione.
La costruzione di una casa comune per due mondi così diversi era davvero imposta dagli obblighi internazionali?
In altri termini, tali obblighi davvero imponevano allo Stato italiano di superare il sistema costruito dalla Legge n. 190 del 2012 e, quindi, di introdurre un trattamento uniforme per due classi di fatti molto diversi tra di loro, quella, cioè, dei truffatori che traggono in inganno il privato vantando una relazione inesistente con il decisore pubblico e quella, invece, di coloro che sfruttano una relazione esistente mettendola a reddito?
S’impone, ovviamente, il ritorno alla formulazione degli artt. 12 della Convenzione di Strasburgo e 18 di quella di Mérida.
La prima in ordine di tempo ad essere stata oggetto di ratifica e di esecuzione è stata la Convenzione di Mérida, che ha svolto un ruolo primario nell’innescare la novella del 2019, come inequivocabilmente confermato, ancora una volta, dalla relazione d’accompagnamento al disegno di legge n. 1189[21].
L’art. 18 impegna gli Stati firmatari a conferire il carattere d’illecito penale sia (alla lettera a) alla condotta di colui il quale chiede ad un determinato soggetto, privato o pubblico agente, di attivare, in cambio di un indebito vantaggio, l’influenza di cui è titolare nei confronti di un decisore pubblico sia (alla lettera b) a quella di colui, privato o pubblico agente, che agisca da mediatore.
Nel testo dell’art. 18 non compare, a differenza di quello dell’art. 346 bis del c.p., il sintagma “relazione” ma solo quello “influenza”, mentre la dicotomia “influenza reale o supposta” contenuta nel testo dell’art. 18 ha lasciato il passo alle “relazioni esistenti” nella Legge n. 190 del 2012, poi alla dicotomia “relazioni esistenti o asserite” nella n. 3 del 2019 e, infine, di nuovo alle relazioni “esistenti” nella Legge n. 114 del 2024.
Le due opzioni lessicali parrebbero non completamente sovrapponibili tra di loro perché non tutte le relazioni si caratterizzano sempre e comunque per la capacità del soggetto richiesto di mediare d’influenzare il decisore pubblico, ben potendosi immaginare nel concreto anche relazioni che si svolgono al netto di una reale capacità di influenza del primo sul secondo.
Parrebbe, quindi, che le relazioni che rientrano nel raggio d’azione dell’art. 18 siano solo quelle nelle quali il soggetto chiamato a mediare abbia una reale capacità d’influenza sul decisore pubblico o ne abbia una solo “supposta”, quindi un’influenza che supponga di avere al momento della stipula del patto di mediazione e che, viceversa, alla prova degli eventi successivi, si dimostri insuscettibile di venire ad esistenza.
Nel vocabolario Treccani al termine “supporre” sono assegnati, in modo equivalente, i significati di ammettere per congettura, presumere, immaginare che una cosa sia o possa verificarsi in un determinato modo, significati che parrebbero avere in comune il fatto, ove riferiti all’influenza, che il mediatore ritenga, evidentemente sopravvalutandosi ma non agendo né in mal fede né con riserva mentale, di essere comunque in grado di erogare al privato la prestazione di mediazione richiesta, perché in concreto in grado di attivare l’influenza sul decisore pubblico.
Ove condivisa tale opzione ermeneutica, parrebbe che lo sfruttamento economico della relazione millantata non fosse destinato a rientrare nel raggio d’azione dell’art. 18 della Convenzione di Mérida.
E, del resto, quest’ultima è nata in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite come strumento di contrasto alla corruzione dilagante anche su scala internazionale, fenomeno per prevenire e reprimere il quale nulla avrebbe aggiunto anche il contrasto ai fatti di millantato credito, che si caratterizzano per un disvalore che nulla ha a che fare con la corruzione, neanche con la prevenzione di essa, perché il mediatore è in radice privo della concreta possibilità d’influenzare un decisore pubblico, perché è in radice inibita la possibilità che tra i due s’instauri una relazione.
Vi è, però, un dato testuale che merita di essere evidenziato e, cioè, quello che rimanda alla rubrica dell’art. 18, intitolato proprio “millantato credito”, dato che, però, proprio perché contenuto nella rubrica, non parrebbe avere la forza di stravolgere il significato della norma convenzionale, che ha utilizzato il sintagma relazione “supposta” e che, quindi, parrebbe far riferimento a condotte che non nascono, sin dall’origine, con una vocazione fraudolenta.
L’art. 12 della Convenzione di Strasburgo impegna gli Stati firmatari a conferire il carattere d’illecito penale al fatto di promettere, offrire o procurare, direttamente o indirettamente, qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di remunerazione a chiunque afferma o conferma di essere in grado di esercitare un’influenza sulla decisione di una persona di cui agli articoli 2, 4 – 6 e 9 – 11, così come il fatto di sollecitare, ricevere o accettare l’offerta o la promessa a titolo di remunerazione per siffatta influenza, indipendentemente dal fatto che l’influenza sia o meno effettivamente esercitata oppure che la supposta influenza sortisca l’effetto ricercato.
Anche nel testo dell’art. 12 non compare il sintagma “relazione” ma solo quello “influenza”, destinata ad assumere rilevanza penale, anche in questo caso, anche ove solo “supposta”.
Ove condivisa tale opzione ermeneutica, parrebbe che lo sfruttamento economico della relazione millantata non fosse destinato ad entrare neanche nel raggio d’azione dell’art. 12 della Convenzione di Strasburgo.
Nella premessa della relazione d’accompagnamento al disegno di legge n. 1189 è scritto[22] che ad innescare il percorso di riforma avevano agito con pari forza “anche alcune raccomandazioni provenienti, in sede sovranazionale, dal gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) e dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), per completare l’opportuno percorso di adeguamento della normativa interna a quella convenzionale, nella prospettiva dell’assunzione di un ruolo preminente dell’Italia all’interno del GRECO nell’azione di contrasto al fenomeno corruttivo”.
Il riferimento alle raccomandazioni del GRECO si è riempito di contenuto nel prosieguo della relazione, in specie nel paragrafo 3[23], ove si è specificato, per quanto qui d’interesse, che una di quelle raccomandazioni, la quinta, nello specifico quella che richiedeva all’Italia d’includere nell’ambito del penalmente rilevante anche la condotta di chi avesse offerto o promesso il vantaggio al millantatore d’influenza, fosse rimasta attuata solo in parte (perché fatta oggetto di riserva apposta all’atto del deposito dello strumento di ratifica, riserva ribadita nel 2017) e che, quindi, fosse intenzione del legislatore di superare tale riserva e di dare attuazione alla raccomandazione.
Ad essere chiamato in causa è stato, più nello specifico, l’addendum al secondo rapporto di conformità sull’Italia del GRECO, in specie quella parte di esso nella quale il GRECO ha formulato la raccomandazione V, articolandola nei paragrafi 29, 30, 31 e 32[24].
Anche in questo caso la lettura del testo della raccomandazione V non parrebbe indiziare il fatto che gli obblighi internazionali assunti in seno alla Convenzione di Strasburgo imponessero all’Italia la creazione di una “casa comune” per due classi di fatti molto diversi tra di loro.
Anzi, nel paragrafo 30, la Raccomandazione ha tenuto ben distinte le due classi, limitandosi solo ad evidenziare che la normativa nazionale non fosse ancora pienamente conforme all’art. 12 della Convenzione perché, in caso d’influenza millantata, l’art. 346 del c.p. continuava a non contemplare la rilevanza penale del lato attivo dell’accordo viziato dall’inganno del presunto mediatore, cioè la rilevanza penale della condotta di chi offriva o prometteva il vantaggio al presunto mediatore.
Parrebbe, quindi, legittimo potersi sostenere che la piena attuazione degli obblighi internazionali assunti dall’Italia in seno alle due Convenzioni non imponesse al legislatore del 2019 la riscrittura del reato di traffico d’influenze illecite ma, al più, di quello di millantato credito, con l’estensione della punibilità anche al lato attivo dell’accordo.
Di certo il legislatore del 2019 non avrebbe, però, potuto sottrarsi alla necessità di rimodulare il quadro sanzionatorio delle due fattispecie di reato, essendo del tutto evidente che la carica di offensività che si accompagna allo sfruttamento economico di una relazione esistente - o che si pensa di essere in grado di attivare - sia decisamente di gran lunga superiore a quella che, invece, caratterizza la vanteria della relazione millantata, soprattutto se ci si pone nella prospettiva del danno al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione.
Il mantenimento nel sistema penale di entrambe le fattispecie avrebbe, quindi, imposto di rimodulare il quadro sanzionatorio selezionato per il traffico d’influenze, inasprendolo, anche solo di poco, oltre la pena della reclusione nel massimo di sei anni prevista dalla formulazione ormai abrogata del comma secondo dell’art. 346 del c.p., che tipizzava i fatti più gravi di millantato credito.
Inasprimento, però, che avrebbe avuto quale effetto, oltre che quello di conferire coerenza e ragionevolezza al trattamento sanzionatorio delle due diverse classi di fatti, anche quello di consentire il ricorso allo strumento dell’intercettazione per portare ad emersione, oltre che i fatti di millantato credito, anche quelli decisamente più gravi di sfruttamento delle relazioni esistenti.
La scelta fatta dal legislatore del 2019, invece, si è proiettata in una direzione decisamente diversa, quella, come si è più volte scritto, di creare una “casa comune” ma con non troppi piani, come confermato, del resto, dalla selezione nel massimo della misura della pena della reclusione aumentata dagli originari tre anni sino a quattro anni e sei mesi, ma tenuta sotto sia i sei anni nel massimo previsti per il millantato credito corruttivo dal comma secondo dell’art. 346 del c.p. sia sotto il “fatidico” limite dei cinque anni previsto dall’art. 266 del c.p.p., comma primo, lett. b).
L’ulteriore ragione della riforma, costituita dalla necessità di risolvere “una serie di problemi interpretativi e di coordinamento non facilmente risolvibili, sui quali la stessa giurisprudenza di legittimità ha fornito risposte disomogenee e che, comunque, rendono scivolosi e opinabili i confini tra le due fattispecie e difficile la prova del delitto in giudizio”[25], non si presta ad essere ulteriormente riempita di contenuto per mancanza nel testo della relazione, come già scritto, dei necessari elementi di dettaglio ma, di certo, si presta ad una riflessione generata dal “senno del poi”.
In realtà, è stata proprio la scelta di abrogare il millantato credito e di riscrivere il traffico d’influenze che ha generato interpretazioni radicalmente difformi nella giurisprudenza di legittimità, imponendo la rimessione della questione sulla continuità normativa tra le due fattispecie alle Sezioni Unite.
Tale scelta, come argomentato diffusamente nella pronuncia in commento delle Sezioni Unite Penali, è stata, in realtà, alla fine, non solo abrogativa ma anche abolitiva della rilevanza penale di una classe di fatti, quelli del millantato credito corruttivo, che, in ragione della cornice edittale prevista dal comma secondo dell’art. 346 del c.p., avrebbero potuto prestarsi, almeno essi, ad un’attività di accertamento più efficace perché in grado di poter fare leva anche sullo strumento dell’intercettazione.
A tale riflessione nulla toglie la considerazione che i fatti di millantato credito corruttivo possano ancora oggi, seppur a determinate condizioni, colorarsi di rilevanza penale ai sensi dell’art. 640 del c.p., perché alla procedibilità d’ufficio prevista per l’art. 346 del c.p. è subentrata quella a querela di parte prevista, invece, per il delitto di truffa e, soprattutto, alla punibilità del privato richiedente la mediazione e del mediatore è subentrata la responsabilità penale solo del secondo e non anche del primo.
Vi è da chiedersi, quindi e conclusivamente sul punto, quale sarebbe stato oggi lo stato di salute del reato di traffico d’influenze se il sistema delineato dalla Legge “Severino”, invece che essere stravolto o travolto, fosse stato completato con l’estensione della punibilità, in seno all’art. 346 del c.p., anche al privato che offriva o prometteva il vantaggio indebito e con l’inasprimento del trattamento sanzionatorio del delitto di cui all’art. 346 bis del c.p.
Probabilmente quest’ultima fattispecie avrebbe goduto di miglior salute quanto a “effettività”, per continuare a far uso del sintagma utilizzato dal legislatore del 2019.
3. La sorte del millantato credito dopo la riformulazione dell’art. 346 bis del c.p. e la contestuale abrogazione dell’art. 346 del c.p.
Nonostante l’intenzione del legislatore del 2019 fosse sin troppo chiara, il dato normativo, però, non ha riscosso un’interpretazione uniforme nella giurisprudenza della Corte di cassazione, nella quale, sin da subito, si sono materializzate opzioni ermeneutiche difformi sulla sorte dei fatti di millantato credito corruttivo.
Opzioni ermeneutiche che si sono materializzate e consolidate nel tempo, rendendo inevitabile l’intervento delle Sezioni Unite, che hanno sciolto il nodo interpretativo recependo quello che era stato sino a quel momento l’orientamento minoritario.
3.1. L’orientamento favorevole alla continuità normativa tra il reato di millantato credito e quello di traffico d’influenze.
La fattispecie di traffico d’influenze illecite, come riformulata nel 2019, assoggettava a sanzione penale un ventaglio di condotte.
Il delitto si configurava, in primis, a carico di colui il quale si fosse fatto indebitamente dare o promettere, per sé o per altri, denaro o altre utilità come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322 bis del c.p. (è il caso della c.d. mediazione illecita)
Il delitto si configurava, altresì, a carico di colui il quale si fosse fatto indebitamente dare o promettere, per sé o per altri, denaro o altre utilità per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322 bis del c.p. in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (è il caso della c.d. remunerazione illecita).
Le due condotte avevano una fisionomia che era in parte sovrapponibile: l’elemento oggettivo che valeva a distinguerle era costituito dalla proiezione finalistica del denaro o dell’utilità data o anche solo promessa.
Nella prima, il denaro o l’utilità aveva quale destinatario finale il mediatore o il trafficante, che la acquisiva quale corrispettivo delle energie da spendere per mediare, nell’interesse del committente, presso il decisore pubblico.
Nella seconda, il denaro o l’utilità aveva un destinatario intermedio, il mediatore o il trafficante, ed uno finale, il decisore pubblico, e costituiva il corrispettivo destinato a quest’ultimo per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri funzionalmente mirato al soddisfacimento dell’interesse del committente.
In entrambe le ipotesi, ad essere assoggettato alla medesima sanzione penale era sia colui che dava o che prometteva sia il beneficiario della dazione o della promessa.
Ad esser puniti, quindi, erano sia colui che vendeva l’influenza sia colui che la acquistava ed entrambi erano puniti con una pena ricompresa tra un minimo di un anno ed un massimo di quattro anni e sei mesi.
La sanzione penale veniva aggravata nella misura di un terzo ove il trafficante avesse rivestito la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.
Era, altresì, aggravata nell’ipotesi in cui il fatto fosse stato commesso in relazione all’esercizio di un’attività giudiziaria.
La sanzione penale era, infine, aggravata – al ricorrere della seconda delle due condotte tipizzate - quando il denaro o l’altra utilità fosse stato il corrispettivo destinato a remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio - non in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri ma - al compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio o all’omissione o al ritardo di esso.
Per entrambe le condotte incriminate, il reato si configurava anche se il trafficante, per una qualsivoglia ragione, avesse deciso di non fare uso della capacità d’influenza che pure aveva venduto al committente ed anche se, pur avendola esercitata, non fosse stato raggiunto il risultato avuto di mira, ad esempio perché il decisore pubblico era rimasto impermeabile ed indifferente all’influenza esercitata.
Le condotte acquisivano rilevanza penale a condizione, però, che fossero state poste in essere facendo uso di due specifici mezzi.
Il primo era costituito dallo sfruttare o vantare una relazione esistente nel momento in cui il committente ed il trafficante erano addivenuti all’accordo.
Il secondo era costituito, invece, dallo sfruttare o vantare, nel medesimo momento, una relazione solo asserita, quindi, in ipotesi, anche quella millantata.
In quest’ultimo caso, la relazione d’influenza era solo il prodotto della fertile fantasia di colui che si presentava quale trafficante, quale facilitatore di contatti e, quindi, era il nucleo di una menzogna, di un inganno ordito ai danni di colui che aveva pensato di acquistare un’influenza realmente esistente.
Si era in presenza, in quest’ultimo caso, quindi, di un soggetto che aveva ordito un inganno e di un soggetto che era stato ingannato, il c.d. “compratore di fumo”, che veniva punito con la medesima pena prevista per colui che aveva comprato un’influenza esistente.
L’acquirente del “fumo” veniva assoggettato a sanzione penale anche nel caso in cui non fosse esistita la minima possibilità che il venditore del “fumo” potesse agire per creare e spendere l’influenza e, quindi, anche nel caso in cui la condotta incriminata fosse stata molto distante anche solo dall’approssimarsi alla soglia della concreta messa in pericolo dell’interesse protetto, nella specie di quello al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione.
Il vantare una relazione inesistente o millantata e il fare uso di tale mezzo ingannatorio per lucrare denaro o altra utilità costituiva, come scritto in precedenza, il nucleo delle condotte che, prima della formale abrogazione dell’art. 346 del c.p., erano punite a titolo di millantato credito.
Millantato credito che, come scritto nella relazione d’accompagnamento al disegno di legge n. 1189, avrebbe dovuto continuare ad essere punito non più in forza dell’art. 346 del c.p., perché formalmente abrogato, ma in forza del riformulato art. 346 bis.
Se per effetto dell’influenza si fosse materializzata la distorsione della funzione amministrativa, il delitto di traffico avrebbe ceduto il passo a quello di corruzione.
Nel caso in cui il denaro fosse finito nel patrimonio del decisore pubblico quale corrispettivo dell’esercizio distorto della funzione o dei poteri, il delitto in questione avrebbe dovuto cedere il passo a quello di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 del c.p.).
Nel caso, invece, in cui il denaro fosse confluito nel patrimonio del pubblico agente quale corrispettivo del compimento di un atto contrario ai doveri del suo ufficio o dell’omissione o del ritardo di esso, il delitto in questione avrebbe dovuto, invece, cedere il passo a quello di corruzione per il compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio (art. 319 del c.p.).
Nel caso in cui il denaro fosse confluito nel patrimonio - non del decisore pubblico ma - del trafficante (al ricorrere, quindi, della prima tipologia di condotta incriminata) e fosse seguita la distorsione dell’esercizio della funzione o dei poteri, il delitto di traffico avrebbe potuto concorrere con il reato che si fosse materializzato per effetto di tale distorsione, ad esempio con l’abuso in atti d’ufficio o con il falso in atto pubblico.
Nulla escludeva che, anche in questo caso, avrebbe potuto profilarsi il delitto di corruzione, come nel caso in cui il committente l’influenza e il decisore pubblico, dopo essere stati messi in contatto dal trafficante che, a questo specifico fine, si era fatto retribuire, fossero addivenuti alla stipula di un accordo corruttivo.
Era questo il significato da attribuirsi all’incipit della norma, che aveva tipizzato il delitto di traffico d’influenze con, in apertura, il seguente inciso: “chiunque fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli artt. 318, 319, 319 ter e nei reati di corruzione di cui all’art. 322 bis del c.p.…….”.
Se l’assorbimento nel delitto di traffico d’influenze - per come riformulato nel 2019 - delle condotte una volta tipiche ai sensi del primo comma dell’art. 346 del c.p. era stato tema sul quale non si erano levate voci dissonanti, al contrario la sorte del c.d. millantato credito corruttivo, cioè dei fatti tipici ai sensi del secondo comma dell’art. 346 del c.p., era sembrata ai più tutt’altro che chiara.
Quella che, nell’intenzione del legislatore del 2019, avrebbe dovuto essere una tranquilla “migrazione” di una classe di fatti da una fattispecie ad un’altra, ben presto si era rivelata non così agevole e piana.
La sorte del millantato credito corruttivo è stato, infatti, tema sul quale sin da subito si è registrata, nell’orientamento della Corte di cassazione, una divergenza di valutazioni che ha investito il se le condotte, che, prima dell’entrata in vigore della Legge n. 3 del 2019, erano punite a titolo di millantato credito ai sensi del comma secondo dell’art. 346 del c.p., continuassero ad esser penalmente rilevanti ai sensi del nuovo 346 bis del c.p. e, quindi, al se sussistesse continuità normativa tra le due fattispecie.
L’orientamento favorevole alla piena continuità normativa tra la fattispecie prevista dall’art. 346 e quella prevista dall’art. 346 bis è stato inaugurato, immediatamente dopo l’entrata in vigore della Legge n. 3 del 2019, dalla sentenza della Sezione sesta del 14 marzo 2019, n. 17980, Nigro, nella cui motivazione è stato scritto: “…evidente si appalesa la continuità normativa tra il previgente art. 346 ed il novellato art. 346 bis del c.p.…..Ed, invero, salvo che per la previsione della punibilità del soggetto che intenda trarre vantaggi da tale influenza ai sensi del comma secondo del nuovo art. 346 bis del c.p. (non prevista nella pregressa ipotesi di millantato credito, nell’ambito della quale questi assumeva anzi la veste di danneggiato dal reato) e la non perfetta coincidenza fra le figure verso le quali la millanteria poteva essere espletata (atteso che l’abrogato art. 346 del c.p. aveva riguardo al credito millantato presso il “pubblico ufficiale” e “l’impiegato che presti un pubblico servizio”, mentre nell’attuale fattispecie rileva la rappresentata possibilità di condizionare il “pubblico ufficiale” e “l’incaricato di un pubblico servizio”, a prescindere dal fatto che sia un impiegato), la norma di cui all’art. 346 bis del c.p. di recente riformulata sanziona le medesime condotte già contemplate dall’art. 346 abrogato”.[26]
L’effetto della successione della Legge n. 3 del 2019 alla n. 190 del 2012 era stato, quindi, quello che un’intera classe di fatti, una volta pertinenti all’orbita dell’art. 346 del c.p., era migrata verso il riformulato universo del traffico delle influenze illecite.
Sostanzialmente sovrapponibili erano secondo tale orientamento sia la condotta strumentale che quella principale, anche in ragione dell’equipollenza di significato tra i due sintagmi utilizzati e, cioè, tra lo “sfruttamento o il vanto delle relazioni asserite” e il “millantare credito”.
Il nucleo della motivazione della sentenza “Nigro” poggia sul significato del sintagma “relazioni asserite” in contrapposizione a quello “esistenti”, sintagma, il primo, introdotto proprio al fine di equiparare “sul piano penale la mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque la relazione solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato[27]”.
Tale equiparazione di rilevanza penale e di trattamento sanzionatorio era da ritenersi imposta, secondo quanto si legge in motivazione, da un lato dalla necessità di completare l’adeguamento della normativa nazionale agli obblighi assunti su scala internazionale nonché dalla necessità di superare “le difficoltà, spesso riscontrate nella prassi giudiziaria, nel tracciare in concreto il discrimen fra il delitto di millantato credito previsto dall’art. 346 cod. pen. e quello di traffico d’influenze, di cui all’art. 346 bis cod. pen. scaturenti dalla difficoltà di verificare l’esistenza – reale o solo ostentata – della possibilità di influire sul pubblico agente[28]”.
Del resto, era stata proprio questa la voluntas legis, quella di abrogare ma non di abolire, creando una “casa comune” per due classi di fatti, anche e soprattutto perché tanto pareva essere imposto dagli obblighi internazionali.
3.2. L’orientamento contrario alla continuità normativa tra il reato di millantato credito previsto dal comma secondo dell’art. 346 del c.p. e quello di traffico d’influenze.
L’orientamento che, invece, ha negato tale piena continuità normativa, ammettendola solo per il primo comma ma non anche per il secondo dell’art. 346, è stato inaugurato dalla sentenza della Sezione sesta del 18 settembre 2019, n. 5221, Impeduglia, secondo la quale la classe dei fatti prevista dall’ormai abrogato art. 346 del c.p., comma secondo, era tornata “alle origini”, cioè, era migrata in direzione - non dell’art. 346 bis del c.p. ma - del primo comma dell’art. 640 del c.p.
Nella motivazione della sentenza “Impeduglia” si è scritto: “Deve, allora, riconoscersi che non c’è continuità normativa tra l’abrogata ipotesi di millantato credito già prevista dall’art. 346, secondo comma, del cod. pen. nella condotta dell’agente che si riceve o fa dare o promettere denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, e quella prevista nell’art. 346 bis del c.p., nella parte in cui punisce il faccendiere che, sfruttando o vantando relazioni asserite con l’agente pubblico, si fa dare o promettere indebitamente denaro o altre utilità per remunerare l’agente pubblico in relazione all’esercizio delle funzioni; condotta che, in considerazione della intervenuta abrogazione del secondo comma dell’art. 346 del cod. pen., deve ritenersi integrare il delitto di cui all’art. 640, primo comma, del cod. pen., allorché l’agente, mediante artifizi e raggiri, induca in errore la parte offesa che si determina a corrispondere denaro o altre utilità a colui che vanti rapporti neppur ipotizzabili con il pubblico agente”.[29]
È stato messo in risalto[30] nella motivazione della sentenza che la fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 346 aveva, rispetto a quella del primo comma, una spiccata autonomia, essendo ricalcata sullo schema della truffa.
Tale fattispecie tipizzava, infatti, una condotta che, a differenza di quella prevista dal primo comma della medesima disposizione, non avrebbe potuto realizzarsi se non attraverso gli artifizi e i raggiri propri della truffa, “contegno fraudolento ben evidente là dove la norma fa espresso e significativo riferimento al “pretesto”, termine che evoca la rappresentazione di una falsa causa posta a base della richiesta decettiva idonea ad indurre in errore la vittima che si determina alla prestazione patrimoniale[31]”.
Su un piano decisamente diverso da quello della tutela del patrimonio del privato era, invece, destinata ad operare, secondo tale sentenza, la fattispecie di cui all’art. 346 bis del c.p., con la quale “il legislatore ha inteso anticipare la soglia di punibilità rispetto a condotte che difficilmente avrebbero potuto integrare il delitto di corruzione (seppur nella forma tentata) e che fanno chiaramente presagire come la tutela si eminentemente volta a salvaguardare l’attività della pubblica amministrazione nelle sue varie articolazioni nazionali e internazionali. Sotto tale aspetto, allora, non può che osservarsi che un reato che era rivolto in maniera preponderante alla tutela del patrimonio della vittima truffata dal “venditore di fumo” difficilmente si presta a realizzare un vulnus alla pubblica funzione e di necessitare di una tutela rispetto a fatti che nessun collegamento, sia in astratto che in concreto, potrebbero avere con gli interessi pubblici teleologicamente tutelati dalla norma penale in esame[32]”.
Coerenti con tali premesse erano le conclusioni sul significato da attribuire al sintagma “relazioni asserite”: “Sotto tale aspetto, invero, come anche affermato da autorevole dottrina, deve osservarsi che il riferimento “al vanto a relazioni asserite” non può essere inteso come condotta sovrapponibile a quella posta in essere con l’inganno (resa palese con il termine “pretesto”), dovendosi ritenere che l’enunciazione da parte del mediatore faccendiere al rapporto con i pubblici poteri non sia rivolto ad indurre in errore per mezzo di artifizi e raggiri il cliente, quanto necessariamente a prospettare, seppur non in termini di certezza, la concreta possibilità di influire sull’agente pubblico; condotta tesa non a sfruttare una relazione inesistente ma a vantare la concreta possibilità di riuscire ad influenzare l’agente pubblico, comportamento che si pone, a ben osservare, nella fase immediatamente prodromica rispetto ad un eventuale coinvolgimento dell’agente pubblico, ……”
Se si volesse provare a formulare una sintesi dei percorsi argomentativi seguiti dalle due sentenze, si potrebbe ragionevolmente affermare che quello favorevole alla continuità normativa si era determinato a tanto attribuendo un maggior peso specifico ai profili di coincidenza delle due fattispecie, quello contrario attribuendo, invece, un maggior peso specifico ai profili di non coincidenza tra di esse.
L’esame e la valutazione degli arresti della Suprema Corte che hanno preceduto la pronuncia a Sezioni Unite in commento rende piuttosto evidente che, sin da qualche settimana dopo l’entrata in vigore della Legge n. 3 del 2019, in seno alla Sesta Sezione penale della Corte di cassazione, tabellarmente competente in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, si erano stagliate due opzioni ermeneutiche radicalmente diverse tra di loro, una delle quali, la favorevole alla piena continuità normativa, era divenuta decisamente quella maggioritaria.
Tale contrasto interpretativo veniva rimesso, ex art. 618, comma primo, del c.p.p., alle Sezioni Unite Penali con ordinanza n. 31478 del 28 giugno 2023 della Seconda Sezione della Suprema Corte.
4. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.
Ad innescare la rimessione alle Sezioni Unite è stata una vicenda giudiziaria piuttosto articolata.
M.V., detenuto nel 2017 nella Casa Circondariale di Frosinone, era stato imputato dal P.M. del reato di cui all’art. 319 quater del c.p., per aver, in concorso con un agente di polizia penitenziaria in servizio nella medesima Casa rimasto non identificato, indotto D.S.O., anch’egli ivi detenuto, a promettergli la somma di tremila euro per scongiurare il trasferimento, prospettato come imminente, in altro, lontano e disagevole istituto penitenziario.
Il Tribunale di Roma aveva condannato l’imputato per il reato ascrittogli e la Corte d’Appello di Roma aveva confermato la relativa sentenza.
Era seguito il ricorso alla Corte di cassazione, che, con sentenza della Sezione sesta, aveva annullato la sentenza di secondo grado, censurandone la lacunosità della motivazione, la lacunosità della ricostruzione in fatto e l’errata applicazione della legge penale.
Più nello specifico, aveva evidenziato che non poteva ritenersi raggiunta la prova di un accordo tra l’indotto e l’induttore né la prova dell’abuso da parte del pubblico agente nonché aveva evidenziato che non vi era traccia in motivazione del perché si dovesse escludere che i fatti, ove correttamente accertati, potessero essere ricondotti ad altre fattispecie di reato quali la truffa o il traffico d’influenze illecite.
Seguiva, quindi, l’annullamento, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma per un nuovo giudizio.
A seguito del nuovo giudizio, il giudice di secondo grado aveva riqualificato i fatti ai sensi dell’art. 346 bis, dopo aver ritenuto la continuità normativa tra quest’ultima fattispecie e l’abrogato reato di millantato credito.
Avverso la nuova sentenza di secondo grado aveva fatto nuovamente ricorso in Cassazione il difensore di M.V., articolandolo in due motivi.
Con il primo il ricorrente aveva sostenuto che la configurazione del reato di traffico d’influenze illecite dovesse essere esclusa in assenza della prova di una relazione esistente tra il mediatore e il decisore pubblico.
Con il secondo aveva, altresì, sostenuto che la continuità normativa tra le due fattispecie non sussistesse, in quanto nella fattispecie di cui all’art. 346 bis non era ricompresa la condotta di chi, mediante artifizi e raggiri, si fosse fatto dare o promettere denaro o altre utilità con il “pretesto” di dover comprare il decisore pubblico.
L’ordinanza di rimessione[33] ha identificato il nucleo del riferito contrasto giurisprudenziale, individuandolo nell’elemento costitutivo delle relazioni oggetto di sfruttamento o di vanteria, che, come scritto in precedenza, devono essere esistenti o asserite.
Nell’ordinanza di rimessione, il contrasto giurisprudenziale è stato plasticamente raffigurato ponendo in contrapposizione il nucleo delle motivazioni delle sentenze “capostipite” dei due contrastanti orientamenti in seno alla Sesta Sezione della Corte e, cioè, la sentenza “Nigro” e la sentenza “Impeduglia”, entrambe pronunciate nel 2019, a distanza di soli sei mesi l’una dall’altra.
Il perdurare del contrasto anche negli anni successivi ha imposto, quindi, la rimessione alle Sezioni Unite, da parte della Seconda Sezione, della questione controversa “se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma secondo, abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), Legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346 bis del c.p.”
5. Le motivazioni delle Sezioni Unite “Mazzarella”.
L’iter motivazionale della sentenza ha preso le mosse dall’analisi della disposizione dell’art. 346 del c.p., che, secondo un orientamento giurisprudenziale e dottrinario ormai consolidatosi, descriveva due distinte fattispecie, caratterizzate, però, dalla medesimezza dell’oggettività giuridica, seppur con sfumature di intensità diverse tra il primo e il secondo comma.
La sua collocazione nel capo II del titolo II del Libro II del Codice penale, cioè nella partizione dedicata ai delitti contro la pubblica amministrazione commessi da soggetti ad essa estranei, indiziava in modo piuttosto chiaro, secondo la Corte, che ad esser offeso o messo in pericolo era l’interesse al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione, seppur si trattasse di una messa in pericolo solo potenziale, molto potenziale, perché si era in presenza di una c.d. “venditio fumi” e. quindi, di una relazione con il decisore pubblico inesistente, solo millantata.
Tutt’altro che potenziale ma reale era, invece, la deminutio patrimonii che subiva il compratore di fumo, in particolare nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 346 del c.p., il quale, alla fine, era la vittima di un inganno, dell’abile impiego di un pretesto, di una truffa cioè e, quindi, era il soggetto danneggiato dal reato.
L’oggettività giuridica delle due fattispecie, quindi, si caratterizzava per una dimensione marcatamente plurioffensiva.
A partire dal 2012, con l’entrata in vigore della Legge n. 190, all’art. 346 del c.p. era stato affiancato l’art. 346 bis del c.p., introdotto, secondo il Supremo Consesso, da un lato per dare attuazione agli obblighi internazionali assunti dall’Italia, dall’altro per “colmare una lacuna punitiva: perseguendo penalmente condotte che presupponevano una relazione effettivamente esistente tra il “trafficante” e il pubblico agente, dal primo all’uopo sfruttata, dunque una situazione fattuale caratterizzata da una qualche concreta capacità di condizionare ovvero di orientare le iniziative del pubblico ufficiale: comportamenti che, come si è innanzi accennato, restavano formalmente fuori dalla portava operativa dell’art. 346 del cod. pen.[34]”
Nel 2019, con l’entrata in vigore della Legge n. 3, si era esaurita la vigenza dell’art. 346 del c.p., abrogato contestualmente alla riformulazione dell’art. 346 bis, intervento di restyling che, secondo la Suprema Corte, si era imposto in ragione della necessità per l’Italia di adeguarsi agli obblighi internazionali medio tempore assunti, obblighi che imponevano di conferire rilevanza penale a qualsivoglia tipologia di compravendita d’influenza, anche di quella solo millantata.
Lo strumento selezionato allo scopo era stato quello dell’introduzione nel riformulato art. 346 bis del sintagma “relazioni asserite”.
Il Supremo Consesso, dopo aver sinteticamente ricostruito l’evoluzione normativa del “sistema delle influenze”, virava in direzione di quello che era stato sino a quel momento l’orientamento giurisprudenziale minoritario.
L’iter motivazionale ha, in primis, ridimensionato il peso specifico della voluntas legis, così come enunciata nella relazione d’accompagnamento al disegno di Legge “Bonafede”, perché la Corte ha a chiare lettere argomentato che la volontà del legislatore, in questo come negli altri casi, non poteva svolgere “un ruolo per così dire dirimente”[35], perché tale ruolo ad essa non è stato attribuito dall’art. 12 delle Preleggi, che ha configurato l’intenzione del legislatore quale canone ermeneutico sussidiario e recessivo rispetto a quello dell’interpretazione letterale[36].
Canone, quest’ultimo, che “per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca del senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, rappresenta il criterio cardine dell’interpretazione della legge e concorre alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie applicabile…”[37].
Ridimensionato il peso di una delle principali argomentazioni che aveva agito da “pilastro” dell’orientamento sino a quel momento maggioritario, il Supremo Consesso ha affermato che la questione della sussistenza o meno della continuità normativa tra le due fattispecie dovesse essere risolta con “l’unico attendibile criterio utilizzabile (che n.d.r.) è quello fondato sul formale confronto strutturale tra le considerate fattispecie incriminatrici, da compiere con una esegesi letterale e logico sistematica dei modelli astratti di reato in avvicendamento cronologico…… L’interprete, quindi, per accertare se vi sia stata abolitio criminis deve procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, quella precedente e quella successiva all’intervento del legislatore, al fine di verificare la sussistenza di uno spazio comune alle dette fattispecie…Se l’intervento legislativo posteriore altera la fisionomia della fattispecie, nel senso che sopprime un elemento strutturale della stessa e, quindi, la figura di reato in essa descritta, ci si trova – di norma – di fronte ad una ipotesi di abolitio criminis, il fatto cioè, già penalmente rilevante, diventa penalmente irrilevante per effetto dell’abrogazione di quell’elemento, quale conseguenza del mutato disvalore insito nella scelta di politica criminale; in questo caso non può non trovare applicazione la disciplina prevista dal secondo comma dell’art. 2 del c.p.…..”[38].
Facendo applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha affermato che “…la scelta del legislatore del 2019 di abrogare l’art. 346 del cod. pen. e contestualmente di modificare il contenuto dell’art. 346 bis del cod. pen., ha comportato un fenomeno di abolitio criminis con riferimento ai fatti di millantato credito c.d. “corruttivo”, già previsti dall’art. 346, secondo comma, del cod. pen.”.
Il confronto strutturale tra le due fattispecie ha evidenziato, secondo la Corte, difformità di tale e tanta consistenza da indiziare una forte discontinuità normativa per un duplice ordine di ragioni.
La prima fa leva sul fatto che l’art. 346 del c.p. era stato configurato quale reato di natura monosoggettiva, che contemplava la punibilità del solo venditore di fumo e non anche dell’acquirente di esso, mentre il riformulato traffico d’influenze è stato configurato quale reato plurisoggettivo, cioè reato che prevede la punibilità di entrambe le parti contraenti dell’accordo e con la medesima pena, previsione normativa che “è ragionevolmente compatibile con i principi costituzionali di materialità e di offensività solamente ritenendo che il committente, lungi dall’essere un soggetto ingannato, è consapevole che il trafficante non ha (ancora) una relazione effettiva con il pubblico agente (“vantando relazioni asserite , si legge nella disposizione”)[39].
La seconda ragione rimandava alla diversa formulazione letterale delle due fattispecie e, più nello specifico, al sintagma “pretesto” “espressione di una componente frodatoria ovvero di una più marcata falsa rappresentazione della realtà, che – significativamente presente nell’art. 640, comma secondo, n. 1 del c.p. con riferimento ad una ipotesi di truffa aggravata - è assente nel nuovo art. 346 bis del cod. pen.: nel quale la formula “vantando relazioni asserite” potrebbe ritenersi parificabile a quella del “millantato credito” di cui alla disposizione abrogata, senza potersi considerare comprensiva anche dello specifico sintagma “col pretesto di comprare””[40].
Consequenziali sono state le conclusioni sul significato da attribuire al sintagma “relazioni asserite”, perché testualmente la Corte ha affermato che “è ragionevole, pertanto, ribadire che il legislatore del 2019, inserendo nell’art. 346 bis del cod. pen., la formula “vantando relazioni asserite”, senza riproporre il sintagma “col pretesto”,….abbia voluto far riferimento non all’ipotesi del soggetto tratto in inganno dal mediatore…ma a quella di colui che partecipa a pieno titolo ad una intesa criminosa. Soggetto punibile, al pari del trafficante, perché, pur consapevole che la relazione con il pubblico funzionario è ancora inesistente e solo “vantata”, decide di fare affidamento sulla potenziale capacità del mediatore di instaurare quel rapporto affaristico: in tal modo concorrendo a determinare quella effettiva messa in pericolo del bene giuridico protetto, che, in una lettura costituzionalmente orientata, è l’unica condizione che può legittimare l’omogeneo trattamento sanzionatorio per entrambi i correi”[41].
L’orientamento giurisprudenziale minoritario aveva piuttosto uniformemente argomentato, proprio a partire dalla Sentenza “Impeduglia”, che l’affermata discontinuità normativa tra le due fattispecie aveva comportato automaticamente la riespansione dell’art. 640 del c.p., alla luce del quale avrebbero potuto essere riqualificati i fatti.
Anche in questo caso ad essere affermata era sempre una forma di abrogatio sine abolitione, che, però, a differenza di quella propugnata dall’orientamento maggioritario, aveva quale luogo finale di approdo l’art. 640 del c.p.
Anche questa diversa ipotesi di continuità normativa è stata ritenuta non condivisibile dal Supremo Consesso per l’assenza del necessario rapporto di specialità tra l’ormai abrogato art. 346 e la fattispecie di truffa, assenza che impedisce l’automatico effetto di riespansione della fattispecie generale preesistente a seguito dell’abrogazione di quella speciale.
L’inesistenza di un rapporto di genere a specie tra le due fattispecie, inteso come relazione di specialità unilaterale per specificazione o per aggiunta, rinviene la sua prima ragione nel fatto che “il confronto della struttura astratta dei due illeciti permette di affermare che nella fattispecie di millantato credito c.d. “corruttivo” non erano presenti tutti gli elementi costituivi della truffa ma solo alcuni latamente comuni (il millantare credito in una, gli artifizi e raggiri nell’altra) ed altri specializzanti (il pretesto di dover comprare o remunerare e la promessa di altre utilità); senza, però, che nell’art. 346, secondo comma, fossero richiamati gli ulteriori elementi specializzanti propri del solo reato di truffa (l’induzione in errore, l’atto di disposizione patrimoniale e l’ingiusto profitto con altrui danno). Il rapporto tra le due considerate norme incriminatrici si atteggiava, cioè, con quelle caratteristiche nelle quali la dottrina ha ravvisato gli estremi di una relazione di specialità bilaterale o di “interferenza”, in cui ognuna delle fattispecie poste a raffronto presenta elementi speciali ulteriori ed estranei rispetto all’altra: ipotesi queste che, per quanto innanzi espresso, non rientrano nella sfera di operatività delle regola dell’art. 15 del cod. pen….Per le vicende verificatesi prima dell’entrata in vigore della Legge n. 3 del 2019, dunque, va negata la possibilità di una “automatica” riespansione applicativa dell’art. 640 del cod. pen., laddove risulti che i fatti siano stati addebitati all’imputato e siano stati accertati in base alla disposizione a suo tempo prevista dall’abrogato art. 346, secondo comma, del cod. pen. e siano mancate una formale contestazione e un accertamento anche degli elementi specializzanti della truffa”[42].
A valle di un iter argomentativo così articolato, il Supremo Consesso ha formulato il seguente principio di diritto: “Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, secondo comma, del cod. pen. ……e il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346 bis del cod. pen. …..”.
“Le condotte già integranti gli estremi dell’abolito reato di cui all’art. 346, secondo comma, del cod. pen. potevano, e tutt’ora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice”.
La sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in sede di giudizio di rinvio, aveva riqualificato i fatti ai sensi dell’art. 346 bis, veniva, quindi, annullata senza rinvio - in accoglimento del secondo motivo di ricorso articolato dal difensore di M.O. - perché il fatto non era previsto dalla legge come reato.
Erronea da parte del giudice di secondo grado era stata, infatti, secondo il Supremo Consesso, la riqualificazione, perché l’insussistenza di una continuità normativa tra il comma secondo dell’art. 346 e l’art. 346 bis aveva comportato, nel caso di specie, l’abolitio criminis.
L’assenza di un rapporto di specialità tra quest’ultima fattispecie e quella di truffa ostava ad un’automatica applicazione dell’art. 640 del c.p., non essendo stati, nel caso di specie, contestati né accertati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di truffa, compresi quelli specializzanti di tale reato come l’induzione in errore e l’ingiusto profitto con l’altrui danno.
6. Il traffico d’influenze nella Legge “Nordio”.
A soli sei mesi dalla pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte, la travagliata vigenza del traffico d’influenze ha dovuto fare i conti questa volta con un secondo pesante intervento di restyling, quello portato dall’art. 1, comma primo, lett. c), d) ed e), della Legge 9 agosto 2024, n. 114, già denominata legge “Nordio”.
L’intervento di riforma ha inciso sull’elemento oggettivo del reato, su quello soggettivo e sulla cornice edittale, proiettandosi anche sul terreno dell’accertamento con l’estensione alla fattispecie del traffico della causa di non punibilità prevista dall’art. 323 ter del c.p. e della circostanza attenuante prevista dall’art. 323 bis del medesimo Codice.
Prima di entrare nel vivo e nel dettaglio delle modifiche introdotte, non appare fuor di luogo rivolgere anche in questo caso l’attenzione alla voluntas legis per come essa è stata enunciata nella relazione d’accompagnamento al disegno di legge n. S. 808, che ha agito da innesco dell’iter legislativo che si è concluso con l’approvazione della Legge n. 114 del 2024.
La relazione d’accompagnamento si compone di sole otto pagine ed è, quindi, decisamente meno ampia e diffusa di quella che ha accompagnato il disegno di Legge “Bonafede”, dato, questo, che potrebbe trovare una plausibile spiegazione nel raggio decisamente meno ampio e profondo della riforma “Nordio” rispetto a quella del 2019.
All’incisione del reato di traffico d’influenze sono state destinate, però, poco più di venti righe della relazione d’accompagnamento e solo qualche riga, invece, per spiegare le ragioni del nuovo intervento di riforma, dopo e nonostante una pronuncia delle Sezioni Unite Penali che sembrava aver fissato, una volta per tutte, il baricentro, il punto di equilibrio del sistema dello sfruttamento delle influenze illecite.
Nella relazione d’accompagnamento la Legge n. 190 del 2012 e la Legge n. 3 del 2019 sono state accomunate per il “forte intento repressivo” che avrebbe animato in entrambe le occasioni il legislatore.
Intento repressivo che, però, ove davvero sia esistito, non avrebbe avuto la forza e gli strumenti per tradursi in repressione vera e propria perché, come si è scritto, o per scelta o per mera distrazione, più norme tra quelle via via introdotte nel corso del tempo hanno agito quali severe controspinte all’emersione di un fenomeno che è preparatorio e prodromico alla corruzione.
Come confermato, del resto, da autorevole dottrina che ha evidenziato che, nell’anno 2019, solo 88 procedimenti penali sono stati iscritti negli Uffici di Procura su tutto il territorio nazionale per il reato di cui all’art. 346 bis, con due condanne e cinque patteggiamenti[43].
Le modifiche introdotte hanno avuto quale causa quella di “meglio precisare alcuni elementi del reato, confermandone la natura di fattispecie “avamposto” (rispetto al sistema complessivo degli illeciti penali del pubblico agente) e tenendo conto dei rilievi mossi dalla dottrina e dagli sviluppi della più recente elaborazione giurisprudenziale[44]”.
L’intervento di riforma è stato ispirato, quindi, da una logica di minore repressione, alla quale non si è accompagnata, però, l’espansione dell’attività di prevenzione della corruzione su questo specifico terreno, come si sarebbe potuto fare, ad esempio, accompagnando tale riforma con l’approvazione di una disciplina organica dell’attività di rappresentanza degli interessi da parte delle lobbies, disciplina che si attende da lustri, anzi da decenni[45].
Con l’inevitabile conseguenza che il traffico d’influenze illecite sarà, dopo il 25 agosto 2024, un avamposto ancor meno protetto dal nemico “corruzione”.
Entrando nel vivo e nel dettaglio delle modiche introdotte, può ritenersi, a sommesso avviso di chi scrive, che tali modifiche abbiano una duplice matrice.
La prima rimanda al prodotto dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità degli ultimi sei anni sia in tema di perimetrazione di quella parte dell’elemento oggettivo del reato costituito dalla c.d. “mediazione illecita” sia in tema di continuità normativa tra il delitto di millantato credito e quello di traffico d’influenze.
Tale matrice parrebbe connotare la modifica con la quale il concetto di mediazione illecita è stato riempito di contenuto mediante la previsione in forza della quale è tale la mediazione strumentale ad indurre il pubblico agente a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito e quella che ha limitato allo sfruttamento delle relazioni esistenti - e non anche di quelle asserite - il mezzo che deve connotare le due condotte tipiche dell’art. 346 bis del c.p.
Parrebbero essere quelli appena enunciati gli sviluppi della più recente elaborazione giurisprudenziale ai quali si sarebbe ispirato il disegno di legge di riforma e dei quali, come scritto, si fa menzione nella relazione d’accompagnamento.
La seconda rimanda, invece, alla modifica con la quale il delitto di traffico d’influenze è divenuto reato a dolo eventuale “rafforzato”, come indiziato dall’inciso di nuovo conio “utilizzando intenzionalmente allo scopo relazioni esistenti”, nonché a quella con la quale l’utilità pattuita quale corrispettivo dell’attività di mediazione deve avere un contenuto necessariamente economico e, infine, a quella relativa all’aumento nel minimo della sanzione edittale che passa da un anno ad un anno e sei mesi.
Aumento nel minimo che, nella relazione d’accompagnamento, è stato enunciato quale conseguenza della riduzione dell’ambito applicativo della fattispecie ai fatti più gravi di traffico d’influenze.
Il secondo insieme di modifiche sarebbe, invece, stato ispirato dai rilievi mossi dalla dottrina, anche in questo caso non più dettagliatamente indicata.
La duplicità delle matrici che hanno ispirato le numerose modifiche introdotte si è ricomposta ad unità nella logica di fondo che ha fatto da sfondo al disegno di legge, quella, cioè, di ridurre la repressione penale.
Il numero delle influenze illecite penalmente rilevanti si è ridotto drasticamente e, ove quelle poche rimaste vengano comunque ad emersione, l’estensione al reato di cui all’art. 346 del c.p. della causa di non punibilità prevista dall’art. 323 ter del c.p. e della circostanza attenuante prevista dal secondo comma dell’art. 323 bis del c.p. dovrebbe agire in chiave di bilanciamento e di attenuazione della risposta repressiva.
Logica che ha ispirato anche la sterilizzazione della fattispecie di abuso d’ufficio ad opera dell’art. 23 del Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito nella Legge 11 settembre 2020, n. 120, e, dopo quattro anni, la sua abrogazione proprio ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. b), della Legge n. 114 del 2024.
La simmetria potrebbe farla da padrona nella previsione del futuro destino del reato di traffico d’influenze illecite: al primo intervento normativo di “sterilizzazione” della fattispecie portato dalla Legge n. 114 del 2024 potrebbe seguire, nel volgere di qualche anno, la definitiva abrogazione e abolizione del reato.
7. Lo “stato dell’arte” dopo le Sezioni Unite “Mazzarella” e la Legge “Nordio” – la nuova prospettiva europea.
Come sostenuto da autorevole dottrina[46], la legge “Nordio” ha fatto un brusco “dietrofront” rispetto al passato: i plurimi lacci introdotti per restringere l’ambito applicativo dell’art. 346 bis del c.p. sono stati annodati senza il doveroso confronto con gli impegni internazionali assunti dall’Italia in seno all’O.N.U. e al Consiglio d’Europa, contesti nei quali il nostro Paese, come scritto, si è impegnato a conferire rilevanza penale non solo allo sfruttamento delle relazioni esistenti ma anche di quelle supposte nonché a conferire rilevanza penale a qualsivoglia tipo di vantaggio indebito nonché, infine, a conferire rilevanza penale alla mediazione illecita ben oltre i casi del compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio.
Alla perdita di rilevanza penale dello sfruttamento delle relazioni millantate[47] si è aggiunta, infatti, la sopravvenuta perdita di rilevanza, per effetto della Legge “Nordio”, anche delle relazioni asserite nonché di quelle esistenti in relazione alle quali il corrispettivo dell’attività di mediazione sia stato fissato in una contropartita dal contenuto non economico[48]nonché, infine, delle relazioni esistenti caratterizzate dalla ricorrenza del dolo generico e non di quello intenzionale, per di più “rafforzato”[49].
Nei procedimenti o processi in corso per il reato di cui all’art. 346 bis del c.p., la successione alla Legge n. 3 del 2019 della Legge n. 114 del 2024 è destinata inevitabilmente a porre problemi di diritto intertemporale in relazione a quei fatti che continuano ad esser tipici nonostante la riformulazione della fattispecie, fatti per delibare i quali diviene dirimente individuare la disciplina più favorevole applicabile, ex art. 2, comma quarto, del c.p., da individuarsi nel concreto e nello specifico di ogni singolo procedimento o processo[50].
Il tema, pur centrale, della necessità di dare attuazione in questo campo a precisi obblighi internazionali non è stato, sotto alcun profilo, enunciato nella relazione d’accompagnamento al disegno di Legge “Nordio”.
Il prodotto della dinamica legislativa innescata da tale disegno di legge potrebbe, secondo autorevole dottrina[51], finire al vaglio della Corte Costituzionale per violazione dell’art. 117 della Costituzione, comma primo, che obbliga il legislatore italiano al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, ivi compresi di quelli d’incriminazione, tra i quali certamente vi sono, come scritto, sia quello previsto dall’art. 12 della Convenzione di Strasburgo che quello previsto dall’art. 18 della Convenzione di Mérida.
Lo “stato dell’arte” potrebbe essere passibile, seppur non a breve, di un’evoluzione perché, il 3 maggio 2023, la Commissione Europea ha approvato la proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta contro la corruzione[52], che sostituisce la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio e la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio.
Con riferimento specifico al reato di traffico d’influenze, l’art. 10 di tale proposta ha testualmente previsto che: “1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché sia punibile come reato la condotta seguente, se intenzionale: (a) il fatto di promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura per una persona o un terzo affinché detta persona eserciti un'influenza reale o presunta in vista di ottenere un indebito vantaggio da un funzionario pubblico; (b) il fatto che una persona solleciti o riceva, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio o la promessa di un indebito vantaggio di qualsiasi natura per sé o per un terzo, al fine di esercitare un'influenza reale o presunta in vista di ottenere un indebito vantaggio da un funzionario pubblico. 2.Affinché la condotta di cui al paragrafo 1 sia punibile come reato è irrilevante che l'influenza sia esercitata o meno o che la presunta influenza porti o meno ai risultati voluti”.
Parrebbe, ad una prima interpretazione del citato art. 10, che lo sfruttamento economico dell’influenza sia destinato in futuro ad assumere rilevanza penale anche in caso d’influenza solo “presunta” (aggettivo, quest’ultimo, al quale potrebbe ragionevolmente assegnarsi un significato equivalente a quello di “supposta” o “asserita”) e anche nel caso in cui il vantaggio oggetto di pattuizione abbia un contenuto diverso da quello economico.
Si è in presenza di un’iniziativa che ha ancora un significato in larga parte solo politico, almeno sino a quando non sarà concluso il relativo iter legislativo, ma che rende, però, l’idea del livello di sensibilità al contrasto del fenomeno corruttivo che ha raggiunto il legislatore europeo.
Per l’intanto ragionevole è affermare, a parere di chi scrive, che inarrestabile sia stata per più ragioni, almeno negli ultimi cinque anni, l’ascesa delle influenze illecite.
Brindisi, 31 agosto 2024.
[1] A commento alla sentenza cfr. anche PONTEPRINO G., Cronaca di un finale annunciato. In attesa dell’ennesima riforma le Sezioni Unite restringono i margini applicativi dell’art. 346 bis del c.p., in Diritto Penale e Processo n. 7 del 2024, pag. 876 e ss.; nonché MONGILLO V., Splendore e morte del traffico di influenze illecite. Dalle Sezioni Unite alla riforma Nordio, in Sistema penale, pubblicato il 22 marzo 2024.
[2] Sul reato di traffico d’influenze illecite cfr. MONGILLO V., Splendore e morte del traffico di influenze illecite. Dalle Sezioni Unite alla riforma Nordio, cit.; MONGILLO V., Il traffico di influenze illecite nell’ordinamento italiano: crisi e vitalità di una fattispecie a tipicità impalpabile, in Sistema penale, pubblicato il 2 novembre 2022; PONTEPRINO G., Il “nuovo” inquadramento giuridico del c.d. millantato credito “corruttivo”. I perduranti disorientamenti giurisprudenziali, in Diritto penale e Processo n. 8 del 2022; ROMANO B., Il fumus dello sfuggente traffico di influenze illecite, in Il Penalista.it, pubblicato il 6 maggio 2022; UBIALI M.C., L’illiceità della mediazione nel traffico di influenze illecite: le sentenze della Cassazione sui casi Alemanno ed Arcuri, in Sistema penale, pubblicato il 31 gennaio 2022; ARIOLLI G. e PIVIDORI E., Il traffico d’influenze illecite tra vecchie e nuove criticità, in Cassazione Penale, 1 gennaio 2020, pag. 45; PONTEPRINO G., La nuova versione del traffico d’influenze illecite: luci e ombre della riforma spazzacorrotti, in Sistema Penale, pubblicato il 10 dicembre 2019.
[3]Il reato previsto dall’art. 346 del c.p. prevedeva che: “Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309 a euro 2.065. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 516 a euro 3.098, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare”.
[4] La Legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, è stata pubblicata nella G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019 ed è entrata in vigore, per quanto qui d’interesse, il 31 gennaio 2019.
[5] Nella versione originaria il delitto di traffico d’influenze illecite prevedeva che: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie. Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita”.
[6] La Legge 6 novembre 2012, n. 190, recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, è stata pubblicata nella G.U. n. 265 del 13 novembre del 2012 ed è entrata in vigore, per quanto qui d’interesse, il 28 novembre 2012.
[7] Il primo comma veniva sostituito dal seguente: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.
Al secondo e al terzo comma le parole “altro vantaggio patrimoniale” venivano sostituite da quelle “altra utilità”.
Al quarto comma venivano aggiunte le seguenti parole: “o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”.
[8] L’art. 346 bis del c.p., nella versione oggi vigente, prevede che: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, utilizzando intenzionalmente allo scopo relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità economica, per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis , in relazione all’esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un’altra mediazione illecita, è punito con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi.
Ai fini di cui al primo comma, per altra mediazione illecita si intende la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 -bis a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito.
La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità economica.
La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità economica riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio o una delle qualifiche di cui all’articolo 322 bis del codice penale.
La pena è altresì aumentata se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”.
[9] La Legge 9 agosto 2024, n. 114, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento penitenziario e al codice dell’ordinamento militare, è stata pubblicata nella G.U. n. 187 del 10 agosto 2024 ed è entrata in vigore, per quanto qui d’interesse, il 25 agosto del 2024.
[10] A commento della Legge n. 114 del 2024 cfr., in chiave fortemente critica verso le scelte fatte dal legislatore anche in materia di traffico d’influenze illecite, MANNA A., Sull’abolizione dell’abuso d’ufficio e gli ulteriori interventi in materia di delitti contro la P.A.: note critiche, in Sistema Penale, pubblicato il 6 agosto 2024; GATTA G., La Legge Nordio e il “soffocamento applicativo” del traffico di influenze illecite. Tra parziale abolitio criminis e profili di illegittimità costituzionale per violazione di obblighi internazionali, in Sistema Penale, pubblicato il 16 luglio 2024; nonché, in chiave in parte critica e in parte adesiva, GAMBARDELLA Marco, Abrogazione dell’abuso d’ufficio e rimodulazione del traffico d’influenze illecite nel d.d.l. “Nordio” (la versione approvata dal Senato nel febbraio 2024)”, in Sistema Penale, pubblicato l’11 aprile 2024; nonché, ancora in chiave fortemente critica verso tali scelte, MONGILLO V., Splendore e morte del traffico di influenze illecite. Dalle Sezioni Unite alla Riforma Nordio, cit.
[11] Cfr. la Relazione d’accompagnamento al disegno di legge n. 1189 presentato alla Camera dei Deputati, il 24 settembre del 2018, dall’allora Ministro della Giustizia On. Alfonso Bonafede, p. 2.
[12] Cfr. l’art. 266 del c.p., comma primo, lett. f), che consente il ricorso all’intercettazione per i fatti di disturbo o di molestia alle persone con il mezzo del telefono, e lett. f ter), che consente il ricorso a tale strumento per l’occupazione abusiva prevista dall’art. 630, secondo comma, del Codice penale.
[13] Sull’istituto cfr. MASULLO M.N., L’emersione del patto corruttivo: il nuovo fronte degli strumenti premiali e investigativi, in FIDELBO G., Il contrasto ai fenomeni corruttivi, dalla “Spazzacorrotti” alla riforma dell’abuso d’ufficio, Capitolo 4, p. 75 e ss.; sia consentito anche DE NOZZA G., La causa di non punibilità per la collaborazione processuale (art. 323 ter del c.p.), in Sistema Penale, pubblicato il 30 giugno 2022; BELLAGAMBA F., La non punibilità del delatore nei reati contro la pubblica amministrazione: praticabile compromesso o vera e propria chimera?, in Diritto penale contemporaneo, fascicolo n. 2 del 2021, pag. 141 e ss.; MASIERO A. F., La leva premiale nel prisma delle fattispecie corruttive. Brevi osservazioni a margine della causa di non punibilità ex art. 323 ter del c.p., in Archivio penale, fascicolo n. 2 del 2021, pag. 10 e ss.; MANES V., L’estensione dell’art. 4 bis ord. pen. ai delitti contro la p.a.: profili di illegittimità costituzionale, in Diritto penale contemporaneo, fascicolo n. 3 del 2019; CANTONE R. e MILONE A., Prime riflessioni sulla nuova causa di non punibilità di cui all’art. 323 ter del c.p., in Diritto penale contemporaneo, fascicolo n. 6 del 2019; Relazione del PROCURATORE NAZIONALE ANTIMAFIA ED ANTITERRORISMO del 19 ottobre del 2018, contenente le osservazioni sul disegno di legge, nella quale si formula, sulla causa di non punibilità, una “valutazione positiva perché stimola la collaborazione, rendendo precario l’accordo corruttivo, disincentivando il comune interesse a tacere”, pag. 10.
[14] L’operazione d’estensione è stata attuata tramite la riformulazione del comma 1, lett. a), dell’art. 9 della Legge 16 marzo 2006, n. 146, di ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre del 2000 ed il 31 maggio 2001.
[15] Nella relazione d’accompagnamento è stato scritto, alle pagg. 15, 16 e 17, che: “All’art. 1, comma 1, lett. p), per rimediare all’esclusione dall’ambito del penalmente rilevante della condotta di chi offre o promette il vantaggio al millantatore di influenza e, più in generale, per conformare fedelmente la normativa interna a quella sovranazionale, viene apportata una radicale modifica - in senso ampliativo – della fattispecie incriminatrice del traffico illecito d’influenze (art. 346 bis del c.p.) con riassorbimento nello stesso (nella stessa n.d.r.) delle condotte di millantato credito e contestuale abrogazione dell’art. 346 c.p. (art. 1, comma 1, lett. o)). Va precisato, al riguardo, che la doppia punibilità, sia di chi dà, sia di chi riceve il vantaggio indebito per il traffico illecito d’influenze, è imposta dalla necessità di adeguamento agli obblighi assunti sul piano internazionale, sia per effetto della citata Convenzione penale del Consiglio d’Europa del 1999, che all’art. 12 impone di incriminare……sia per effetto della Convenzione di Mérida…che all’art. 18, lett. a), impone agli Stati di incriminare…
Le convenzioni richiamate non distinguono la posizione degli aderenti al patto (il compratore e il venditore dell’influenza) entrambi ugualmente punite per le rispettive condotte. Né distinguono – e in tal senso insiste esplicitamente la raccomandazione da ultimo espressa dal GRECO – a seconda delle dinamiche intersoggettive sottese alla conclusione dell’accordo: nelle normative sovranazionali, l’eventuale “inganno” di una parte a danno dell’altra e il conseguente errore sul buon esito dell’operazione non incidono inalcun modo sulla configurabilità della fattispecie e sulla responsabilità dei soggetti coinvolti….
La riformulazione proposta all’art. 1, comma 1, lett. p), del disegno di legge…..prescinde dalla esistenza di un reale rapporto di influenza tra il mediatore e il pubblico agente e dall’eventuale inganno di una parte a danno dell’altra, rendendo punibile l’acquirente di influenza anche in quest’ultimo caso: il disvalore del fatto, del resto, sta nell’acquisto stesso di una mediazione “illecita”, condotta di per sé meritevole di sanzione, in quanto potenzialmente suscettibile di produrre influenze distorsive della funzione pubblica.”
[16] Cfr. la Relazione cit., p. 16.
[17] La convenzione è stata ratificata dall’Italia con la Legge 28 giugno 2012, n. 110, pubblicata nella G.U. n. 173 del 26 luglio 2012 ed entrata in vigore il giorno successivo.
[18]La convenzione è stata ratificata dall’Italia con la Legge 3 agosto del 2009, n. 116, pubblicata nella G. U. n. 188 del 14 agosto 2009 ed entrata in vigore il 15 agosto del 2009.
[19]Per il millantato credito previsto dal comma primo dell’art. 346 del c.p. era stata, infatti, prevista la pena della reclusione da uno a cinque anni e la multa da 309 a 2065 euro, mentre per il millantato credito c.d. “corruttivo”, quello, cioè, previsto dal secondo comma dell’art. 346 del c.p., era stata prevista la pena della reclusione da due a sei anni e la multa da 516 a 3098 euro; a fronte di una pena per il delitto di traffico di influenze illecite che il legislatore del 2012 aveva selezionato nella meno grave misura da uno a tre anni di reclusione.
[20] Cfr., tra gli altri, MONGILLO V., Il traffico di influenze illecite nell’ordinamento italiano: crisi e vitalità di una fattispecie a tipicità impalpabile, in Sistema penale, pubblicato il 2 novembre 2022.
[21]Nella relazione d’accompagnamento al Disegno di Legge n. 1189 è stato scritto alla pag. 2: “..La distorsione delle funzioni amministrative altera i meccanismi della competizione fra imprese e fra individui, favorendone alcune o alcuni a danno di altri, a prescindere dalle effettive qualità imprenditoriali o professionali dei soggetti coinvolti. Ne risultano danneggiate complessivamente l’economia, la crescita culturale e sociale del Paese, l’immagine della pubblica amministrazione e la fiducia stessa dei cittadini nell’azione amministrativa. Consentire la sedimentazione di simili fenomeni può portare alla disgregazione dello Stato di diritto, come incisivamente denunciato nel preambolo della Convenzione di Mérida….”
Nel preambolo della Convenzione di Mérida si è, invece, scritto: “Gli Stati Parti della presente Convenzione, preoccupati della gravità dei problemi posti dalla corruzione e della minaccia che essa costituisce per la stabilità e per la sicurezza della società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo Stato di diritto; preoccupati anche dei nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità, in particolare la criminalità organizzata e la criminalità economica, compreso il riciclaggio del denaro…..”
[22] Cfr. la Relazione cit., pag. 2.
[23] Cfr. la Relazione cit., pag. 12.
[24] Si riporta, per quanto qui d’interesse, il testo della Raccomandazione V del GRECO:
- Il GRECO ha raccomandato di qualificare come reato il traffico attivo e passivo di influenza ai sensi dell’articolo 12 della Convenzione penale sulla corruzione (ETS 173).
- Il GRECO ha ritenuto che fossero necessari ulteriori adeguamenti per la conformità con i requisiti dell’articolo 12 della Convenzione penale ed ha pertanto valutato la raccomandazione V come attuata solo in parte. Più in particolare, il GRECO ha osservato che l’articolo 346 bis del Codice penale richiede l’esistenza di un rapporto di influenza tra il l’autore del traffico di influenza e il funzionario, mentre la semplice asserzione di influenza a tal fine è sufficiente ai sensi della Convenzione (“…sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale….”). L’articolo 346 del c.p., che contempla casi in cui l’autore del traffico di influenza finga solamente di avere un’influenza, non contempla il lato attivo (vale a dire colui che offre il vantaggio all’autore del traffico di influenza). Ne consegue che la normativa italiana non è ancora pienamente conforme con i requisiti dell’articolo 12 della Convenzione penale.
- Le autorità italiane non aggiungono alcuna nuova informazione a ciò che è stato già valutato dal GRECO nel suo precedente rapporto di conformità, se non il fatto che l’Italia abbia rinnovato le riserve espresse rispetto all'articolo 12 della Convenzione penale sulla corruzione sul traffico di influenza: in primo luogo, che si riserva il diritto di non qualificare come reato, ai sensi del proprio diritto interno, la condotta di cui all'articolo 12 della Convenzione, salvo quando la stessa è posta in essere nel contesto di una relazione esistente tra l'autore del traffico di influenza e le persone di cui agli articoli 2 e 4 della Convenzione e a remunerare la messa in atto di una condotta contraria ai doveri, al servizio o all’astensione o al ritardo di un atto di servizio. In secondo luogo, l’Italia ha dichiarato che si riserva il diritto di non qualificare come reato la condotta di traffico di influenza come definita all’articolo 12 della Convenzione, al fine di esercitare una influenza indebita, come definita nel predetto articolo, sul processo decisionale delle persone di cui agli articoli 5, 6 e da 9 a 11 della Convenzione.
- Il GRECO può solamente ribadire le osservazioni espresse nel precedente rapporto di conformità in merito alle pendenti lacune normative nella qualificazione come reato del traffico di influenza (si veda paragrafo 30) e, in assenza di nuovi sviluppi in questo campo, conclude che la raccomandazione V rimane attuata in parte.
[25] Cfr. la Relazione cit., p. 16.
[26] Conformi sul tema Cass. Pen. Sezione sesta del 19 giugno 2019, n. 51124; Cass. Pen. Sezione sesta del 6 febbraio 2020, n. 7971; Cass. Pen. Sezione sesta del 7 ottobre 2020, n. 1869; Cass. Pen. Sezione sesta 21 ottobre 2020, n. 16781; Corte d’Appello di Lecce del 3 maggio 2021, n. 271; Cass. Pen. Sezione prima del 5 maggio 2021, n. 23877; Cass. Pen. Sezione sesta del 12 maggio 2021, n. 35581; Cass. Pen. Sezione seconda del 10 novembre 2021, n. 43329; Cass. Pen. Sezione sesta del 22 marzo 2022, n. 20935; Tribunale di Taranto del 23 marzo 2022, n. 246; Cass. Pen. Sezione sesta del 26 maggio 2022, n. 32574; Cass. Pen. Sezione sesta del 13 settembre 2022, n. 657.
[27] Cfr. Sentenza “Nigro”, pag. 5.
[28] Cfr. Sentenza “Nigro”, pag. 5.
[29] Conformi sul tema Cass. Pen. Sezione sesta del 2 febbraio 2021, n. 28657; Cass. Pen. Sezione sesta dell’8 giugno 2021, n. 26437; Cass. Pen. Sezione sesta del 10 marzo 2022, n. 23407; Cass. Pen. Sezione sesta del 12 dicembre 2022, n. 11342; Cass. Pen. Sezione sesta del 15 settembre 2023, n. 47671; Corte d’Appello di Napoli del 29 novembre 2023, n. 15168.
[30] Cfr. Sentenza “Impeduglia”, pag. 4 e ss.
[31] Cfr. Sentenza “Impeduglia”, pag. 4 e ss.
[32] Cfr. Sentenza “Impeduglia”, pag. 5 e ss.
[33]In dottrina per un approfondito commento alla citata ordinanza di rimessione e al contrasto giurisprudenziale che l’ha preceduta cfr. GAMBARDELLA M., I rapporti intertemporali fra l’abrogato millantato credito, l’attuale traffico di influenze illecite e la truffa: il contrasto giurisprudenziale rimesso alle Sezioni Unite, in Cassazione Penale n. 12 del 2023, pag. 3950 e ss.
[34] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pag. 13.
[35] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pag. 15.
[36] Cfr. art. 12 delle Preleggi, a tenore del quale “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore………”
[37] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pag. 16.
[38] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pagg. 17 e 18.
[39] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pag. 18.
[40] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pag. 20.
[41] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pag. 21.
[42] Cfr. Sezioni Unite “Mazzarella”, pagg. 23 e 24.
[43] Cfr. GATTA G., La Legge Nordio e il “soffocamento applicativo” del traffico di influenze illecite. Tra parziale abolitio criminis e profili di illegittimità costituzionale per violazione di obblighi internazionali, in Sistema Penale, pubblicato il 16 luglio 2024.
[44] Cfr. Relazione cit., pag. 4.
[45] Cfr., sia consentito, DE NOZZA G., Il delitto di traffico d’influenze illecite e il confine con il lobbying, in Sistema Penale, pubblicato il 22 settembre 2023.
[46] GATTA G., cit.
[47] L’abolitio criminis dello sfruttamento delle relazioni millantate dovrebbe aprire la strada alla revoca delle sentenze definitive di condanna secondo GATTA G., Abuso d’ufficio e traffico d’influenze dopo la Legge n. 114 del 2024:il quadro dei problemi di diritto intertemporale e le possibili questioni di legittimità costituzionale, in Sistema Penale, pubblicato il 26 agosto 2024, pag. 14; nonché secondo MONGILLO V., Splendore e morte del traffico di influenze illecite. Dalle Sezioni Unite alla riforma Nordio, cit., pag. 28.
[48] L’abolitio criminis dello sfruttamento delle relazioni esistenti in relazione alle quali sia stata fissata una contropartita dal contenuto non economico dovrebbe aprire la strada alla revoca delle sentenze definitive di condanna secondo GATTA G., Abuso d’ufficio e traffico d’influenze dopo la Legge n. 114 del 2024:il quadro dei problemi di diritto intertemporale e le possibili questioni di legittimità costituzionale, in Sistema Penale, pubblicato il 26 agosto 2024, pag. 15.
[49] Secondo GATTA G., Abuso d’ufficio e traffico d’influenze dopo la Legge n. 114 del 2024:il quadro dei problemi di diritto intertemporale e le possibili questioni di legittimità costituzionale, cit., pag. 14, l’espressione “intenzionalmente allo scopo” è tanto tecnicamente infelice quanto sprovvista di una significativa capacità selettiva, limitandosi, più semplicemente, a rendere esplicito ciò che prima era solo implicito nell’art. 346 bis del c.p. e, cioè, che lo sfruttamento delle relazioni esistenti tra il mediatore e il decisore pubblico dovesse avere di mira proprio il traffico d’influenze.
[50] Cfr. GATTA G., Abuso d’ufficio e traffico d’influenze dopo la Legge n. 114 del 2024:il quadro dei problemi di diritto intertemporale e le possibili questioni di legittimità costituzionale, cit., pag. 12, secondo il quale tale valutazione dovrà tenere conto del fatto che la Legge “Nordio” ha innalzato il minimo edittale della fattispecie ma, nel contempo, ha esteso ad essa la causa di non punibilità prevista dall’art. 323 ter del c.p. e la circostanza attenuante prevista dal comma secondo dell’art. 323 bis del medesimo Codice.
[51] Cfr. GATTA G., Abuso d’ufficio e traffico d’influenze dopo la Legge n. 114 del 2024:il quadro dei problemi di diritto intertemporale e le possibili questioni di legittimità costituzionale, cit., pag. 17. Per un approfondito commento a tale pacchetto di misure cfr. SALAZAR Lorenzo e CLEMENTUCCI Francesco, Per una nuova anticorruzione europea: Eu-rbi et orbi, in Sistema Penale, pubblicato il 19 luglio 2023.
[52] Per un approfondito commento alla proposta di direttiva citata cfr. SALAZAR Lorenzo e CLEMENTUCCI Francesco, Per una nuova anticorruzione europea: Eu-rbi et orbi, in Sistema Penale, pubblicato il 19 luglio 2023.
Immagine: Piero del Pollaiolo, Temperanza (particolare), tempera grassa su tavola, 1470, Galleria degli Uffizi, Firenze.