Tutta un’altra storia
Recensione di Dino Petralia
Si può decidere di scrivere per inseguire un sogno, per lanciare una protesta, un’accusa sociale, oppure per consacrare una confessione o togliersi uno scrupolo. Ma si può scrivere anche per omaggio, confezionando una storia dedicata, un dono al sentimento di riconoscenza. Ed è il caso di “Tutta un’altra storia”, racconto di verità intima di un figlio che ha perso il padre per mano mafiosa e che, con orgogliosa resistenza, ma senza salvifici velleitarismi, asseconda con la scrittura l’affettuosa presunzione di cambiare la tragica vicenda, ricostruendola a modo suo nel doloroso intento di riappropriarsi del genitore.
Per la cronaca Antonino Burrafato, sottufficiale degli Agenti di Custodia - così all’epoca si chiamava l’odierna Polizia Penitenziaria - matricolista in servizio al carcere dei Cavallacci di Termini Imerese, fu assassinato il 29 giugno 1982 da quattro sicari di Cosa Nostra perché considerato “colpevole” di avere tempestivamente effettuato la notifica di un provvedimento cautelare al detenuto Leoluca Bagarella, così di fatto impedendo l’esecuzione di un permesso di necessità che il boss avrebbe dovuto fruire per recarsi in visita al genitore morente. Per la mafia una sollecitudine ritenuta insolente e offensiva, tanto da avere innescato un verdetto di morte per lo scrupoloso brigadiere. Collaborazioni interne al sodalizio consentirono successivamente di svelare fatti e movente fino al definitivo giudizio penale.
Senza svelare nulla di un libro in bilico tra realtà e immaginazione, gradevole e commovente insieme, cadenzato in una scrittura graziosamente espressiva anche nel vezzo camilleriano di intercalare qua e là vocaboli dialettali siciliani così da radicarne efficacemente - ed orgogliosamente - la matrice isolana, può dirsi che appaiono sostanzialmente pagine dense di vita familiare, autobiografiche nel privato e nel pubblico, un libro organizzato come un girotondo intorno ad una figura amatissima e autorevolmente protettiva, quella di papà Nino, e ingegnosamente arricchito di un altro sé di famiglia, che il narratore fa debuttare come suo gemello, Nicola. Sfrontato ed estroso, attraente nei suoi slanci e trascinante, un fratello inventato in cui specchiarsi e interrogarsi, la sparizione del quale, ad un tratto della storia, acuisce la curiosità di approfondirne la conoscenza attraverso i suoi appunti che lui Totò freneticamente legge ricostruendo stati d’animo e scoprendone insondate e gratificanti virtù morali e sociali.
Una seconda figura compare poi nel solco del racconto ed è quella del Commissario Galvano, poliziotto ed investigatore verace in perfetto stile siculo, amico fedelissimo del padre, ben conscio del rischio corso da questi per l’affronto fatto in carcere al capomafia corleonese e latore in casa Burrafato della notizia che il solerte brigadiere era ormai nel mirino di Cosa Nostra. Dipinto caratterialmente crudo e di brusche maniere, l’alone del suo profilo è tuttavia quello di schietta e protettiva sincerità per l’amico Nino; è Galvano alla fine ad essere scelto dall’autore per fare da collante all’intera storia, dialogando con padre e figlio come un intimo familiare e raccontando col silenzio delle sue carte investigative, incustodite sul tavolo di casa Burrafato, la trama del delitto come fosse tutta un’altra storia, e non quella tragica dell’irreprensibile brigadiere.
Il delicato intento di Totò è dunque quello di ricostruire con la penna i fatti come se accaduti al suo cospetto, nell’illusione che un calore corale - quello che invece è mancato sulla strada del delitto - possa essere d’ausilio al passaggio; e così, dopo avere anticipato tra le pagine sanguinanti premonizioni, finisce per coagularle tutte nel finale, dove, senza tempo o meglio in un tempo contemporaneo del prima e del dopo, compaiono tutti come personaggi e interpreti di una tragedia accanto al papà in abito scuro, in una toccante composizione scenica in cui fa da sfondo l’istituto dei Cavallacci già intestato al V. Brig. Antonino Burrafato.
Pagine da leggere tutte d’un fiato, senza cedimenti ma con la fierezza della partecipazione, quella stessa fierezza di chi ha indossato una divisa grigio sbiadito, quasi un grigio topo con la mente e il cuore di fedele servitore dello Stato.