ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. Si riaccende la “polemica” sul contributo di Piero Calamandrei al codice di procedura civile del 1940. – 2. Colloquiano studiosi e processualisti. – 3. Il tema discìvelato: i poteri del giudice.
1. Si riaccende la “polemica” sul contributo di Piero Calamandrei al codice di procedura civile del 1940
Occupandosi della storia del diritto processuale civile nel Novecento italiano, è fatale imbattersi nel lungo e densissimo processo di lettura di Piero Calamandrei – inteso come personaggio pubblico – e delle sue opere, dottrinali e “legislative”.
Ci si potrebbe dunque chiedere perché ora uno storico del diritto intenda ripensare questo processo noto, e più volte commentato, e ritenere di poter dare un qualche nuovo contributo di conoscenza.
Forse, una domanda ancora da porsi è non tanto cosa sia stato scritto su Calamandrei o chi abbia scritto cosa, ma perché un certo studioso, in un determinato momento, abbia sentito la necessità di formulare un giudizio, trarre una conclusione, correggere un'immagine; oppure se questa lunga riflessione non sia servita (anche) a parlare di qualcos'altro, meno evidente rispetto alla formidabile vicenda storica del codice di procedura civile del 1940.
Lo spunto l'ho trovato nella rinascita di una discussione che aveva preso le mosse pochi anni dopo l'emanazione del codice di procedura civile del 1940. Questa iniziale discussione fu una vera e propria polemica sulla natura del contributo calamandreiano al codice e, dunque, sul suo “vero” orientamento politico[1].
Stavolta sul palco, assieme a Calamandrei convitato di pietra, ci sono Michele Taruffo, Franco Cipriani e Giulio Cianferotti.
È il 2009, e sulle pagine delle due più antiche e prestigiose riviste italiane di diritto processuale civile si (ri)accende una serrata discussione.
Tutto parte da un lavoro di Girolamo Monteleone, Intorno al concetto di verità “materiale” o “oggettiva” nel processo civile[2].
Si tratta di un articolo in cui l'autore riflette sul fatto che concetti appartenuti, o dati per esclusivamente appartenuti, ad ordinamenti giuridici “defunti”, come quello della DDR, non siano poi così esotici, anche in paesi di (ora) indiscussa matrice democratica, come il nostro.
Per portare a termine questa comparazione, Monteleone sceglie la teoria processualistica per come illustrata, a suo dire, da Calamandrei e da Carnacini e quella del Kellner, commentatore dell'Ordinanza della procedura civile, emanata nel 1975 nella Repubblica democratica tedesca[3].
Ebbene, a parere dell'autore, “le analogie sono impressionanti. I capisaldi teorici sono identici: l'accertamento della verità materiale, il giudice attivo dotato di ampi ed insindacabili poteri, la funzione dell'avvocato, la collaborazione tra parti e giudice, oralità-immediatezza-concentrazione, ecc.”[4].
Questa “impressionante analogia” avrebbe poi trovato soluzione con il disfacimento, da un lato, della DDR e, dall'altro, con l'entrata in vigore della nostra Costituzione.
Nelle tredici pagine del lavoro di Monteleone, Michele Taruffo viene citato una volta sola, peraltro in nota, con il suo articolo Poteri istruttori del giudice e delle parti in Europa, apparso nel 2006 sulla “Trimestrale”, assieme a quello di Chiarloni, Il presente come storia: dai codici di procedura civile sardi alle recentissime riforme e proposte di riforma, sempre sulla “Trimestrale” del 2004[5].
Se alle figure di Calamandrei e Carnacini viene tributato l'omaggio dovuto a due maestri della processualistica[6], pur velatamente “accusati” di aver traghettato nel codice del 1940 il concetto di interesse pubblico, nella citazione di Taruffo e Chiarloni sembra nascondersi un vero bersaglio, anche se diverso da quello che ci si potrebbe immaginare.
Si comincia a sospettare, in effetti, che si parli dei padri nobili per alludere a questioni concrete, molto meno storiche ed assai più tecniche.
Comunque, a distanza di pochi mesi, sempre sulla “Trimestrale”, Michele Taruffo pubblica un severissimo commento al lavoro di Monteleone, sferzando con caustica ironia sia lo studioso che le idee[7].
Torneremo più avanti sul contributo di Taruffo.
Continuiamo invece a svolgere la catena degli eventi, oramai inarrestabile.
A stretto giro, sulla rivista da lui co-fondata, appare la risposta di Cipriani[8] che pure, stimolato da Taruffo, evoca un lavoro di Giulio Cianferotti[9].
Orbene, i contendenti (Monteleone, Taruffo, Cipriani) rimangono presto in due, visto che “l'iniziatore” della polemica, Monteleone, dopo aver inviato alla “Trimestrale” una stringata replica sulle “idee confuse del Prof. Taruffo”[10], tace.
La circostanza veramente interessante è che Taruffo, rispolverando la “trita polemica” sul “Calamandrei fascista o collaboratore del fascismo”[11] ne attribuisce la paternità a Franco Cipriani e non, come sarebbe stato legittimo attendersi, anche a Giovanni Tarello.
In questo senso abbiamo parlato di una continuazione dell'originario dibattito, intendendo una parziale (forse soltanto apparente) sostituzione di uno dei primi protagonisti con un altro.
Per quale ragione Taruffo evoca il giudizio di Franco Cipriani quando, come si sa, la questione del Calamandrei “fascista” e del codice “autoritario” è inizialmente frutto della riflessione tarelliana[12]?
Nel suo notissimo lavoro del 1977[13] Tarello imputò a Calamandrei un “ambiguo relativismo”, l'essere stato cioè un antifascista (in nessun luogo troviamo diversa affermazione), fautore però di una politica del diritto più o meno direttamente mutuata da Chiovenda e, dunque, autoritaria[14].
Più precisamente, Tarello legge il lavoro di Calamandrei dedicato alla relatività del concetto di azione e giunge ad individuare “l'operazione politica” condotta dal giurista in questi termini: “gli ordinamenti in cui più si è andati innanzi nella distruzione del diritto privato e nella lotta al diritto soggettivo, insinua Calamandrei, sono due: quello germanico nazista e quello sovietico: là le nuove concettualizzazioni dell'azione sono dunque idonee come strumenti di interpretazione e descrizione dell'intero ordinamento e della sua parte quantitativamente prevalente. In Italia, invece, l'autorità dello Stato si afferma come autorità della legge: perciò la concettualizzazione di Chiovenda non solo rispecchia di fatto, quantitativamente, gli aspetti prevalenti dell'ordinamento, ma deve anche presiedere alla riforma e alla sua interpretazione”[15].
Nel 1973, nel primo numero dei “Materiali”, Tarello aveva già dedicato un lungo contributo alla figura di Chiovenda[16].
Se ne ricava un'impressione difficile da decifrare: da un lato, Chiovenda è senz'altro dipinto come l'anima antica del codice di procedura civile fascista[17]; dall'altro, è visto come il più feroce guardiano della supremazia della legge[18], della legalità, anche lui “assillato dalla legalità”, come più tardi sarà il suo allievo Calamandrei.
È stato forse Paolo Grossi, in un contributo uscito sempre nel 2009, a restituire al meglio la fede profondissima di Calamandrei nella legge[19]; qui vale la pena riportare un passaggio che ci aiuterà poi a dipanare la nostra vicenda: “egli [Calamandrei] è legalista anche perché gli fanno orrore le vicine esperienze europee totalitarie, la nazista e la sovietica, dove si ben oltre gli orientamenti del 'diritto libero' di marca kantorowicziana e dove il giudice, soltanto perché ferreamente aderente alla ideologia dominante, può permettersi un arbitrio pressoché illimitato. Calamandrei ritorna parecchie volte sul punto, facendo continui riferimenti alla Germania nazional-socialista e alla Russia sovietica, spettri da esorcizzare percorrendo una strada protetta dagli argini alti di un rigido legalismo”[20].
2. Colloquiano storici e procesualisti
Evidentemente, c'è qualcosa che non torna.
Abbiamo visto Monteleone giudicare Calamandrei come uno dei forgiatori dell'idea di giudice occhiuto e senza limiti, che facilmente può scavalcare le maglie del codice per cercare la verità anche oltre le allegazioni di parte.
Tarello invece scinde nel pensiero calamandreiano la paura dei regimi totalitari e la necessaria vocazione chiovendiana del nostro codice di procedura, baluardo (fascista?) della legalità.
Grossi trova uno dei motivi forti del legalismo di Calamandrei proprio nella volontà di prendere le distanze dalle derive del nazismo e del socialismo reale.
Riprendiamo allora, forti di questi primi indizi, il tagliente commento che Taruffo indirizza a Monteleone ed in cui si trova, ma altri ne troveremo, un'impressionante moltiplicazione di aggettivi, quasi il “cumulo aggettivale” di cui si ricorda come maestro William Faulkner[21].
Ecco dunque che Taruffo e Chiarloni sono “pericolosi eversori antidemocratici”[22]; l'accusa di fascismo, mossa a Calamandrei è (con le parole di Galante Garrone) “inconsistente, stolida e malvagia”[23]; l'iniziativa di far pubblicare in Italia I volti della giustizia e del potere. Analisi comparatistica del processo di Mirjan Damaška è “surrettiziamente eversiva”[24]; e viene citato Giulio Cianferotti, “uno storico serio e documentato e non mosso da pregiudizi ideologici”[25].
Il confronto tra Calamandrei, Carnacini, Taruffo, Galante Garrone, Cianferotti, Damaška, da una parte, e Monteleone dall'altra, assomiglia molto ad una crociata, in cui le forze del “bene”, sotto l'egida di un santificato Calamandrei, sfidano le forze del “male”, negatrici di una versione storica che appare dibattuta ma che, in fin dei conti, tale non dovrebbe essere.
Eppure Taruffo sceglie di chiamare in soccorso il quasi coevo lavoro di Cianferotti, lo storico “serio e documentato e non mosso da pregiudizi ideologici”.
Come dire che lo storico mosso da pregiudizi ideologici non è né serio né documentato il che, temiamo, sia conclusione un po' frettolosa.
Non vogliamo qui entrare in vicende complesse, che ci porterebbero ben fuori dalla rotta che ci siamo prefissati; dobbiamo però tenere a mente che Taruffo invoca il lavoro di Cianferotti non solo perché poggia su solide basi di ricerca ma anche perché è concepito da un autore “immune dal pregiudizio ideologico”.
Floriana Colao, nel suo contributo dedicato alla “vigilia” dell'entrata in vigore del codice di procedura civile, notava però che “la polarità tra autoritarismo e liberalismo come 'ideologie' del processo civile non sembra dunque una chiave di lettura appagante per leggere il pensiero di Calamandrei […]. Dal 1920 la mediazione tra interesse individuale e pubblico, autonomia privata e poteri del giudice, segnava l'impegno di Calamandrei nel processo riformatore approdato al codice del 1940”[26].
Il contributo di Taruffo gioca invece tutto sulla polarità (“fascisti”/”comunisti”; “buoni”/“cattivi”; “eversori”/“conservatori”) ma, per “segnare il punto”, chiama in aiuto lo studioso “non mosso da pregiudizi ideologici”.
Leggiamo allora, con le parole di Taruffo, il contributo di Giulio Cianferotti: “[l'autore] illustra una tesi di fondo perfettamente condivisibile, secondo la quale Calamandrei non solo non fu interprete di una ideologia fascista del processo civile (ideologia che – aggiungo io – non esisteva neppure), ma operò nel senso di evitare che il codice seguisse la deriva dell'ideologia nazista che – quella sì – implicava la violazione dei principi fondamentali dello Stato di diritto”[27].
Cianferotti ricostruisce il rapporto tra Calamandrei ed il codice di procedura partendo dalla “cronaca martellante” che il giurista tiene degli “attacchi che si succedevano al principio di legalità” e della “crisi dell'ordinamento giuridico contemporaneo, e di quel concetto di diritto soggettivo, che finora ne costituiva il pilastro centrale ed ora era oggetto della aperta guerra mossa dalla dottrina e dalle riforme del processo civile nella Germania nazionalsocialista e nella Russia sovietica”[28]; da questa preoccupazione, con lo sguardo volto al “pauroso orizzonte d'Oltralpe”[29], Calamandrei trae la forza per condurre “una battaglia di posizione, di difesa statica dei principi dello Stato di diritto”[30].
Secondo Cianferotti, dunque, “la tesi storiografica delle 'cattive azioni' di Calamandrei, dell'ambiguità 'dei suoi atteggiamenti culturali e dei suoi ruoli istituzionali', della sua presunta riduzione del principio di legalità, della 'autorità della legge', ad affermazione della 'autorità dello Stato', di aver partecipato alla redazione di un 'codice illiberale e autoritario' e averne scritto la Relazione ministeriale, troppo 'sfacciatamente fascista', 'dichiaratamente ed ostentatamente fascista', 'fascistissima', non pare considerare quella particolare tecnica letteraria […] 'in cui la verità sulle questioni cruciali appare esclusivamente tra le righe'; non pare tenere conto dei diversi livelli di senso che quella scrittura cela e disvela ad un tempo”[31].
A questo punto, dobbiamo introdurre l'ultimo studioso in gioco, ossia Franco Cipriani, considerato da Taruffo l'agitatore della polemica sul “Calamandrei fascista”.
Cipriani, nel suo intervento, si confronta molto garbatamente con Cianferotti, in parte condividendo, in parte criticando la “nuova interpretazione di Calamandrei”.
Il discorso, ovviamente, riserva considerazioni ben più caustiche all'indirizzo di Taruffo.
Cipriani tiene soprattutto a precisare di non aver mai considerato Calamandrei un fascista ma di aver semmai sostenuto che questi collaborò con il fascismo[32], collaborò alla stesura di un codice dal carattere “illiberale e autoritario”, disseminato di criticabili istituti[33] che, peraltro, nemmeno il passaggio ad uno Stato costituzionale sembra riuscito ad eliminare[34].
L'interpretazione di Cianferotti, sottolineando, secondo Cipriani, che “nel 1939-40 ci si trovava in una dittatura, di fronte alla quale Calamandrei dovette fare non poche piroette”, corrobora la sua idea: “io sto dicendo e ridicendo che Calamandrei collaborò con Grandi nel varare un codice illiberale e autoritario, ma ho sempre precisato che egli non poteva certo permettersi di rifiutare di collaborare e che il carattere illiberale e autoritario del codice non fu certo voluto o deciso da lui. Anzi, ho sempre dato atto che, dai documenti dell'epoca, risulta con innegabile evidenza che egli fece il possibile per limitare i danni per i diritti delle parti”[35].
Insomma, conclude Cipriani, “Taruffo non aveva motivo di oppormi tanto entusiasticamente l'interpretazione di Cianferotti”.
C'è però un passaggio del contributo di Cipriani che ci mette, almeno in parte, sull'avviso.
L'autore ammette che la sua interpretazione non abbia avuto grande successo tra i processualcivilisti, principalmente a causa del fatto che essi “preferiscono non ammettere che il codice fosse illiberale e autoritario: essi, infatti, pongono il codice al di fuori del tempo e dello spazio, limitandosi a ricordare che lo si varò con l'aiuto di Calamandrei, Carnelutti e Redenti, tre nomi che a loro avviso sarebbero una garanzia della assoluta neutralità ideologica del codice”[36].
Ritorna dunque il concetto di neutralità, di “neutralità ideologica”.Vi è dunque chi ha tentato di ricostruire la vicenda di Calamandrei e del codice di procedura in termini potentemente ideologizzati, come Giovanni Tarello; chi ha scisso la vicenda umana del giurista da quella legislativa, o meglio, l'operazione condotta dai tecnici del diritto da quella “di facciata”, promossa da Grandi e dal regime. E sappiamo ormai bene, proprio grazie alla riflessione di Giulio Cianferotti e Franco Cipriani, che l'insegnamento chiovendiano servì a qualcosa di “altro”, rispetto all'idea forse troppo semplice del grande maestro che addirittura precorre con la sua teoria l'inverarsi del nuovo codice di procedura[37].
Abbiamo ripercorso, seppur sinteticamente, il contenuto degli scritti che hanno animato la “seconda trita polemica” e possiamo ora chiederci se questo dialogare non abbia al suo interno anche una voce ulteriore, nascosta dal dibattito su Calamandrei ma ad esso, quasi furtivamente, intrecciata.
Cosa è accaduto nel nostro, dottrinalmente vivacissimo, anno 2009?
3. Il tema disvelato: i poteri del giudice
Cosa può aver spinto Monteleone a riflettere su analogie tra il nostro processo civile e quello della ex DDR? Cosa può aver spinto Taruffo a difendere, chiamando in aiuto Giulio Cianferotti, la figura di Calamandrei da qualunque sospetto di “fascismo” e Cipriani a ribadire la sua sostanziale estraneità a questa lettura politica del giurista fiorentino?
La risposta, forse parziale ma assai suggestiva, la troviamo nella recensione che Bruno Cavallone dedica ad un lavoro di Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, uscito per Laterza giust'appunto nel 2009[38].
Cavallone polemizza amichevolmente con Michele Taruffo, sul “tema inesauribile dell'accertamento della verità nel processo”[39] e, “polemizzando”, ci dà ottimi spunti di riflessione.
Il “tema dei poteri istruttori del giudice”, ci ricorda Cavallone, trae origine da una distinzione “inventata” dalla dottrina tedesca e coltivata anche da noi, tra “principio dispositivo” e “principio inquisitorio”, quest'ultimo da intendersi in senso solo “processuale o improprio”[40].
Cavallone racconta: “è accaduto così che, nei convegni internazionali di qualche decennio addietro, si sia spesso e ampiamente discettato dei poteri istruttori del giudice (civile), e dunque del confronto tra il giudice 'attivo' nella ricerca della verità e quello 'passivo', cioè ridotto al ruolo di spettatore inerte delle iniziative probatorie delle parti, come del discrimine più significativo tra i sistemi processuali 'privatistici' o 'individualistici' o 'liberali' (cioè conservatori) e quelli ispirati ad opposte ideologie 'pubblicistiche' o 'sociali' (dunque in linea di massima più evoluti, purché non sospettabili di 'autoritarismo', di destra o di sinistra)”[41].
Ecco dunque che alcune parti della nostra narrazione tornano in maniera inaspettata, ecco riapparire parole, aggettivi, concetti che abbiamo già incontrato: ricerca della verità, sistemi privatistici o pubblicistici, destra o sinistra.
Ma proseguiamo nella lettura di Cavallone.
Dopo aver dato atto che Taruffo conferma, anche in questo ultimo lavoro, la sua tesi tradizionale, secondo la quale l'esigenza di accertamento della verità presuppone “un incremento dei poteri del giudice”[42], l'autore ricorda opportunamente che nel codice del 1940, tacciato di autoritarismo anche per aver previsto, giust'appunto, un rafforzamento dei poteri del giudice[43], non vi era traccia di elementari strumenti di accertamento probatorio, come ad esempio quello di poter ordinare alle parti l'esibizione di documenti citati ma non prodotti[44].
Si giunge così ad un'equazione (apparentemente) solida, ovvero maggiori poteri del giudice uguale codice autoritario, o la sua variante politica, ovvero Calamandrei “ideatore” del codice autoritario uguale Calamandrei fascista.
È immediata la reazione di fastidio che proviamo di fronte a questa semplificazione, che però ci induce a domandarci come mai si sia finito con il mescolare, assai malamente, una questione di tecnica giuridica, come l'articolazione dei poteri istruttori del giudice, con quella del giudizio (politico) su Piero Calamandrei.
È ancora Cavallone a darci un buon indizio.
“A questo punto mi sembra però doveroso esprimere a Michele consenso e solidarietà su due non trascurabili aspetti delle sue posizioni […]. Il secondo concerne […] le polemiche riaccesesi in questi anni, nella dottrina italiana e in quella iberica, circa il presunto significato 'autoritaristico' e 'antidemocratico' dei poteri istruttorii del giudice civile. Anche qui credo che Taruffo abbia ragione nel negarlo, e abbia fatto bene (in uno scritto recentissimo) a difendersi vivacemente dalle accuse di vetero-comunismo rivoltegli da quelli che egli definisce 'neo-vetero-liberali' […].
All'inasprimento e alla scarsa chiarezza di questo dibattito hanno probabilmente contribuito due importanti fattori negativi. L'uno, di carattere storico-politico, è quello dell'essersi la polemica intrecciata con quella relativa alla matrice culturale del codice Grandi […], e alla coerenza politica e morale di Piero Calamandrei, che di quel codice fu 'relatore' e in larga parte estensore”[45].
Dunque l'idea di partenza, che dietro le varie polemiche su Calamandrei si celasse altro, trova almeno parziale conferma.
Parziale nel senso che discutere su Calamandrei non serve a “nascondere” un altro tema, come avevamo ipotizzato, bensì discutere su Calamandrei – almeno in un dato periodo della dottrina processualcivilistica italiana – equivale a discutere del tema dei poteri istruttori del giudice[46].
Naturalmente, ne discutono appunto i processualcivilisti che a volte, lo abbiamo visto, coinvolgono anche gli storici del diritto.
Riprendendo il contributo di Taruffo sui poteri probatori delle parti e del giudice, si capisce però che questa commistione è epistemologicamente sterile e del tutto inidonea a descrivere sia i modelli processuali che la forma di Stato in cui questi modelli si sono collocati.
Secondo Taruffo, infatti, “non esiste alcuna connessione tra l'attribuzione al giudice di più o meno ampi poteri di iniziativa istruttoria e la presenza di regimi politici autoritari ed antidemocratici […]. Ancora una volta, tuttavia, emerge l'esigenza fondamentale di evitare confusioni concettuali ed ideologiche: un sistema può non ispirarsi all'ideologia del liberalismo ottocentesco, senza con questo cessare di essere democratico, e soprattutto senza diventare autoritario o totalitario sol perché si attribuisce al giudice un ruolo attivo nell'acquisizione delle prove”[47].
Si capisce che Taruffo, inizialmente, sarebbe propenso a tralasciare del tutto il complicato intreccio tra tecnica processuale, ossia poteri del giudice, e politica legislativa, ossia Piero Calamandrei.
Però poi, nel 2009, anche lui non può fare a meno di gettarsi in questa irresistibile controversia, spiegando di fronte al lettore la scacchiera con i bianchi e con i neri.
È possibile dunque che la citazione del lavoro di Cianferotti, lo studioso scevro da pregiudizi ideologici, abbia consentito a Taruffo di “giocare” la grande partita dell'interpretazione di Calamandrei, anche con uno strumento concettuale di non esclusiva appartenenza processualcivilistica e, dunque, con uno strumento non segnato dal binomio tecnica/politica del diritto.
Alla fine, che sia questo un intreccio più o meno inossidabile, ce lo ricorda proprio il nostro convitato di pietra.
Nel 1951, parlando della teoria di un “maestro del liberalismo processuale”, James Goldschmidt, Calamandrei dice che “nel processo civile […] due concezioni si contrastano il campo (ma spesso vengono a patti e se lo dividono): quella che affida la ricerca della verità alla responsabilità e alla discrezione del giudice, dinanzi al quale le parti appaiono come oggetto passivo di indagini alla mercé dell'interesse pubblico, e quella che affida lo svolgimento del processo soprattutto allo stimolo dei contrapposti interessi di parte, e che conta, per la riuscita della giustizia, sulla collaborazione e sulla responsabilità dei contendenti […]. È noto che questi due modi di concepire la amministrazione della giustizia (il processo inquisitorio e il processo dispositivo), sono proiezioni nel campo della tecnica processuale di due diversi modi di concepire lo Stato e le relazioni che passano tra l'interesse pubblico e l'interesse individuale, tra l'autorità e la libertà dei cittadini”[48].
Siamo però oramai fuori dalla drammatica stagione della dittatura e della guerra e al Calamandrei dell'ultimo scorcio nessuno rimprovera forse più nulla.
Anzi, proprio la scelta di rileggere la teoria processualistica del Goldschmidt dà ragione a Paolo Grossi, quando afferma che “ora, davanti all'osservatore lucido del proprio tempo c'è solo la storia, la storia di tutti i giorni con il suo fardello di miserie reali, con i suoi segni che l'intellettuale è chiamato a leggere malgrado il loro messaggio disperante”[49].
E questa maggiore semplicità – che non è ovviamente semplicismo ma straordinaria capacità di lettura e di sintesi – si ritrova anche in uno degli ultimi contributi di Piero Calamandrei sul giudice istruttore.
Siamo nel 1955 e si parla ancora di concezione pubblicistica e privatistica del processo civile, di come il codice del 1942 sia un codice ispirato alla prima concezione, “per la quale anche il processo civile persegue uno scopo di pubblico interesse”[50].
Però si parla anche di avvocati che rimpiangono il codice del 1865, quando si poteva “fare tranquillamente l'avvocato” rimanendo nel proprio studio “a ricevere i clienti e a studiare le cause”[51].
Oppure di giudici istruttori che “o per timidezza o per comodità, non si servono neanche dei poteri che hanno”, nonostante alcuni avvocati li considerino “espressione di un eccessivo autoritarismo”[52].
L'occhio di Calamandrei contempla, ormai con la veggenza dei saggi, ciò che pure si cela dietro alle grandi battaglie ideologiche, politiche e dottrinali.
Non ci sono solo le umane piccolezze, ma è importante non dimenticarle: “la conclusione di queste mie osservazioni vuole essere ancora una volta un richiamo alla sincerità e alla chiarezza di idee”[53].
Speriamo di aver dato seguito meglio possibile al monito di Piero Calamandrei.
[1] Sul punto si vedano almeno M. Taruffo, La giustizia civile in Italia dal '700 ad oggi, Bologna 1980; G. Tarello, Dottrine del processo civile. Studi storici sulla formazione del diritto processuale civile, Bologna 1989; F. Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi. La procedura civile nel Regno d'Italia (1866-1936), Milano 1991; Id., Piero Calamandrei e la procedura civile, Napoli 2009; Id., Piero Calamandrei, la Relazione al re e l'apostolato di Chiovenda, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, LI (1997), pp. 749-765. Per una primissima indicazione bibliografica, G. Stanco, Il processo civile in Italia e la dicotomia tra diritto pubblico e diritto privato (XIX-XX sec.), in “Judicium Il processo civile in Italia e in Europa”, 2021 [https://www.judicium.it/wp-content/uploads/2021/12/G.-Stanco-1.pdf].
[2] In “Rivista di diritto processuale”, LXIV (2009), pp. 1-13.
[3] “Si è qui scelto il pensiero di due autorevoli rappresentanti della nostra dottrina processuale sia perché essi rappresentano in modo esemplare una concezione del processo e della giurisdizione civili tutt'ora ben presente e seguita, sia perché essa ebbe sicuramente ad influenzare la stesura del codice, come fedelmente testimonia la sua relazione di accompagnamento” (ibid., p. 8).
[4] Ibid., p. 8.
[5] In realtà, M. Taruffo, Poteri probatori del giudice e delle parti in Europa, in “Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile”, LX (2006), pp. 431-432; S. Chiarloni, Il presente come storia: dai codici di procedura civile sardi alle recentissime riforme e proposte di riforma, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, LVIII (2004), pp. 447-472.
[6] “Sarebbe, però, ingeneroso criticare con il facile senno di poi quei nostri maestri predecessori che maturarono le loro convinzioni in epoca diversa e in un tessuto normativo egualmente diverso da quello odierno. Non si può rimproverare loro di non aver saputo prevedere il futuro, e quindi restano immutati, pur nel dissenso, la devozione ed il rispetto loro comunque dovuti” (G. Monteleone, Intorno al concetto cit., p. 11).
[7] M. Taruffo, Per la chiarezza di idee su alcuni aspetti del processo civile, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, LXIII (2009), pp. 723-730. Segue una postilla, a firma di Federico Carpi ed Umberto Romagnoli, ad ulteriore difesa del maestro Tito Carnacini, pure tirato in ballo da Monteleone.
[8] F. Cipriani, Una nuova interpretazione di Calamandrei, in “Il giusto processo civile”, III (2009), pp. 947-959.
[9] G. Cianferotti, Ufficio del giurista nello Stato autoritario ed ermeneutica della reticenza. Mario Bracci e Piero Calamandrei: dalle giurisdizioni d'equità della grande guerra al codice di procedura civile del 1940, in “Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno”, 2008 (37), pp. 259-323.
[10] L'intervento di Taruffo viene giudicato “uno scomposto e pesante attacco personalistico dai toni sempre scortesi o eccessivi, talvolta fin'anche ingiuriosi” (G. Monteleone, Le idee confuse del Prof. Taruffo, in “Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile”, 2009 (LXIII), p. 1139.
[11] M. Taruffo, Per la chiarezza cit., p. 724.
[12] Bisogna naturalmente tenere a mente che “definiva 'oggettivamente' vicini al fascismo i giuristi che si discostavano dalla concezione liberale ottocentesca del processo G. Tarello, Quattro buoni giuristi per una cattiva azione […]. Soprattutto Cipriani verso la fine degli anni Ottanta ha insistito sul contributo di Calamandrei ad un codice autoritario” (F. Colao, Piero Calamandrei e la “vigilia” della riforma della giustizia civile. Dalla Prolusione del 1920 per “Studi Senesi” al codice del 1940, in “Rivista di Studi Senesi” CXXXII (2020), p. 33 nt. 122).
[13] G. Tarello, Quattro buoni giuristi per una cattiva azione, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, VII (1977), pp. 147-167.
[14] “Nella formazione spirituale del Calamandrei erano stati operanti non pochi elementi (l'autoritarismo statalistico, il nazionalismo, l'élitismo) che sarebbero di lì a poco confluiti nell'ideologia del regime fascista. Anche le prime prese di posizione politiche del giurista (l'acceso interventismo, e poi le simpatie nazionalistiche e l'antisocialismo) erano quelle comuni a tanti membri della giovane borghesia del periodo della prima guerra mondiale, destinati a divenire gli operatori ed i quadri del regime fascista. Al fascismo tuttavia Calamandrei non solo non aderì (se non formalmente, quando ciò divenne obbligatorio pena la perdita della cattedra), ma anzi ne fu tenace e più tardi tenace e coraggioso e cospirativo avversario” (ibid., p. 158).
[15] Ibid., pp. 161-162. Il riferimento è a P. Calamandrei, La relatività del concetto di azione, ora in Id., Opere giuridiche, vol. I, Roma 2019, pp. 427-449.
[16] G. Tarello, L'opera di Giuseppe Chiovenda nel crepuscolo dello Stato liberale, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, I (1973), pp. 681-787.
[17] “L'opera di Chiovenda si colloca chiaramente agli albori di una tendenza ideologica e istituzionale, nell'Italia del primo ventennio del secolo, al ribaltamento dei presupposti e dei principi organizzativi dello stato liberale, nella direzione di una organizzazione statale autoritaria […]. Non intendo fare qui la storia della fortuna di Chiovenda; essa coincide con la storia della riforma del processo civile del regime fascista” (ibid. p. 787).
[18] “Con un codice di procedura semplice quale quello di allora […], preparava, col 'sistema', una legislazione che con la scusa di dare più poteri direttivi al giudice lo avrebbe costretto in una fitta maglia di formule legislative concettualistiche tali da rendergli difficile capire quando il potere c'è e quando non c'è; e, con una legge processuale onnipervadente, il giudice avrebbe avuto con l'apparenza di più potere direttivo ben maggiore soggezione alla legge processuale” (ibid., p. 760).
[19] P. Grossi, Lungo l'itinerario di Piero Calamandrei, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, LXIII (2009), pp. 865-885.
[20] Ibid., pp. 873-874.
[21] “Da un po' dopo le due sin quasi al tramonto del lungo immoto afoso estenuato morto pomeriggio di settembre rimasero seduti in quello che Miss Coldfield chiamava ancora l'ufficio perché così l'aveva chiamato suo padre - una buia stanza calda senz'aria con le persiane tutte chiuse e inchiavardate da quarantatré estati” (W. Faulkner, Assalonne, Assalonne!, Milano 2001, p. 1).
[22] M. Taruffo, Per la chiarezza cit., p. 724.
[23] Ibid.
[24] Ibid., p. 726.
[25] Ibid., 725.
[26] F. Colao, Piero Calamandrei e la “vigilia” cit., pp. 26-27.
[27] M. Taruffo, Per la chiarezza cit., p. 725.
[28] G. Cianferotti, Ufficio del giurista cit., pp. 273-275.
[29] Ibid., p. 330.
[30] Ibid.
[31] Ibid., pp. 289-291.
[32] “Taruffo non ha precisato quando e dove avrei parlato o scritto di 'Calamandrei fascista', ma non credo che avrebbe potuto farlo, perché io, in verità, non solo non ho mai fatto una simile affermazione, ma ho sempre tenuto fuori discussione che Calamandrei non è mai stato fascista. Ho invece più volte detto e scritto che Calamandrei collaborò col fascismo, ma trattasi di un'affermazione che non so come possa essere seriamente contestata, atteso che è storicamente certo che egli collaborò col guardasigilli fascista Dino Grandi nella preparazione del c.p.c. del 1940, dell'ordinamento giudiziario del 1941 e del c.c. del 1942” (F. Cipriani, Una nuova interpretazione cit., p. 947).
[33] “Giudice istruttore, valanga di termini perentori, preclusioni, nullità ed estinzioni, poteri discrezionali del giudice, anche di ordinare l'ispezione corporale dei terzi, sostituzione delle sentenze appellabili con le ordinanze inimpugnabili, divieto di impugnare immediatamente le parziali, ivi compreso quelle su domanda”( ibid., p. 955).
[34] Si pensi all'art. 70, che prevede la partecipazione obbligatoria del pubblico ministero, ad esempio, nelle cause matrimoniali o relative allo stato ed alla capacità delle persone e che gli consente di intervenire “in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse”. L'art. 118, che consente al giudice di disporre ispezioni corporali sulle parti e sui terzi; se si rifiuta la parte, può essere condannata al pagamento di una pena pecuniaria “da euro 500,00 a euro 3.000”, se si rifiuta il terzo, la pena è compresa va da “euro 250 a euro 1.500”. Si noti che l'inserimento della pena pecuniaria per il terzo risale al 2009, mentre quella per la parte al 2022 (!). L'art. 128 dispone che l'udienza sia pubblica “ma il giudice che la dirige può disporre che si svolga a porte chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume. Il giudice esercita i poteri di polizia per il mantenimento dell'ordine e del decoro e può allontanare chi contravviene alle sue prescrizioni”.
[35] F. Cipriani, Una nuova interpretazione cit., p. 958.
[36] Ibid. p. 959.
[37] Ibid., pp. 955-957.
[38] B. Cavallone, In difesa della veriphobia (considerazioni amichevolmente polemiche su un libro recente di Michele Taruffo), in “Rivista di diritto processuale”, LXV (2010), pp. 1-26. A cui risponde M. Taruffo, Contro la veriphobia. Osservazioni sparse in risposta a Bruno Cavallone, in “Rivista di diritto processuale”, LXV (2010), pp. 995-1011.
[39] Ibid., p. 1.
[40] “Personalmente ho sempre preferito la equivalente distinzione di Benvenuti tra il 'metodo dispositivo' e il 'metodo acquisitivo', più idonea a sottolineare che, in un 'processo di parti', anche il giudice più freneticamente attivo nell'acquisizione delle prove non può 'inquisire' proprio nulla” (ibid., pp. 12-13).
[41] Ibid., p. 13.
[42] Ibid., p. 14.
[43] Taruffo è chiaro nel ritenere che “Chiovenda non muove da un'ideologia autoritaria […], ma dalla convinzione che senza un più robusto esercizio dell'autorità dello Stato nel processo – attraverso un più spiccato ed attivo ruolo del giudice, in un procedimento strutturalmente rinnovato – questo non potrebbe mai diventare uno strumento efficiente per l'amministrazione della giustizia” (M. Taruffo, La giustizia civile cit., p. 190). Del resto Calamandrei, nel decennale della morte di Chiovenda, aveva già affermato che “c'è veramente nella sua dottrina […] la sintesi di due esigenze, l'incontro delle quali riproduce, nel microcosmo del processo, la dialettica del progresso sociale: l'oralità, la semplicità delle forme, l'immediato contatto tra le parti e il giudice costituiscono la garanzia pratica della libertà individuale, che trova nel processo, senza l'ostacolo di insidiosi formalismi, la agevole salvaguardia del diritto soggettivo; ma, d'altro lato, il dovere di lealtà processuale, i poteri dati al giudice per chiarire d'ufficio la verità, e la disciplina della iniziativa privata messa a frutto come forza motrice per raggiungere fini di interesse pubblico, rappresentano la garanzia della giustizia, intesa come esigenza di solidarietà e di reciprocità sociale” (P. Calamandrei, Giuseppe Chiovenda (5 novembre 1937-5 novembre 1947), in “Rivista di diritto processuale”, 1947, p. 178.
[44] “Commentando l'art. 281 ter c.p.c., ho tra l'altro criticato il fatto che il nostro legislatore non abbia ivi parallelamente previsto anche il potere del giudice di ordinare d'ufficio l'esibizione dei documenti menzionati dalle parti ma non prodotti (previsione già assente, del resto, anche da quel 'manifesto inquisitorio' che è, per il processo del lavoro, l'art. 421 c.p.c., con il risultato che quel giudice, teoricamente autorizzato ad assumere qualsiasi iniziativa, non può in realtà assumere, secondo la giurisprudenza, nemmeno questa, pur così modesta e ragionevole (al contrario di quel che tranquillamente facevano i giudici ordinari, in assenza di qualunque previsione normativa a riguardo, nel vigore del codice paleo-liberale del 1865)” (B. Cavallone, In difesa cit., p. 15).
[45] Ibid., p. 16.
[46] Sul problema della ricerca della verità ed anche sulla sostanziale vicinanza tra istruttoria civile e penale, Calamandrei ammoniva che “la contrapposizione tra verità reale e verità formale, colla quale qualche processualista ha creduto di esprimere in formula sintetica una essenziale diversità di oggetto tra l'istruttoria penale e l'istruttoria civile […], non corrisponde in alcun modo alla vera natura dei due processi, i quali, sia pur servendosi di diversi metodi d'indagine, mirano allo stesso unico scopo che è la ricerca della verità, della verità semplice ed una, senza aggiunte e senza qualifiche. Le restrizioni che alla libera indagine del giudice sono poste nel processo civile, e specialmente nel processo a tipo dispositivo, non mirano infatti a render meno penetrante e meno esauriente la ricerca della verità, ma mirano anzi a utilizzare come strumenti di indagine, più sensibili e più solleciti di ogni sagacia del giudice, i vigili interessi delle parti contrapposte, ciascuna delle quali, per mettere in evidenza quella parte di verità che le giova, è pronta a prender su di sé, con impareggiabile zelo, il compito della investigazione” (P. Calamandrei, Il giudice e lo storico, in “Rivista di diritto processuale civile”, XVII-XVIII (1939), pp. 114-115.
[47] M. Taruffo, Poteri probatori delle parti e del giudice in Europa, ora in AA.VV., Le prove nel processo civile. Atti del XXV Convegno nazionale. Cagliari 7-8 ottobre 2005, Milano 2007, p. 73.
[48] P. Calamandrei, Un maestro del liberalismo processuale, ora in Id., Opere giuridiche, vol. X, Roma 1919, pp. 323-324.
[49] P. Grossi, Lungo l'itinerario cit., p. 882.
[50] P. Calamandrei, Il giudice istruttore nel processo civile, ora in Id., Opere giuridiche, vol. V, Roma 2019, p. 646.
[51] Ibid., p. 645.
[52] Ibid., p. 647.
[53] Ibid.
Recensione di Vietnam Soul di Nguyễn Huy Thiễp (2018 Ibis, Como-Pavia; 2025 GEDI News Network Spa,Torino)
Se si digita sul web il nome dell’autore (Hanoi, 29 aprile 1950 – 20 marzo 2021), si legge dappertutto che è considerato il maggior scrittore vietnamita contemporaneo, spesso paragonato ad Anton Čechov.
Vietnam Soul è una raccolta di 17 racconti, l’ultimo dei quali ne contiene dieci molto brevi. Tutto si svolge in Vietnam, ma non durante la guerra, che sempre ricordiamo quando si parla di quella nazione. Nel libro, semmai, si può intravedere l’indebolimento degli ideali rivoluzionari di quel tempo e dei legami comunitari. I racconti sono diversi, quasi mai in sequenza l’uno con l’altro, e rimandano a storie che si svolgono in vari villaggi lontani dalle città più grandi, nelle campagne, in zone montagnose impervie o vicine a fiumi e laghi, il che consente una descrizione orgogliosa della natura di quello stupendo Paese: “un mese dopo i festeggiamenti del Tết (il Capodanno lunare del Vietnam)..sugli alberi spuntano le gemme, il bosco si colora di un verde umido e denso. La natura assume un aspetto solenne e al tempo stesso tenero, affettuoso” (dal racconto “Il sale della foresta”). La forza del popolo vietnamita è ben nota, ma qui emergono anche particolarità e differenze tra le vite dei protagonisti dei racconti descritte nelle loro plurime sfaccettature.
Bastano i titoli dei racconti per immaginarne i contenuti che è qui impossibile sintetizzare tutti: nel “Generale in pensione”, un ingegnere parla dei suoi vicini e dei familiari, tra cui il padre che muore in guerra ed è seppellito nel Cimitero degli eroi di Cao Bang, a nord di Hanoi. Si parla di morte, cimiteri e riti anche nel secondo racconto,“Senza re”, dove però c’è soprattutto la vita perchè la morte non è mai senza speranza: dopo le lacrime, si riparte dal banchetto per la morte del defunto, si accendono gli incensi agli avi ed altra vita scorre davanti ai nostri occhi,
Nel quarto racconto, tutto si spiega con il triste canto che, in un tempo remoto, riecheggia dalla riva opposta di un piccolo fiume: “Scorri, scorri, piccolo fiume caro, perché ti preoccupi? Il fiume offre tutto. Eroe, che altro desideri?”. Ma in “Lezioni dalla campagna”, il protagonista è un aquilone che si libra stabile nel cielo di una campagna vicina al villaggio di Thach Dao, dove in tanti pestano il riso tra i colori dei fiori e dove un ragazzo che vi ha passato giorni di vacanza, dice addio all’innocenza ed alla giovinezza, sperando che la sua anima non diventi torbida e che la futura ricerca della ricchezza, della celebrità e della felicità non lo tormenti: ma di certo non si può vivere nella paura (“qual è l’aquilone cui, almeno una volta,/ non si spezza la corda?”). E dunque è giusto reagire con sereno coraggio: “andai avanti, sempre avanti” – dice il protagonista - “Attraversai campi, fiumi. Il sole era sempre dinanzi a me..Ricorderò sempre, avevo diciassette anni allora”.
E’ affascinante e stimolante il racconto su “La figlia della Dea dell’Acqua”, ritrovata ai piedi di un secolare albero di mango sul greto del fiune Cai, mentre “La spada tagliente” racconta la lotta per la conquista del potere alla fine del XVIII secolo tra antiche dinastie e le rivolte contro il regime dei Nguyễn.
L’originalità e lo spessore dell’autore si desumono anche dal racconto “La febbre dell’oro”, pure ambientato in tempi lontani, quelli della storia più antica del Vietnam, ove tre finali diversi e possibili vengono affidati al lettore che così “sceglierà il più congeniale” per sé.
Anche l’amore trova spazio nel libro e non solo nel racconto “Una storia d’amore in una notte di pioggia”, dedicata a Bac Ky Sinh dell’etnia Thai che vive una lunga e triste storia con la giovane e bella Muon, cui non è capace di dare ciò che lei vuole.
In “Gente d’altri tempi”, un giovane insegnante ventenne che ha scelto di trasferirsi e lavorare in un paese sperduto tra le montagne ascolta un collega che gli spiega come la scuola in cui lavorano (e non solo quella) ha il solo scopo di far credere alla gente di vivere in un mondo ben organizzato, mentre il mondo è costruito sul caos e non conosce regole.
Mi concedo ancora una citazione, quella di “Attraversando il fiume”, l’avventura breve di un bonzo, un poeta, un insegnante, un bandito, due mercanti d’antichità, una mamma con il figlio di nove anni, una coppia di innamorati e della barcaiola che deve trasportarli sull’altra sponda. Una tragedia sembra poterlo impedire, ma alla fine l’approdo arriva ed il solo bonzo rifiuta di scendere a terra dicendo che lo farà un’altra volta: “Volere è potere. Una volta Buddha attraversò il fiume sopra un ramoscello d’erba”,
“Vietnam Soul” si conclude con il discorso pronunciato da Nguyễn Huy Thiễp in occasione dell’attribuzione del premio Nonino 2008 (Percoto – Udine): “Sono nato, cresciuto e ho vissuto come scrittore in un paese agricolo povero... mia madre è una contadina. Nel 1950, alla mia nascita, la popolazione del mio Paese era di circa 30 milioni di abitanti, di cui il 90% analfabeta. Oggi la situazione è molto diversa… la popolazione è di poco più di 80 milioni di abitanti, con un tasso di analfabetismo del 15% circa. In Vietnam la letteratura sta sviluppandosi a ritmo straordinario, come altri campi della vita economica e sociale... Attualmente vivo nella capitale, i miei figli non conoscono le attrezzature agricole, leggono i libri e li trovano noiosi, leggono le notizie solo su Internet e giocano al computer con i videogames.. Nel nostro paese, con il ritmo di sviluppo attuale, la campagna si sta sgretolando, alla gente manca la terra, tutto assomiglia a un cantiere in disordine. La nuova vita con le nuove opportunità sta spazzando via impetuosamente i villaggi, le famiglie, ciascuno di noi. Ciò non significa che non vi sia nulla di positivo, anzi è un fatto formidabile. Però nascono altre questioni alla vista di tutti…In che modo la letteratura possa impegnarsi nello sviluppo della vita moderna e che ruolo possa avere è la domanda che ogni scrittore oggi pone”.
La risposta di Nguyễn Huy Thiễp alla domanda che egli stesso si è posto sta tutta in questo ricchissimo libro pieno di racconti che consentono al lettore di riflettere su piccole e grandi storie di una varia umanità alle prese con i successi individuali spesso illusori, con le contraddizioni del Vietnam dei giorni nostri, che hanno posto il denaro al centro di ogni discorso pubblico e privato, tanto che alla domanda di Ton “Che cosa sono i soldi?” Khiem, che lavora ininterrottamente ogni giorno, risponde: “Il nostro Re” (racconto “Senza Re”). Non ci sono eroi tra i personaggi del libro, ma persone che sanno dignitosamente affrontare l’esistenza quotidiana in un Vietnam che, nonostante tutto, rimane un affascinante e luminoso inno alla vita.
Sommario: 1. Novità dal Congresso - 2. Il caso dei magistrati sostituti spagnoli – similitudine e differenze con l’Italia - 3. Magistratura onoraria. La nuova figura di Giudice Professionale non di carriera.
1. Novità dal Congresso
Come ogni anno Enalj, rete europea di magistrati laici ed onorari, si è riunita in Congresso. Quest’anno l’onore di ospitare l’evento è spettato all’Italia.
Nelle giornate del 9 -11 maggio sono giunti a Bergamo delegazioni di Austria, Belgio, Bulgaria, Finlandia, Germania, Polonia, Spagna e Svezia che si sono unite alle delegazioni italiane rappresentate dalle associazioni Unimo e Angdp per festeggiare la giornata del Giudice laico ed onorario e per confrontarsi su temi comuni.
Quest’anno l’Italia aveva sicuramente un motivo in più per festeggiare, posto che il primo maggio è entrata in vigore la L. 51/2025 concernente la riforma della magistratura onoraria che si applica ai magistrati onorari c.d. di lungo corso che dopo una procedura valutativa sono stati confermati nella funzione.
La novità è stata accolta positivamente dai colleghi europei che hanno sostenuto per anni i magistrati italiani nelle loro battaglie.
Sono stati illustrati i punti fondamentali della riforma ed evidenziate le criticità che ancora non sono state sanate dalla nuova legge, che tuttavia è migliorativa rispetto alla disciplina precedente.
Enalj cresce ogni anno, e dopo la costituzione di un comitato che elabori un codice etico per l’associazione, è stata voltata all’unanimità la proposta di istituire in seno ad Enalj un Comitato di Pari Opportunità al fine di sensibilizzare tutti i membri e le singole istituzioni sul rispetto della parità di genere. Tale comitato avrà il compito di vigilare e dare voce ai magistrati onorari e laici che possano subire disparità di trattamento, segnalando le situazioni a rischio soprattutto in alcuni paesi membri.
2. Il caso dei magistrati sostituti spagnoli – similitudine e differenze con l’Italia
Ulteriore novità di quest’anno è rappresentata dalll’ingresso nella rete Enalj di ben tre associazioni di magistrati non di carriera spagnoli, si tratta di Asociación Plataforma Judicatura Interina (APJI) intervenuta con la Presidente Inmaculada Domínguez Oliveros, dell’Associazione “Pro dignidad” dei Giudici Sostituti Supplenti di Spagna con la Presidente Lydia Polo Alba e dell’Asociación de Abogados Fiscales Sustitutos de España, AAFS, con la Presidente Rosa Navarro.
Si tratta di magistrati non di carriera, laureati in giurisprudenza, nella maggior parte dei casi abilitati quali avvocati, che svolgono le funzioni giudiziarie presso i Tribunali e le Procure spagnole sostituendo i magistrati ordinari, sia in caso di assenza per malattia o altra impossibilità del magistrato ordinario, sia in caso di vacanza dei ruoli.
Per accedere a tale professione occorre sostenere una procedura valutativa da ripetere ogni anno. Tali magistrati svolgono le stesse funzioni dei magistrati di carriera, non vi sono limitazioni di competenza, né per materia né per valore.
Ai colleghi spagnoli è richiesta una disponibilità di 365 giorni l’anno, 24 h su 24 h, poiché debbono essere prontamente reperibili in caso necessiti una sostituzione di un giudice di carriera e, se non rispondono prontamente, rischiano di essere sottoposti a sanzione disciplinare e vedersi pregiudicata la possibilità di accedere all’esame di riconferma annuale.
Nel report che è stato sottoposto al congresso i magistrati sostituti spagnoli hanno riferito delle condizioni gravose in cui si trovano a lavorare, senza diritti, senza poter organizzare la propria vita in quanto debbono rimanere sempre a disposizione, senza certezza di lavoro, poiché le sostituzioni posso essere di pochi giorni o di alcuni anni, ma a volte rimangono senza lavoro per mesi tra una supplenza e l’altra.
Questa situazione si trascina da molti anni, posto che alcuni di essi svolge la funzione di Giudice Supplente da oltre venti anni.
A differenza dei magistrati italiani non esclusivi, i giudici spagnoli, non possono svolgere altra attività (salvo qualche ora di insegnamento) in quanto soggetti alle medesime regole di incompatibilità previste per i Giudici di Carriera.
È altresì emerso che questa sia una professione esercitata per la maggior parte da donne, e la ragione è evidente.
I magistrati spagnoli da tempo invocano al governo spagnolo una soluzione legislativa che ponga fine ad anni di ingiustizie e violazioni delle norme euro unitarie sul diritto del lavoro.
La Sentenza C-658/18 della Corte (Seconda Sezione) del 16 luglio 2020. UX contro Governo della Repubblica italiana è stata più volte invocata dai Giudici Sostituti spagnoli senza tuttavia ottenere un risultato. Attualmente è allo studio, e sarà licenziata una legge che tuttavia non recepisce i precetti sanciti nella sentenza sopra citata, e per tale ragione Enalj si è impegnata ad inviare una lettera di supporto ai magistrati spagnoli così come in passato è stato fatto per l’Italia.
La soluzione adottata dall’Italia, anche all’esito delle lettere di infrazione da parte dell’Unione Europea, è guardata con ammirazione non solo dai colleghi spagnoli che auspicano una soluzione simile, ma anche da altri colleghi europei, poiché anche da altre parti ci si sta sempre più rendendo conto che il lavoro dei magistrati, siano essi onorari o laici (per esempio esperti in diritto commerciale o di diritto agrario) è un impegno importante, che richiede ore di studio dei fascicoli, professionalità nella trattazione dei casi, e tale impegno va giustamente remunerato.
3. Magistratura onoraria. La nuova figura di Giudice Professionale non di carriera
Da tempo i magistrati onorari italiani si pongono una domanda che è stata discussa con altri colleghi europei. Possiamo ancora sostenere che i magistrati italiani si debbano definire onorari?
Dell’onorarietà a dire il vero non hanno mai avuto alcun carattere. Da sempre sono stati inquadrati all’interno dell’organizzazione giudiziaria, soggetti alle direttive dei capi degli uffici, con previsione di ruoli esclusivi, carichi di lavoro e obblighi di rendimento, nonché obblighi formativi e di rispetto dei principi etici.
Quello che emerge dal confronto con i colleghi europei è che il magistrato italiano così come quello spagnolo è un giudice che, sebbene non possa dirsi di carriera poiché non ha sostenuto il concorso previsto per i giudici ordinari, ha sostenuto una prova valutativa, è soggetto a verifiche periodiche, ha un obbligo formativo, decide applicando la legge, pronuncia sentenze che hanno lo stesso valore di quelle pronunciate dai giudici ordinari.
A questi magistrati viene richiesta la stessa preparazione e conoscenza delle norme richiesta ai giudici di carriera, con la sola limitazione per quanto concerne la competenza per materia e valore. Tuttavia si osserva che una causa civile che abbia un valore di dieci mila euro può avere le stesse problematiche giuridiche di una causa con valore superiore, ragione per la quale non ci sono differenze nella preparazione e nello studio dei singoli processi tra giudici di carriera e non di carriera.
Ricordiamo che anche i giudici non di carriera sono chiamati a conoscere oltre alle norme interne anche le norme europee, essi sollevano questioni pregiudiziali e sono stati formati tramite un corso che ha coinvolto vari paesi europei, sulla conoscenza della Carta Europea e del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea, formazione peraltro auspicata ed inserita nelle Conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea sul rafforzamento dell’applicazione della Carta dei Diritti Fondamentali, che al punto 23) recita “il Consiglio esorta gli Stati membri a valutare ulteriori possibilità di miglioramento della competenza della magistratura e degli altri operatori della giustizia in merito alla Carta, attingendo a materiale formativo dedicato, compresi gli strumenti di e-learning. Il Consiglio suggerisce che gli Stati membri incoraggino le reti di giudici, di giudici onorari e laici e di altri operatori della giustizia a porre rinnovata enfasi sull’applicazione della Carta a livello nazionale, in particolare cooperando in materia di formazione e condivisione delle pratiche e avvalendosi del sostegno e degli strumenti offerti dalla Commissione, dalla rete europea di formazione giudiziaria (di seguito “REFG”) e dalla FRA”.
Per questa ragione i magistrati non di carriera italiani esortano altresì lo Stato italiano e la Scuola di Magistratura ad aprire anche a tale categoria i percorsi di studio internazionale che, per ora, in assenza di una previsione, sono stati comunque svolti grazie a progetti finanziati dall’Unione Europea, tra i quali il progetto Select (https://selectproject.eu).
Ed allora ci si chiede, perché continuare a chiamare onorari questi giudici? Perché chiamarli semi professionali o non professionali, quando in realtà è evidente il contrario? Non sarebbe più giusto chiamarli semplicemente Giudici?
I magistrati italiani sono innanzitutto Giudici Europei, sono magistrati professionali, con anni di esperienza acquisita, semmai si può affermare che siano essi magistrati non di carriera, ma il termine onorario non gli si addice e mortifica la loro dignità professionale.
Il potere amministrativo di onomastica stradale (nota a margine di Cons. Stato, Sez. I, 7 gennaio 2025, n. 4)
di Filippo D’angelo
Sommario: 1. Il fatto. – 2. Il parere del Consiglio di Stato. – 3. La struttura del procedimento di denominazione stradale e il momento di produzione degli effetti giuridici. – 4. Il diverso caso del cambio di un toponimo esistente. – 5. Conclusioni (sull’importanza delle distinzioni teoriche).
1. Il fatto
Il parere della Sezione I del Consiglio di Stato 7 gennaio 2025, n. 4 che si annota appare di particolare rilievo sia sul piano della vicenda fattuale, sia per le riflessioni di ordine teorico che induce rispetto alla sistematica del procedimento amministrativo.
Prima di scendere nel dettaglio della decisione occorre premettere un breve cenno al caso controverso che trae origine dal ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da una privata cittadina avverso la delibera della giunta del comune di Grosseto che nel mese di marzo del 2023 aveva deciso di intitolare un viale urbano a un noto esponente politico italiano scomparso da parecchi decenni.
Alla base della statuizione comunale vi era una precedente delibera del consiglio comunale dell’aprile del 2018 che aveva suggerito l’intitola-zione della via sulla base del prestigio del politico desunto da un serie di elementi oggettivi di seguito elencati: anzitutto per essere “stato eletto nel parlamento italiano per 40 anni consecutivi” ed essere stato anche “parlamentare europeo”; poi per aver “sostenuto un’originale e moderna proposta politica, fondata sulla pacificazione tra gli italiani dopo gli eventi successivi all’otto settembre 1943, culminati con la guerra fratricida tra gli italiani”; ancora per il centrale ruolo ricoperto nella “politica nazionale ed europea del secondo dopoguerra”; infine per il “contributo alla costruzione di una matura democrazia nella nascente Repubblica italiana durante un periodo storico di forti contrapposizioni ideologiche, spesso sfociate in episodi violenti e terroristici” che egli ha “sempre combattuto con lealtà e coraggio”[1].
Da ciò l’adozione della deliberazione impugnata poi seguita dal nullaosta del prefetto locale – intervenuto sei mesi dopo ma non impugnato dalla ricorrente – che ha confermato dopo attenta istruttoria la scelta del comune e ha escluso qualunque rischio di ordine e di sicurezza pubblica che l’intitolazione avrebbe potuto ingenerare[2].
2. Il parere del Consiglio di Stato
Di particolare interesse sono le conclusioni in punto di diritto cui è pervenuto il collegio che ha reputato il ricorso straordinario inammissibile e infondato per mancata impugnazione dell’autorizzazione prefettizia.
Il Consiglio di Stato ha infatti evidenziato che nell’ambito del procedimento di denominazione stradale “correttamente la delibera di Giunta avversata precede la richiesta di autorizzazione al Prefetto”[3].
Nello specifico ha precisato che il “Comune è l’esclusivo titolare della funzione amministrativa di toponomastica, mentre il Prefetto è chiamato a rilasciare o meno l’autorizzazione basandosi su ragioni di tutela dell’ordine pubblico o esigenze di regolarità anagrafica”[4].
Il motivo è presto spiegato.
Il procedimento per l’intitolazione di nuove strade (cd. toponomastica urbana) si divide in due fasi distinte ma collegate: la “prima delle quali consta della delibera di Giunta comunale e, la seconda, del nulla osta del Prefetto”; tale per cui in “assenza di una preventiva deliberazione di Giunta non vi sarebbe alcuna ipotesi di intitolazione da sottoporre al vaglio prefettizio” per le “condizioni afferenti l’ordine pubblico”[5].
Tale affermazione appare del tutto coerente col dato normativo.
In primo luogo con l’art. 10 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, in base al quale il “Comune provvede alla indicazione dell’onomastica stradale e della numerazione civica”; poi con l’art. 41 del DPR 30 maggio 1989, n. 223, per cui “ogni area di circolazione deve avere una propria distinta denominazione” (co. 1) e in particolare “ogni spazio (piazza, piazzale, via, viale, vicolo, largo, calle e simili) del suolo pubblico o aperto al pubblico destinato alla viabilità” (co. 2); infine con l’art. 1 delle legge 23 giugno 1927, n. 1188, che a chiusura rammenta che “nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade e piazze pubbliche senza l’autorizzazione del prefetto”.
3. La struttura del procedimento di denominazione stradale e il momento di produzione degli effetti giuridici
Si può allora tentare di ricavare qualche indicazione dalle motivazioni del parere in commento.
Il Consiglio di Stato, forse in maniera non del tutto inavvertita, sembra aver fatto propria una distinzione da tempo sedimentata in dottrina, ma non sempre calcata con la dovuta precisione rispetto agli stadi genetici di esercizio del potere amministrativo.
La distinzione, cioè, tra la fase determinante e la fase costitutiva del potere[6]; con ciò intendendo, da un lato, il momento in cui sono disegnati gli effetti della funzione; e dall’altro il successivo momento in cui essi sono in concreto realizzati e tradotti in atto[7].
Nel caso di specie tanto la decisione della Giunta comunale, quanto quella prefettizia, vanno collocate nel momento di determinazione degli effetti tipici del potere: da una parte infatti c’è la competenza dell’organo esecutivo comunale che sceglie a chi intitolare il tratto stradale; dall’altra c’è la competenza del prefetto che deve verificare discrezionalmente l’assenza di ostacoli di ordine pubblico.
All’evidenza si è al cospetto di due poteri, manifestati attraverso altrettanti procedimenti amministrativi, che si combinano in vista della produzione di un unico effetto che sarà poi in concreto costituito dall’attribuzione della denominazione stradale[8]; e tale è la logica che riposa al fondo dei procedimenti cd. ‘binari’ che sono qualificati dall’unità del fatto della vita che ne costituisce la risultanza finale[9].
La conseguenza – di non poco momento – è che quelli di cui si discute sono poteri tra loro ‘equiordinati’ in virtù della prefigurazione normativa di una funzione che imputa a tutti i soggetti che vi partecipano un ruolo decisorio identico e convergente; così da realizzare un concorso – ad un pari livello di incidenza – di poteri oggettivamente interferenti[10].
Da tanto discende allora l’interesse per il parere in commento.
Sia perché ha focalizzato l’attenzione sul modo in cui agisce il descritto meccanismo legale di composizione procedurale di competenze amministrative distinte; sia perché ha impresso il fuoco sul principio di unità della funzione amministrativa che serpeggia qua e là nelle strettoie dell’ordinamento amministrativo e che riemerge ogni qual volta occorre conseguire risultati complessivi[11].
4. Il diverso caso del cambio di un toponimo esistente
A conferma di quanto precede si può aggiungere che un procedimento in parte analogo si deve seguire anche per cambiare il nome già esistente di una strada o di una piazza comunale; con la differenza però che in tal caso non serve il nulla osta prefettizio, ma è richiesta un’autorizzazione del Ministero della cultura.
Così dispone infatti l’art. 1 del regio decreto-legge 10 maggio 1923, n. 1158, convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473, per le ipotesi in cui i comuni (il testo legislativo parla di “amministrazioni municipali”) intendano “mutare il nome di qualcuna delle vecchie strade o piazze comunali”.
Sul punto è di recente intervenuta anche la giurisprudenza amministrativa che ha precisato che la “norma sul cambio del toponimo, di cui all’art. 1 del regio decreto-legge n. 1158 del 1923, come convertito, si riferisce in modo inequivoco a strade o piazze che abbiano già un “nome” che si intendere cambiare. La diversa norma del 1927, invece, si riferisce a strade o piazze “nuove” e disciplina la prima attribuzione del nome: a differenza dell’altra previsione, dunque, questa assume rilievo laddove una precedente denominazione non vi sia, o perché si tratta di infrastruttura stradale nuova, o perché, pur se non di recente costruzione, la strada o la piazza sia rimasta priva di denominazione”[12].
È per questo motivo che è necessario l’assenso del vertice ministeriale, anziché del prefetto: per astringere l’amministrazione locale a una “valutazione particolarmente ponderata circa le conseguenze e gli incomodi che derivano da simile iniziativa”[13]; valutazione che «abbisogna di un’istrut-toria approfondita sull’effettiva necessità di procedere in tal senso: ciò, avuto riguardo ai disagi che tali iniziative possono arrecare ai cittadini per l’aggiornamento dei documenti in loro possesso e l’aggravio di lavoro a carico dei servizi comunali»[14].
Ecco allora che anche il secondo esempio proposto pare confermare l’assunto di partenza: ossia che il duplice concorso di competenze nel procedimento di onomastica stradale serve a (con)determinare l’effetto finale voluto dalla legge; trattandosi all’evidenza di singoli “atti necessari a completare la fattispecie” complessa[15].
5. Conclusioni (sull’importanza delle distinzioni teoriche)
In conclusione le brevi note qui presentate, muovendo da un caso concreto, intendono soffermare l’attenzione sull’importanza delle pur sottili distinzioni svolte dalla dottrina; la quale è «obbligata a scendere continuamente nel particolare» per poi «risalire al concetto» e «controllare la validità della proposizione ottenuta»[16].
È un’opera che talvolta dà i suoi frutti e della quale la legge, e così la giurisprudenza, spesso riconoscono l’utilità pratica come dimostra la vicenda riassunta.
[1] Così si legge nell’estratto della delibera consiliare riportato alle pagine 3-4 del parere in commento.
[2] Pagina 4 del parere in commento.
[3] Pagina 5 del parere in commento.
[4] Ancora pagina 5 del parere in commento.
[5] Pagine 5 e 6 del parere in commento.
[6] Primi a cogliere la sfumatura A.M. Sandulli, In tema di provvedimenti ministeriali su delibera del Consiglio dei Ministri, in Giur. compl. cass. civ., I, 1949, 894 ss., ora in Scritti giuridici, III, Napoli, 1990, 98 e M.S. Giannini, Accertamenti amministrativi e decisioni amministrative, in Foro it., IV, 1952, 177.
[7] La distinzione è stata approfondita da F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, 254; Id., La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento amministrativo, in S. Amorosino (a cura di), Le trasformazioni del diritto amministrativo. Scritti degli allievi per gli ottanta anni di Massimo Severo Giannini, Milano, 1995, 286.
[8] Per un simile intendimento si vedano in generale A. De Valles, La validità degli atti amministrativi, Roma, 1916, 24; R. Lucifredi, Inammissibilità di un esercizio “ex post” della funzione consultiva, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 289; F. Cuocolo, Deliberazioni del Consiglio superiore della Magistratura e sindacato giurisdizionale del Consiglio di Stato, Giur. it., III, 1962, 253.
[9] Così M.S. Giannini, Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 1981, 286.
[10] Così F. Migliarese Tamburino, Il coordinamento nell’evoluzione dell’attività amministrativa, Padova, 1979, 70.
[11] Come ricorda esattamente G.D. Comporti, Il principio di unità della funzione amministrativa, in M. Renna – F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 309, che riprende i contenuti dell’ultimo capitolo del suo lavoro monografico Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e garanzie, Milano, 1996. In una prospettiva analoga si veda poi D. D’Orsogna, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, Napoli, 2005, 253; e da ultimo sia consentito anche un richiamo a F. D’Angelo, Pluralismo degli enti pubblici e collaborazione procedimentale. Per una rilettura delle relazioni organizzative nell’amministrazione complessa, Torino, 2022, 207.
[12] Così Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2024, n. 6260, punto 5.3 della parte motiva in diritto; ma anche TAR Toscana, Sez. I, 26 novembre 2020, n. 1522.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] In tal senso la circolare del Ministero dell’interno n. 83, prot. n. 0017395 del 23 giugno 2023; in giurisprudenza TAR Calabria – sede di Catanzaro, Sez. I, 13 febbraio 2017, n. 210 e anche TAR Veneto, Sez. I, 7 marzo 2005, n. 824.
[16] Così M.S. Giannini, Sociologia e studi di diritto contemporaneo, in Jus, 2, 1957, 225.
Abstract: La riforma costituzionale del 2024 in Messico ha introdotto l’elezione popolare diretta dei giudici, sia a livello federale che statale, rappresentando un cambiamento radicale nella struttura e funzionamento del potere giudiziario. Si tratta di una riforma che mirerebbe a rendere la magistratura giudicante più responsabile, rappresentativa e vicina alla cittadinanza, inserendosi nel contesto della “quarta trasformazione” democratica iniziata nel 2018. Tuttavia, la riforma ha sollevato non poche preoccupazioni, in particolare per quanto riguarda l’indipendenza e la legittimità del sistema giudiziario.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Procedimento e contenuti di una riforma polemica - a. Le modifiche alla Corte Suprema di Giustizia della Nazione, al Tribunale Elettorale e alle magistrature federali - b. La soppressione del Consiglio della Magistratura Federale, la creazione di un nuovo organo di amministrazione giudiziaria e del Tribunale Disciplinare Giudiziario - 3. Le reazioni alla riforma - 4. Riflessioni finali: rischi e sfide della riforma costituzionale del potere giudiziario.
1. Introduzione
Il 15 settembre del 2024 è entrata in vigore una importante riforma che ha modificato il testo vigente della Costituzione messicana del 1917[1], introducendo l’elezione popolare diretta di tutta la magistratura giudicante, sia a livello federale che statale[2]. Sebbene sia possibile trovare altri casi di elezione popolare diretta di alcuni giudici (come nel caso degli Stati Uniti[3], Giappone[4], Bolivia[5] e Svizzera[6]), il nuovo sistema messicano rappresenta un unicum nell’esperienza comparata e desta non poche preoccupazioni in quanto stravolge il sistema giudiziario che era stato introdotto nel 1994[7] e rivoluziona il sistema di pesi e contrappesi tra poteri che caratterizza lo Stato costituzionale moderno.
Tali preoccupazioni sono legate anche al fatto che la riforma dello scorso settembre, nonostante abbia seguito il procedimento di revisione costituzionale indicato in Costituzione, è stata discussa e approvata in tempi brevissimi, sollevando non pochi dubbi sull’adeguatezza della riflessione parlamentare circa l’importanza e l’impatto dei suoi contenuti[8].
Inoltre, la recente riforma costituzionale, che, secondo i suoi sostenitori, mira a costruire un potere giudiziario e un sistema di impartizione della giustizia più tempestivi e democratici, si inserisce nel particolare momento storico e politico del Paese. L’elezione diretta dell’intera magistratura giudicante è uno degli obiettivi centrali della cosiddetta “quarta trasformazione”, l’attuale fase della vita democratica messicana iniziata nel 2018 con l’elezione di Andrés Manuel López Obrador e proseguita con quella di Claudia Sheinbaum Pardo il 2 giugno 2024[9].
In effetti, il punto di partenza del discorso dominante a sostegno della riforma individua tra le cause strutturali dell’impunità e della mancanza di giustizia nel Paese il “distanziamento” tra giudici e cittadini. In questo senso, uno degli obiettivi della riforma è rendere i membri della magistratura federale responsabili delle loro decisioni nei confronti della società e sensibili ai problemi che i cittadini affrontano. Si auspica, inoltre, che la magistratura rappresenti la diversità culturale, sociale e ideologica del paese. Tutto ciò con l’obiettivo di costruire uno Stato plurale, aperto, trasparente, partecipativo, libero e con una “spiccata vocazione al servizio”.
La riforma prevede altresì l’attuazione di una nuova struttura per gli organi amministrativi e disciplinari della magistratura, al fine di garantirne l’autonomia, l’indipendenza e la competenza tecnica. Allo stesso modo, un ulteriore obiettivo sarebbe la separazione della funzione giudiziaria dai compiti amministrativi, quali la nomina e la formazione di giudici e magistrati, la creazione di nuovi organi giudiziari, la gestione del bilancio, le funzioni di indagine e disciplinari.
Un terzo obiettivo perseguito sarebbe creare un'amministrazione della giustizia rapida, prevedendo termini ragionevoli per l'emissione delle decisioni conclusive nei procedimenti giudiziari. Secondo i suoi sostenitori, la riforma mira inoltre a eliminare l’inerzia dei cd. “accordi di alto livello”, in base ai quali ministri, magistrati e giudici non sarebbero stati tenuti a rispondere ai cittadini, privilegiando invece i propri interessi e quelli delle lobby di potere. La democratizzazione della giustizia garantirebbe la rappresentazione delle diverse prospettive che integrano la società messicana, al fine di pervenire a un’amministrazione della giustizia imparziale.
Infine, si argomenta che l’indipendenza della magistratura non risulterebbe compromessa; al contrario, l’elezione popolare dei giudici ne rafforzerebbe la legittimità, concorrendo al ripristino della fiducia dei cittadini nelle istituzioni, con particolare riferimento all’ordine giudiziario[10].
Il presente lavoro analizzerà i principali contenuti della riforma costituzionale e il procedimento seguito per la sua approvazione (par. 2), unitamente alle problematiche più importanti emerse sia a livello normativo sia con riferimento alle prime tappe di implementazione del processo elettorale giudiziario (par. 3). A conclusione, un paragrafo sarà dedicato ai possibili rischi della riforma e alle sfide future (par. 4).
2. Procedimento e contenuti di una riforma polemica
Il 5 febbraio 2024, l’allora Presidente della Repubblica messicana, Andrés Manuel Lopez Obrador, presentò al Congresso dell’Unione un disegno di legge di revisione costituzionale che, tra le altre proposte[11], mirava a modificare il potere giudiziario attraverso l’introduzione dell’elezione popolare diretta dei giudici. L’iniziativa fu presentata circa quattro mesi prima delle elezioni per la Presidenza della Repubblica e per il Congresso federale.
Le elezioni del 2 giugno hanno sancito un successo significativo per il Movimiento Regeneración Nacional (MORENA), il partito del Presidente uscente, la cui candidata, Claudia Sheinbaum Pardo, è stata eletta con quasi il 60% dei suffragi. Inoltre, la coalizione Sigamos Haciendo Historia, frutto dell’unione tra MORENA, il Partido del Trabajo (PT) e il Partido Verde Ecologista de México, ha conseguito la maggioranza qualificata alla Camera dei deputati e quella assoluta al Senato, mancando solamente un seggio per ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi, necessaria per le riforme costituzionali.
L’iniziativa presentata da Lopez Obrador è stata discussa solamente dopo la pubblicazione dei risultati elettorali, in quanto nella legislatura precedente il Presidente non disponeva della maggioranza necessaria per emendare la Costituzione). Per circa un mese, l’iniziativa presidenziale è stata analizzata mediante la dinamica dei “foros de parlamento abierto”[12], uno spazio di discussione e analisi aperto alla partecipazione di esperti, accademici e rappresentanti della società civile. Successivamente, è stata analizzata, discussa e approvata, con alcune modifiche[13], dalla Comisión de Puntos Constitucionales[14] della Camera dei deputati della LXV Legislatura (che avrebbe finito il proprio mandato il 31 agosto) per poi essere discussa in Aula dalla LXVI Legislatura (iniziata il 1° settembre del 2024).
Pochi giorni dopo, il 4 settembre, il progetto di decreto di riforma costituzionale in materia giudiziaria è stato approvato dalla Camera dei deputati e trasmesso al Senato della Repubblica, dove, l’8 settembre, è stato discusso dalle Comisiones Unidas de Puntos Constitucionales y Estudios Legislativos e successivamente approvato da entrambe le commissioni, venendo poi inviato alla Mesa Directiva per la successiva discussione in Aula.
Nelle prime ore dell’11 settembre, la riforma della magistratura è stata approvata a maggioranza qualificata dal Senato e trasmessa ai Congressi locali in conformità a quanto previsto dall’articolo 135 della Costituzione, la maggioranza dei quali l’ha approvata in meno di 24 ore[15].
La riforma è stata pubblicata nel Diario Oficial de la Federación il 15 settembre, giorno in cui in Messico si celebra il “Grito de Independencia”, in commemorazione dell’inizio della lotta per l’indipendenza del Paese, avviata con la chiamata alla ribellione di Miguel Hidalgo e Costilla il 15 settembre 1810.
Il giorno successivo, il 16 settembre 2024, è iniziato il Proceso Electoral Extraordinario del Poder Judicial de la Federación 2024-2025.
a. Le modifiche alla Corte Suprema di Giustizia della Nazione, al Tribunale Elettorale e alle magistrature federali
Il contenuto principale della riforma consiste nell’implementazione di un modello di elezione popolare diretta di tutta la magistratura giudicante[16], sia a livello statale che federale[17].
Anteriormente, erano previsti tre procedimenti diversi per la selezione dei ministri della SCJN, dei magistrati del TEPJF e di quelli dei Tribunales Colegiados de Circuito, dei Tribunales Colegiados de Apelación e dei Juzgados de Distrito.
Ai sensi dell’art. 96 della Costituzione, nella formulazione antecedente alla riforma, per la nomina dei ministri della Corte Suprema[18], il Presidente della Repubblica inviava al Senato una terna di candidati. Per la nomina era richiesta la maggioranza qualificata dei due terzi dei senatori. Qualora tale maggioranza non fosse stata raggiunta per due terne consecutive, o se il Senato non si fosse pronunciato entro il termine perentorio di trenta giorni, il Presidente della Repubblica avrebbe potuto procedere alla nomina diretta.
I magistrati del Tribunale Elettorale del Potere Giudiziario della Federazione (sia della Sala Superiore, che delle Sale Regionali e di quella Specializzata) erano nominati dal Senato, con il voto dei due terzi dei membri presenti, su proposta della Corte Suprema di Giustizia della Nazione, e rimanevano in carica per un periodo ordinario di nove anni.
Mentre la nomina dei ministri della Corte Suprema e dei magistrati del Tribunale Elettorale presentava una natura politico-giuridica, le posizioni di magistrati e giudici dei Tribunales Colegiados de Circuito, dei Tribunales Colegiados de Apelación e dei Juzgados de Distrito seguivano il percorso della carriera giudiziaria, il cui accesso avveniva tramite concorso pubblico e rigorosi processi di valutazione e selezione meritocratica[19].
Inizialmente, l’iniziativa presidenziale prevedeva il rinnovo integrale del potere giudiziario federale; tuttavia, nel corso della discussione dell’iniziativa di riforma, si è optato per una implementazione graduale in due fasi distinte: il primo appuntamento elettorale è fissato per il 1° giugno 2025, mentre il secondo avrà luogo nel 2027.
A livello federale, nel 2025, si procederà al rinnovo integrale della Corte Suprema di Giustizia della Nazione e all’elezione dei titolari dei due posti vacanti della Sala Superiore, nonché di tutti i magistrati delle Sale Regionali del Tribunale Elettorale del Potere Giudiziario della Federazione. Saranno altresì eletti i cinque membri del nuovo Tribunale di Disciplina (argomento che verrà trattato in seguito) e la metà delle magistrature giudicanti federali (l’altra metà sarà soggetta a elezione nel 2027). La determinazione delle magistrature da eleggere nel 2025 e nel 2027 è avvenuta tramite sorteggio[20].
Tra le principali novità introdotte dalla riforma, si segnalano quelle concernenti la struttura e il funzionamento della Corte Suprema di Giustizia della Nazione: il numero dei ministri è stato ridotto da undici a nove, le due Camere sono state soppresse e la Corte opererà esclusivamente in Pleno[21]. È stato altresì ridotto da otto a sei il numero di voti necessari per approvare un tema nel Pleno, e la durata del mandato è stata diminuita da quindici a dodici anni. Sono inoltre previste misure di austerità economica attraverso la soppressione del regime pensionistico e una significativa riduzione salariale, stabilendo che nessun funzionario potrà percepire una retribuzione superiore a quella del Presidente della Repubblica.
La riforma ha modificato anche l’art. 95 della Costituzione, introducendo nuovi requisiti per le persone aspiranti alla carica di Ministro o Ministra della SCJN e di Magistrato o Magistrata del TEPJF: la persona candidata alla posizione di giudice della SCJN deve possedere la cittadinanza messicana per nascita, godere del pieno esercizio dei propri diritti politici e di una buona reputazione, e non essere stata condannata per un reato punito con una pena privativa della libertà personale superiore a un anno[22]. È inoltre richiesto il possesso di una laurea in giurisprudenza con una media complessiva di almeno 80/100 e di 90/100 nelle materie pertinenti alla posizione per cui si presenta la candidatura a livello di laurea triennale, specialistica, magistrale o dottorato. Si esige altresì un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’esercizio dell’attività giuridico/legale e un requisito di residenza nel Paese nei due anni precedenti la data di pubblicazione del bando elettorale
Infine, la persona candidata alla SCJN, al TEPJF e al Tribunale Disciplinare Giudiziario non deve aver ricoperto l’incarico di Segretario o Segretaria di Stato, Procuratore o Procuratrice Generale, Senatore o Senatrice, Rappresentante Federale, governatore o governatrice di qualsiasi entità federativa durante l’anno precedente la pubblicazione del bando elettorale. I requisiti richiesti per le magistraturas de circuito e apelación, e per le judicaturas de distrito sono analoghi, ad eccezione dell’anzianità di servizio, ridotta a soli tre anni. Per quanto concerne gli impedimenti penali, è stata introdotta una disposizione più generale, richiedendo una buona reputazione e l’assenza di condanne per delitti non colposi punibili con la reclusione.
In tutti i casi, è stata eliminata l’età minima per l’accesso alle cariche, sostituita da un criterio basato sugli anni di esperienza professionale.
Per quanto concerne la formazione delle liste di candidati e candidate, un ruolo fondamentale è attribuito ai tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario). Ai sensi dell’attuale art. 96 della Costituzione, per le posizioni presso la Corte Suprema, il Tribunale Elettorale, il Tribunale Disciplinare Giudiziario e le magistrature federali, i tre poteri dello Stato devono istituire meccanismi pubblici, aperti, trasparenti, inclusivi e accessibili, che consentano la massima partecipazione delle persone interessate, purché soddisfino i requisiti di ammissibilità indicati nel testo costituzionale.
Una volta pubblicato il bando elettorale, ciascun potere dello Stato deve istituire un Comitato di Valutazione composto da cinque persone di riconosciuta competenza nel campo giuridico. Le persone interessate a partecipare possono presentare la propria candidatura a uno o più Comitati. Ricevute le richieste di partecipazione corredate dalla documentazione pertinente (tra cui un breve scritto di tre pagine esplicativo delle motivazioni della candidatura e cinque lettere di referenza da parte di vicini, vicine, colleghi, colleghe o altre persone che ne attestino l’idoneità per l’incarico), ciascun Comitato di Valutazione procederà alla verifica dei requisiti e individuerà i candidati e le candidate con la migliore valutazione per l'esercizio della funzione, in base a criteri di onestà, buona reputazione pubblica, competenze, percorso accademico e professionale.
Successivamente, ciascun Comitato compila un elenco delle dieci persone con la migliore valutazione per le posizioni presso la Corte Suprema, il Tribunale Elettorale e il Tribunale Disciplinare Giudiziario, e un elenco di sei persone per ciascuna magistratura federale. In seguito, mediante un procedimento pubblico di insaculación[23], un sorteggio aleatorio e imparziale, viene estratto un numero di persone equivalente al numero di candidature richieste per ciascuna posizione, nel rispetto del principio della parità di genere.
Nel caso, quindi, dell’elezione delle persone che integreranno la Corte Suprema, il Tribunale Elettorale e il Tribunale Disciplinare Giudiziario, per ogni posto da ricoprire saranno formate tre liste (una del potere esecutivo, una del potere legislativo[24] e una del potere giudiziario), ciascuna con tre candidati o candidate (alcune persone potranno figurare anche in due o tre liste). Inoltre, i ministri e le ministre in carica al momento della pubblicazione del bando elettorale hanno avuto la possibilità di partecipare “direttamente” alle elezioni, senza passare al vaglio dei Comitati di Valutazione. Secondo una disposizione transitoria, qualora avessero accettato tale possibilità e non fossero stati eletti o elette, avrebbero perso anche il diritto alla pensione (diritto che avrebbero mantenuto in caso di ritiro). Degli undici ministri e ministre in carica al momento della riforma, solamente tre hanno presentato domanda per partecipare alle elezioni giudiziarie: Yasmín Esquivel, Loretta Ortiz e Lenia Batres (tutte nominate dall’ex presidente López Obrador, con l’ultima nominata direttamente a seguito del mancato raggiungimento per due volte consecutive della maggioranza qualificata dei due terzi nel Senato sulle proposte presidenziali).
Per quanto concerne la campagna elettorale, l’art. 96 prevede la possibilità di accesso ai servizi radiotelevisivi, secondo la ripartizione temporale stabilita dall’Istituto Nazionale Elettorale (INE) e con la previsione di dibattiti tra i candidati e le candidate. È vietato ogni finanziamento, sia pubblico che privato, della campagna, la cui durata è fissata in sessanta giorni. È altresì proibita qualsiasi forma di pre-campagna.
Per quanto riguarda, invece, le magistrature di circuito e distrettuali, l’art. 97 prevede l’estensione della durata dell’incarico da sei a nove anni, con possibilità di rielezione. Vengono inoltre espressamente indicate diverse restrizioni applicabili a tali cariche, come l’impossibilità di riassegnazione al di fuori della circoscrizione giudiziaria in cui i magistrati e le magistrate sono stati eletti o elette, e la previsione della loro rimozione unicamente da parte del Tribunale Disciplinare Giudiziario, secondo le procedure stabilite dalla legge, in caso di responsabilità amministrativa o penale.
b. La soppressione del Consiglio della Magistratura Federale, la creazione di un nuovo organo di amministrazione giudiziaria e del Tribunale Disciplinare Giudiziario
Un’altra significativa modifica introdotta dalla riforma costituzionale del 2024 riguarda gli organi di amministrazione della giustizia[25]. Con la riforma del 1994, era stato istituito un Consiglio della Magistratura Federale che, fino al 2024, ha svolto le funzioni di amministrazione e disciplina del potere giudiziario federale (ad eccezione della Corte Suprema). Attraverso la creazione del Consiglio della Magistratura Federale erano stati istituiti e rafforzati i processi di selezione dei membri della magistratura, garantendone l’imparzialità non solo mediante la formazione tecnica continua in materia giuridica, ma anche attraverso la previsione di garanzie giuslavoristiche e di sicurezza sociale volte a prevenire ingerenze ingiustificate e possibili tentativi di controllo da parte di gruppi di potere.
La riforma del 2024 ha introdotto un nuovo organo di amministrazione giudiziaria che, ai sensi del riformato art. 100 della Costituzione, sarà dotato di indipendenza tecnica e gestionale e sarà responsabile della determinazione del numero e della delimitazione delle circoscrizioni giudiziarie, nonché della competenza territoriale e della specializzazione tematica di ciascun tribunale. Sarà inoltre competente in materia di ammissione, permanenza e cessazione del rapporto di lavoro del personale giudiziario e amministrativo di carriera, nonché della formazione, promozione e valutazione delle prestazioni dei lavoratori e delle lavoratrici del potere giudiziario federale. Tale organo sarà composto da cinque persone che rimarranno in carica per sei anni. Una sarà designata direttamente dal potere esecutivo, un’altra dal Senato (con voto qualificato dei due terzi dei suoi membri) e le restanti tre dal Pleno della Corte Suprema di Giustizia della Nazione. I requisiti richiesti sono la cittadinanza messicana per nascita, cinque anni di esperienza professionale e il possesso di una laurea in giurisprudenza, economia, scienze attuariali, amministrazione o contabilità.
Tale organismo sarà responsabile del mantenimento e dello sviluppo della carriera giudiziaria in conformità alla legge e sarà improntato ai principi di eccellenza, obiettività, imparzialità, professionalità, indipendenza e parità di genere. Tuttavia, poiché l’elezione dei giudici e delle magistrate avverrà tramite suffragio popolare, il meccanismo della carriera giudiziaria sarà circoscritto ad altre posizioni, quali segretari, segretarie, avvocati dello Stato e funzionari e funzionarie. Allo stesso modo, gli viene conferito il potere di amministrare il TEPJF (funzione precedentemente attribuita a una commissione interna al Tribunale Elettorale stesso) e di elaborare il bilancio dell’intero potere giudiziario federale (in precedenza, era la Corte Suprema a elaborare il proprio bilancio).
Un altro punto centrale della riforma del 2024 è l’istituzione del Tribunale Disciplinare Giudiziario, un organo dotato di autonomia tecnica e gestionale, composto da cinque membri eletti tramite suffragio popolare, che rimarranno in carica per sei anni. Il Tribunale Disciplinare opererà in sessione plenaria o in commissioni, ciascuna delle quali sarà composta da tre dei cinque membri e sarà responsabile delle decisioni iniziali relative alle indagini su condotte inappropriate commesse dai giudici e che potrebbero configurare responsabilità amministrativa. Le decisioni delle commissioni sono impugnabili e le eventuali impugnazioni saranno decise in sessione plenaria. Inoltre, la sessione plenaria del Tribunale potrà occuparsi anche di casi di particolare gravità o quando la condotta del giudice costituisca reato. Potrà altresì disporre misure cautelari e coercitive e sanzionare i pubblici dipendenti. Le decisioni assunte dalla sessione plenaria del Tribunale non potranno essere impugnate.
Sebbene la responsabilità di accertare la responsabilità dei giudici spetti alle commissioni o alla sessione plenaria del Tribunale Disciplinare Giudiziario, si rende necessaria la creazione di unità investigative incaricate di condurre le indagini sui fatti. Queste unità saranno responsabili della raccolta di prove e indizi, della richiesta di informazioni e documentazione, dello svolgimento di ispezioni, della convocazione e dell’audizione di testimoni e testimoni, nonché della richiesta di misure cautelari e coercitive funzionali allo svolgimento delle indagini. Al termine delle indagini, trasmetteranno un fascicolo al Pleno contenente tutte le informazioni relative alle probabili responsabilità.
Il Tribunale Disciplinare Giudiziario potrà sanzionare tutti i membri della magistratura, inclusi i ministri e le ministre della Corte Suprema (competenza precedentemente attribuita alla Corte stessa). Le sanzioni potranno consistere in ammonimenti, sospensioni, sanzioni pecuniarie, destituzione e inabilitazione. La destituzione dei ministri e delle ministre della Corte e dei magistrati e delle magistrate del Tribunale Elettorale sarà soggetta a una procedura speciale (un giudizio politico/impeachment).
Oltre ai suoi poteri istruttori e giudicanti, il Tribunale Disciplinare Giudiziario avrà la facoltà di valutare i magistrados de circuito e i jueces de distrito durante il loro primo anno di servizio (i criteri di valutazione non sono ancora stati definiti, in quanto dipenderanno dalla normativa di attuazione). In caso di valutazioni non soddisfacenti, potranno essere disposte misure di rafforzamento e attività formative volte a consolidare conoscenze e competenze. Qualora, dopo tale formazione, la valutazione dovesse persistere come insoddisfacente, il Tribunale Disciplinare Giudiziario potrà sospendere il giudice o la giudice fino a un anno.
3. Le reazioni alla riforma
A seguito della proposta di riforma giudiziaria e pochi giorni prima dell’insediamento della LXVI Legislatura (il 21 agosto 2024), giudici, magistrati e dipendenti del potere giudiziario hanno iniziato uno sciopero nazionale a tempo indeterminato per protestare contro la proposta di riforma giudiziaria. L’Asociación Nacional de Magistrados de Circuito y Jueces de Distrito (JUDEF) si è posta alla guida della protesta, che si è estesa a venti dei trentadue stati del Paese, unendosi agli oltre cinquantacinquemila lavoratori e lavoratrici del settore già in sciopero da alcuni giorni[26]. Lo sciopero è proseguito anche dopo la pubblicazione della riforma nel Diario Oficial de la Federación[27] e si è concluso un mese dopo, il 23 settembre 2024, con una circolare emessa dal Consiglio della Magistratura Federale, nonostante l’opposizione della presidentessa della Corte Suprema, Norma Piña, e di vari lavoratori e lavoratrici del potere giudiziario[28].
In ottemperanza al decreto di riforma costituzionale, il 23 settembre il Consiglio Generale dell’Istituto Nazionale Elettorale ha approvato tre acuerdos[29], necessari per lo svolgimento delle elezioni. Tali acuerdos sono stati oggetto di impugnazione in oltre cento casi, e diversi tribunali distrettuali hanno emesso risoluzioni che rispettivamente ammettevano, concedevano o negavano la sospensione degli atti relativi al decreto di riforma o agli acuerdos approvati dall’INE.
Il 4 ottobre, l’INE ha presentato un’acción declarativa al TEPJF, chiedendo se dovesse effettivamente sospendere le proprie funzioni costituzionali in ottemperanza a tali risoluzioni giudiziarie. Il Tribunale Elettorale si è pronunciato affermando che l’Istituto Nazionale Elettorale non poteva interrompere le attività derivanti dall’avvio di un processo elettorale in virtù di un mandato regolamentare, trattandosi di una questione di ordine pubblico prevista dalla Costituzione[30]. D’altro canto, sottolinea il giudice elettorale, essendo l’INE un’autorità autonoma, gode di libertà nel proprio funzionamento e di indipendenza nelle proprie decisioni. Inoltre, ha escluso la possibilità che ricorsi presentati in sede ordinaria possano produrre l’effetto di sospendere atti elettorali, dato che la sospensione potrebbe compromettere l’obiettivo del processo elettorale, ovvero l’integrazione degli organi del potere pubblico.
Sulla vicenda si è pronunciata anche la Corte Suprema di Giustizia della Nazione che, con decisione del 13 febbraio 2025, ha stabilito che le sospensioni concesse dai giudici distrettuali possono essere confermate, modificate o revocate unicamente dai tribunali collegiali circuitali o dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione, in quanto titolari del relativo potere costituzionale e legale. Di conseguenza, secondo la Corte Suprema messicana, la Sala Superiore del Tribunale Elettorale non ha alcuna competenza costituzionale o legale per esercitare una supervisione sui giudici di amparo, e tanto meno per negare la validità giuridica delle loro decisioni. Pertanto, le sentenze della Sala Superiore del Tribunale Elettorale che dichiaravano invalide le sospensioni menzionate, devono essere considerate meri pareri, privi della forza giuridica necessaria per invalidare i provvedimenti di sospensione nei procedimenti di amparo.
A questo proposito, la Corte ha statuito che qualsivoglia forma di autoaffermazione competenziale da parte di qualsiasi autorità è estranea allo stato di diritto. La Sala Superiore non può esercitare la funzione di organo di controllo sui giudici di amparo, né tanto meno negare la validità giuridica delle loro decisioni. Inoltre, le sue sentenze avrebbero compromesso l’indipendenza giudiziaria dei giudici di amparo. Di conseguenza, il Pleno della Corte ha ordinato ai giudici distrettuali che hanno emesso sospensioni contro l’attuazione della riforma giudiziaria di riesaminare d’ufficio i propri provvedimenti di sospensione.
Inoltre, sono state presentate alla Corte Suprema di Giustizia della Nazione diverse acciones de inconstitucionalidad avverso la riforma costituzionale, promosse dal Partido Revolucionario Institucional (PRI), dal Partido de Acción Nacional (PAN) e dal Movimiento Ciudadano (MC). Pochi giorni prima della discussione nel Pleno della Corte, è stato pubblicato un progetto di sentenza, redatto dal giudice relatore Juan Luis González Alcántara Carrancá, nel quale si proponeva di dichiarare l’invalidità di varie disposizioni del decreto modificativo e del suo regime transitorio, inter alia, per violazione delle garanzie giurisdizionali in materia di mandato, mancanza di certezza nel regime di nomina e pregiudizio all’indipendenza e all'autonomia della magistratura.
Più nello specifico, il progetto di sentenza affrontava la revisione costituzionale della riforma giudiziaria dal punto di vista delle cosiddette cláusulas pétreas o di eternità, definite come quelle disposizioni della Costituzione che non possono essere modificate in quanto definiscono una parte essenziale della stessa[31]. Nella bozza, si sottolinea che tali clausole sono solitamente implicite e si ritiene che nella Costituzione sussistano alcuni principi che definiscono il testo costituzionale stesso[32].
Tra questi, si segnalano i principi contenuti nell’art. 40, secondo cui il Messico è una Repubblica rappresentativa, democratica, laica e federale, e quelli dell’art. 35 della Costituzione che prevede il divieto esplicito che tali principi possano essere oggetto di consultazione popolare. Pertanto, sebbene la Costituzione preveda la propria modificabilità mediante il procedimento di cui all’art. 135, tale modificabilità non può estendersi alla totalità del testo costituzionale, poiché l’art. 40 costituisce l’essenza dell’accordo costituente. Questi principi e la forma di governo potrebbero essere modificati solamente mediante l’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo messicano, sulla base di una nuova costituzione e non di una riforma costituzionale[33].
Inoltre, il progetto di sentenza considerava la democrazia come un principio storicamente e socialmente costruito, nel quale la separazione dei poteri costituisce una garanzia di tutela dei diritti umani di cui all’art. 1 della Costituzione[34] e, di conseguenza, il potere politico deve essere limitato, in quanto il potere legislativo è costituito e non costituente e, pertanto, presenta delle limitazioni soggette a controllo giurisdizionale[35]. Su questo punto, il progetto di sentenza mirava a superare una tradizione tendenzialmente conservatrice della Corte, secondo la quale non sarebbe ammissibile esercitare un controllo di costituzionalità su una riforma costituzionale[36].
Entrando nel merito dell’azione di incostituzionalità, il progetto di sentenza riconosceva l’indipendenza della magistratura come garanzia costituzionalmente prevista della separazione dei poteri (artt. 1, 17, 49 e 94), tutelata dalle disposizioni in materia di nomina, stabilità e garanzie contro le pressioni esterne[37], per poi concludere che i magistrati non potrebbero essere rimossi mediante una riforma costituzionale e che i loro stipendi non dovrebbero essere ridotti[38]. Infine, si sottolineava come il meccanismo di elezione popolare diretta dei giudici sarebbe incompatibile con l’indipendenza della magistratura[39]. Ciononostante, nella sessione plenaria del 5 novembre 2024, non essendo stata raggiunta la maggioranza qualificata di otto voti necessaria per dichiarare l'invalidità degli articoli costituzionali, la Corte ha respinto i motivi di impugnazione e non ha proceduto a un esame nel merito della questione.
Nonostante tutte le impugnazioni presentate, il processo elettorale giudiziario avanza rispettando le tempistiche (piuttosto stringenti) previste dalla normativa costituzionale. Il 15 ottobre 2024 (ovvero un mese dopo l’approvazione della riforma costituzionale) il Senato della Repubblica, ai sensi dell’art. 96 della Costituzione, pubblicava il bando recante le disposizioni per l’elezione dei giudici[40] e la costituzione, da parte di ciascun potere dello Stato, di un Comitato di Valutazione[41]. A sua volta, ciascun Comitato, poche settimane dopo, ha pubblicato un bando elettorale invitando tutti i cittadini a partecipare alle elezioni giudiziarie federali. Secondo dati ufficiali della Presidenza della Repubblica, hanno presentato domanda oltre trentamila persone[42].
I Comitati di Valutazione hanno verificato il possesso dei requisiti di eleggibilità dei candidati e delle candidate, valutandone l’idoneità per poi stilare le graduatorie mediante sorteggio pubblico e adeguarle al numero delle candidature per ciascuna posizione, tenendo conto della materia e rispettando il principio della parità di genere. I risultati sono stati pubblicati e successivamente trasmessi al Senato della Repubblica, che li ha consegnati all’Istituto Nazionale Elettorale il 12 febbraio 2025.
Come precedentemente accennato, i candidati e le candidate hanno diritto al pari accesso ai servizi radiotelevisivi e possono partecipare, in condizioni di parità, ai forum di discussione organizzati dal settore pubblico, privato o sociale. È vietata qualsiasi forma di finanziamento pubblico o privato, e né i partiti politici né i pubblici dipendenti saranno autorizzati a fare proselitismo o a schierarsi a favore o contro un candidato o una candidata.
L’Istituto Nazionale Elettorale è responsabile dell’organizzazione delle elezioni, del computo dei voti, della pubblicazione dei risultati e del rilascio dei certificati di maggioranza. La Sala Superiore del Tribunale Elettorale sarà competente per la risoluzione dei ricorsi presentati avverso i risultati elettorali, mentre il Pleno della Corte Suprema si occuperà dei ricorsi eventualmente presentati contro le elezioni del TEPJF. Le elezioni per la Corte Suprema, la Sala Superiore del Tribunale Elettorale e il Tribunale Disciplinare si svolgeranno su scala nazionale, mentre quella delle altre magistrature federali avrà luogo nei rispettivi distretti giudiziari.
Infine, le schede elettorali conterranno l’indicazione della posizione per cui si concorre, l’ente federale per il quale la scheda è stata stampata e il distretto giudiziario di riferimento. Per quanto riguarda i candidati e le candidate, saranno inseriti i nomi completi, disposti in ordine alfabetico e progressivo, prendendo come riferimento il cognome paterno; sarà indicata la specializzazione posseduta e quella cui aspirano (ovvero, non solo la posizione per cui si candidano, ma anche, all’interno di quell’ambito, in quale materia sono specializzati o specializzate). Il nome del candidato o della candidata sarà indicato accanto al potere dello Stato che lo o la ha proposto, o, nei casi corrispondenti, se si candida per la rielezione.
4. Riflessioni finali: rischi e sfide della riforma costituzionale del potere giudiziario
La riforma del potere giudiziario e il suo possibile impatto vanno interpretati sullo sfondo del peculiare momento politico e istituzionale messicano. L’avvento della cosiddetta “quarta trasformazione” nel 2018, che ha segnato la terza alternanza politica dopo oltre settant’anni di governo di un singolo partito, è caratterizzato da un marcato discorso populista. Sebbene tale narrativa esalti l’idea di democrazia popolare, le attuali dinamiche istituzionali suggeriscono una possibile evoluzione verso una forma di presidenzialismo assoluto, in un contesto di crescente tensione con il potere giudiziario[43].
L'ostilità nei confronti del potere giudiziario è stata una costante per l’ex presidente, il quale ha ripetutamente manifestato il proprio disaccordo con le decisioni della Corte Suprema, attaccando – tra le altre cose – le retribuzioni percepite dai Ministri e dalle Ministre, nonostante l’art. 94 della Costituzione sancisse chiaramente l’intangibilità degli stipendi dei funzionari della giustizia durante il loro mandato, a garanzia dell’indipendenza della magistratura[44]. López Obrador ha altresì sovente criticato qualsiasi giudice che avesse pronunciato delle sentenze contrarie alla sua agenda politica[45].
Contrariamente al discorso dominante dei suoi sostenitori, che la presentano come necessaria e urgente, la recente riforma costituzionale del sistema giudiziario che introduce l’elezione popolare diretta della magistratura giudicante ha suscitato significative preoccupazioni. Al momento attuale[46], l’analisi della riforma costituzionale del potere giudiziario deve limitarsi a una prospettiva normativa e di compatibilità con gli standard nazionali e internazionali. La piena comprensione del funzionamento e dell’efficacia della riforma richiederà una valutazione successiva.
In primo luogo, l’introduzione dell’elezione popolare per giudici e magistrati potrebbe compromettere l’indipendenza del potere giudiziario. Tale indipendenza si fonda, tra le altre cose, sull’inamovibilità e sul diritto a un ricorso effettivo avverso la rimozione dall’incarico[47]. La sostituzione anticipata, sebbene scaglionata tra il 2025 e il 2027, di una parte significativa della magistratura in carica solleva serie preoccupazioni in merito alla stabilità del sistema giudiziario e al rispetto delle garanzie di inamovibilità dei giudici, sancite anche da standard internazionali. Tale misura potrebbe rendere i magistrati più vulnerabili a pressioni esterne durante il loro mandato, in vista di una potenziale mancata rielezione.
Inoltre, la necessità di ottenere il consenso popolare potrebbe esporre le persone candidate e quelle elette a pressioni politiche, economiche e mediatiche, compromettendo la loro capacità di decidere in modo imparziale e basato unicamente sulla legge. La dipendenza dal voto popolare potrebbe prevalere sulla valutazione del merito e delle competenze professionali, elementi cruciali per l’esercizio della funzione giurisdizionale. Il rischio sarebbe quello di creare un sistema giudiziario subordinato alla volontà della maggioranza, di gruppi di potere o di forze politiche, esponendo cosí a un rischio maggiore quei gruppi che, per diverse ragioni, sono già vulnerabili e compromettendo il corretto funzionamento istituzionale.
Tali rischi sono stati denunciati da vari organismi internazionali. Innanzitutto, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza della magistratura, Margaret Satterthwaite, ha espresso la propria preoccupazione in merito alla riforma giudiziaria al governo messicano, sottolineando come questa, discostandosi dagli standard internazionali potrebbe compromettere l’autonomia della magistratura. Ha inoltre evidenziato che l’elezione e la rimozione dei giudici, nonché lo scioglimento del Consiglio della Magistratura Federale, non sarebbero compatibili con i diversi ordinamenti giuridici sovranazionali ai quali il Messico ha aderito, osservando altresì che tale riforma interviene in un contesto di interferenze e critiche nei confronti della magistratura da parte di altri organi governativi. In aggiunta, per quanto riguarda l’elezione dei Ministri e delle Ministre della Corte Suprema di Giustizia della Nazione mediante suffragio popolare, la relatrice ha avvertito che ciò potrebbe favorire l’influenza di interessi politici, trascurando il merito e le competenze professionali. L’esperta ha infine sottolineato l’importanza della magistratura nella difesa dei diritti umani e, pertanto, ls necessità che lo Stato messicano adotti certe misure per proteggere i giudici da qualsiasi pressione politica, inclusa l’istituzione di una procedura appropriata per la loro nomina e la garanzia contro licenziamenti arbitrari[48].
Da parte sua, anche la Commissione interamericana dei diritti umani ha espresso profonda preoccupazione per l’entrata in vigore della riforma costituzionale de qua, ritenendola contraria al diritto a un accesso effettivo alla giustizia e all’indipendenza della magistratura. Pur riconoscendo la necessità di una riforma del potere giudiziario messicano, la Commissione ha sottolineato l’importanza di preservare tutte le garanzie di indipendenza della magistratura, in particolare quelle che proteggono i giudici da pressioni esterne e dall’influenza politica, sia pubblica che privata. Inoltre, il rinnovo della magistratura nel 2025 e nel 2027 ostacolerebbe la risoluzione delle questioni relative all’idoneità e all’accesso meritocratico della magistratura giudicante. Ha infine osservato che le elezioni popolari non costituiscono la modalità appropriata per affrontare i problemi di impunità e corruzione, evidenziando che una riforma di tale portata avrebbe dovuto essere realizzata attraverso un dialogo informato e partecipativo che promuovesse il rispetto dei diritti umani[49].
Un secondo possibile rischio collegato alla riforma del potere giudiziario, come evidenziato da diversi organismi internazionali, risiede nella possibile ulteriore politicizzazione della magistratura, sia nella selezione dei candidati e delle candidate sia nello svolgimento della giornata elettorale. Se prima della riforma costituzionale, la Presidenza della Repubblica e il Senato partecipavano alla nomina diretta dei Ministri e delle Ministre della Corte Suprema di Giustizia della Nazione, mentre quest’ultima, unitamente al Senato, partecipava alla nomina dei magistrati e delle magistrate elettorali del Tribunale Elettorale, con una procedura presso la Sala Superiore distinta da quella delle Sale Regionali, attualmente vi è un coinvolgimento diretto dei tre poteri dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario), mediante i rispettivi Comitati di valutazione che ricevono ed esaminano le domande, conducono il processo di selezione pubblica e, infine, propongono le liste di candidati e candidate. Si introduce, pertanto, la partecipazione della Camera dei Deputati, composta da alti funzionari politici, e si amplia quella del potere esecutivo e della stessa Corte Suprema di Giustizia della Nazione (che, a partire dal 2025, sarà composta da ministri e ministre eletti tramite suffragio popolare).
Sebbene tale struttura miri a una maggiore partecipazione, la potenziale affiliazione o vicinanza dei candidati a specifici rami del governo potrebbe minare l’equilibrio dei poteri e la fiducia nell’imparzialità del sistema giudiziario. In tal modo, ogni persona preposta all’amministrazione della giustizia potrebbe avere legami con uno dei rami del governo. Dal punto di vista dell’indipendenza della magistratura, ciò non è auspicabile, poiché i poteri si controbilanciano reciprocamente; e un tale livello di dipendenza – derivante dal sostegno ricevuto per la candidatura – potrebbe generare uno squilibrio nella dinamica dei poteri e accrescere le pressioni esterne durante l’attività giurisdizionale.
Un altro aspetto delicato della riforma riguarda la preparazione professionale dei futuri magistrati e magistrate. La riforma pare depotenziare il ruolo della carriera giudiziaria come percorso meritocratico di accesso alle posizioni apicali. La Ley de la Carrera Judicial del Poder Judicial de la Federación sarebbe circoscritta alle posizioni di rango inferiore (funzionari, impiegati e segretari), mentre coloro che aspirano a incarichi presso tribunali o corti potrebbero non necessitare di una specifica preparazione tecnica, essendo legittimati dal suffragio popolare, con possibili ricadute negative sulla qualità delle pronunce giudiziarie. ebbene la Costituzione messicana stabilisca una serie di requisiti di candidabilità e prevede un processo di analisi da parte dei Comitati di Valutazione, il fattore determinante diverrà la preferenza dell’elettorato. Tale preferenza potrà essere influenzata da orientamenti politici – espressi dai partiti – e non necessariamente basarsi sulla valutazione costante delle competenze professionali dei candidati e delle candidate. Infine, come ulteriore effetto secondario, la formazione e l’aggiornamento costanti delle conoscenze giuridiche perdono rilevanza, non rappresentando un prerequisito per l’accesso alla carica. La soggettività dell’elettorato nel processo decisionale al momento del voto non promuove lo sviluppo specializzato dei membri dei vari organi che compongono il potere giudiziario federale.
Infine, un ulteriore punto critico della riforma costituzionale concerne il Tribunale Disciplinare Giudiziario, il quale assorbirà alcune delle competenze del Consiglio della Magistratura Federale, destinato a cessare la propria esistenza. Sebbene la sua creazione risponda all’esigenza di una maggiore responsabilità della magistratura (inclusa la Corte Suprema di Giustizia della Nazione, che precedentemente esercitava l’autogoverno in tale ambito), sarà necessario monitorare attentamente il suo funzionamento e la sua reale indipendenza dai poteri politici. Il pericolo è che tale organo possa essere utilizzato come strumento di pressione o di ritorsione nei confronti di giudici e magistrate non allineati con l’agenda politica dominante. Sebbene le garanzie di indipendenza della magistratura non precludano l’esistenza di regimi sanzionatori e disciplinari per il mancato adempimento dei rispettivi doveri legali e costituzionali, è innegabile che le competenze disciplinari e le sanzioni previste siano divenute più severe rispetto a quelle precedentemente esercitate dal Consiglio della Magistratura Federale. Ne potrebbe derivare un meccanismo per esercitare indebite pressioni sulla magistratura.
In conclusione, l’approvazione di una riforma di tale portata, in un contesto di forti polarizzazioni politiche e senza un ampio e partecipativo dialogo reale con tutti gli attori interessati (magistratura, società civile, esperti), solleva interrogativi sulla sua legittimità e sulla sua effettiva capacità di rispondere alle esigenze di un sistema giudiziario più efficiente, trasparente e indipendente. Le sfide che essa rappresenta per l’indipendenza, l'imparzialità e la professionalità del potere giudiziario sono notevoli, così come lo è il rischio di politicizzazione e di indebolimento della carriera giudiziaria, elementi che potrebbero compromettere la funzionalità dello Stato di diritto e della tutela dei diritti umani nel paese. Sarà cruciale osservare attentamente l’implementazione della riforma e le sue conseguenze pratiche nel medio e lungo termine.
[1] Il vigente testo costituzionale messicano è entrato in vigore il 5 febbraio del 1917. Mediante la riforma del 15 settembre 2024, sono stati modificati gli articoli 17, 20, 76, 89, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 105, 107, 110, 111, 113, 116, 122 e 123.
[2] Essendo il Messico uno Stato federale, anche il potere giudiziario si articola su due livelli. Esiste un Poder Judicial Federal e 32 poteri giudiziari locali. Entrambi hanno una struttura propria, specifiche competenze e rispettive normative. La riforma costituzionale incide direttamente sul potere giudiziario federale e obbliga gli Stati ad adeguare il proprio ordinamento costituzionale.
[3] Negli Stati Uniti, il sistema di elezione popolare dei giudici affonda le sue radici nel movimento jacksoniano degli anni Trenta dell’Ottocento (1830-1854), che promosse una maggiore democratizzazione delle istituzioni pubbliche. Questo movimento rispondeva alla percezione che i giudici, tradizionalmente nominati dai governatori o dalle legislature statali, rappresentassero gli interessi delle élite economiche e politiche. Al contrario, si riteneva che i giudici eletti dal popolo sarebbero stati più responsabili e trasparenti nell’esercizio delle loro funzioni. Inoltre, il sistema di elezione giudiziaria è emerso durante un periodo chiave nello sviluppo della democrazia negli Stati Uniti, nel tentativo di dare ai cittadini un ruolo più attivo nella società. Il Mississippi fu pioniere nella riforma delle nomine giudiziarie, introducendo l’elezione popolare e partitica dei giudici nel 1832. Questo approccio, che promuoveva l’intervento diretto degli elettori nella magistratura, si diffuse gradualmente nel resto del Paese nel corso del XIX secolo, perdendo forza nel corso del XX secolo, principalmente a causa dell’eccessiva politicizzazione del sistema. Le campagne giudiziarie, infatti, richiedono la raccolta di fondi, mettendo a rischio l’indipendenza della magistratura poiché i giudici in campagna elettorale devono pronunciarsi su questioni controverse senza conoscere le specifiche basi giuridiche dei casi futuri. Per contrastare l’eccessiva politicizzazione del sistema, in vari Stati sono stati introdotti adeguamenti legislativi, passando dalle elezioni partitiche a modelli non partitici o alternativi. Tali riforme includevano l’attuazione di codici di condotta giudiziaria e di restrizioni legali alla selezione, alla conferma e alla carica dei giudici. Attualmente, 20 Stati eleggono determinati giudici di primo grado. Inoltre, 7 Stati (Alabama, Illinois, Louisiana, New Mexico, North Carolina, Pennsylvania e Texas) eleggono i giudici della Corte d’appello e della Corte suprema mediante elezione popolare partitica (i candidati vengono nominati dai partiti in elezioni competitive o in cui gli stessi giudici competono in processi elettorali simili a quelli per le cariche politiche), mentre 13 Stati (Arkansas, Georgia, Idaho, Kentucky, Minnesota, Mississippi, Montana, Nevada, North Dakota, Oregon, Washington, West Virginia e Wisconsin) optano per elezioni apartitiche per selezionare i giudici della Corte Suprema. Sull’elezione popolare dei giudici negli Stati Uniti si v. R. Serra Cristóbal, “La selección de jueces en Estados Unidos: la singularidad de un modelo dual y diverso”, in Teoría y Derecho, 34, 2023, 152-181, 165.
[4] In Giappone, i giudici della Corte Suprema sono nominati dal Consiglio dei Ministri (art. 6 della Costituzione giapponese), ma sono soggetti a una particolare forma di controllo democratico, ovvero il referendum giudiziario. Secondo l’articolo 79 della Costituzione, tutti i giudici della Corte Suprema devono essere sottoposti a referendum alle prime elezioni generali successive alla loro nomina e successivamente ogni 10 anni. Il processo legislativo di questa struttura è stato storicamente centralizzato e dominato dal governo. Le leggi sulla magistratura sono redatte dal Ministero della Giustizia e approvate dalla Dieta Nazionale. Sebbene il sistema giapponese mantenga il controllo indiretto da parte dei cittadini, questo è considerato più simbolico che effettivo. In pratica, nessun giudice è mai stato rimosso tramite referendum. Sull’elezione popolare dei giudici in Giappone si v. R.O. Lempert, “Citizen Participation in Judicial Decision Making: Juries, Lay Judges and Japan”, in St. Louis-Warsaw Transatlantic Law Journal, 2001-2002, 2001, 1-14.
[5] La Bolivia ha adottato il sistema di elezione popolare dei giudici nella sua Costituzione politica del 2009, come parte di un profondo processo di rifondazione dello Stato. Questo cambiamento rappresentò la risposta a decenni di crisi del sistema giudiziario, caratterizzati da corruzione diffusa, controllo politico da parte di un unico partito e inefficienza. Durante il periodo neoliberista (1985-2005), il sistema giudiziario boliviano ha raggiunto livelli di discredito preoccupanti. I deputati e i senatori dei partiti tradizionali distribuivano le cariche giudiziarie tra i loro associati, creando reti di lealtà politica. Le elezioni popolari furono concepite all'interno di un pacchetto di riforme volto a decolonizzare il sistema giudiziario, tradizionalmente considerato un’eredità coloniale utilizzata per privare la popolazione indigena dei propri diritti. La Costituzione precedente stabiliva che i giudici della Corte Suprema di Giustizia, del Tribunale Costituzionale Plurinazionale, della Corte Agroambientale e del Consiglio della Magistratura sarebbero stati eletti a suffragio universale ogni sei anni. Nel 2009 è stata promulgata una nuova Costituzione politica dello Stato, che ha stabilito il metodo di elezione dei giudici tramite voto popolare. In questo modo, il Paese è diventato il primo al mondo ad eleggere i vertici del potere giudiziario nazionale utilizzando questo metodo. Sull’elezione popolare di giudici in Bolivia si v. F.B. Escobar Pacheco e A.M. Russo, “Elección popular de jueces en Bolivia: aportes del derecho constitucional comparado al debate”, in Anuario de Derecho Constitucional Latinoamericano, 25, 2019, 657-682. Alla data di redazione del presente documento (aprile 2025), in Bolivia si sono già svolte due elezioni popolari giudiziarie. Ciò ha evidenziato una serie di problematiche: nel 2011 e nel 2017, si sono registrati rispettivamente il 60% e il 65% di schede nulle/bianche, a testimoniare una diffusa insoddisfazione della cittadinanza verso i candidati; nel 2022, il Consiglio della Magistratura ha licenziato 11 giudici per corruzione, inclusi casi di rilascio illegale di autori di femminicidio. Human Rights Watch ha documentato che quasi il 50% dei giudici erano temporanei e vulnerabili alle pressioni politiche: si v. il report di Human Rights Watch disponibile al link https://www.hrw.org/world-report/2024/country-chapters/bolivia#e0e36f.
[6] La Svizzera adotta un modello singolare per l’elezione dei giudici federali: essi sono scelti dal Parlamento (Assemblea federale) su base partitica, con un mandato di 6 anni. Questo sistema riflette la tradizione svizzera di democrazia semidiretta e consociativa, che cerca di bilanciare interessi linguistici, regionali e di partito. Tra le caratteristiche principali, spiccano l’obbligo per i giudici di appartenere a un partito politico e, in caso di elezione, il versamento della cosiddetta “tassa di mandato” (tra 3.000 e 26.000 franchi svizzeri all’anno) al partito di appartenenza. In cambio, in caso di rielezione, ricevono il sostegno del loro partito. La distribuzione delle cariche segue la formula proporzionale ai seggi parlamentari. Nel 2021 è stata presentata una proposta per introdurre l’elezione popolare diretta dei giudici federali. I sostenitori dell’iniziativa ritenevano che il processo di selezione parlamentare compromettesse l’indipendenza della magistratura e rendesse inoltre quasi impossibile l’elezione di giudici non appartenenti a partiti politici. Secondo tale proposta, i giudici federali sarebbero stati selezionati tramite sorteggio da un gruppo di candidati scelti da un comitato di esperti, offrendo così la possibilità di elezione anche a coloro privi di affiliazione partitica. Sul sistema svizzero si v. M. Flick Witzig, C. Rothmayr Allison e F. Varone, “The Judicial System”, in The Oxford Handbook of Swiss Politics, Oxford, Oxford University Press, 2023, 214.
[7] La riforma della Costituzione messicana relativa alla magistratura del 1994 ha innanzitutto modificato aspetti rilevanti della Corte Suprema di Giustizia della Nazione, riducendo il numero dei suoi membri da ventisei a undici e fissando la durata del mandato a quindici anni. Inoltre, ha modificato il sistema di nomina allora vigente, prevedendo la presentazione di una terna da parte del Presidente della Repubblica al Senato. I candidati inclusi nella terna presidenziale avevano l’obbligo di presentarsi al Senato, il quale poteva eleggere uno di essi con una maggioranza qualificata dei due terzi entro un termine perentorio di trenta giorni. Inoltre, fu prevista la conclusione scaglionata del mandato dei giudici per evitare un rinnovamento simultaneo dell’intera Corte, unitamente al pensionamento anticipato dei magistrati allora in carica. La riforma del 1994 ha inoltre istituito il Consiglio della Magistratura Federale, come organo di autocontrollo e autogoverno della magistratura (con competenza in materia di nomina, assegnazione e rimozione dei magistrati), composto da sette membri: il Presidente della Corte Suprema (che fungeva anche da Presidente del Consiglio), un Magistrato delle Corti Collegiali di Circuito, un Magistrato delle Corti Unitarie di Circuito e un Giudice Distrettuale (questi tre eletti a sorte), due Consiglieri nominati dal Senato e uno dal Presidente della Repubblica. Il mandato dei membri del Consiglio della Magistratura Federale durava cinque anni. La riforma del 1994 ha introdotto anche delle importanti modifiche riguardo ai meccanismi di accesso alla Corte, tra cui l’acción de inconstitucionalidad, strumento per sollevare questioni di contraddittorietà tra una norma generale e la Costituzione. Infine, per quanto concerne le controversie costituzionali, la riforma del 1994 definiva i casi di conflitto in cui esse erano ammissibili e con riferimento all’amparo, si diede un nuovo trattamento all’esecuzione delle pene, affidandola direttamente alla Suprema Corte. Sulla riforma del potere giudiziario si v. ex plurimis, J. Cortez Salinas e G. Salazar Rebolledo, “La construcción de la independencia y del poder de la Suprema Corte de Justicia en México. Explicando la Reforma Judicial de 1994”, in Estudios políticos (México), 46, 2019, 213-233.
[8] Secondo l’art. 135 della Costituzione, qualsiasi modifica o integrazione al testo costituzionale deve essere approvata dalla maggioranza qualificata delle due Camere del Parlamento e dai due terzi delle trentadue entità federative che compongono la Repubblica messicana. Nonostante la previsione di un procedimento legislativo rafforzato, la recente storia costituzionale messicana evidenzia una marcata tendenza alla modificabilità del testo fondamentale: in oltre 107 anni dalla sua entrata in vigore (5 febbraio 1917), il testo costituzionale messicano è stato modificato circa un migliaio di volte, tanto da conservare ben poco della sua formulazione originaria. Sulle revisioni costituzionali della Carta fondamentale messicana si v. I. Burgoa, La reformabilidad de la Constitución mexicana de 1917, Messico, Universidad Nacional Autónoma de México, 2007 e J. Carpizo, “La reforma constitucional en México. Procedimiento y realidad”, in Boletín mexicano de derecho comparado, 131, 2011, 543-598.
[9] L’uso dell’espressione “quarta trasformazione” deriva dal fatto che l’ex presidente Andrés Manuel López Obrador, sin dall’inizio del suo mandato, ha considerato il suo Governo come il quarto momento chiave della storia messicana dopo l’Indipendenza (movimento armato di liberazione dal dominio spagnolo durato 300 anni, 1810-1821), la Riforma (guerra tra liberali e conservatori, 1858-1861, da cui scaturirono le Leyes de Reforma, con la separazione tra Chiesa e Stato come elemento centrale) e la Rivoluzione (il conflitto armato contro il regime di Porfirio Díaz tra il 1910 e il 1917). Sulla “quarta trasformazione”, cfr. H.E. Saéz A., “Cuarta transformación. Antecedentes y perspectivas”, in Argumentos. Estudios críticos de la sociedad, 89, 2019, 83-102.
[10] Sul punto si rinvia all’Exposición de Motivos dell’iniziativa di riforma disponibile al link https://gaceta.diputados.gob.mx/PDF/65/2024/feb/20240205-15.pdf.
[11] Il 5 febbraio 2024, il potere esecutivo federale ha presentato al Congresso 19 iniziative legislative con un potenziale impatto significativo su vari aspetti della struttura istituzionale dello Stato, sull’economia e sui diritti dei cittadini. Le iniziative presidenziali non seguivano un unico fil rouge. Piuttosto, rappresentavano un tentativo della precedente amministrazione di costituzionalizzare una serie di iniziative precedentemente dichiarate incostituzionali dalle corti federali (come i tetti salariali e l’austerità repubblicana, la preminenza delle aziende statali nel settore elettrico, la Guardia Nazionale, tra le altre) e progetti di assistenza già operativi. Inoltre, le iniziative comprendevano modifiche che riflettevano promesse fatte dall’esecutivo durante il suo mandato, tra cui la riforma giudiziaria, quella elettorale e quella che prevede l’eliminazione degli organismi autonomi e decentralizzati. Infine, questo pacchetto di iniziative comprendeva altre proposte che sono state poco discusse, come i diritti sociali e ambientali. È possibile consultare l’intero pacchetto di iniziative a questo link https://gaceta.diputados.gob.mx/PDF/65/2024/feb/20240205-15.pdf.
[12] I “foros” sono stati realizzati in diverse località della Repubblica nel periodo compreso tra il 27 giugno e il 6 agosto e vi hanno partecipato deputati, senatori e funzionari parlamentari oltre che i giudici della Corte Suprema, rappresentanti dell’Asociación de Tribunales de Justicia dei 32 Stati e del Sindicato de Trabajadores Administrativos del Poder Judicial, e il Procuratore Generale della Repubblica. Sulla pratica del “parlamiento abierto”, si v. J.P. Rojas Aguilar e M.M. Carrillo Huerta, “Legislar con la ciudadanía: Una mirada desde el Parlamento Abierto en México”, in Human Review, 16.2, 2023, 1-13.
[13] Per quanto riguarda le modifiche apportate all’iniziativa presidenziale dalla Camera dei deputati, si veda il documento disponibile al link https://www.diputados.gob.mx/sedia/sia/spi/SAPI-ASS-11-24.pdf.
[14] La Comisión de Puntos Constitucionales ha approvato l’iniziativa il 26 agosto.
[15] Una volta ottenuta l’approvazione della maggioranza dei congressi locali, entrambe le Camere del Congresso dell’Unione hanno emanato una dichiarazione di riforma costituzionale, poi trasmessa al Diario Oficial de la Federación, per la sua rispettiva pubblicazione, avvenuta il 15 settembre.
[16] In Messico, il pubblico ministero non è parte della magistratura ma dipende dal potere esecutivo.
[17] Prima della riforma, il potere giudiziario federale era composto dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione, i Tribunali Circondariali Collegiati (Tribunales Colegiados de Circuito), le Corti Collegiate d’Appello (Tribunales Colegiados de Apelación) e i Tribunali Distrettuali (Juzgados de Distrito). I Tribunales Colegiados de Circuito sono stati creati per alleggerire il carico di lavoro della Corte Suprema (dal 1967). Sono composti da tre giudici e si occupano di due procedimenti: l’amparo diretto (che si presenta contro le risoluzioni che pongono fine a un processo o contro sentenze definitive) e l’amparo indiretto (seconda istanza di amparo contro qualsiasi atto di autorità non previsto per l’amparo diretto). I Tribunales Colegiados de Apelación sono organi di secondo grado che esaminano le decisioni dei tribunali distrettuali, nonché quelle di altre corti d’appello collegiali. Hanno competenza ordinaria, in materia civile, penale o commerciale. Infine, i Juzgados de Distrito sono gli organi di primo grado responsabili della risoluzione delle controversie e delle questioni legali rientranti nella loro giurisdizione. Inoltre, in materia elettorale vi sono il Tribunale Elettorale del Potere Giudiziario della Federazione (che a sua volta si articola in Sala Superiore, Sale Regionali e una Sala Specializzata in materia di libertà d’espressione). Inoltre, era parte della struttura anche il Consiglio della Magistratura Federale, organo incaricato dell’amministrazione e di autocontrollo. Nonostante la riforma della Costituzione federale si applichi solamente alle magistrature federali, allo stesso tempo obbliga i parlamenti locali ad approvare le rispettive riforme alle costituzioni locali, lasciando agli Stati la libertà di decidere come implementare il modello dell’elezione popolare dei giudici. Alla fine di gennaio 2025, erano 18 le entità federative che avevano già approvato la riforma del potere giudiziario locale. Di conseguenza, nel 2025 si svolgeranno le elezioni per eleggere i giudici statali negli stati di Aguascalientes, Baja California, Chihuahua, Ciudad de México, Coahuila, Colima, Durango, Estado de México, Michoacán, Quintana Roo, San Luis Potosí, Sonora, Tabasco, Tamaulipas, Tlaxcala, Veracruz e Zacatecas. Si tratterácomunque di una ristrutturazione parziale: solo Campeche cambierá tutta la magistratura nel 2027.
[18] È stato sottolineato come questo procedimento permetteva unire le volontà degli organi rappresentativi – territoriali – e dell’istituzione che incarna l’unità dello Stato: cfr. C. Astudillo, “El nombramiento de los ministros de la Suprema Corte de Justicia de la Nación”, in A. von Bogdandy, E. Ferrer MacGregor e M. Morales Antoniazzi (coord.), La justicia constitucional y su internacionalización. ¿Hacia un ius constitutionale commune en América Latina?, México, Instituto de Investigaciones Jurídicas de la UNAM, 2010, 345-385.
[19] Con le riforme costituzionali del 1987 e del 1994 sono state introdotte le figure della carriera giudiziaria e della scuola giudiziaria per i magistrati dei Tribunales Colegiados de Circuito, Tribunales Colegiados de Apelación e Juzgados de Distrito: si v. a tale proposito J. García Hernández, “La carrera judicial”, in Revista de la Facultad de Derecho de México, 53.239, 2017, 25-30, spec. 27.
[20] Il sorteggio si è svolto il 12 ottobre 2024. Il Senato della Repubblica, in ottemperanza a quanto previsto dal quarto comma del secondo articolo transitorio del decreto di riforma e, sulla base di un elenco fornito dal Consiglio della Magistratura Federale, ha determinato i criteri di selezione per le posizioni da rinnovare presso i Tribunales Colegiados de Circuito, i Tribunales Colegiados de Apelación e i Juzgados de Distrito: per un approfondimento si v. le notizie riportate nei seguenti link: https://animalpolitico.com/politica/senado-sorteo-tombola-cargos-poder-judicial#google_vignette e https://elpais.com/mexico/2024-10-12/el-senado-mexicano-sortea-los-cargos-judiciales-que-seran-sometidos-a-voto-popular-en-2025.html.
[21] Fino alla riforma del 2024, la Corte Suprema funzionava in sessione plenaria (poteri costituzionali) e Camere (poteri costituzionali e ordinari): la prima Camera si occupava di questioni civili e penali, mentre la seconda di questioni amministrative e giuslavoriste. Al Pleno ora viene attribuita la competenza di adottare acuerdos generales mediante i quali vengono distribuite le cause, competenza questa precedentemente attribuita alle camere.
[22] Nel caso di reati quali furto, frode, falsificazione, abuso di fiducia o qualsiasi altro atto che danneggi gravemente la reputazione pubblica, la persona condannata non potrà presentare la propria candidatura, indipendentemente dalla durata della pena.
[23] Si tratta di un sorteggio aleatorio e imparziale che veniva usato già per selezionare le persone per il ruolo di funzionari dei seggi elettorali durante la giornata elettorale.
[24] Nel caso della lista del Congresso dell’Unione, una proposta sarà formulata dalla Camera dei deputati e due dal Senato.
[25] Sul punto, si v. J.J. Garza Onofre, “Reforma al Poder Judicial. Sustitución del actual Consejo de la Judicatura Federal por un nuevo órgano de administración judicial separado de la Suprema Corte y creación de un tribunal de disciplina judicial”, in S López Ayllón, J. Orozco Henríquez, P. Salazar e D. Valadés (coords.), Análisis técnico de las 20 iniciativas de reformas constitucionales y legales presentadas por el presidente de la República (febrero 5, 2024), Messico, Instituto de Investigaciones Jurídicas de la UNAM, 2024, 301-318.
[26] Tali notizie sono riportate in fonti giornalistiche: si v. ex plurimis https://www.france24.com/es/américa-latina/20240821-méxico-comienza-el-paro-indefinido-del-poder-judicial-en-rechazo-a-la-reforma-de-lópez-obrador
[27] Cfr. https://efe.com/mundo/2024-09-17/paro-judicial-mexico-reforma/
[28] Cfr. https://www.fisherphillips.com/es/news-insights/mexicos-federal-judiciary-council-announces-end-to-judiciary-work-stoppage-key-takeaways-for-employers.html
[29] Si tratta degli acuerdos INE/CG2240/2024 (che dichiara iniziato il processo), INE/CG2241/2024 (con le indicazioni del piano completo e calendario del processo elettoral) e INE/CG2242/2024(che ordina la creazione della Commissione temporanea del Proceso Electoral Extraordinario del Poder Judicial de la Federación 2024-2025.
[30] Si veda la decisione del TEPJF, SUP-AG-209/2024, del 23 ottobre 2024.
[31] Progetto di sentenza Acción de inconstitucionalidad 164/2024 y sus acumuladas 165/2024, 166/2024, 167/2024 y 170/2024, disponibile al link https://www.scjn.gob.mx/sites/default/files/proyectos_resolucion_scjn/documento/2024-10/A.I.%20164-2024%20y%20sus%20acumuladas%20-%20Proyecto.pdf : si vedano i paragrafi 94 e 96.
[32] Ivi, paragrafo 88.
[33] Ivi, par. 138.
[34] Ivi, parr. 157-160.
[35] Ivi, par. 188.
[36] Difatti, si può leggere: “Prima di entrare nell’analisi del decreto impugnato, occorre chiarire che questa sarà la prima volta che la Corte Suprema di Giustizia della Nazione analizzerà, in un’azione di incostituzionalità, la censura relativa ai vizi del processo legislativo e, qualora dovesse risultare infondata, sarà anche la prima volta che, in un’azione di incostituzionalità, verranno esaminate le censure sostanziali formulate contro una riforma costituzionale”: Progetto di sentenza, Acción de inconstitucionalidad 164/2024 y sus acumuladas 165/2024, 166/2024, 167/2024 y 170/2024, par. 208. La Costituzione messicana prevede diversi tipi di controllo di costituzionalità. L’amparo è un procedimento di difesa della Costituzione e dei diritti umani lesi da atti adottati da autorità. È previsto dagli artt. 103 e 107 della Costituzione e dalla Ley de Amparo, il cui art. 61 esclude la possibilità che si possa presentare un amparo contro una riforma costituzionale. A tal riguardo, la Corte Suprema di Giustizia ha delineato due approcci distinti sull’ammissibilità dell'amparo in tali circostanze: per violazioni dei diritti umani derivanti dal processo di riforma e per quelle basate sul contenuto materiale della riforma stessa. Il primo precedente che possiamo menzionare risale alla fine degli anni Novanta, con l’Amparo en Revisión 2996/96, adottata in seduta plenaria e approvata con sei voti favorevoli e cinque contrari, in cui la Corte stabilì che la mancata osservanza del procedimento di revisione costituzionale previsto dalla Costituzione renderebbe ammissibile l’amparo. Successivamente, con l’Amparo en Revisión 1334/98, la Corte Suprema ha reiterato il proprio criterio, specificando che in ogni caso non si mette in discussione il contenuto della Costituzione, quanto piuttosto gli atti del processo legislativo suscettibili di produrre un risultato viziato, evidenziando che, in ogni caso, la procedibilità dell’amparo è subordinata alla dimostrazione di un interesse giuridico alla riforma, ovvero di una potenziale lesione alla sfera giuridica individuale in caso di sua attuazione. Successivamente, la Corte ha stabilito un criterio diverso nei procedimenti di controversia costituzionale. Tale procedura, prevista dall’art. 105 della Costituzione, si applica quando uno dei poteri dello Stato, degli organi autonomi o dei diversi livelli di governo ritiene che una norma, un atto o un’omissione invada la propria sfera di competenza, violando l'ordinamento costituzionale. Nella Controversia Constitucional 82/2001 si statuisce che tale procedura non comporta l’analisi del processo o del contenuto della riforma costituzionale, ma si limita a verificare se l’autorità fosse costituzionalmente competente. Successivamente si è discusso della possibilità di usare il meccanismo dell’azione di costituzionalità per analizzare la costituzionalità delle riforme costituzionali. Nell’Acción de Inconstitucionalidad 168/2007 y acumulada 169/2007, la Corte ha giudicato tale meccanismo inadeguato, poiché la legge lo limita all’analisi delle leggi in astratto, escludendo quindi normative di rango costituzionale. Successivamente, nell’Amparo en Revisión 186/2008 si ammise la possibilità di dichiarare ammissibile un amparo che sollevava l’incostituzionalità di riforme costituzionali. Tuttavia, tale criterio fu superato negli Amparos en Revisión 519/2008 e 2021/2009, in cui la Corte tornò sui propri passi. Affermò che l’amparo era inammissibile in caso di riforme costituzionali, poiché il suo compito non è giudicare la Costituzione, ma garantirne l’integrità. Inoltre, secondo il ragionamento della Corte, garantire una tutela contro una riforma costituzionale potrebbe violare il principio di relatività delle sentenze. Più recentemente, la Corte Suprema di Giustizia ha ribadito la sua posizione decennale sull'amparo: esso sarebbe applicabile unicamente contro gli atti del processo legislativo e non contro il contenuto delle riforme costituzionali. Nella jurisprudencia 2/2022 della Seconda Camera si è risolta una contradicción de criterios tra il Segundo Tribunal Colegiado en Materia Administrativa del Primer Circuito e il Décimo Tribunal Colegiado en Materia Administrativa del Primer Circuito sull’ammissibilità della tutela contro le riforme costituzionali, specificamente riguardo al contenuto sostanziale della modifica. In tale sede, si è stabilito che in questo caso la causa di inammissibilità della legge di tutela è chiara e indubbia, e pertanto la domanda deve essere respinta sin dall’ordinanza iniziale.
[37] Ivi, par. 343
[38] Ivi, par. 409.
[39] Ivi, paras. 461-463.
[40] Nel bando sono state indicati le posizioni da coprire: 9 posizioni da ministro della SCJN (5 donne e 4 uomini); 5 giudici del Tribunale Disciplinare Giudiziario (3 donne e 2 uomini); due giudici della Camera Superiore del TEPJF (1 donna e 1 uomo); 15 posizioni delle Camere Regionali del TEPJF (10 donne e 5 uomini); 464 posizioni per magistrati delle corti collegiali distrettuali e delle corti d’appello collegiali e 386 posizioni di giudice distrettuale. Sono inoltre previste le regole di distribuzione territoriali e vengono richiamati i requisiti costituzionali.
[41] Per quanto riguarda la conformazione dei Comitati di Valutazione, quello del potere esecutivo è integrato da Arturo Fernando Zaldívar Lelo de Larrea, Isabel Inés Romero Cruz, Javier Quijano Baz, Mary Cruz Cortés Ornelas e Vanessa Romero Rocha, quello del potere legislativo da Maday Merino Damián, Andrés Norberto García Repper Favila, María Gabriela Sánchez García, Maribel Concepción Méndez de Lara e Ana Patricia Briseño Torres, e quello del potere giudiziario da Wilfrido Castañón León, Mónica González Contró, Emma Meza Fonseca, Hortencia María Emilia Molina de la Puente e Luis Enrique Pereda Trejo.
[42] Presentaron domanda nelle liste del potere esecutivo 18,447 persone (si v. la informazione riportata nel seguente link https://www.gob.mx/presidencia/prensa/fue-todo-un-exito-la-inscripcion-de-aspirantes-a-eleccion-del-poder-judicial-presidenta-claudia-sheinbaum-se-registraron-18-447-personas), nel potere giudiziario 3,805 persone (cfr. https://animalpolitico.com/politica/aspirantes-registro-eleccion-judicial) en el bando del potere legislativo furono 10,959 persone (cfr. https://www.elfinanciero.com.mx/nacional/2024/12/07/eleccion-judicial-senado-revela-lista-preliminar-de-aspirantes-a-participar-cuantos-se-registraron/).
[43] Il discorso istituzionale dell’ex presidente è sempre stato piuttosto critico nei confronti del potere giudiziario, accusandolo di corruzione, di proteggere la “mafia del potere”, di essere un potere elitista, ponendo in discussione in particolare le remunerazioni percepite. La narrativa politica di López Obrador nei confronti del potere giudiziario è di tipo populista, accusando specialmente i magistrati della Corte Suprema, ma in realtà tutta la magistratura giudicante, di non essere in sintonia con la nuova realtà, dato che non vi può essere un governo ricco se il popolo è povero, facendo riferimento a Benito Juárez secondo cui i funzionari pubblici devono imparare a vivere in modo modesto. Su questo punto si v. l’articolo di Iván E. Saldaña pubblicato nell’Excelsior e disponibile al seguente link https://www.excelsior.com.mx/nacional/la-corte-esta-dando-el-mal-ejemplo-andres-manuel-lopez-obrador/1283670.
[44] Cfr. https://elpais.com/internacional/2018/12/02/mexico/1543718761_583014.html. In risposta alle pressioni, la Corte Suprema di Giustizia (SCJN) ha proposto un taglio di poco più di cinque miliardi di pesos messicani per il 2019. Tuttavia, il Congresso ha approvato una riduzione di sei miliardi di pesos, ovvero un ulteriore miliardo di pesos. Allo stesso tempo, nonostante la Costituzione proibisca la riduzione degli stipendi dei giudici in Messico, all'inizio del 2019 la Corte ha annunciato, attraverso il comunicato stampa n. 002/2019, che "nell'esercizio della sua indipendenza e autonomia nella gestione del bilancio, la Corte Suprema di Giustizia della Nazione esercita l'autoregolamentazione degli stipendi dei suoi membri secondo i principi di efficienza, efficacia, economicità, trasparenza e onestà”: cfr. https://elpais.com/internacional/2018/12/02/mexico/1543718761_583014.html. Pertanto, gli stipendi percepiti dagli undici giudici della Corte sono stati ridotti del 25% rispetto al 2018. Questa misura è stata promossa dall'allora Presidente della Corte Suprema Arturo Zaldívar. Cfr. https://www.internet2.scjn.gob.mx/red2/comunicados/noticia.asp?id=5813
[45] Cfr. le notizie riportate nei seguenti link: https://elpais.com/mexico/2023-08-08/lopez-obrador-carga-contra-un-juez-que-concedio-un-recurso-legal-para-proteger-xochitl-galvez-de-ataques-del-gobierno.html; https://www.eleconomista.com.mx/politica/AMLO-critica-a-jueces-por-detener-discusion-de-la-reforma-judicial-en-estados-20240902-0038.html; https://elpais.com/internacional/2019/11/28/actualidad/1574961822_464269.html; https://www.elfinanciero.com.mx/nacional/2023/04/21/amlo-y-norma-pina-estos-han-sido-los-choques-del-presidente-con-la-ministra/.
[46] Il presente lavoro è stato concluso nel mese di maggio 2025.
[47] Tali garanzie sono palesemente violate dal momento che il 1° giugno 2025 oltre il 50% della magistratura giudicante sarà sostituito, implicando l’interruzione anticipata delle funzioni. Il licenziamento di giudici, magistrati e ministri viola gli standard internazionali sanciti dalle Nazioni Unite (ONU) e dalla Corte interamericana dei diritti dell'uomo (CIDH). In varie sentenze della Corte interamericana, tra cui Reverón Trujillo vs. Venezuela (Sentencia de Excepción Preliminar, Fondo, Reparaciones y Costas) del 30 giugno 2009, par. 67, o Ana María Ruggeri Vaca, Perkins Rocha Contreras y Juan Carlos Apitz vs. Venezuela (Demanda ante la Corte Interamericana de Derechos Humanos), del 29 novembre 2006, par. 85), ha sottolineato che gli operatori di giustizia devono godere di inamovibilità nelle loro cariche e che è necessario stabilire garanzie rafforzate di stabilità. In caso contrario, queste persone potrebbero trovarsi soggette alle richieste di fattori esterni – pubblici o privati – per esercitare la loro funzione. Allo stesso modo, i Principi Fondamentali relativi all’indipendenza della magistratura delle Nazioni Unite (Principio 10, adottato nel Settimo Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e il Trattamento del Delinquente, del settembre 1985) sottolineano che è imperativo che i giudici rimangano in carica per periodi stabiliti e che possono essere rimossi solo in casi precedentemente stabiliti dalla legge, come il pensionamento forzoso o per responsabilità giuridica come servitori dello Stato. Infine, la Commissione interamericana dei diritti umani ha sottolineato che, secondo quanto previsto dal diritto internazionale in materia di indipendenza giudiziaria, il principio di inamovibilità tollera la separazione dalla carica solo per due ragioni: la prima è che si compia il termine o la condizione della nomina, e la seconda ricorre quando la persona non è piú idonea a ricoprire la carica, per esempio, per motivi disciplinari: cfr. Commissione interamericana, Observaciones finales escritas Caso 12.600 Quintana Coello y otros (Magistrados de la Corte Suprema de Justicia) vs. Ecuador, 4 marzo 2013.
[48] Cfr. Comunicazione della Relatrice speciale sull’indipendenza dei giudici e avvocati del 29 luglio 2024 (OL MEX 11/2024), disponibile al link https://spcommreports.ohchr.org/TMResultsBase/DownLoadPublicCommunicationFile?gId=29251. Si veda inoltre la Dichiarazione della Relatrice Speciale dell’ONU sull'indipendenza dei giudici e degli avvocati, Margaret Satterthwaite, nella Giornata dell’Indipendenza Giudiziaria, 11 gennaio 2025.
[49] Si vede la comunicazione della Commissione interamericana dei diritti umani “México: CIDH advierte posibles afectaciones en la independencia judicial, el acceso a la justicia y el Estado de Derecho frente a la aprobación de la reforma judicial”, 12 settembre 2024.
Immagine via Wikimedia Commons
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