ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Interrogatorio preventivo: istruzioni per l’uso
(dieci soluzioni pratiche per sopravvivere al nuovo articolo 291 c.p.p.)
Sommario: premessa: Il nuovo istituto e gli operatori del diritto: dalla fase dello sconcerto a quella dell’applicazione. Dieci questioni pratiche. 1. Il regime applicabile alle richieste di misura cautelare pendenti al 25 agosto 2024. 2. Pluralità di imputazioni e pluralità di indagati: il conflitto di norme tra regola ed eccezione e la disciplina da applicare. A) Pluralità di reati. B) Pluralità di indagati. C) Coesistenza di esigenze cautelari. D) Coesistenza di richieste cautelari eterogenee. E) Il conflitto di norme derivante dall’intervento del giudice della cautela. 3. Le soluzioni possibili. 4. Trattazione congiunta della misura cautelare: precedenti e criticità applicative. 5. Lo sdoppiamento delle ordinanze cautelari e le difficoltà di gestione. 6. Il rigetto della richiesta cautelare e il regime delle impugnazioni. 7. Il termine per l’invito a comparire. 8. La notificazione dell’invito a comparire. 9. Presenza del difensore e legittimo impedimento. 10. Termine a difesa ed effettività del contraddittorio.
Premessa. Il nuovo istituto e gli operatori del diritto: dalla fase dello sconcerto a quella dell’applicazione.
Da lungo tempo il legislatore ci ha abituato a continui assalti all’impianto del codice di procedura penale, sempre più simile ad un cantiere perenne e sempre meno a quell’insieme di regole certe e dotate di sistematicità che sarebbe logico attendersi.
Gli interventi di modifica dell’impianto del processo si susseguono a cadenza quasi mensile, dettati da emergenze spesso legate a singoli casi eclatanti del momento, ciò che si riverbera fatalmente sulla qualità delle leggi: si tratta di norme connotate da respiro corto e mancanza di attenzione per l’architettura generale del sistema in cui sono inserite.
Comprensibilmente, la reazione degli operatori del diritto chiamati ad applicare le novelle norme sembra ricalcare un medesimo, triste copione: si passa dall’iniziale sconcerto nel leggere articoli e commi che sembrano dettati dall’unico scopo di ostacolare la ricerca della verità processuale alla desolata constatazione delle difficoltà operative di calare tali norme nella realtà dei processi.
Si tratta infatti di prescrizioni scritte in modo sempre più incompleto ed a volte così avulse dal corpus normativo in cui - con operazione di infelice ortopedia - sono inserite da essere parzialmente inapplicabili, non senza rivelarsi spesso all’atto pratico controproducenti per gli scopi avuti di mira dal legislatore.
È quanto accade oggi per le modifiche al codice di procedura penale conseguenti all’introduzione del cosiddetto “interrogatorio preventivo”, di cui si approfondiranno in questa sede alcune problematiche operative alla ricerca di soluzioni (più o meno) convincenti nel tentativo di mantenere una funzionalità di massima al sistema delle misure cautelari personali[1].
Dieci questioni pratiche.
1. Il regime applicabile alle richieste di misura cautelare pendenti al 25 agosto 2024.
La prima questione da affrontare, quantomeno in ordine logico, riguarda la disciplina da applicare per le richieste depositate dal Pubblico Ministero al 25 di agosto del 2024 e non ancora esitate dal Giudice delle Indagini preliminari.
Il G.I.P. dovrà applicare la norma vigente al momento del deposito della richiesta o quella nuova e procedere dunque, nei casi previsti, ad interrogatorio preventivo?
La seconda soluzione è imposta sia dal principio secondo cui per ciascun atto è disciplinato dalla legge vigente al momento della sua emanazione (tempus regit actum) sia dalla necessità di adottare la disciplina più favorevole all’indagato (favor rei), sicuramente da individuare nella nuova formulazione dell’articolo 291 c.p.p..
Conseguentemente, per tutte le richieste pendenti nei propri uffici i G.I.P. dovranno procedere, nei casi previsti dalla nuova legge, all’interrogatorio preventivo degli indagati.
Naturalmente, se il Pubblico Ministero dovesse realizzare che questa discovery anticipata provoca pericoli all’indagine, potrà revocare la richiesta di misura cautelare pendente prima della notifica dell’invito a comparire per rendere interrogatorio.
In proposito, non si può non rilevare che uno dei paradossi di questa nuova normativa, acutamente messo in rilievo dal parere dell’ANM, è che la modifica apportata al sistema delle misure cautelari è essa stessa foriera, potenzialmente, di un aumento del periculum libertatis: “In ipotesi, l’interrogatorio anticipato può quasi rendere concreto il pericolo di inquinamento probatorio anche laddove tale esigenza non sussista nella fase delle indagini: la conoscenza delle dichiarazioni rese da persone informate sui fatti da parte dell’indagato in una fase preliminare all’adozione della misura potrebbe esporre questi ultimi a interventi finalizzati alla ritrattazione o alla modifica delle dichiarazioni, soprattutto in contesti ad alta densità criminale; rende, inoltre, possibile condotte elusive laddove vi siano circostanze non emerse in sede di indagine e di cui l’indagato sia comunque a conoscenza“.
Il titolare delle indagini potrebbe dunque valutare che, alla luce del mutato quadro normativo, non è più conveniente l’adozione di una misura cautelare preceduta da un momento – conseguente alla citazione per rendere interrogatorio preventivo – in cui l’indagato è avvertito del rischio per la sua libertà derivante dall’indagine in corso…. E conseguentemente richiedere il fascicolo revocando la richiesta pendente.
2. Pluralità di imputazioni e pluralità di indagati: il conflitto di norme tra regola ed eccezione e la disciplina da applicare.
Il problema più spinoso che la nuova normativa pone da un punto di vista pratico nasce dalla possibile coesistenza nella medesima ordinanza di custodia cautelare tra posizioni (oggettive e soggettive) che richiedono l’interrogatorio preventivo e posizioni che non lo richiedono.
La nuova disciplina introdotta dalla legge Nordio appare tarata sull’eventualità di una richiesta di misura cautelare da emettere nei confronti di un indagato accusato di un reato.
Il comma 1 quater dell’articolo 291 del codice di procedura impone infatti di procedere ad interrogatorio preventivo prima dell’emissione di una ordinanza cautelare e prevede alcune ipotesi, in guisa di eccezioni, in cui tale adempimento deve essere omesso.
In queste ipotesi si adotterà la procedura tradizionale dettata dall’articolo 294 del codice di rito (interrogatorio da svolgersi immediatamente dopo l’esecuzione della misura).
Il sistema previsto è rigidamente binario: o si applica la regola generale (interrogatorio preventivo) o si rientra in una delle eccezioni (interrogatorio differito).
Nulla è stabilito per l’eventualità di un’ordinanza che riguardi una pluralità di reati e/o una pluralità di indagati, ipotesi peraltro statisticamente preponderante in tutti i casi in cui l’indagine preliminare supera un livello minimo di complessità.
È invero assai raro, nella pratica quotidiana del lavoro di Pubblici Ministeri e Giudici, che si intervenga con la privazione della libertà personale come risposta alla commissione di un singolo reato, per quanto grave (basti pensare ad un omicidio o a un reato di stalking, che sono solitamente accompagnati dalla contestazione di uno o più reati-satellite); l’esperienza insegna altresì che il campo di azione tipico delle misure cautelari personali è quello dei reati commessi da più persone in concorso, se non addirittura associate per delinquere.
È dunque evidente che nella maggior parte dei casi il giudice della cautela non si troverà di fronte alla semplicistica alternativa binaria prevista dalla novella legislativa tra l’applicazione della regola generale ed una delle sue eccezioni, ma dovrà fare i conti con una molteplicità di situazioni, alcune delle quali ricadenti sotto una o più delle eccezioni ed altre nella regola generale, da applicare contemporaneamente con conseguente conflitto di norme.
Per alcuni reati/indagati dovrà infatti procedersi ad interrogatorio preventivo, per altri no.
La sorprendente lacuna del legislatore (il “bug” nel nuovo articolo 291 c.p.p.) è probabilmente conseguenza di un intervento normativo pensato su una tipologia specifica di intervento cautelare: l’ipotesi di reato monosoggettivo compiuto da soggetto non aduso a delinquere e con assenza di pericolo di reiterazione di delitti.
In altri termini, il classico delitto contro la Pubblica Amministrazione, categoria cui sono dedicate non a caso tutte le altre norme della legge Nordio, dalla mutilazione del traffico di influenze all’abrogazione dell’abuso di ufficio alla limitazione dell’uso di intercettazioni in determinati casi.
Per questo tipo di reati, non essendo possibile eliminare del tutto il ricorso allo strumento cautelare (anche per non incorrere nelle ire degli organismi internazionali, già da tempo critici sull’approccio nostrano alla lotta alla corruzione e fenomeni assimilabili), sono stati introdotti dalla nuova legge limiti ed ampliate le garanzie in favore dell’indagato, cui è data la possibilità di fornire la sua versione dei fatti anche a scapito delle esigenze di segretezza ed efficacia delle indagini, e di neutralizzare l’intervento cautelare fornendo elementi per escludere il pericolo di reiterazione (come ad esempio le dimissioni dalla carica pubblica ricoperta che ha costituito occasione per delinquere).
È del resto questa la ratio legis conclamata dell’articolo 289, secondo comma del codice di rito, unica ipotesi in cui era fino ad oggi previsto l’interrogatorio preventivo: per la richiesta di misura cautelare interdittiva della sospensione da un pubblico servizio, l’interrogatorio deve essere eseguito prima dell’esecuzione dell’ordinanza del giudice, a tutela del prestigio e della funzionalità della Pubblica Amministrazione.
Il nuovo articolo 291 del codice di procedura penale, però, si applica indiscriminatamente a tutti i reati per i quali è necessario agire con misura cautelare e non ad una singola categoria.
La complessità della realtà criminale e dei tipi di intervento cautelare, trascurata dal legislatore, viene dunque a ricadere sugli operatori del diritto, chiamati a dirimere in via interpretativa le numerose ipotesi di possibile conflitto tra regola ed eccezioni, che di seguito si vanno ad elencare.
A) Pluralità di reati.
Come si diceva in precedenza, la stragrande maggioranza delle richieste di misura cautelare, anche nei confronti di un singolo indagato, contiene una pluralità di imputazioni, essendo assai raro il caso in cui la privazione della libertà personale sia richiesta per una singola violazione di legge.
Si pensi al caso di soggetto accusato di evasione dagli arresti domiciliari per commettere una rapina, o ad indagini riguardanti una serie di cessioni di sostanza stupefacente di cui solo una di ingente quantità.
Nel primo caso (rapina ed evasione) l’interrogatorio preventivo è necessario solo per uno dei due reati contestati, nel secondo (più cessioni ordinarie ed una di ingente quantità) per tutti i reati tranne uno.
B) Pluralità di indagati
Molto spesso le richieste di applicazione di una misura cautelare sono poi avanzate dal Pubblico Ministero all’esito di indagini complesse e rivolte verso una pluralità di indagati, cui sono contestati i diversi reati emersi (nell’impostazione accusatoria sottoposta al vaglio del Giudice) durante gli accertamenti e le indagini preliminari.
Conseguentemente, è da considerarsi fisiologica l’ipotesi in cui nella medesima richiesta di misura cautelare vi siano indagati per cui si richiede al G.I.P. un’ordinanza per reati per i quali occorrerà, secondo la nuova formulazione dell’articolo 291 c.p.p., procedere ad interrogatorio preventivo ed altri, accusati di reati ricompresi nel nutrito novero delle eccezioni, per cui tale adempimento non sarà necessario.
Si pensi al caso di una richiesta di misura cautelare in cui è contestata ad alcuni indagati la partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 t.u. 309/90) e ad altri il semplice concorso in una o più condotte di cessione (art. 73 t.u. 309/90), o ad una misura nei confronti di un soggetto accusato di rapina aggravata e di un suo coindagato al quale è contestato di aver riciclato il provento della stessa.
Nel primo degli esempi, l’interrogatorio preventivo non sarà necessario per tutti gli indagati accusati di essere intranei all’associazione ma dovrà essere effettuato per gli altri indagati per i quali è stata chiesta la misura cautelare; nel secondo, l’interrogatorio preventivo dovrà essere eseguito solo per il soggetto accusato di riciclaggio e non per quello accusato di rapina.
C) Coesistenza di esigenze cautelari
Ancora, può capitare che per alcuni indagati la misura cautelare sia sollecitata per il pericolo di inquinamento delle prove o per il pericolo di fuga e per altri per il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede: anche in questo caso, l’interrogatorio preventivo sarà necessario solo per una parte dei destinatari della richiesta mentre per gli altri il GIP potrà decidere inaudita altera parte, essendo l’incombente anticipato previsto solo per le richieste motivate sulle esigenze cautelari indicate dalla lettera c dell’articolo 274 c.p.p..
D) Coesistenza di richieste cautelari eterogenee
Infine, non è affatto raro il caso in cui nella stessa richiesta il Pubblico Ministero chieda per alcuni indagati la custodia cautelare in carcere e per altri, coinvolti in modo meno grave, una misura meno afflittiva: in questo caso, secondo una diversa norma destinata ad entrare in vigore nel 2026, scatterà addirittura una diversa competenza, essendo chiamati a decidere addirittura tre Giudici per la sola custodia in carcere con conseguente deviazione “in corsa” della competenza funzionale (che tornerà ad essere monocratica per le sole misure minori).
Ma di questa (ed altre) implicazioni della norma sul Giudice collegiale converrà occuparsi a tempo debito.
E) Il conflitto di norme derivante dall’intervento del giudice della cautela.
Tutte le ipotesi sopra descritte riguardano situazioni già presenti nel momento in cui la richiesta è posta all’attenzione del Giudice per le indagini preliminari.
Ma a queste vanno aggiunte, specularmente, tutte quelle che possono scaturire dall’analisi degli atti compiuta dal giudice della cautela al momento della sua decisione.
Questi potrà infatti, a fronte di una richiesta di misura cautelare per rapina nei confronti di due indagati, decidere di riqualificare l’accusa nei confronti di uno dei due nel meno grave delitto di favoreggiamento (con conseguente obbligo di procedere, solo per il presunto favoreggiatore, con interrogatorio preventivo).
Parimenti il giudice potrà, a fronte di una richiesta basata sul pericolo di fuga e di reiterazione di delitti nei confronti di due indagati, ravvisare il pericolo di fuga solo nei confronti di uno dei due; anche in questo caso, prima di emettere misura cautelare, dovrà procedere ad interrogatorio preventivo ma solo nei confronti dell’indagato per cui ha ravviato esclusivamente il pericolo di reiterazione di delitti (274 lettera c c.p.p.).
Ancora più frequente il caso in cui, a fronte di una richiesta di custodia in carcere per due o più indagati, il Giudice decida in senso conforme per uno e di applicare una misura meno afflittiva per un altro (con conseguente attribuzione della ordinanza alla composizione collegiale di cui si è detto solo per una parte della misura).
3. Le soluzioni possibili.
Alla luce di quanto fin qui esaminato, appare evidente che nella maggior parte delle ipotesi al vaglio dei giudici, ci si troverà di fronte alla coesistenza di regola ed eccezioni, con conseguente necessità di procedere ad interrogatorio preventivo per una parte dell’ordinanza da emettere e di mantenere invece il procedimento inaudita altera parte per altra parte.
Verranno dunque in conflitto due esigenze contrapposte: quella di segretezza delle indagini, che impone la compressione della libertà personale dell’indagato prima che questi sappia che ci sono accertamenti in corso sul suo conto (è per questo che fino all’introduzione della legge Nordio l’interrogatorio di garanzia era svolto dopo l’adozione della misura cautelare) e il diritto dell’indagato di fornire la sua versione dei fatti prima degli effetti devastanti della privazione della sua libertà.
Nei casi di coesistenza di posizioni oggettive e soggettive cui il legislatore assegna prevalenza all’una e ipotesi in cui prevale l’altra delle due esigenze descritte, è di fatto demandato all’operatore del diritto – nel colpevole silenzio del legislatore – la scelta di quale delle due esigenze andrà sacrificata.
In alternativa, si potrà procedere ad una separazione delle posizioni eterogenee con emissione di due distinte tipologie di atti: l’ordinanza di custodia cautelare per i reati per i quali non occorre interrogatorio preventivo e un invito a comparire per quelli per i quali tale atto è necessario.
Tuttavia, è innegabile che uno spacchettamento dell’ordinanza in due parti, una immediatamente eseguita e l’altra da scrivere ed emettere eventualmente all’esito dell’interrogatorio preventivo comporta un appesantimento (sia per il giudice che scrive che per le cancellerie, costrette a duplicare gli atti e a moltiplicare gli avvisi) che inevitabilmente verrà ad incidere su una situazione di gestione degli affari penali notoriamente in cronica difficoltà per ragioni che in questa sede non è possibile approfondire.
Senza contare la difficoltà di frazionare un compendio indiziario che le indagini hanno fatto emergere come unitario e che unitario si presenta nella ricostruzione accusatoria, tanto da avere indotto il Pubblico Ministero a presentare un’unica richiesta di misura cautelare.
Per tali ragioni, la trattazione congiunta delle varie posizioni deve essere considerata prioritaria, laddove possibile.
4. Trattazione congiunta della misura cautelare: precedenti e criticità applicative.
Occorre dunque chiedersi se sia possibile considerare le ipotesi per le quali occorrerebbe procedere ad interrogatorio preventivo sub valenti rispetto a quelle per le quali la misura può essere emessa de plano.
Esiste, in altri termini, ed a quali condizioni, un principio di prevalenza della segretezza del procedimento a scapito delle garanzie difensive?
Può essere utile ricordare che, nella corrente interpretazione giurisprudenziale, si ritiene che in caso di pluralità di reati (e di persone) che sottostanno a norme regolatrici differenti, la norma che disciplina il reato più grave viene comunemente applicata anche a tutti gli altri reati, prevalendo l’opportunità di una gestione unitaria del fascicolo.
Così, in tema di intercettazioni, laddove siano iscritti nel registro degli indagati soggetti per reati di criminalità organizzata (sottoposti alla disciplina speciale dettata dall’articolo 13 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152) e soggetti indagati per reati comuni (per i quali vigono termini e condizioni dettati dall’articolo 267 c.p.p.), si applicheranno per tutti gli indagati intercettati i termini di quaranta giorni per la durata del decreto di intercettazione e le successive proroghe avranno vigore per venti giorni (in luogo dei 15 giorni sia iniziali che per i decreti di proroga previsti per le fattispecie ordinarie).
In merito, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che “in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni la valutazione del reato per il quale si procede, da cui dipende l'applicazione della disciplina ordinaria ovvero di quella speciale per la criminalità organizzata di cui al d.l. 13 maggio 1991, n. 151, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, va fatta in relazione all'indagine nel suo complesso e non con riguardo alla responsabilità di ciascun indagato” (cass. Pen., sez. II, n. 31440 del 24 luglio 2020, rv. 280062).
Ciò che rileva, ai fini dell’applicazione di questo principio, è che tra i reati vi sia una connessione “quantomeno probatoria”: “La valutazione sul reato per il quale si procede con conseguente applicazione della disciplina ordinaria ovvero di quella speciale (per la "criminalità organizzata") va fatta con riferimento alla indagine complessiva, quindi per tutti reati per i quali vi sia quantomeno connessione probatoria (vale, al riguardo, quanto elaborato in tema di identità o diversità di procedimento ai sensi dell'articolo 270 cod. proc. pen. ) e non certo con riferimento ad ogni singolo indagato. Del resto, si rammenta, il concetto di gravità o sufficienza degli indizi ai fini degli artt. 266 e ss cod. proc. pen. è riferito alla esistenza del reato e non alla responsabilità di ciascun singolo.” (Cass. Pen., sez. VI, 6 aprile 2017, n. 28252, rv 270565).
Il richiamo contenuto nella pronuncia all’elaborazione giurisprudenziale sulla nozione di procedimento diverso ai fini della inutilizzabilità prevista dall’articolo 270 c.p.p. porta all’applicazione dei principi contenuti in altra massima: “In tema di intercettazione di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270, comma primo, cod. proc. pen., la nozione sostanziale di "diverso procedimento" va desunta dal dato dell'alterità o non uguaglianza del procedimento instaurato non nell'ambito del medesimo filone investigativo, ma in relazione ad una notizia di reato, che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento” (Cass. Pen. Sez. II, n. 19730 del 1 aprile 2015, rv 263527).
Ad analoghe conclusioni si arriva esaminando le norme sulla proroga delle indagini preliminari.
Come noto, nel caso di richiesta di proroga delle indagini per reati ricompresi nelle ipotesi di cui all’articolo 406 comma 5 bis del codice di procedura penale non occorre la notifica della richiesta all’indagato né la fissazione dell’udienza camerale con instaurazione del contraddittorio, potendo il GIP decidere de plano poiché prevale l’esigenza di segretezza delle indagini in casi di particolare allarme sociale su quella di instaurazione del contraddittorio.
Ebbene, per prassi unanime di tutti i Tribunali, nel caso in cui un fascicolo sia iscritto per reati sottoposti alla speciale disciplina menzionata ed altri reati comuni, non occorre la notifica della proroga per questi ultimi reati, poiché la disciplina dettata dalla legge speciale prevale su quella generale.
Da quanto sopra evidenziato emerge dunque che, in determinati casi, le congiunte esigenze di segretezza delle indagini e di trattazione unitaria del procedimento consentono il differimento delle garanzie difensive.
Il principio sembra applicabile anche al caso in esame; l’interpretazione in questo senso dipenderà ovviamente dal bilanciamento degli interessi in gioco che, in assenza di una previsione di legge, compiranno i giudici caso per caso.
È auspicabile naturalmente un’interpretazione conforme tra i magistrati, per evitare difformità di trattamento in caso analoghi.
In attesa di un verosimile intervento interpretativo della Corte di cassazione, molti uffici stanno adottando linee ermeneutiche comuni tra i giudici che li compongono.
L’Ufficio GIP di Roma a seguito di riunione tra i suoi componenti, ha adottato delle linee guida (non vincolanti per i singoli giudici) scegliendo di distinguere tra le varie ipotesi fin qui menzionate.
In particolare, per le misure cautelari riguardanti una pluralità di reati ( alcuni dei quali richiedenti l'interrogatorio preventivo, altri no) con unico indagato, sarà adottata un’unica misura cautelare senza procedere all'interrogatorio preventivo, prevalendo la disciplina ora speciale rispetto a quella neo-introdotta ora generale che richiede l'interrogatorio preventivo.
Nelle ipotesi di misure cautelari che riguardano invece soggetti diversi, per alcuni dei quali occorre procedere ad interrogatorio preventivo e per altri no, è stata scelta una linea prudenziale, dandosi prevalenza alle esigenze di garanzia difensiva e non ritenendosi le medesime sacrificabili per l’occasionale connessione con posizioni soggettive meno garantite.
Si procederà dunque ad eseguire la misura "a sorpresa" per coloro per i quali l'interrogatorio preventivo non è dovuto, con le correlative operazioni di perquisizione e sequestro, e contemporaneamente, o successivamente , a notificare gli inviti a presentarsi per gli interrogatori preventivi.
5. Lo sdoppiamento delle ordinanze cautelari e le difficoltà di gestione.
La soluzione adottata presenta diverse evidenti criticità.
In primo luogo, viene meno l’effetto sorpresa che è connaturato alle misure cautelari e che consente al Pubblico Ministero di compiere alcuni degli atti di indagine più delicati ed importanti potendo contare sulla mancanza di reazione dell’indagato, che tende naturalmente a neutralizzare l’efficacia degli atti medesimi.
Per minimizzare gli effetti della discovery e contemperare le garanzie difensive ritenute prevalenti dal legislatore per gli indagati per i quali non è previsto l’interrogatorio preventivo con le esigenze di indagini, ritenute invece prevalenti per quegli indagati per i quali permane il differimento di tale adempimento, l’unico strumento sembra essere di prevedere che l’invito a comparire per rendere interrogatorio preventivo non preceda l’esecuzione della misura de plano, e che le notifiche dei primi avvengano contestualmente all’esecuzione delle ordinanze per i secondi.
Viene dunque a gravare sull’ufficio GIP un onere organizzativo aggiuntivo a tutela della salvaguardia dell’efficacia delle indagini preliminari svolte dal Pubblico Ministero.
Va anche rilevato che tale onere, non essendo prescritto formalmente, non è nemmeno sanzionato in alcun modo, sicché il GIP potrebbe semplicemente ignorarlo e privilegiare proprie esigenze organizzative o di ufficio.
Ulteriore criticità è ravvisabile nella difficoltà per il giudice emittente di redigere un’ordinanza di misura cautelare parziale.
A fronte di una richiesta di misura del Pubblico Ministero che ricostruisce fatti complessi e connessi tra loro, il magistrato della cautela dovrebbe emettere un provvedimento in cui si approfondiscono gli elementi indiziari a carico di alcuni indagati e non di altri (quelli per i quali occorrerà attendere l’esito dell’interrogatorio preventivo).
Non sempre tale scissione tra posizioni che in fatto - e nella richiesta del magistrato inquirente – si presentano unite sarà agevole.
Si pensi alle difficoltà di motivare sulla sussistenza di un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti senza poter approfondire alcuni – o tutti – gli episodi di spaccio che dell’associazione costituiscono i reati-fine.
Solo dopo l’espletamento degli interrogatori preventivi nei confronti dei coindagati accusati dei singoli episodi di spaccio il Giudice potrà emettere una seconda ordinanza, dedicata questa volta ai reati-fine e che avrà per presupposto (questa volta, spendibile) l’esistenza di un’associazione i cui componenti sono già stati attinti dalla prima misura.
In alternativa a quella che potrebbe diventare una sorta di slalom ermeneutico tra gli elementi indiziari, si potrebbe pensare ad un’unica ordinanza cautelare che prenda in considerazione la valenza indiziaria di tutti gli elementi a carico di tutti gli indagati, ma che nelle conclusioni ordini la cattura dei soli indagati per i quali non occorre l’interrogatorio preventivo, riservando al momento successivo l’eventuale completamento della parte dispositiva con integrazione dei soggetti interrogati (sempre che le loro dichiarazioni non convincano il GIP della necessità di non procedere alla misura nei loro confronti).
Questa soluzione sembra contrastare intuitivamente con la ratio del nuovo comma 1 quater del codice di procedura penale: se il GIP è così convinto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati, tanto da scrivere anche la parte dell’ordinanza che li riguarda, l’anticipazione dell’interrogatorio finisce col ridursi ad un vuoto simulacro.
Tale perplessità, tuttavia, a ben vedere non coglie nel segno: il nuovo articolo 291 del codice di rito prevede che il Giudice proceda ad interrogatorio preventivo solo quando deciderà di emettere la misura (e non vi proceda dunque in caso decida di rigettare la richiesta cautelare).
Da ciò discende che per inviare l’invito a comparire egli deve avere maturato la convinzione di emettere ordinanza cautelare.
Si tratta ovviamente di una decisione allo stato degli atti e il magistrato deve essere pronto a modificarla, nel caso in cui dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio emergano elementi scagionanti o ridimensionanti i gravi indizi di colpevolezza.
Ma, di fatto, fino al momento dell’interrogatorio il giudice deve avere - lo richiede l’articolo 291 nel comma in esame - ben salda la decisione di procedere all’emissione del provvedimento, sicché non vi è alcuna indebita anticipazione di giudizio se espliciterà questa convinzione nella prima misura cautelare (quella dedicata ai soggetti per i quali l’interrogatorio preventivo non serve).
Potrà dunque essere emessa un’unica ordinanza in cui si esamineranno le posizioni di tutti gli indagati e nella parte dispositiva si ordini l’esecuzione della misura solo per una parte di essi; contestualmente si procederà ad interrogare gli altri indagati e all’esito dell’interrogatorio, se nulla è mutato, si emetterà la stessa misura cautelare – integrata dalla parte motiva che spieghi eventualmente le ragioni per cui gli elementi emersi nell’interrogatorio non hanno modificato l’originario convincimento – ma con la parte dispositiva dedicata all’ordine di esecuzione degli altri indagati.
In questo modo si attenuerà altresì l’indubbio aggravio organizzativo che graverà su giudici e cancellerie a causa dello sdoppiamento degli atti.
6. Il rigetto della richiesta cautelare e il regime delle impugnazioni.
Come si è osservato in precedenza, nel caso in cui il Giudice della cautela ritenga di non accogliere la richiesta di misura non dovrà procedere ad interrogatorio preventivo.
A questa conclusione porta la lettera della norma, poiché l'art. 291 comma 1-quater del codice di procedura penale dispone che l'interrogatorio preventivo debba essere fatto "prima di disporre la misura".
Il provvedimento di rigetto, alla luce delle modifiche apportate al sistema cautelare della legge Nordio, apre scenari inediti nel caso di impugnazione da parte del Pubblico Ministero: qualora la misura venga disposta dal Tribunale per il riesame, dovrà essere preceduta da interrogatorio preventivo? E da parte di quale organo?
Anche in questo caso il legislatore tace.
Un risalente intervento della Corte di cassazione in tema di misure interdittive ex art. 289, 2° comma c.p.p. sembra indicare nel Tribunale per il riesame l’organo deputato all’espletamento dell’incombente. La Corte ha infatti affermato che «in tema di richiesta di applicazione della misura cautelare interdittiva è illegittimo il diniego da parte del tribunale della libertà al quale il P.M. abbia avanzato appello avverso la reiezione da parte del G.i.p. della medesima misura, sul rilievo della mancata effettuazione da parte del G.i.p. dell'interrogatorio dell'indagato, nonostante la riconosciuta fondatezza dei motivi esposti a sostegno dell'applicazione della predetta misura, essendo in tal caso obbligo del Tribunale di procedere all'interrogatorio che sia stato omesso» (Cass. Pen., sez. V, 19 ottobre 2004 n. 14967, rv. 231623).
Tuttavia, appare più conferente fare riferimento ad un più recente pronunciamento delle Sezioni Unite in tema di interrogatorio di garanzia per le misure coercitive, sebbene riferito all’interrogatorio differito ex art. 294 c.p.p..
In questa occasione la Corte ha infatti precisato che «in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell'appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del p.m. avverso la decisione del g.i.p., non è necessario procedere all'interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta».» (Cass. Pe., SS.UU., n. 17274 del 26 marzo 2020).
Saranno questa volta i Tribunali del Riesame a dover scegliere tra le due interpretazioni, in attesa di un eventuale intervento specifico della giurisprudenza di legittimità.
7. Il termine per l’invito a comparire.
Un’interessante questione è stata posta dai primi commentatori della norma[2] con riferimento al comma 1 sexies dell’articolo 291 in tema di termine per l’invito a comparire.
La norma menzionata prevede infatti che il giudice notifichi l’invito all’indagato e al difensore “almeno cinque giorniprima dell’interrogatorio”, ma lascia al giudice la possibilità di abbreviare il termine in caso di urgenza.
In questo caso non è previsto un termine minimo, se non quello necessario (all’indagato) per comparire[3].
È stato giustamente osservato che la previsione della possibilità di elidere il termine di cinque giorni fino a ridurlo a poche ore (il tempo necessario per recarsi nell’ufficio del giudice) postula che ciò che conta è che sia assicurata la presenza dell’indagato e non che questi abbia la possibilità di studiare l’incartamento processuale e preparare un’adeguata difesa.
Un’interpretazione siffatta sembra tuttavia svuotare di significato l’intero istituto dell’interrogatorio preventivo e riportare al centro dell’attenzione l’esigenza di cautela e di salvaguardia delle indagini che sono alla base del tradizionale sistema delle misure cautelari personali e che hanno costituito (e costituiscono ancora oggi per le numerose ipotesi “eccezionali” in cui è prevista l’applicazione dell’articolo 294 c.p.p.) fondamento per il differimento del contraddittorio al momento successivo all’emanazione dell’ordinanza cautelare.
Verosimilmente, per evitare un’interpretazione draconiana della norma, il giudice dovrà dunque usare con molta prudenza la possibilità di abbreviare il termine di cinque giorni e in ogni caso ridurre il tempo del minimo indispensabile, in modo da evitare che l’incombente si riduca ad una mera formalità, non avendo l’indagato avuto possibilità di prepararsi per rispondere.
Ancora a proposito di termine per l’invito a comparire, va rilevato altresì che non è previsto un termine “massimo”, sicché il Giudice potrebbe teoricamente fissare l’interrogatorio anche a grande distanza temporale. Naturalmente anche in questo caso occorrerà agire con buon senso, contemperando esigenze di effettività della difesa (che potrebbero spingere ad una dilazione dei tempi) ed esigenze cautelari, che rischierebbero di rimanere frustrate in assenza di un intervento tempestivo.
8. La notificazione dell’invito a comparire.
L’ultima parte del comma 1 sexies si occupa dell’ipotesi in cui la notificazione dell’invito a comparire per rendere interrogatorio preventivo non vada a buon fine, prevedendo che il giudice possa emettere ordinanza senza procedere ad interrogatorio in caso di mancato rintraccio, ma solo dopo aver verificato che gli organi incaricati per la notificazione abbiano compiuto ricerche esaurienti “anche nei luoghi dell’articolo 159 c.p.p.”[4].
Non è questa la sede per una ricognizione della nutrita giurisprudenza sul concetto di “ricerche esaurienti” e sulle molteplici implicazioni pratiche delle ricerche nei luoghi indicati nella norma dell’articolo 159 del codice di rito.
Interessa tuttavia rilevare che il legislatore omette ancora una volta di considerare il caso – più che frequente, come si è detto – di misura cautelare avanzata nei confronti di una pluralità di indagati.
Cosa succede se solo alcuni degli interrogandi viene rintracciato nel brevissimo termine stabilito dal giudice per l’interrogatorio? Mentre le ricerche proseguono per gli altri fino a raggiungere lo status di “ricerche esaurienti” il giudice dovrà procedere agli interrogatori di quelli rintracciati o dovrà attendere per eseguire un interrogatorio il più possibile contestuale (anche per evitare che gli indagati si “lascino rintracciare” solo dopo aver letto le dichiarazioni di chi li ha preceduti)?
E cosa succederà se il Giudice svolgerà gli interrogatori man mano che gli indagati, magari a distanza considerevole di tempo gli uni dagli altri, saranno rintracciati e interrogati?
In tale eventualità il Giudice dovrà verosimilmente emettere un ‘ordinanza dedicata a ciascuna singola posizione via via “sbloccata” dall’espletamento dell’interrogatorio preventivo o dalla constatazione formale del mancato rintraccio, con moltiplicazione incontrollata di stralci o di duplicazione di atti.
9. Presenza del difensore e legittimo impedimento.
Un’apparente dimenticanza è poi evincibile dalla norma dedicata alla presenza delle parti all’interrogatorio contenuta nel comma 1 sexies dell’articolo 291: è infatti previsto che il Giudice notifichi l’invito a comparire all’indagato ed al difensore, ma che l’incombente possa essere rinviato per legittimo impedimento solo del primo.
La mancata previsione del rinvio per legittimo impedimento del difensore ha spinto gli operatori a chiedersi se la presenza di quest’ultimo fosse da ritenersi non necessaria, visto che a rigor di termini è richiesto che allo stesso l’atto sia notificato ma non che possa eccepire – come invece consentito all’indagato – un legittimo impedimento.
Tale interpretazione va senz’altro ritenuta non conforme alla sistematica del nostro processo penale, in cui non può essere svolto alcun atto pregiudizievole all’indagato senza la presenza del difensore.
L’interrogatorio preventivo è, per altro, stato introdotto per aumentare le garanzie difensive dell’indagato, sicché non avrebbe senso un suo svolgimento in condizioni deteriori rispetto al tradizionale interrogatorio differito previsto dall’articolo 294 del codice di rito, tanto più che quest’ultimo atto non sarà più necessario in caso di svolgimento dell’interrogatorio preventivo.
Deve dunque ritenersi che, pur in assenza di esplicito riferimento normativo, possa esservi spazio per il riconoscimento di un legittimo impedimento del difensore e che il Giudice debba valutare un’eventuale istanza di rinvio in tal senso, anche se tale valutazione dovrà essere fatta con particolar rigore per evitare di frustrare le esigenze della cautela.
In ogni caso, nell’ipotesi di rigetto della richiesta di rinvio o comunque di assenza del difensore, si procederà previa nomina di un difensore di ufficio nelle forme dell’articolo 97 del codice.
10. Termine a difesa ed effettività del contraddittorio.
Questione particolarmente delicata è, infine, quella che riguarda la possibilità per il difensore di chiedere un termine a difesa per essere messo in condizione di studiare il fascicolo.
È evidente infatti che proprio su questo tema si confronteranno da posizioni contrapposte le esigenze dell’accusa di procedere ad un intervento urgente a cautela dell’indagine o della collettività e quelle dell’accusa di rispondere alle domande con piena cognizione degli atti raccolti a suo carico.
Ancora una volta, si tratta di questione ignorata dal legislatore e su cui è dunque necessaria opera ermeneutica.
Il codice prevede una richiesta di rinvio per esaminare il materiale raccolto dal magistrato inquirente in fase cautelare davanti al Tribunale per il Riesame: l’articolo 309 comma 9 bis precisa infatti che “su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il Tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi sono giustificati motivi”.
La previsione non sembra però applicabile al caso in esame: la richiesta di rinvio davanti al Tribunale per il Riesame proviene da soggetto che ha già subito una compressione della libertà personale, sicché l’accoglimento della sua istanza di rinvio non avviene a detrimento delle esigenze cautelari, poiché il periculum libertatis è stato eliso dall’applicazione della misura in atti.
Nel caso in esame, invece, il differimento avverrebbe a detrimento (potenzialmente) delle esigenze cautelari.
Ne consegue che, anche in questo caso, il Giudice dovrà valutare l’istanza con particolare rigore.
[1] Per un commento relativo alla prima fase della reazione, quella dello sgomento iniziale, ci si permette di rinviare a C.DE ROBBIO, “D.D.L. Nordio: l’interrogatorio prima della misura cautelare e l’elefante nella stanza”, in questa rivista, 25 giugno 2024.
[2] L. LUDOVICI, Le novità della legge Nordio in materia cautelare: i contenuti, i problemi, le (possibili) soluzioni, in Dir. Pen. E Processo, 2024, 9, 1139.
[3] Articolo 291, comma 1 sexies c.p.p.: “L’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio è comunicato al pubblico ministero e notificato alla persona sottoposta alle indagini preliminari e al suo difensore almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni di urgenza, il giudice ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire”.
[4] “Il giudice provvede comunque sulla richiesta del pubblico ministero quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non compare senza addurre un legittimo impedimento, oppure quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non è stata rintracciata e il giudice ritiene le ricerche esaurienti, anche con riferimento ai luoghi di cui all’articolo 159, comma 1”.
Bobby McGee e me
Ricordo di Kris Kristofferson
Mickey Raphael e il chitarrista Merle Haggard accordavano gli strumenti.
Insieme a Jody Payne erano “The Family”, la band di Willie Nelson; e ora erano diventati la band degli Highwaymen.
Mentre sorseggiava il caffè in attesa del concerto, pensò che l’armonica di Mickey Raphael era la più dolce e serena che avesse mai sentito.
Ascoltarla gli ricordava quando, dopo l’uscita di John Wesley Harding, avevano suonato insieme I’ll Be Your, Baby Tonight, il primo vero pezzo country di Bob Dylan.
Era una canzone calda che assomigliava alla sua Help Me Make It Through The Night.
Come questa, parlava di una notte d’amore, invocata come una richiesta d’aiuto e immaginata così intensa da dover essere vissuta senza poter essere rimpianta.
Ma, a ben vedere, tutte le sue canzoni invocavano amore; un amore esaudente, più compassionevole che empatico, come Come Here Comes That Rainbow Again, dove la luce del giorno, resa pesante dal temporale, si colora dell’arcobaleno quando l’umanità esaudisce il desiderio di due bambini.
Come For The Good Times, ove si implora all’amore di essere allegro oltre la crisi, abbandonandosi sul cuscino dell’altro, nel sussurro delle gocce di pioggia sulla finestra, senza dire una parola sul domani o per sempre, in nome dei bei tempi.
I bei tempi erano quelli in cui la libertà era solo una parola per dire che non hai niente da perdere.
Avevano viaggiato dalle miniere del Kentucky al sole della California e lei indossava jeans sbiaditi e una bandana sgualcita; una volta, a Baton Rouge, la macchina si era rotta e lui, prima che iniziasse a piovere, aveva rimediato un passaggio fino a New Orleans; durante il tragitto, avevano suonato blues e lei, soffiando sull’armonica, aveva liberato i capelli al vento del Mississippi, rossi e sontuosi come le foglie dei faggi in autunno.
Ci pensava ancora alla ragazza rossa di Houston, una delle voci più belle che avesse mai sentito. Erano ragazzi e avevano condiviso i segreti delle anime; ma lei aveva voluto scambiare tutti i suoi domani per un solo ieri nella stanza fredda di un Hotel, mentre lui, sospinto dal dolore, aveva percorso una nuova strada, sempre ascoltando la stessa canzone.
Su quella strada una volta gli era capitato di baciare la più bella ragazza di Brooklyn. La ragazza che portava il nome di una poesia di Jacques Prévert: quella della pioggia incessante su Brest e di lui che parte per la guerra. Una poesia che invocava l’amore e biasimava la guerra, come le sue canzoni.
Poi aveva cavalcato con James Coburn nella Contea di Lincoln e insieme al menestrello di Duluth aveva bussato alle porte del Paradiso.
Le canzoni di Bob Dylan gli piacevano da sempre, ma non era vero che fosse stato lui a togliere l’ascia dalle mani di Pete Seeger quel 25 luglio 1965 a Newport.
Il 16 ottobre 1992, invece, era stato proprio lui ad accompagnare sul palco del Madison Square Garden lo Zio Bobby del trentennale, prima di una cavernosa Song To Woody e delle lacrime di Sinead O’Connor, che aveva asciugato con un abbraccio e un fazzoletto bianco della sua città, creando il mistero di Brownsville Girl e dei segreti che si sarebbe portato sino a Maoui, proprio mentre Lou Reed attaccava Foot Of Pride.
L’uomo del back stage gli portò un altro caffè.
Dopo essersi bagnato le labbra, prese la chitarra: gli Highwaymen stavano arrivando.
«Con che cominciamo?» Sussurrò Willie Nelson a Johnny Cash.
«Sunday Morning Comin’ Down», rispose Johnny.
Salendo sul palco, Bobby McGee rise: anche questa era una sua canzone; anche questa una invocazione d’amore.
Come il suono della domenica mattina, che incombe sui marciapiedi della città che dorme.
Immagine: photo of Kris Kristofferson, Michael Ochs Archives/Getty Images.
Un'Agenzia tributaria europea: una proposta accademica per la prossima Commissione
di Edoardo Traversa e Giuseppe Marino
L'intensificazione della cooperazione amministrativa in materia tributaria solleva la prospettiva di una maggiore istituzionalizzazione. In una lettera aperta al Commissario europeo per la fiscalità, un centinaio di professori europei di diritto tributario sostengono la creazione di un'Agenzia tributaria europea. La risposta è incoraggiante.
Sommario: 1. Cooperazione amministrativa in materia fiscale nell'Unione Europea - 2. La proposta di creare un'Agenzia tributaria europea - 3. La risposta del Commissario Gentiloni e le prospettive per la legislatura 2024-2029.
1. Cooperazione amministrativa in materia fiscale nell'Unione Europea
Il quadro legislativo per la cooperazione fiscale europea si è evoluto così rapidamente e su tale scala negli ultimi quindici anni che è inevitabile considerare le necessarie conseguenze istituzionali di tale cambiamento[1][2]. I primi strumenti di cooperazione fiscale europea risalgono a quasi cinquant'anni fa, come la Direttiva 77/799/CE relativa alla reciproca assistenza da parte delle Autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette e la Direttiva 76/308/CEE relativa alla reciproca assistenza in materia di recupero delle imposte. Tuttavia, è solo a partire dagli anni duemila, con la Direttiva 2003/48, nota come "Direttiva Risparmio", e i regolamenti settoriali sull'IVA e sulle accise, che ha iniziato a svilupparsi un vero e proprio sistema europeo di cooperazione amministrativa, con le sue caratteristiche specifiche.
Questa tendenza si è accelerata con l'adozione della Direttiva 2011/16, nota come "DAC 1", in base alla quale gli Stati membri dell'Unione Europea si sono impegnati a scambiare automaticamente informazioni su cinque categorie di reddito oltre agli interessi di risparmio (già coperti dalla Direttiva 2003/48) (redditi professionali, compensi agli amministratori, prodotti di assicurazione sulla vita, pensioni e proprietà immobiliari e redditi da esse derivanti).
Nel giro di pochi anni, la Direttiva 2011/16 è stata modificata sette volte, in alcuni casi in modo molto sostanziale, da ultimo dalla Direttiva 2023/2226 del 17 ottobre 2023 (DAC 8), che impone agli operatori dei settori dei criptoasset e della moneta elettronica l'obbligo di trasmettere alle Autorità fiscali degli Stati membri le informazioni sulle transazioni effettuate dai residenti e che entrerà in vigore nel 2026[3].
Questa intensa attività legislativa rafforza una tendenza mondiale in materia fiscalità che mira a rendere lo scambio automatico uno standard internazionale. La cooperazione amministrativa presenta sfide importanti all'interfaccia tra legge, tecnologia e politica[4]. L'attuale quadro legislativo soffre di una mancanza di coordinamento che porta a una mancanza di efficienza, ma anche a una mancanza di trasparenza, con potenziali implicazioni per la situazione dei contribuenti interessati[5]. Le pratiche divergenti negli Stati membri per quanto riguarda l'attuazione della legislazione fiscale dell'UE che disciplina le imposte armonizzate possono portare alla doppia imposizione internazionale, anche nel caso di imposte armonizzate. Inoltre, nonostante la cooperazione bilaterale e multilaterale di lunga data tra le varie Autorità fiscali nazionali, il coordinamento delle verifiche fiscali transfrontaliere sembra ancora limitato in assenza di un quadro realmente operativo a livello UE. Tuttavia, non sembra possibile risolvere tutti questi problemi senza prendere in considerazione uno sviluppo istituzionale come la creazione di un organismo specificamente responsabile a livello europeo per coordinare l'azione delle Amministrazioni fiscali degli Stati membri in un contesto transfrontaliero[6]. Nel 2023, la Commissione ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri delle Finanze una proposta di Regolamento UE che riscrive completamente il Codice doganale dell'Unione contenuto nel Regolamento (UE) n. 952/2013. Dei 265 articoli del futuro Codice, 33 (articoli da 205 a 237) riguardano la creazione di una "Autorità doganale dell'Unione europea". Si tratterebbe della 38esima "Agenzia esecutiva" dell'UE (comprese quattro Autorità con poteri più ampi) e la prima nel campo della fiscalità; l'ultima è l'Autorità europea contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (AMLA), approvata dal Parlamento il 24 aprile 2024 e dal Consiglio il 19 giugno 2024.
2. La proposta di creare un'Agenzia tributaria europea
La proposta di un'Autorità doganale europea solleva naturalmente la questione della creazione di un'adeguata controparte fiscale. In quest'ottica, 131 professori di diritto tributario di 17 Stati membri dell'UE, tra cui i due sottoscritti, hanno inviato una lettera aperta al Commissario responsabile della fiscalità nel gennaio 2024, chiedendo la creazione di un'Agenzia europea di cooperazione tributaria. La lettera aperta è stata accompagnata da una bozza di regolamento europeo che si ispira, oltre alla proposta di un'Autorità doganale europea, ai regolamenti che disciplinano altre autorità europee precedenti, ossia l'Autorità europea del lavoro (ELA, la più recente che sarà creata nel 2019) e le tre Autorità europee che operano nel campo dei mercati e delle istituzioni finanziarie (ESMA, EBA ed EIOPA).
Secondo il progetto, i compiti della futura Agenzia europea per la cooperazione tributaria consisterebbero inizialmente solo nel sostenere l'azione delle Amministrazioni fiscali nazionali e nel facilitare la cooperazione tra di esse. L'Agenzia sarebbe quindi principalmente responsabile di facilitare lo scambio di informazioni tra le Amministrazioni fiscali nazionali e di sostenere il loro effettivo rispetto degli obblighi di cooperazione imposti dalle direttive e dai regolamenti UE attualmente in vigore, come il Regolamento 904/2010 e la rete EUROFISC per l'IVA, la Direttiva 2011/16/UE (CRS, ruling transfrontalieri, CBC Reporting, ecc.) per le imposte dirette e la Direttiva 2010/24/UE sull'assistenza reciproca per il recupero dei crediti. L'Agenzia dovrebbe quindi rafforzare la cooperazione e accelerare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, aiutandoli a rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto dell'UE, oltre a facilitare il follow-up delle richieste e degli scambi di informazioni, fornendo supporto logistico e tecnico.
Un secondo compito assegnato alla futura Agenzia sarebbe quello di coordinare e sostenere i controlli simultanei e le indagini congiunte, come già previsto dai regolamenti e dalle direttive dell'UE. Su richiesta degli Stati membri, l'Agenzia dovrebbe quindi coordinare e sostenere i controlli simultanei o le indagini amministrative congiunte che rientrano nelle sue competenze, e persino proporre verifiche concertate o congiunte alle amministrazioni fiscali degli Stati membri. I controlli simultanei comportano verifiche in diversi Stati membri su casi correlati, con l'assistenza del personale dell'Agenzia. Le indagini amministrative congiunte prevedono verifiche in uno Stato membro con la partecipazione di funzionari di altri Stati membri, sempre con il supporto dell'Agenzia. In termini pratici, l'Agenzia fornirebbe alle Amministrazioni fiscali nazionali un supporto concettuale, logistico e tecnico, oltre a competenze legali, compresi servizi di traduzione e interpretazione.
All'Agenzia potrebbero essere affidati anche compiti relativi alla gestione operativa di alcune piattaforme informatiche europee o sistemi di comunicazione comuni contenenti dati sui contribuenti o sulle transazioni imponibili, istituiti da atti legislativi dell'UE nel campo delle imposte armonizzate, in particolare nel campo dell'IVA e delle accise. Coordinerà, svilupperà e implementerà i quadri per garantire uno scambio di informazioni senza soluzione di continuità tra gli Stati membri e con l'Agenzia, sulla base del Quadro europeo di interoperabilità e dell'Architettura europea di riferimento per l'interoperabilità.
Infine, un'Agenzia europea per la cooperazione tributaria integrerebbe efficacemente il lavoro degli organi dell'UE il cui compito è quello di proteggere gli interessi finanziari dell'UE combattendo la frode fiscale e la corruzione. Cercherebbe quindi di garantire la cooperazione, evitare sovrapposizioni e promuovere sinergie con altre agenzie e organi specializzati dell'UE, come l'Ufficio europeo antifrode (OLAF) e la Procura europea (EPPO). Potrebbe anche concludere accordi di cooperazione con Agenzie come Europol ed Eurojust.
Una caratteristica organizzativa dell'Agenzia sarebbe che ogni Stato membro nominerebbe uno o più funzionari di collegamento che lavorerebbero presso la sede dell'Agenzia. Questi funzionari dovrebbero assistere nello svolgimento dei compiti dell'Agenzia, in particolare facilitando la cooperazione e lo scambio di informazioni e fungendo da punto di contatto per le questioni relative al loro Stato membro. Avrebbero il diritto di richiedere e ricevere informazioni pertinenti dai loro Stati membri, nel rispetto delle leggi nazionali sulla protezione dei dati e sulla riservatezza.
Nel medio termine, l'Agenzia potrebbe anche contribuire all'attuazione europea del secondo pilastro dell'OCSE sulla tassazione minima globale. L'obiettivo di questa collaborazione sarebbe quello di fornire alle parti interessate la certezza che, sulla base delle informazioni raccolte e delle analisi del rischio fiscale, le transazioni esaminate (dal transfer pricingall'applicazione dell'imposta minima globale) sono a basso rischio, evitando così la necessità di controlli aggiuntivi, a meno che non si verifichi un cambiamento nei fatti e nelle circostanze[7]
A più lungo termine, l'ambizione politica potrebbe arrivare a trasformare l’Agenzia in una vera e propria Autorità Europea di Cooperazione Tributaria, dotandola di poteri di indagine e controllo, e persino di potere impositivo sui grandi gruppi transfrontalieri (quelli con un fatturato superiore a 750 milioni di euro), attualmente coinvolti nell'approccio europeo alla fiducia e alla cooperazione (ETACA) [8], un progetto pilota volto a stabilire un quadro di dialogo preventivo tra Amministrazioni e contribuenti nella valutazione dei rischi di transfer pricing.
3. La risposta del Commissario Gentiloni e le prospettive per la legislatura 2024-2029
Nel marzo 2024, il Commissario europeo per la fiscalità ha risposto alla lettera aperta, accogliendo con favore l'interesse per la sua proposta di riforma dell'unione doganale dell'UE e l'ambizione di creare un'Agenzia europea nel campo della fiscalità.
Ha sottolineato che negli ultimi anni sono già stati compiuti alcuni passi importanti per quanto riguarda lo scambio di informazioni, come, ad esempio, l'istituzione nel 2023 di un gruppo di esperti per svolgere missioni di accertamento in tutti gli Stati membri, al fine di individuare il fulcro del lavoro futuro della Commissione[9]. Ha anche sottolineato il fatto che, in occasione del Eu Tax Administration Summit del novembre 2023, i responsabili delle Amministrazioni fiscali degli Stati membri hanno concordato di dare priorità al miglioramento della qualità dei dati e della qualità delle informazioni scambiate. [10]Il Commissario ha anche fatto riferimento all'esistenza dello strumento di supporto tecnico, che può essere utilizzato per realizzare le riforme dei sistemi fiscali degli Stati membri, e all'entrata in vigore nel 2024 della Direttiva DAC 7, che fornisce un quadro giuridico chiaro per effettuare controlli transfrontalieri congiunti.
Per quanto riguarda in particolare l'IVA, il Commissario osserva che dal 2010 le Amministrazioni fiscali sono state in grado di cooperare all'interno di Eurofisc e di combattere le frodi in modo più efficace. Tuttavia, sottolinea alcune carenze, come il fatto che Eurofisc non ha una personalità giuridica separata e incontra dei limiti operativi dovuti alla natura volontaria della cooperazione, alle limitate risorse umane stanziate e all'insufficiente cooperazione con gli altri attori dell'UE coinvolti nella lotta contro le frodi IVA, ossia la Procura europea (EPPO), l'Ufficio europeo antifrode (OLAF) ed Europol. Si sta quindi valutando un rafforzamento di Eurofisc e il Commissario non esclude la possibilità che questo possa portare "a tempo debito" alla creazione di un'Agenzia europea.
Sulla base di questi elementi, è chiaro che la questione del rafforzamento della capacità amministrativa del livello europeo in materia tributaria risponde a un'esigenza reale, che costituirebbe un'evoluzione naturale alla luce degli sviluppi della legislazione in questo settore. È quindi auspicabile che la creazione di un'Agenzia europea di cooperazione tributaria sia una priorità per la prossima Commissione europea, e in tal senso si attende di conoscere l’Action Plan del Commissario Wopke Hoekstra designato dalla Presidente Ursular Von der Leyen alla fiscalità con l’ambizione di contrastare l’elusione e l’evasione nonché aprire la strada ad una migliore raccolta e condivisione delle informazioni fiscali attraverso l’uso di strumenti digitali e dell’intelligenza artificiale.
[1] La Direttiva 77/799/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1977 (GU L 336 del 27 dicembre 1977, pagg. 15-20) riguardava originariamente la reciproca assistenza da parte delle Autorità competenti degli Stati membri nel campo dell'imposizione diretta.
[2] Direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1976, relativa all'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure, GU L 073 del 19 marzo 1976, pagg. 18-23.
[3] G. Marino, A Wishful Thinking Towards a European Tax Agency, in A Journey Through European and International Taxation, Liber Amicorum in Honourof Peter Essers, ed. C. De Pietro, C. Peters, E. Kemmeren, WoltersKluwer, 2024, p. 227.
[4]A questo proposito, va notato che la Corte di giustizia, che di solito è piuttosto cauta quando si tratta di applicare i diritti fondamentali nella cooperazione amministrativa (si veda in particolare la sentenza del 22 ottobre 2013 (Grande Sezione), C-276/12, Sabou, ECLI:EU:C:2013: 678 ), ha tuttavia invalidato la Direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda il diritto al rispetto della vita privata (segreto professionale) in una sentenza dell'8 dicembre 2022 (CGUE (Grande Sezione), C-694/20, Orde van de Vlaamse Balies e altri, C-694/20, Orde van de Vlaamse Balies e altri, C-694/20, Orde van de Vlaamse Balies e altri, C-694/20, Orde van de Vlaamse Balies e altri, C-694/20, Orde van de Vlaamse Balies e altri). a., ECLI:EU:C:2022:963).
[5] Si veda in particolare CGUE, 18 giugno 2020, C-276/18, KrakVet Marek Batko sp. K, ECLI:EU:C:2020:485.
[6] Commissione europea, Proposta di Regolamento del 17 maggio 2023 che istituisce il Codice doganale dell'Unione e l'Autorità doganale dell'Unione europea e abroga il Regolamento (UE) n. 952/2013, COM/2023/258 definitivo.
[7] E. Traversa & F. Pascucci, "L'Accord sur le taux d'imposition minimum des multinationales et la taxation des entreprises numériques : une étape ultérieure vers la constitution d'un ordre international autonome", Annuaire Français de Droit International, Vol. 1, no.1, p. 18 (2021).
[8] Commissione europea, Linee guida Approccio europeo alla fiducia e alla cooperazione (ETACA), 11 ottobre 2021, disponibile su https://taxation-customs.ec.europa.eu/eu-cooperative-compliance-programme/european-trust-and-cooperation-approach-etaca-pilot-project-mnes_en.
[9] https://taxation-customs.ec.europa.eu/taxation/tax-co-operation-and-control/tax-administration-eu-summit-tadeus_en
Accesso agli atti nelle gare d’appalto tra “vecchio Codice” e d.lgs. 36/2023: più in salita la strada che porta avanti al T.A.R.? (nota a T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV, 1° luglio 2024, n. 13225)"?
di Giacomo Biasutti
Sommario: 1. Introduzione; 2. La vicenda sostanziale e processuale; 3. Disciplina dell’accesso agli atti tra vecchio e nuovo codice: incidenza sul termine ad impugnare; 4. Regola generale e prospettive applicative particolari; 5. Lo spinoso caso dei segreti commerciali; 6. Alcune ulteriori riflessioni in tema di interesse al ricorso; 7. Conclusioni
1. Introduzione
Presupposti, limiti e disciplina processuale dell'accesso agli atti nelle procedure ad evidenza pubblica sono temi centrali di dibattito nella dottrina in materia[1] come pure nel tempo oggetto di alterni orientamenti nella giurisprudenza[2]. La celerità delle gare[3] e la necessità di tutelare i segreti industriali faticosamente acquisiti dai concorrenti[4] spingono, infatti, a giustificare una compressione delle tutele di chi ambisca alla conoscenza. Da altro punto di vista, tuttavia, quella stessa conoscenza del fatto amministrativo è essenziale e dovrebbe sempre essere garantita quale presupposto di un processo nella parità delle armi che non può essere rinunciato nemmeno ove il prezzo sia la minore velocità nella “messa a terra” degli investimenti pubblici.
Lasciando per un attimo sullo sfondo questo conflitto, è però evidente che il punto di equilibrio delle opposte istanze si deve trovare nell’individuazione della “conoscenza minima dei vizi” richiesta per instillare l'onere di impugnazione. È, infatti, sotto tale profilo che il procedimento di accesso agli atti può incidere sul decorso del termine decadenziale breve del rito ex art. 120 c.p.a.[5].
Con l'avvento dell'attuale Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 36/2023, sì aggiunto un elemento di indubbia novità destinato ad incidere sulla giurisprudenza nel tempo consolidata, attraverso la previsione di una disciplina in soluzione di continuità rispetto a quelle che erano le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 50/2016. La sentenza in commento fornisce quindi l'occasione di approfondire la distanza che separa il codice del 2016 da quello del 2023 prospettando alcuni prime conclusioni rispetto alla delicata ricerca di equilibrio tra diritto alla conoscenza, diritto alla difesa, speditezza delle procedure e tutela del patrimonio degli operatori economici nei pubblici incanti.
2. La vicenda sostanziale e processuale
Oggetto del contendere era l'affidamento di un servizio di mappatura degli habitat marini da parte di Invitalia s.p.a. a mezzo piattaforma telematica[6]. Avverso gli atti del procedimento, la mandataria di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese terzo graduato stendeva ricorso con contestuale domanda di declaratoria di inefficacia del contratto di appalto medio tempore stipulato e di risarcimento del danno tanto in forma specifica[7] attraverso il subentro nel rapporto negoziale tra l'originale aggiudicataria e la pubblica amministrazione, quanto in via equivalente attraverso il risarcimento del danno patrimoniale subito[8].
Un elemento di particolare rilievo della procedura oggetto di contendere era il riparto del punteggio nella valorizzazione dei componenti qualitativi e quantitativi dell'offerta[9]: 90 punti su 100 erano attribuiti all'offerta tecnica, solo i restanti 10 all'offerta economica, così denotando una decisa scelta di campo dell'amministrazione verso la ponderazione qualitativa delle proposte dei concorrenti, probabilmente correlata alla peculiare natura dell'oggetto dell'affidamento.
A formare profilo di contestazione da parte della ricorrente, la carenza di requisiti di idoneità professionale da parte del vincitore[10], l'inadeguatezza complessiva delle modalità proposte per prestazione del servizio[11] e la contraddittorietà interna della lex specialis[12].
Chiamata alla discussione la vertenza ai fini della decisione sull'istanza cautelare, il Collegio aveva però a rilevare una questione d'ufficio ai sensi dell'articolo 73, comma 3, c.p.a.[13], relativamente alla possibile irricevibilità del ricorso. Il Tribunale prendeva, infatti, in considerazione lo iato temporale che era intercorso tra il momento in cui vi era stata la conoscenza del provvedimento lesivo, ossia della approvazione la proposta di aggiudicazione da parte della stazione appaltante, è il momento di proposizione del ricorso giurisdizionale, arrivato oltre i 30 giorni dalla pubblicazione di tale provvedimento sulla piattaforma telematica ove si era svolta la procedura. La ragione di tale allungamento delle tempistiche di ricorso risiedeva nel fatto che la stazione appaltante aveva a rendere disponibile la documentazione tecnica amministrativa ed economica dell'offerta dell'aggiudicatario poco meno di un mese dopo all'iniziale pubblicazione dell'esito della procedura, a seguito di istanza di accesso agli atti della ricorrente. Rilevava però il giudice come il vigente Codice dei contratti pubblici abbia operato una rilevante innovazione rispetto alla disciplina previgente, non riproducendo il d.lgs. n. 50/2016 laddove prevedeva che, una volta proceduto all’aggiudicazione, l’amministrazione dovesse rendere disponibile la documentazione di gara[14] entro 15 giorni[15]. Il vigente d.lgs. n. 36/2023 prevede infatti, all’art. 35, che le stazioni appaltanti assicurano l'accesso agli atti delle procedure mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni, così elidendo del tutto la necessità di trasmissione entro un termine di tale documentazione[16].
Dunque, nello specifico della gara oggetto del contendere, il Tribunale rileva che la disciplina applicabile era proprio quella del vigente Codice dei contratti pubblici e, pertanto la giurisprudenza maturata in riferimento all’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50/2016[17], invocata dal ricorrente, risultava semplicemente inattuale ratione temporis. Dal punto di vista fattuale, poi, il giudice ha ritenuto rilevante la circostanza per cui in ogni caso la stazione appaltante avesse reso disponibile la documentazione prima dello spirare del termine di 30 giorni ad impugnare che decorreva dal momento in cui la ricorrente aveva avuto notizia dell'esito della procedura[18].
La conclusione, quindi, era a quel punto necessitata: il ricorso sarebbe stato da giudicarsi potenzialmente tempestivo secondo il vecchio codice; tuttavia, esso risultava inammissibile secondo la disciplina oggi vigente.
Viepiù, il T.A.R. ha avuto inoltre a rilevare l'inammissibilità per difetto di interesse del gravame. Infatti, pur non entrando nel dettaglio di questo profilo, occorre sottolineare che la sentenza ha ritenuto che la formula societaria del primo graduato fosse rientrante nella più ampia definizione di operatore economico. Pertanto, la relativa offerta doveva considerarsi di per sé soggettivamente ammissibile. Su tale premessa quindi, rilevato che il ricorrente non aveva portato prova del fatto che l'accoglimento degli ulteriori diversi motivi di ricorso avrebbe portato a colmare il divario di punteggio intercorrente tra la propria offerta e quella vincitrice, il Tribunale ha ulteriormente ritenuto che il gravame fosse inammissibile per difetto di interesse in ragione del mancato superamento della prova di resistenza[19].
Fatte queste due premesse in rito, che consentono al T.A.R. di dichiarare preliminarmente tanto l’irricevibilità del ricorso quanto la sua inammissibilità, la pronuncia si spinge oltre analizzando anche il merito, specificamente appuntandosi in ordine alla contestazione operata circa il fatto che la prima graduata non si sarebbe dotata al suo interno di un gruppo di lavoro adeguato all'esecuzione dell'appalto. Il Giudice capitolino, in ordine a tale motivo richiama alla circostanza che la costituzione del gruppo di lavoro[20] realizza un requisito di esecuzione e non di partecipazione alla gara. Secondo la distinzione precisata dalla giurisprudenza[21], infatti, i requisiti di esecuzione connotano la concreta capacità di realizzare sul piano pratico l'affidamento e, dunque, la relativa sussistenza deve essere valutata in sede di gara in termini di serietà ed attendibilità dell'offerta e non già di possesso del requisito tout court[22]. Dunque, dal momento che, nel caso di specie, la prima graduata era dotata di un project manager in grado di costituire il gruppo di lavoro che il bando richiedeva come necessario per espletamento del servizio, il Tribunale ha ritenuto verificata (in punto di attendibilità astratta) la sussistenza del requisito esecutivo richiesto dalla lex specialis[23].
Per queste ragioni di diritto di merito, il ricorso viene giudicato irricevibile per tardività, inammissibile per difetto di interesse e comunque infondato nel merito.
3. Disciplina dell’accesso agli atti tra vecchio e nuovo codice: incidenza sul termine ad impugnare
Il profilo fondamentale ai fini della rilevata irricevibilità del ricorso ruota attorno alla differenza lessicale intercorrente tra la formulazione degli artt. 53 e 76 del d.lgs. n. 50/2016 e il testo degli artt. 35 e 90, d.lgs. n. 36/2023, oggi in vigore.
Invero, il previgente Codice dei contratti pubblici prevedeva l'obbligo per la stazione appaltante di mettere a disposizione del concorrente che ne avesse fatto richiesta la documentazione di gara entro 15 giorni dalla presentazione dell'istanza di accesso agli atti[24]. In relazione a tale previsione si è osservato un contrasto giurisprudenziale[25] che ha, alfine, portato alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 2 luglio 2020, n. 12. In tale sede si era espressamente riconosciuta la possibilità di differire il termine a proporre ricorso per i 15 giorni necessari all'espletamento dell'accesso agli atti. E ciò, sul presupposto per cui la disciplina che regolava dal punto di vista sostanziale l’accesso nei pubblici incanti non poteva opporre ostacoli ad una tutela piena ed effettiva dei concorrenti. L’effettività della difesa in giudizio sarebbe invece di contro risultata compromessa ove, per un difetto di coordinamento della disciplina del procedimento con il codice processuale, si fosse giunti ad onerare l’operatore economico della proposizione di un ricorso al buio[26] in assenza di adeguata conoscenza degli atti e documenti di gara. A ben vedere, tale sistema operava nei fatti una graduazione dei termini ad impugnare. Laddove i vizi fossero stati immediatamente percepibili, si riteneva generalmente che l'onere di impugnazione scattasse immediatamente con la comunicazione dell'aggiudicazione[27]. Laddove i vizi non fossero stati percepibili e fosse stata presentata istanza di accesso agli atti, il termine ultimo aumentava fino a 45 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione – ciò a patto che l’istanza stessa fosse a sua volta tempestiva, ossia presentata appunto entro 15 giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione medesima[28].
Nella sistematica del d.lgs. n. 50/2016 si era quindi, in tali termini, trovato un punto di equilibrio tra esigenze di celerità della procedura e diritto alla difesa dei concorrenti, cercando al contempo di garantire la conoscibilità piena degli atti di gara ed evitare comportamenti dilatori che avrebbero lasciato in sospeso le determinazioni della stazione appaltante[29].
La prospettiva muta con il Codice del 2023, laddove in particolare non è più riproposta la disposizione che prevede l'onere di rilascio documentale ad opera della pubblica amministrazione entro il termine di 15 giorni dall’istanza di accesso. Di converso, all’art. 35, d.lgs. n. 36/2023 si prevede che tutta la documentazione di gara sia resa immediatamente disponibile attraverso la relativa pubblicazione sulla piattaforma telematica a mezzo della quale viene svolta la gara[30]. In altri termini le nuove disposizioni non prevedono più la mediazione della stazione appaltante tra concorrente documento[31]. Di qui la sopravvenuta irrilevanza dell’istanza di accesso agli atti rispetto al decorrere del termine a impugnare: essendo immediata la conoscenza di tutti gli atti di gara, altrettanto immediato[32] l’onere di impugnare gli atti.
Si aggiunga quindi che, laddove la soluzione esegetica propugnata nell’ambito della disciplina previgente doveva superare il riferimento operato dall’art. 120 c.p.a., che per un difetto di coordinamento indicava la disposizione del Codice de Lise poi abrogata ad opera del Codice del 2016[33], il d.lgs. n. 36/2023, all’art. 209, ha integralmente riscritto l’art. 120 stesso, in maniera tale da ridurre a coerenza la disciplina processuale e quella sostanziale, che ora appaiono solidali[34]. Pertanto, con il nuovo Codice è venuto meno l’addentellamento testuale che consentiva di raggiungere il risultato di differimento temporale, con il quale si era trovato in equilibrio tra conoscenza effettiva, onere ad impugnare ed esigenze di celerità[35].
4. Regola generale e prospettive applicative particolari
Incrociando le intervenute modifiche normative con l’impianto motivazionale dell’Adunanza Plenaria 2020, la conclusione cui giunge la sentenza in commento appare geometricamente coerente. Laddove, infatti, la giustificazione normativa della dilazione temporale del termine ad impugnare era ricondotta al perdurante richiamo di una norma che, pur abrogata, risultava trascritta integralmente nel Codice in allora vigente, non è possibile raggiungere le stesse conclusioni in esito alla modifica disposta dal d.lgs. n. 36/2023. Il risultato del rimaneggiamento normativo -seppur forse non direttamente voluto dal legislatore[36]- è stato all’evidenza proprio quello di comprimere il termine ad impugnare evitando che si potesse conseguire lo scostamento quindicinale conseguente all’esperimento dell’accesso agli atti. Certo è, però, che tale risultato si raggiunge senza compromettere il diritto di difesa solo attraverso la completa implementazione dei sistemi di digitalizzazione e del conseguimento di una piena accessibilità delle procedure nei sistemi di e-procurement. Nondimeno pare ineludibile concludere che l’imperante necessità di accelerare le procedure che la scelta del contraente[37] ha rivestito un ruolo determinante nella riscrittura della disposizione[38].
Ciò detto, occorre però andare oltre alla mera presa d’atto della coerenza della decisione rispetto all’architettura normativa per comprendere se quest’ultima – che, come visto, rende di fatto indifferente la necessità di esperire accesso agli atti per avere contezza dei vizi rispetto all’onere di impugnazione rispetto al decorso dei termini – risulti in sé coerente rispetto ai principi generali che si erano posti alla base della giurisprudenza maturata in seno al previgente Codice.
Volendo, infatti, ricapitolare per sommi capi, la giurisprudenza sovranazionale impone agli Stati membri l’obbligo di realizzare un sistema impugnatorio chiaro ed effettivo[39]. Per chiarezza si considera l’evidenza dei diritti e degli obblighi in capo ai soggetti partecipanti alle gare, in maniera tale che il procedimento preordinato all’aggiudicazione non rechi con sé una menomazione del diritto di tutelare le proprie posizioni giuridiche soggettive[40]. Diretta conseguenza di questo enunciato generale è quindi la circostanza per cui il termine decadenziale per la proposizione del ricorso dovrebbe decorrere solamente da quando “il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione”[41]. La conoscenza della pretesa violazione dovrebbe essere quindi, se non “piena”, quantomeno sufficiente, ossia tale da consentire l’individuazione dei motivi di diritto e le prove, anche non direttamente conosciute, a sostegno degli stessi. Ad essere esclusa, in ogni caso, è la possibilità di onerare fisiologicamente il concorrente di proporre un ricorso al buio perché il sistema non gli consente di avere una conoscenza adeguata dei vizi dell’atto da impugnarsi.
Su tali premesse, diviene ulteriormente interessante quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, che, pur nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016 ha richiamato specificamente gli obblighi di diligenza della stazione appaltante. Infatti, il Consiglio di Stato ha avuto modo di sottolineare come la celerità del procedimento, nonostante l'applicazione dell'ulteriore termine di 15 giorni per garantire l'impugnazione, non venga ad essere compromessa laddove l'amministrazione comunque adempia con puntualità ai propri oneri di pubblicità e corretta informazione dei partecipanti[42]. È quindi la precisione della stazione appaltante nell’adempimento degli obblighi pubblicitari in favore dei concorrenti a fare si che la garanzia della piena conoscenza degli atti non comprometta la velocità delle procedure di gara. Si tratta di un aspetto che pare oggi correlarsi direttamente al principio di fiducia sancito all’art. 2, d.lgs. n. 36/2023[43], onerando la stazione appaltante di adempiere effettivamente agli obblighi di pubblicazione sulla piattaforma che le sono imposti[44].
Resta però che nella eventualità in cui tali adempimenti manchino -ossia non risultino pubblicati gli atti o gli stessi vengano erroneamente oscurati- e, quindi, il concorrente verta in uno stato di “incolpevole ignoranza”[45], occorrerà comprendere se sia necessario sempre e comunque proporre ricorso al buio ovvero si possa nonostante il tenore della norma attendere la corretta ostensione documentale per far decorrere il termine ad impugnare.
Ebbene, se si va a leggere le decisioni della Corte di Lussemburgo, paiono esservi pochi dubbi circa il fatto che in difetto di una conoscenza piena dei vizi non si possa onerare in via generalizzata il privato di interporre ricorso al buio. Quindi, in mancanza dell’adempimento dell’obbligo di pubblicazione ad opera della P.A., in violazione del rapporto fiduciario che la lega al concorrente, non dovrebbe potersi predicare decadenza in capo al privato[46]. Manca però a legislazione vigente un “termine di differimento”, come quello quindicinale previsto dal d.lgs. n. 50/2016: vi è quindi il rischio che una soluzione sostanzialista rimetta alla valutazione del caso concreto al tempestività del gravame, in pregiudizio della prevedibilità dei mezzi di ricorso. Tuttavia, pare inevitabile che, laddove la lesione alla sfera giuridica soggettiva dell’operatore economico sia percepibile, questi sarà onerato dell’azione con contestuale richiesta di accesso agli atti in corso di causa – laddove i dati necessari non siano stati oscurati in quanto segreti commerciali, sul punto si tornerà nel paragrafo a seguire. Sarà semmai in esito al processo che potranno essere comminate eventuali sanzioni processuali in capo all'amministrazione (ad esempio in termini di condanna aggravata alle spese di lite) qualora questa non abbia messo a disposizione la documentazione costringendo ad un giudizio che, ancorché infondato, potenzialmente non sarebbe stato spiccato se il privato fosse stato nella condizione di decidere con tutti gli elementi. Invero, toccherà di volta in volta al giudice apprezzare se nel caso di specie le informazioni in possesso del partecipante fossero o meno sufficienti per consentirgli di apprezzare l’illegittimità degli atti onerandolo di interporvi ricorso. Il che, però, è proprio l’opposto di un principio di fiducia che si riconverte anche nella prevedibilità degli strumenti di tutela avverso l’esercizio del potere.
5. Lo spinoso caso dei segreti commerciali
La sentenza in parola fornisce altresì l’occasione per una breve riflessione in ordine all’incrociarsi di una decadenza tanto tranchant con la disciplina relativa all’impugnativa delle decisioni afferenti alla secretazione delle componenti delle offerte contenenti segreti commerciali.
Una delle novità in merito introdotte dal d.lgs. n. 36/2023 è stata la previsione, all’art. 36, commi 3 e 4, che all’atto di aggiudicazione la stazione appaltante comunichi quali parti delle offerte delle quali è stata chiesta la secretazione siano effettivamente segreti commerciali[47]. Tale decisione[48] è contestabile solamente con un ricorso ex art. 116 c.p.a. che si presenta assai sui generis: basti pensare che il gravame deve essere notificato e depositato entro 10 giorni e viene deciso con una dimidiazione integrale di tutti i termini di rito. Dimidiazione che, nondimeno, non assicura che la conoscenza del documento in allora secretato, in caso di vittoria del giudizio, arrivi in tempo utile per impugnare l’aggiudicazione. La proposizione del ricorso avverso l’oscuramento dei segreti commerciali, infatti, non sposta i temini di decadenza al pari di quanto non fa più una richiesta di accesso agli atti. Né pare che la decisione della P.A., se non tempestivamente impugnata con il rito di accesso “speciale” possa indi essere contestata a mezzo della presentazione di domanda di accesso agli atti in corso di causa, come solitamente d’uso per garantirsi il rispetto del termine decadenziale a ricorrere.
Il rischio di un disassamento tra cognizione piena -o, per meglio dire, sufficiente- del procedimento e termine imposto per proporre ricorso avverso gli atti di gara, appare insomma assai significativo. E, la luce della formulazione odierna dell'articolo di riferimento del Codice, pare non essere un disallineamento che possa ragionevolmente essere recuperato attraverso interpretazioni sostanzialiste atte a valorizzare i profili di fatto che sul piano conoscitivo vengono invece in rilievo per la giurisprudenza sovranazionale[49].
6. Alcune ulteriori riflessioni in tema di interesse al ricorso
Un'ulteriore profilo meritevole di interesse nella pronuncia in commento è poi costituito dalle ragioni per le quali il ricorso viene dichiarato anche inammissibile[50]. IL T.A.R. rileva, infatti, che il ricorrente aveva censurato la stessa capacità ad offerendum della seconda graduata; di qui, pur contestando l'attribuzione dei punteggi, l’impugnazione non aveva però ulteriormente dimostrato che l'accoglimento di tali motivi avrebbe consentito di superare la controinteressata, anche qualora quest'ultima fosse stata ritenuta legittimata a presentare offerta.
Si tratta di una tecnica redazionale[51] che rileva sotto un duplice profilo: interno ed esterno. Dal punto di vista interno consente alla parte ricorrente sostanziale di comprendere le ragioni di infondatezza del proprio gravame, così contribuendo ad una funzione conoscitiva sui dati del procedimento. Dal punto di vista esterno, invece, la sentenza sul punto esprime quello che può essere definito un effetto extraprocessuale[52], rendendo un precedente giurisdizionale che può essere applicato in ulteriori giudizi contribuendo a formare la giurisprudenza di merito ai temi della res litigiosa.
Con riguardo, invece, della prova di resistenza, questa è una declinazione applicativa del principio generale di cui all'articolo 100 c.p.c.: il promovimento di una censura, e più in generale dell'azione, deve essere giustificato da una concreta utilità finale nella relativa delibazione ad opera del giudice[53]. All'atto pratico questa valutazione consiste in un apprezzamento a priori circa la sussistenza, in buona sostanza, di un nesso di causalità. Ossia si deve appurare con un sufficiente[54] grado di sicurezza che l'operatore economico risulterebbe aggiudicatario in caso di accoglimento del motivo di ricorso. Nel caso di specie, l'unica doglianza che avrebbe di per sé portato a superare in graduatoria il concorrente controinteressato era quella relativa alla sua incapacità ad offerendum. Con riguardo ad ogni altro motivo di ricorso, invece, il ricorrente avrebbe dovuto dare prova di come il relativo accoglimento avrebbe inciso sul punteggio in graduatoria in maniera tale da consentire di soverchiare il risultato finale.
Quanto precede consente allora di sottolineare come la prova di resistenza in materia di appalti pubblici, non differentemente da altri ambiti[55], si atteggia in maniera differente a seconda della tipologia di vizio rilevato. Infatti, laddove ad essere contestato sia un vizio generale della procedura, o, come nel caso di specie, la stessa possibilità che un soggetto concorrente partecipi ed offra, la prova di resistenza non è richiesta. In questi casi, infatti, dall'accoglimento del motivo conseguirebbe di per sé il raggiungimento finale di soddisfacimento dell'interesse che può essere alternativamente la riedizione della procedura ovvero l'espunzione del controinteressato dalla stessa[56].
7. Conclusioni
Esaminati i principali snodi argomentativi della pronuncia in commento, ne si ritrae una complessiva rilevanza nell'ottica di definire il corretto perimetro applicativo delle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici, per identità e differenza rispetto alla disciplina previgente. È significativa, infatti, la linearità esegetica con la quale Tribunale amministrativo capitolino afferma che l'attuale architettura codicistica[57] conduce ad una soluzione circa l’estensibilità del termine di impugnare l’aggiudicazione decisamente antitetica rispetto al punto di equilibrio faticosamente trovato dalla giurisprudenza nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016.
A tale geometricità nella soluzione del caso si accompagnano però alcuni rilievi di sostanza rispetto ad un impianto normativo del Codice che, seppur coerente e solidale con il c.p.a. nel ricercare la stabilità degli esiti delle procedure di gara[58], pare portare con sé il rischio di comprimere il diritto alla difesa, onerando di fatto l’operatore economico del ricorso al buio in caso di inefficienza amministrativa. Viepiù, trovare un nuovo punto di equilibrio diviene ancor più complesso ove vengano in questione possibili segreti commerciali, poiché in questo caso il rito di accesso speciale disciplinato direttamente dal d.lgs. n. 36/2023 fissa a termini di decadenza ancor più stretti, peraltro individuando una strada obbligata per la contestazione delle decisioni in tema di secretazione degli atti da parte della P.A.
Le disposizioni nel loro complesso, quindi, paiono voler incidere sulla rapidità nella messa a terra degli investimenti pubblici utilizzando la conoscibilità degli atti come strumento per irreggimentare la contestazione giurisdizionale. Si tratta di una soluzione che, pur dovendo essere misurata nell’applicazione concreta[59], chiama le stazioni appaltanti ad una diversa interpretazione della proprie responsabilità, nell’ambito del perimetro di un rinnovato rapporto di fiducia con gli operatori economici.
[1] Anche nel vigore dei previgenti d.lgs. n. 163/2006 e n. 50/2016, che, come si vedrà, presentavano delle significative discrasie rispetto all'attuale d.lgs. n. 36/2023, le norme speciali sull'accesso agli atti in tema di appalti pubblici erano state oggetto di particolare attenzione. Per tutti, a livello di inquadramento generale dei temi che si andranno a trattare, si rinvia a A.G. Orofino – Cimbali, Sulla tutela cautelare nel rito in materia di accesso: spunti di riflessione e analisi di recenti orientamenti, in Federalismi.it , XV, 2022, S. Mezzacapo, Commento all’art 53. Accesso agli atti e riservatezza, in G.M. Esposito (a cura di), Codice dei contratti pubblici. Commentario di dottrina e giurisprudenza, Vicenza, 2017, pag. 648 e ss. oltre a G.D. Comporti, Il procedimento e il responsabile (artt. 31, 32, 33, 40, 44, 52, 53), in M. Clarich (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Torino, 2019. Con riferimento, invece, ai primi commenti del vigente Codice, cfr. F. Giallombardo, L’accesso nel contesto del nuovo codice dei contratti pubblici, in giustizia-amministrativa.it, 2024, P. Provenzano, L’accesso agli atti senza istanza. Riflessioni a prima lettura sulla nuova disciplina (sostanziale e processuale) in materia di accesso agli atti di gara, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comparato, III, 2023, pag. 490 e ss., F.G. Russo, I rimedi giurisdizionali nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici tra la trasparenza e la buona fede, in giustizia-amministrativa.it, 2023.
[2] Per tutti, L. Droghini, Riservatezza, trasparenza e tutela giurisdizionale effettiva nel settore degli appalti pubblici: nuove indicazioni da parte della giurisprudenza europea. Nota a CGUE, quarta sezione, 17 novembre 2022 (Causa C-54/21), in Federalismi.it, V, 2023. Cfr. anche, ex multise senza pretesa di esaustività, la ricostruzione operata da Consiglio di Stato, sez. V, 29 aprile 2022, n. 3392.
[3] Vedasi, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 15 marzo 2022, n. 1792, ove, in vigenza del d.lgs. n. 50/2016, già si era chiarito che “Sebbene il nuovo codice degli appalti del 2016, in tema di accesso agli atti di gara, non abbia riprodotto la previsione del previgente art. 79, comma 5-quater, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che assegnava al concorrente per proporre l’istanza di accesso dieci giorni a decorrere dalla ricezione delle comunicazioni di legge da parte della stazione appaltante, l’attuale disciplina deve ritenersi in continuità con quella precedente, non essendo da un lato consentito attraverso l’istanza di accesso differire ad libitum la decorrenza del termine di impugnazione, e per altro verso dovendo coniugarsi la finalità acceleratoria delle norme in tema di contenzioso sui contratti pubblici con l’esigenza di tutela del concorrente il quale abbia esercitato l’ordinaria diligenza nel chiedere l’accesso anche in relazione al termine assegnato all’amministrazione per provvedere”.
[4] Cfr. B. Gargari, Il ruolo della concorrenza ai fini del bilanciamento tra trasparenza e segreti commerciali, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, 28 luglio 2021, ove, in particolare, l’Autore sottolinea come ad entrare in gioco nel bilanciamento che viene operato allorquando venga richiesto l'accesso di documenti che sono suscettibili di contenere segreti commerciali, vi è anche l’interesse confliggente alla tutela della concorrenza. Questo bilanciamento si realizza però su di un duplice livello: la concorrenza si tutela, da un lato rendendo possibile la contestazione delle risultanze della procedura di gara, dall'altro, però, pure garantendo che i segreti commerciali che possono costituire un elemento fondamentale nella redditività dell'azienda non vengano divulgati. In questi termini la valutazione operata dalla stazione appaltante risulta inevitabilmente molto complessa.
[5] Ed, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che dall’analisi della disciplina si desume “nella prospettiva di adeguata e proporzionata conciliazione del diritto di difesa del concorrente pregiudicato e della celerità dell’azione amministrativa, una articolata e cadenzata scansione temporale, puntualmente ancorata ai diversi momenti di possibile conoscenza degli atti di gara, ad ognuno dei quali corrispondono precise condizioni affinché possa aversi decorrenza del termine di impugnazione, in base alla considerazione, di carattere generale, per la quale l’individuazione di quest’ultima dipenda dal rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla “informazione” e alla “pubblicizzazione” degli atti, nonché dalle iniziative dell’impresa che effettui l’”accesso informale” con una “richiesta scritta”, nel termine di quindici giorni previsto dall’art. 76, 2° comma, del d .lgs. n. 50/2016” (Consiglio di Stato, sez. V, 15 marzo 2023, n. 2736, cit.).
[6] Nello specifico si trattava della piattaforma di e-procurement InGaTe proprietaria di Invitalia s.p.a. Per un inquadramento generale in ordine alle modalità di affidamento negli appalti pubblici a mezzo dele piattaforme telematiche si veda, senza pretesa di esaustività, G. Carullo, Piattaforme digitali e interconnessione informativa nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, 26 luglio 2023, E. Guarnaccia, Il processo di digitalizzazione delle gare d’appalto: dal DM n. 148/2021 al Codice dei Contratti Pubblici 2023, in CERIDAP, 19 dicembre 2022, G. Racca, La digitalizzazione dei contratti pubblici: adeguatezza delle pubbliche amministrazioni e qualificazione delle imprese, in R. Cavallo Perin – D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, Torino, 2020, pag. 332 e ss., M. Pedersoli, Le garanzie di pubblicità nella gestione telematica delle gare d’appalto, in Nuove autonomie, II, 2017, pag. 387 e ss., G. Cammarota, I contratti telematici delle pubbliche amministrazioni. La digitalizzazione della fase di scelta del privato contraente nelle procedure di approvvigionamento mediante asta pubblica e licitazione privata, in G. Vesperini (a cura di), L’e-government, Milano, 2004, pag. 168 e ss. Con riferimento alla giurisprudenza, Consiglio di Stato, sez. VII, 1° luglio 2024, n. 5789, ha “osservato che il ricorso alle modalità telematiche di gara risponde alla ratio di snellire e velocizzare le procedure, riducendo gli adempimenti formali, promuovendo l’interazione tra stazione appaltante e concorrenti, in un’ottica di semplificazione e di leale collaborazione. È del tutto contrario alla suddetta finalità, viceversa, utilizzare piattaforme telematiche strutturate in modo tale da rendere la presentazione dell’offerta una sorta di gara ad ostacoli”, viepiù significativamente correlando l’utilizzo delle piattaforme telematiche alla principio generale di raggiungimento del risultato, così concludendo che “Non è superfluo osservare che, sebbene la procedura per cui è causa sia stata indetta nella vigenza del decreto legislativo n. 50/2016, l’operato della stazione appaltante non appare in linea col principio del risultato, ora codificato nell'art. 1 del decreto legislativo 1° aprile 2023, n. 36 “Nuovo codice dei contratti pubblici” (si tratta di un principio la cui valenza ricognitiva di canoni generali consente di predicarne l’applicabilità anche alle procedure indette nella vigenza del ‘Codice 50’)”.
[7] È noto, infatti, che l'ordinario strumento di tutela reintegratoria in materia gli appalti pubblici è costituito dalla richiesta di subentro nella posizione contrattuale della parte aggiudicataria attraverso la declaratoria di inefficacia contrattuale, come sottolinea M.M. Fracanzani, Il rito in materia di contratti pubblici, in G.P. Cirillo (a cura di), Diritto processuale amministrativo, Milano, 2017, pag. 1165 e ss.
[8] Occorre peraltro sottolineare come il valore dell'affidamento fosse particolarmente significativo, superando i 43.000.000,00 di euro.
[9] Si ricordi, infatti, che il vigente art. 108, relativamente ai criteri di selezione delle offerte, pur riconoscendo una significativa discrezionalità nella determinazione del criterio selettivo, impone in ogni caso di aggiudicare seguendo il criterio qualità/prezzo “i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro” e “i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 140.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo”. La piena realizzazione in un sistema di affidamento dei contratti pubblici che faccia un prudente uso nella discrezionalità in ordine alla scelta dei criteri da seguire per l'individuazione dell'offerta migliore è una delle sfide cui l’amministratore è chiamato nell'applicazione l'attuale codice dei contratti pubblici, come sottolineato da D.U. Galetta, Digitalizzazione, Intelligenza artificiale e Pubbliche Amministrazioni: il nuovo Codice dei contratti pubblici e le sfide che ci attendono, in Federalimsi.it, XII, 2023. Vedasi anche F. Saitta, I principi generali del nuovo Codice dei contratti pubblici, in questa Rivista, 8 giugno 2023.
[10] E, in particolare, l'assenza di un direttore tecnico all'interno della struttura organizzativa di quest'ultimo. Peraltro, la carenza dei requisiti da parte dello stesso direttore tecnico è stata il fulcro di due diversi motivi di ricorso.
[11] Sintomatica in tesi dell'eccesso di potere dell'amministrazione (sub specie del difetto istruttorio e di travisamento) poiché la stazione appaltante, nonostante tale evidenza, ha comunque ritenuto migliore l'offerta della controinteressata.
[12] La quale avrebbe operato degli erronei riferimenti alla disciplina delle società di ingegneria e dei consorzi stabili, ancorché la gara avrebbe in tesi dovuto restringere la partecipazione alle sole società tra professionisti.
[13] Tale disposizione, come noto, a tutela del contraddittorio impone che il collegio sottoponga al dibattito delle parti gli elementi che possono portare ad una definizione della contesa sulla base di profili rilevati in via officiosa. Cfr. F. Saitta, La «terza via» ed il giudice amministrativo: la «questione rilevata d’ufficio» (da sottoporre al contraddittorio) tra legislatore e giurisprudenza, in Diritto processuale amministrativo, III, 2014, pag. 850 e ss. nonché G. De Giorgi Cezzi, Poteri d’ufficio del giudice e caratteri della giurisdizione amministrativa, in AA.VV., Principio della domanda e poteri d’ufficio del giudice amministrativo, Annuario AIPDA 2012, Napoli, 2013, pag. 23 e ss. Già da tempo risalente, tuttavia, la dottrina più autorevole ha sottolineato la stretta correlazione che vi è tra la necessità di garantire il libero convincimento del giudicante e la possibilità riconosciuta a quest'ultimo di sollevare questioni d'ufficio (possibilità, quest'ultima, che deve però a sua volta necessariamente essere conciliata con il principio del contraddittorio all'interno dei referenti costituzionali del giusto processo), cfr. R. Villata, Riflessioni introduttive allo studio del principio del libero convincimento del giudice nel processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, I, 1990, pag. 201 e ss.
[14] Di cui all’art. 76, d.lgs. n. 50/2016.
[15] Che di fatto consentiva la proposizione del ricorso giurisdizionale a 45 giorni dalla conoscenza/pubblicazione , dell'aggiudicazione, cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2023, n. 9599.
[16] Al quale corrispondeva, come si è visto, una dilazione del termine iniziale a ricorrere avverso l'aggiudicazione medesima.
[17] Il quale appunto recitava che “su richiesta scritta dall'offerente e del candidato interessato all'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro 15 giorni dalla ricezione della richiesta” i contenuti delle offerte tecniche ed economiche oggetto di accesso agli atti.
[18] Così, peraltro, non dando però rilievo alla circostanza che in effetti il termine ad impugnare era stato compresso dalla mancata conoscenza tempestiva dei documenti necessari. Si tratta di un aspetto di particolare rilievo ove si consideri che ben difficilmente si può avere contezza della illegittimità della valutazione delle offerte senza conoscere i contenuti delle offerte concorrenti. Proprio su questo tema vedasi A.G. Pietrosanti, Piena conoscenza, termine per impugnare ed effettività della tutela nel rito “super accelerato” ex art. 120 co. 2 bis c.p.a., in Federalismi.it, VII, 2017, il quale legge con favore la disposizione contenuta nel d.lgs. n. 50/2016, siccome maggiormente attenta alla necessità di riconoscere in capo al concorrente l’onere di impugnare solo a partire dal momento in cui vi sia una piena conoscenza delle vicende di gara. Ancor più M.A. Sandulli, Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in giustizia-amministrativa.it, 29 luglio 2016, laddove l’Autrice rileva la circostanza che le disposizioni che impongono al concorrente ricorsi con una limitata conoscenza del sedime fattuale di gara non colpiscono nello stesso modo piccoli imprenditori e grandi gruppi, poiché secondi hanno sicuramente una maggiore capacità non solo di comprensione della vicenda amministrativa ma anche di tutelarsi a fronte di eventuali scelte errate della pubblica amministrazione.
[19] La giurisprudenza ha specificato che “In sede d’impugnazione degli atti di gara, è necessario dare adeguata dimostrazione della c.d. prova di resistenza per comprovare la sussistenza dell’interesse al ricorso, il quale costituisce una condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c. , rilevabile anche d’ufficio, nel senso che l’annullamento degli atti gravati deve risultare idoneo ad arrecare al ricorrente un’effettiva utilità, con la conseguenza che il gravame dell’aggiudicazione di un appalto pubblico che non sia finalizzato ad ottenere la rinnovazione della gara o l’esclusione dell’impresa aggiudicataria (che implicherebbe un immediato vantaggio per il ricorrente), ma che risulti fondato sulla sola contestazione della correttezza dei punteggi assegnati alle concorrenti (come anche dell’esclusione della ricorrente) deve essere sorretto, per essere ritenuto ammissibile, dalla dimostrazione a priori che, se le operazioni si fossero svolte correttamente, la ricorrente sarebbe risultata con certezza aggiudicataria” cfr. T.A.R. , Palermo , sez. III , 05/07/2022 , n. 2182)” (Consiglio di Stato, sez. III, 10 febbraio 2023, n. 1450). Vedasi, di contro, Consiglio di Stato, sez. V, 13 novembre 2020, n. 7000, ove si sottolinea che l’attività di comparazione in senso stretto delle offerte resta comunque riservata alla pubblica amministrazione e quindi non può essere ripercorsa al giudice nemmeno in sede di valutazione dell'eventuale superamento nella cosiddetta prova di resistenza. In altri termini, la sentenza sottolinea la necessità di un'evidenza sostanzialmente matematico-induttiva della prova necessaria ai fini di garantire l'ammissibilità dei motivi di ricorso, poiché il T.A.R. non può entrare nel merito tecnico delle offerte nemmeno per valutare l’ammissibilità del ricorso.
[20] O, per meglio dire, la capacità concreta di costituire il gruppo di lavoro.
[21] Consiglio di Stato, sez. V, 30 settembre 2020, n. 5734 e 5740, nonché 20 febbraio 2020, n. 1071.
[22] Invero, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. I, 8 luglio 2021, n. 428, C-428/19, ha sottolineato come la sussistenza dei requisiti di esecuzione serva a consentire la dimostrazione in favore della stazione appaltante della concreta capacità di eseguire affidamenti pubblici che risultino connotati da una peculiare complessità o da condizioni particolari dal punto tecnico e ambientale. Tale necessità, tuttavia, deve essere controbilanciata dalla obbiettivo di favorire la massima partecipazione ai pubblici incanti, che risulterebbe compromesso ove si richiedesse il possesso di tali requisiti di capacità in un momento eccessivamente anticipato rispetto all'esecuzione. Per tale ragione il bilanciamento di queste due opposte istanze viene operato attraverso la previsione di requisiti di esecuzione che, per l'appunto, sono funzionali dimostrare la concreta capacità futura nel concorrente di eseguire l'appalto sul piano pratico senza onerarlo immediatamente di dotarsi di mezzi e strumenti dei quali deve avere la semplice disponibilità potenziale.
[23] Deve peraltro ritenersi che, in relazione a questo profilo, il T.A.R., quantomeno implicitamente, abbia ritenuto che il motivo di gravame superasse la prova di resistenza poiché la mancata comprova di un requisito di partecipazione avrebbe consentito automaticamente l'espulsione dalla procedura del controinteressato. Nondimeno, alla luce della posizione in graduatoria della ricorrente, terza, la contestazione dell'assenza dei requisiti in capo aggiudicataria non avrebbe comunque consentito l'esito finale positivo del ricorso poiché anche in caso di eliminazione della prima graduata non si sarebbe comunque raggiunto il risultato finale di garantire l'aggiudicazione dell'appalto.
[24] Posto che comunque la promessa generale operata articolo 53 del d.lgs. n. 50/2016 risultava proprio essere il richiamo regolatorio alle norme di cui alla l.n. 241/1990. In termini propri, tuttavia, l’accesso agli atti di gara appartenva allora al genere dell’accesso procedimentale tradizionale, salve alcune disposizioni speciali riguardanti principalmente i casi di esclusione e differimento, cfr. S. Vitali, Trasparenza amministrativa ed accesso agli atti riservati nelle procedure ad evidenza pubblica, in Urbanistica e appalti, I, 2022, pag. 42 e ss. e A. Magliari, Diritto di accesso agli atti di gara e tutela della riservatezza: nota a Corte giust. Ue, Grande Sezione, 7 settembre 2021, causa C-927/19, in Giornale di diritto amministrativo, I, 2022,pag. 79 e ss., A. Moliterni, Pluralità di accessi, finalità della trasparenze e disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, IV, 2020, pag. 505 e ss., V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi, in Federalismi.it, XI, 2018. Vedasi però, ancora, Consiglio di Stato, sez. V, 29 aprile 2022, n. 3392, ove i giudici di Palazzo Spada coloriscono di connotati più “partecipativi” che “difensivi” l’accesso agli atti nelle procedure di gara, al fine di consentire anche a chi non è risultato secondo graduato la possibilità di conoscere come si è svolta la procedura. Si ricorda, inoltre, che, proprio in tale ottica, la giurisprudenza ha esteso anche alla materia dei contratti pubblici la possibilità di accesso civico generalizzato: cfr. F. Manganaro, La funzione nomofilattica dell’Adunanza plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, XX, 2021.
[25] Da un lato, infatti, vi è la posizione di quelle sentenza che ritenevano (per altro in continuità con la previgente disciplina che prevedeva un termine di dieci giorni per il rilancio degli atti,) che il termine a ricorrere decorresse spirato il termine per la messa a disposizione dei documenti, in maniera tale da evitare che il concorrente si ritrovasse nella posizione di dover per forza esperire un ricorso al buio. Per tale ragione si riconosceva l’aggiunta al termine ad impugnare di 30 giorni gli ulteriori 15 giorni necessari per l’espletamento dell’accesso agli atti, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 agosto 2019, n. 5717, 10 giugno 2019, n. 3879 e 27 novembre 2018, n. 6725. Sul versante opposto, invece, l'innovazione operata dal codice del 2016 aveva reso inattuali riferimenti normativi contenuti all’art. 120 c.p.a. e, quindi, superato la distinzione tra vizi conoscibili sulla mera base della comunicazione del provvedimento di aggiudicazione e vizi che invece potevano essere conosciuti solo in merito all'espletamento dell'accesso agli atti virgola di fatto unificando il termine di impugnare in 30 giorni per entrambi i casi, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28 ottobre 2019, n. 7384 e 20 gennaio 2015, n. 143, nonché sez. IV, 23 febbraio 2015, n. 856.
[26] Con ciò peraltro confermando che il termine di impugnare decorresse al momento di effettiva conoscenza nell'atto della sua portata lesiva viene un'altra si elevando la necessità di garantire il partecipante alla gara negli effetti pregiudizievoli di eventuali condotte dilatorie della pubblica amministrazione. Cfr. per tutti M.A. Sandulli, L’Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela, in questa Rivista, 15 luglio 2020, nonché M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “preconteziosa” nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in Federalismi.it, X, 2016, pag. 39 e ss.
[27] Dalla quale decorreva dunque il termine decadenziale di 30 giorni ad impugnare.
[28] In questi termini ricostruisce con chiarezza la disciplina Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2023, n. 9599, ove afferma che “in via di principio, il termine decorre dalla pubblicazione generalizzata, inclusi i verbali, sul profilo internet della stazione appaltante, ai sensi dell'art. 29, comma 1, del codice per quei vizi percepibili direttamente ed immediatamente dai provvedimenti pubblicati, oppure dall'acquisizione delle informazioni che le stazioni appaltanti devono comunicare, d'ufficio o a richiesta, ai sensi dell'art. 76 del codice, se consente la conoscenza di ulteriori elementi di vizi già individuati o di accertare nuovi vizi per la presentazione di motivi aggiunti o del ricorso principale, nonché dalla comunicazione o dalla pubblicità nelle forme indicate negli atti di gara ed accettate dai partecipanti, purché gli atti siano comunicati o pubblicati con i relativi allegati. 13.7. Nell’ipotesi di presentazione di una istanza di accesso, e solo se i motivi del ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario, il termine decadenziale di impugnazione è posticipato con la “dilazione temporale”. Ciò per la necessità di dare rilievo alla diligenza dell'operatore economico, per aver tempestivamente formalizzato l'istanza ostensiva, e alla correttezza della stazione appaltante nell'altrettanto tempestivo riscontro della stessa. 13.8. Se l'istanza di accesso è presentata entro 15 giorni dalla comunicazione o pubblicazione dell'aggiudicazione, come è tempestivo il riscontro ostensivo, al termine per impugnare di 30 giorni si applica una corrispondente “dilazione temporale” di 15 giorni. Perciò il ricorso deve essere proposto entro il termine massimo di 45 giorni dalla comunicazione o pubblicazione. Nell'ipotesi contraria, laddove l'istanza di accesso è tardiva, dopo 15 giorni dalla comunicazione o pubblicazione dell'aggiudicazione, non opera la “dilazione temporale”, per evitare che il termine di impugnazione non rimanga aperto o sia modulato ad libitum”.
[29] Questo per vero, come si accennava, è stato il risultato di un lavoro interpretativo particolarmente significativo di dottrina e giurisprudenza. Vedasi indi le prime interpretazioni alla disciplina offerte da A.G. Pietrosanti, Piena conoscenza, termine per impugnare ed effettività della tutela nel rito “super accelerato” ex art. 120 co. 2 bis c.p.a., in Federalismi.it, VII, 2017 nonché S. Tranquilli, Prime riflessioni a margine di alcune recenti oscillazioni giurisprudenziali sull’individuazione del dies a quo per impugnare le ammissioni e le esclusioni dalle gare alla luce della disciplina del rito “super-speciale”, in Federalismi.it, V, 2018.
[30] In questi termini si realizza l'acquisizione diretta alla quale fa riferimento all'articolo 35, d.lgs. n. 36/2023.
[31] Sul punto cfr. A. Corrado, Il regime della trasparenza e dell’accesso digitale ai documenti nei contratti pubblici: vantaggi e criticità alla vigilia dell’applicazione delle nuove norme del Codice, in Federalismi.it – Osservatorio trasparenza, XXXI, 2023, pag. 80 e ss.
[32] Nel senso di non mediato o comunque influenzato dall’attività della stazione appaltante.
[33] Infatti, l’art. 120, comma 5, d.lgs. n. 104/2010, continuava a riferirsi all’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 anche dopo la relativa abrogazione ad opera dell’art. 217 del d.lgs. n. 50/2016. Tale norma, al comma 5-quater, assegnava al concorrente dieci giorni a decorrere dalla ricezione delle comunicazioni di legge da parte della stazione appaltante al fine di proporre l’istanza di accesso. Cfr. M.A. Sandulli, Il rito speciale sui contratti pubblici nel primo decennio del c.p.a.: tra progresso e involuzione, in Diritto processuale amministrativo, I, 2021, pag. 183 e ss. Ulteriormente, anche la Corte costituzionale aveva concluso che la dilazione temporale dovesse essere “correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici)” (Corte costituzionale, 28 ottobre 2021, n. 204).
[34] Tant’è che ora l’art. 120, già più volte citato, fa espresso riferimento all’esatto articolo del Codice dei contratti pubblici riguardante la comunicazione immediata degli atti di gara.
[35] Equilibrio, peraltro, in sé precario, posto che vi erano voci nella stessa giurisprudenza che suggerivano la sostanziale iniquità di una previsione che imponeva l’immediata presentazione di una istanza di accesso agli atti senza consentire un minimo spazio di delibazione in ordine alla procedura al fine di vedersi garantito il differimento del termine ad impugnare di 15 giorni. In termini Consiglio di Stato, sez. III, 15 marzo 2022, n. 1792.
[36] Andando, infatti, a leggere la relazione illustrativa del Consiglio di Stato al progetto del codice del 7 dicembre 2022, in relazione all’art. 35 si afferma che esso “introduce le modifiche alla disciplina sull’accesso e riservatezza in tema di contratti pubblici resesi necessarie al fine di allineare lo svolgimento della procedura di accesso all’utilizzo delle piattaforme di eprocurement; si precisa, infatti, che le stazioni appaltanti assicurano l’accesso alle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici in modalità digitale, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi dell’articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5 bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”, non facendo cenno ai risvolti che le modifiche stesse potevano venire ad assumere rispetto all’onere ad impugnare. Nel prosieguo dell’analisi della disposizione, peraltro, si fa diretto richiamo all’adunanza plenaria del 2020. Con riferimento all’art. 36 si legge invece che “Il comma 1 in via innovativa dispone la diretta “messa a disposizione” in piattaforma dell’offerta dell’aggiudicataria, per cui l’offerta dell’operatore economico aggiudicatario, insieme a tutti i verbali di gara e agli atti, dati e informazioni presupposti all’aggiudicazione, sono resi disponibili, attraverso la piattaforma digitale di e-procurement utilizzata dalla stazione appaltante, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi al momento della comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90. La scelta di mettere a disposizione di tutti i partecipanti alla gara non definitivamente esclusi, l’offerta dell’aggiudicataria nasce da una duplice considerazione: in primo luogo l’articolo 55, co. 2, lett. c) della direttiva 2014/24/UE prevede che l’amministrazione aggiudicatrice comunica quanto prima e, comunque, entro 15 giorni dalla richiesta «ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammissibile le caratteristiche e i vantaggi relativi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo quadro». Quindi a richiesta tutti gli offerenti possono conoscere l’offerta selezionata”.
[37] Si ricorda, infatti, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 132 del 17 luglio 2024, ha stabilito che, in costanza di condizioni eccezionali, è consentito al legislatore modificare il perimetro del riparto dell’area di rischio dell’errore grave tra pubblici funzionari e amministrazione-apparato (si trattava in effetti dell’incidente di costituzionalità in ordine alla limitazione della responsabilità erariale alla sola inerzia o dolo operata con d.l. n. 76/2020, art. 21). Questo proprio nell’ottica di consentire il raggiungimento del risultato nell’ambito di procedure, come quelle finanziate da fondi PNRR, in cui è capitale l’importanza del fattore-tempo.
[38] Un tanto si può peraltro rilevare anche dalla lettura del commento all’art. 36 della relazione illustrativa al Codice ad opera del Consiglio di Stato, di cui si è riferito alla nota 36.
[39] Così, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. IV, 14 febbraio 2019, causa C-54/18, in particolare con riferimento al relativo punto 29.
[40] In questi termini già Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 7 novembre 1996, causa C-221/94, nonché 10 maggio 1991, in C-361/88.
[41] Ancora, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. IV, 14 febbraio 2019, causa C-54/18, cit., con particolare riferimento al punto 21.
[42] Nello specifico, l’Adunanza Plenaria n. 12/2020 ha affermato che “I principi che precedono (che portano al riconoscimento del differimento del termine ad impugnare ndr.) risultano conformi alle ‘esigenze di celerità dei procedimenti di aggiudicazione di affidamenti di appalti pubblici’, sottolineate dall’ordinanza di rimessione. Tali esigenze: - sono state specificamente valutate dal legislatore in sede di redazione dapprima dell’art. 245 del ‘primo codice’ (come modificato dal d.lg. n. 53 del 2010) e poi dell’art. 120, commi 1 e 5, del c.p.a. (con le connesse regole sopra richiamate della esclusione della proponibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e della fissazione del termine di trenta giorni, ancorata per quanto possibile ad una ‘data oggettivamente riscontrabile’); - sono concretamente soddisfatte – anche nell’ottica della applicazione dell’art. 32, comma 9, del ‘secondo codice’ sullo stand still- in un sistema nel quale le Amministrazioni aggiudicatrici rispettino i loro doveri sulla trasparenza e sulla pubblicità, previsti dagli articoli 29 e 76 del ‘secondo codice’, fermi restando gli obblighi di diligenza ricadenti sulle imprese, di consultare il ‘profilo del committente’ ai sensi dell’art. 29, comma 1, ultima parte, dello stesso codice e di attivarsi per l’accesso informale, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006, da considerare quale ‘normativa di chiusura’ anche quando si tratti di documenti per i quali l’art. 29 citato non prevede la pubblicazione (offerte dei concorrenti, giustificazioni delle offerte)”.
[43] Sulla base del quale, si ricorda: “L’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici. Il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”.
[44] Con il che, se non sul piano della tempestività del ricorso, un eventuale inadempimento di questo obbligo da parte del pubblico funzionario potrebbe comunque trovare sanzione in applicazione delle disposizioni disciplinari, delle previsioni contrattuali in tema di retribuzione da posizione e financo delle norme erariali, trattandosi di inerzia nell’adempimento del proprio dovere d’ufficio (quindi comunque di fattispecie potenzialmente esclusa dall’ambito applicativo dell’esenzione di cui all’art. 21, d.l. n. 76/2020, cfr. C. Pagliarin, L'elemento soggettivo dell'illecito erariale nel 'decreto semplificazioni': ovvero la 'diga mobile' della responsabilità, in Federalismi.it, X, 2021, pag. 182 e ss., nonché, per una classificazione generale degli illeciti erariali S. Cimini, Tipizzazione dell’illecito erariale e limiti all’attribuzione del potere sanzionatorio al giudice contabile, in Federalismi.it, XXIII, 2014, oltre a A. Crismani, Illeciti contabili tipici ed ipotesi sintomatiche di danno erariale, in AA.VV., Responsabilità e giurisdizione contabile (ad un decennio dalla riforma), Atti del LI convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Milano, 2005, pag. 705 e ss.).
[45] Tale costituendo, in un rapporto di fiducia bilaterale come quello cui si riferisce il Codice dei contratti pubblici, il contrappunto dell’onere posto in capo alla stazione appaltante.
[46] Questo ovviamente salve le valutazioni del caso concreto, in relazione alle quali al giudice è comunque consentito apprezzare il grado di sufficienza degli elementi conoscitivi in mano al privato rispetto alla possibilità attraverso questi ultimi di cogliere nella sua compiutezza minima l’illegittimità che affligge la procedura di gara.
[47] La casistica in tema di accesso agli atti rispetto a documenti contenenti segreti commerciali è molto vasta. Volendo sintetizzare, i segreti commerciali possono in buona sostanza essere fatti rientrare nell’“insieme delle competenze ed esperienze, originali e tendenzialmente riservate, maturate ed acquisite nell’esercizio professionale dell’attività industriale e commerciale e che concorre a definire e qualificare la specifica competitività dell’impresa nel mercato aperto alla concorrenza” (Consiglio di Stato, sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64). Si tratta, insomma, “di beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa e cui l’ordinamento, ai fini della corretta esplicazione della concorrenza, offre tutela di loro in quanto segreti commerciali: cfr. artt. 98 e 99 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale)” (T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. I-quater, 26 febbraio 2024, n. 3811).
[48] Si deve ulteriormente ricordare che la limitazione del diritto di accesso dovrebbe, in linea generale, essere supportata dall’allegazione ad opera del concorrente che richiede l’oscuramento di una “motivata e comprovata dichiarazione, mediante la quale si dimostri l’effettiva sussistenza di un segreto industriale o commerciale meritevole di salvaguardia” (Consiglio di Stato, sez. III, 11 ottobre 2017, n. 4724). Resta allora in capo alla stazione appaltante la valutazione circa le argomentazioni offerte al fine di stabilire se applicare agli atti un regime di segretezza (in questi termini richiama all’esercizio della motivata discrezionalità amministrativa Consiglio di Stato, sez. V, 31 marzo 2021, n. 2714). È peraltro invero discutibile che nel caso di specie l'amministrazione operi realmente un bilanciamento tra l'interesse e la conoscenza e l'interesse ha la segretezza – bilanciamento che si esprimerebbe attraverso l'esercizio di una discrezionalità amministrativa di tipo puro. Infatti, la norma prevede invece che ove nell’offerta tecnica siano inseriti segreti commerciali, comunque ed in ogni caso, questa debba essere esclusa dall’accesso: ciò pare far virare la valutazione della stazione appaltante decisamente verso l'esercizio di una discrezionalità di tipo tecnico consistente nel valutare se nel caso concreto quella determinata tipologia di informazioni vengano a costituire un segreto commerciale tale da avvantaggiare in un mercato competitivo la posizione dell'impresa rispetto ai propri concorrenti.
[49] Sul punto si consentito nuovamente il rinvio al pensiero di M.A. Sandulli, Il rito speciale, op. cit.
[50] La sentenza in commento poteva quindi operare attraverso la tecnica dell’assorbimento dei motivi, avendo trovato una ragione sufficiente per disporre rigetto dei ricorsi in rito e quindi potendo evitare l'esame nel merito delle varie doglianze (Consiglio di Stato, sez. IV, 8 giugno 2007 n. 3020). Occorre sottolineare che l'individuazione di un motivo che determina assorbimento delle ulteriori ragioni in diritto non ha semplicemente la funzione di chiudere il processo, ma, più in generale, di porre fine alla lite: nel caso di specie attraverso la sopravvenuta irrevocabilità del provvedimento per effetto della omessa impugnazione tempestiva con estinzione del diritto all'azione. Vedasi anche sul punto, nella prospettiva di analisi delle sentenze in forma semplificata M.A. Sandulli, Le nuove misure di «snellimento» del processo amministrativo nella l. n. 205 del 2000, in Giustizia civile, I, 2000, pag. 441 e ss.
[51] Sul punto, R. De Nictolis, La tecnica di redazione delle sentenze del giudice amministrativo, in giustzia-amministrativa.it.
[52] In questi termini, ancora R. De Nictolis, op. cit., pag. 12, cit. Peraltro l'Autrice sottolinea la necessità di trovare il giusto equilibrio tra questo tipo di corretta retorica, che comunque ha una valenza esterna ed interna, dall’improprio uso prolisso degli obiter dicta, che finiscono con l’appesantire inutilmente la trattazione e rendere più complessa la lettura del provvedimento giurisdizionale, a discapito di quel principio di effettività della tutela stesso che passa anche per decisioni che possono essere lette e comprese dal cittadino comune (sul punto si rinvia a G.P. Cirillo, I principi generali del processo amministrativo, in G.P. Cirillo (a cura di), Diritto processuale amministrativo, Milano, 2017, pag. 15 e ss.).
[53] Così Consiglio di Stato, sez. III, 8 settembre 2015, n. 4209.
[54] Così Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2016, n. 1495. È evidente come nel caso concreto non sia affatto agevole comprendere quale sia il contenuto di quella sufficienza probabilistica che consenta al giudice di verificare che l'accoglimento dell'istanza porterebbe al subentro della ricorrente nella stipula del contratto. Nondimeno bisogna sottolineare che si tratta di una valutazione di tipo giuridico e non un fattuale (peraltro pure ricordando che il subentro nel contratto è disposto dal medesimo giudice che deve valutare la sussistenza di questo requisito). Il che pertanto consente di dire che in realtà la valutazione sia meno difficile di quanto sembri, proprio perché è operata meramente in astratto.
[55] Principalmente il riferimento in questo caso corre all’esempio dei concorsi pubblici, cfr. T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. III-bis, 23 maggio 2022, n. 6614, secondo cui “il candidato, che impugna i risultati di una procedura concorsuale, ha l'onere di dimostrare il suo interesse, attuale e concreto, a contestare la graduatoria, non potendo egli far valere, quale defensor legitimitatis, un astratto interesse dell'ordinamento ad una corretta formulazione della graduatoria, se tale corretta formulazione non comporti per lui alcun apprezzabile risultato concreto (ex multis, C.G.A., 4 marzo 2019, n. 201; Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2019 n. 5837; sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4963 e 20 maggio 2009, n. 3099; sez. III, 5 febbraio 2014 n. 571)”.
[56] In questo caso evidentemente con l'ulteriore precisazione per cui per sussistere un interesse finale all'espulsione del concorrente quest'ultimo deve essere graduato direttamente al di sopra del ricorrente in posizione utile a conseguire l'appalto. Non è infatti ammissibile nemmeno in questo caso sostenere l'esistenza di un interesse alla mera legittimità della procedura nel caso il soggetto graduato al di sopra del ricorrente non sia in posizione utile per conseguire il bene della vita finale che l'esecuzione della commessa.
[57] Nella sua doppia dimensione sostanziale (d.lgs. n. 36/2023) e processuale (d.lgs. n. 104/2010, come peraltro novellato dal primo).
[58] Dunque, fissando termini perentori di decadenza dall'azione in maniera tale da garantire l’inoppugnabilità finale della gara.
[59] Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 1995 n. 330, in Foro amministrativo, 1995, pag. 2570 e ss., che, in particolare riconnette significativamente la decorrenza del termine ad impugnare con l'obbligo generalizzato di motivazione dei provvedimenti amministrativi affermando che “l’imposizione all’amministrazione dell’obbligo di comunicare integralmente la motivazione del provvedimento non è fine a se stessa, ma correlata al principio, enucleato in dottrina, secondo cui la piena conoscenza del provvedimento ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione presuppone la conoscenza dei vizi che lo rendano non soltanto incidente nella propria sfera giuridica, ma anche lesivo della stessa”. Si tratta di un tema da lungo conosciuto (cfr. E. Cannada Bartoli, Decorrenza dei termini e possibilità di conoscenza dei vizi (nota a Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 1961, n. 3) in Foro amministrativo, 1961, pag. 1085 e ss.), ma che in effetti riconduce la tematica della tutela giurisdizionale rispetto all'esercizio del potere al suo cuore, sia il fatto che l'esercizio dell'autorità non contestualmente accompagnato dalle spiegazioni necessarie far comprendere al cittadino le ragioni della misura non consente una tutela reale -recte effettiva- avanti ad alcun giudice.
Il diritto penale italiano verso una pericolosa svolta securitaria.
Il Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana del Professori di diritto penale con il documento che pubblichiamo ha espresso forti preoccupazioni in relazione al disegno di legge n. 1236 (Senato) “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”.
L'Organismo Congressuale Forense (OCF) con il comunicato stampa che pubblichiamo, formula critiche di analogo tenore. Carlo Morace, responsabile del Gruppo Penale dell’OCF, afferma: «Con questo ddl Sicurezza, il Governo sta promuovendo un diritto penale autoritario, che colpisce le fasce più deboli della società: senzatetto, immigrati, detenuti e persino chi manifesta dissenso. Queste modifiche non affrontano i veri problemi, come il sovraffollamento carcerario o i suicidi tra i detenuti, ma rafforzano un sistema repressivo fondato sul carcere come strumento di controllo sociale.»
L’allarme dei professori di diritto penale è destato dall’ampliamento delle fattispecie penali e dall’aggravamento delle pene secondo un procedere panpenalistico che confligge con i principi di proporzionalità della repressione e necessaria sussidiarietà della tutela penale. Si tratta peraltro di un processo di penalizzazione in palese contrasto con la depenalizzazione dell’abuso d’ufficio. Contesto di “penalizzazione” nel rientra l’introduzione del reato universale di maternità surrogata.
L’obiettivo dell’intervento normativo in itinere – come si legge nel documento – è simbolico-comunicativo: nessuno dei nuovi crimini è idoneo ad assicurare una maggiore tutela della sicurezza individuale e collettiva.
All’allarme dei professori aggiungiamo che il fenomeno della “penalizzazione” è in contrasto con il principio della certezza della pena, e ciò in quanto all’aumento dei reati non corrisponde un adeguato aumento delle risorse necessarie a celebrare i processi.
Il disegno di legge prosegue il percorso iniziato con l’introduzione dell’art. 633 bis c.p. reato di rave-party(introdotto con il dl n. 162/22) con l’effetto dell’espansione del c.d. diritto penale d’autore. Gli autori da punire sono i dissenzienti e gli emarginati. L’aumento delle pene edittali poi, questo è bene chiarirlo, non è affatto idoneo a determinare una maggiore deterrenza dei precetti in ottica generalpreventiva.
L’attenzione del legislatore panpenalista è puntata verso settori di emarginazione: gli emarginati minacciati di punizione o punizione più grave; tutta qui la promessa di un Italia più sicura. Non è nelle corde del governo tentare di rimuovere, attraverso strumenti adeguati, le situazioni di grave diseguaglianza sociale che generano le condotte criminalizzate e più duramente quali l’occupazione di immobili e il ricorso all’elemosina.
In contesti economici di estremo disagio sociale la risposta è dunque quella dello strumento penale in funzione repressiva; è in quest’ottica che si inaspriscono le pene per l’accattonaggio, senza alcuna riflessione in ordine alla circostanza che la mendicità sia fonte di sostentamento, in mancanza di interventi di sostegno dello Stato.
È allarmante, secondo quanto messo in luce dagli accademici, la criminalizzazione delle manifestazioni di dissenso: il blocco stradale da illecito amministrativo, nella prospettiva del disegno di legge, diviene illecito penale.
Sono proposte aggravanti ai delitti di violenza e resistenza a pubblico ufficiale in ragione della finalità della contestazione in relazione alle quali sono realizzate, ovvero quando i fatti sono connessi al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o un’infrastruttura strategica. Il deturpamento e l’imbrattamento di cose mobili altrui è aggravato in ragione della finalità di contestazione e di dissenso.
Eppure come è scritto nel documento «in un contesto democratico, il dissenso può talvolta esprimersi attraverso condotte violente che integrano fattispecie di reato e in quanto tali vanno represse: contrasta, invece, con i principii del diritti penale del fatto e di offensività la repressione più severa di reati solo perché alla base hanno una motivazione di contestazione politica».
Un giudizio fortemente critico è espresso infine per le nuove fattispecie di rivolta, rispettivamente negli istituti penitenziari e nei centri di permanenza e di rimpatrio per immigranti irregolari, che puniscono chi all’interno di tali contesti «partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza all'esecuzione degli ordini impartiti commessi da più o tre persone riunite».
Particolarmente allarmante è l’attribuzione di rilevanza penale alla resistenza passiva che determina l’incriminazione di ogni atto di ribellione non connotato da violenza o minaccia – quali ad esempio il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria – ma che impedisce il compimento di atti d’ufficio di gestione dell’ordine e della sicurezza.
«Il giudizio negativo si aggrava quanto più si considera la situazione emergenziale di sovraffollamento nei centri per migranti e nelle carceri che la legge 8 agosto 2024, numero 112 di conversione del decreto legge numero 92. 2024 su “Misure urgenti in materia penitenziaria” non ha fatto contribuito ad allentare».
Si riportano in calce il documento dei Professori di diritto penale e il comunicato stampa dell'Organismo congressuale forense.
Immagine: Vincent van Gogh, Road in Etten, gesso, matita e acquerello, 1881, Robert Lehman Collection, 1975, Metropolitan Museum of Art, New York.
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