L’Unione Europea e lo Stato di diritto. Fondamento, problemi, crisi *
di Vladimiro Zagrebelsky
1. L’Unione Europea si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. Questo indica l’art. 2 del Trattato sull’Unione europea, nel testo derivante dal Trattato di Lisbona (2007), frutto della evoluzione del processo di unificazione europea e della crescente attenzione ai principi democratici e ai diritti fondamentali[1]. È naturale che gli stessi principi vincolino, non solo gli Stati membri, ma anche le istituzioni dell’Unione; espressamente l’art. 6 TUE stabilisce che l’Unione riconosce diritti, libertà e principi della Carta dei diritti fondamentali, il cui Preambolo richiama anche lo Stato di diritto.
Dall’art. 4 poi si ricava che l’Unione e gli Stati membri in virtù del principio di leale cooperazione si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati e che gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione. Si tratta di un principio di cruciale importanza, come ha rilevato la Corte di giustizia[2]: “Il diritto dell’Unione poggia, …, sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto al riconoscimento di tali valori e, dunque, al rispetto del diritto dell’Unione che li attua. È proprio in tale contesto che spetta agli Stati membri, segnatamente, in virtù del principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE, garantire, nei loro rispettivi territori, l’applicazione e il rispetto del diritto dell’Unione e adottare, a tal fine, ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione…”.
La reciproca fiducia tra gli Stati membri è alla base del buon funzionamento delle istituzioni dell’Unione. Manifestazioni particolarmente significative ne sono la cooperazione giudiziaria, il riconoscimento dei provvedimenti giudiziari, il mandato di arresto europeo MAE.
Tali principi non indicano soltanto i tratti fondamentali della convivenza degli Stati membri in seno all’Unione, ma anche le condizioni di ammissione all’Unione degli Stati candidati (art. 49 TUE). Si può ritenere che siano non solo condizione di ammissione, ma anche condizione di permanenza. Di ciò è espressione l’art. 7 TUE, che prevede la possibilità (e la procedura) di raccomandazioni o di sospensione di diritti quando sia constatato l’evidente rischio di violazione grave dei valori dell’art. 2 o di violazione grave e persistente di essi da parte di uno Stato membro. Nel primo caso il Consiglio europeo delibera con la maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, nel secondo caso delibera alla unanimità.
2. Non estranea alla crescente esplicitazione dell’importanza dei principi democratici e dei diritti fondamentali nel quadro costituzionale[3] dell’Unione è stata la serie di allargamenti, che hanno portato da 6 a 28 (ora 27 con l’uscita del Regno Unito) gli Stati membri, aumentandone così la eterogeneità e richiedendo quindi opportune cautele per prevenire rischi di disgregazione. L’insistenza sulla preminenza dello Stato di diritto ne è conseguenza. Di essa nel 1993, in vista della possibile adesione degli Stati dell’Europa centrale e orientale che venivano liberandosi dal crollato sistema sovietico, gli Stati membri fecero menzione, come condizione di ammissione, nel testo noto come “criteri di Copenaghen”. Questo orientamento è stato poi rafforzato dagli Stati membri con deliberazioni del 1995. Successivamente, le conclusioni del Consiglio europeo del 5 dicembre 2011 hanno tra l’altro insistito, nell’ipotesi di successive adesioni, sulla necessità di riforme nel campo del “potere giudiziario e diritti fondamentali” e della “giustizia, libertà, sicurezza”. È del 2020 l’adozione di una nuova metodologia nelle trattative con nuovi Stati candidati, che ancora rafforza l’importanza dello Stato di diritto, giustizia, libertà, diritti fondamentali e istituzioni democratiche.
Si può allora affermare che l’Unione europea ha progressivamente sviluppato una importante politica di promozione dello Stato di diritto, con enunciazioni generali, messa in opera di meccanismi di sviluppo e controllo, di analisi dei problemi connessi[4] ed anche di collaborazione con altre istituzioni specializzate nel campo, come il Consiglio d’Europa[5] e la sua Commissione di Venezia[6].
3. La forma di stato che va sotto il nome di Stato di diritto ha alle spalle eventi storici diversi: dalla Rivoluzione inglese (1688-89) alla Rivoluzione americana (1776), dalla Rivoluzione francese (1789) alle Rivoluzioni europee del 1848 e poi lo sviluppo dello Stato costituzionale di diritto. Il risultato ha contenuti che possono ritenersi acquisiti, anche se i loro contorni possono apparire non definiti. Si tratta infatti di una nozione storica e politica, che può assumere caratteri diversi, più o meno marcati.
Si può riconoscere la qualità di Stato di diritto quando i poteri pubblici siano soggetti alla legge e siano previste ed efficaci la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo (diritti civili, politici, sociali) e delle libertà fondamentali, nonché la indipendenza dei giudici (strumentale rispetto alla garanzia dei diritti). Nel corso del tempo, la libertà di stampa ha acquisito una importanza centrale e riconosciuta, come condizione del controllo sulla correttezza della azione dei poteri pubblici (e privati).
Il nesso tra organizzazione dei poteri dello Stato e garanzia dei diritti è risalente nella evoluzione della nozione di Stato di diritto. Nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’agosto 1789 si leggono formule sintetiche e straordinariamente fertili di conseguenze:
“Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo” (art.2) e “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione” (art.16).
Nel corso del tempo gli sviluppi saranno enormi, a partire da quelli che derivano dalla crisi dell’assoluto potere della legge, e dal riconoscimento della potenza delle Costituzioni e delle Convenzioni e Dichiarazioni internazionali dei diritti. Una potenza derivante dai loro contenuti, prima ancora che dal loro rango formale, con la conseguente superiorità dei diritti umani e delle libertà fondamentali sulle leggi positive nazionali. Frutto questo dell’emergere dell’attenzione a non ridurre la garanzia della legge ad un vuoto fatto formale, suscettibile d’esser riempito di ogni contenuto, fosse pure aberrante.
La garanzia della legge, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani si specifica nelle sue qualità di conoscibilità e prevedibilità, per escludere la sorpresa e l’arbitrio e si accompagna all’esigenza che nei suoi contenuti sia conforme o compatibile con i diritti fondamentali. Donde il limite che ne deriva al potere dell’autorità pubblica, rispetto alle libertà degli individui.
Fondamentale resta comunque la Dichiarazione del 1789 rispetto alla nozione di Stato di diritto, perché mette insieme le due condizioni, funzionali l’una all’altra, e indica lo scopo ultimo delle società.
La qualità di Stato di diritto da riconoscere o negare ad uno Stato specifico in un particolare momento storico riguarda il complesso delle norme e delle prassi che lo caratterizzano. Così persino la separazione dei poteri assume caratteri (e compromissioni e limiti) diversi nei vari Stati, tanto che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani le riconosce crescente importanza, ma afferma che, piuttosto che la corrispondenza del sistema statale ad una specifica dottrina costituzionale, ciò che conta è l’indipendenza del giudice[7]. In vista della tutela dei diritti è infatti quest’ultima ciò che è richiesto (art. 6 Convenzione europea dei diritti umani).
Il giudizio sulla corrispondenza di uno specifico sistema statale ai requisiti dello Stato di diritto ha carattere complessivo piuttosto che derivare dalla considerazione singolare di questa o quella delle sue condizioni.
4. In varie occasioni diverse istituzioni dell’Unione e del Consiglio d’Europa hanno elaborato analitiche definizioni di ciò che deve intendersi per Stato di diritto nel quadro europeo. Ed hanno anche cercato di indicare i segni utili ad un giudizio di violazione dei principi dello Stato di diritto.
Così la Commissione di Venezia, con un rapporto del 2011, ha fornito una definizione di Stato di diritto, con l’ambizione di trovare una nozione compatibile con il principio di “preminenza del diritto” (menzionata nel Preambolo della versione francese della Convenzione europea dei diritti umani) e il “Rule of Law” (nella versione inglese) ed anche con il Rechtsstaat tedesco. Gli elementi indicati sono: la legalità (che suppone procedure legislative trasparenti e democratiche), la certezza del diritto e l’esclusione dell’arbitrio, l’accesso alla giustizia davanti a giudici indipendenti e imparziali, il rispetto dei diritti umani, la non discriminazione e l’eguaglianza davanti alla legge.
Più recentemente, una definizione di Stato di diritto non sostanzialmente diversa è esposta nel Regolamento 2020/2092 del 16 dicembre 2020 del Parlamento e del Consiglio relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell'Unione (art.2), ove si dichiara che “in esso rientrano i principi di legalità, in base alla quale il processo legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico; certezza del diritto; divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; tutela giurisdizionale effettiva, compreso l’accesso alla giustizia, da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda i diritti fondamentali; separazione dei poteri; non-discriminazione e uguaglianza di fronte alla legge. Lo Stato di diritto è da intendersi alla luce degli altri valori e principi dell’Unione sanciti nell’articolo 2 TUE”.
Ai fini dello stesso Regolamento (art. 3) “possono essere indicativi di violazioni dei principi dello Stato di diritto: a) le minacce all'indipendenza della magistratura; b) l'omessa prevenzione, rettifica o sanzione delle decisioni arbitrarie o illegittime assunte da autorità pubbliche, incluse le autorità di contrasto, la mancata assegnazione di risorse finanziarie e umane a scapito del loro corretto funzionamento o il fatto di non garantire l'assenza di conflitti di interesse; c) la limitazione della disponibilità e dell'efficacia dei mezzi di ricorso, per esempio attraverso norme procedurali restrittive e la mancata esecuzione delle sentenze o la limitazione dell'efficacia delle indagini, delle azioni penali o delle sanzioni per violazioni del diritto”. Il successivo art. 4 specifica poi le condizioni per l’adozione delle misure sanzionatorie per la violazione dello Stato di diritto.
E la fondamentale importanza dei principi dello Stato di diritto nel quadro dell’Unione europea, è ribadita nei Considerando del citato Regolamento, ove si riprendono le affermazioni già riportate della sentenza Achmea della Corte di giustizia, aggiungendo che le leggi e le prassi degli Stati membri dovrebbero continuare a rispettare i valori comuni sui quali l'Unione si fonda e che “Sebbene non esista una gerarchia tra i valori dell'Unione, il rispetto dello Stato di diritto è essenziale per la tutela degli altri valori fondamentali su cui si fonda l'Unione, quali la libertà, la democrazia, l'uguaglianza e il rispetto dei diritti umani. Il rispetto dello Stato di diritto è intrinsecamente connesso al rispetto della democrazia e dei diritti fondamentali. L'uno non può esistere senza gli altri, e viceversa”.
Alla luce di tali affermazioni sarebbe difficile credere che una efficace protezione delle regole dello Stato di diritto, nell’ambito dell’Unione e degli Stati membri, sia finalizzata ai soli rapporti finanziari tra l’una e gli altri, di cui il citato Regolamento si occupa.
5. L’accesso al giudice e l’indipendenza dei giudici nella applicazione della legge sono elemento fondamentale dello Stato di diritto. Essi sono strumentali rispetto alla garanzia dei diritti e della libertà fondamentali.
La Corte di giustizia dell’Unione ha elaborato importanti principi che sottolineano l’importanza della indipendenza dei giudici e dell’efficacia dei ricorsi giudiziari nel quadro dello Stato di diritto che deve essere proprio degli Stati membri dell’Unione. E gli Stati membri sono obbligati a stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione (art. 19/1 TUE), anche in adesione ai principi e valori espressi all’art. 2 TUE. “Le garanzie di indipendenza e di imparzialità presuppongono l’esistenza di regole, relative in particolare alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti” [8].
E nei Considerando del citato Regolamento si legge che l’indipendenza dei giudici “presuppone in particolare che, sia a norma delle disposizioni pertinenti quanto nella pratica, l'organo giurisdizionale interessato possa svolgere le sue funzioni giurisdizionali in piena autonomia, senza vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcun altro organo e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, restando pertanto al riparo da interventi o pressioni dall'esterno tali da compromettere l'indipendenza di giudizio dei suoi membri e da influenzare le loro decisioni. Le garanzie di indipendenza e di imparzialità richiedono l'esistenza di disposizioni, specialmente per quanto riguarda la composizione dell'organo nonché la nomina, la durata delle funzioni, le cause di ricusazione e revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all'impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti”.
Da parte sua la Corte europea dei diritti umani ha più volte affermato che la indipendenza del giudice di cui all’art. 6 della Convenzione dipende dal modo di designazione e la durata del mandato, l’esistenza di protezioni contro pressioni esterne ed anche l’apparenza di indipendenza[9].
Si può allora concludere che, con specificazioni e integrazioni, tutte le fonti indicano come cuore dello Stato di diritto, la indipendenza dei giudici, essenziale in funzione della garanzia dei diritti. Cioè quanto proclamava già la francese Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
6. Da tempo i principi dello Stato di diritto e il rispetto dei diritti e libertà fondamentali propri delle democrazie sono contestati e negati in alcuni Stati membri, con atti e dichiarazioni/rivendicazioni politiche (gravi, anche se si sa che ampie sono le aree di opinione pubblica dissenzienti, europeiste, democratiche). Se il primo ministro ungherese ha qualificato il suo sistema come quello di una “democrazia illiberale”, altrove fatti concludenti hanno indicato che la “democrazia” viene intesa solamente come il regime che si fonda sulle elezioni e sul potere della maggioranza. Ciò che, come emerge dalle pur non strettamente definite nozioni di Stato di diritto, ne mostra il contrasto e l’incompatibilità. Della maggioranza e del suo potere, infatti, si apprezza certo il valore, ma anche se ne teme la forza, quando sia intollerante e irrispettosa “dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze” (art. 2 TUE). La gravità della situazione, per la coesione dell’Unione e per la stessa sua ragion d’essere come qualcosa di più e meglio del solo Mercato Comune, deriva inoltre dalla messa in discussione dei principi dello Stato di diritto e, ancor più, della “pretesa” delle istituzioni dell’Unione di sindacarne le manifestazioni nei singoli Stati membri: messa in discussione che non appare soltanto in atti di governo e dichiarazioni formali in alcuni Stati membri, ma in misura più o meno larga è condivisa da parti delle opinioni pubbliche in molti o in tutti gli Stati membri. Base ideologica ne è il c.d. sovranismo, cioè il nazionalismo risorgente, nelle sue varie manifestazioni, anche di nazionalismo giudiziario o legale che vuol trovare fondamento nel rispetto della “identità nazionale” degli Stati membri (art. 4/2 TUE) e che finisce con il contraddire il progetto di “creazione di una unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa” (art. 1 TUE). Segno inequivoco della deriva contraria allo Stato di diritto è il contrasto e l’indebolimento dei contro-poteri, sia esso il potere giudiziario, sia la libertà e pluralismo della stampa.
7. L’Unione mostra difficoltà per ora insuperabili a contrastare la deriva in atto contro le esigenze proprie dello Stato di diritto. Per lungo tempo gli organi dell’Unione ha scelto la via dialogante con le autorità di alcuni Stati, in particolare di Ungheria e Polonia, con raccomandazioni e richieste di chiarimenti. E solo nel dicembre 2017 la Commissione ha lanciato la procedura dell’art. 7/1 TUE nei confronti della Polonia, invitando il Consiglio a constatare il rischio chiaro di violazione grave dello Stato di diritto. E il Parlamento ha deciso lo stesso passo nei confronti della Ungheria nel settembre 2018. Ma nell’un caso come nell’altro non si è avuta alcuna decisione da parte del Consiglio. Si può aggiungere che sorgono problemi riguardanti lo Stato di diritto anche in altri Stati membri (Bulgaria, Malta, Romania, Slovacchia), anche se forse non così importanti come in Ungheria e Polonia. In ogni caso solo in questi ultimi due Paesi la procedura dell’art. 7 Tue ha preso inizio. In più la Commissione ha investito la Corte di giustizia, la quale ha più volte constato mancanze riguardanti il diritto della Unione. Senza peraltro rilevanti conseguenze.
Lo strumento dell’art. 7 TUE si è dimostrato inefficace. Anche a supporre l’esistenza di una volontà politica da parte degli Stati membri, la condizione di unanimità della decisione ne impedisce l’uso. Polonia e Ungheria infatti hanno espresso il loro reciproco appoggio, così escludendo che il meccanismo possa giungere alla conclusione della sua fase due. Ma almeno la fase uno, che non richiede unanimità, avrebbe potuto essere portata a termine. Ma manca la volontà politica da parte degli Stati membri nel Consiglio europeo e si delinea così un contrasto grave tra le istituzioni dell’Unione. Per uscirne, da tempo si sono sviluppate discussioni e proposte dirette a legare l’erogazione dei fondi dell’Unione agli Stati all’osservanza dei principi fondatori dell’Unione e in particolare dello Stato di diritto. Si tratterebbe di un potente mezzo di pressione, indipendentemente dal meccanismo previsto dall’art. 7 TUE.
8. Recentemente in occasione dell’adozione dell’innovativo strumento del Next Generation EU, il già citato Regolamento n. 2020/2092, che porta nel titolo la menzione della introduzione di un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione, ha introdotto la possibilità di restrizioni in ordine alla erogazione dei finanziamenti da parte dell’Unione. Esse sono considerate qualora siano accertate violazioni dei principi dello Stato di diritto in uno Stato membro, che compromettono o rischiano seriamente di compromettere in modo sufficientemente diretto la sana gestione finanziaria del bilancio dell'Unione o la tutela degli interessi finanziari dell'Unione. Tra gli indici della violazione dei principi dello Stato di diritto è indicata la carenza di un effettivo controllo giurisdizionale, da parte di organi giurisdizionali indipendenti, nonché le azioni od omissioni compiute dalle autorità competenti per l’esecuzione del bilancio dell’Unione e per la prevenzione e repressione delle frodi.
Il Regolamento n. 2020/2092 al suo articolo 6, definisce la procedura di accertamento delle violazioni che giustificano le misure. Responsabile di tale procedura è la Commissione in vista della decisione da parte del Consiglio europeo a maggioranza qualificata.
Come è noto la reazione dei governi polacco e ungherese alla approvazione del Regolamento da parte del Parlamento è stata la minaccia di veto alla approvazione da parte del Consiglio europeo del Regolamento stesso e del bilancio pluriennale dell’Unione.
Sotto la guida della presidenza tedesca, il Consiglio europeo il 10-11 dicembre 2020 ha adottato un testo di Conclusioni che ha convinto quei governi a rinunciare alla loro opposizione.
Di che si tratta? Come sono stati rassicurati quei governi che sono oggetto di ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti umani e di procedure alla Corte di giustizia della Unione? Quale la “soluzione” trovata? Essa si traduce in sintesi in un rinvio nel tempo dell’operatività del meccanismo di condizionalità, in una restrizione dell’area di rilevanza dei principi dello Stato di diritto e in un restringimento dei casi in cui la loro violazione può implicare conseguenze.
Rispetto al testo inizialmente approvato dal Parlamento, le Conclusioni del Consiglio europeo sono intervenute aggiungendo e modificando: aggiungono l’intenzione attribuita alla Commissione di adottare linee guida sulle modalità con cui applicherà il regolamento, compresa una metodologia per effettuare la propria valutazione. Tali linee guida saranno elaborate in stretta consultazione con gli Stati membri. Viene previsto un ruolo della Corte di giustizia: qualora venga introdotto un ricorso per l’annullamento del Regolamento, le linee guida saranno messe a punto successivamente alla sentenza della Corte di giustizia, in modo da incorporarvi eventuali elementi pertinenti derivanti dalla sentenza. Viene precisato che le misure a norma del meccanismo dovranno essere proporzionate all'impatto delle violazioni dello Stato di diritto sulla sana gestione finanziaria del bilancio dell'Unione o sugli interessi finanziari dell'Unione; il nesso di causalità tra tali violazioni e le conseguenze negative per gli interessi finanziari dell'Unione dovrà essere sufficientemente diretto e debitamente accertato. E viene espressamente dichiarato che la semplice constatazione di una violazione dello Stato di diritto non è sufficiente ad attivare il meccanismo: il Regolamento non riguarda carenze generalizzate.
È dunque ben chiarito che le uniche violazioni dello Stato di diritto capaci di produrre conseguenze quanto ai finanziamenti dell’Unione agli Stati membri saranno quelle che direttamente incidono sugli interessi finanziari dell’Unione. Fuori di essi, anche se assumessero carattere generalizzato, il nuovo meccanismo non opererebbe. Gli effetti delle conclusioni del Consiglio sui tempi (che potenzialmente si allungano di molto), modi e limiti del nuovo meccanismo, hanno convinto i governi polacco e ungherese a superare le loro preoccupazioni in ordine alla reazione che l’Unione avrebbe potuto avere nei confronti dei tratti di “democrazia illiberale” che ne caratterizzano la recente legislazione.
L’intervento del Consiglio europeo ha trovato negativa reazione da parte del Parlamento, che con una Risoluzione del 25 marzo 2021 ha richiamato e sollecitato la Commissione ad esercitare tutti i suoi poteri per il caso di violazione dei principi dello Stato di diritto e ha preannunciato il proprio intervento avanti la Corte di giustizia nelle cause C-156/21 e C-157/21 relative ai ricorsi contro il Regolamento nel frattempo introdotti da Ungheria e Polonia. Nel meccanismo, fino alla decisione della Corte di giustizia, la Commissione non può approvare le sue linee guida e quindi la procedura di eventuali sanzioni resta bloccata. Il Parlamento chiede alla Corte la procedura accelerata.
Nei loro ricorsi Ungheria e Polonia contestano la competenza degli organi dell’Unione rispetto ai Trattati per la introduzione del meccanismo di condizionalità legato allo Stato di diritto. L’insidiosità di tale motivo di ricorso deriva da quanto ora si dirà.
9. In una procedura nei confronti della Polonia riguardanti modifiche alle norme di ordinamento giudiziario capaci di incidere sulla indipendenza dei giudici[10], a fronte della contestazione della sua competenza da parte del governo polacco convenuto, la Corte di giustizia ha ritenuto la propria competenza, poiché “sebbene l’organizzazione della giustizia negli Stati membri rientri nella competenza di questi ultimi, ciò non toglie che, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri siano tenuti a rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE”. I giudici nazionali applicano il diritto dell’Unione e pertanto “la Corte ha dichiarato che il requisito di indipendenza dei giudici impone, in particolare, che le regole relative al regime disciplinare di coloro che svolgono una funzione giurisdizionale offrano le garanzie necessarie per evitare qualsiasi rischio di utilizzo di un regime siffatto come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie…”.
La decisione della Corte di giustizia è di particolare rilevanza, poiché attraverso l’affermazione della propria competenza in materia di organizzazione della magistratura negli Stati membri, afferma corrispondentemente che tale materia rientra nell’ambito delle competenze dell’Unione. Essa è conforme alla giurisprudenza della Corte, come già ricordata. La si cita ora perché espressa in controversie relative alla Polonia, che ora sulla incompetenza fonda il suo ricorso relativo al Regolamento 2092/2020.
La determinazione dell’area delle competenze trasferite dagli Stati membri all’Unione è stata oggetto recentemente di una rilevante vicenda giurisprudenziale. Il riferimento è alla sentenza della Corte costituzionale tedesca[11] del 5 maggio 2020, che ha affermato che le attività della Banca Centrale Europea oggetto dei ricorsi eccedevano le competenze dell’Unione, non ostante la contraria affermazione della Corte di giustizia[12], richiesta di esprimersi sul punto da ricorsi pregiudiziali proposti dalla stessa Corte nazionale.
La Corte costituzionale tedesca ha ritenuto che il controllo eseguito dalla Corte di giustizia sulla attività della BCE non fosse stato adeguato; che la Corte di giustizia avesse agito ultra vires oltre le competenze attribuite dai Trattati; che la decisione della Corte di giustizia fosse incomprensibile e arbitraria e quindi non vincolante.
Non è qui il luogo per sviluppare il rilievo della estrema gravità di simile argomentare che si traduce nella contestazione del pilastro della costruzione europea rappresentato dal ruolo assegnato alla Corte di giustizia dagli articoli 19/1 TUE e 267 TFUE nell’assicurare uniformità e coerenza della normativa dell’Unione. Ciò che però qui rileva è la suscettibilità della posizione della Corte costituzionale tedesca a divenire esempio, che potrebbe essere seguito da Corti o governi in ordine alla valutazione in sede nazionale di ciò che rientra o ciò che fuoriesce dalle competenze che gli Stati membri hanno trasferito all’Unione, anche in difformità dal giudizio della Corte di giustizia.
Come si è detto sopra, in una causa riguardante la indipendenza dei giudici -elemento costitutivo dello Stato di diritto- la Polonia ha negato che il tema rientrasse tra le competenze dell’Unione e della Corte di giustizia. La Corte ha affermato il contrario.
Commentando la sentenza della Corte costituzionale tedesca i due viceministri della giustizia polacchi ne hanno preso atto con soddisfazione, poiché da essa si trae conferma che ove gli organi dell’Unione oltrepassino i confini delle loro attribuzioni intervengono gli organi costituzionali nazionali[13]. Analogamente si sono pronunciati esponenti governativi ungheresi. E ora la incompetenza dell’Unione rispetto alla introduzione del meccanismo della condizionalità con il Regolamento n. 2020/2092 è eccepita da Ungheria e Polonia: adesso davanti alla Corte e poi, dopo la sentenza della Corte, con il rifiuto di darvi riconoscimento?
I principi dello Stato di diritto, invece che terreno e condizione della convivenza e della reciproca fiducia tra gli Stati membri, stanno diventando materia di scontro e disgregazione.
* Relazione svolta all’incontro di studio della Fondazione Lelio e Lisli Basso Dalla Carta dei diritti fondamentali alla riforma democratica e sociale dell’Unione Europea, 20 aprile 2021.
[1] V. Preambolo del Trattato di Maastricht (1992) e poi Preambolo e artt. 2 e 7 TUE come derivanti dal Trattato di Lisbona (2007).
[2] Corte di Giustizia, Repubblica Slovacca c. Achmea (C-284/, 16 marzo 2018).
[3] Così definiti i Trattati dalla Corte di giustizia in Parti écologiste Les Verts c. Parlamento europeo (294/83, 23 aprile 1986).
[4] Anche con la istituzione di un organismo consultivo come l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Regolamento del Consiglio (CE) 168/2007 del 15 febbraio 2007).
[5] Consiglio europeo 13 luglio 2020, che stabilisce le priorità per il periodo 2020-2022.
[6] Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto.
[7] Stafford c. Regno Unito, 28 maggio 2002, § 78; Kleyn c. Paesi Bassi, 6 maggio 2003, § 193; Sacilor Lormines c. Francia, 9 novembre 2006, § 59.
[8] Si fa rinvio, anche per la giurisprudenza precedente, a Corte di giustizia, Repubblika (C-896/19, 20 aprile 2021) che ha considerato sia l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, sia l’art. 19/1 TUE.
[9] Luka c. Romania, 21 luglio 2009 e recentemente, in particolare per il requisito della previsione per legge, Gudmundur Andri Astradsson c. Islanda, 1° dicembre 2020.
[10] Nell’ordinanza 8 aprile 2020 resa nella causa C‑791/19 R, avente ad oggetto la domanda di provvedimenti provvisori ai sensi dell’articolo 279 TFUE e dell’articolo 160/2, del regolamento di procedura della Corte, §§ 29-36. Successivamente v. anche la sentenza nella causa C‑824/18 (A. B. e altri c. Krajova Rada Sadownictwa) del 2 marzo 2021, che ha tra l’altro affermato che il primato del diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice del rinvio di disapplicare le modifiche di cui trattasi, siano esse di origine legislativa o costituzionale, e di continuare, di conseguenza, ad esercitare la competenza, di cui era titolare, a pronunciarsi sulle controversie di cui era investito prima dell’intervento di tali modifiche. V. anche C-585/18 (A.K. c. Krajova Rada Sadownictwa) del 19 novembre 2019 e, da ultimo, relativamente alla Romania C‑83/19, C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19, C‑355/19 e C‑397/19 (Asociaţia Forumul Judecătorilor din România e altri c. Inspecţia Judiciară e altri) del 18 maggio 2021.
[11] Corte costituzionale federale tedesca, Secondo Senato, sentenza del 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15, 2 BvR 1651/15, 2 BvR 2006/15, 2 BvR 980/16, espressione di una giurisprudenza inaugurata con la sentenza Maastricht del 1993.
[12] Corte giust. 16 giugno 2015, causa C-62/14, Gauweiler; Corte giust. 11 dicembre 2018, causa C-493/17, Heinrich Weiss.
[13] Varsavia, 6 maggio 2020 09:31 - (Agenzia Nova) - Laddove gli organi dell'Unione europea oltrepassano le loro attribuzioni, là intervengono gli organi costituzionali nazionali e le sentenze della Corte di Giustizia Ue perdono la loro legittimazione democratica. È quanto ha detto il viceministro della Giustizia polacco, Marcin Warchol, commentando la sentenza della Corte costituzionale tedesca sull'acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea (Bce). "È una dimostrazione per tutti coloro che ci intimano di inginocchiarci davanti alle sentenze della Corte di giustizia dell'Ue. Diciamo chiaramente che l'identità costituzionale di ciascuno degli Stati membri è garantita, anche nei trattati", ha affermato Warchol. "La Germania difende la propria sovranità. La Corte costituzionale tedesca ha detto che l'Ue può tanto quanto i paesi membri le concedono", ha detto l'altro viceministro della Giustizia, Sebastian Kaleta.
Dalla Commissione è stato emesso il seguente commento: “In linea generale, si ricorda che, in base a una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, una sentenza pronunciata in via pregiudiziale da questa Corte vincola il giudice nazionale per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente. Per garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, solo la Corte di giustizia, istituita a tal fine dagli Stati membri, è competente a constatare che un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione. Eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere infatti l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione e pregiudicare la certezza del diritto. Al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali sono obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione. Solo in questo modo può essere garantita l’uguaglianza degli Stati membri nell’Unione da essi creata”.
Polonia e Ungheria (e anche la Repubblica Ceca) hanno in passato protestato nei procedimenti di infrazione promossi dalla Commissione, affermando di non essere tenuti ad ottemperare alle decisioni di ricollocazione di richiedenti asilo o protezione internazionale.