ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Il fine vita e il legislatore pensante
Editoriale
All’indomani delle due pronunzie della Corte costituzionale che hanno inciso profondamente sul nostro ordinamento, da ultimo escludendo, seppur nel rispetto di determinate condizioni, la punibilità dell’aiuto al suicidio reso nei confronti di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da patologia irreversibile (Corte cost. n.207/2018-ord.- e Corte cost. n.242/2019), sembra crescere la consapevolezza che l’intervento del legislatore in materia sia necessario per determinare almeno una cornice di principi capaci di fare chiarezza non solo sulla reale portata delle ricordate pronunzie, ma anche di disciplinare ambiti non presi direttamente in considerazione dalla Consulta e/o dal giudice comune che, prima della sentenza sul caso Cappato, aveva tracciato un percorso nel quale sembra essersi incanalato il giudice costituzionale.
Da qui il desiderio di Giustizia insieme di raccogliere il pensiero “plurale” di studiosi di varia estrazione culturale e professionale, in modo da offrire al Parlamento elementi qualificati che possano rendere migliore la produzione legislativa che dovrebbe seguirne.
Il tema, è noto, ha visto fin qui l’impegno e la riflessione di diversi settori accademici del diritto - costituzionalisti, civilisti, penalisti, bioeticisti, filosofi del diritto, comparatisti – che la rivista vuole, appunto, mettere insieme, muovendo dall’idea che il mondo giudiziario abbia già offerto delle indicazioni di massima estremamente importanti sulle quali saranno appunto l’Accademia e il legislatore a dover riflettere.
Il format dei singoli interventi, che vedrà dunque la pubblicazione in sequenza di piccoli forum che affrontano il tema nei cinque ambiti selezionati – penale, privato-comparato, filosofia del diritto, civile e costituzionale – ha come matrice comune la formulazione di alcune brevi domande che i cinque coordinatori dei gruppi, insieme alla Direzione scientifica, hanno pensato di formulare.
A rispondere saranno accademici che nella materia hanno già offerto contributi di rilievo.
Una scelta di campo - quella di non coinvolgere nelle risposte i giuristi pratici - sicuramente dolorosa ma, rispetto alla tematica da affrontare, necessaria per ristabilire un’armonia di sistema fra legislatore e giurisdizione immaginando che, all’indomani della legge - ove mai essa verrà alla luce - sarà per l’appunto la giurisdizione, che ha già offerto i punti di partenza essenziali in materia, a doversi misurare con il testo normativo, a verificarne la tenuta secondo i canoni costituzionali e sovranazionali, a ponderare la sufficienza o meno dell’intervento rispetto alla pluralità e disomogeneità dei casi della “vita” e del “fine vita”.
Da qui la necessità di formulare alla scientia iuris alcune provocazioni che vorrebbero, in definitiva, comporre un mosaico quanto più articolato sul tema da offrire al legislatore in atto pensante, in modo da favorire quanto più possibile una conoscenza “laica” e plurale delle questioni principali sul tappeto.
Non resta a questo punto che presentare i partecipanti ai singoli forum.
Vincenzo Militello, professore ordinario di diritto penale all’Università di Palermo, ha coordinato gli interventi di Maria Beatrice Magro, professore ordinario di Diritto penale presso la Facoltà di Giurisprudenza, Università Guglielmo Marconi e di Stefano Canestrari, professore ordinario di Diritto penale presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna e componente del Comitato Nazionale per la Bioetica.
Il forum di diritto privato comparato coordinato da Mario Serio, professore ordinario di diritto privato-comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza di Palermo ha visto il coinvolgimento di Giuseppe Giaimo, professore ordinario di Diritto privato comparato, Rosario Petruso, ricercatore in Diritto privato comparato, Rosalba Potenzano, Nicoletta Patti e Giancarlo Geraci, dottorandi di ricerca in Dinamica dei Sistemi, tutti in forza al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo, con la supervisione delle Professoresse Marina Timoteo e Rossella Cerchia, rispettivamente professori ordinari di Diritto privato comparato nelle Università di Bologna e della Università Statale di Milano.
Il gruppo di filosofi del diritto coordinato da Angelo Costanzo, consigliere della Corte di Cassazione, è stato animato da Salvatore Amato, professore ordinario di Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Catania e componente del Comitato Nazionale per la Bioetica, Lorenzo d’Avack, professore emerito di Filosofia del diritto, in atto Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica e Carla Faralli, già professore ordinario presso l’Alma Mater-Università di Bologna, dove insegna Bioetica e Women and Law.
Mirzia Bianca, professore ordinario di diritto civile presso La Sapienza Università di Roma, ha coordinato per il civile gli interventi di Gilda Ferrando, già professore ordinario di Diritto privato presso l’Università degli studi di Genova, Teresa Pasquino, professore ordinario di Diritto privato presso l’Università degli Studi di Trento e Stefano Troiano, professore ordinario di Diritto privato e direttore del dipartimento di scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Verona.
Il forum costituzionale, coordinato da Corrado Caruso, professore associato di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Bologna e Oreste Pollicino, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università Bocconi di Milano è stato animato da Carlo Casonato, professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l’Università di Trento, Giacomo D'amico e Stefano Agosta, entrambi professori ordinari di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Messina, Chiara Tripodina, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università del Piemonte orientale e Lucia Busatta, dottoressa di ricerca di diritto costituzionale presso l’Università di Trento.
I singoli approfondimenti saranno pubblicati a partire da domani con cadenza settimanale.
L’impatto della pandemia sul sistema giudiziario inglese: spunti di riflessione per la riforma della giustizia civile in Italia
Nota a Financial Conduct Authority (Appellant) v Arch Insurance (UK) Ltd and others (Respondents), Judgement by UK Supreme Court on 15 January 2021
di Antonio Grumetto
Based on a recent ruling by the UK Supreme Court, the article analyses how the loss of profit policy market works while elaborates some proposals for developments of Italian civil proceedings before courts that could simplify and speed up decision-making processes in commercial sectors affecting interests of tens of thousands of people thus promoting economic recovery after the COVID-19 pandemic.
Sommario: 1. L’equilibrio fra contenimento della pandemia e ripresa economica - 2. La decisione della Suprema Corte inglese del 15 gennaio 2021 - 2.1. Le clausole LOP (Loss of profit) - 2.2. Le caratteristiche del procedimento dinanzi alla Suprema Corte. La legittimazione straordinaria per la risoluzione di questioni giuridiche. - 2.2.1. (segue) La procedura accelerata - 2.3 Le questioni controverse - 2.3.1. Clausole sul rischio assicurato. - 2.3.2. Impossibilità di accedere ai locali dell’azienda nelle clausole ibride. - 2.3.3. Nesso di causalità - 2.3.4. Trend clauses - 3. Conclusione
1. L’equilibrio fra contenimento della pandemia e ripresa economica
Non vi sono dubbi sul fatto che l’attuale emergenza sanitaria causata dalla pandemia da COVID-19 rappresenti la causa non solo di una grave crisi sanitaria, con i suoi risvolti drammatici in termini di perdita di vite umane causata dal contagio, ma anche la ragione di una altrettanto drammatica crisi economica i cui effetti non tarderanno a manifestarsi in tutta la loro ampiezza tanto sul mercato del lavoro quanto sul tessuto produttivo del nostro Paese.
La necessità di contemperare l’esigenza, da un lato, di contenere il diffondersi della pandemia e, dall’altro, di limitare al massimo i danni per l’economia nazionale, già così duramente provata da anni di recessione economica alle spalle, è non a caso alla base delle misure economiche prese dal Governo in favore, in particolare, delle imprese in occasione dei vari provvedimenti assunti dall’Esecutivo per limitare la circolazione delle persone sul territorio nazionale e di conseguenza la diffusione del virus[1].
Se, però, la crisi sanitaria sembra vedere una luce in fondo al tunnel grazie alla approvazione dei primi vaccini contro il contagio da COVID-19 e alla loro somministrazione alle categorie di persone più vulnerabili o più esposte al contagio, la crisi economica non solo è appena iniziata, ma è destinata a vedere i suoi effetti protrarsi per diversi anni a venire. La speranza di un miglioramento dell’economia italiana per le prossime generazioni di cittadini è rappresentata non solo e non tanto dal programma di finanziamento messo in atto dall’Unione europea attraverso il Recovery Plan, ma soprattutto dalla adozione delle necessarie riforme strutturali del nostro Paese di cui tanto si è parlato negli anni scorsi e che ancora tardano a venire.
Uno dei settori per i quali è maggiormente sentita l’esigenza di uno rinnovamento è senza dubbio quello della giustizia ed in particolare quello della giustizia civile[2]. La durata dei giudizi, in particolare di quelli civili, e la variabilità degli orientamenti giurisprudenziali rappresentano un costo troppo alto per l’economia italiana e scoraggiano gli operatori stranieri dall’investire in Italia.
Basti pensare alla disciplina processuale di recente introdotta per le controversie civili originate dagli effetti della pandemia da COVID-19. Mentre in Italia, al fine di alleggerire il peso che la conflittualità originata dalla pandemia inevitabilmente riverserà sul sistema giudiziario, è stato introdotto un nuovo caso di mediazione obbligatoria per alcune controversie in materia contrattuale[3], altri paesi sembrano avere una marcia in più per affrontare quella che potrebbe rivelarsi una nuova causa dell’emergenza giudiziaria nel nostro Paese.
2. La decisione della Suprema Corte inglese del 15 gennaio 2021
La decisione di recente pubblicata dalla Suprema Corte del Regno Unito ne è un esempio.
In poco più di 9 mesi dai primi provvedimenti assunti dal Governo inglese a seguito dello scoppio della pandemia da COVID-19, gli operatori economici inglesi hanno avuto a disposizione una decisione della massima Autorità giudiziaria del Regno Unito su una questione di enorme impatto per l’economia dei paesi che lo compongono e con effetti vincolanti per tutti i giudici che compongono il sistema giudiziario.
L’importanza della decisione è dichiarata nelle stesse premesse della sentenza della Suprema Corte, in cui si evidenziano le differenze tra il sistema giudiziario italiano e quello anglosassone in termini di rapidità ed efficienza.
La controversia è stata promossa dalla FCA (Financial Conduct Autority) nei confronti di otto tra le maggiori compagnie inglesi di assicurazioni, operanti in particolare nel ramo dell’assicurazione contro le perdite da interruzione dell’attività di impresa.
La decisione ha riguardato le principali questioni di interpretazione delle clausole contenute nelle polizze relative agli effetti indiretti causati dalla pandemia sulle imprese .
2.1. Le clausole LOP (Loss of profit)
Per comprendere il significato di questo tipo di garanzia, occorre dire che quando un’azienda viene colpita da un evento che ne danneggia il patrimonio, oltre ai danni diretti (la perdita totale o parziale di uno dei beni dell’azienda, per esempio a causa di un incendio) si possono riscontrare anche grosse perdite economiche, derivanti dall’impossibilità di svolgere la normale attività produttiva. L’interruzione o riduzione dell’esercizio comporta effetti devastanti per l’azienda.
Il fermo dell’attività può comportare effetti di varia natura: quelli di tipo “transitorio”, che riguardano la riduzione del volume d’affari e del relativo profitto lordo, l’aumento dei costi di esercizio, ovvero di lavorazione dei beni prodotti e di acquisizione dei beni da trasformare o commercializzare; quelli “permanenti”, che comportano la perdita di quote di mercato; quelli “contingenti”, che si verificano in occasione di esborsi per multe o penali contrattuali. Si tratta di una tipologia di danno che colpisce non solo i singoli beni ma l’azienda nel suo complesso, e le conseguenze economiche che ne derivano possono assumere, rispetto al danno diretto, dimensioni molto più rilevanti e talvolta anche drammatiche per la vita dell’azienda.
Da tempo, pertanto, il mercato delle assicurazioni ha pensato ad un’adeguata copertura assicurativa in grado di ripristinare la situazione finanziaria antecedente al sinistro.
La prima tipologia di copertura, attualmente in uso, è chiamata clausola di Indennità aggiuntiva, risale alla fine del ‘700 e vede l’assicuratore impegnato a riconoscere una determinata percentuale aggiuntiva fissa rispetto al danno materiale.
Tale forma è caratterizzata da semplicità di calcolo e velocità nel processo di indennizzo, ma la percentuale fissa, qualora dovessero sopraggiungere sinistri gravi, potrebbe rivelarsi un fattore di penalizzazione per l’assicurato.
La Garanzia diaria è una tipologia di copertura che venne introdotta successivamente, e prevede il rimborso di un determinato indennizzo per ogni giorno di inattività aziendale, calcolato in base alla durata del fermo.
La clausola Selling price, al posto di far pagare l’equivalente del prezzo di costo, obbliga a pagare quello di vendita dei prodotti finiti, ed è vantaggiosa per il fatto che il prezzo di vendita include la quota di tutti i costi aziendali e l’utile. Può essere applicata solo nel caso vengano danneggiati dei prodotti già venduti, quindi in caso di fermo dovuto a danni a fabbricati o macchinari non ha alcuna utilità.
Ma la forma di copertura oggi più utilizzata è quella a Margine di Contribuzione, MdC, nata nel 1994 per rimediare ai limiti della garanzia LOP (Loss Of Profit).
La formula Loss of Profit, detta LOP, ovvero di perdita di profitto lordo, venne introdotta in Inghilterra nel 1899. Essa copre la perdita di profitto lordo, oltre alle spese supplementari ( al netto del risparmi di spesa). La MdC, invece, assicura contro la perdita del “margine di contribuzione” (vale a dire la somma fra utili e costi fissi, che si ottiene sottraendo dal fatturato i costi variabili che sono appunto quei costi che non si sostengono con il fermo della azienda) e le spese supplementari sostenute dall’assicurato per limitare tale perdita. I vantaggi di questa ultima formula risiedono nella velocità di indennizzo e semplicità.
Al di là dei tecnicismi contabili delle varie formule, la loro diffusione in Europa è molto variegata.
In Italia, tuttavia, tale formula assicurativa non è molto diffusa perché, oltre ad essere ancora poco conosciuta, viene probabilmente etichettata come troppo costosa e complessa. Probabilmente la durata dei giudizi civili e la variabilità degli esiti giudiziari hanno un peso non secondario nell’ostacolare l’espansione di questo tipo di polizza tra gli imprenditori italiani: l’idea di dover attendere anni prima di poter ottenere l’indennizzo per le perdite subite, magari dopo costose e defatiganti battaglie giudiziarie, può scoraggiare i potenziali acquirenti dal ricorrere a questa copertura.
Proprio applicando tali istituti e in conformità allo spirito degli stessi, invece, il sistema giudiziario inglese ha risposto allo sconvolgimento causato dalla pandemia da COVID-19 con una decisione rapida, vincolante e di facile implementazione.
2.2. Le caratteristiche del procedimento dinanzi alla Suprema Corte. La legittimazione straordinaria per la risoluzione di questioni giuridiche
Con la sentenza del 15 gennaio scorso la Suprema Corte ha esaminato un significativo campione di polizze proposte dalle compagnie di assicurazioni che hanno partecipato al giudizio e l’esito del giudizio, reso in tempi record, è suscettibile di influenzare l’applicazione tra le parti contraenti di qualcosa come 700 tipi di polizza in aggiunta a quelle espressamente considerate, offerti sul mercato da più di 60 compagnie di assicurazioni e di riguardare circa 370.000 soggetti assicurati.
Non c’è bisogno di ulteriori commenti per capire l’importanza di tale decisione per il mercato anglosassone delle imprese, specie in un momento così delicato come quello della conclusione dei negoziati sulla Brexit. Gli operatori del settore, da un lato imprenditori assicurati e dall’altro imprese di assicurazione, hanno ora un chiaro e definitivo indirizzo giurisprudenziale da applicare per quantificare le perdite subite dalle attività imprenditoriali a causa delle misure adottate dai Governi inglese e di altri Stati per i quali la decisione della Suprema Corte inglese è vincolante. Si tratterà ora solo di applicare i paletti fissati dalla decisione ai vari casi di perdite subite per l’interruzione dell’attività economica, attraverso un giudizio di fatto di cui pure la decisione fornisce i parametri. E c’è da aspettarsi che nessuno, né gli assicurati né gli assicuratori, penserà di ridiscutere i termini della questione dinanzi ad un giudice, affrontando i notevoli costi imposti dal sistema giudiziario anglosassone e andando incontro all’effetto vincolante delle decisioni della Suprema Corte proprie dei sistemi di common law. In questa situazione, le imprese possono contare su un sistema di regole chiaro e vincolante per avanzare le loro richieste di indennizzo alle assicurazioni, recuperando così, almeno in parte, la liquidità persa a causa delle forzate interruzioni dell’attività economica imposte dai provvedimenti restrittivi adottati dal Governo.
Certo, alcune delle caratteristiche del sistema anglosassone non sono esportabili nei paesi di civil law come il nostro.
A cominciare dall’effetto vincolante delle decisioni della Suprema Corte, la cui applicazione in Italia trova un ostacolo nel principio della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) e nella c.d. primazia del diritto euro-unitario con il connesso obbligo di sottoporre alla Corte di giustizia le questioni di interpretazione della relativa disciplina (art. 267 TFUE).
Ma altre sembrano mutuabili senza particolare sforzo ed in parte già operanti nel nostro ordinamento processuale.
Ad esempio, ciò che ha reso possibile concentrare le questioni interpretative delle clausole assicurative LOP in un unico giudizio è stata la legittimazione della FCA a sottoporre ai giudici inglesi un test case senza bisogno dell’esistenza di una specifica disputa tra le parti e quando si tratta di questioni di particolare importanza per le quali è richiesto con urgenza un indirizzo autorevole e rilevante.
Per quanto sia una Autorità di regolazione e non un organismo rappresentativo degli operatori del settore, la FCA è legittimata a promuovere tali giudizi nell’interesse dei consumatori. Si tratta di giudizi per i quali le parti devono accordarsi sulle questioni da proporre al giudice attraverso quello che si chiama Accordo quadro e deve trattarsi di questioni di generale importanza per le quali il modo di sottoporle ai giudici deve essere previamente concordato tra le parti. I fatti controversi devono poi essere pacifici: nel caso di specie l’Accordo quadro conclusosi tra le parti è intervenuto sia sull’ambito delle misure adottate dai vari Governi del Regno Unito per fronteggiare la crisi sanitaria sia sui testi delle polizze da sottoporre al giudizio. Inoltre, è previsto che il giudizio, di regola, non dia luogo a condanna alle spese.
Perché, dunque, non attribuire una tale legittimazione anche all’ Autorità italiana per la concorrenza ed il mercato? [4] Si tratterebbe perciò di introdurre un procedimento finalizzato ad ottenere rapidamente dalla Corte di cassazione una advisory opinion su questioni di particolare rilevanza per l’economia nazionale e con l’efficacia data dalla autorevolezza della pronuncia. Sarebbe di certo una modalità di risoluzione anticipata di questioni giuridiche di particolare importanza, potenzialmente rilevanti per interi settori economici e limitata alle questioni di diritto e quindi non appesantita dalla necessità di risolvere aspetti di fatto o inerenti al quantum tipici delle controversie promosse dal titolare del diritto.
Già ci sono casi di Autorità di regolazione legittimate ad agire in giudizio nell’interesse dell’applicazione obiettiva del diritto e come espressione del potere di vigilanza e/o regolazione del settore. Basti pensare che nell’ambito delle attuali prerogative attribuite dalla legge all’AGCM vi è anche la legittimazione ad agire ex art 21-bis L. n. 287/90, con particolare riferimento all’impugnazione di regolamenti, atti amministrativi generali e provvedimenti emanati da qualsiasi amministrazione (comprese altre autorità indipendenti), laddove questi risultino contrari alle disposizioni della normativa antitrust. O alla possibilità per l’ANAC di impugnare i bandi, gli altri atti generali e i provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (art. 211 del Codice appalti)[5]. Ma mentre per le controversie dinanzi al giudice amministrativo la legittimazione di soggetti metaindividuali a tutela di un interesse collettivo è un fenomeno frequente in quanto legato alla natura spesso indivisibile e generale del ben giuridico oggetto del provvedimento amministrativo, nel campo della giurisdizione ordinaria la tutela degli interessi collettivi si presenta spesso come una somma della tutela degli interessi individuali lesi da comportamenti altrui[6].
Perché possa ammettersi una legittimazione a proporre azioni finalizzate, non a prevenire o riparare una lesione, ma ad acquisire una interpretazione di atti giuridici, è, perciò, necessaria una previsione normativa che riconosca ad un soggetto giuridico il potere di agire in giudizio nell’interesse del diritto obiettivo e non a tutela di una situazione soggettiva, ancorché collettiva, o di una somma di interessi individuali. E questo soggetto non può che essere un soggetto pubblico perché non si tratta di proteggere interessi collettivi, omogenei o addirittura diffusi, quanto quello di assicurare la corretta applicazione del diritto in ipotesi astratte.
E’ ovvio che la decisione della Corte di cassazione non potrebbe vincolare gli altri giudici e ciò in virtù dell’art. 101 della Costituzione e della soggezione del giudice soltanto alla legge. Tuttavia, il sistema già prevede ipotesi di efficacia rafforzata di decisioni assunte da organi di ultima istanza della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa.
L’art. 64 del T.U. n. 165 del 2001 prevede che quando il giudice non intenda conformarsi ad una decisione della Corte di cassazione già intervenuta su una questione rilevante per il giudizio, è tenuto ad attivare il meccanismo previsto dalla medesima disposizione per giungere, eventualmente, ad una nuova decisione della Corte di cassazione. L’art. 99 del codice del processo amministrativo prevede che la sezione del Consiglio di Stato cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. Ovviamente, tale meccanismo non può pregiudicare il funzionamento del sistema del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 del TFUE[7] e tuttavia, quando si sia fuori da questioni di interpretazione ed applicazione del diritto eurounitario, un sistema di efficacia rafforzata del precedente, che non precluda una rimeditazione della questione purché motivata da valide ragioni, mi sembrerebbe compatibile con l’art. 101 della Costituzione.
2.2.1. (segue) La procedura accelerata
La decisione del 15.1.2021 della Suprema Corte ha, inoltre, concluso un giudizio durato appena 7 mesi (l’Accordo quadro tra le parti è del 1 giugno 2020 e il processo è iniziato il 9 giugno 2020) ed è stata emessa a seguito di un ricorso per saltum (in inglese leapfrog): dopo una prima decisione della corte di primo grado (in composizione non monocratica) formata da due giudici inseriti nell’elenco dei giudici specializzati in materia di servizi finanziari (Financial list), di cui uno della Court of Appeal e uno della High Court, la causa è approdata subito presso la Suprema Corte. Quest’ultima ha tenuto 4 udienze (tra il 16 novembre ed il 20 novembre 2020) e ha depositato la sentenza in data 15.1.2021.
Sia la sentenza di primo grado che quella della Suprema Corte affrontano in maniera approfondita e con costante riferimento ai precedenti giurisprudenziali le varie questioni sottoposte dalle parti. E’ sufficiente menzionare che la sentenza di primo grado consta di 580 paragrafi mentre quella della Suprema Corte di 326 paragrafi.
2.3. Le questioni controverse
Le questioni trattate erano poi di estrema importanza e delicatezza.
Ne accenniamo qualcuna, lasciando ai più curiosi il piacere (e, in qualche caso, la difficoltà connessa alla astrattezza delle problematiche interpretative) di leggere la decisione della Suprema Corte.
2.3.1. Clausole sul rischio assicurato.
La Corte Suprema ha preso in considerazione la formulazione della clausola in una polizza RSA ("RSA 3") come esemplare. Questa clausola (come molte altre formulazioni) copre le perdite da interruzione dell'attività derivanti da qualsiasi evento di una “malattia notificabile” [8] entro un raggio geografico specificato (tipicamente 25 miglia) dai locali assicurati.
Il Collegio di primo grado ha interpretato la clausola nel senso che essa assicura copertura per le perdite per interruzione dell'attività derivanti da COVID-19 (che è stata resa una malattia soggetta a obbligo di denuncia il 5 marzo 2020) a condizione che l’assicurato dimostri l’esistenza di un caso della malattia entro il raggio geografico (di regola 25 miglia).
La Suprema Corte ha dato, invece, ragione agli assicuratori che:
(i) ogni caso di malattia subita da una persona a causa di COVID-19 è un "evento" separato ai fini della polizza;
(ii) la clausola copre solo le perdite per interruzione dell'attività derivanti da casi di malattia che si verificano nel raggio.
2.3.2. Impossibilità di accedere ai locali dell’azienda nelle clausole ibride
Le clausole di impossibilità all'accesso e le clausole ibride[9] specificano una serie di requisiti che devono essere tutti soddisfatti prima che l'assicuratore sia tenuto a pagare.
Alcune clausole si applicano solo quando ci sono "restrizioni imposte" da un'autorità pubblica in seguito al verificarsi di una malattia notificabile.
Il primo collegio aveva ritenuto che questo requisito è rappresentato solo da una misura espressa in termini obbligatori che abbia forza di legge.
La Corte Suprema ha respinto questa interpretazione come troppo ristretta e ha ritenuto che un'istruzione data da un'autorità pubblica (come il famoso “stay at home”) può equivalere a una "restrizione imposta" se, in base al modo e ai termini con cui è formulata, è da ritenere o è ragionevole ritenere (tenuto conto delle conoscenze di una persona media) che la sua osservanza sia obbligatoria indipendentemente dall’esercizio di poteri espressamente previsti.
La Corte Suprema non si pronuncia sul se singole misure soddisfino questo test, ma indica che l'argomento è più forte in relazione ad alcune misure generali, come certe istruzioni in termini obbligatori del Primo Ministro relative alla chiusura dei locali commerciali del 21 e del 26 marzo 2020, e meno in relazione ad esortazioni o consigli relativi al distanziamento sociale e allo “stay at home”.
In qualche caso, poi, le clausole prevedevano la copertura solo quando la perdita di interruzione dell'attività fosse causata dall' “impossibilità di utilizzare" i locali assicurati da parte dell'assicurato. Il primo collegio aveva sostenuto che questo significasse incapacità completa e non solo parziale di utilizzare i locali. La Corte Suprema ritiene, invece, che questo requisito possa essere soddisfatto sia quando un assicurato non è in grado di utilizzare i locali per una parte soltanto della sua attività commerciale[10] sia quando la sua intera attività commerciale è impedita dalla chiusura o dalle restrizioni imposte soltanto su alcuni locali della sua azienda perché gli altri locali dell’azienda, ancorché agibili, non sono idonei a svolgere l’attività commerciale in modo autonomo. In altri termini ciò che conta è l’incidenza sulla attività commerciale e non l’incidenza sui locali in sé.
2.3.3. Nesso di causalità
La questione del nesso di causalità è una delle più interessanti della decisione per le sue somiglianze con le discussioni dottrinali che si registrano sul tema della causalità in Italia.
In sintesi, si può dire che la Suprema Corte ritiene:
(i)come causa delle perdite finanziarie dell’assicurato ogni episodio di COVID-19 verificatosi all’interno dell’area geografica indicata dalla clausola della polizza (di regola 25 miglia dai locali aziendali);
(ii) nell’interpretare la nozione di pericolo assicurato e le clausole che escludono alcuni rischi, non rilevano cause sopravvenute rispetto a tale causa “prossima” che non siano anomali o abnormi[11];
(iii)ogni caso di COVID-19 verificatosi nell’area geografica indicata dalla polizza come pericolo assicurato anche se le misure del Governo che hanno determinato la chiusura dei locali aziendali sono state prese in considerazione del fenomeno della pandemia nel suo complesso; in altri termini, cause concorrenti (vale a dire, altri casi di COVID-19 verificatisi all’esterno dell’area geografica indicata dalla polizza) pur avendo concorso a determinare le chiusure dei locali aziendali, costituendo un rischio non escluso dalla polizza, nemmeno escludono la garanzia;
(iv)non applicabile il giudizio controfattuale basato sulla dottrina del “but for” test; le compagnie di assicurazione avevano cercato di sostenere che il nesso di causalità era escluso dal ragionamento controfattuale, dato che le misure restrittive sarebbero state prese ugualmente anche a prescindere (but for) dal caso di COVID-19 che fa scattare la garanzia. La Suprema Corte ha respinto la tesi delle assicurazioni ricordando che un limite del giudizio controfattuale è dato dalla ipotesi delle cause indipendenti tra di loro che sono ciascuna in grado di determinare l’evento: in questi casi l’applicazione del giudizio controfattuale porterebbe a negare l’efficacia causale di ognuna delle cause[12];
(v)non applicabile il criterio, suggerito dalle assicurazioni, secondo cui il rapporto causale sarebbe escluso qualora i rischi non assicurati (precisamente i casi di COVID-19 verificatisi fuori dell’area geografica richiamata nella polizza) avessero avuto una incidenza maggiore rispetto a quelli verificatisi nell’area geografica (weighing approach)[13].
2.3.4. Trend clauses
Solo le clausole inserite nelle polizze che stabiliscono i criteri per l’indennizzo. Il metodo standard utilizzato nell'assicurazione contro l'interruzione dell'attività per quantificare la somma pagabile ai sensi della polizza prende un periodo commerciale precedente a fini comparativi. Nella maggior parte delle formulazioni questo è l'anno civile che precede l'operazione del danno assicurato. Dal fatturato dell'azienda in questo periodo si ricavano "fatturato standard" o "entrate standard". Questa cifra viene poi confrontata con il fatturato o le entrate effettive durante il periodo d'indennizzo. I risultati dell'attività nel periodo di confronto sono anche utilizzati per ricavare una percentuale del fatturato che rappresenta l'utile lordo. Il tasso di profitto lordo viene poi applicato alla riduzione del fatturato per calcolare la perdita recuperabile. L’indennizzo compre anche l'aumento del costo del lavoro durante il periodo di indennizzo.
Secondo la Suprema Corte questo meccanismo di indennizzo deve essere applicato tenendo conto soltanto delle circostanze, diverse da quelle legate alla pandemia da COVID-19, che avrebbero riguardato l’attività imprenditoriale assicurata se la pandemia non si fosse verificata. Ciò al fine di evitare che il meccanismo applicato per calcolare l’indennizzo finisca per vanificare l’interpretazione data dalla Suprema Corte alla definizione del rischio assicurato, in relazione al quale, come si è visto, sono state giudicate irrilevanti le cause legate alla pandemia concorrenti rispetto al rischio assicurato (i casi di COVID-19 verificatisi fuori dall’area geografica indicata nella polizza).
3. Conclusioni
Come si può vedere dal panorama delle questioni affrontate dalla Suprema Corte inglese, si è trattato di affrontare anche temi generali da tempo conosciuti anche nel nostro ordinamento, quali il nesso di causalità, la rilevanza delle sopravvenienze e l’ambito delle conseguenze dannose indennizzabili. Si tratta di temi sui quali la giurisprudenza e la dottrina italiana si sono da tempo esercitate con risultati altamente pregevoli e che non hanno nulla da invidiare a quelli raggiunti dalle Corti supreme e dagli studiosi di altri paesi. E se la necessità di una pronuncia della Corte di cassazione italiana sulle clausole delle polizze LOP non si rende necessaria per la scarsa diffusione di tale forma assicurativa, non è difficile immaginare che l’esigenza di certezza giuridica possa sorgere in relazione ad altri settori colpiti dal carattere diffusivo degli effetti della pandemia. Si pensi ad esempio alla problematica della riconduzione del contratto ad equità attraverso la rinegoziazione delle clausole quando la sua esecuzione, così come programmata dalle parti, sia stata impedita dal sopravvenire di misure restrittive legate al confinamento imposto dal Governo. Non richiederebbero i concetti di forza maggiore, di impossibilità sopravvenuta, di factum principis e della loro incidenza sul regolamento negoziale che venisse introdotta una forma di azione come quella esistente nell’ordinamento inglese? Un autorevole e rapido pronunciamento della Corte di cassazione[14] su questioni interpretative astratte non contribuirebbe ad orientare le decisioni delle corti inferiori nella risoluzione delle controversie proposte dinanzi ad esse o addirittura a prevenirne la proposizione?
[1] In particolare, si vedano l’art. 25 del DL 19/05/2020, n. 34, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 17 luglio 2020, n. 77; nonché gli artt. 1, 1bis, 1 ter del DL 28.10.2020 n. 137 conv. in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 18 dicembre 2020, n. 176 in cui sono confluite le misure di sostegno alle imprese di cui al Decreto Ristori 1, bis ter e quater. Uno studio ragionato di tali misure di sostegno alle imprese è contenuto nel Focus n. 3 del 23 dicembre 2020 dell’Ufficio parlamentare di Bilancio reperibile all’indirizzo https://www.upbilancio.it/focus-tematico-n-3-23-dicembre-2020/
[2] Già la Raccomandazione n. 2 del Consiglio europeo per il 2019 - riprendendo sostanzialmente quanto già previsto nelle omologhe Raccomandazioni per il 2017 e 2018 - invitava l'Italia a “ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio, facendo rispettare le norme di disciplina procedurale, incluse quelle già prese in considerazione dal legislatore”. In tal senso si sono anche espresse, nella relazione approvata, le Commissioni 5a e 14a del Senato in occasione dell'esame delle Linee guida sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), laddove sottolineano che secondo alcuni studi un efficiente sistema giudiziario consentirebbe di recuperare dall’1,3% al 2,5% (da 22 miliardi a 40 miliardi) del PIL, stimolando gli imprenditori, anche esteri, ad investire nel nostro Paese in quanto la tempestività delle decisioni giudiziarie è elemento essenziale per le imprese, per gli investitori e per i consumatori.
[3] Si tratta del comma 6-ter dell’art. 3 del D.L. 23/02/2020, n. 6 (convertito dalla legge 5 marzo 2020, n. 13) come inserito dall’art. 3 comma 1 quater del D.L 30 aprile 2020 n. 38 (convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70), il quale recita “Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda». A sua volta l’art. 6-bis del medesimo art. 3 del già menzionato DL n. 6 del 2020 stabilisce che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
[4] Il Governo italiano ha presentato il disegno di legge delega sulla riforma della giustizia (Atto Senato N. 1662 http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01141527.pdf), attualmente fermo presso la seconda Commissione (Giustizia) per l’esame in sede referente. Il disegno di legge comprende disposizioni sulla mediazione, sul giudizio di primo grado e di appello nonché sul giudizio di esecuzione, ma non prevede casi di legittimazione straordinaria di Autorità indipendenti a proporre test cause su questioni di diritto.
[5] Anche le associazioni di categoria sono titolari di una legittimazione ad agire in giudizio per ottenere l’annullamento di atti amministrativi illegittimi: le associazioni individuate in base all'articolo 13 della legge n. 349 del 1986 in materia di ambiente possono, non solo intervenire nei giudizi per danno ambientale ma anche ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi. L'art. 4, co. 2, L. 11 novembre 2011, n. 180 riconosce alle associazioni di imprenditori maggiormente rappresentative nei diversi livelli territoriali la legittimazione a impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi. Ma in questi casi si tratta di legittimazione ad agire a tutela di un interesse collettivo che è proprio della associazione e non di un interesse generale all’applicazione del diritto obiettivo (Cons. Stato Ad. Plen., 20-02-2020, n. 6).
[6] Come è noto la legge 12 aprile 2019 n. 31 ha modificato la disciplina della azione di classe contenuta negli artt. 140 e 140 bis del codice del consumo, introducendo nel Codice civile un intero Titolo VII bis del libro IV interamente dedicato ad una azione di classe prevista non più solo a tutela dei consumatori ma di qualsiasi “diritto individuale omogenei”. Si tratta, tuttavia, sempre di una azione generale, a carattere inibitorio o risarcitorio, a tutela di interessi individuali omogenei e non di una azione finalizzata ad ottenere la risoluzione di questioni giuridiche astratte.
[7] Corte giustizia Unione Europea Grande Sez., 05/04/2016, n. 689/13: “L'art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui quest'ultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sull'interpretazione o sulla validità del diritto dell'Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l'orientamento definito da una decisione dell'adunanza plenaria di tale organo, è tenuta a rinviare la questione all'adunanza plenaria e non può pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale”.
[8] In Inghilterra, Il 5 marzo 2020 tramite una modifica al regolamento sulla protezione della salute (notifica) del 2010 (SI 2010/659) ("il regolamento del 2010") il COVID-19 è stato reso una "malattia soggetta a obbligo di notifica" e la SARS-CoV-2 un "agente causale". Ai sensi dei regolamenti del 2010, un medico generico abilitato ha il dovere di comunicare all'autorità locale se ha ragionevoli motivi per sospettare che un paziente abbia una "malattia soggetta a notifica", definita come una malattia elencata nell'Allegato 1, o un'infezione che presenta o potrebbe presentare un danno significativo alla salute umana. L'autorità locale deve riferire qualsiasi notifica di questo tipo che riceve, tra gli altri, al PHE (Public Healt England) che è una agenzia del Dipartimento della Salute e della Assistenza sociale. L'Allegato 1 ai Regolamenti del 2010 conteneva un elenco di 31 malattie comunicabili prima dell'aggiunta di COVID-19. Il 6 marzo 2020, modifiche simili sono state apportate ai regolamenti sulla protezione della salute in Galles Regolamento 2010 (SI 2010/1546). Il COVID-19 era stato reso una malattia soggetta a notifica in Scozia il 22 febbraio 2020 e in Irlanda del Nord il 29 febbraio 2020. L'11 marzo 2020, l'OMS ha dichiarato la infezione da COVID-19 una pandemia.
[9] Esempi di queste clausole sono riportati al §96 della decisione (ad es: “loss … resulting from … Prevention of access to the Premises due to the actions or advice of a government or local authority due to an emergency which is likely to endanger life or property” oppure “loss as a result of closure or restrictions placed on the Premises as a result of a notifiable human disease manifesting itself at the Premises or within a radius of 25 miles of the Premises”)
[10] Si pensi alla attività di ristorazione, che può essere impedita dalle restrizioni imposte al servizio al tavolo mentre po’ essere svolta con il servizio da asporto
[11] Viene richiamata la controversia Leyland Shipping Ltd contro Norwich Union Fire Insurance Society Ltd [1918] AC 350. Una nave silurata da un sottomarino tedesco fu rimorchiata fino al porto più vicino, ma dovette ancorare nel porto esterno esposto al vento e alle onde. Dopo tre giorni la nave affondò. La nave era assicurata contro i pericoli del mare, ma c'era un'eccezione nella polizza per "tutte le conseguenze delle ostilità o delle operazioni belliche". La House of Lords ha confermato la decisione dei tribunali dei gradi precedenti secondo cui la perdita era stata causata dal siluro, che era una conseguenza delle ostilità, e quindi non era coperta dall'assicurazione.
[12] Viene citato il caso dei due fuochi appiccati separatamente, ciascuno dei quali in grado di bruciare la casa o delle due pallottole sparate separatamente che colpiscono entrambe mortalmente l’escursionista: in entrambi i casi il giudizio controfattuale porterebbe ad escludere il nesso causale con riferimento ad ognuna delle cause, dato che l’evento si sarebbe verificato lo stesso a prescindere da ciascuna di esse considerata isolatamente.
[13] La Suprema Corte osserva al riguardo che un tale approccio sarebbe praticabile solo se fosse possibile stabilire la percentuale di efficacia causale dei casi di COVID-19 suddividendola fra quelli verificatisi all’interno e quelli verificatisi all’esterno dell’area geografica considerata da ciascuna polizza.
[14] Un inquadramento generale delle questioni, assai autorevole ma privo di efficacia vincolante, si può trovare nel contributo di recente fornito dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione con la Relazione n. 56 dedicata alle “Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale” reperibile all’indirizzo https://www.portaledelmassimario.ipzs.it/frontoffice/studiPubblicazioni.do
Sui vaccini una distribuzione «enormemente ineguale e ingiusta»
di Giuseppe Savagnone
Sommario: 1.Premesse 2.L’appello della «Fratelli tutti». 3.Una speranza delusa. 4.La fallacia della teoria della «mano invisibile». 5.La posizione della Chiesa. 6. Il potere incontrollato dell’economia 7. «Se li mori moiano»
1. Premesse.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha ribadito il 17 febbraio scorso, in un discorso al Consiglio di sicurezza, che la distribuzione dei vaccini nel mondo è stata «enormemente diseguale e ingiusta»: dieci Paesi si sono accaparrati il 75% di tutti i vaccini Covid-19 messi a disposizione dalle case farmaceutiche, mentre ce ne sono più di centotrenta che non hanno ricevuto neppure una dose.
Sulla stessa lunghezza d’onda la denuncia di the ONE Campaign – una ONG che si batte contro povertà e malattie prevedibili –, secondo cui le nazioni con le economie più avanzate nel mondo hanno accumulato un miliardo di dosi di vaccino anti-Covid in più del necessario, mentre molti di quelli in via di sviluppo non hanno ricevuto ancora neppure una fiala.
Da settimane Guterres invita i Paesi ricchi a non cedere alla logica del «nazionalismo dei vaccini» e, anche nel discorso del 17 febbraio, ha insistito perché si realizzi con urgenza «un piano globale delle vaccinazioni che riunisca tutti quelli che hanno il potere e le capacità scientifica, tecnologica e finanziaria richieste». «In questo momento critico», ha detto il segretario generale dell’ONU, l’equità sui vaccini è la più grande prova morale che la comunità globale si trova di fronte».
Parte da questo dato la proposta del presidente francese Emmanuel Macron, che ha chiesto all’Europa e agli Stati Uniti di inviare il 5% delle loro forniture ai Paesi che ne mancano del tutto. In realtà, la preoccupazione di Macron non è solo di ordine umanitario. I soli vaccini che stanno arrivando ai Paesi più poveri vengono dalla Russia e dalla Cina, che trovano in questo frangente un’occasione per allargare la loro influenza politica, specialmente in Africa. Ultimamente, però, il G7 sembra puntare, piuttosto che sulla redistribuzione dei vaccini, sul finanziamento del piano mondiale per la loro somministrazione, facendo esplicita menzione della necessità di aiutare i Paesi poveri, ma senza cambiare le regole di fondo che hanno determinato l’attuale squilibrio.
2.L’appello della «Fratelli tutti»
A pochi mesi dalla promulgazione dell’enciclica «Fratelli tutti» (4 ottobre 2020) l’emergenza della pandemia viene a confermare la tragica attualità della denunzia di papa Bergoglio e del suo appello a una svolta radicale nella gestione delle risorse a livello planetario. Proprio in apertura del documento si trova il riferimento a Francesco d’Assisi, il quale «invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio» e «dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”» (n.1). È la logica del Vangelo, che il pontefice propone come sola risposta, anche a livello umano, al ritorno di un’idea dell’unità del popolo e della nazione» che «crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali» (n.11).
3.Una speranza delusa
Proprio nella «Fratelli tutti» si esprimeva la speranza che l’emergenza della pandemia costituisse un’occasione di fraternità: «Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (n.32).
La vicenda dei vaccini sta purtroppo dimostrando che il prevalere degli egoismi nazionali non è debellato dalla globalizzazione, anzi stabilisce con essa un’alleanza perversa e conferma le considerazioni più negative dell’enciclica. «Siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza. Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori. L’avanzare di questo globalismo favorisce normalmente l’identità dei più forti che proteggono sé stessi, ma cerca di dissolvere le identità delle regioni più deboli e povere, rendendole più vulnerabili e dipendenti. In tal modo la politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali che applicano il “divide et impera”» (n.12).
4.La fallacia della teoria della «mano invisibile»
Non è lo spettacolo che abbiamo avuto sotto gli occhi in queste settimane, dove, in stretta sinergia con gli egoismi nazionali, è apparso evidente il potere incontrollato delle multinazionali farmaceutiche, il cui fondamentale movente è di trarre il maggior profitto possibile dalla catastrofe umanitaria in atto?
Certo, dirà qualcuno, hanno fatto miracoli nel realizzare in pochi mesi quello che in tempi normali richiedeva un lavoro di anni. E che in questo abbiano avuto di mira il loro vantaggio economico non è una colpa, ma la logica dell’impresa in un sistema di mercato. E in fondo il loro interesse era lo stesso della comunità, confermando l’idea del fondatore dell’economia politica, Adam Smith, secondo cui c’è una «mano invisibile» che fa convergere gli interessi dei privati, pur caratterizzati da un fisiologico egoismo, nel bene di tutti.
Ma proprio quello a cui stiamo assistendo, a livello mondiale, nel caso della pandemia costituisce la più chiara smentita della teoria liberista di Smith. Lasciando il campo al gioco degli interessi particolari, il risultato è che quelli dei più forti prevalgono su quelli dei più deboli e, ben lungi dall’armonizzarsi con essi, in un bene comune in cui alla fine siano appagate le esigenze di tutti, li schiacciano senza pietà.
5.La posizione della Chiesa
Si verifica ciò che dice la «Fratelli tutti»: «Certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti» (n.18). Centinaia di milioni di persone si stanno trovano ai margini della corsa alla salvezza fisica, perché sprovviste del denaro necessario ad avere quello che altri, più fortunati, sono riusciti ad avere, grazie alla maggiore capacità dei loro Paesi di pagare il prezzo richiesto dalle case farmaceutiche.
Davanti a questo vale la decisa presa di posizione della Chiesa, espressa nella «Fratelli tutti»: «Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti» (n.118).
6. Il potere incontrollato dell’economia
La logica puramente capitalistica delle multinazionali farmaceutiche – «gli affari sono affari…» – si è peraltro evidenziata anche nei confronti degli stessi Paesi ricchi, talora costretti a contratti iugulatori dalla loro condizione di debolezza verso chi deteneva il quasi monopolio di un farmaco indispensabile. Per non parlare dei ritardi e del mancato rispetto di questi accordi, di cui alcuni paesi sono stati vittime, protestando e minacciando azioni legali, ma trovandosi obbligati, alla fine, a fare buon viso a cattivo gioco.
È il prevalere del potere economico su quello politico, energicamente denunziato da papa Francesco, sia nell’ultima enciclica, sia nella precedente, «Laudato si’» , con il conseguente venir meno del primato del bene comune a favore degli interessi privati.
Non sembra esagerato prevedere che – se è vero, come sostengono alcuni scienziati, che il Covid-19 è solo il primo di una serie di virus che potrebbero in futuro aggredire l’umanità provocando pandemie non meno gravi di quella in corso – il mondo di domani è destinato ad essere controllato non dai politici, non dai militari, non dagli scienziati, ma dalle multinazionali farmaceutiche, da cui dipenderà la sopravvivenza fisica delle popolazioni.
C’è a chiedersi se sia questo il senso della giusta valorizzazione della proprietà privata. Citando la sua enciclica precedente, Francesco ha ricordato nella «Fratelli tutti» che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata» (n.120).
7. «Se li mori moiano»
Ma il deterioramento più grave non è quello che colpisce il sistema, bensì la regressione umana che questa situazione rivela. Le parole del segretario generale dell’ONU costituiscono una risposta a chi trovava pessimistica l’affermazione della «Fratelli tutti» secondo cui «nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono» (n.30).
Questo appare ancora più doloroso se si pensa che buona parte della popolazione privilegiata appartiene all’area occidentale del pianeta, cresciuta nella tradizione cristiana. Torna in mente il caso di quel frate, cappellano su una nave negriera, che nel suo diario, registrando con preoccupazione la difficile situazione in cui i naviganti si trovavano a causa di una bonaccia che immobilizzava il veliero, soprattutto la mancanza d’acqua, annotava con innocente franchezza il suo auspicio che il capitano decidesse di riservarla, da quel momento in poi, di riservarla solo all’equipaggio, non distribuendola più agli schiavi ammassati nella stiva. «E, se li mori moiano», concludeva, «ci vuol pazienza».
Può darsi che si trovino dei rimedi parziali alla grave situazione di discriminazione e di ingiustizia che abbiamo davanti agli occhi. Ma i problemi che essa evidenzia non si risolvono con mosse tattiche. È il sistema che va cambiato. Questo, però, esige un risveglio delle coscienze e una mobilitazione dell’opinione pubblica dei Paesi sviluppati – a cominciare dal nostro. L’alternativa è tra l’indifferenza di cui parla papa Francesco, e una rivolta etica (non necessariamente religiosa) che rifiuti di rassegnarsi a pensare che «se li mori moiano, ci vuol pazienza».
Recensione a G.Guizzi, Il «caso Balzac». Storie di diritto e letteratura, il Mulino, 2020, pp. 275
di Michele Perrino[*]
Se, nell’universo del diritto quale (almeno, essenzialmente) pratica sociale, neppure la scienza giuridica, quale scienza - appunto - eminentemente pratica è esclusivo appannaggio dei giuristi di professione, arricchendosi dell’apporto conoscitivo di tutti i soggetti in essa coinvolti; se ciò è vero, la più ampia e variegata “esperienza giuridica” è in realtà patrimonio, storia e vita quotidiana di tutti.
Ecco dunque come appaia naturale che, anche in letteratura, il cosiddetto romanzo realista non possa che incontrarsi con il diritto, quale componente immancabile dell’esperienza umana che quel romanzo vuole artisticamente presentare. Ed ecco anche come ben si spiega che Honoré de Balzac, da molti considerato il padre del romanzo realista, anche se di un realismo da “visionnaire passionné” (così come, è lo stesso libro qui recensito a rammentarlo, ebbe a definirlo Baudelaire) poiché intriso di partecipazione umana e presa di posizione morale, non potesse, nel redigere la monumentale opera della Comédie Humaine, non incontrare ad ogni passo l’esperienza giuridica, spesso ritratta nella dimensione delle amare vicissitudini dei protagonisti della stessa Commedia, quale metafora della vita umana. E ciò tanto più considerata la biografia di Balzac, che ricevette – malgrado l’innata vocazione letteraria – una iniziale formazione giuridica presso la Facoltà di diritto di Parigi dell’epoca e poi nel praticantato notarile e soprattutto da avvocato.
In questo fortunato e tutto speciale incrocio fra diritto e letteratura, ci guida con mano sapiente il recente lavoro di Giuseppe Guizzi dal titolo Il «caso Balzac». Storie di diritto e letteratura. E lo fa parlando non solo ai giuristi, ai quali pur offre una preziosa occasione “per guardare al diritto attraverso la lente della letteratura” balzachiana, con un felice esempio di Law and Literature. In effetti, dichiarato intento dell’Autore – professore ordinario e ben noto studioso di diritto commerciale, al tempo stesso impegnato intensamente e a vasto raggio nell’attività forense e in molto altro dell’esperienza professionale giuridica più qualificata – è principalmente quello di rivolgersi al “lettore meno avvertito sulle tematiche giuridiche”, per aiutarlo ad inquadrare il contesto storico-giuridico nel quale si muovono i personaggi della Comédie humaine e così cogliere i temi giuridici che sovente sono parte integrante della trama delle relative storie; e, al tempo stesso, a riconoscere, di quella esperienza giuridica e umana di cui la Commedia è il ritratto, “quanto ci può essere di comune e di eternamente irrisolto in ordine ai medesimi problemi quali si presentano ancora nel mondo moderno”: così da avvedersi di come il realismo dei romanzi balzachiani, pur descrivendo una realtà storicamente individuata, anche sotto il profilo delle vicende giuridiche che ne travagliano i personaggi, attinga in effetti, anche sotto il profilo del diritto e della sua umana esperienza, una “verità interiore” ben più duratura della realtà storica descritta (è ancora il libro di cui si scrive a ricordarlo, citando le parole usate da Hugo von Hofmannsthal, nell’introdurre l’edizione tedesca della Comédie del 1908).
La sterminata produzione di Balzac si svolge al tempo della c.d. Monarchia di luglio (1830-1848); ma le vicende narrate affrontano temi giuridici con radici profonde nella evoluzione normativa francese ed europea di tanti decenni addietro: dalle prime forme di statalizzazione del diritto e proto-codificazione, con le due Ordonnance di Luigi XIV, quella de commerce del 1673 (c.d. Code Savary) e l’ordinanza sulla navigazione marittima del 1681, nel campo specifico del diritto degli affari, e con l’affermazione del primato della legge sul diritto durante l’Ancien Régime, fino alla convulsa produzione normativa a ridosso della Rivoluzione francese e poi alla stagione napoleonica ed ai monumenti giuridici del Code civil del 1804 e del Code de commerce del 1807, pur sempre in chiave di primazia del sovrano e della legge sul diritto, con definitiva realizzazione dell’assolutismo giuridico, ancorché raccogliendo in parte i frutti della Révolution, sul piano dei principi illuministici di autonomia e razionalismo; per giungere alla Restaurazione e infine, appunto, al Regno di Luigi Filippo, coevo all’opera balzachiana; con un passaggio progressivo dalla difficile coesistenza di un diritto consuetudinario (Droit coutumier) di matrice germanica, prima radicato nella Francia settentrionale, con un diritto scritto promanante dal sovrano (Droit écrit), in precedenza più diffuso a sud del Paese, fino alla assoluta prevalenza del secondo sul primo.
Di quella evoluzione Giuseppe Guizzi offre nel libro una rappresentazione accurata quanto suadente, ripartita per macrosettori del diritto privato patrimoniale – il diritto dei contratti, delle successioni, dell’intermediazione finanziaria, dell’iniziativa economica e della concorrenza, dell’insolvenza e del fallimento, del mercato bancario e mobiliare, con una fulminante incursione nella crisi della giustizia e nei meccanismi (spesso squilibrati ed illusori) di risoluzione negoziata delle controversie per via di transazione – e svolta in costante contrappunto (di qui lo speciale fascino della ricostruzione, poiché ancorata a volti e storie umane, ancorché letterarie) con le opere e i personaggi fondamentali di Balzac.
Così, l’illusorietà degli astratti fondamenti illuministici della disciplina del contratto nel Code civil, in chiave di autonomia e capacità razionale del soggetto di autodeterminarsi, nel risolversi facilmente - in assenza di meccanismi di riequilibrio dei rapporti effettivi di forza contrattuale - nell’ingiustizia concreta del contratto, si rispecchia nelle vicende de Il curato di Tours, parte debole delle macchinazioni negoziali intessute da mademoiselle Gamard, così come nella sperequata vendita dei gioielli della contessa de Restaud all’usuraio Gobseck, e ancora nell’acquisto a prezzo vile della collezione d’arte del musicista Pons da parte del mercante Magus in Le cousin Pons, profittando oltretutto della buona fede di Schumcke, amico del cedente; nonché nelle inique negoziazioni cui soggiace il tipografo David Séchard con il padre prima, poi con i propri concorrenti fratelli Cointet nelle Illusioni perdute.
Le lotte per l’accaparramento di eredità innescate dalla imperfetta disciplina successoria introdotta dal Code civil (nel compromesso politico fra il riconoscimento, di radice romanistica, della libertà individuale testamentaria e l’imposizione di limiti alla stessa libertà, onde scongiurare la caccia ai vecchi successibili di cui rendersi beneficiari, tutelare la conservazione dei patrimoni famigliari e assicurare l’adempimento del dovere di provvedere ai bisogni dei prossimi congiunti) è esemplificata, in Ursule Mirouët, nelle dolorose vicende del dottor Minoret e della protetta Ursule rispetto alle brame degli eredi legittimi del primo, e ancora una volta in Le cousin Pons, nelle traversie di Pons esposto alle mire ereditarie di madame Camusot.
Le pratiche usurarie capaci di essere attuate, sfruttando le pieghe della disciplina della concessione di credito e dei titoli cambiari dell’epoca – anch’essa puntualmente ricostruita da G.Guizzi –, da parte di avidi profittatori, trovano plastica rappresentazione nel personaggio già richiamato dell’usuraio olandese Gobseck, o nel vortice in cui cade la contessa de Vandenesse pur di consentire al suo amante di pagare le cambiali in Une fille d'Ève.
I problemi suscitati dalla inadeguatezza della disciplina introdotta dal Code de Commerce nel 1807 - malgrado il suo progetto innovatore - nel cogliere il passaggio da un modello a capitalismo prettamente commerciale ad una economia di produzione industriale, con lacune ardue da colmare, vengono incarnati nell’avventura imprenditoriale del profumiere César Birotteau, allorché questi si avventura in una nuova impresa produttiva in forma societaria con il proprio commesso; e ancora Illusioni perdute ritraggono l’infausta battaglia competitiva che vede David Sechard soccombere rispetto ai più aggressivi e spregiudicati concorrenti Cointet.
Gli effetti di una regolazione eccessivamente punitiva dell’insolvenza, con la previsione fra l’altro dell’arresto interinale del fallito e di una procedura a forte connotazione autoritativa, trovano espressione nelle vicende, tratte da Eugénie Grandet, di Victor Grandet e dei tentativi del fratello Félix (il Papà Grandet) di comporne l’insolvenza facendosi beffe dei creditori, cui fa da contraltare il generoso intervento di Eugénie nel ripianare i debiti del cugino Charles, figlio del fallito, onde fugare l’infamia pure su di lui ricaduta, che ne avrebbe precluso l’ambita ascesa sociale; ed è ancora César Birotteau a tornare qui, impersonando la figura del fallito ex commerciante di profumi convertitosi all’industria, ora precipitato nell’insolvenza all’esito di manovre azzardate e condotte ingannevoli attuate pur di giungere alla ricchezza.
Così come è di nuovo il Papà Grandet del romanzo Eugénie Grandet a formare il modello letterario dello speculatore senza scrupoli, in un periodo di forti tensioni della finanza pubblica e di mutamenti legislativi, dove alla più restrittiva regolamentazione introdotta da Napoleone del mercato mobiliare ufficiale risponde presto la formazione di un mercato parallelo e sregolato (la Coulisse), e dove diviene facile arricchirsi profittando della campagna di vendita dei beni sottratti dallo Stato al clero e dell’altalenante mercato dei titoli di debito pubblico; cui si aggiunge il ritratto del banchiere alsaziano Frédéric de Nuncingen, che compare sia in Le Père Goriot che ne La Maison Nucingen, autentico esempio di predatore finanziario senza scrupoli, ascritto da Balzac alla categoria dei banchieri bollati come “lupi cervieri”.
E tornano infine, nel tratteggiare la profonda crisi della giustizia dell’epoca, pur a fronte delle riforme napoleoniche, le vicende di David Séchard nelle Illusioni perdute, di César Birotteau, di Schmucke in Le cousin Pons; insieme a quelle de Il colonello Chabert, reduce di guerra creduto morto e poi in vario modo impedito a riprendere il suo posto nella famiglia e nella società, nonché alle traversie del retto giudice istruttore Jean-Jules Popinot ne L’interdiction, travolto da maneggi politico-giudiziari a vantaggio della marchesa d’Espard che briga per far interdire il marito; senza che alle disfunzioni della giustizia valgano a porre sempre rimedio le soluzioni compositive negoziate – di modo che non sempre “un cattivo accomodamento vale più di un buon processo”, secondo l’antico adagio che compare nelle Illusioni perdute – dato che la transazione, che è pur sempre un contratto, patisce di questo i possibili, sopra denunziati squilibri.
Ne risulta un animato affresco, insieme, dell’opera balzachiana e del suo scenario storico-giuridico, nel quale i problemi del diritto e della giustizia condizionano ad ogni passo vicende ed esiti dei rapporti umani. Balza altresì nitido, dalla chiara rappresentazione offerta nel libro di Giuseppe Guizzi, il giudizio dello scrittore Balzac sull’esperienza giuridica oggetto delle sue opere: un giudizio disincantato e pensoso, spesso negativo, al cospetto di un mondo in cui si può avere “ragione in fatto e torto in diritto”, dell’avidità dei protagonisti pronti a piegare le regole al proprio tornaconto, dell’impotenza e a volte sordità del sistema giudiziario; dove si assiste ad un aspro conflitto fra diritto e giustizia, in cui “non sempre l’assetto di interessi imposto dalla legge è necessariamente quello più giusto”, o in altre parole in cui il diritto non attinge la giustizia, vista – non senza echi giusnaturalistici – come quella “conforme alla natura delle cose”.
In questa sostanziale sfiducia balzachiana nella giustizia umana, oltre che la caduta generale dei costumi nella società protagonista dei suoi romanzi, innervata di cupidigia in una temperie culturale, quella della Monarchia di luglio, che appare guidata dalla parola d’ordine dell’Enrichissez-vous, il ceto dei giuristi è, come e più degli altri cittadini, chiamato sul banco degli imputati: fra notai distratti o non equidistanti, o che perfino fuggono con il denaro dei clienti; avvocati (con l’eccezione di Derville) impegnati nel sabotaggio dei procedimenti, nella produzione di cavilli e nell’avvio di contestazioni pretestuose; magistrati (anche qui con salvezza del buon giudice Popinot, che proprio perciò si vede “sistematicamente posposto nelle progressioni di carriera”) poco disponibili alle ragioni della giustizia e piuttosto “arsi dal fuoco dell’ambizione”; professori universitari – ma qui passando dall’opera balzachiana alla realtà dell’epoca, come ricostruita dall’Autore nel libro qui recensito – supinamente (anche qui, è ancora G.Guizzi a rammentarlo, con le dovute eccezioni, come quella di François Nicolas Bavoux, processato per aver osato segnalare ai suoi studenti la necessità di riforma di disposizioni del codice penale) ridotti al ruolo di pavidi dettatori ed esegeti pedissequi della norma imposta dal sovrano.
Di tutto ciò Giuseppe Guizzi ci consegna una ricostruzione attenta quanto misurata e fluida, ricca di richiami alla letteratura critica balzachiana, a quella storico-giuridica così come alla dottrina giuridica civilistica e commercialistica sia storica che contemporanea, senza che mai ne risulti appesantito il testo, quasi diremmo senza avvedercene, per lo più in agili note a piè di pagina, mentre fluisce la rappresentazione come se questa consistesse, oltre che in un raffinato saggio di diritto e letteratura – quale in effetti è –, per così dire anch’essa una prova di letteratura nei e fra i romanzi di cui si discorre; con corredo di richiami – pure questi quasi in sordina e solo per chi voglia coglierli – agli eclettici interessi dell’Autore, suscitati dalla ricchezza delle opere balzachiane richiamate poste a confronto con la sua sensibilità: come quando si interroga su quale trascrizione per pianoforte della settima sinfona di Beethoven sia eseguita da Ursule Mirouët nel romanzo omonimo, o approfondisce il senso per cui Balzac fa risuonare il movimento eroico della finale della quinta sinfonia dello stesso Beethoven nella mente di César Birotteau, allorché questi ottiene la riabilitazione dopo il suo fallimento, poco prima di morire sopraffatto dalle emozioni; o nelle citazioni filosofiche (Husserl, Gadamer, per dirne solo alcuni) e anche cinematografiche, dal Monsieur Verdoux di Charlie Chaplin al Gordon Gekko del film Wall Street di Oliver Stone.
Altro non è da dire in una recensione, per non privare il lettore del piacere della sua lettura. L’intento che Giuseppe Guizzi dichiara in principio del volume – schermendosene, con la ritrosia e misura che gli conosciamo, come fosse un eccesso di ambizione – di attrarre i lettori ad una più estesa conoscenza dell’opera balzachiana, così anche da indurre gli editori ad una sua più ampia pubblicazione in lingua italiana, è - credo - pienamente raggiunto: a partire da chi scrive, che a Balzac si accostò anni addietro quasi per caso, attraverso quella commovente gemma che è Il colonnello Chabert. Al contempo, la lettura del volume è, per i giuristi che in varie vesti concorrono al farsi dell’esperienza giuridica, occasione per riflettere su modi e ragioni del proprio ruolo e contributo.
[*]Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Univesità degli Studi di Palermo
Bruno Capponi intervista Gilda Policastro
Gilda Policastro è una studiosa di Letteratura italiana, una critica letteraria e una scrittrice. Ha pubblicato diversi saggi, libri di poesia, romanzi. Insegna scrittura creativa presso l’Accademia “Molly Bloom” (con sedi a Roma e Milano), cura la rubrica settimanale “La Bottega della poesia” per l’edizione romana de “La Repubblica”. Tiene seminari di Diritto e Letteratura presso l’Università Luiss-Guido Carli. Ad aprile uscirà il suo nuovo romanzo per La Nave di Teseo.
1) Cosa fa una letterata – poetessa, romanziera, critica – in un dipartimento di giurisprudenza?
C’è un aspetto destinale e uno occasionale. Il primo è legato a una mia passione molto precoce per la giustizia: il primo romanzo che ho letto da ragazzina è stato Delitto e castigo e ricordo discussioni interminabili con mio fratello maggiore su cosa fosse il “diritto”, inteso come possibilità o presunzione di conoscere, ed eventualmente perseguire, come pretende di fare Raskolnikov, il bene dell’umanità. Mi sarebbe piaciuto studiare Giurisprudenza, ma caso più unico che raro, la mia famiglia mi incoraggiò nella direzione della Letteratura, per cui ero evidentemente portata, stando agli insegnanti e ai voti del liceo. Grazie al mio secondo romanzo, che era ambientato all’Università e parlava anche di concorsi, mi sono ritrovata a un incontro con dei giuristi, tra cui il Prof. Capponi, che in quest’occasione veste gli inediti panni di intervistatore (sorrido). Da quell’incontro, l’idea di proporre agli studenti una serie di Testimonianze sul Diritto come tema letterario e, in seguito a un altro incontro decisivo, quello col Consigliere Alfredo Storto, che collabora con l’Accademia della Crusca, l’idea ulteriore di un ciclo di seminari sulla “semplificazione della lingua del Diritto”.
2) Quali considerazioni ti suggerisce la lettura delle sentenze della Corte di cassazione che hai discusso con i tuoi studenti?
Per un parlante comune, la lingua del diritto può risultare davvero oscura: ed è il motivo per cui gode di così cattiva fama presso gli scrittori. Nel mio percorso didattico, rileggo con gli studenti Boccaccio, Ariosto, Manzoni, e poi i grandi romanzieri moderni, da Dickens a Dostoevskij, arrivando naturalmente a Kafka, che mostra meglio di tutti l’ingranaggio perverso in cui ci può trascinare la mancata conoscenza della legge, anche dal punto di vista linguistico (com’è evidente, ad esempio, nella cavillosa spiegazione interna al romanzo delle parole che utilizza il custode a danno dell’uomo di campagna nella “parabola della legge”). Per un letterato, abituato a conoscere la lingua nei suoi aspetti “differenziali” (rispetto alla lingua della comunicazione corrente), non è poi così traumatico ritrovarsi di fronte a un testo altamente formalizzato, con una sintassi spesso tortuosa e delle parole che non sono di uso comune (i cosiddetti tecnicismi). Quello che mi sorprende di più è la difficoltà da parte degli specialisti di registrare e dar conto dei cambiamenti della lingua nel tempo: ma è un aspetto che riguarda finanche la poesia contemporanea, non solo i saperi e i linguaggi speciali. Un altro aspetto curioso è che a difendere la specificità della lingua del diritto e la necessità che rimanga distante dalla lingua “che si parla al bar” siano anche gli studenti, che probabilmente per i loro studi specialistici acquisiscono una precoce familiarità con gli strumenti e il linguaggio talvolta effettivamente impervio del diritto.
3) Nel 2015, una sentenza delle Sezioni Unite Civili ha deciso che gli atti del processo, e dunque anche la sentenza, non sono protetti dal diritto d’autore, e quindi possono essere replicati (copia-incollati) senza incorrere in violazioni. Che pensi di questa impostazione?
Non mi sorprende se penso alla concezione del diritto che ho visto più radicata, nei miei studi recenti sull’argomento. Un sapere millenario e pressoché immobile dal Placito Capuano alle sentenze dell’altro ieri che commentiamo in classe. Però, proprio in considerazione degli studi più aggiornati, ho preso a riflettere su quello che la linguista Patrizia Bellucci in un suo libro intitolato A onor del vero (fondamenti di linguistica giudiziaria), chiama “l’aspetto creativo” della formulazione di una sentenza. Se l’invito dei linguisti ai giuristi è a considerare una sentenza nel contesto particolare e a ricreare, di quel contesto, le specificità (culturali, sociali, politiche, caratteriali) in un senso latamente “letterario”, non capisco perché non si debba tutelare, di una sentenza, anche l’autorialità. Ma qui forse sono in gioco questioni troppo specifiche e il mio sapere si arresta sulla soglia.
4) Pur non essendo una giurista, sei una professionista della parola: come pensi debba essere redatta una sentenza per riuscire comprensibile?
Meglio di me lo hanno spiegato eminenti linguisti come Bice Mortara Garavelli, Tullio De Mauro e Luca Serianni: è necessario che la sentenza non replichi pedissequamente quegli stereotipi che hanno reso il linguaggio del diritto l’obiettivo polemico degli scrittori, dal latinorum manzoniano ai paradossi del Commissario Magrelli (alter-ego leguleio di uno dei più importanti poeti contemporanei). Dall’inversione dell’ordo naturalis (che è anche una tabe del “poetese”, ovvero della concezione della poesia più attardata e paludata) alla tendenza al nominalismo e all’astrazione, all’eccessivo impego di eufemismi, perifrasi, dittologie sinonimiche, arcaismi, tecnicismi e così via. È convinzione unanime che un modello di chiarezza e precisione ancora valido sia la Costituzione, che non a caso fu stesa da giuristi e linguisti insieme. Una riflessione molto importante che condivido da subito con gli studenti la mutuo da Gian Luigi Beccaria, che tra l’altro ha coniato la definizione di “linguaggi settoriali”: la lingua del diritto è un codice, quindi è pensata per una cerchia limitata di persone, e però per scopi che riguardano tutta la comunità. È un concetto fondamentale, che vale, in generale, per tutti i linguaggi speciali, dalla medicina all’economia: la precisione non deve andare a scapito dell’accessibilità e, aggiungeva De Mauro, se da parte dei parlanti deve esserci uno sforzo di acquisizione di competenze e di conoscenze, in generale, rispetto a tutti gli ambiti del sapere, chi detiene in partenza delle conoscenze specialistiche non deve far valere le proprie competenze come arma di potere e sopraffazione, ma metterle a servizio del bene comune.
4) Cosa pensi dei corsi universitari impartiti da remoto?
Nonostante viva, per lavoro, di fronte a uno schermo per la quasi totalità delle mie giornate (o forse proprio per questo), all’inizio per me è stato decisamente straniante rinunciare alla dimensione dell’incontro “reale” con la classe: ma credo di averci fatto presto l’abitudine e mi pare così sia stato a maggior ragione per le generazioni dei cosiddetti nativi digitali. Io la mia tesi di laurea l’ho scritta con un pc in prestito, perché ancora non ne avevo uno, e il mio primo cellulare l’ho avuto dopo la laurea. Pleistocene, rispetto alle competenze di mio nipote di sei anni, che manovra agilmente il pc e il telefono del papà da quando ne aveva tre. Dubito sia un vero problema, dal punto di vista dell’apprendimento, stare seduti alla scrivania di casa propria invece che su un banco in aula, specie per persone già adulte e formate come gli studenti universitari. Lo è di più per la socialità, che certamente è un nucleo importante delle nostre vite, ma in una emergenza sanitaria senza precedenti nella storia recente è stato un prezzo da pagare per tutti, e credo che stia alle famiglie non indulgere troppo alla retorica della giovinezza negata (dalla pandemia, più che dalle misure adoperata per contrastarla). Non siamo in guerra, per fortuna.
5. Alla luce dell’esperienza fatta in un dipartimento di giurisprudenza, cosa ti sentiresti di dire ai giovani giuristi?
Mi ha sorpreso molto vedere pochissime mani alzate quando ho chiesto chi avesse letto Delitto e castigo o Il Processo, quindi l’invito spero non troppo paternalistico è quello a conservare degli spazi di curiosità e di approfondimento della conoscenza non solo intesa in senso professionale o finalizzabile, ma anche come fonte di evasione e di godimento, perché la letteratura è anche, anzi, primariamente questo. Devo però anche confessare la soddisfazione provata nel ricevere la mail di un’ex studentessa, ormai laureata, che mi ringraziava per aver “declamato Eschilo in classe con tanta passione”. Magari non ho propriamente “declamato” (ma non ci giurerei…), e però è vero che la mia passione per la letteratura e il diritto viene anche dai miei trascorsi classici: confrontarmi con le aporie della tragedia, e col senso del tragico che si annida nell’esistenza, è stato per me uno dei momenti più alti della formazione e poterlo trasmettere ad altre generazioni, credo sia davvero un momento emozionante (un’emozione non “sentimentale”, ma “intellettuale”, come diceva un poeta a me caro, Nanni Balestrini). Il grande vantaggio dello studio è che puoi non smettere mai. Quanto all’insegnamento, non l’ho mai considerato un travaso di nozioni, ma un incontro stimolante al di qua come al di là della cattedra.
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