La proposta di Direttiva COM(2020) 314: i nuovi obblighi di comunicazione in capo ai gestori delle piattaforme digitali
di Valentina Di Marcantonio
Sommario: 1. Introduzione: le questioni fiscali connesse alla digital economy - 2. La cooperazione amministrativa nel settore fiscale: la Direttiva 2011/16/UE - 3. La proposta di Direttiva COM(2020) 314 final della Commissione europea - 4. Conclusioni.
1. Introduzione: le questioni fiscali connesse della digital economy
L’avvento della c.d. digital economy ha comportato una serie di problematiche di carattere fiscale dovute alla difficoltà di applicare regole e criteri impositivi elaborati in un contesto di c.d. old economy e, pertanto, plasmati su una concezione dell’attività di impresa che ne postula indefettibilmente lo svolgimento mediante una presenza “fisica” nel territorio dello Stato[1].
Invero, le principali caratteristiche dell’economia digitale - quali l’utilizzo di intangibles, l’uso massiccio di dati e l’adozione di modelli di business c.d. multilaterali - consentono alle imprese che operano nel settore del digitale di smaterializzare la propria attività e di destrutturare le proprie funzioni, che un tempo venivano considerate principali, in attività meramente ausiliarie e, pertanto, inidonee a configurare una presenza fiscalmente rilevante sub specie di “stabile organizzazione”.
Secondo le regole “tradizionali”, uno Stato è legittimato ad esercitare la propria potestà impositiva nei confronti dei contribuenti che presentino un collegamento con il territorio dello Stato di tipo “personale” o di tipo “reale” se si tratta di soggetti non residenti nel territorio dello Stato; ove si tratti di imprese non residenti, il criterio di collegamento reale è rappresentato dall’esistenza di una di presenza nel territorio tale da configurare una stabile organizzazione materiale o personale.
La capacità delle imprese del digitale di operare a distanza senza disporre di una presenza fisica nel c.d. market jurisdiction determina, spesso, una divergenza tra lo Stato in cui è sostanzialmente localizzato il business dell’impresa ed il luogo in cui il reddito generato da tale business viene formalmente conseguito ed assoggettato ad imposizione, stante l’inoperatività tanto del criterio di connessione personale, non essendo i soggetti fiscalmente residenti nello Stato, quanto di quello reale, non disponendo l’impresa di una soglia di presenza tale da integrare una stabile organizzazione.
Tale circostanza ha reso necessario l’intervento sia delle Istituzioni sovranazionali - tra le quali, ma non solo[2], l’OCSE[3] e l’Unione Europea - sia dei singoli Stati, volto a realizzare un’imposizione più equa attraverso tanto un ripensamento dei criteri di collegamento con il territorio del c.d. Stato della fonte, quanto il rafforzamento dei meccanismi di cooperazione e assistenza tra gli Stati.
Sotto il primo profilo, le soluzioni finora prospettate si muovono lungo due grandi linee direttrici: la creazione di nuovi criteri volti ad istituire un nexus con lo Stato nel quale l’impresa opera e produce reddito[4] e la revisione dell’attuale criterio della stabile organizzazione con l’introduzione di concetti come quelli di “presenza digitale significativa” o di “presenza economica significativa”.
Peraltro, stante la difficoltà di raggiungere una soluzione condivisa a livello internazionale in ordine alle soluzioni appena prospettate, numerosi Stati hanno provveduto ad “autotutelare” la base imponibile di propria spettanza attraverso l’introduzione in via unilaterale di fattispecie impositive o antielusive destinate ad operare finché non intervenga un accordo a livello sovranazionale. Alcune di queste fattispecie riguardano specificamente le imprese che operano nel settore del digitale (si pensi alla c.d. digital service tax o alla c.d. equalisation levy), mentre altre hanno un ambito applicativo più esteso, tale da ricomprendere le multinazionali in generale (si pensi alla c.d. diverted profits tax).
Anche l’Unione Europea, prendendo atto della difficoltà di raggiungere una soluzione condivisa in ambito OCSE, ha avvertito l’esigenza di intervenire per scongiurare le ripercussioni negative che l’assunzione di iniziative unilaterali da parte degli Stati membri ha sul mercato unico.
In particolare, le proposte elaborate finora dall’Unione Europea sono destinate ad operare tanto sul piano del diritto sostanziale, mediante l’introduzione di una digital service tax comune agli Stati Membri[5] e della nozione di “presenza digitale significativa” quale ulteriore ipotesi di stabile organizzazione[6], quanto sul piano procedimentale, mediante il rafforzamento dei meccanismi di cooperazione tra gli Stati membri e l’imposizione di obblighi di trasparenza in capo agli operatori.
2. La cooperazione amministrativa nel settore fiscale: la Direttiva 2011/16/UE
Prima di esaminare la proposta di Direttiva sulla trasparenza per le piattaforme digitali, giova soffermarsi brevemente sul contesto nel quale essa è destinata ad inserirsi in caso di approvazione.
La globalizzazione dell’economia, con il conseguente avvento di contribuenti multinazionali ed il proliferare di operazioni transfrontaliere, ha reso sempre più necessari gli interventi che già da diversi decenni le Istituzioni sovranazionali hanno cominciato ad attuare per rafforzare la cooperazione tra le amministrazioni degli Stati, stante la difficoltà che le autorità fiscali nazionali incontrano nell’accertare l’ammontare delle imposte dovute senza disporre di adeguate informazioni.
Nel corso del tempo, la suddetta esigenza di assicurare efficaci meccanismi di collaborazione e di assistenza è stata avvertita sia in ambito OCSE sia a livello convenzionale sia a livello europeo[7].
Per quanto concerne in particolare l’Unione Europea, il quadro normativo di riferimento è rappresentato da una serie di atti normativi che disciplinano lo scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie degli Stati membri e l’attività di assistenza che ciascuno Stato Membro è tenuto a prestare al fine di agevolare il recupero dei crediti tributari vantati da altro Stato Membro.
Per quanto riguarda l’IVA, le dogane e le accise (ossia i tributi c.d. armonizzati), gli atti normativi di riferimento sono rappresentati, rispettivamente, dal Regolamento (UE) 7 ottobre 2010 n. 904 del Consiglio in materia di cooperazione amministrativa e lotta contro la frode IVA, dal Regolamento 515/1997/CE e dal Regolamento (UE) n. 389 del 2 maggio 2012.
Al di fuori delle suddette fattispecie impositive, la materia della cooperazione tra gli Stati Membri è disciplinata dalla Direttiva 2011/16/UE, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, che abroga la precedente Direttiva 77/799/CE e si allinea agli standard informativi delineati dall’OCSE; tale Direttiva è stata attuata in Italia con il Dlgs. n. 29 del 2014.
In particolare, per quanto riguarda l’ambito oggettivo di operatività, tale Direttiva si applica “alle imposte di qualsiasi tipo riscosse da o per conto di uno Stato Membro o delle ripartizioni territoriali o amministrative di uno Stato Membro, comprese le autorità locali”, ad eccezione delle fattispecie espressamente menzionate dal secondo paragrafo dell’art. 2 della Direttiva stessa[8].
Per quanto concerne le modalità di scambio delle informazioni tra le amministrazioni finanziarie degli Stati Membri, la Direttiva riprende la tradizionale tripartizione tra: a) lo scambio su richiesta, che opera quando l’autorità di uno Stato Membro richiede all’autorità di un altro Stato Membro informazioni che siano “prevedibilmente pertinenti per l’amministrazione e l’applicazione della legge nazionale”; b) lo scambio automatico obbligatorio, previsto in relazione ad una serie di categorie reddituali e progressivamente esteso ai ruling preventivi transfrontalieri, agli accordi preventivi in materia di prezzi di trasferimento ed al country-by-country reporting e sul quale incide la proposta di Direttiva COM(2020) 341 final della Commissione europea (v. infra); c) lo scambio spontaneo tra le autorità delle informazioni che siano “prevedibilmente pertinenti per l’amministrazione e l’applicazione della legge nazionale” al ricorrere di talune situazioni.
3. La proposta di Direttiva COM(2020) 314 final della Commissione europea
Facendo seguito alle indicazioni del Consiglio del 29 maggio 2020, nel luglio 2020 la Commissione ha presentato la proposta di Direttiva COM(2020) 314 final volta ad apportare ulteriori emendamenti alla Direttiva 2011/16/UE con effetto a partire dal 1° gennaio 2023; tale proposta è stata in seguito modificata ed integrata ad opera del Consiglio Ecofin del 25 novembre 2020.
In particolare, la suddetta proposta mira, da un lato, a migliorare le disposizioni già esistenti in materia di cooperazione tra le amministrazioni nazionali e, dall’altro, ad estendere l’ambito di operatività dello scambio automatico a talune informazioni fornite dai gestori di piattaforme digitali, nel rispetto del principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 TFUE e del principio di proporzionalità.
Sotto il primo profilo, essa contempla: l’introduzione di un nuovo art. 5 bis, volto a definire meglio il concetto di “prevedibile rilevanza” delle informazioni richieste dalle autorità; l’introduzione di un apposito paragrafo del predetto art. 5 bis, dedicato alle richieste collettive concernenti gruppi di contribuenti; l’integrazione degli art. 8 e 8 bis della Direttiva 2011/16/UE, mediante l’estensione dello scambio automatico di informazioni ai canoni e l’ampliamento del novero delle informazioni da trasmettere; infine, il rafforzamento della cooperazione amministrativa tra le autorità degli Stati Membri mediante la previsione di audit congiunti disciplinati dal nuovo art. 12 bis.
Sotto il secondo profilo, la proposta prevede che i “gestori di piattaforme con obbligo di comunicazione”[9] raccolgano una pluralità di informazioni concernenti i “venditori oggetto di comunicazione”, che sono definiti come “gli utenti registrati di una piattaforma che durante il periodo oggetto di comunicazione svolgono una delle “attività pertinenti”[10] e soddisfano talune condizioni”[11].
In particolare, i suddetti gestori, dopo aver raccolto le informazioni indicate dall’Allegato V, le devono verificare avvalendosi di tutte le informazioni e i documenti a loro disposizioni presenti nei loro registri, nonché in qualsiasi interfaccia elettronica messa a disposizione da uno Stato Membro o dall’Unione a titolo gratuito per accertare la validità del NIF o del numero di partita IVA.
I gestori delle piattaforme devono completare le procedure di due diligence previste dalla Sezione II del suddetto Allegato V entro il 31 dicembre del periodo di riferimento.
Da ultimo, i gestori devono comunicare le suddette informazioni non oltre il 31 gennaio dell’anno successivo all’anno solare in cui il venditore è stato identificato come “venditore oggetto di comunicazione”. Per alleviare gli oneri amministrativi gravanti sui gestori, la proposta stabilisce che tale comunicazione vada effettuata nel solo Stato Membro in cui il gestore soddisfa le condizioni di cui al paragrafo A (4) della Sezione I dell’Allegato V; se il gestore soddisfa tali condizioni in più Stati Membri, la comunicazione va effettuata nello Stato Membro scelto dal gestore stesso.
Una volta adempiuti gli obblighi di comunicazione posti a carico dei gestori delle piattaforme. si prevede l’operatività del meccanismo dello scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri interessati. In particolare, le informazioni comunicate dal gestore di cui al paragrafo 2 dell’art. 8 bis quater devono essere trasmesse dalle autorità fiscali dello Stato Membro in cui è avvenuta la comunicazione agli Stati membri in cui il venditore oggetto di comunicazione si considera residente in base alla Sezione II dell’Allegato V e/o dello Stato Membro in cui è localizzato il bene immobile locato dal venditore. Tale trasmissione deve avvenire entro i due mesi successivi alla fine del periodo oggetto di comunicazione a cui si riferiscono gli obblighi di comunicazione del gestore.
Nel quadro così delineato dalla normativa UE spetterebbe ai singoli Stai membri stabilire le misure necessarie per imporre ai gestori delle piattaforme con obbligo di comunicazione di adempiere gli obblighi di due diligence in materia fiscale e gli obblighi di comunicazione, nonché la definizione delle norme in base alle quali i gestori possono scegliere di registrarsi presso le autorità competenti.
L’obiettivo delle descritte innovazioni è quello di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale consentendo alle amministrazioni nazionali di conseguire le informazioni necessarie per accertare correttamente i redditi prodotti nel territorio dello Stato Membro attraverso l’esercizio di talune attività che si avvalgono dell’intermediazione di piattaforme digitali; tali informazioni dovrebbero essere fornite alle autorità competenti prima che queste diano inizio alle attività di accertamento.
Al contempo, la proposta mira anche a semplificare gli oneri amministrativi gravanti sui gestori delle piattaforme, i quali, in assenza di uno standard comune di reporting obligation, sono chiamati a fornire informazioni alle singole autorità accertatrici e/o a conformarsi gli obblighi di comunicazione previsti da una moltitudine di legislazioni nazionali differenti.
Un profilo interessante attiene al rapporto tra la raccolta delle informazioni e la normativa in materia di protezione dei dati personali di fonte unionale. Tale rapporto ha formato oggetto della Opinion n. 6 del 28 ottobre 2020, con la quale il Garante Europeo per la Protezione dei Dati Personali ha formulato talune raccomandazioni volte a bilanciare l’esigenza di garantire il rispetto degli obblighi fiscali con l’interesse degli operatori alla privacy ed alla protezione dei dati personali[12].
4. Conclusioni
Come già rilevato, le novità attinenti agli obblighi informativi posti a carico dei gestori delle piattaforme digitali si inseriscono nell’ambito della politica in materia di imposizione della digital economy già da tempo intrapresa dall’Unione Europea, essendo le regole auspicate dalla Commissione europea destinate a completare - sul versante procedimentale - gli interventi già intrapresi dalla stessa Commissione - sul piano del diritto sostanziale - con la proposta di una digital service tax comune e della “presenza digitale significativa” quale forma di stabile organizzazione.
Sul punto, occorre peraltro rilevare che la necessità di realizzare un’imposizione fiscale più equa con l’introduzione di nuove regole impositive e quella di rafforzare gli strumenti di cooperazione tra le amministrazioni finanziarie sono state rese ancora più stringenti dalla recente emergenza epidemiologica. Quest’ultima, infatti, da un lato ha favorito il business delle piattaforme digitali rispetto a quello delle imprese “tradizionali” e, dall’altro, ha incrementato il bisogno degli Stati di reperire risorse finanziarie per contenere l’impatto economico negativo della pandemia di Covid-19[13].
Perciò, l’assunzione di iniziative legislative da parte della Commissione europea nell’attesa che si giunga ad una soluzione condivisa in ambito OCSE è certamente da guardare con favore.
Tuttavia, anche le proposte avanzate a livello unionale scontano difficoltà e lungaggini dovute alla regola dell’unanimità richiesta dagli artt. 113 e 115 TFUE nei processi decisionali attinenti ad alcuni settori della politica fiscale; di tali criticità hanno fortunatamente preso atto le Istituzioni europee, che da tempo auspicano il passaggio alla regola della maggioranza qualificata in diversi ambiti, tra i quali quello della imposizione sull’economia digitale e della cooperazione tra gli Stati[14].
[1] Per un’analisi sistematica dell’impatto della digital economy sulle regole impositive v. R. Succio, Digital economy, digital enterprise e imposizione tributarie: alcune considerazioni sistematiche, in Dir. Prat. Trib. n. 6 del 2020 pag. 2363.
[2] Anche altre organizzazioni internazionali sono intervenute sul tema della tassazione della digital economy (si veda, ad esempio, la proposta avanzata dall’ONU, consultabile al seguente link: https://news.bloombergtax.com/daily-tax-report-international/insight-united-nations-proposal-on-taxing-the-digital-economy).
[3] In ambito OCSE, le iniziative in materia di imposizione della digital economy si inseriscono nell’ambito del c.d. progetto BEPS (“Base Erosion and Profit Shifting”), la cui Action 1 è denominata “Tax Challenges arising from digitalisation”.
[4] V. il documento “Statement by the OECD/G20 Inclusive Framework on BEPS on the Two-Pillar Approach to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy”, OCSE, gennaio 2020, consultabile al seguente indirizzo: https://www.oecd.org/tax/beps/statement-by-the-oecd-g20-inclusive-framework-on-beps-january-2020.pdf.
[5] V. la proposta di Direttiva n. n. 2018/0073 (COM (2018) 148 final).
[6] V. la proposta di Direttiva n. 2018/072 (COM(2018) 147 final).
[7] Per una ricostruzione dell’evoluzione registratasi in materia di cooperazione e scambio di informazioni v. G. Melis, Manuale di diritto tributario, 1° ed., Torino, Giappichelli, 2020, pp. 120 e ss.
[8] Ai sensi dell’art. 2, par. 2, della Dir. 2011/16/UE “(…) la direttiva non si applica all’imposta sul valore aggiunto e ai dazi doganali o alle accise contemplate da altre normative dell’Unione in materia di cooperazione amministrativa fra Stati membri. La presente direttiva non si applica inoltre ai contributi previdenziali obbligatori dovuti allo Stato Membro o a una ripartizione dello stesso o agli organismi di previdenza sociale di diritto pubblico”.
[9] Con il termine “piattaforma” si intende ogni software, inclusi i siti web e le applicazioni mobili, accessibile agli utenti e anche consenta ai venditori di connettersi agli altri utenti al fine di svolgere in modo diretto o indiretto una “attività pertinente” (v. infra) destinata a tali utenti, mentre l’espressione “gestore della piattaforma” indica l’entità che stipula un contratto con i venditori per mettere loro a disposizione l’intera piattaforma o parte di essa. Tali gestori sono gravati dagli obblighi di comunicazione previsti dalla Direttiva se hanno la residenza fiscale in uno Stato Membro o sono costituiti secondo le leggi di uno Stato Membro o hanno la propria sede di gestione o una stabile organizzazione in uno Stato Membro. L’ambito soggettivo di applicazione della Direttiva comprenderebbe, peraltro, anche i gestori di piattaforme che pur non soddisfando alcuna di queste condizioni facilitano lo svolgimento di determinate attività (c.d. attività pertinenti) da parte dei venditori oggetto di comunicazione che sono residenti ai fini della Direttiva in uno Stato Membro.
[10] La nozione di “attività pertinente” comprende le attività svolte a titolo oneroso e che consistono nella locazione di un bene immobile, in un servizio personale, nella vendita di beni e nel noleggio di qualsiasi mezzo di trasporto.
[11] Si considerano oggetto di comunicazione i venditori, diversi da quelli esclusi, che durante il periodo oggetto della comunicazione svolgono un’attività pertinente (o conseguono una remunerazione in considerazione dello svolgimento di un’attività pertinente) e sono residenti in uno Stato Membro o hanno in affitto un immobile situato in uno Stato Membro.
[12] L’Opinion del Garante Europeo per la Protezione dei Dati Personali è consultabile al seguente indirizzo: https://edps.europa.eu/sites/default/files/publication/20-10-29_opinion_proposal_amendment_council_directive_2011-16-eu_signed_en.pdf. Sul tema v. M. Manca, DAC 7; pronta una nuova proposta per rafforzare la cooperazione amministrativa tra le autorità fiscali UE, in Riv. Dir. Trib. supplemento online, del 22 febbraio 2021.
[13] Sull’impatto del Covid-19 sulla fiscalità della digital economy v. F. Roccatagliata, Crisi da COVID-19: con la tassazione dell’economia digitale la spinta giusta verso una vera “fiscalità europea”?, Fisco n. 38 del 2020, pag. 1-3607; anche F. Gallo, Quali interventi postpandemia attuare in materia fiscale e riparto di competenze fra Stato e Regioni?, in Rass. Trib. n. 3 del 2020, pag. 595, propende per una “robusta lotta all’evasione e all’economia sommersa fondata sull’uso dello strumento digitale con l’alleggerimento della pressione tributaria sulle famiglie, sui lavoratori e sulle imprese”, essendo questi ultimi i soggetti più pregiudicati dalla crisi di liquidità e dall’incertezza prodotta dalla pandemia.
[14] V. la Comunicazione consultabile al seguente link: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_19_225.