ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Ricorso alla surrogazione di maternità da parte di una coppia di donne e condizione giuridica del nato. Commento a Trib. Bari, decr. 7 settembre 2022
di Emanuele Bilotti
Sommario: 1. Il caso e la decisione del Tribunale di Bari - 2. Contestazione dello stato, rettifica di un titolo di stato illegittimo ed ordine pubblico - 3. La pretesa conformità all’ordine pubblico dell’atto di nascita estero - 4. La necessità di rispettare il self-restraint della Corte costituzionale - 5. L’ipotesi della cancellazione integrale della trascrizione - 6. La prospettiva di una duplice adozione in casi particolari - 7. Spunti per una possibile soluzione de iure condendo.
1. Il caso e la decisione del Tribunale di Bari
Nel corso del 2018 l’ufficiale di stato civile del Comune di Bari ha provveduto a trascrivere nell’apposito archivio comunale un atto di nascita formato all’estero – in particolare, nello Stato della California – recante l’indicazione della maternità di due donne. Queste ultime, dopo aver contratto matrimonio nello Stato di New York, avevano infatti stipulato un contratto di maternità surrogata con una terza donna, commissionandole la gestazione di un embrione formato col seme di un cd. donatore (anonimo) e con l’ovocita prelevato da una di esse.
Dopo un iniziale diniego, l’autorità amministrativa competente ha provveduto alla trascrizione in autotutela. E ciò nonostante che l’art. 65 della l. n. 218 del 1995 disponga che i provvedimenti stranieri relativi all’esistenza di rapporti familiari hanno effetto in Italia – e sono perciò suscettibili di trascrizione nei registri dello stato civile – solo se non siano contrari all’ordine pubblico.
Invero, tale contrarietà è divenuta un dato acquisito nel diritto vivente solo a seguito dell’importante decisione della Corte di cassazione a sezioni unite del maggio del 2019[1]. Nondimeno, fin dal 2014 la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto un principio di ordine pubblico nel divieto di maternità surrogata di cui all’art. 12, co. 6, della l. n. 40 del 2004. In particolare, in quell’occasione, la Suprema Corte aveva affermato che quel divieto, la cui violazione è tuttora penalmente sanzionata, deve ritenersi posto a tutela di “beni giuridici fondamentali”: “la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione”, al quale soltanto “l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”[2]. Inoltre, alla fine del 2017, anche la Corte costituzionale aveva avuto modo di affermare che la pratica della maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”[3].
Già certe prese di posizione dovevano dunque far ritenere che anche l’accertamento ab initio dello status artificiale perseguito dai committenti non potesse considerarsi una soluzione conforme all’ordine pubblico. Come poi hanno chiarito anche le sezioni unite, infatti, un simile accertamento non è compatibile con la scelta proibizionista dell’ordinamento, giacché consente di realizzare proprio il risultato avuto di mira dagli adulti attraverso il ricorso alla maternità surrogata. Né questa soluzione poteva apparire pregiudizievole per l’interesse del minore alla stabilità dei rapporti affettivi in atto, dato che, fin dal 2016, proprio al fine di garantire tale stabilità la giurisprudenza di legittimità aveva fatto proprio l’orientamento favorevole al ricorso all’adozione in casi particolari[4].
Già all’epoca della trascrizione poteva allora ritenersi quanto poi comunque affermato con chiarezza dalle sezioni unite nel maggio del 2019: la contrarietà all’ordine pubblico dei provvedimenti stranieri che accertino certi rapporti genitoriali puramente intenzionali. E perciò anche l’impossibilità di procedere alla loro trascrizione nei registri dello stato civile. E con ciò anche l’illegittimità della trascrizione eseguita.
Nondimeno alla trascrizione operata dall’ufficiale di stato civile del Comune di Bari non ha fatto séguito alcuna iniziativa volta a contestarne la legittimità. Solo nel corso del 2021, quando già da alcuni anni quella trascrizione autorizzava a ritenere che l’atto di nascita californiano producesse effetti anche nell’ordinamento italiano, entrato in crisi il rapporto di coppia tra le due “madri”, i genitori della donna legata geneticamente al nato – nel caso di specie una bambina – hanno chiesto al pubblico ministero di attivarsi per la cancellazione dalla trascrizione del solo nominativo della cd. madre intenzionale (rectius: della committente priva di legame genetico col nato).
A tal fine il pubblico ministero ha ritenuto di proporre un ricorso ex art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000, avviando così, dinanzi al competente Tribunale di Bari, un procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile. Il giudice adìto ha deciso per il rigetto della domanda sulla base di un ragionamento piuttosto articolato. Al suo interno sembrano comunque potersi distinguere due percorsi argomentativi sostanzialmente autonomi, ciascuno dei quali, a ben vedere, ove corretto, sarebbe stato sufficiente a giustificare la decisione assunta.
In particolare, un primo percorso argomentativo avrebbe potuto condurre a una pronuncia di rigetto già in virtù dell’asserita impossibilità di azionare il procedimento di rettificazione per ottenere la cancellazione del solo nominativo della cd. madre intenzionale. Un secondo percorso argomentativo avrebbe invece potuto condurre al medesimo risultato in virtù della pretesa necessità di una lettura “costituzionalmente orientata” dell’art. 8 della l. n. 40 del 2004: una lettura che, allo scopo di superare la decisione delle sezioni unite del 2019, il Tribunale di Bari tenta di accreditare sulla scorta dei recenti pronunciamenti in materia della Corte costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Senonché, come si cercherà sùbito di chiarire, nessuno dei due percorsi indicati appare davvero fondato. E forse è proprio la consapevolezza della debolezza dell’uno e dell’altro ad aver fatto sì che il Tribunale di Bari li abbia proposti entrambi, sebbene si tratti di due argomentazioni autonome ed assorbenti. L’esito attinto non sembra comunque condivisibile. Ma forse, come si proverà a chiarire, neppure la soluzione prospettata dal pubblico ministero – la cancellazione del nominativo di una sola delle committenti – sarebbe stata davvero adeguata.
2. Contestazione dello stato, rettifica di un titolo di stato illegittimo ed ordine pubblico
Il primo percorso argomentativo seguìto dal Tribunale di Bari – quello emergente dalla lettura dei paragrafi 3, 4 e 5 del decreto – muove dalla constatazione che il pubblico ministero “si è limitato a chiedere la sola cancellazione della indicazione del genitore d’intenzione e non già dell’intero atto” (rectius: della sua trascrizione). Per il giudice adìto, allora, la questione posta alla sua attenzione riguarderebbe “non già la legittimità della trascrizione ex se ma l’attribuzione dello status di figlio del nato rispetto alla madre intenzionale”.
Si tratterebbe insomma – se ben s’intende il ragionamento del Tribunale di Bari – di una questione direttamente relativa allo stato e non al titolo di esso. In effetti, sempre secondo il Tribunale di Bari, nel caso di specie “la possibilità di azionare il procedimento ex art. 95 [andrebbe] esclusa”. Nel decreto in esame, del resto, si legge pure che “la Procura ha contestato lo stato di figlio in relazione al genitore intenzionale secondo la legge italiana…”. E si sostiene invece che tale “contestazione” avrebbe dovuto essere effettuata in base alla legge dello Stato della California ai sensi dell’art. 33 della legge n. 218 del 1995.
La legge californiana dovrebbe infatti essere considerata come “legge più favorevole per la minore”, dato che le consente “di ottenere lo status filiationis con riferimento a entrambi i soggetti che hanno partecipato – sebbene mediante gestazione per altri – al progetto genitoriale”. Per il giudice barese, infatti, legge “più favorevole” è senz’altro “quella che garantisce il maggior riconoscimento [dello] status [filiationis]”.
Il Tribunale di Bari ritiene, in sostanza, che, in virtù dell’identificazione della “materia del contendere” operata con la domanda del pubblico ministero (“la sola cancellazione della indicazione del genitore di intenzione e non già dell’intero atto”), “il profilo della conformità all’ordine pubblico della trascrizione di atti implicanti l’utilizzo di tecniche di concepimento non ammesse nell’ordinamento italiano” sarebbe destinato a perdere qualsiasi rilevanza. La domanda proposta sarebbe volta piuttosto alla contestazione dello status filiationis rispetto al cd. genitore intenzionale: contestazione che dovrebbe però farsi valere in base alla legge nel cui rispetto è stato formato l’atto di nascita trascritto, e dunque in base alla legge californiana. Si tratterebbe allora, con ogni evidenza, di una domanda priva di fondamento.
Il ragionamento svolto dal Tribunale di Bari, soprattutto nella sua porzione più propriamente internazionalprivatistica (quella sull’applicabilità della legge californiana), appare invero piuttosto confuso. Non sembra tuttavia utile tentare qui una sua più precisa ricostruzione. Né sembra produttivo attardarsi nell’analisi critica di certi svolgimenti. E ciò perché è la stessa premessa del ragionamento a non sembrare condivisibile, e cioè l’idea che il pubblico ministero, limitando la domanda alla sola cancellazione della genitorialità puramente intenzionale accertata all’estero, avrebbe in realtà sollevato una questione relativa allo stato e non al titolo di esso. Né sembra minimamente condivisibile, d’altra parte, che la questione dell’ordine pubblico potrebbe perciò essere messa da parte.
Sul primo punto è bene osservare anzitutto che, nel presupposto della contrarietà all’ordine pubblico di certi provvedimenti stranieri, la loro trascrizione non può che ritenersi contra legem, almeno nella parte relativa al rapporto genitoriale puramente intenzionale. Ora, non vi è dubbio che il rimedio deputato alla rimozione di tale illegittimità, sia essa totale o parziale, è comunque il procedimento di rettificazione di cui all’art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000. In effetti, anche la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire in più occasioni che quel procedimento serve ad eliminare le difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quella che risulta dall’atto di stato civile: una difformità dovuta a un vizio, comunque e da chiunque originato, nel procedimento di formazione dell’atto stesso[5].
Ebbene, nel caso di specie, la domanda del pubblico ministero, nonostante la sua formulazione parziale, è volta pur sempre a ripristinare la conformità tra lo stato del nato secundum legem e quanto invece pubblicamente documentato contra legem dal titolo dello stato che si è formato in conseguenza della trascrizione di un atto estero contrario all’ordine pubblico. In ogni caso, dunque, non si tratta, con ogni evidenza, di una domanda che pone una questione di stato. In discussione è pur sempre l’illegittima formazione del titolo. E quindi la necessità di ripristinarne la conformità alla legge. Non si vede allora come si possa sostenere che il “profilo della conformità all’ordine pubblico della trascrizione” debba o meno rilevare a seconda della maggiore o minore ampiezza della domanda formulata del pubblico ministero, che comunque è e resta una domanda di rettificazione.
In ogni caso, poi, anche a voler assecondare l’originale idea del Tribunale di Bari – quella per cui il pubblico ministero, essendosi limitato a chiedere la sola cancellazione del nominativo del genitore intenzionale, avrebbe in realtà contestato lo stato della bambina rispetto alla cd. madre intenzionale – e l’ulteriore svolgimento argomentativo secondo cui la contestazione dello stato dovrebbe essere decisa dal giudice italiano in base alla legge straniera di formazione dell’atto trascritto, il limite dell’ordine pubblico verrebbe comunque in considerazione nell’applicazione di questa legge.
Appare così manifesta l’inconcludenza del tentativo del giudice barese di risolvere la questione posta alla sua attenzione eludendo il problema della contrarietà o meno all’ordine pubblico dell’accertamento estero di uno status genitoriale puramente intenzionale in caso di ricorso alla surrogazione di maternità.
3. La pretesa conformità all’ordine pubblico dell’atto di nascita estero
Ciò posto si può passare a considerare il secondo percorso argomentativo proposto dal Tribunale di Bari: quello che, nei paragrafi 6 e 7 della motivazione del decreto, affronta direttamente la questione indicata da ultimo, provando a sostenere che, dopo le sentenze n. 32 e n. 33 del 2021 della Corte costituzionale[6], l’accertamento estero di un rapporto genitoriale puramente intenzionale non potrebbe considerarsi contrario all’ordine pubblico neppure in caso di nascita da una madre surrogata.
Il tentativo di mettere in discussione la soluzione delle sezioni unite del 2019 muove più precisamente da quanto affermato dalla Corte costituzionale in ordine all’insufficienza dell’adozione in casi particolari quale meccanismo deputato alla formalizzazione del rapporto di cura genitoriale intercorrente de facto tra il nato e chi abbia fatto ricorso a una pratica fecondativa vietata senza però offrire alcun contributo genetico alla generazione.
Infatti, a dire del giudice barese, “le sentenze della Corte Costituzionale n. 32 e 33 [avrebbero] di fatto confutato la pronuncia delle Sezioni Unite n. 12193/2019 nella parte in cui ritiene che l’interesse del minore nato da GPA sia adeguatamente tutelato mediante lo strumento dell’adozione in casi particolari da parte del genitore intenzionale, auspicando un adeguato intervento del legislatore”. E ciò perché – così si legge ancóra nel decreto in esame – “l’adozione ex art. 44, lett. d), l. 184/83 non [sarebbe] uno strumento di tutela del minore idoneo e rapido, ed in quanto tale [sarebbe] incompatibile con i principi costituzionali (art. 2, 30 Cost.) e con l’art. 8 CEDU”.
Il Tribunale di Bari ritiene quindi che, in conseguenza di certe decisioni del Giudice delle leggi, si sarebbe prodotto un “vuoto legislativo” e che tale vuoto “[potrebbe] e [dovrebbe] essere superato dal giudice del caso concreto” attraverso “una lettura costituzionalmente orientata della legge n. 40/2004”, in particolare dell’art. 8. Per il giudice di Bari, infatti, questa norma, nell’interesse del nato, dovrebbe consentire l’accertamento ab initio di rapporti genitoriali puramente intenzionali non solo nelle ipotesi ora eccezionalmente ammesse dalla legge di ricorso alla fecondazione eterologa, ma anche in ogni caso di ricorso a tecniche vietate, e dunque anche in caso di surrogazione di maternità[7].
L’idea del Tribunale di Bari è dunque che, finché il legislatore non avrà dato séguito all’invito del Giudice delle leggi, elaborando un adeguato meccanismo di formalizzazione dei rapporti di cura genitoriale puramente intenzionali conseguenti al ricorso alla surrogazione di maternità, la trascrizione dei provvedimenti stranieri che accertino il carattere propriamente genitoriale di quei rapporti non potrebbe più considerarsi contraria all’ordine pubblico. E ciò perché, allo stato, in caso di nascita all’estero da una madre surrogata, la trascrizione del provvedimento straniero rappresenterebbe il solo meccanismo attraverso cui impedire un pregiudizio grave a carico di un valore primario della persona.
L’idea che l’intervento della Corte costituzionale avrebbe aperto un vuoto di tutela che dovrebbe ora essere colmato dall’interprete, ridefinendo – e superando – il limite dell’ordine pubblico, accomuna l’argomentazione del giudice barese a quella recentemente elaborata dalla prima sezione civile della Suprema Corte in un’ordinanza interlocutoria di gennaio 2022, con la quale si è chiesto un nuovo intervento delle sezioni unite affinché possano riconsiderare la propria decisione di maggio del 2019, tenendo conto della denunciata inadeguatezza dell’adozione in casi particolari a farsi carico delle esigenze connesse al superiore interesse del minore[8].
L’approdo del Tribunale di Bari appare invero assai meno circoscritto di quello cui perviene l’ordinanza indicata. Infatti, mentre il Tribunale di Bari non sembra porre alcun limite alla trascrivibilità dei provvedimenti stranieri, per i giudici della prima sezione civile della Corte di cassazione l’eccezione di ordine pubblico potrebbe invece essere disattivata soltanto laddove il ricorso alla maternità surrogata appaia rispettoso di una serie di condizioni: il carattere libero e consapevole della scelta della madre surrogata, la sua indipendenza da contropartite economiche, la sua revocabilità fino alla nascita del bambino, la possibilità per la coppia committente di accedere alle procedure di adozione nel rispetto delle prescrizioni di legge, la sussistenza di un contributo genetico alla procreazione da parte di almeno uno dei committenti[9].
4. La necessità di rispettare il self-restraint della Corte costituzionale
Le due pronunce – il decreto del Tribunale di Bari e l’ordinanza della Suprema Corte – muovono evidentemente da una comune lettura delle indicate decisioni della Corte costituzionale: una lettura che non sembra però condivisibile e che appare anzi parziale e tendenziosa.
Beninteso, è certamente vero che il Giudice delle leggi ha denunciato con chiarezza l’insufficienza della tutela dei nati contra legem che si realizzi per il tramite dell’adozione in casi particolari. Ma è vero anche che quel Giudice non ha comunque fatto proprie le prospettazioni dei giudici rimettenti che avrebbero condotto ad avallare soluzioni come quelle accolte nel decreto del Tribunale di Bari o prefigurate nell’ordinanza interlocutoria della Suprema Corte di gennaio del 2022, e cioè l’ipotesi di un accertamento ab initio di una “genitorialità” puramente intenzionale anche in casi di ricorso a pratiche vietate, e dunque anche in tutti i casi o in taluni casi di nascita da una madre surrogata.
In effetti, se il Giudice delle leggi avesse considerato praticabili certe soluzioni al fine di garantire l’interesse alla stabilità affettiva dei nati contra legem, si sarebbe espresso nel senso dell’accoglimento delle questioni di legittimità prospettate. O avrebbe pronunciato delle sentenze di rigetto interpretative. Ed invece, sia nel caso di nascita in Italia a seguito di ricorso vietato alla fecondazione eterologa sia nel caso della nascita da madre surrogata, la Corte costituzionale ha mostrato di riconoscere in certi automatismi un elemento di grave contraddizione con i divieti di legge. Al Giudice delle leggi, in altri termini, non è sfuggito che l’automatismo della formazione dell’atto di nascita o della trascrizione dell’atto straniero finiscono comunque per dar corso a una legittimazione surrettizia di pratiche vietate[10].
Certamente l’interesse della persona alla stabilità dei rapporti affettivi in atto può e deve essere tutelato dal legislatore in maniera piena. E questo risultato anche per la Corte costituzionale non sembra davvero raggiungibile mediante l’adozione in casi particolari, almeno per come essa è attualmente disciplinata. Ciò non significa però che l’ordinamento debba arrendersi alla logica del fatto compiuto.
L’indicazione che emerge dalle decisioni della Corte è chiaramente nel senso che una soluzione deve essere comunque individuata dal legislatore in una prospettiva “rimediale”: una prospettiva nella quale, lasciando da parte ogni automatismo, deve essere possibile realizzare insieme la tutela piena del nato e il giusto rigore nel rispetto delle scelte proibizioniste dell’ordinamento. Si tratta, più precisamente, di riconoscere al nato tutti i diritti del figlio anche nei confronti del cd. genitore intenzionale ma solo all’esito di una concreta verifica giudiziale di conformità all’interesse del minore[11].
È pur vero, come si diceva, che una pronuncia di inammissibilità per non invadere gli spazi della discrezionalità del legislatore ha richiamato l’attenzione di quest’ultimo su taluni profili di inadeguatezza del “rimedio” escogitato dalla giurisprudenza ordinaria attraverso il riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari. Non sembra però corretto affermare che, nell’attesa di un intervento finalmente risolutivo del legislatore, la decisione della Corte costituzionale ha prodotto un “vuoto legislativo”. Ed infatti “una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali” – così si esprime il Giudice delle leggi – non può comunque essere considerata una tutela inesistente.
Non si vede, d’altra parte, come un giudice ordinario possa penetrare quell’ambito di discrezionalità del legislatore che la decisione di self-restraint della Corte costituzionale ha invece inteso preservare[12]. In effetti, se il Giudice delle leggi ha potuto indicare un simile percorso di collaborazione istituzionale, è perché ha valutato che, in termini di garanzia dei valori primari della persona, il costo di una tutela dei nati contra legem “ancora non del tutto adeguata” è comunque più sopportabile del costo connesso a un automatismo nell’accertamento genitoriale che contraddice ipocritamente la scelta proibizionista dell’ordinamento ed i valori ad essa sottesi.
Il giudice ordinario non può dunque pretendere di contrapporre ad una simile valutazione della Corte costituzionale una propria valutazione alternativa. Certamente non può farlo col mezzo dell’interpretazione costituzionalmente conforme. Tale tecnica ermeneutica, infatti, nei limiti consentiti dall’elasticità del dato normativo, può – e deve – essere utilizzata dalla giurisprudenza al fine di evitare l’incidente di costituzionalità, ma non al fine di rimettere in discussione un equilibrio di valori già indicato con chiarezza dal Giudice delle leggi. È solo attraverso la proposizione di una nuova eccezione di legittimità costituzionale che il giudice ordinario potrà indurre la Corte costituzionale a riconsiderare la propria posizione a fronte di un’inerzia prolungata del legislatore.
Anche nel caso in esame, allora, una volta ripristinata la legalità violata dalla trascrizione, l’adozione in casi particolari avrebbe ancóra potuto – e dovuto – venire in considerazione come unico “rimedio” messo a disposizione dall’ordinamento a tutela dell’interesse del minore alla stabilità dei rapporti di cura genitoriale in atto. Tanto più che, frattanto, un’altra decisione della Corte costituzionale ha risolto uno degli aspetti problematici rilevati con riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari, riconoscendo che anche in questi casi particolari l’adottato intrattiene rapporti di parentela con i parenti degli adottanti[13]. Inoltre, come si dirà più avanti, nel particolare caso di specie il problema posto dalla necessità del consenso del genitore all’adozione ex art. 46 l. n. 184/1983 neppure si sarebbe posto.
D’altra parte, anche la Corte di Strasburgo ha chiarito che, in un ordinamento proibizionista, non è affatto necessario che il rapporto del nato da madre surrogata col committente privo di legame genetico con esso sia formalizzato ab initio mediante trascrizione del provvedimento estero che ne accerti il carattere genitoriale[14]. Il rispetto della vita privata e familiare del nato richiede nondimeno che la procedura alternativa a tal fine prevista dal singolo ordinamento – una procedura che, si ammette, può anche essere di tipo adottivo – consenta di conseguire quel risultato in una maniera agevole sempreché risulti la corrispondenza del rapporto di cura in atto con l’interesse del minore[15].
In verità, il Tribunale di Bari tenta anche di accreditare l’idea che per il Giudice delle leggi l’adozione in casi particolari non sarebbe uno strumento di tutela del minore abbastanza “rapido”. A ben vedere, tuttavia, nessuna delle ragioni di inadeguatezza rilevate dalla Corte costituzionale nella disciplina dell’adozione in casi particolari – il mancato riconoscimento di una genitorialità piena in capo all’adottante, l’impossibilità dell’adozione in mancanza di assenso del genitore biologico, la pretesa insussistenza di rapporti di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante – riguarda la sua idoneità a consentire, come dicono i giudici di Strasburgo, una “pronta” formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto.
Come già si è avuto modo di ricordare, del resto, gli stessi giudici di Strasburgo affermano chiaramente che anche una procedura adottiva può ben soddisfare l’indicata esigenza di “pronta” formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto. E certo non si può pensare che la Corte europea intendesse far riferimento solo a procedure adottive che non espongano il minore ai tempi di un giudizio. D’altra parte, se il requisito della “prontezza” dovesse intendersi nel senso di immediatezza, la riconosciuta legittimità di meccanismi di formalizzazione dei rapporti di cura in atto diversi dalla trascrizione del provvedimento straniero perderebbe qualsiasi significato. L’esigenza di “prontezza” deve piuttosto intendersi nel senso che l’accertamento in concreto del rapporto in atto e della sua rispondenza all’interesse del minore deve realizzarsi in maniera agile e spedita. E certo non è sotto questo profilo che la Corte costituzionale censura la disciplina dell’adozione in casi particolari.
5. L’ipotesi della cancellazione integrale della trascrizione
Nessuno dei percorsi argomentativi elaborati dal Tribunale di Bari sembra dunque persuasivo al fine di motivare il rigetto della domanda del pubblico ministero. Non pare discutibile, in altri termini, l’illegittimità della trascrizione a suo tempo operata e la rilevanza di tale illegittimità al fine di decidere sulla domanda del pubblico ministero. Si ritiene con ciò di non poter condividere la decisione di rigetto assunta dal Tribunale di Bari. Eppure, come già si è avuto modo di osservare, non sarebbe stata forse meno problematica anche una decisione di accoglimento nel senso prospettato nella domanda, e cioè una decisione che avesse disposto la cancellazione della sola maternità della committente priva di legame genetico con la bambina.
In effetti, la sollecitazione rivolta al pubblico ministero ad attivarsi in tal senso – una sollecitazione maturata in un contesto di crisi di coppia – in realtà non è altro che una mera strumentalizzazione del legame di sangue al solo fine di estromettere dalla vita della bambina una donna con la quale si è comunque consolidato negli anni un rapporto di cura genitoriale non dissimile da quello instauratosi con l’altra committente. E ciò, com’è evidente, non certo nell’interesse della bambina, ma solo per ragioni connesse appunto al conflitto di coppia, che può talora esasperare, nel rapporto con i figli, logiche adultocentriche di tipo proprietario.
Bisogna inoltre considerare che, in difetto del presupposto del parto, anche l’accertamento della maternità della committente, che pure ha messo a disposizione il gamete femminile, appare alquanto problematico. E ciò sia che si ritenga che per la legge italiana la fattispecie costitutiva della maternità si esaurisca nel parto sia che si acceda alla diversa tesi – invero maggiormente condivisibile – secondo cui, almeno di regola, l’attribuzione della maternità consegue al concorso del dato genetico e di quello biologico, e dunque al concepimento e alla gestazione[16]. In ogni caso, infatti, nessuna norma attribuisce la maternità alla donna che abbia semplicemente messo a disposizione l’ovocita per la fecondazione in vitro. Neppure laddove ciò sia avvenuto, come nel caso di specie, in vista della realizzazione di un progetto genitoriale riferibile alla stessa donna.
A ciò potrebbe aggiungersi anche una considerazione di carattere più generale: la difficoltà di giustificare un diverso trattamento di due soggetti che pure hanno insieme fatto ricorso alla pratica degradante della surrogazione di maternità al fine di realizzare un comune progetto genitoriale. A rigore, infatti, il limite dell’ordine pubblico dovrebbe impedire il riconoscimento dell’accertamento estero dello status in capo a entrambi i committenti[17].
In verità, la giurisprudenza unanime e la dottrina di gran lunga prevalente ritengono indiscutibile almeno l’accertamento della genitorialità del committente di sesso maschile che abbia fornito il materiale genetico per la formazione dell’embrione impiantato nell’utero della madre surrogata [18]. E ciò perché questi potrebbe comunque riconoscere il nato[19]. Non sembra tuttavia che un simile argomento, anche a volerne ritenere la fondatezza, possa farsi valere anche nel caso in cui la maternità surrogata sia stata commissionata da una coppia di donne, dato che, come si è visto, la donna legata geneticamente al nato, non avendolo anche partorito, non potrebbe comunque riconoscerlo.
La cancellazione integrale della trascrizione non era dunque una soluzione impraticabile. Del resto, a differenza di quel che sembra ritenere il giudice adìto, che parla più volte di un’identificazione della “materia del contendere” sulla base della domanda del pubblico ministero, in un giudizio di rettificazione, che invero non sembra ascrivibile all’area della giurisdizione contenziosa[20], la formulazione della domanda non dovrebbe rappresentare un limite invalicabile per la decisione del giudice[21].
6. La prospettiva di una duplice adozione in casi particolari
Anche la soluzione della cancellazione integrale della trascrizione appare però estremamente problematica ove si considerino le sue conseguenze sullo status della bambina. Quest’ultima sarebbe infatti passata dall’avere due mamme a non averne più nessuna. D’altra parte, anche a voler ritenere la maternità della donna che ha partorito (una soluzione, questa, che non sembra invero impraticabile in una logica sanzionatoria[22]), bisogna comunque prendere atto che questa donna, consegnando la neonata alle committenti, ha rinunciato a farsi carico di ogni responsabilità nei suoi confronti.
Si comprende allora perché, di fronte alla prospettiva della cancellazione di qualsiasi status filiationis pur in presenza di rapporti di cura genitoriale ormai consolidati ed efficienti, il Tribunale di Bari abbia preferito trarsi d’impaccio e confermare la trascrizione nella sua integrità. In effetti, una soluzione che non garantisse la stabilità dei rapporti di cura in atto finirebbe inevitabilmente per frustrare un valore primario dell’individuo: un valore che sia la Corte di Strasburgo sia la Corte costituzionale hanno riconosciuto fondato, rispettivamente, nell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed anche negli artt. 2 e 30 Cost.
Ma con ciò divengono pure comprensibili le difficoltà – invero non superabili – dello sforzo argomentativo profuso dal giudice barese. Quest’ultimo si è trovato nella difficile situazione di dover motivare una soluzione – la conferma della trascrizione nella sua integrità – certamente contra legem, ma ritenuta nondimeno ineludibile per la pretesa esigenza di scongiurare il pregiudizio di un valore primario della persona. Con ciò il decreto del Tribunale di Bari deve allora essere riconosciuto – e conseguentemente valutato – per quello che è: una decisione “pura”, in cui l’urgenza di una situazione di vita che esige risposta fa prevalere la forza dei fatti sull’ideale di una rigorosa chiusura del sistema normativo.
In verità, nella perdurante assenza di un intervento del legislatore volto a regolare la condizione giuridica dei nati in violazione dei divieti di cui alla legge n. 40 del 2004, anche lo spinoso problema posto dalla cancellazione integrale della trascrizione avrebbe forse potuto trovare una soluzione adeguata nel riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari. Più precisamente, nel caso di specie, si sarebbe potuto prospettare il ricorso a quella disciplina al fine di formalizzare non solo il rapporto di cura genitoriale in atto con la committente priva di legame genetico con la bambina, ma anche il rapporto con l’altra committente, quella che ha fornito l’ovocita. Si sarebbe così evitata quell’impressione spiacevole di una resa incondizionata del sistema alla logica del fatto compiuto.
Certo anche questa soluzione avrebbe determinato una qualche forzatura del dato sistematico. Tale forzatura si sarebbe però prodotta in una direzione già ampiamente sperimentata dal diritto vivente. Si è già avuto modo di ricordare, infatti, che dell’art. 44, lett. d), della legge n. 184 del 1983 si è ormai imposta una lettura “creativa” per cui quella norma varrebbe a formalizzare qualsiasi rapporto genitoriale de facto che non risulti in concreto pregiudizievole per l’interesse del minore[23]. Non si vede allora per quale ragione, in ogni caso di nascita da madre surrogata, e dunque anche al di là del particolare caso di specie, non si potrebbe far riferimento a questa previsione normativa per formalizzare i rapporti in atto con entrambi i committenti.
È senz’altro vero, poi, che la soluzione prospettata sarebbe comunque rimasta affidata ad un’ulteriore iniziativa delle committenti. L’adozione in casi particolari, infatti, non è mai capace di imporsi agli adulti. Ma almeno sarebbe stato risolto il problema della necessità dell’assenso del genitore all’adozione da parte dell’altro componente della coppia committente: un assenso che, in caso di sopravvenuta crisi di coppia, potrebbe anche essere negato[24]. In effetti, in un caso come quello in esame, una volta cancellata la trascrizione, non vi sarebbe alcun genitore che dovrebbe prestare il proprio assenso all’adozione ex art. 44, lett. d), cit.
7. Spunti per una possibile soluzione de iure condendo
Fin qui l’analisi critica del decreto del Tribunale di Bari. La particolarità del caso e l’estrema problematicità della sua decisione attestano nondimeno, una volta di più, l’urgenza – opportunamente rimarcata anche dalla Corte costituzionale – di un intervento del legislatore finalmente capace di garantire al nato da madre surrogata una tutela che sia insieme piena e non incoerente con la valutazione negativa espressa dall’ordinamento nei confronti della pratica in questione.
Invero, al riguardo la Corte costituzionale, prendendo le distanze in maniera inequivocabile dall’automatismo della trascrizione dell’atto straniero, ha già messo in chiaro come l’unica strada percorribile sia quella di consentire al minore di far valere, nei confronti dei committenti, tutti i diritti propri del figlio a seguito di un concreto accertamento giudiziale della conformità dei rapporti in atto al suo superiore interesse. Ciò posto, appare però alquanto problematica l’idea diffusa – avallata dalla stessa Corte costituzionale – secondo cui, per garantire un simile risultato, basterebbe apportare solo pochi correttivi alla disciplina dell’adozione in casi particolari. In realtà, come già si è provato ad osservare in altra sede, qualsiasi soluzione di tipo adottivo sarebbe comunque insoddisfacente[25].
E ciò, innanzitutto, proprio in considerazione della finalità di assicurare al nato una tutela piena. Mediante l’adozione, infatti, il nato non si vedrebbe comunque riconosciuto un diritto alla costituzione dello status nei confronti dei committenti[26]. In effetti, neppure laddove permette la formalizzazione di rapporti di cura in atto, l’adozione consente al minore di “rivendicare” il rapporto genitoriale nei confronti degli adulti. E però, se davvero la garanzia del diritto del nato da madre surrogata al rispetto della propria vita privata richiede la formalizzazione dei rapporti in atto con i committenti, allora questa formalizzazione non può che essere oggetto di un suo diritto[27].
D’altra parte, la soluzione dell’adozione in casi particolari appare inadeguata anche se ci si pone nella diversa prospettiva di non contraddire la scelta proibizionista dell’ordinamento. E ciò perché la legittimazione ad attivare quel meccanismo di tutela dell’interesse del minore è comunque riconosciuta agli stessi adulti che hanno inteso realizzare il proprio desiderio di genitorialità attraverso il ricorso a una pratica degradante che l’ordinamento disapprova[28].
Una disciplina autenticamente rimediale a tutela dei nati contra legem dovrebbe allora abbandonare il modello adottivo e trovare piuttosto collocazione nell’apposito capo della legge n. 40 del 2004 recante “Disposizioni a tutela del nascituro”, avendo cura di distinguere il caso del ricorso all’eterologa da parte di una coppia di donne da quello del ricorso alla maternità surrogata.
Infatti, mentre nel primo caso sembra opportuna una disciplina che differenzi la posizione delle due componenti della coppia, in considerazione del fatto che una di esse ha comunque portato avanti la gravidanza, nel caso della surrogazione di maternità[29], invece, il potere di “rivendicare” i diritti propri del figlio a seguito di un concreto accertamento giudiziale di conformità all’interesse del minore dovrebbe essere riconosciuto allo stesso minore, il quale potrebbe farlo valere, nei confronti di entrambi i committenti, attraverso un curatore speciale nominato dal giudice.
In tal modo i componenti della coppia committente sarebbero posti su uno stesso piano, eventualmente disattivando le norme codicistiche che, secondo l’opinione prevalente, consentirebbero altrimenti l’accertamento dello status in capo al committente di sesso maschile che abbia messo a disposizione il proprio seme per la formazione dell’embrione impiantato nell’utero della madre surrogata.
Come già si è avuto modo di rilevare, infatti, proprio la peculiarità del caso venuto all’attenzione del Tribunale di Bari, in cui la surrogazione è stata commissionata da una coppia di donne, fa emergere con particolare chiarezza un aspetto che caratterizza in realtà tutti le ipotesi di ricorso a tale pratica: l’irragionevolezza, in un ordinamento proibizionista, di una discriminazione dei committenti a seconda dell’esistenza o meno di un legame di sangue col nato, e dunque l’esigenza di un eguale trattamento degli stessi.
[1] Cfr. Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Foro it., 2019, I, 1951 ss. Alla decisione ha fatto seguito un ampio dibattito. Senza pretesa di completezza, tra i commenti adesivi, v. Luccioli, Dalle sezioni unite un punto fermo in materia di maternità surrogata, ivi, 4027 ss.; Ead., Qualche riflessione sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019 in materia di maternità surrogata, in GenIUS, 2020 (pubbl. on line 23 maggio 2020). Sempre in senso adesivo, ma con spunti problematici significativi, v. M. Bianca, La tanto attesa decisione delle Sezioni Unite. Ordine pubblico versus superiore interesse del minore?, in Familia, 2019, 369 ss. In senso parzialmente critico v. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 737 ss. In senso decisamente critico v. le note di Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e di Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, in Fam. dir., 2019, 653 ss., nonché i commenti di Barba, Ordine pubblico e gestazione per sostituzione. Nota a Cass. Sez. Un. 12193/2019 e di Venuti, Le sezioni unite e l’omopaternità: lo strabico bilanciamento tra il best interest of the child e gli interessi sottesi al divieto di gestazione per altri, in GenIUS, 2020, cit.
[2] Così Cass. 11 novembre 2014, n. 24001. La decisione è pubblicata, tra l’altro, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2015, I, 235 ss., con nota adesiva di Benanti, La maternità è della donna che ha partorito: contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione di maternità e conseguente adottabilità del minore, e in Corr. giur., 2015, 471 ss., con nota adesiva di Renda, La surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore.
[3] Così Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, pubblicata, tra l’altro, in Corr. giur., 2018, 446 ss., con nota parzialmente adesiva di Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore, e in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 547 ss., con note parzialmente adesive di Gorgoni, Art. 263 cod. civ.: tra verità e conservazione dello status filiationis e di Salanitro, Azioni di stato e favor minoris tra interessi pubblici e privati
[4] La soluzione indicata nel testo si è imposta dapprima nella giurisprudenza di merito e poi anche in quella di legittimità a partire da Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, pubblicata, tra l’altro, in Giur. it., 2016, 2573 ss., con nota critica di Spadafora, Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa e nota adesiva di Rivera, La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore; in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1135 ss., con nota adesiva di Ferrando, Il problema dell’adozione del figlio del partner. Commento a prima lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 12962 del 2016 (1213 ss.); in Familia, 2016, 295 ss., con nota adesiva di C. Irti, L’adozione del figlio del convivente (omosessuale): la Cassazione accoglie l’interpretazione evolutiva dell’art. 44, lett. d), l. n. 184 del 1983; in Corr. giur., 2016, 1203 ss., con nota critica di Morozzo della Rocca, Le adozioni in casi particolari ed il caso della stepchild adoption; in Nuovo dir. civ., 2016, 91 ss., con ns. nota critica L’adozione semplice del figlio del convivente (dello stesso sesso). Per una ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale che, in virtù dell’applicazione estensiva della lett. d), art. 44, l. n. 184/83, ha portato ad ammettere la possibilità dell’adozione del figlio di un convivente da parte dell’altro, di sesso differente o dello stesso sesso, sia consentito rinviare al ns. L’adozione del figlio del convivente. A Milano prosegue il confronto tra i giudici di merito, in Fam. dir., 2017, 1004, nt. 3. Nella dottrina più recente la forzatura del dato normativo è evidenziata anche da Nicolussi, Famiglia e biodiritto civile, in Europa e dir. priv., 2019, 766 s.; Sesta, Manuale di diritto di famiglia8, Padova, 2019, 446 s.; E. Giacobbe, Due non è uguale a uno più uno. Bigenitorialità e rapporti omoparentali, in Dir. fam. pers., 2019, 248 ss.; Spadafora, Contrattare sugli affetti, Milano, 2018, 291 ss. È bene precisare che in Cass. n. 12962/2016 la possibilità di far ricorso alla lett. d dell’art. 44 cit. è stata affermata con riferimento a un caso di ricorso alla fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne. La praticabilità di una tale soluzione anche in caso di ricorso alla surrogazione di maternità è stata invece affermata per la prima volta nella giurisprudenza di legittimità proprio da Cass. n. 12193/2019, dopo che già Corte cost. n. 272/2017 aveva fatto riferimento ad essa quale strumento legale utile al fine di tutelare adeguatamente il nato da madre surrogata nonostante il divieto di riconoscimento ab initio del rapporto genitoriale col committente privo di legame biologico.
[5] Al riguardo, anche per gli opportuni riferimenti giurisprudenziali, v. Lenti, Diritto della famiglia, nel Trattato di dir. priv. a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2021, 205. L’affermazione riferita nel testo quanto all’ambito del giudizio di rettificazione è anche in Cass. n. 12193/2019.
[6] Cfr. Corte cost., 9 marzo 2021, n. 32 e n. 33. Con tali decisioni la Corte costituzione si è pronunciata nel senso dell’inammissibilità sia della questione di legittimità della soluzione interpretativa che, in caso di ricorso alla fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne, esclude l’accertamento di una doppia maternità in base alla legge italiana sia, rispettivamente, della questione di legittimità della soluzione interpretativa che, in caso di nascita da madre surrogata, esclude il riconoscimento in Italia del rapporto genitoriale puramente volontario già accertato all’estero. In entrambe le decisioni, inoltre, il Giudice delle leggi ha invitato il legislatore ad elaborare con urgenza una disciplina che, superando taluni limiti della soluzione giurisprudenziale che fa riferimento alla disciplina dell’adozione in casi particolari (il mancato riconoscimento di una genitorialità piena in capo all’adottante, l’impossibilità dell’adozione in mancanza di assenso del genitore biologico, la pretesa insussistenza di rapporti di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante), riconosca al nato tutti i diritti del figlio anche nei confronti del cd. genitore intenzionale, senza escludere però che un simile risultato possa realizzarsi in una prospettiva tipicamente “rimediale”, e cioè soltanto laddove risulti che la continuità del rapporto in atto sia in concreto la soluzione migliore per il minore. Anzi, come si vedrà, per la Corte, soprattutto nel caso del ricorso alla maternità surrogata, solo una soluzione di questo tipo è davvero idonea a risolvere il problema della tutela dei nati contra legem senza contraddire le scelte proibizioniste del legislatore. Com’era prevedibile le sentenze in questione della Corte costituzionale hanno suscitato un ampio dibattito. Sulla sentenza n. 33 del 2021 v. Morace Pinelli, La tutela del minore nato attraverso una pratica di maternità̀ surrogata. L’intervento della Corte costituzionale, in attesa del legislatore, in Familia, 2021, 391 ss.; Calderai, Il dito e la luna. I diritti fondamentali dell’infanzia dopo Corte cost. n. 33/2021, in Giur. it., 2022, 301 ss.; Ferrando, Diritti dei bambini e genitori dello stesso sesso. Il cambio di passo della Consulta, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2021, II, 937 ss.; Venuti, Diritti dei figli vs. genitorialità same sex: antitesi o composizione? Il dialogo (muto) tra la Corte costituzionale e il legislatore italiano, ivi, 949 ss.
[7] In dottrina, invero, non sembra tuttora affatto scontata l’idea secondo cui, in forza dell’art. 8 cit., lo status genitoriale sarebbe senz’altro attribuito alla coppia che abbia fatto ricorso alle tecniche ammesse dalla legge semplicemente in virtù del consenso prestato. Al riguardo, in senso critico, e cioè nel senso che, in realtà, l’art. 8 cit., sia con riguardo alla filiazione matrimoniale sia con riguardo alla filiazione extramatrimoniale, non avrebbe introdotto alcuna innovazione quanto all’acquisizione dello status, cfr. Sesta, Manuale, cit., 416 s.; in precedenza, nello stesso senso, v. anche Renda, L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, 2008, 161 ss. Al riguardo v. tuttavia i rilievi critici di Salanitro, nel Commentario del cod. civ. diretto da E. Gabrielli, Della famiglia a cura di Di Rosa, Leggi complementari2, Milano, 2018, 1738 ss., al quale si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici. In ogni caso, l’idea secondo cui l’art. 8 cit. prevederebbe un sistema autonomo di costituzione dello status filiationis, che dovrebbe trovare applicazione anche nei casi di ricorso a pratiche vietate, sembra essere stata accolta almeno da Cass. 15 maggio 2019, n. 13000. È in base a tale idea, infatti, che quest’ultima decisione ha ritenuto ammissibile la costituzione dello status filiationis anche nei confronti del marito deceduto in un caso di fecondazione post mortem. La decisione indicata è stata pubblicata, tra l’altro, in Foro it., 2019, 2003 ss., con nota adesiva di Casaburi, Le alterne vicende delle nuove forme di genitorialità nella giurisprudenza più recente; in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 1282 ss., con nota di Faccioli, La condizione giuridica del soggetto nato da procreazione assistita post mortem; in Fam. dir., 2020, p. 27 ss., con nota di Giunchedi, La procreazione assistita post mortem tra responsabilità procreativa e favor stabilitatis. La giurisprudenza successiva ha significativamente ridimensionato la portata di una simile decisione, osservando in particolare che in quel caso “non era in discussione l’esistenza di un rapporto biologico tra il nato ed il genitore d’intenzione” (così Cass., 23 agosto 2021, n. 23320, in Fam. e dir., 2022, 154 ss., con nota critica di Diquattro, Lo status del minore nato in Italia da una coppia di donne). In ogni caso, come già si è avuto modo di rilevare in altra occasione (v. il ns. La norma personalista, la famiglia ‘fondata sul matrimonio’ e il diritto alla genitorialità naturale, in Jus, 2021, 449 ss.), non sembra che il fondamento biologico della filiazione in caso di concepimento attraverso il seme di un defunto debba senz’altro essere considerato un valore per l’ordinamento. In effetti, i divieti di accesso alle tecniche procreative non rispondono semplicemente all’esigenza di preservare il carattere naturale della generazione umana. La garanzia di tale esigenza è a sua volta funzionale alla garanzia della dignità del nascere dell’uomo: garantire la naturalità della generazione umana serve cioè a garantire che questa si realizzi pur sempre in una maniera rispettosa del valore sovrautilitaristico della persona. Il fondamento biologico della responsabilità genitoriale rappresenta allora un valore solo nella misura in cui vale a sottrarre il generato alla logica utilitaristica propria dell’autodeterminazione riproduttiva degli adulti. Anche una genitorialità biologica che risulti dal ricorso a tecniche vietate può dunque apparire problematica per l’ordinamento.
[8] Cfr. Cass., ord. 21 gennaio 2022, n. 1842, in Giur. it., 1825 ss., con nota sostanzialmente adesiva di Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico: la penultima tappa?, il quale evidenzia appunto come in questa decisione la Suprema Corte si mostri comunque consapevole della necessità di dover contemperare l’interesse del minore con il fondamento del limite dell’ordine pubblico. In termini generali, l’idea secondo cui, quando sono in gioco valori primari della persona, in attesa dell’intervento del legislatore, l’interprete dovrebbe senz’altro colmare i vuoti di tutela denunciati dal Giudice delle leggi è argomentata anche da R. Bin, L’interpretazione della Costituzione in conformità alle leggi. Il caso della famiglia, in Fam. e dir., 2022, 514 ss. Per una (condivisibile) disamina critica dell’ordinanza della Suprema Corte v. invece Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata torna all’esame delle Sezioni Unite, in Familia, 2022, 437 ss. Da ultimo per un’accurata analisi critica dell’ordinanza della prima sezioni civile della Suprema Corte v. anche M. Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata. Brevi note a margine dell’ordinanza di rinvio alle Sezioni unite n. 1842 del 2022, in giustiziainsieme.it (pubbl. on line, 27 ottobre 2022) e Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite. Le ragioni del dissenso, ivi (pubbl. on line, 28 ottobre 2022).
[9] Quanto ai limiti posti dall’ordinanza della prima sezione civile della Suprema Corte al riconoscimento automatico della genitorialità dei committenti, è bene ricordare anzitutto che anche la Corte di Strasburgo, con la sentenza del 18 maggio 2021 (ric. 71552/17, nel caso Valdís Fjölnisdóttir e altri c. Islanda), ha riconosciuto la piena legittimità del rifiuto opposto al riconoscimento della genitorialità dei committenti – in quel caso si trattava di due donne – laddove risultino entrambi privi di un legame genetico col nato. Su questa decisione v. il commento di B. Checchini, “Vita familiare” vs “maternità surrogata”: il nuovo punto di equilibrio della Corte europea. Quale rilievo all’identità del nato?, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2022, 396 ss. Il riferimento al carattere libero e consapevole della scelta della madre surrogata, alla sua indipendenza da contropartite economiche e alla sua revocabilità fino alla nascita del bambino richiama invece il modello della maternità surrogata cd. solidale, che taluni interpreti hanno ritenuto senz’altro ammissibile già de iure condito: cfr. A. G. Grasso, Maternità surrogata altruistica e tecniche di costituzione dello status, Torino, 2022, 31 ss.; Id., Per un’interpretazione costituzionalmente orientata del divieto di maternità surrogata, in Teoria e critica della regolazione sociale, 2018, 151 ss.; nello stesso senso si era espresso anche Scalisi, Maternità surrogata: come “fare cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017, 1100. La tesi, oltre a quanto si dirà subito infra nel testo, appare comunque difficilmente sostenibile soprattutto dopo che Corte cost., 23 ottobre 2018, n. 221, ha ridimensionato significativamente taluni passaggi argomentativi della precedente sentenza n. 162 del 10 giugno 2014, riconducendo la decisione favorevole all’abrogazione del divieto di fecondazione eterologa all’esigenza di porre rimedio a un bilanciamento di interessi reputato irragionevole più che alla logica del riconoscimento di un diritto incondizionato degli adulti alla genitorialità. In ogni caso, anche da ultimo, è stato giustamente osservato (da Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata, cit., 439) che “l’idea di una surrogazione di maternità c.d. solidale, frutto di un progetto condiviso, espressione della libertà di autodeterminarsi della gestante, si scontra con una realtà assai meno candida della favola bella, assai diffusa, che vede per protagonista una donna, già madre, felice di risperimentare nel suo ventre la vita nascente e desiderosa di aiutare il prossimo, compiendo un atto d’amore”. E ciò perché, nella vita reale, sarebbe praticamente impossibile trovare donne disponibili ad una simile prestazione, sempre che i rimborsi e gli indennizzi ad esse dovuti non mascherino veri e propri compensi. Anche secondo Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., n. 2, “la lesione della dignità non dipende dal carattere oneroso o gratuito del contratto, ma dalla rinuncia allo status di madre”. Concorda anche Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite, cit., n. 4. Un modello assai rigoroso di maternità surrogata cd. solidale è stato accolto di recente dal legislatore portoghese, il quale ha ammesso il ricorso alla maternità surrogata non solo in assenza di contropartite economiche per la gestante e comunque prevedendo la revocabilità del consenso prestato fino al momento della nascita del bambino, ma solo a favore di una donna priva di utero o che versi comunque in una situazione clinica che le impedisca in modo definitivo di portare avanti una gravidanza. Sulla soluzione portoghese v. i rilievi di L. Bozzi, Legiferare in tema di gestazione per altri. La legge portoghese: ragioni, interrogativi e illusioni (su ogni legge in materia), lavoro in corso di pubblicazione, consultato per cortesia dell’A., la quale non manca di evidenziare non solo il carattere assai poco realistico di una maternità surrogata c.d. solidale, ma anche come una soluzione estremamente rigorosa come quella portoghese presenti un alto costo in termini simbolici, finendo comunque per legittimare a livello della coscienza collettiva una pratica degradante.
[10] Per tale lettura delle decisioni della Corte costituzionale sia consentito rinviare al ns. La tutela dei nati a seguito di violazione dei divieti previsti dalla l. n. 40/2004. Il compito del legislatore dopo il giudizio della Corte costituzionale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2021, 919 ss. Anche secondo Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., n. 3, per la Corte costituzione occorre “circoscrivere i limiti dell’ammissibilità del riconoscimento della genitorialità di intenzione alla sola ipotesi di progetto genitoriale attuale e al riscontro di un rapporto di cura e di affetto che deve necessariamente essere valutato in concreto e mai in astratto”. Di conseguenza – prosegue l’A. cit. – “deve ritenersi che la soluzione della trascrizione automatica del provvedimento straniero non realizza mai questi requisiti, in quanto conduce inevitabilmente ad una valutazione astratta e generalizzata”. Una lettura analoga delle decisioni in questione della Corte costituzionale è anche in Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite, cit., n. 3 e n. 4, ad avviso della quale il Giudice delle leggi “ha ritenuto, in linea con le indicazioni espresse dalla Corte EDU, che l’interesse del minore debba essere tutelato senza automatismi, attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino”.
[11] Nel senso indicato nel testo v. il ns. La tutela dei nati, cit., 921 ss. Nello stesso senso v. anche Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite, cit., n. 3 e n. 4 e Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., n. 3
[12] Sul punto insiste opportunamente anche Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata, cit., 444 ss., il quale ricorda, tra l’altro, che “gli invalicabili limiti che incontra il giudice in questa peculiare materia sono stati ammirevolmente e ripetutamente riaffermati anche di recente dalla medesima prima sezione civile della Corte di cassazione”. L’A. cit. fa riferimento in particolare a Cass., 25 febbraio 2022, n. 6383 (in Fam. e dir., 2022, 581 ss., con nota di Calvigioni, In Italia non è consentita la registrazione della filiazione da genitori dello stesso sesso: la conferma della Corte di cassazione) e Cass., 7 marzo 2022, n. 7413, ord. In particolare, con quest’ultima decisione, in un caso di ricorso alla fecondazione eterologa da parte di una coppia di donne, la Suprema Corte ha ordinato la cancellazione dall’atto di nascita formato in Italia dell’indicazione della maternità anche della donna priva di legame genetico col nato, escludendo espressamente la possibilità di far valere un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8 cit. E ciò perché – si dice – la prevalenza da accordarsi all’interesse del minore “non legittima l’automatica estensione delle disposizioni dettate per la p.m.a. anche ad ipotesi estranee al loro ambito di applicazione, non potendo [la Suprema Corte] sostituirsi al legislatore, cui spetta, nell’esercizio della propria discrezionalità, l’individuazione degli strumenti giuridici più opportuni per la realizzazione del predetto interesse, compatibilmente con il rispetto dei principi sottesi alla l. n. 40 del 2004”.
[13] Il riferimento è a Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79. Sull’importante decisione v. i commenti di M. Bianca, La Corte costituzionale e il figlio di coppia omoaffettiva. Riflessioni sull’evoluzione dei modelli di adozione (nota a Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79), in Familia, 2022, 349 ss. e di Ferrando, Adozione in casi particolari e rapporti di parentela. Cambia qualcosa per i figli nati da maternità surrogata?, in Questione Giustizia (pubbl. on line, 7 giugno 2022).
[14] Al riguardo v. l’advisory opinion della Corte di Strasburgo del 10 aprile 2019, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2019, I, 757 ss., con nota di A. G. Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale. Le conclusioni del parere sono state poi confermate in successive sentenze della stessa Corte: una del 19 novembre 2019 (ricc. 1462/18 e 17348/2018, nei casi C. c. Francia ed E. c. Francia) e una del 17 luglio 2020 (ric. 11288/18, nel caso D. c. Francia). Come si è già avuto modo di ricordare, invece, la validità di certe conclusioni non è stata estesa al caso in cui nessuno dei componenti della coppia committente risulti legato biologicamente al nato: cfr. sent. del 18 maggio 2021, cit.
[15] In dottrina, all’indomani della pubblicazione dell’advisory opinion della Corte di Strasburgo, Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale, cit., 762 ss., aveva giustamente rilevato come anche la disciplina italiana dell’adozione in casi particolari potesse ritenersi sostanzialmente rispettosa dei requisiti richiesti, con la conseguenza che non ci si poteva attendere che l’opinion dispiegasse effetti innovativi nell’ordinamento italiano, “limitandosi a confermare la correttezza delle soluzioni già individuate dalla nostra giurisprudenza”. In effetti, a parte che la Corte di Strasburgo non aveva fatto alcun riferimento, tra i possibili pregiudizi alla vita privata del minore, all’insussistenza di rapporti di parentela tra adottato e parenti dell’adottante, l’A. cit. notava anche che il riferimento a una “pronta” formalizzazione del rapporto in atto non poteva intendersi sbrigativamente nel senso della necessità di una sua formalizzazione immediata, giacché per la Corte europea “l’interesse superiore del minore richiede soltanto che il legame giuridico con la madre intenzionale possa essere riconosciuto al più tardi quando si sia consolidato quello sociale”. D’altra parte, sempre nel parere preliminare della Corte di Strasburgo, si legge che “it is in principle not for the Court but first and foremost for the national authorities to assess whether and when, in the concrete circumstances of the case, the said relationship has become a practical reality”.
[16] Al riguardo v. Renda, La surrogazione di maternità, cit., 481 s., per il quale “nel sistema parto e procreazione, cioè gravidanza e geni sono assunti come due componenti indissociabili entro un unitario concetto di maternità come qualità di colei che genera concependo e partorendo, non come entità potenzialmente dissociabili delle quali, se dissociate, debba prevalere la prima”.
[17] L’indicato profilo di irragionevolezza e contraddittorietà della soluzione che differenzia la posizione dei committenti rispetto al nato da madre surrogata a seconda della sussistenza o meno di un legame genetico è stato giustamente evidenziato nell’ordinanza con cui la Suprema Corte ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della soluzione interpretativa che ritiene la contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento straniero che accerti un rapporto genitoriale puramente intenzionale: cfr. Cass., 29 aprile 2020, n. 8325 (su tale provvedimento v. almeno i commenti di M. Bianca, Il revirement della Cassazione dopo la decisione delle Sezioni Unite. Conflitto o dialogo con la Corte di Strasburgo? Alcune notazioni sul diritto vivente delle azioni di stato, in giudicedonna.it, 2020, n. 2; Calderai, La tela strappata di Ercole. A proposito dello stato dei nati da maternità surrogata, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2020, I, 1109 ss.; Ferrando, I diritti del bambino con due papà. La questione va alla Corte costituzionale e Recinto, Un inatteso “revirement” della Suprema Corte in tema di maternità surrogata, in Fam. dir., 2020, 675 ss.; Salanitro, L’ordine pubblico dopo le Sezioni Unite: la Prima Sezione si smarca… e apre alla maternità surrogata, in Corr. giur., 2020, 902 ss.). Invero, nella prospettiva di quel Giudice il rilievo serviva ad accreditare ulteriormente la tesi dell’irragionevolezza del limite opposto al riconoscimento dello status puramente intenzionale già accertato all’estero. Non sembra invero che la decisione del Giudice delle leggi si sia fatta carico di confutare un simile argomento. In realtà, nella prospettiva assunta da quest’ultimo Giudice, che esclude l’accertamento automatico del rapporto in atto col committente privo di legame genetico, l’argomento in questione dovrebbe piuttosto valere ad accreditare la soluzione secondo cui la formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto dovrebbe essere subordinata ad un accertamento giudiziale in concreto della sua corrispondenza all’interesse del minore anche rispetto al committente legato biologicamente al nato. Al riguardo, volendo, v. il ns. La tutela dei nati, cit., 925 ss.
[18] Al riguardo v. Grasso, Maternità surrogata, cit., 762; da ultimo v. anche Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1828. È ben noto invece che, prima delle sentenze “gemelle” della Corte di Strasburgo (si tratta più precisamente delle decisioni rese il 26 giugno 2014, ricc. 65192/11 e 65941/11, nei casi Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia), la giurisprudenza francese era invece ferma nell’escludere l’accertamento dello status del nato da madre surrogata anche nei confronti del padre biologico (rif. in Grasso, Maternità surrogata, cit., 760 s.).
[19] Al riguardo cfr. Lenti, Unione civile, convivenza omosessuale, filiazione, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2016, II, 1711.
[20] Cfr. C. M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti2, Milano, 2002, 305 s.
[21] Cfr. Monteleone, Manuale di diritto processuale civile, II8, Padova, 2018, 419 ss.
[22] Cfr. Renda, La surrogazione di maternità, cit., 482, per il quale la maternità della partoriente rappresenta la “soluzione più coerente con il divieto che possa raggiungersi entro il sistema, perché nel fondare la maternità su uno dei due criteri legalmente cumulativi dà preferenza a quello tra essi che realizza l’effetto di status più adeguato a reprimere e quindi a disincentivare l’intesa illegale, perché privativo della maternità della committente, divisata dalle parti”.
[23] Al riguardo v. supra, nt. 4.
[24] Si tratta di uno dei profili di inadeguatezza della disciplina dell’adozione in casi particolari rilevati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 32 e n. 33 del 2021. La questione non può essere affrontata in questa sede in maniera analitica. Sulla legittimità della negazione dell’assenso del genitore all’adozione in casi particolari v. tuttavia i penetranti rilievi di Favilli, Stato filiale e genitorialità sociale: dal fatto al rapporto, in Giur. it., 2022, 319 s. Ad avviso di quest’A., nonostante il chiaro disposto normativo dell’art. 46 l. n. 184 del 1983, sarebbe possibile sostenere una “interpretazione creativa” in virtù della quale “il diritto del genitore esercente la responsabilità di decidere della sorte dei rapporti intessuti all’interno della famiglia, ed eventualmente di privare il minore di un apporto fondamentale per la crescita e lo sviluppo, non può essere espressione di un interesse proprio…, ma deve essere guidato, e eventualmente sindacato, alla luce dell’interesse del minore”. Tale proposta è condivisa da Calderai, Il dito e la luna, cit., 311. Nello stesso senso v. anche Bianca, Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata, cit., nn. 4 e 5. In senso critico v. invece Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1830 s.
[25] Sia consentito rinviare alle considerazioni già svolte nel ns. La tutela dei nati, cit., 922; v. pure il ns. Tecniche procreative vietate e status dei nati. Riflessioni de iure condendo a partire dalle proposte legislative di estensione dell’ambito territoriale del reato di maternità surrogata, in Allargare gli orizzonti della carità. Per una nuova progettualità sociale a cura di Bettini e Tondini, Atti del IV Forum internazionale del Gran Sasso, Teramo, 2022, II, 669 ss.
[26] Il dato è stato opportunamente rilevato anche da Salanitro, L’ordine pubblico dopo le Sezioni Unite, cit., 916, già rispetto al riferimento all’adozione contenuto nell’advisory opinion della Corte di Strasburgo. L’A. è tornato sul punto anche in seguito: cfr. Id., L’adozione e i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2021, 944; Id., Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1831. Per considerazioni analoghe v. anche A. G. Grasso, Oltre l’adozione in casi particolari, dopo il monito del legislatore. Quali regole per i nati da PMA omosex e surrogazione?, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 718; Azzarri, I diritti dei nati da gestazione per altri e i limiti costituzionali dell’ordine pubblico, ivi, 1180 ss.; Caterina e Lenti, La famiglia, nel Trattato dir. priv. diretto da S. Mazzamuto, Torino, 2022, 252 s. Secondo Morace Pinelli, Il problema della maternità surrogata, cit., 451, “per superare il rilievo che l’adozione particolare è rimessa alla discrezionalità del genitore d’intenzione, potrebbe essere ragionevole riconoscere al minore l’azione ex art. 279 c.c.”. Anche quest’A. concorda comunque sull’esigenza di un intervento del legislatore.
[27] Al riguardo v. il ns. La tutela dei nati, cit., 922.
[28] Al riguardo Salanitro, Maternità surrogata e ordine pubblico, cit., 1831, osserva perspicuamente che “con una singolare eterogenesi dei fini, le ragioni di deterrenza contro il comportamento della coppia intenzionale si trasformano in una posizione di vantaggio che consente alla stessa coppia di decidere se assumere il ruolo genitoriale: si consente, in tal modo, al genitore intenzionale di sottrarsi alla responsabilità nel caso in cui il minore non risponda ai suoi desiderata, esaltando l’interesse alla soddisfazione di un modello edonistico del diritto alla discendenza che, sul piano delle dichiarazioni di principio, si sostiene di voler respingere”
[29] Al riguardo v. il ns. La tutela dei nati, cit., 929, ove si è detto che in nessun caso di ricorso all’eterologa da parte di coppie di donne sembra possibile sostenere l’esclusione dell’accertamento ab initio della maternità della partoriente, giacché nei confronti di quest’ultima il profondo legame anche psicologico che si consolida col concepito durante la gravidanza e la mancanza di sanzione penale per la condotta in questione, comunque vietata dalla legge italiana, renderebbero ben difficile da giustificare la diversa soluzione del riconoscimento al minore dei diritti propri del figlio solo a seguito di una verifica giudiziale in concreto di conformità al suo superiore interesse. Un simile procedimento di formalizzazione del rapporto di cura genitoriale in atto potrebbe invece essere riservato al rapporto del nato con l’altra componente della coppia che abbia fatto ricorso all’eterologa in violazione del divieto di legge, superando così l’attuale diversità di trattamento esistente a seconda che la nascita avvenga all’estero o in Italia. Com’è noto, infatti, mentre nel primo caso è invalsa la soluzione secondo cui il provvedimento straniero che accerti una doppia maternità può senz’altro essere trascritto, nel secondo caso, invece, si esclude che l’ufficiale di stato civile possa formare un atto di nascita contenente un analogo accertamento. Quest’ultimo orientamento, in particolare, si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità dopo che, con la sentenza n. 221 del 2019, la Corte costituzionale ha riconosciuto non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme della legge n. 40 del 2004 che non consentono il ricorso all’eterologa a coppie di donne: cfr. Cass. 3 aprile 2020, n. 7668 (in Fam. dir., 2020, 537 ss., con nota critica di Scalera, Doppia maternità nell’atto di nascita: la Cassazione fa un passo indietro e ulteriore nota di Calvigioni, L’ufficiale di stato civile non può registrare la nascita dei genitori same sex: dai giudici di merito fino alla Cassazione; in Corr. giur., 2020, 1041 ss., con nota critica di Grasso, Nascita in Italia e PMA da coppia di donne: la Cassazione nega la costituzione del rapporto filiale), Cass. 22 aprile 2020, n. 8029; Cass. 23 agosto 2021, n. 23320, cit., e n. 23321; Cass., 25 febbraio 2022, n. 6383 (ord.), cit.; Cass., 7 marzo 2022, n. 7413 (ord.), cit.; Cass., 13 luglio 2022, n. 22179 (ord.). Nel senso della trascrivibilità del provvedimento straniero che accerti una doppia maternità v. invece Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, pubblicata, tra l’altro, in Corr. giur., 2017, 181 ss., con nota adesiva di Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis; in Nuova giur. civ. comm., 2017, 362 ss., con nota adesiva di Palmeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex; in Giur. it., 2017, 2075 ss., con nota adesiva di Fossà, Il paradigma del best interest of the child come roccaforte delle famiglie arcobaleno. Nello stesso senso anche Cass. 15 giugno 2017, n. 14878, pubblicata, tra l’altro, in Foro it., 2017, I, 2280 ss., con nota di Casaburi; in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 1708 ss., con nota adesiva di Palmeri, Irrilevanza del legame genetico ai fini della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex. Si tratta di due casi diversi: nel primo una delle “madri” aveva messo a disposizione l’ovocita e l’altra aveva partorito; nel secondo caso la partoriente era invece la stessa donna che aveva fornito il materiale genetico per la fecondazione in vitro, sicché l’altra donna aveva semplicemente consentito alla tecnica ed aveva pertanto col nato solo un legame intenzionale. Un caso analogo a quest’ultimo è venuto in considerazione in Cass. 23 agosto 2021, n. 23319, che ha confermato il precedente del 2017.
Il costo del personale degli Ordini Professionali non rientra nel conto consolidato della pubblica amministrazione (Nota a TAR Lazio, sez. II, 2 novembre 2022, n. 14283)
Redazione
È noto che l’art. 60, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 stabilisce che “Le amministrazioni pubbliche presentano, entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti e alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, il conto annuale delle spese sostenute per il personale … Il conto è accompagnato da una relazione, con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale, con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti di programmazione”.
La sentenza del TAR Lazio ha annullato la circolare della ragioneria Generale dello Stato che aveva incluso gli Ordini professionali nel novero degli enti pubblici tenuti alla comunicazione dei dati relativi alla consistenza e al costo del personale ai fini del controllo della spesa pubblica.
Dopo aver preliminarmente qualificato la circolare come atto avente natura autoritativa e imperativa e tale da avere al tempo stesso natura di atto amministrativo generale e astratto e portata immeditamente lesiva “in quanto comporta un sacrificio diretto e attuale nella sfera giuridica degli Ordini”, il TAR ha ritenuto non sufficiente la natura (pacifica) di ente pubblico non economico degli Ordini professionali per poterli ritenere assoggettati al potere di controllo sulla spesa pubblica secondo le disposizioni contenute nel Titolo V del citato d. lgs. 165/2001.
Decisivo, nel ragionamento del TAR, non tanto il fatto che gli Ordini si finanzierebbero autonomamente tramite le quote associative (circostanza che rimane estranea alla ratio decidendi), quanto il fatto che l’art. 2, comma 2-bis, del d.l. n. 101/2013, stabilisce che “Gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali …, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 … e ai soli princìpi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica ad essi relativi, in quanto non gravanti sulla finanza pubblica”.
Da tale disposizione, secondo il TAR Lazio, deriva la duplice conseguenza che agli Ordini Professionali, benchè enti pubblici non economici, non può applicarsi in via automatica l’intera disciplina sul pubblico impiego e che non può ad essi applicarsi in via automatica neppure la generale disciplina sulla razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica.
La riforma Cartabia tra le prassi virtuose e buone leggi
di Giorgio Spangher
1. Con il d. l. n. 162 del 2022 l’entrata in vigore dell’intero d. lgs. n. 150 del 2022 è stata differito al 30 dicembre 2022.
Le ragioni sono note: consentire come richiesto dai 26 procuratori generali di predisporre gli strumenti organizzativi della riforma.
Non può negarsi che questo arco temporale consentirà anche una migliore valutazione degli effetti della riforma, sia nell’operatività delle previsioni del c.d. regime transitorio per i profili normati, sia per quelli per i quali si stanno prospettando non pochi problemi interpretativi di diritto intertemporale.
Ad alcuni di questi aspetti, governati dai principi del tempus regit actum, in materia processuale e del principio dell’irretroattività in materia sostanziale si può far già riferimento, in considerazione del fatto che lo scivolamento globale della riforma lascia quasi tutto inalterato. Quasi, infatti, ove si escluda proprio il primo dei profili che si è prospettato: le implicazioni dell’abrogazione degli artt. 582, comma 2 e 583 c.p.p., con conseguente operatività del solo art. 582, comma 1, c.p.p., in attesa dell’entrata a regime del riformato art. 582 c.p.p. (15 gennaio 2024). A prescindere dalla copertura al 31 dicembre 2022 della legislazione Covid, con possibile uso della pec, la questione che si è prospettata riguarda l’operatività della previsione solo per le decisioni pronunciate dopo dell’entrata in vigore della riforma, senza escludere valutazioni per le motivazioni depositate dopo la vacatio legis (sulla scorta di Cass. Sez. un. Lista). Proprio quest’ultimo profilo potrebbe determinare il regime della modalità di proposizione dell’impugnazione.
Comunque le coincidenze temporali potranno suggerire al legislatore di intervenire in materia. La questione è terribilmente seria perché un errore determinerebbe l’inammissibilità dell’atto (arg. ex art. 591 c.p.p.).
Un secondo profilo attenzionato riguarda la possibilità per l’imputato di godere degli sconti di pena per le mancate impugnazioni dell’abbreviato, nel caso in cui l’impugnazione sia stata proposta antecedentemente alla riforma. Una “lettura” in bonam partem dovrebbe suggerirne l’operatività ma sarebbe necessaria una previsione ad hoc non essendo possibile ritenere la previsione de qua operativa sulla base della rinuncia al gravame, ipotesi diversa rispetto alla mancata impugnazione.
Altro aspetto interessato riguarda la disciplina relativa alla modifica della composizione del collegio, in considerazione del differimento della nuova disciplina delle videoriprese delle dichiarazioni in carenza di strumenti tecnici e di personale attrezzato. Dovrebbe escludersi l’applicazione ultrattiva della sez. un. Bajrami, a fronte dell’affermato riconoscimento del diritto alla richiesta ripetizione dell’atto.
2. Più complesso, stante l’estrema variabilità delle situazioni prospettate, si presenta il tema della perseguibilità a querela per alcuni reati perseguibili d’ufficio. Invero la disciplina transitoria che prevede un arco temporale per la presentazione della querela non appare sufficiente ad impedire il proscioglimento dell’imputato-indagato, salvo ritenere una sospensione degli effetti della riferita modifica.
A parte il problema dell’intervento in flagranza per alcuni reati, impossibile mancando la querela.
Pur essendo stata autorevolmente sostenuta, la mancanza della possibilità di accedere alla giustizia riparativa non consente di ritenere che, a fronte del rigetto di una richiesta per le riferite ragioni di mancanza della disciplina operativa, l’imputato maturi il diritto alla riduzione della pena che l’esito positivo della mediazione gli consentirebbe di ottenere.
Deve ritenersi che le nuove regole di giudizio dell’archiviazione e della sentenza di non luogo troveranno applicazione anche per le pronunce che dovessero essere emesse dopo l’entrata in vigore della legge anche per le indagini incardinate sotto la vigenza delle regole operanti in precedenza.
Molti interrogativi legati alla varietà delle situazioni in itinere si prospettano in relazione ai tempi delle indagini ed alle proroghe: esauriti i 6 mesi di indagini, entrata in vigore la nuova disciplina, il p.m. potrà perseguire o dovrà chiedere la proroga; per le contravvenzioni avrà solo sei mesi o dovrà chiedere la proroga?
Non mancano incertezze in relazione all’operatività degli artt. 415 bis e 415 ter c.p.p. nella nuova formulazione, che tuttavia dovrebbe ritenersi applicabile anche per le indagini non definite. Quid iuris nell’eventualità della citazione diretta e dell’udienza dibattimentale già fissata: la difesa ha diritto all’udienza predibattimentale?
La nuova disciplina del controllo sulle tempestività dell’iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. si applicherà anche alle indagini preliminari in corso ovvero solo a quelle successive all’entrata in vigore della legge?
3. L’ampio spazio della vacatio legis ha prefigurato (forse anche con l’intento - neppure troppo velato - di congelare alcuni profili della riforma) la questione della possibile “anticipazione” di alcuni aspetti del d. lgs. n. 150 del 2022.
Ci si è così interrogati sulla possibilità di applicare durante il periodo di vacatio legis le norme penali sostanziali del regime sanzionatorio connotate da una disciplina più favorevole.
Sono state citate al riguardo due decisioni della Cassazione che peraltro non sembrano risolvere la questione (Cass. Sez. I, 14.5.2019, n. 39977; Cass. Sez. I, 18.5.2017, n. 53602).
In altri termini, a prescindere dalla lunghezza della vacatio ( dato non irrilevante) e della possibilità di modificare la normativa del d. lgs. n. 150 del 2022 [a prescindere dallo strumento con il quale ciò sarebbe realizzabile (delega); le riserve peraltro formulate in materia sono agevolmente superabili], è possibile l’applicazione più favorevole ovvero il giudice ritenendole applicabili dovrà rinviare il processo, ovvero dovrà decidere sulla scorta della disciplina ancora vigente.
Lo spazio temporale oggetto del differimento, consentirebbe sicuramente al Parlamento di apportare quei correttivi che alcune previsioni già oggi evidenziano: l’art. 129 bis c.p.p. stante la sua a dir poco giuridicamente infelice formulazione; l’art. 175 bis disp. att. c.p.p. stante la sua errata formulazione; la valorizzazione nel codice dei criteri di priorità, attualmente schermati nei poteri organizzativi dell’ufficio di procura (art. 127 bis disp. att.); la mancanza di contenuti procedurali nella disciplina dell’improcedibilità e della confisca di cui all’art. 578 ter; il coordinamento del comma 3 con il comma 5 dell’art. 656 c.p.p.; il coordinamento del comma 2 dell’art. 405 c.p.p. con il comma 3 bis dell’art. 406 c.p.p. e così via come chi studia le nuove norme non manca a torto o a ragione di evidenziare.
Del resto, il riferito spazio di vacatio legis sembra prefigurare – come già avvenuto – un intervento dell’ufficio del Massimario della Cassazione (già depositato) con la logica conseguenza che eventuali riserve o dubbi interpretativi potrebbero trovare adeguati correttivi in fase di conversione del d.l. n. 162.
Di fronte ad uno scenario di possibili modifiche, le parole d’ordine sono “lealtà” e “self restraint” di Governo e Parlamento: “prassi virtuose”, “buone prassi”, “prassi uniformi” (così la Relazione illustrativa; la Relazione al d.l. e numerosi interventi della magistratura): si suggerisce di lasciare che sia la giurisprudenza ad interpretare, a correggere (es.: la nuova procura per i ricorsi in cassazione) e se del caso a modificare la norma magari con la sua creatività interpretativa. Sono molte le previsioni, anche nel recente passato, di interventi in tal senso, spesso del tutto non condivibili.
Visto che c’è tempo e soprattutto la necessità di regolare il regime transitorio, stante la inevitabile commistione con aspetti complessi di diritto intertemporale, meglio forse un intervento del legislatore, meglio “buone leggi”.
La libertà di espressione tutela anche FEMEN. La Corte EDU bacchetta la Francia
di Gabriella Luccioli
1. Ha destato molto scalpore la decisione della Corte EDU del 13 ottobre scorso che accogliendo il ricorso di Eloise Bouton ha ravvisato nella pronuncia dei giudici francesi di condanna della donna per esibizione sessuale (exhibition sexuelle) una violazione dell’art. 10 della Convenzione e condannato lo Stato convenuto al risarcimento del danno morale.
La vicenda è nota. La Bouton era un’attivista di FEMEN, movimento femminista radicale fondato a Kiev nel 2008 per denunciare l’immagine delle donne in una Ucraina postsovietica corrotta, che offriva le donne come spose in vendita o le rendeva oggetto di turismo sessuale.
Nel suo manifesto costitutivo l’associazione sosteneva che il suo obbiettivo era la vittoria sul patriarcato, nelle sue articolazioni principali: l’industria del sesso, la religione e la dittatura. Nata come movimento contro il regime del proprio Paese (analogamente a quanto avveniva in Russia, dove il collettivo PUSSY RIOT si opponeva al proprio sistema politico), FEMEN assunse nel tempo dimensioni internazionali ed estese la sua azione militante ad una vasta gamma di battaglie politiche: dalla difesa dei diritti delle donne in tutto il mondo alle posizioni della chiesa cattolica e di quella ortodossa, alla lotta contro i regimi autoritari.
Il movimento, autodefinitosi femminismo del terzo millennio, scelse come modalità di realizzazione in pubblico delle proprie proteste l’ostentazione di seni nudi sui quali erano vergati slogan e messaggi politici: una pratica chiaramente dirompente e provocatoria volta a combattere l’immagine stereotipata della donna come oggetto sessuale e a rivendicare la libertà di disporre del proprio corpo, secondo una prospettiva che in qualche modo richiamava il biopotere di Foucault.
Nella filosofia del movimento il riconoscimento del legame profondo tra percezione corporea e partecipazione alla vita pubblica imponeva la scelta di far parlare il proprio corpo nel modo più aperto e diretto, così da raggiungere attraverso l’esibizione di sé la piena indipendenza e la liberazione da ogni forma di controllo da parte della politica, della religione e del conformismo imperante. Al tempo stesso il linguaggio del corpo sopperiva, nella sua efficacia dissacrante, alla inadeguatezza della sola parola.
L’esposizione del seno nudo divenne il segno distintivo del gruppo: il proclama il mio corpo è il mio manifesto esprimeva una concezione del corpo non più come oggetto di desiderio o di piacere da parte dell’uomo, ma come emblema di libertà, come una tela sulla quale tracciare in modo sintetico ed efficace, per slogan, l’oggetto delle proprie battaglie e la propria visione del mondo, come uno strumento di affermazione politica e sociale. Restava così conclamato il progetto di utilizzare un corpo veicolo che si faceva mezzo e messaggio e che attraverso tale funzione riscattava il corpo sfruttato delle donne.[1]
Tale progetto dette peraltro luogo ad una accesa polemica con alcuni settori delle femministe islamiche, che in quegli anni - al contrario di oggi - rivendicavano la scelta di coprirsi come atto di autodeterminazione e quindi di libertà.
Il 20 dicembre 2013 la Bouton aveva inscenato una protesta contro le posizioni delle autorità ecclesiastiche nel mondo ostili alle pratiche abortive esponendosi a seno nudo all’interno della chiesa parigina de la Madeleine con il capo coperto da un velo azzurro, ad imitazione dell’immagine della Madonna, mostrando scritte sul torace e sulla schiena, recitando slogan a voce alta e tenendo in mano pezzi crudi e sanguinolenti di fegato di manzo, a simboleggiare il feto e l’aborto di un piccolo Gesù, che aveva poi deposto ai piedi dell’altare.
L’esibizione non era avvenuta durante una celebrazione liturgica, ma nel corso di una ensemble vocale. Essa aveva avuto breve durata, in quanto a richiesta del direttore del coro la Bouton si era subito allontanata in silenzio. Come era prevedibile, la vicenda aveva trovato grande risonanza nel circuito dell’informazione, per essere stata ampiamente pubblicizzata dai giornalisti presenti, preavvertiti dalla stessa donna.
Il 7 gennaio 2014 la Bouton era stata sottoposta a custodia cautelare. Il 15 ottobre 2014 il Tribunale penale di Parigi la aveva ritenuta colpevole del reato di esibizione sessuale previsto dall’art. 222-32 c.p. (che nella formulazione applicabile ratione temporis puniva l’esibizione sessuale imposta alla vista degli altri in un luogo accessibile al pubblico) e la aveva condannata ad un mese di reclusione con sospensione semplice ed al risarcimento dei danni morali al rappresentante della parrocchia. Tale pronuncia era stata confermata dal giudice di appello il 15 febbraio 2017. La Corte di Cassazione con sentenza del 9 gennaio 2019 aveva infine respinto il ricorso dell’imputata, ravvisando la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato, per essere stata detta esibizione volontariamente commessa in una chiesa aperta al pubblico, rilevando inoltre che doveva prescindersi dai motivi che avevano ispirato la condotta della donna e che la condanna penale non determinava un’eccessiva interferenza con la libertà di espressione, dovendo tale libertà conciliarsi con il diritto degli altri, riconosciuto dall’art. 9 della CEDU, a non essere disturbati nella pratica della propria religione.
La Bouton aveva proposto ricorso alla Corte EDU lamentando la violazione dell’art. 10 della Convenzione: specificamente aveva sostenuto che l’ingerenza dello Stato nella sua libertà di espressione non era conforme alla legge ai sensi del paragrafo 2 della norma denunciata, né poteva considerarsi misura necessaria in una società democratica, secondo il medesimo disposto normativo. Al riguardo aveva osservato che la sua azione non era gratuitamente offensiva o diretta a disturbare i fedeli presenti nella chiesa, ma mirava a veicolare un messaggio di contestazione delle posizioni della Chiesa cattolica sull’aborto. Aveva aggiunto che la gravità della condanna ad una pena detentiva, pur sospesa, induceva ad escludere la proporzionalità dell’ingerenza commessa sulla sua libertà di espressione.
Con la sentenza in esame la Corte EDU ha accolto il ricorso, ritenendo che l’ingerenza sulla libertà di espressione della Bouton posta in essere con la condanna alla pena detentiva sospesa non fosse necessaria in una società democratica.
In particolare la Corte di Strasburgo ha ricordato che la libertà di espressione è un principio fondamentale in una società democratica e che tale libertà ha riguardo non solo alle informazioni, ma pure alle idee, a tutte le idee, anche a quelle che offendono o disturbano il sentire della collettività; ha inoltre osservato che ai sensi del comma 2 dell’art. 10 l’ingerenza del potere pubblico sull’esercizio del diritto di libertà di espressione è lecita solo ove ricorrano le specifiche circostanze ivi previste. Nell’ambito del necessario bilanciamento tra il diritto della ricorrente di manifestare le proprie idee sui diritti delle donne e quello degli altri al rispetto della morale e dell’ordine pubblico la Corte ha rilevato che la questione della nudità del seno in un luogo di culto non poteva essere riguardata, come aveva fatto il giudice nazionale, isolatamente rispetto alla performance complessiva ed ignorando il significato che la ricorrente intendeva attribuire all’esibizione di sé e la portata dei messaggi trascritti sul suo corpo; ne derivava che il bilanciamento operato dai giudici nazionali non era adeguato né conforme ai criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza, tenuto anche conto che una pena detentiva è compatibile con la libertà di espressione solo in presenza di situazioni eccezionali, in particolare quando altri diritti fondamentali siano stati gravemente violati, come nel caso della diffusione di incitamenti all’odio o alla violenza: nella fattispecie in esame la condotta delle Bouton non solo non esprimeva alcun sentimento di odio né incitamento alla violenza, ma aveva come unico obbiettivo quello di contribuire, con una performance volutamente provocatoria, al dibattito pubblico sui diritti delle donne, ed in particolare sul diritto all’aborto.
Infine, soffermandosi sull’ultimo elemento sottoposto alla sua valutazione, quello relativo alla necessità dell’intervento giudiziario in una società democratica, ha ritenuto che l’interferenza del giudice penale non fosse necessaria, attesa la non rispondenza dell’azione intrapresa dai tribunali francesi ad una esigenza sociale impellente e la sua non proporzionalità rispetto ai fini perseguiti, e considerato che non era stato valutato da detti giudici se l’azione della ricorrente, in tutte le sue modalità, fosse gratuitamente offensiva per le coscienze religiose.
La sentenza era seguita dal parere della giudice Simaykova, che nel concordare pienamente con il decisum del Collegio se ne discostava nel percorso argomentativo, contestando che l’ingerenza commessa fosse prevista dalla legge e perseguisse uno scopo legittimo: rilevava al riguardo che a suo avviso la sanzione inflitta, prima ancora che eccessiva, appariva emessa al di fuori delle previsioni di legge, in quanto adottata a tutela del pudore dei credenti e della loro libertà di coscienza e di religione, ossia per uno scopo diverso da quello sotteso alla norma incriminatrice. Aggiungeva che l’accusa di esibizione sessuale contestata in giudizio era comunque priva di fondamento, in quanto nessuno dei presenti nella chiesa era stato aggredito sessualmente; era vero piuttosto che il mezzo di espressione adottato era puramente politico e non era stato in alcun modo sessualizzato. Ricordava infine che l’arte e la cultura francesi erano ricche di esempi di seni nudi femminili e citava al riguardo il quadro di Manet Dejeuner sur l’herbe ed il seno nudo di Marianna.
2. La sentenza della Corte EDU favorevole alla ricorrente è stata oggetto di aspre critiche da parte di molti commentatori[2], chiaramente colpiti dalla sgradevolezza di alcuni particolari della rappresentazione posta in essere dalla Bouton e dalla sacralità del luogo. E tuttavia una decisione siffatta appare in qualche misura scontata, in quanto del tutto in linea con i precedenti della stessa Corte in materia, ampiamente richiamati in motivazione.
Va innanzi tutto rilevato che l’imputazione di esibizione sessuale contestata dai giudici francesi in assenza in quell’ordinamento di fattispecie penali che tutelino le confessioni religiose e la libertà di religione presentava evidenti profili di incongruità, in quanto isolava - come puntualmente osservato nella sentenza in esame - un frammento dell’intera performance della Bourion, depurandolo della sua effettiva portata e delle sue finalità: ed invero l’estrapolazione dell’esibizione del busto dal quadro complessivo dell’azione di protesta deprivava detta ostentazione della sua funzione comunicativa e della sua carica polemica, attribuendole una capacità di offendere la sessualità e il pudore delle persone certamente estranea alle intenzioni della manifestante, prima ancora che contrastante con il sentire della collettività, da tempo assuefatta alla visione delle nudità femminili, non soltanto in campo artistico, ma anche nella stampa, nelle trasmissioni televisive e nella pubblicità.
Appare pertanto pienamente condivisibile il parere della giudice Simaykova lì dove afferma che in realtà la condanna del giudice francese è stata pronunciata a tutela della libertà di coscienza e di religione degli astanti, ossia per uno scopo diverso da quello previsto dall’art. 222-32 c.p., volto a tutelare i cittadini da aggressioni sessuali.
E tuttavia va considerato che, come correttamente osservato dalla sentenza in esame, la Corte di Strasburgo non era chiamata a pronunciare sulle tecniche utilizzate dal legislatore per regolamentare un settore del diritto, né sugli elementi costitutivi del reato di esibizione sessuale previsto nel codice penale francese, spettando alle autorità nazionali interpretare e applicare il diritto interno, quindi valutare i fatti controversi e il loro contesto di riferimento, infine riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi integranti la fattispecie criminosa.
Tanto meno era riconducibile alle attribuzioni della Corte Europea ogni sindacato sulla correttezza della imputazione penale in relazione ai fatti accertati.
Compito della Corte era quello di accertare se la condanna del giudice penale francese integrasse una violazione dell’art. 10 della Convenzione, ossia se i metodi adottati da detto giudice e le conseguenze che ne erano derivate fossero conformi alla Convenzione.[3] Nell’ambito di tale valutazione la sentenza ha correttamente richiamato i propri precedenti in materia, sia con riferimento al valore fondamentale della libertà di espressione, in tutte le sue forme, sia in ordine alla ricorrenza dei motivi legittimi di ingerenza elencati nel capoverso dell’ art. 10 della Convenzione, sia alla sussistenza del requisito della necessità dell’intervento giudiziario in una società democratica, ai sensi del medesimo capoverso, sia infine in relazione alla compatibilità con la libertà di espressione della pena detentiva inflitta.
Come è noto, nella prospettiva del giudice di Strasburgo la libertà di espressione, pietra angolare di ogni sistema liberale, riveste una dimensione funzionalistica, in quanto è volta all’affermazione del pluralismo democratico prescindendo dal contenuto dell’opinione espressa, dai suoi obbiettivi e dalla sua rilevanza sociale[4]. Essa è meritevole di tutela in ogni sua modalità, sia in quella del linguaggio parlato, scritto o dei segni, sia in quella delle immagini.
In questa prospettiva, a partire dalla storica sentenza Handyside c. Regno Unito del 1976 - con la quale la Corte EDU affermò che la libertà di espressione costituisce una delle condizioni fondamentali per il progresso di ogni società democratica e per lo sviluppo di ogni individuo e che tale libertà è garantita non solo alle informazioni o alle idee accolte favorevolmente dal sentire collettivo o allo stesso indifferenti, ma anche a quelle che offendono lo Stato o qualsiasi fascia della popolazione, in ragione del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza il quale non esiste una società democratica - detta Corte ha progressivamente esteso l’ambito della libertà di espressione, in essa ricomprendendo anche la forma ed il mezzo con i quali informazioni ed idee sono manifestate, corrispondentemente riducendo la portata delle clausole limitative poste dal capoverso dell’art. 10, per loro natura di restrittiva interpretazione.
Si trattava quindi nella specie di verificare se le sanzioni imposte dal giudice penale fossero previste dalla legge e se costituissero misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, così come disposto dal richiamato capoverso.
Al riguardo la Corte di Strasburgo ha osservato che l’ingerenza dello Stato aveva fondamento legale, in quanto prevista dall’art. 232-22 c.p., ma nel compiere la necessaria verifica se l’interferenza dello Stato fosse diretta a conseguire uno dei fini legittimi elencati nel comma 2 dell’art. 10 ha rilevato che, pur tenuto conto del margine di apprezzamento riservato al giudice nazionale, la condanna pronunciata da detto giudice non poteva considerarsi compatibile con la tutela accordata dal primo comma alla libertà di espressione, in quanto emessa prescindendo dal necessario bilanciamento tra interessi divergenti, costituiti da un lato dal diritto della ricorrente di comunicare in pubblico e dall’altro dal diritto delle persone al rispetto della morale e dell’ordine pubblico. Infine, con riguardo all’elemento della necessarietà dell’intervento in una società democratica, nel senso fatto proprio dalla sua giurisprudenza di rispondenza ad un bisogno sociale impellente, la Corte ha escluso tale necessità, attese le concrete modalità con le quali l’ingerenza era stata posta in essere e considerata anche la natura detentiva della pena inflitta, che integrava una delle forme più gravi di ingerenza nel diritto alla libertà di espressione e che secondo i propri consolidati assunti può trovare giustificazione soltanto in presenza di circostanze eccezionali, quando altri diritti fondamentali siano stati gravemente violati.
In ogni passaggio il percorso argomentativo della sentenza si sviluppa in piena aderenza agli indirizzi della stessa Corte, puntualmente e copiosamente richiamati: inserita nella trama di detti arresti, la decisione adottata non può essere intesa - secondo quanto da alcuni sostenuto - come un’ulteriore offesa alla libertà religiosa, come una aberrante patente di legittimità di un gesto blasfemo, ma come una dimostrazione di coerenza e di tenuta del sistema. È noto invero che nella giurisprudenza convenzionale il giudice interpreta il testo scritto della Convenzione secondo strumenti concettuali diversi dai canoni generali ed astratti propri della nostra tradizione giuridica, affidando l’interpretazione alla ricerca e al rispetto del precedente, con una particolare attenzione alle specificità del caso concreto ivi esaminato, per verificarne la sovrapponibilità con quello oggetto di esame, in una logica ispirata alla tradizione giuridica dei paesi di common law.
3. La condotta dell’attivista Bouton appare senza dubbio fortemente provocatoria e sgradevole, sia per le sue modalità, accuratamente scelte nei dettagli per impressionare e per suscitare reazioni forti, sia per la sacralità del luogo in cui è stata posta in essere. Essa aveva la capacità di offendere la sensibilità e il sentimento religioso degli astanti e certamente nell’ordinamento italiano avrebbe trovato sanzione in specifiche ipotesi criminose, come quelle previste dagli artt. 403 e ss. c.p., modificati dalla legge n. 85 del 2006, ma una volta esclusa, come già osservato, ogni discussione circa la correttezza della contestazione da parte dei giudici francesi del reato di esibizione sessuale ai sensi dell’art. 222-32 c.p., la questione riguardava unicamente la possibilità di ricondurre la condanna penale ad una delle ipotesi che eccezionalmente consentono la limitazione della libertà di espressione.
L’operazione, scaturita dalla suindicata imputazione, di estrapolazione dal contesto del fatto di esibirsi in pubblico, così sanzionando la donna per il solo essersi mostrata a seno nudo, ha indotto i giudici francesi ad una sentenza che ha ignorato il significato e le finalità del gesto, attribuendogli una insussistente connotazione sessuale, e dunque ad una condanna che non poteva non essere riguardata dal giudice europeo come una illegittima ingerenza nella libertà di espressione, non avendo nulla a che fare né con la libertà di coscienza o religione né con altri diritti eventualmente in conflitto con quel diritto primario.
[1] Per qualche approfondimento sulla natura e sulle finalità dell’associazione v. CHANNELL, Is sextremism the new feminism? Perspectives from Pussy Riot and FEMEN, in National papers, 2014; DUNGAY, “Our mission is protest”: FEMEN, toplessness and female spectacle, University of Plymouth. 2018; LOMBARDI, L’altra metà del cielo: le Femen in Ucraina, in lospiegone.com, 14 febbraio 2019; TURRI, FEMEN, un movimento che sfida il potere, in novantatrepercento.it, 4 dicembre 2017.
[2] V. per tutti PUPPINCK, La CEDU sempre più strabica nella “tutela” dei “diritti umani”, in provitaefamiglia.it, 15 ottobre 2022; RONCO, Caso FEMEN: per la CEDU la libertà religiosa può essere calpestata, in www.centrostudilivatino, 19 ottobre 2022. In senso favorevole v. ROBOTTI, Ci sarà pure una giudice a Strasburgo: il caso dell’attivista “FEMEN”, in goodmorninggenova.org, 17 ottobre 2022.
[3] Sui livelli di revisione della Corte EDU in materia di libertà di espressione v. GORI, Libertà di manifestazione del pensiero, negazionismo, hate speech, in Speciale Questione Giustizia, aprile 2019.
[4] V. in tal senso CARDONE, L’incidenza della libertà d’espressione garantita dall’art.10 CEDU nell’ordinamento costituzionale italiano, in osservatoriosullefonti.it, 2012, n. 3.
Le persistenti ragioni del divieto di maternità surrogata e il problema della tutela di colui che nasce dalla pratica illecita. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite
di Arnaldo Morace Pinelli
Sommario: 1. Premessa. - 2. Le ragioni del divieto. La maternità surrogata instaura sulla vita del bambino e della gestante un inammissibile potere privato di controllo - 3. Segue: la gestante è strumentalizzata ai bisogni di genitorialità della coppia committente - 4. Le Sezioni Unite del 2019 e la sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021. Persistenza del divieto di maternità surrogata e contestuale esigenza di tutelare più incisivamente colui che nasce dalla pratica illecita - 5. L’ordinanza interlocutoria n. 1822/2022. La questione della maternità surrogata viene nuovamente rimessa alle Sezioni Unite - 6. Corte cost. n. 79/2022. Il bilanciamento degli interessi in gioco spetta al legislatore. L’interesse del minore si realizza attraverso l’adozione particolare del genitore d’intenzione. Il ruolo della giurisprudenza.
1. Premessa
Il tema della maternità surrogata pone due questioni, distinte tra loro, che spesso vengono confuse, ossia quella della illiceità della peculiare tecnica procreativa e quella della salvaguardia di colui che nasce ricorrendo ad essa, che non ha colpa della violazione del divieto ed è «bisognoso di tutela come ogni altro e più di ogni altro», benché il legislatore, in questa materia, si sia limitato a vietare e sanzionare, mentre «avrebbe dovuto… regolare la sorte del nato malgrado il divieto».[1] La legge n. 40/2004, infatti, tace al riguardo.
Come cercheremo di dire, tuttavia, questa giusta esigenza di tutela del minore non implica in alcun modo il superamento, diretto o indiretto, del divieto di maternità surrogata, ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale e della Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
2. Le ragioni del divieto. La maternità surrogata instaura sulla vita del bambino e della gestante un inammissibile potere privato di controllo
La maternità surrogata si fonda su un contratto «con il quale una donna si presta ad essere fecondata artificialmente, per poi consegnare alla coppia committente il nato», contratto che, nel nostro ordinamento, non solo è vietato ma anche penalmente sanzionato (art. 12 n. 6, l. 40/2004),[2] in quanto – come è stato recentemente ribadito della Corte costituzionale - «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane»,[3] «assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale».[4]
La contrarietà all’ordine pubblico della maternità surrogata, ostativa al riconoscimento e alla trascrizione nei registri dello stato civile in Italia dei provvedimenti che attribuiscono lo status filiationis, nel caso in cui la coppia sia ricorsa a tale pratica di p.m.a. all’estero, non riposa soltanto nell’art. 12 l. n. 40/2004, che introduce il reato di intermediazione commerciale in tale materia, ma affonda radici profonde nel diritto civile,[5] come dimostra il fatto che dottrina e giurisprudenza predicavano l’invalidità degli accordi di maternità surrogata ben prima dell’entrata in vigore della l. n. 40/2004.
Sintetizzando al massimo, la maternità surrogata instaura sulla vita del bambino e della gestante un inammissibile potere privato di controllo. Essa si fonda su un contratto con cui si dispone di diritti inviolabili, efficace nei confronti di un soggetto estraneo all’accordo e vulnerabile: il nascituro. Il rapporto di filiazione origina da un contratto, sul presupposto che l’autodeterminazione procreativa dei committenti sia sufficiente a costituire lo status.[6]
Il rilievo giuridico che si pretende di attribuire al progetto genitoriale dei committenti implica, necessariamente, l’assorbimento dell’interesse del figlio in quello dei genitori. Del resto proprio questo dice quella parte della giurisprudenza che, in questi casi, fa coincidere il preminente interesse del minore con la conservazione dello status filiationis, in qualsiasi modo acquisito all’estero.[7] Dalla condivisibile premessa che le conseguenze della «violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 - imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia – non possono ricadere su chi è nato», si fa discendere, alla stregua di un corollario, il principio per cui l’interesse del minore sarebbe tutelato attraverso un automatismo, ossia mediante il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia del provvedimento che attribuisce lo status filiationis, validamente formato all’estero, indipendentemente dal fatto che i genitori siano ricorsi ad una pratica di p.m.a. vietata in Italia.[8] Agitando la formula del the best interest of the child - di cui non si è mancato di sottolineare l’ontologica vaghezza[9] -, si finisce con l’ammettere la surrogazione di maternità,[10] seppure circoscrivendo la mercificazione ai corpi di donne straniere e, soprattutto, si legittimano ex post le scelte degli adulti, al di fuori di qualsiasi valutazione in concreto dell’effettivo interesse del minore nato dalla pratica illecita.
A ben vedere, dunque, la maternità surrogata postula un controllo proprietario dell’esistenza. L’accordo di surrogazione «ha come prestazione caratterizzante la generazione di un essere umano dotato di certe proprietà fisiche (costituzione genetica) e giuridiche (stato filiale) e come scopo la costituzione, modificazione estinzione di diritti e doveri genitoriali».[11] Da questo punto di vista, l’invalidità dell’accordo sussiste indipendentemente dal fatto che esso sia stipulato a titolo oneroso o a titolo gratuito.
Questo potere degli adulti (i committenti) sulla vita del bambino (e della gestante) si pone in aperto conflitto con il diritto contemporaneo della filiazione, che procede in una direzione opposta, ossia quella del controllo del potere dei genitori sui figli.[12] L’autonomia privata si espande nei rapporti simmetrici [all’ampia facoltà di scelta degli adulti tra i modelli di convivenza (matrimonio, unioni civili, convivenze regolate dal diritto, mere convivenze eterologhe o omoaffettive), si affianca una significativa libertà nella determinazione di diritti e doveri e nello scioglimento del rapporto], mentre i rapporti tra figli e genitori sono presidiati da norme inderogabili e dal rilievo che assume lo status filationis, inteso quale sintesi di situazioni giuridiche indisponibili ai privati.[13]
La riforma Bianca sulla fiIiazione del 2012 proietta definitivamente l’ordinamento sulla persona del minore. Il nuovo art. 315 bis c.c. enuncia lo statuto dei diritti fondamentali del figlio come persona, mentre in passato «la posizione giuridica del figlio veniva identificata solo relativamente ai doveri dei genitori e agli obblighi delle prestazioni alimentari».[14] Il figlio viene posto al centro del sistema, ultimandosi il passaggio da una concezione del minore, quale soggetto debole da tutelare, a quella di individuo, titolare di diritti soggettivi, che l’ordinamento salvaguarda ed è chiamato a promuovere. Ed i suoi diritti, scolpiti nell’art. 315 bis c.c. (il diritto ad essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, il diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, il diritto all’ascolto) rientrano nel novero di quelli fondamentali della persona e sono garantiti dall’art. 2 Cost.
Questa visione minori-centrica si ripercuote anche nel rapporto con i genitori, focalizzato sulla persona del figlio e sulla prevalenza dei suoi diritti. Costituisce portato fondamentale della riforma del 2012 la sostituzione della nozione di potestà, evocativa di un potere sul minore, con quella di responsabilità genitoriale, che evidenzia invece l’impegno che l’ordinamento richiede ai genitori, non identificabile «come una “potestà” sul figlio minore, ma come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio».[15] Questa sostituzione lessicale assume una valenza culturale profonda, segnando il radicale mutamento di prospettiva operato dalla riforma: nel rapporto genitori-figlio l’ordinamento si colloca dalla parte del minore, in virtù del superiore interesse di cui questi è portatore.
La centralità della posizione del minore, quale soggetto titolare di diritti fondamentali garantiti dall’art. 2 Cost., permea anche la legge sull’adozione. L’art. 1 l. n. 184/1983 proclama solennemente il suo diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia e l’inclusione di un siffatto diritto nello speciale statuto dell’art. 315 bis c.c. conferma che ci troviamo in presenza di un diritto fondamentale della persona, essendo la famiglia «un bene essenziale per la vita affettiva e per l’armoniosa formazione» del minore.[16] Siffatto diritto rientra tra quelli assoluti, esperibili nei confronti di tutti i terzi, compreso lo Stato, verso cui il minore – per quel che qui soprattutto interessa - vanta la pretesa a non subire provvedimenti di adozione, affidamento e allontanamento al di fuori dei casi previsti dalla legge e ad un concreto intervento volto a rimuovere le difficoltà personali ed economiche che sono di ostacolo all’esercizio del diritto.
Quando la famiglia manca o l’ambiente familiare è irrecuperabile, «il minore abbandonato ha diritto ad essere adottato perché ha diritto ad una famiglia, come enunciato dal titolo della legge, e ha diritto ad una famiglia perché solo una famiglia può dargli quell’amore di cui ha fondamentalmente bisogno».[17] Il diritto del minore alla propria famiglia si specifica, poi, nel diritto alla bigenitorialità, ossia alla doppia figura genitoriale, espressamente sancito, nel caso di crisi del rapporto che lega i genitori, dall’art. 337 ter c.c.
Il nostro ordinamento conosce, dunque, il diritto del figlio di crescere nella sua famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei suoi genitori e le essenziali relazioni affettive che instaura e – prima ancora – il suo diritto ad avere una famiglia e, dunque, ad essere adottato, ove si trovi in stato d’abbandono. Non esiste, invece, un diritto dell’individuo ad avere figli[18] e, più segnatamente, un diritto ad adottare,[19] che – anche nella sua teorica postulazione – svilisce la posizione e la dignità del figlio, riducendo la sua persona ad oggetto di un diritto altrui.[20] Ciò significa che l’interesse giuridicamente rilevante ad adottare, certamente configurabile, «può essere soddisfatto solo se e in quanto sia adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato».[21]
Se questo è il sistema, non vi è spazio per un contratto, quale è quello di maternità surrogata, che instaura sulla vita del bambino (e della gestante) un potere privato di controllo esercitato dalla coppia committente.
3. Segue: la gestante è strumentalizzata ai bisogni di genitorialità della coppia committente
La maternità surrogata confligge poi con i valori fondamentali espressi dagli artt. 2 e 29 cost. L’ordinamento guarda alla persona umana come a un valore in sé e non come a un semplice mezzo per il soddisfacimento dell’altrui interesse. La gestante non è strumentalizzabile ai bisogni di genitorialità della coppia committente.
Sotto tale profilo si coglie la lesione della dignità della donna, da declinarsi in termini oggettivi e non soggettivi. Anche se la gestante sia libera dal bisogno e mossa da animo solidale ci troviamo in presenza di una maternità che non è liberamente desiderata: la fecondità personale è subordinata a un progetto di altri, titolari del prodotto (il bimbo) che dettano le condizioni della produzione (la gestazione).
Sempre, indipendentemente dal carattere oneroso o gratuito/solidale della singola pratica procreativa, si assiste ad una inammissibile oggettivazione/mercificazione del corpo della donna, strumentalizzato per appagare il desiderio di genitorialità dei committenti, e alla reificazione del minore, gestito alla stregua di un bene, il cui destino è segnato dalle clausole di un atto d’autonomia privata: il contratto di maternità surrogata.
È, dunque, lesa anche la dignità del nascituro. Senza addentrarci nell’ardua questione se l’embrione umano sia persona, soggetto di diritto o nulla di tutto ciò, è certo che, anche prima dell’impianto, ne viene riconosciuta la dignità, «quale entità che ha in sé il principio della vita»,[22] valore «di rilievo costituzionale riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.».[23] Per questo motivo l’embrione è fatto oggetto di precise tutele (artt. 13 e 14 l. n. 40/2004) e soltanto la necessità di salvaguardare il diritto alla salute della donna (che è già persona e dunque prevale sull’embrione, che persona ancora deve diventare) consente un affievolimento della tutela e, dunque, l’interruzione della p.m.a., con il rifiuto dell’impianto[24] (l’embrione non può però essere soppresso: art. 13 l. n. 40/2004), ovvero, ove questo sia avvenuto, con il ricorso all’aborto.
Se, poi, si ritiene che il rapporto materno sia creato dalla gestazione, la sottrazione del figlio alla madre uterina è anche lesiva dell’interesse del minore «a mantenere il rapporto materno già naturalmente costituito e vissuto».[25] In effetti, nel caso di fecondazione eterologa la legge stabilisce chi è il padre e chi la madre (artt. 6, 8 e 9 l. n. 40/2004). Nulla dice, invece, con riguardo al nato da maternità surrogata e notoriamente la dottrina è divisa tra coloro che ritengono che madre sia la gestante[26] e coloro secondo i quali «paternità e maternità, e così lo stato del nato, debbano riportarsi a chi ha concorso alla fecondazione e quindi alla creazione dell’embrione».[27] Un siffatto nodo può essere sciolto soltanto dal legislatore, chiamato anche a decidere il ruolo che deve essere assegnato al genitore d’intenzione.[28]
4. Le Sezioni Unite del 2019 e la sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021. Persistenza del divieto di maternità surrogata e contestuale esigenza di tutelare più incisivamente colui che nasce dalla pratica illecita
Le Sezioni unite, con la nota pronuncia del 2019,[29] hanno dunque negato la possibilità di riconoscere nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che affermi il rapporto di genitorialità tra un bambino nato a seguito di maternità surrogata e il c.d. genitore d’intenzione, sul presupposto che il divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma sesto, l. n. 40/2004, integra un principio di ordine pubblico, posto a tutela di valori fondamentali, rispetto ai quali la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto.
Peraltro tale giudice non si è limitato ad affermare l’illiceità della pratica procreativa, ma si è preoccupato di individuare una tutela per colui che sia nato dalla sua sperimentazione. Siffatta tutela, secondo le Sezioni unite, si realizza attraverso la possibilità della stepchild adoption da parte del genitore d’intenzione, con cui si salvaguarda «la continuità della relazione affettiva ed educativa» eventualmente instauratasi tra il minore e tale soggetto,[30] risultando dall’indagine propedeutica all’adozione particolare che il genitore d’intenzione è diventato genitore sociale, avendo costruito con il minore un rapporto fondamentale per la sua crescita ed il suo sviluppo. In effetti, se si astrae dall’inesistente diritto degli adulti alla genitorialità, in una prospettiva genuinamente minori-centrica, con riguardo al nato da una pratica di maternità surrogata il problema non è quello di tutelare il suo diritto ad avere una famiglia, giacché egli ha già un genitore biologico, bensì quello di preservare il legame affettivo eventualmente creatosi con il genitore d’intenzione.
Questo lodevole sforzo ermeneutico, presentava, peraltro, un limite oggettivo, derivante dalla peculiare disciplina dell’adozione particolare, istituto eccezionale inidoneo a tutelare con pienezza il minore. Prima di un recente intervento della Corte costituzionale,[31] l’adozione particolare non istituiva un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante e neppure tra l’adottante e la famiglia dell’adottato (art. 300 c.c. e 55 l. adoz.). Inoltre, l’adozione particolare è rimessa alla volontà dell’adottante e dipende dall’assenso del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo, in caso di crisi della coppia (art. 46 l. adoz.).
Muovendo da tali considerazioni, una pronuncia della prima sezione civile della Corte di Cassazione, a meno di un anno dalla sentenza delle Sezioni unite, ha ritenuto di dover sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, dell’art. 64, comma 1, lett. “g” l. n. 218/95 e dell’art. 18 d.p.r. n. 396/2000 «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente (fornita dalle Sezioni unite), che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».[32]
Le attese del giudice rimettente sono peraltro andate deluse. La Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato inammissibili le questioni sollevate,[33] ribadendo con fermezza la condanna della maternità surrogata e la necessità di bilanciare l’interesse del minore «alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore». Ha quindi condiviso il diniego delle Sezioni unite in ordine alla trascrivibilità dei provvedimenti giudiziari stranieri e, a fortiori, dell’originario atto di nascita, che indichino quale genitore del bambino il c.d. padre d’intenzione, ritenendo che l’interesse del minore ad ottenere il riconoscimento giuridico del suo rapporto con entrambi i componenti della coppia, che lo abbiano accudito esercitando di fatto la responsabilità genitoriale, debba realizzarsi senza automatismi, «attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato,…sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice» in ordine all’esistenza e al valore di tale relazione.
L’importante pronuncia ha, peraltro, denunziato i limiti dell’adozione particolare nell’assicurare siffatta tutela, rilevando, tuttavia, che il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata non può che spettare, almeno «in prima battuta», al legislatore, «al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco».
5. L’ordinanza interlocutoria n. 1822/2022. La questione della maternità surrogata viene nuovamente rimessa alle Sezioni Unite
Appena dieci mesi dopo il deposito della sentenza della Corte costituzionale, tuttavia, una pronuncia della prima sezione civile della Corte di cassazione[34] ha chiesto un nuovo intervento delle Sezioni unite, sottoponendo una soluzione interpretativa ritenuta «adeguata a rispondere all’implicita chiamata “interpretativa” posta in essere con la sentenza n. 33/2021 dalla Corte costituzionale». L’ordinanza interlocutoria insiste sulla necessità di rivalutare «gli strumenti normativi esistenti (delibazione e trascrizione)», quando non si configuri «un insuperabile ostacolo alla loro utilizzazione derivante dalla natura di ordine pubblico del divieto penale», all’esito di una bilanciamento, da effettuarsi in concreto, con i valori sottesi al divieto di surrogazione di maternità. In particolare, la lesione della dignità della donna sarebbe esclusa (e quindi il provvedimento estero sarebbe delibabile o trascrivibile) quando, in base alla legislazione straniera, la gravidanza per altri «sia il frutto di una scelta libera e consapevole, indipendente da contropartite economiche e se tale scelta sia revocabile sino alla nascita del bambino». Quanto poi alla «preservazione dell’istituto dell’adozione», l’ordinanza interlocutoria reputa che il discrimen alla delibabilità/trascrizione del provvedimento straniero sia costituito «dalla tutela del minore da pratiche elusive e illegali intese a vanificare le norme che lo garantiscono, specificamente nei procedimenti di adozione internazionale, da qualsiasi forma di mercificazione».
6. Corte cost. n. 79/2022. Il bilanciamento degli interessi in gioco spetta al legislatore. L’interesse del minore si realizza attraverso l’adozione particolare del genitore d’intenzione. Il ruolo della giurisprudenza
A nostro avviso l’ordinanza interlocutoria non coglie le insuperabili ragioni del divieto di maternità surrogata, esposte ai superiori §§ 3 e 4.[35] Serio è però il problema della tutela del minore nato dalla sperimentazione di tale pratica all’estero, avendo la Corte costituzionale denunciato l’attuale inadeguatezza dell’istituto dell’adozione particolare.
Con specifico riguardo alla posizione del minore, la Corte Edu ha escluso che dall’art. 8 CEDU si possa inferire un diritto al riconoscimento dei rapporti di filiazione conseguiti all’estero, facendo ricorso alla maternità surrogata, e ha dato atto di un ampio margine di apprezzamento spettante agli Stati membri in ordine alla possibilità di riconoscere siffatti rapporti di filiazione.[36] D’altro canto ha affermato la necessità di tutelare l’interesse del minore a preservare il legame che si sia venuto a consolidare con il genitore d’intenzione con «modalità che garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera».[37]
Successivamente al deposito dell’ordinanza interlocutoria, è intervenuta una fondamentale pronuncia della Corte costituzionale, la quale, ribadite le ragioni del divieto, non ha mancato di sottolineare come la scelta operata dal nostro ordinamento del ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari (opportunamente emendato) abbia il pregio di «tenere in equilibrio molteplici istanze implicate nella complessa vicenda» e al contempo «di garantire una piena protezione all’interesse del minore».[38]
Lungi «dal dare rilevanza al solo consenso e dall’assecondare attraverso automatismi il mero desiderio di genitorialità», l’adozione particolare «dimostra una precipua vocazione a tutelare l’interesse del minore a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate», presupponendo «un giudizio sul migliore interesse del minore e un accertamento sull’idoneità dell’adottante».
Si impone, peraltro, un adeguamento dell’istituto e, in questa prospettiva, la Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 55 l. adoz., nella parte in cui, mediante il rinvio all’art. 300, comma 2, c.c., escludeva la parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante, rimuovendo un ostacolo all’effettività della tutela offerta dall’adozione in casi particolari. In tal modo il minore si avvantaggia delle garanzie personali e patrimoniali che discendono dal riconoscimento giuridico dei legami parentali ed è, al contempo, salvaguardata l’identità che gli deriva dall’inserimento nell’ambiente familiare adottivo.[39]
La Corte costituzionale ha, dunque, indicato la strada, che non è quella della delibabilità/trascrizione dei provvedimenti stranieri, secondo un più o meno accentuato automatismo funzionale ad «assecondare … il mero desiderio di genitorialità» degli adulti, che ricorrono all’estero alla pratica vietata nel nostro ordinamento, ma di riformare l’adozione particolare, istituto per sua natura volto alla realizzazione del preminente interesse del minore (art. 57, comma 1, l. adoz.) e capace di tenere in equilibrio i molteplici valori in conflitto, garantendo la piena protezione di tale interesse.[40]
La Corte costituzionale, in altri termini, ha lasciato al legislatore il difficile bilanciamento dei valori in gioco (disincentivazione della maternità surrogata e tutela del minore nato dal ricorso a tale pratica all’estero). Ha posto l’accento su questo secondo valore e, allo scopo di realizzare la migliore tutela del minore, si è concentrata sull’istituto dell’adozione particolare, la cui disciplina non implica alcun confronto con il divieto di surrogazione di maternità.
Nella medesima ottica si devono porre, a nostro avviso, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, eventualmente sciogliendo, in via ermeneutica, quei nodi che rendono l’istituto dell’adozione particolare ancora carente, come, ad esempio, la previsione della necessità dell’assenso del genitore biologico all’adozione (art. 46 l. adoz.). Collegando quest’ultima norma al già richiamato art. 57 l. adoz., che impone al giudice di valutare se l’adozione particolare realizzi in concreto il preminente interesse del minore, il rifiuto dell’assenso all’adozione, da parte del genitore biologico, appare ragionevole soltanto se espresso nell’interesse del minore, ossia quando non si sia realizzata tra quest’ultimo ed il genitore d’intenzione quel legame esistenziale la cui tutela costituisce il presupposto dell’adozione. Se tale legame sussiste, il rifiuto non sarebbe certamente giustificato dalla crisi della coppia committente né potrebbe essere rimesso alla discrezionalità del genitore biologico. Della questione potrebbe essere ovviamente investita la Corte costituzionale.
Non ci pare, invece, che, in caso di maternità surrogata, la genitorialità giuridica possa fondarsi sulla volontà della coppia che ha voluto e organizzato la procreazione assistita, così come avviene per la fecondazione assistita, omologa o eterologa che sia (artt. 6, 8 e 9 l. n. 40/2004), risultato allo stato non conseguibile in via ermeneutica, costituendo la fattispecie della maternità surrogata un reato.
[1] G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in G. OPPO, Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, 49 e ss.
[2] F. GAZZONI, La famiglia di fatto e le unioni civili. Appunti sulla recente legge, in www.personaedanno.it.
Osserva C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2017, 445, che siffatto contratto è certamente invalido: «del concepito non si può infatti disporre già per l’assorbente rilievo che qui l’atto dispositivo avrebbe ad oggetto il futuro stato familiare del nascituro».
[3] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79; Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, in Familia, 2021, 391, con nota di A. MORACE PINELLI, La tutela del minore nato attraverso una pratica di maternità surrogata; Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Foro it., 2018, I, 5.
[4] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79, che richiama Corte cost., 8 marzo 2021, n. 33 cit.
[5] Cfr. il bellissimo saggio di V. CALDERAI, Ordine pubblico internazionale e Drittwirkung dei diritti dell’infanzia, in Riv. dir. civ., 2022, 479 e ss.
[6] Cfr. V. CALDERAI, Ordine pubblico, cit., 481 e ss.
[7] Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Foro it., 2016, I, 3329.
[8] Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit.
[9] M. BIANCA, Prefazione, in The best interest of the child, a cura di M. BIANCA, Roma, 2021, XV e ss.
[10] App. Trento 23 febbraio 2017, in Foro it., 2017, I, 1034.
[11] V. CALDERAI, Ordine pubblico, cit., 495.
[12] V. CALDERAI, Ordine pubblico, cit., 495 e ss.
[13] M. PARADISO, Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1306 e ss., spec. § 4.
[14] M. BIANCA, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in La riforma del diritto della filiazione (l. n. 219/12), in N.l.c.c., 2013, 509.
[15] Così la Relazione illustrativa del d.lgs. n. 154/2013.
[16] C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, cit., 337.
[17] Così C.M. BIANCA, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 23 maggio 2016, nel corso dell’indagine conoscitiva diretta a verificare lo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido.
[18] Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, cit.; Corte cost., 9 marzo 2021 n. 32, in Fam. e dir., 2021, 677: Corte cost., 20 ottobre 2020, n. 230.
Corte Edu, Grande Camera, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli c./ Italia, Foro it., 2017, IV, 105, con nota di CASABURI, afferma con cristallina chiarezza che la CEDU «non sancisce alcun diritto di diventare genitore» (§ 215).
Sul punto, cfr. il nostro Per una riforma dell’adozione, in Dir. fam., 2016, 720 e ss.
[19] Secondo la giurisprudenza della Corte Edu non esiste un diritto soggettivo di adottare, in quanto lo stesso non è evincibile dall’art. 8 CEDU. Il diritto al rispetto di una «vita familiare» non tutela il semplice desiderio di formare una famiglia; esso presuppone l’esistenza di una famiglia o quanto meno di una potenziale relazione che avrebbe potuto svilupparsi, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio.
Cfr. Corte Edu, 19 febbraio 2013, n. 19010, X c. Austria, in Corr. giur., 2013, 712, con nota di A. MASCIA, Adozione co-genitoriale per una coppia omosessuale; Corte Edu, 27 aprile 2010 n. 16318; Corte Edu, 22 gennaio 2008, n. 43546, E.D. c. Francia, in Dir. fam., 2008, 0190, con nota di A. DONATI, Omosessualità e procedimento di adozione in una recente sentenza della Corte di Strasburgo; Corte Edu, 26 febbraio 2002, n. 36515, Fretté c. Francia, in Familia, 2003, 521, con nota di E. VARANO, La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’inesistenza del diritto di adottare.
[20] La Corte costituzionale ha ribadito con la massima fermezza che già l’embrione umano in vitro non è una res ma un’«entità che ha in sé il principio della vita» e la cui «dignità… costituisce… un valore di rilevo costituzionale riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.» (Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84, in Giur. it., 2017, 307, con nota di D. CARUSI, Embrioni in soprannumero e destinazione alla ricerca: il diritto vigente; Corte cost., 6 ottobre 2015, n. 229, in Dir. pen. e processo, 2016, 62, con nota di A. VALLINI, Gli ultimi fantasmi della legge 40: incostituzionale il (supposto) reato di selezione preimpianto).
[21] In tal senso, cfr. C.M. BIANCA, Audizione, cit.
[22] Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84, cit.; Corte cost., 11 novembre 2015, n. 229, cit.
Cfr. pure Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, in Foro it., 2009, I, 2301.
[23] Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84, cit.; Corte cost., 11 novembre 2015, n. 229, cit.
[24] Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, cit.
Cfr., in termini generali, Corte Cost., 18 febbraio 1975, n. 27, in Giur. costit., 1975, I, 117 e ss.
[25] C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, cit., 445..
[26] C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, cit., 445.
[27] G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in G. OPPO, Scritti giuridici, VII, cit., 52.
[28] Così M. BIANCA, La tanto attesa decisione, cit., 383.
[29] Cass., S.U., 8 maggio 2019, n. 12193, in Foro it., 2019, I, 1951.
[30] Così già Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Foro it., 2018, I, 5.
[31] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.
[32] Cass., I Sez. civ., ord., 29 aprile 2020 n. 8325, in giudicedonna.it, 2/2020, con nota di M. BIANCA, Il revirement della Cassazione dopo la decisione delle Sezioni Unite. Conflitto o dialogo con la Corte di Strasburgo? Alcune notazioni sul diritto vivente delle azioni di stato.
[33] Sent. n. 33/2021, cit.
[34] Cass., 21 gennaio 2022, n. 1842.
[35] Sul punto rinviamo al nostro Il problema della maternità surrogata torna all’esame delle Sezioni Unite, in Familia, 2022, 437 e ss.
[36] Corte EDU, 18 agosto 2021, Valdìs Fjolnisdòttir e altri contro Islanda, §§ 66-70 e 75; Corte EDU, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, cit. §§ 197-199.
[37] Corte EDU, 16 luglio 2020, D. contro Francia, § 51, richiamata da Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, cit.; Corte EDU, 12 dicembre 2019, C. ed E. contro Francia, § 42; Corte EDU, Grande Camera, parere consultivo 10 aprile 2019, in N.g.c.c., 2019, 757, con nota di A. GRASSO, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre naturale, § 54.
[38] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.
[39] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.
[40] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.
Per installare questa Web App sul tuo iPhone/iPad premi l'icona.
E poi Aggiungi alla schermata principale.