Giustizia Insieme e il valore dell’accoglienza - 5. Immigrazione e accoglienza: il ruolo delle organizzazioni della società civile
Intervista di Michela Petrini a Daniela Pompei, Responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati
1. L’immigrazione costituisce oramai da anni un settore regolamentato da normative di carattere nazionale e sovranazionale, nel quale, tuttavia, un ruolo da protagonista è svolto anche dalle Organizzazioni della società civile (OSC), che mettono a disposizione mezzi e risorse, economiche e personali, per incentivare e realizzare un virtuoso modello di accoglienza ed integrazione .
In questo contesto, quali sono state le ragioni e quale è stato il contributo fornito dalla Comunità di Sant’Egidio nella cooperazione per la gestione dei flussi migratori? Da quanto tempo vi occupate di immigrazione e quali sono i progetti ai quali avete aderito?
La Comunità di Sant’Egidio ha iniziato la sua presenza accanto agli immigrati all’inizio degli anni ‘ 80 quando la presenza straniera in Italia era ancora molto ridotta, e in assenza di qualsiasi quadro normativo di riferimento se non alcune circolari del Ministero del Lavoro e le vecchie disposizioni del Testo Unico di Pubblica Sicurezza. Solo nel 1986 fu adottato un primo intervento normativo che regolò i soli aspetti delle attività lavorative e che per la prima volta prevedeva un provvedimento di regolarizzazione. Nel 1982 inizia la Scuola di lingua e cultura Italiana della Comunità di Sant’Egidio rivolta ai migranti attraverso la quale è stata elaborata una specifica modalità di insegnamento della lingua correlata ai contesti di vita e di lavoro degli immigrati. Negli anni immediatamente successivi la Comunità di Sant’Egidio ha aperto i servizi di prima accoglienza che ci hanno messo a contatto diretto anche con i rifugiati, di fatto e non ancora di diritto visto che allora la Convenzione di Ginevra era fortemente limitata dalla clausola di riserva geografica. Ospitammo nel 1988 in una delle nostre case Jerry Essan Masllo, il rifugiato sudafricano ucciso a Villa Literno nell’agosto del 1989. Fu proprio la sua morte all’origine di quel movimento della società civile che portò all’emanazione nel dicembre del 1989 di una prima legge sull’immigrazione che tra l’altro eliminò la riserva geografica.
2. A partire dal 2015, grazie dalla collaborazione tra istituzioni – Ministero degli Affari Esteri e di Cooperazione Internazionale e Ministero dell’Interno – e società civile – Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese – sono nati i c.d. corridoi umanitari, ovvero programmi di trasferimento e integrazione in Italia rivolti a migranti in condizione di particolare vulnerabilità: donne sole con bambini, vittime del traffico di essere umani, anziani, persone con disabilità o con patologie.
Come è nato questo progetto? Quali sono stati i protocolli siglati con i diversi Stati e quali sono i numeri dei soggetti che sono riusciti ad arrivare in Italia in sicurezza?
Il Programma dei Corridoi Umanitari nasce dalla tragica constatazione che non esistevano vie legali di ingresso in Europa e in Italia particolarmente per i rifugiati, di conseguenza anche coloro che avrebbero avuto diritto alla protezione internazionale per giungere in Europa erano costretti ad affidarsi ai trafficanti e a rischiare la vita nei viaggi. Per questa ragione nel 2014 proponemmo assieme alla Tavola Valdese e alla Federazione delle chiese evangeliche al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e al Ministero dell’Interno uno schema di protocollo che conteneva, a legislazione invariata, dei principi innovativi: 1. la possibilità del rilascio di visti a validità territoriale limitata ( VTL) secondo quanto previsto dal Regolamento visti all’art. 25; 2. il conseguente ingresso in condizioni di sicurezza sul territorio nazionale dove sarebbe stata formalizzata la domanda di protezione internazionale secondo le procedure ordinarie; 3. l’assunzione di responsabilità da parte delle associazioni che gratuitamente si impegnavano ad individuare i soggetti da ammettere al programma, a fornire loro le informazioni sul paese di accoglienza e a curare successivamente all’arrivo sul territorio nazionale in ogni aspetto il percorso di integrazione. Questo progetto amplia la gamma degli strumenti delle ammissioni umanitarie e prende avvio quasi contemporaneamente ai programmi di resettlement approvati dall’UE tra il 2015 ed il 2017. Con riferimento solo all’Italia, tra il 2015 ed il 2022 sono entrati con i programmi di resettlement 2572 rifugiati già riconosciuti nei paesi di transito dell’UNHCR, mentre con i corridoi umanitari dal 2016 al 2022 sono entrati 4234 richiedenti asilo[1].
I protocolli sinora sottoscritti sono tre per quelli in cui il paese di transito è il Libano (il primo nel dicembre 2015), riguardanti nella grande maggioranza siriani, iracheni e siropalestinesi, ciascuno per mille persone, di cui sono entrate sinora in Italia oltre 2450; gli attori coinvolti sono la Comunità di S. Egidio e la Tavola Valdese – FCEI.
Tre protocolli in cui i paesi di transito sono l’Etiopia, la Giordania ed il Niger riguardanti in maggioranza eritrei, sudanesi, somali, yemeniti ed ancora siriani ed iracheni, il primo sottoscritto nel 2017; sono complessivamente 1700 le persone comprese in questi protocolli, di cui sono sinora entrate in Italia 1100 persone; gli attori coinvolti sono la Comunità di Sant’Egidio e la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) attraverso la Caritas italiana e Migrantes.
Il primo protocollo con la Francia viene concluso nel 2017, il paese di transito è il Libano e i destinatari soprattutto siriani ed iracheni, ne è seguito un altro per complessive 800 persone, di cui 560 sono già entrate in Francia, gli attori sono la Comunità di Sant’Egidio, le chiese evangeliche francesi, la Conferenza episcopale francese e le Semain sociale catholique. Lo stesso anno inizia il Belgio, con cui sono conclusi due protocolli per 450 richiedenti, paesi di transito Turchia e Libano, destinatari siriani ed iracheni; di questi sono giunti 170. Inoltre, Andorra ha accolto 20 richiedenti.
Gli ultimi protocolli sottoscritti riguardano uno la Libia come paese di transito e l’altro per gli afghani, provenienti dal Pakistan e dall’Iran. In attuazione del primo, sono giunti 500 richiedenti, dei quali 200 accolti dalle associazioni (Comunità di Sant’Egidio e Federazione della Chiese Evangeliche), gli altri sono inseriti nel circuito dell’accoglienza dello stato. Il protocollo riguardante gli afghani è ancora aperto, prevede complessivamente 1.200 richiedenti, di cui 800 le associazioni (Comunità di Sant’Egidio, Federazione della Chiese Evangeliche, CEI – Caritas Italiana, ARCI); sono arrivati ad oggi sul territorio italiano oltre 500 richiedenti.
Complessivamente, con i corridoi umanitari sono giunti in Italia dal 2016 5.079 richiedenti, in Europa 5.849.
3. Un tema delicato e complesso è quello della selezione dei migranti che possono accedere al programma. Recentemente molteplici sono state le polemiche politiche e le critiche, avanzate anche da giuristi, con riferimento ai “criteri” prescelti per lo sbarco dei migranti salvati in mare da imbarcazioni gestite da ong.
A fronte di una domanda, sempre più elevata, di richieste di ingresso in Italia, come vengono individuati i soggetti che possono beneficiare dei corridoi umanitari?
Va considerato che ormai i corridoi umanitari hanno superato la fase della sperimentazione iniziale e sono riconosciuti per i loro elementi peculiari, se confrontati con gli altri modelli di ammissione umanitaria; il ruolo dei soggetti della società civile, responsabili di ogni fase del processo, e la stretta correlazione tra il momento della conoscenza e dell’individuazione dei destinatari e quello del sostegno alla loro integrazione sul territorio nazionale, sono considerati i tratti distintivi di queste esperienze come riconosciuto nei documenti programmatici dell’Unione europea[2].
In questo contesto va compresa anche l’individuazione dei criteri di scelta per l’ammissione al progetto; il criterio fondamentale è quello della vulnerabilità, intesa non solamente secondo le categorie tipizzate dalla normativa europea, per esempio all’art.21 della direttiva 2013/33/UE del 26 giugno 2013 relativa all’accoglienza, quanto piuttosto come una complessiva condizione personale che si evidenzia proprio attraverso gli incontri ed i ripetuti colloqui che gli operatori della associazioni svolgono con i richiedenti nei paesi di transito. Questo primo criterio viene ovviamente correlato con quello dell’evidente bisogno di protezione internazionale secondo quanto previsto dalla normativa UE e nazionale e come richiamato in tutti i protocolli. Altri criteri complementari sono poi applicati quando questi primi sono soddisfatti: richiedenti che dimostrino l’esistenza di legami familiari, anche se non ricompresi nell’ambito dei familiari ricongiungibili, con concittadini regolarmente presenti in Italia e persone che hanno reti familiari o sociali stabili in Italia e per questa ragione dichiarano di volersi stabilire ed integrare nel nostro paese.
4. Probabilmente la parte più interessante del programma attiene non tanto alle modalità di ingresso dei migranti nel territorio Italiano, quanto al progetto di accoglienza ed integrazione che segue l’ingresso. In che modo vi occupate di seguire lo straniero per garantirne l’inserimento nel sistema sanitario nazionale, nelle scuole e nel mondo del lavoro? Quali sono le difficoltà incontrate in questa seconda fase?
È necessario premettere che l’accoglienza dei migranti non è fatta solo dai volontari delle associazione proponenti, che solo con le loro forze non avrebbero potuto sostenere i numeri di ingressi sin qui effettuati, ma da una fitta rete di piccoli associazioni, gruppi di amici, singole famiglie, rifugiati già inseriti da anni, religiosi, che si sono offerti di accogliere nuclei familiari o singoli, offrendo loro non solo l’ospitalità ma un accompagnamento del percorso di integrazione. In questa dimensione è fondamentale il compito svolto dalle associazioni nel sostegno a chi accoglie. Tra i primi passi che vengono attuati e suggeriti c’è l’immediato inserimento dei bambini a scuola, l’offerta di corsi di lingua italiana per i genitori, l’accompagnamento nelle procedure previste per acquisire i documenti necessari. Un passaggio immediatamente successivo è costituito dalla verifica delle competenze già possedute al fine dell’inserimento regolare nel mondo del lavoro.
In questa seconda fase emergono con chiarezza anche tutte le difficoltà determinare dalle lentezze o dalle distorsioni burocratiche, per esempio l’apertura dei conti bancari o alle poste è molto difficile e questo rallenta l’inserimento un un’attività lavorativa regolare, il riconoscimento dello stato civile, quando non ci sono documenti del paese di origine, genere incertezze e talvolta contrasti nell’affidamento dei figli, la mancanza di disposizioni chiare sul riconoscimento dei titoli di studio e di qualificazione professionale rallenta l'inserimento lavorativo o costringe a condizioni di lavoro sottoqualificato.
5. Alla luce della sua esperienza pluriennale il modello dei corridoi umanitari può, in prospettiva, e laddove vengano siglati nuovi protocolli, ridurre il numero delle migrazioni via mare?
Sì, ma solo se accompagnati dall’apertura di una pluralità di canali di ingresso regolari. Per esempio, abbiamo potuto verificare che il corridoio umanitario aperto dall’Etiopia ha costituito un’alternativa effettiva per molte giovani donne eritree che altrimenti si sarebbero consegnate ai trafficanti passando in Libia, perché intenzionate a raggiungere i loro parenti in Europa e in Italia.
D’altra parte, perché azioni del genere possano ridurre la migrazione irregolare, anche via terra, è necessario a livello europeo che siano aperti canali legali di ingresso con modalità diverse dai corridoi umanitari, che comprendano anche la migrazione più propriamente economica; è anche necessario che le regole dei ricongiungimenti familiari siano modificate ampliando la categoria dei familiari ricongiungibili e superando le attuali ristrettezze esistenti; è ancora necessario che i programmi di reinsediamento divengano stabili e numericamente ben più consistenti di quanto non siano stati negli ultimi anni. Solo se si agisce con più azioni di questo tipo, tra loro complementari, è possibile la riduzione dell’immigrazione irregolare.
6. Infine, considerato che anche alcuni paesi europei (Belgio e Francia) stanno aderendo al progetto italiano, ritiene che intorno a questo modello possano convergere, in sinergia, anche le risorse dell’Unione europea e che ci sia la possibilità che si abbandonino i protocolli e gli accordi bilaterali tra Stati e si arrivi a protocolli siglati direttamente dall’Unione?
Sì, l’esperienza dei corridoi umanitari può suggerire un modello di intervento attualmente carente nel quadro della normativa europea e ampiamente sperimentato, con risultati positivi, in altri contesti come quello canadese e statunitense. Si tratta dell’introduzione della figura della sponsorship, presente nel nostro ordinamento interno solo per un breve periodo immediatamente dopo l’approvazione del D. Lgs.. n. 286 del 1998, capace di valorizzare le risorse della società civile, con criteri e modalità che possano essere controllate dagli stati e consentano ingressi di rifugiati e migranti accompagnati da azioni che ne favoriscono l’integrazione e la stabilità.
[1] Cfr. Dati Ministero dell’Interno, accessibile a http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/ it/temi/relazioni-internazionali, consultato il 4 gennaio 2023.
[2] Cfr. Raccomandazione relativa ai “Percorsi legali di protezione nell’Unione Europea; promuovere il reinsediamento, l’ammissione umanitari e altri percorsi complementari” COM (2020), 6467, del 23 settembre 2020, in cui si afferma “Con questo modello gli sponsor privati sono coinvolti in tutte le fasi del processo di ammissione, dall’individuazione di coloro che necessitano di protezione internazionale al loro trasferimento allo Stato membro interessato. Essi si fanno carico anche degli sforzi di accoglienza ed integrazione e ne sostengono i relativi costi”.