Interrogando ChatGPT sulla nuova disciplina del 425 cod. proc. pen.
di Giuseppe Sepe
Ho provato, con un po’ di curiosità e divertimento, a interrogare ChatGpt (un prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning sviluppato da OpenAI) su questioni di diritto processuale penale. Lo scopo era verificare se l’agente artificiale fosse informato sulla nuova regola di giudizio del 425 cpp introdotta dalla riforma Cartabia. Le risposte dell’agente sono state all’inizio deludenti. In particolare, al di là di una infarinatura generale sulle novità introdotte dal Dlgs. 150/2022, il Chatbot non mi è parso in grado di cogliere appieno la novità delle modifiche del 425 cpp né di avere chiari i concetti fondamentali. Tanto che, inizialmente, nel paragonare la sentenza di non luogo a procedere all’archiviazione ha sostenuto che questa viene disposta dal P.M. autonomamente. Incalzato da altre domande, però, ha fornito una risposta interessante alla domanda sul nuovo parametro di giudizio previsto dal 425 cpp, come novellato (in calce, il testo dell’intervista).
È evidente che gli errori commessi (da bocciatura all’esame) dipendono da una non adeguata formazione del chatbot in campo giuridico e, specificatamente, in materia di diritto italiano. Si tratta di una lacuna tutto sommato non grave, considerata la vastità del sapere e la settorialità del dato specialistico oggetto della intervista. La cosa più notevole, però, è che il chatbot è in grado di imparare dal dialogo con gli utenti e ciò, pur considerato il rischio di apprendere informazioni erronee, gli consente di ampliare le conoscenze in maniera esponenziale. Se pensiamo ai milioni di utenti che entrano in contatto con l’applicazione e agli investimenti (pari a 10 miliardi di dollari che, in questi giorni, Microsoft ha annunciato di voler impiegare in questa specifica app), possiamo renderci conto della potenzialità futura di un simile strumento. Peraltro non l’unico (va citato qui, per par condicio, Sparrow, l’intelligenza artificiale di Google).
Ma davvero tutto ciò potrà servire a qualcosa in campo giuridico?
Per il momento mi paiono decisamente premature, e probabilmente nemmeno auspicabili, le previsioni di Richard Susskind (nel libro: l’avvocato di domani, 2019, Guerini Next) secondo cui ben presto la “macchina” ci offrirà il “ragionamento” attraverso il quale arrivare a una decisione. E noi dovremo solo “scegliere” la tesi che più ci soddisfa. Se davvero si arrivasse a questo, infatti, si aprirebbe immediatamente dopo la questione relativa “a che cosa servono più i giudici…”.
Tuttavia, l’idea di avvalersi dell’AI per le ricerche in campo giuridico, -cioè come una sorta di assistente virtuale in grado di identificare, all’istante, le normative che disciplinano un determinato istituto, di scandagliare la dottrina e la giurisprudenza per trovare i precedenti – è certamente più interessante e “alla portata”. Quando noi giudici svolgiamo una ricerca di giurisprudenza, ricorriamo a un sistema un pochino rudimentale immettendo nel Ced della Cassazione (o altro datawarehouse) alcune parole chiave per ottenere risultati le cui massime contengano quei termini. Siamo in grado di affinare la ricerca e riuscire, con un po’ di fortuna e di fatica, a trovare ciò che ci interessa leggere e studiare.
Un sistema di intelligenza artificiale potrebbe, tuttavia, assisterci in questo compito con più efficacia, abbreviando i tempi di ricerca e interpretando la nostra richiesta in maniera più specifica e fruttuosa. Per esempio un assistente potrebbe trovare i precedenti e classificarli in ordine di tempo e di significato offrendosi una risposta del genere: “ho trovato 10 sentenze della corte di legittimità che si occupano dell’argomento specifico, dal 2008 al 2022. Vi era stato un contrasto di opinioni tra la prima e la terza sezione della Suprema Corte, poi composto, nel 2020, dalle Sezioni Unite. Le successive sentenze risultano conformi al principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite…”. Sembra chiaro che una risposta del genere (ammesso che sia affidabile, v. infra) consentirebbe al giudice di partire immediatamente dall’esame del principio di diritto, già sapendo che le successive decisioni non lo hanno ulteriormente messo in discussione.
Potrà obiettarsi che una “sintesi” del genere la si potrebbe cercare, e trovare, su un qualsiasi testo o manuale giuridico. E’ facile replicare che un qualsiasi testo “invecchia” in fretta se non è aggiornato. Mentre un assistente virtuale si aggiorna in tempo reale.
L’obiezione più rilevante, in realtà, è di tipo teorico e concerne quella che Amedeo Santosuosso (nel libro: “intelligenza artificiale e diritto”, 2020, Mondadori) chiama la metafora della “scatola nera” (black box) secondo cui i sistemi di deep learning sarebbero dei contenitori all’interno dei quali non si può guardare e non sarebbe quindi possibile “controllare come l’algoritmo raggiunga il risultato che raggiunge”. Questo implicherebbe una “difficoltà di conoscenza e ricostruzione delle decisioni” che potrebbe ostacolare (mia considerazione) il formarsi di un sentimento di “fiducia” verso le risposte fornite dalle macchine e quindi comprometterne l’impiego. Una simile obiezione, quale che ne sia il fondamento, non sembra irresistibile. E’infatti possibile immaginare un batteria di “test” di validazione dei risultati conseguiti dal sistema di intelligenza artificiale al fine di verificarne, in concreto, l’affidabilità. Sarà cioè necessario sottoporre l’agente di intelligenza artificiale a un test di “competenza” in grado di validare i risultati e renderli utilizzabili a fini di supporto, conoscitivo, del lavoro giudiziario.
Si aprono dunque scenari affascinanti o al contrario preoccupanti.
È prevedibile che i sistemi di intelligenza artificiale, alimentati da enormi quantitativi di dati e documenti, diventeranno sempre migliori dei precedenti. I confini etici, giuridici, e di opportunità del ricorso, nel mondo giudiziario, alla intelligenza artificiale dovranno essere normati nel dettaglio.
Di seguito l’“intervista” al Bot.
Parla del 425 cpp e non luogo a procedere
Il 425 cpp è un articolo del Codice di procedura penale italiano che riguarda il non luogo a procedere. Il non luogo a procedere è una decisione presa dal giudice che significa che non vi sono sufficienti prove per procedere con un processo penale. Ciò può accadere per diverse ragioni, ad esempio perché le prove sono state raccolte illegalmente o perché non c'è abbastanza evidenza per dimostrare la colpevolezza dell'imputato. L'articolo 425 cpp stabilisce che il giudice può dichiarare un non luogo a procedere in qualsiasi momento del procedimento penale, anche prima dell'inizio del processo, se ritiene che non vi siano sufficienti prove per continuare.
Differenza con l’archiviazione
L'archiviazione è una decisione presa dal Pubblico Ministero o dalla polizia giudiziaria che significa che non ci sono abbastanza prove per procedere con un'indagine penale. In altre parole, non ci sono ragioni sufficienti per continuare a indagare su un determinato caso. La decisione di archiviare un caso può essere presa a varie fasi dell'indagine, prima che venga formalmente aperto un procedimento penale.
Il non luogo a procedere, invece, è una decisione presa dal giudice, che significa che non vi sono sufficienti prove per procedere con un processo penale. La decisione di dichiarare un non luogo a procedere può essere presa solo dopo che un procedimento penale è stato formalmente aperto.
In sintesi l'archiviazione è una decisione del PM o della Polizia Giudiziaria, mentre il non luogo a procedere è una decisione del giudice.
In realtà non è così, perché l’archiviazione è decisa dal giudice su richiesta del Pm
Mi scuso per l'errore nelle informazioni fornite in precedenza. L'archiviazione può essere effettivamente decisa dal giudice su richiesta del Pubblico Ministero o della Polizia giudiziaria, o anche d'ufficio. In ogni caso, l'archiviazione è una decisione che mette fine all'indagine penale, poiché non ci sono ragioni sufficienti per continuare ad indagare su un determinato caso. In generale, si può dire che l'archiviazione rappresenta una sorta di "chiusura anticipata" del caso, mentre il non luogo a procedere è una decisione che può essere presa solo dopo che un procedimento penale è stato formalmente aperto.
Cosa è cambiato dopo la riforma Cartabia relativamente alla sentenza di non luogo a procedere?
La riforma del processo penale, varata nel 2018, ha apportato alcune modifiche alla disciplina del non luogo a procedere.
In particolare, è stato introdotto l'obbligo per il giudice di motivare in modo dettagliato la decisione di dichiarare un non luogo a procedere. Ciò significa che il giudice deve spiegare chiaramente le ragioni per cui ha ritenuto che non vi siano prove sufficienti per procedere con il processo.
Inoltre, è stato previsto che, in caso di dichiarazione di non luogo a procedere, il Pubblico Ministero possa presentare un appello contro la decisione, al fine di ottenere una revisione della valutazione delle prove da parte di una corte d'appello.
Inoltre, è stata introdotta la possibilità di utilizzare il non luogo a procedere come mezzo per evitare la prescrizione dei reati, solo se il giudice ha accertato l'esistenza di una penale responsabilità, l'esistenza del dolo o colpa e l'esistenza di un nesso causale tra condotta e evento, nel caso in cui non ci sono le condizioni per procedere con il processo.
In generale, la riforma ha inteso garantire maggiore trasparenza e prevedibilità nella decisione di dichiarare un non luogo a procedere, e ha rafforzato la possibilità di ricorso contro tale decisione.
In realtà la riforma Cartabia è del 2022. Cosa è cambiato nel 425 c.p.p.?
Mi scuso per l'errore nella data di riforma fornita in precedenza. La riforma del processo penale, varata nel 2022, ha apportato alcune modifiche alla disciplina del non luogo a procedere.
In particolare, è stato introdotto l'obbligo per il giudice di motivare in modo dettagliato la decisione di dichiarare un non luogo a procedere. Ciò significa che il giudice deve spiegare chiaramente le ragioni per cui ha ritenuto che non vi siano prove sufficienti per procedere con il processo.
Inoltre, è stato previsto che, in caso di dichiarazione di non luogo a procedere, il Pubblico Ministero possa presentare un appello contro la decisione, al fine di ottenere una revisione della valutazione delle prove da parte di una corte d'appello.
Inoltre, è stata introdotta la possibilità di utilizzare il non luogo a procedere come mezzo per evitare la prescrizione dei reati, solo se il giudice ha accertato l'esistenza di una penale responsabilità, l'esistenza del dolo o colpa e l'esistenza di un nesso causale tra condotta e evento, nel caso in cui non ci sono le condizioni per procedere con il processo.
In generale, la riforma ha inteso garantire maggiore trasparenza e prevedibilità nella decisione di dichiarare un non luogo a procedere, e ha rafforzato la possibilità di ricorso contro tale decisione.
Sì, ma qual è il parametro di giudizio che il giudice deve rispettare per prosciogliere l’imputato?
Il parametro di giudizio che il giudice deve rispettare per dichiarare un non luogo a procedere è l'esistenza di prove sufficienti per procedere con il processo penale. Ciò significa che il giudice deve valutare se ci sono ragioni sufficienti per ritenere che l'imputato sia colpevole del reato che gli viene contestato.
Per valutare l'esistenza di prove sufficienti, il giudice deve tener conto di tutte le prove raccolte nel corso dell'indagine, compresi gli elementi a favore e contro l'imputato.
Il giudice deve valutare se le prove raccolte sono attendibili e pertinenti, se sono state raccolte in modo legale, e se consentono di stabilire con certezza la colpevolezza dell'imputato. In caso contrario, il giudice dovrà dichiarare il non luogo a procedere.
Inoltre, per evitare la prescrizione del reato, il giudice deve accertare l'esistenza di una penale responsabilità, l'esistenza del dolo o colpa e l'esistenza di un nesso causale tra condotta e evento.
Sei quindi d’accordo sul fatto che il giudice svolge una prognosi di colpevolezza?
La valutazione dell'esistenza di prove sufficienti per procedere con un processo penale può essere vista come una sorta di prognosi di colpevolezza, poiché il giudice deve valutare se ci sono ragioni sufficienti per ritenere che l'imputato sia colpevole del reato contestato. Tuttavia, è importante precisare che la valutazione del giudice non è una sentenza di colpevolezza, ma una decisione che riguarda la procedibilità del caso.
Inoltre, la valutazione del giudice deve essere basata esclusivamente sulle prove raccolte e sulle circostanze del caso, e non deve essere influenzata da pregiudizi o considerazioni personali. In ogni caso, l'imputato non è considerato colpevole fino a quando non viene condannato in un processo penale regolare e che abbia rispettato i diritti di difesa.
Ok grazie
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