L’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale
di Alessandro Nastri
Sommario: Introduzione - 1. L’avviso ai creditori e agli altri interessati - 2.La domanda di ammissione al passivo - 3. L’efficacia delle decisioni del giudice delegato e del Tribunale - 4. Le domande tardive - 5. Le domande “ultratardive” - 6. Le impugnazioni.
Introduzione
A seguito dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza nel luglio dello scorso anno, si stanno tenendo già da qualche mese, nei vari Tribunali, le prime verifiche del passivo nelle nuove procedure di liquidazione giudiziale, in base alla disciplina contenuta negli artt. 200 e ss. del Codice.
Tale disciplina, se in gran parte ricalca quella precedentemente dettata dagli artt. 92 e ss. della legge fallimentare, contiene in sé alcune innovazioni di non scarso rilievo.
Appare quindi opportuno passare schematicamente in rassegna le novità in questione, nel tentativo di coglierne la ratio e di enuclearne una prima interpretazione, con particolare attenzione alle “ricadute” di maggior interesse per tutti i soggetti interessati, e dunque non solo per i cosiddetti “operatori del settore” (curatori, avvocati e giudici delegati), ma anche per i soggetti legittimati a presentare domande di ammissione al passivo (creditori) o di rivendica o restituzione di beni di proprietà o in possesso del debitore compresi nella liquidazione giudiziale, tenuto conto del fatto che tali domande, come espressamente confermato dal legislatore del Codice, possono essere presentate anche senza l’assistenza di un difensore.
1. L’avviso ai creditori e agli altri interessati
Le modalità e i contenuti dell’avviso che il curatore deve “senza indugio” inviare ai creditori e agli altri interessati sono disciplinati dall’art. 200 CCII, che costituisce la trasposizione nel Codice dell’art. 92 l.f., con alcune modifiche.
I destinatari della comunicazione restano “coloro che […] risultano creditori o titolari di diritti reali o personali su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del debitore compresi nella liquidazione giudiziale”, ma l’inciso “esaminate le scritture dell'imprenditore ed altre fonti di informazione” viene sostituito dall’inciso “sulla base della documentazione in suo possesso o delle informazioni raccolte”.
Questa nuova formulazione è connessa all’ampliamento delle fonti informative alle quali il curatore ha accesso già al momento dell’accettazione dell’incarico, disponendo egli sin da subito dei “dati e i documenti relativi al debitore individuati all'articolo 367” (dati e documenti che la cancelleria acquisisce, ai sensi dell’art. 42 CCII, già durante il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale), ed essendo egli autorizzato dal Tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, ad accedere alle banche dati e ad acquisire i documenti elencati dalla lettera f) del comma 3 dell’art. 49 CCII. Le fonti informative possono essere ulteriormente ampliate nelle ipotesi contemplata dall’art. 130, co. 2, CCII, ossia “se il debitore o gli amministratori non ottemperano agli obblighi di deposito di cui all'articolo 49, comma 3, lettera c), e se il debitore non ottempera agli obblighi di cui all'articolo 198, comma 2” o “quando le scritture contabili sono incomplete o comunque risultano inattendibili”, potendo in tali ipotesi il curatore chiedere al giudice delegato di essere autorizzato “con riguardo alle operazioni compiute dal debitore nei cinque anni anteriori alla presentazione della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale […] ad accedere a banche dati, ulteriori rispetto a quelle di cui all'articolo 49 e specificamente indicate nell'istanza di autorizzazione”.
A questo proposito, è bene rammentare che l’omissione dolosa o colposa dell’avviso previsto dalla norma in esame può esporre il curatore a responsabilità nei confronti degli aventi diritto a tale avviso, laddove questi ultimi provino di aver subito un danno in conseguenza della predetta omissione (v. Cass., sez. I, 7 dicembre 2007, n. 25624), ragion per cui va raccomandata ai curatori la massima diligenza nell’inviare senza indugio la comunicazione prevista dall’art. 200 CCII a tutti gli interessati individuabili in base alle suindicate fonti informative.
Quanto alle modalità della comunicazione, da un lato non è più presente il riferimento (contenuto nel primo comma dell’art. 92 l.f.) alla possibilità di inviare l’avviso a mezzo telefax – in alternativa al mezzo della lettera raccomandata – nel caso in cui il destinatario non sia munito di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal Registro delle imprese dall’INIPEC, e, dall’altro, si prevede che tale raccomandata può essere indirizzata anche al domicilio del destinatario, in alternativa alla residenza.
Per quel che concerne, infine, il contenuto dell’avviso, si è aggiunto che lo stesso deve recare anche: la precisazione che la domanda può essere presentata anche senza l’assistenza di un difensore; l’indicazione anche dell’ora e del luogo – oltre che della data – dell’udienza di verifica; l’avvertimento che i creditori possono chiedere l’assegnazione delle somme non riscosse dagli aventi diritto e i relativi interessi ai sensi del comma 4 dell’art. 232 CCII.
2. La domanda di ammissione al passivo
Il primo comma dell’art. 201 CCII stabilisce che nel procedimento di verifica confluiscono – mediante ricorso da trasmettere almeno trenta giorni prima dell’udienza, a norma del comma seguente, all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato dal curatore nell’avviso di cui all’articolo precedente – non solo le domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, ma anche “le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui”.
Il legislatore del Codice ha così inteso risolvere (in attuazione dell’espressa direttiva contenuta nella legge delega n. 155/2017 all’art. 7, co. 8, lett. f, secondo cui avrebbero dovuto essere adottate misure volte a “chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca”) una problematica che, con riferimento alla disciplina dettata dalla legge fallimentare, ha generato un vivace dibattito in dottrina e in giurisprudenza: quella relativa all’onere (o meno) della presentazione della domanda di ammissione al passivo da parte di coloro che vantano un’ipoteca su un bene del fallito ma non sono creditori di quest’ultimo, situazione che viene a determinarsi quando il fallito sia terzo datore di ipoteca.
A tale quesito, anche dopo la riforma del 2006, la giurisprudenza di legittimità ha sempre fornito risposta negativa, affermando che i titolari di diritti d’ipoteca su beni immobili compresi nel fallimento e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono (e non hanno quindi l’onere di) avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori diretti del fallito, e l’accertamento dei loro diritti non può essere sottoposto alle regole del concorso, senza che sia instaurato il contraddittorio con la parte che si assume loro debitrice, dovendosi invece avvalere, per la realizzazione delle loro pretese in sede esecutiva, delle modalità di cui agli artt. 602, 603 e 604 c.p.c. (v. ex multis Cass., sez. I, 20 novembre 2017, n. 27504, nonché i numerosi precedenti in essa richiamati).
Nel 2019, con un’isolata pronuncia (v. ord. 30 gennaio 2019, n. 2657), la Suprema Corte ha mutato orientamento, evidenziando come, a seguito della riforma del 2006, l’art. 52 l.f. faccia riferimento non più soltanto ai crediti ma anche ad “ogni diritto reale personale o immobiliare” quale oggetto dell’accertamento che deve svolgersi secondo le forme stabilite dal capo V, e sottolineando come non appaia necessaria l’instaurazione del contraddittorio nei confronti del debitore, avendo la pronuncia un’efficacia meramente “endoconcorsuale”.
La stessa Cassazione è tuttavia poi ritornata su suoi passi (v. Cass., sez. I, 12 luglio 2019, n. 18790, e Cass., sez. VI-1, 14 maggio 2019, n. 12816), fino alla recente rimessione della questione alle Sezioni Unite con ordinanza n. 18337 pronunciata dalla Prima Sezione il 7 giugno 2022.
In attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite in merito alla disciplina previgente, ancora applicabile alle procedure fallimentari in corso, va quindi salutata con favore la scelta del legislatore del Codice di disciplinare espressamente la fattispecie per la liquidazione giudiziale con il summenzionato inciso all’interno dell’art. 201 CCII.
Nel comma 3 del suddetto articolo vi è poi un’altra novità che concerne il contenuto necessario della domanda di ammissione al passivo, che deve ora includere, per espressa previsione della lettera a) del comma in questione, anche l’indicazione del codice fiscale del ricorrente, nonché “le coordinate bancarie dell'istante o la dichiarazione di voler essere pagato con modalità, diversa dall'accredito in conto corrente bancario, stabilita dal giudice delegato ai sensi dell'articolo 230, comma 1”.
Si tratta di una previsione volta, evidentemente, a ridurre il più possibile le difficoltà che derivano dall’eventuale irreperibilità del creditore al momento del riparto, spesso attuato a numerosi anni di distanza dall’accertamento del passivo.
Peraltro, in base al comma 4 del medesimo articolo (a norma del quale “il ricorso è inammissibile se è omesso o assolutamente incerto uno dei requisiti di cui alle lettere a), b), o c) del comma 3”), la mancata ottemperanza del creditore al suddetto onere di indicazione comporta l’inammissibilità della sua domanda, fermo restando che si tratta di un’omissione che ben può essere sanata nel corso del procedimento di verifica, anche sulla scorta dei rilievi che il curatore può e deve effettuare al riguardo nel progetto di stato passivo.
Un’ultima innovazione risiede nella disposizione del comma 10 dell’art. 201 CCII in base alla quale (in deroga alla regola generale dettata dall’art. 9, co. 1, CCII secondo cui “la sospensione feriale dei termini di cui all'articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 non si applica ai procedimenti disciplinati dal presente codice, salvo che esso non disponga diversamente”) “il procedimento introdotto dalla domanda di cui al comma 1 è soggetto alla sospensione feriale dei termini di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742”, disposizione ripresa poi dal comma 16 dell’art. 207 CCII anche per le impugnazioni.
Anche in questo caso, il legislatore ha voluto introdurre un elemento di razionalizzazione all’interno del subprocedimento di verifica del passivo, atteso che, in base ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella verifica del passivo nelle procedure fallimentari la sospensione feriale dei termini processuali si applica in via generale ai giudizi per l’accertamento dei crediti concorsuali ma non opera in quelli in cui si controverta dell’ammissione allo stato passivo dei crediti di lavoro (v. per tutte Cass., Sez. U., 5 maggio 2017, n. 10944), con la conseguente scadenza in momenti differenti – per i crediti da lavoro e per quelli diversi – di vari termini quali quello “a ritroso” di trenta giorni prima dell’udienza per la presentazione delle domande tempestive e quello annuale (dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo) per la presentazione delle domande tardive.
3. L’efficacia delle decisioni del giudice delegato e del Tribunale
Un’importante novità è contenuta anche nel comma 5 dell’art. 204 CCII.
Se, infatti, il comma 6 dell’art. 96 l.f. sanciva il principio dell’efficacia meramente “endoconcorsuale” delle decisioni assunte all’esito del procedimento di verifica delle domande dinanzi al giudice delegato o delle relative impugnazioni, stabilendo che “il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito dei giudizi di cui all'articolo 99, producono effetti soltanto ai fini del concorso”, tale principio viene ribadito nella suddetta norma del Codice “limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui”, il che significa, a contrario, che le decisioni del giudice delegato – ovvero del Tribunale, all’esito dei giudizi di impugnazione di cui all’art. 206 CCII – sulle domande di rivendica o restituzione producono effetti non “soltanto ai fini del concorso” ma anche al di fuori di esso.
In tal modo si è data attuazione alla direttiva contenuta nella legge delega n. 155/2017 all’art. 7, co. 8, lett. d), di “assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari”, direttiva volta a “neutralizzare” nelle procedure di liquidazione giudiziale il rischio, esistente invece nelle procedure fallimentari, che gli acquirenti di immobili nelle vendite coattive poste in essere dagli organi dalle procedure siano assoggettati a pretese rivendicative da parte di quegli stessi terzi la cui domanda di rivendica sia stata rigettata – con effetto, per l’appunto, meramente “endoconcorsuale” – in sede di verifica.
Può peraltro notarsi che la disposizione in esame è andata oltre la suindicata direttiva, prevedendo l’opponibilità ai terzi – mediante le forme di pubblicità legale richiamate dall’art. 210, co. 3, CCII – non solo delle decisioni sui diritti reali immobiliari, ma anche di quelle sui diritti reali mobiliari e persino di quelle assunte su domande di restituzione di beni mobili o immobili.
4. Le domande tardive
Con l’art. 208, co. 1, CCII viene abbreviato in modo consistente il termine per la presentazione delle domande tardive: non più dodici mesi (prorogabili fino a diciotto dal Tribunale, in caso di particolare complessità della procedura, con la sentenza dichiarativa di fallimento) dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, come previsto dall’art. 101 l.f., ma sei mesi (prorogabili, con le medesime modalità, fino a dodici) dal medesimo deposito.
Si tratta, anche in questo caso, dell’attuazione di una precisa direttiva dettata dalla legge delega, che con la lettera a) del comma 8 dell’art. 7 aveva richiesto al legislatore delegato di improntare il sistema di accertamento del passivo “a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione, […] restringendo l'ammissibilità delle domande tardive”, attraverso un nuovo bilanciamento dell’esercizio dei diritti dei creditori (e dei soggetti che vantino diritti su beni inclusi nell’attivo della liquidazione) con le esigenze di speditezza della procedura (v. sul tema, anche con riferimento alla tenuta costituzionale, Cass., Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 23302).
Sempre in un’ottica di economia processuale, è stata poi modificata la previsione del comma 2 dell’art. 101 l.f. laddove stabilisce che “il giudice delegato fissa per l'esame delle domande tardive un'udienza ogni quattro mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza”. Si è preso atto, a tal riguardo, che già nella prassi molti giudici delegati disattendono tale previsione, fissando udienza per l’esame delle domande tardive solo se e quando tali domande risultino effettivamente pervenute, e si è quindi stabilito al comma 2 dell’art. 208 CCII che “quando vengono presentate domande tardive, il giudice delegato fissa per l'esame delle stesse un'udienza entro i successivi quattro mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza”.
Ne consegue, tra l’altro, che della data dell’udienza per l’esame delle domande tardive dovranno essere avvisati dal curatore non solo “coloro che hanno presentato la domanda” ma anche “i creditori già ammessi al passivo” (laddove il comma 2 dell’art. 101 l.f. non prevede l’avviso a questi ultimi, presupponendo che l’udienza per le domande tardive venga fissata dal giudice delegato al termine dell’udienza per l’esame delle domande tempestive, al quale i creditori “tempestivi” hanno l’onere di assistere).
5. Le domande “ultratardive”
Al medesimo obiettivo di conferire una maggiore rapidità e concentrazione al sistema di accertamento del passivo risponde la nuova disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 208 CCII, laddove viene stabilito che, una volta decorso il termine di cui al comma 1 per la presentazione delle domande tardive, per l’ammissibilità delle stesse è richiesto non solo (come già nell’art. 101, co. 4, l.f.) che l’istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile, ma anche che la domanda sia trasmessa al curatore “non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo”.
Tale previsione consente anche il superamento delle incertezze ingenerate dalle oscillazioni giurisprudenziali della Suprema Corte in merito all’esistenza o meno, in mancanza di un’espressa specificazione nel comma 4 dell’art. 101 l.f., di un termine prestabilito (decorrente, naturalmente, dal momento della conoscenza della procedura fallimentare e/o della realizzazione delle condizioni di partecipazione al passivo, ivi inclusa l’insorgenza stessa del credito ove sorto dopo la scadenza del termine per le domande tardive) per la presentazione delle domande “ultratardive”: sul tema, infatti, a fronte di un orientamento che afferma l’applicabilità – in base ad un’interpretazione sistematica – del medesimo termine annuale previsto dalle domande tardive (v. ex multis: Cass., sez. I, 15 novembre 2021, n. 34435; Cass., sez. VI-1, 13 maggio 2021, n. 12735; Cass., sez. VI-1, 2 febbraio 2021, n. 2308; Cass., sez. I, 17 febbraio 2020, n. 3872), si è recentemente riproposto un diverso orientamento in base al quale non sussistono i presupposti per l’applicazione analogica del termine annuale anche alle domande “ultratardive”, da reputarsi ammissibili solo se presentate in un tempo che, secondo una valutazione da effettuarsi in rapporto alle peculiarità del caso concreto, appaia congruo e ragionevole e quindi tale da consentire di ritenere integrata quella immediatezza dell’attivazione del soggetto interessato che ne giustifichi la rimessione in termini (v. da ultimo Cass., sez. I, 5 aprile 2022, n. 11000, nonché i precedenti conformi in essa richiamati).
Sempre nel quarto comma dell’art. 208 CCII si rinviene un ulteriore cambiamento rispetto alla disciplina contenute nella legge fallimentare: se, infatti, tale disciplina impone la fissazione da parte del giudice delegato di un’udienza per la trattazione della domanda “supertardiva” anche quando la stessa apparisse prima facie inammissibile, dovendo anche il profilo della scusabilità del ritardo essere sempre e comunque esaminato in contraddittorio (v. Cass., sez. I, 31 luglio 2017, n. 18998), essendo impugnabile con il rimedio dell’opposizione allo stato passivo il provvedimento del giudice delegato che ne sancisca illegittimamente l’inammissibilità fuori udienza (v. Cass., sez. I, 3 dicembre 2012, n. 21596), l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 208 CCII stabilisce invece che “quando la domanda risulta manifestamente inammissibile perché l'istante non ha indicato le circostanze da cui è dipeso il ritardo o non ne ha offerto prova documentale o non ha indicato i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrarne la non imputabilità, il giudice delegato dichiara con decreto l'inammissibilità della domanda” e che “il decreto è reclamabile a norma dell'articolo 124” (corrispondente all’art. 26 l.f.), ossia con reclamo al Tribunale in composizione collegiale.
Vi è da chiedersi, peraltro, in mancanza di qualsivoglia specificazione al riguardo, se in sede di reclamo il Collegio possa – ove ritenga di riformare il provvedimento del giudice delegato sull’inammissibilità della domanda – provvedere anche sul merito della stessa ovvero, come appare preferibile in un’ottica di razionalità del sistema, debba rimettere gli atti al giudice delegato affinché provveda sul merito della domanda con il procedimento dettato dagli artt. 203, 204 e 205 CCII, e dunque con decreto impugnabile con i rimedi previsti dall’art. 206 CCII.
6. Le impugnazioni
La principale modifica introdotta nella disciplina delle impugnazioni riguarda l’espressa previsione e disciplina delle c.d. impugnazioni incidentali.
È bene ricordare che, con riferimento al regime normativo dettato dalla legge fallimentare, la giurisprudenza di legittimità ne ha costantemente escluso l’ammissibilità, affermando che le impugnazioni avverso il decreto di esecutività dello stato passivo, ossia l’opposizione, l’impugnazione e la revocazione, devono essere necessariamente proposte in via principale e nel termine stabilito dall’art. 99 l.f., restando quindi esclusa un’impugnazione incidentale, sia essa tempestiva o tardiva (v. Cass., sez. VI-1, 26 novembre 2020, n. 26896, secondo cui, pertanto, ove il credito dell’istante sia stato ammesso al concorso solo parzialmente, il curatore che intenda contestare il relativo accertamento del giudice delegato deve impugnare lo stato passivo nel termine di rito, non essendo sufficiente la proposizione di una mera eccezione sul punto nel giudizio di opposizione promosso dal medesimo creditore istante; in termini, v. Cass., sez. I, 15 maggio 2019, n. 13008, Cass., sez. VI-1, 3 settembre 2018, n. 21581, e Cass., sez. I, 4 luglio 2018, n. 17561).
Il comma 4 dell’art. 206 CCII sancisce invece l’ammissibilità delle impugnazioni incidentali, anche tardive, stabilendo che “la parte contro cui l'impugnazione è proposta, nei limiti delle conclusioni rassegnate nel procedimento di accertamento del passivo, può proporre impugnazione incidentale anche se è per essa decorso il termine di cui all'articolo 207, comma 1”.
La disciplina processuale di tali impugnazioni si rinviene poi nei commi 6, 7 e 8 del successivo art. 207 CCII, in cui si prevede che l’impugnazione incidentale tardiva va proposta, a pena di decadenza, nella memoria difensiva depositata almeno dieci giorni prima dell’udienza, e che “se è proposta impugnazione incidentale tardiva il tribunale adotta i provvedimenti necessari ad assicurare il contraddittorio”.
Tra le altre novità sparse nel testo dell’art. 207 CCII vanno segnalate quelle contenuta nel comma 10, che stabilisce l’applicabilità degli artt. 309 e 181 c.p.c. per il caso di mancata comparizione delle parti (applicabilità già affermata in via interpretativa dalla Suprema Corte nelle impugnazioni disciplinate dalla legge fallimentare: v. in tal senso Cass., sez. I, 10 aprile 2019, n. 10086), e aggiunge che “il curatore, anche se non costituito, partecipa all'udienza di comparizione fissata ai sensi del comma 3, per informare le altre parti ed il giudice in ordine allo stato della procedura e alle concrete prospettive di soddisfacimento dei creditori concorsuali”, partecipazione non prevista dalla legge fallimentare e considerata dalla giurisprudenza di legittimità alla stregua di una irregolarità, tale da non determinare la nullità del procedimento (v. Cass., sez. VI-1, 31 maggio 2011, n. 12012).