Sommario: 1. Introduzione. Cenni sul fenomeno – 2. L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 11027/2024 – 3. Le diverse forme di protezione accordabili alle vittime dei fenomeni connessi allo sfruttamento lavorativo.
1. Introduzione. Cenni sul fenomeno
Con l’ordinanza n.11027 del 24 aprile 2024, la Corte di Cassazione ha contribuito a mettere un ulteriore importante tassello nel riconoscimento dei diritti delle persone vittime di tratta, fornendo principi di diritto di notevole rilievo in materia di protezione internazionale nelle ipotesi riconducibili alla tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo.
Per la prima volta[1] la Suprema Corte estende allo sfruttamento lavorativo l’applicazione di principi di diritto già consolidatisi nell’ambito della giurisprudenza in materia di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, aprendo ulteriormente la strada alla possibilità di riconoscere la protezione internazionale anche in casi di questo tipo e dunque riconoscendo la possibilità di qualificare i fatti che le persone vittime di tali fenomeni subiscono o sono a rischio di subire in caso di rimpatrio quali atti di persecuzione ex art. 7 D.lgs. 251/07 ovvero trattamenti inumani e degradanti ex art. 14 lett. b) D.lgs. cit.
I principi esposti acquisiscono particolare rilevanza in quanto i fatti da cui muove la pronuncia sono riconducibili a vicende che vedono coinvolti numeri sempre più consistenti di persone richiedenti protezione internazionale in Italia. Persone che vivono condizioni di sfruttamento lavorativo o addirittura di schiavitù o lavoro forzato talvolta sin da prima della loro partenza, ovvero nei paesi di transito e/o, ancora, una volta giunti in Italia e le cui vicende sono non solo foriere di gravi violazioni di diritti umani ma altresì estremamente complesse da ricostruire in un’ottica di valutazione degli elementi che denotano una specifica fattispecie giuridica - tratta di persone, riduzione o mantenimento in schiavitù, sfruttamento lavorativo - e di conseguenza del possibile percorso di protezione e tutela accordabili[2].
Vicende, dunque, comuni ad una casistica eterogenea e complessa di persone che, raggiunta l’Italia nell’ambito dei cosiddetti flussi migratori misti, presentano domanda di protezione internazionale e per le quali, al contempo, si registrano indicatori di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e/o di sfruttamento lavorativo.
Negli ultimi anni si è registrata una crescente attenzione a livello istituzionale al tema dello sfruttamento lavorativo[3] e, di conseguenza, un aumento nei numeri delle persone vittime identificate in tale ambito[4]. È chiaro il legame tra questi due aspetti: guardare al fenomeno migratorio con la lente dei rischi legati alla tratta ed allo sfruttamento aumenta la capacità del sistema asilo e di quello anti-tratta di individuare le vittime di tali fenomeni, con conseguente adempimento da parte delle autorità statali di quell’obbligo positivo relativo all’identificazione delle vittime di tratta che discende dalla normativa internazionale ed europea[5].
Con queste premesse è possibile approcciarsi ad un lettura più consapevole del fenomeno per come emerge dalla lettura dei dati disponibili. Ci si riferisce a situazioni estremamente variegate ed altrettanto attuali a livello globale: conflitti e cambiamenti climatici agiscono come moltiplicatori non solo di migrazioni forzate, ma anche di quei fattori che espongono le persone a rischio tratta nei paesi di origine, di transito e di destinazione e, quindi, più ricattabili e vulnerabili rispetto alla possibilità di venire impiegate in forme distorte del mercato del lavoro[6].
In Europa, negli ultimi anni cinque anni, vi è stata una crescita costante delle vittime di tratta registrate in ambito lavorativo[7], circostanza che denota la diffusione del fenomeno ma che specularmente evidenzia una sempre maggiore capacità delle autorità nazionali di identificare tali forme di vulnerabilità, discostandosi dal riferimento alla “vittima-tipo” che, sino a qualche anno fa, aveva comportato una propensione degli attori statali ad identificare esclusivamente le donne coinvolte nella tratta a scopo di sfruttamento sessuale[8].
Per quanto concerne l’Italia, negli ultimi anni sono sempre più numerose le persone richiedenti protezione internazionale, che presentano indicatori di tratta e/o di sfruttamento lavorativo, in particolare tra coloro che provengono da alcuni paesi, tra i quali il i Bangladesh[9].
Nel 2023 e nel 2024 i cittadini bengalesi sono, infatti, entrati in contatto in modo significativo con i servizi degli enti antitratta, nell’ambito del percorso di identificazione delle potenziali vittime e di emersione dal contesto di sfruttamento lavorativo[10]. Rappresentano, per il 2024, la percentuale più significativa delle persone di genere maschile incontrate nei contesti di sbarco o negli insediamenti informali[11]. I vissuti ed i motivi posti alla base della partenza dal paese di origine, ed a fondamento della domanda di protezione internazionale, sono eterogenei e spesso, come nel caso del ricorrente da cui muove la pronuncia in esame, riconducibili ad un miglioramento delle proprie condizioni di vita che, tuttavia, è legata a doppio filo con altre circostanze personali o di contesto: la morte o la malattia di un familiare, l’indebitamento connesso a situazioni precarie, contese ereditarie o relative all’utilizzo di appezzamenti terrieri e l’impatto del cambiamento climatico (alluvioni e processi di salinizzazione delle aree costiere[12]).
Alcuni elementi, o meglio indicatori di tratta, appaiono ricorrenti. Come nella vicenda da cui muove la recente pronuncia in esame, rileva il ruolo che la persona che espatria ricopre nel contesto familiare: nella maggior parte dei casi si tratta di uomini giovani che devono, in ragione dei costrutti e delle norme sociali del contesto di origine, occuparsi del sostentamento della propria famiglia, della madre e delle sorelle che ancora devono sposarsi. Sono, in sintesi, dei “breadwinners[13]”: su di loro incombe il peso sociale e comunitario della costruzione del futuro. Centrale, inoltre, e sempre da intendersi in una dinamica collettiva, è il tema del debito o meglio dei debiti: prestiti usurai collegati alla situazione familiare ai quali si cumulano i costi del viaggio con un ammontare non chiaro all’origine e con interessi fortemente variabili[14]. Nell’organizzazione del viaggio ha un ruolo determinante la figura del broker (dalal) che adesca i potenziali migranti, traccia i percorsi migratori, fornisce i documenti e, spesso, funge da tramite anche con connazionali che li inseriscono nel mercato (irregolare) del lavoro nei paesi di destinazione[15]. Le tappe del percorso verso l’Italia prevedono in molti casi un passaggio in paesi di transito (Libia e/o Paesi del Golfo, ma anche paesi europei) ove si innescano, come nel caso in esame, processi di sfruttamento, riduzione in schiavitù e privazione della libertà personale. Il canale d’accesso per l’Italia non è solo quello via mare (attraverso il Mediterraneo Centrale) o via terra (attraverso la Rotta Balcanica), ma anche quello diretto, e di migrazione regolare, che si perfeziona attraverso la procedura del cd. decreto flussi[16].
Nonostante appaia essenziale tenere in debita considerazione l’estrema varietà e le incolmabili differenze socio-politiche, culturali, antropologiche e storiche dei paesi di origine, alcuni di questi elementi (o indicatori) possono essere utili per leggere il fenomeno anche con riferimento ad altre nazionalità. Le interconnessioni tra la tratta finalizzata allo sfruttamento lavorativo e la protezione internazionale risultano, infatti, anche per le persone provenienti da Pakistan, Marocco, Tunisia ed Egitto. Anche queste nazionalità rientrano tra le principali degli arrivi via mare del 2024 e tra le prime dieci delle domande di asilo presentate nel 2023[17]. Allo stesso tempo le persone provenienti da questi paesi, con bisogni diversi e profili specifici, rappresentano per il 2023 ed il 2024 una porzione significativa delle potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e persone sottoposte a grave sfruttamento che hanno avuto accesso alle misure di emersione, assistenza e tutela portate avanti dal sistema antitratta italiano. Lo sfruttamento prende forma con un diverso gradiente di coercizione ed assoggettamento della persona in diversi settori produttivi tra i quali l’agricoltura, l’edilizia, la ristorazione, la logistica ed il volantinaggio. Internet e le nuove tecnologie vengono sempre più impiegate non solo per il reclutamento, mediante i canali social, ma anche per il controllo delle persone vittime[18].
Il fenomeno, per come descritto, sembra riguardare prevalentemente persone di genere maschile. Tuttavia, adottando un approccio sensibile al genere, appare opportuno ricordare come esso coinvolga anche donne e persone LGBTIQ+ che, in ragione di fattori di discriminazioni multiple e per il settore in cui vengono impiegate (si pensi ai lavori di cura), faticano ad accedere ai servizi dedicati e, pertanto, ad essere identificate quali vittime[19].
Al di là delle specificità relative al genere ed ai profili etnici, linguistici e culturali di provenienza, il fenomeno è complesso e variegato e, in generale, è estremamente difficile ricostruire la filiera criminale che va dal reclutamento nei paesi di origine allo sfruttamento in Italia. Ciò rende ancora più rilevante il portato e l’ambito applicativo della pronuncia in esame i cui principi di diritto, meritevoli di analisi congiunta con le più recenti ordinanze nel merito dei Tribunali, appaiono quindi come un utile ed attuale chiave di lettura di diversi situazioni di fatto e della loro riconducibilità agli istituti della protezione internazionale e nazionale.
2. L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 11027/2024
La decisione della Corte di Cassazione si riferisce alla vicenda di un cittadino del Bangladesh che ricalca le situazioni sopra descritte: il giovane era partito per migliorare le proprie condizioni di vita anche in ragione di una forte pressione debitoria derivante dalla precaria situazione familiare e aggravata dai costi del viaggio. In Libia veniva sottoposto a condizioni di servitù e sfruttamento lavorativo. La condizione lavorativa in Italia, infine, risultava piuttosto precaria e poco definita.
Il Tribunale che aveva esaminato il ricorso lo aveva ritenuto non credibile sotto il profilo del rischio lamentato di subire ritorsioni da parte del creditore in caso di rientro nel paese di origine ed aveva ricondotto la vicenda del ricorrente, come sovente accade, ad una “migrazione economica”, priva di elementi per giustificare una forma di protezione internazionale o anche complementare, ritenendo “irrilevanti” le vicende subite dall’uomo in Libia e insussistenti i presupposti di cui all’art. 19 D.lgs. 286/98 legati ad un possibile inserimento lavorativo ovvero ad una condizione di vulnerabilità.
La Corte di Cassazione contesta tale lettura dei fatti narrati dal ricorrente ed emersi nel corso del procedimento e adduce interessanti considerazioni afferenti aspetti in passato già affrontati ma esclusivamente con riferimento alla tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Tra questi: l’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice che, in questi casi, porta anche la necessità di disporre l’audizione della persona ricorrente per ricostruire elementi di fatto dubbi[20]; l’obbligo di analizzare la situazione personale della persona ricorrente alla luce non solo delle più aggiornate informazioni sul paese di origine, ma anche delle “Linee Guida sull’Identificazione delle vittime di tratta tra i richiedenti protezione internazionale e procedure di referral” adottate dalla Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo e dall’UNHCR[21]; e, di conseguenza, la valutazione circa la riconducibilità di esperienze di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e/o di sfruttamento lavorativo in paesi di transito e/o in Italia alla nozione di status di rifugiato, di protezione sussidiaria o, in ultima analisi, di protezione nazionale complementare[22].
Con riferimento ai fatti che hanno visto protagonista il ricorrente, la Corte di Cassazione pone enfasi sulla necessità di valutare tutti gli elementi che emergono non in modo atomistico e frammentato ma attraverso una loro analisi complessiva e unitaria, che tenga conto della situazione individuale della persona, tra cui il genere, l’età, il background relativo all’istruzione o alle condizioni sociali di provenienza. Solo in tal modo il giudice adempie al proprio dovere di cooperazione istruttoria, addivenendo ad una qualificazione giuridica dei fatti che può prescindere da una precisa ricostruzione degli stessi, spesso non resa facile a causa di molteplici fattori, tra cui la scarsa consapevolezza del richiedente, il timore di ritorsioni e, non ultimo, la limitata conoscenza da parte degli interlocutori degli indicatori di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo.
Queste considerazioni, già espresse dalla Suprema Corte, appaiono particolarmente rilevanti in vicende quali quelle che interessano i giovani uomini provenienti dai paesi asiatici coinvolti in vicende analoghe a quella in esame. Si tratta, infatti, di situazioni per le quali non sempre è facilmente ravvisabile la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie della tratta di persone - l’atto, i mezzi di coercizione utilizzati e lo scopo di sfruttamento - proprio a causa della molteplicità di fatti che vedono protagonisti i ricorrenti, fatti spesso letti, almeno in prima battuta, separati l’uno dall’altro, come effettivamente contesta la Corte al giudice di prime cure. Nel caso che ci occupa, osserva la Corte, il Tribunale aveva “segmentato” la vicenda del ricorrente in tre parti, la prima relativa ai fatti avvenuti in patria e dunque ai motivi della partenza, la seconda relativa ai fatti subiti in Libia - ritenuti peraltro irrilevanti ai fini del fondato timore di persecuzione in caso di rientro in patria - e la terza relativa alla condizione lavorativa e sociale in Italia, “valutata solo al fine di escludere l’integrazione socio-lavorativa”.
La Corte muove dall’assunto che la necessità di protezione della persona debba essere valutata mediante un’analisi della situazione individuale nel suo complesso, inserita peraltro nel contesto in cui i fatti sono nati e si sono svolti.
Una lettura che utilizzi tali lenti, che consentano dunque una maggiore distanza dal singolo fatto, ma che siano di ausilio per uno sguardo complessivo - reso possibile anche dalle informazioni del paese da cui viene la persona fornite dai report ufficiali ed anche dagli indicatori contenuti nelle Linee Guida per le Commissioni territoriali - consente di condurre a conclusioni molto lontane da quelle a cui è addivenuto il Tribunale. Conclusioni che portano a ravvisare la tratta di persone ove si vada ad esplorare, mediante un’analisi complessiva, la condizione di partenza, le vicende vissute durante il transito ed anche la condizione in Italia, quest’ultima rilevante poichè “un contratto di lavoro con elementi dubbi” può costituire, ricorda la Corte, “indicatore di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo, come esposto nelle Linee Guida sull’identificazione delle vittime di tratta redatte dall’UNHCR unitamente alla Commissione nazionale per il Diritto di Asilo”.
La Corte si sofferma, in particolare, sulle condizioni di partenza, valorizzando gli elementi che possono condurre l’interprete ad accertare una vulnerabilità che ha esposto la persona alla scelta di partire “ad ogni costo”. Ricorda che la vicenda riferita dal ricorrente deve essere valutata alla luce del contesto sociale, culturale e politico in cui è maturata e non utilizzando parametri europei; solo in tal modo è possibile verificare se sussistano gli elementi del trafficking in persons, che permettono di riconoscerlo e distinguerlo dal diverso fenomeno dello smuggling of migrants, tra questi in particolare il “reclutamento mediante approfittamento della posizione di vulnerabilità”, quella vulnerabilità, ricorda la Corte, definita dall’art. 2 della direttiva 2011/36[23] come quella “situazione in cui la persona in questione non ha altra effettiva ed accettabile scelta se non cedere all’abuso di cui è vittima”[24].
Le vicende vissute durante il transito possono poi costituire elemento che contribuisce ad aggravare la vulnerabilità della persona: i fatti subiti, quali violenze, torture, schiavitù, riconducibili, come evidenza la Cassazione, già di per sè a gravi violazioni dei diritti umani - possono e devono rilevare al fine di rendere fondato il timore di rientro: sembra che qui la Corte si riferisca alle compelling reasons[25], che rilevano ove si ritenga che i fatti subiti continuino a dispiegare i loro effetti ed assurgono alla “persecuzione permanente” rendendo intollerabile il rientro nel paese di origine.
Sotto quest’ultimo profilo la Corte precisa l’importanza dell’accertamento “di eventuali connessioni tra i soggetti che organizzano il viaggio nel paese di origine e coloro che prendono in carico il migrante nel paese di transito”, pur precisando che, avendo la persona riferito di un periodo di riduzione in schiavitù in Libia, avrebbe dovuto essere considerata già di pe sè l’incidenza di queste vicende sulla sua condizione complessiva, trattandosi di gravi violazioni dei diritti umani. Quest’ultima considerazione assume un rilievo particolarmente importante, in quanto, come già detto, non sempre, pur con le attenzioni del caso, è agevole comprendere esattamente e compiutamente la vicenda dei richiedenti protezione internazionale coinvolti in detti fenomeni; e allora sembra di poter dire che, in talune circostanze, in particolare ove i fatti subiti dalla persona assurgano a gravi violazioni dei diritti umani, può prescindersi dal verificare la sussistenza degli elementi della tratta: in particolare, gli obblighi positivi derivanti dall’art. 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[26] impongono allo Stato di adottare misure adeguate per proteggere i diritti garantiti dalla Convenzione, in particolare il divieto di schiavitù e lavoro forzato, così come già rilevato dalla Corte EDU[27].
In tale ottica l’obbligo a carico dello Stato italiano può declinarsi nella necessità di prevenire ulteriori forme di sfruttamento a cui la persona è predestinata ove giunga sul territorio nazionale con una forte esposizione debitoria ed una condizione di vulnerabilità che le rende maggiormente esposta all’abuso da parte di terzi.
Conseguentemente è necessario che siano adottate misure volte alla corretta identificazione delle vittime di tratta, anche in un’ottica di prevenzione di fenomeni di vittimizzazione secondaria. E detta identificazione, sebbene sia opportuno che sia tempestiva, può avvenire, come indicato dalle Linee Guida rivolte alle Commissioni Territoriali, nel contesto della procedura della protezione internazionale, anche in seconda istanza. In tal senso assume rilievo l’obbligo di identificazione[28] sancito dalle norme internazionali ed europee, posto a carico delle autorità statali tra cui deve considerarsi ricompresa l’autorità giudiziaria e dunque in questo caso la sezione specializzata del Tribunale.
La Suprema Corte, nell’ordinanza in esame, affronta anche un altro tema a lei caro, ossia quello della garanzia procedurale dell’audizione del ricorrente, passaggio necessario a cui il giudice, nell’ambito del suo dovere di cooperazione istruttoria non può sottrarsi. L’audizione avrebbe permesso, nel caso di specie, di comprendere se vi fosse stato un reclutamento forzato, se la persona si fosse effettivamente “liberata dal vincolo giungendo sul territorio nazionale, oppure se è ancora sottoposta a servitù o sfruttamento lavorativo”.
Analogamente pare imprescindibile, a parere della Suprema Corte, una valutazione della situazione individuale basata sulle fonti di informazioni attendibili quali le informazioni sui paesi di origine nonchè sugli elementi noti che ricorrono spesso in vicende di questo tipo e che sono riconducibili agli “indicatori di tratta” di cui alle Linee Guida rivolte alle Commissioni Territoriali.
Il riferimento alle Linee Guida pare particolarmente importante in quanto gli indicatori ivi contenuti hanno costituito la base argomentativa di molte pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità, che hanno valorizzato la possibilità di riconoscere la protezione internazionale alle vittime di tratta, anche a prescindere da una qualificazione giuridica della persona ricorrente e da una completa allegazione dei fatti. Ebbene, anche nell’ambito della tratta a scopo di sfruttamento lavorativo la carenza delle informazioni fornite dalla persona richiedente dinanzi all’autorità asilo è piuttosto frequente e riconducibile a motivi spesso simili a quelli che conducono le giovani donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale a indugiare nel racconto: la limitata conoscenza dei dettagli del viaggio, la scarsa consapevolezza della propria condizione, i timori di ritorsioni o la scarsa fiducia nelle autorità, portano molti ricorrenti a rendere dichiarazioni talvolta generiche, parziali o addirittura contraddittorie. Sotto questo profilo ormai è pacifico in giurisprudenza che tali elementi , nel contesto della tratta, devono essere letti diversamente ed anzi nei termini talvolta di veri e propri indicatori[29].
L’espressa menzione alle Linee Guida, inoltre, costituisce importante richiamo alle procedure operative in essere ivi contenute che prevedono, in caso di rilevazione di indicatori nell’ambito della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, la segnalazione (referral) della potenziale vittima agli enti specializzati in materia di tratta e sfruttamento - ossia gli enti che realizzano il Programma Unico ex art. 18 d.lgs. 286/98 - per garantirle adeguata protezione ed assistenza. L’ente antitratta restituisce all'autorità asilo una relazione - c.d. nota di feedback - circa i bisogni della persona richiedente, la vicenda di tratta e, eventualmente, la sua identificazione formale quale vittima di tratta[30]. Nella più recente giurisprudenza di merito si registra una crescente valorizzazione di tale procedura di referral anche in materia di sfruttamento lavorativo e delle relative relazioni che, anche per quanto attiene i profili connessi ai rischi di re-trafficking, costituiscono utile elemento di riscontro per la valutazione dei rischi in caso di rimpatrio[31]. Rappresentano, in sostanza, la parte di fatto sulla quale i principi di diritto affermati dall’ordinanza in esame si appoggiano.
In conclusione la Corte di Cassazione è giunta a enunciare il seguente importante principio di diritto: “In tema di protezione internazionale, qualora il richiedente alleghi di avere contratto un forte debito per migrare a causa di una condizione di estrema povertà (c.d. vincolo debitorio o debt bondage), e di essere stato sottoposto a servitù o lavoro forzato nel paese di transito, nonché di avere una situazione lavorativa precaria sul territorio nazionale, ove sia ritenuto credibile su questi fatti, è necessario: valutare unitariamente il racconto, anche alla luce delle Linee Guida per l’identificazione delle vittime di tratta redatte dall’ UNHCR; disporre l’audizione del ricorrente al fine di chiarire gli elementi dubbi; valutare se i trattamenti subiti debbano essere inquadrati giuridicamente quali atti di persecuzione ex art. 7 del D.lgs. n. 251/2007 ovvero quale trattamento inumano e degradante ai sensi dell’art 14 lett. b) del D.lgs. 251/2007; in ogni caso, valutare il rischio conseguente al rimpatrio alla luce di pertinenti ed aggiornate informazioni sul paese di origine e sui paesi di transito, segnatamente sulla configurazione del fenomeno del vincolo debitorio e della riduzione in servitù o sfruttamento lavorativo, al fine di verificare se la persona corra il rischio di essere nuovamente sottoposto ad asservimento, ovvero ad altro trattamento inumano o degradante in ragione del vincolo debitorio, dal quale lo Stato di origine non può proteggerlo; in via residuale valutare se la condizione di vulnerabilità derivante dai pregressi trattamenti, anche se subiti nel paese di transito, giustifichi il riconoscimento della protezione complementare, tenendo conto della complessiva condizione del soggetto richiedente, alla attualità”.
Tale enunciato, che di fatto racchiude più principi di diritto, costituisce un importante punto di riferimento per l’interprete che, in casi afferenti tali fenomeni, si trova a dover valutare vicende estremamente complesse e portatrici di molteplici elementi di complessità.
3. Le diverse forme di protezione accordabili alle vittime dei fenomeni connessi allo sfruttamento lavorativo.
Tra i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte nell’ordinanza in esame, appare di particolare interesse l’importanza di valutare la riconducibilità dei fatti illustrati, e quindi delle ipotesi di tratta e sfruttamento lavorativo, alle due forme di protezione internazionale e, in via residuale, alla protezione complementare.
La Corte ha chiarito che, nel merito, il giudice deve valutare in primo luogo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale; in seconda battuta, ove questa sia da escludere, deve adeguatamente motivare se la condizione di vulnerabilità connessa ai pregressi vissuti, anche consumatisi nei paesi di transito - da valutarsi congiuntamente all’attuale condizione della persona ricorrente - possa determinare il riconoscimento della protezione nazionale di natura complementare.
Effettivamente in tale contesto, rappresentativo di situazioni diverse ma in parte sovrapponibili e dunque suscettibili di essere ricondotte a fattispecie non necessariamente univoche, si pone l’esigenza di individuare le misure maggiormente rispondenti all’interesse delle persone coinvolte.
In particolare ove non possano ravvisarsi gli elementi riconducibili allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria, rilevano le forme di tutela di carattere nazionale, che, in adempimento degli obblighi costituzionali o internazionali di cui all’art. 5 comma 6 D.lgs. 286/1998, si pongono a tutela dei diritti umani. Tra di esse vi è la protezione speciale che nell’attuale formulazione, è ipotesi di chiusura e di attuazione nell’ordinamento italiano del principio del non-refoulement[32] ed espressamente prevista quale esito della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.
Il perimetro delle forme di protezione complementare, tuttavia, include ulteriori fattispecie[33] alcune delle quali rivolte in modo specifico alla tutela delle vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo: ci si riferisce agli specifici permessi di soggiorno oggi definiti “per casi speciali”, che comprendono le ipotesi di tratta e grave sfruttamento in tutte le sue forme, di cui all’art. 18 d.lgs. 286/1998[34]e per sfruttamento lavorativo, di cui al recentemente novellato art. 18 ter d.lgs. 286/1998[35].
Tali norme prevedono, com’è noto, la possibilità che, in presenza di determinati requisiti, alla persona straniera venga riconosciuto uno specifico titolo di soggiorno proprio in ragione del vissuto riconducibile alla tratta ed allo sfruttamento in ambito lavorativo.
Per ciò che maggiormente attiene alla presente trattazione quanto più rileva è l’ascrivibilità di dette ipotesi all’insieme delle forme di protezione complementare e, di conseguenza, la loro natura.
Come affermato dalla giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, tali tipologie di permesso di soggiorno sono delle forme speciali di permessi di soggiorno per motivi umanitari[36] che sono state introdotte nell’ordinamento italiano in attuazione della normativa europea[37]. Trovandosi in rapporto di genere a specie con la più generale categoria delle forme di protezione complementari hanno “consistenza di diritto soggettivo”[38] costituzionalmente garantito. Ciò ha delle importanti ricadute anche in ambito procedurale: in primo luogo, com’è noto ed evidente, il contenzioso in materia ricade nella giurisdizione del giudice ordinario. In secondo luogo il giudice, nell’ambito della piena cognizione anche extra petitum, potrebbe trovarsi, in presenza dei requisiti di fattispecie, ad accertare detti diritti anche indipendemente dal rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità giudiziaria e degli organi di vigilanza[39].
In altre parole, nell’ambito dei procedimenti giurisdizionali in materia di protezione internazionale, il giudice della sezione specializzata, ove ritenga di non riconoscere la protezione internazionale, dovrebbe poter accertare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per casi speciali, in virtù di quanto previsto dalle sopra dette norme.
Tale onere è esplicitamente previsto a carico delle Commissioni territoriali dall’art. 32 comma 3bis del d.lgs. 25/08, che prevede che, ove nel corso dell'istruttoria emergano fondati motivi per ritenere che la persona richiedente sia vittima dei reati di tratta e di riduzione o mantenimento in schiavitù, si trasmettano gli atti al questore per le valutazioni di competenza e dunque anche al fine dello specifico permesso di soggiorno che tutela le vittime di tali reati.
Specularmente può dunque sostenersi che anche in seconda istanza tale diritto debba essere considerato e, ove ritenuto sussistente, riconosciuto dal giudice, tanto quello riconducibile all’art. 18 quanto quello relativo all’art. 18 ter che comunque, come detto, mira a tutelare un diritto soggettivo.
In tal senso sarà preziosa una prassi che favorisca procedure di referral al personale specializzato degli enti anti-tratta che possano supportare l’autorità giudiziaria nel valorizzare gli elementi di vulnerabilità, con particolare riferimento alle forme di sfruttamento vissute nel territorio nazionale.
La valutazione del riconoscimento del diritto ad un permesso per casi speciali può essere rilevante, come già detto, per un ampio numero di persone richiedenti protezione internazionale che presentano indicatori di tratta e /o di sfruttamento lavorativo e che vivono situazioni che, come sottolineato anche dalla giurisprudenza di legittimità, sono frequenti perchè connesse alla precarietà giuridica e sociale delle persone straniere e che talvolta assurgono, anche in assenza di violenza fisica, a vere e proprie forme di riduzione in schiavitù di cui all’art. 600 c.p[40].
L'eterogeneità della casistica e dei relativi bisogni determina l’importanza, come emerge dalla pronuncia in esame, di un approccio giuridico in grado di superare la visione segmentata dell’esperienza della tratta e dello sfruttamento nonostante le sfide attuative imposte dalla normativa che, proprio tornando alle nazionalità maggiormente esposte al fenomeno, include, tra le altre, Bangladesh, Egitto e Tunisia tra i paesi di origine cdd “sicuri”[41].
La provenienza della persona richiedente da un paese di origine designato come sicuro ha diverse conseguenze. La prima attiene all’onere della prova riguardo la valutazione del rischio in caso di rimpatrio (e non della credibilità delle dichiarazioni rese): la presunzione relativa di sicurezza fa sì che incomba sull’istante il compito di provare che, nel suo caso specifico, il paese non è da considerarsi sicuro. A ciò si aggiungono conseguenze sul tipo di procedura applicabile alla domanda di protezione internazionale: l’esame delle istanze presentate da persone provenienti da tali paesi vengono, infatti, trattate in via accelerata e di frontiera con tempi stringenti tra la formalizzazione della domanda, l’intervista e l’adozione della decisione da parte dell’autorità asilo[42].
Dette implicazioni procedurali hanno un impatto sulla persona richiedente ed incidono in modo evidente sul “fattore tempo” che, in ragione della complessità dei vissuti e delle esperienze, è determinante affinchè si possa procedere all’identificazione delle vittime di tratta. E’ infatti chiaro come i contesti delle procedure accelerate e di frontiere mal si conciliano con l’attuazione delle indicazioni delle Linee Guida dell’UNHCR richiamate dalla pronuncia in esame e con la lettura complessiva dei bisogni della persona. In particolare, appare difficile che la persona richiedente abbia già maturato gli strumenti per raccontare parti della propria storia che, come si è visto, possono essere determinanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre, è difficile anche che si possa, dalla prospettiva dell’autorità asilo, riuscire a ricostruire in modo completo e non parcellizzato l’esperienza individuale.
L’importanza di una corretta ricostruzione dei fatti che ha visto protagonista la persona diventa dunque fondamentale in tale contesto e ciò acquisisce maggiore rilievo con riferimento alla possibilità del giudice di mettere in campo un ampio ventaglio di forme di protezione. Presupposto necessario, come effettivamente ci ricorda la Corte di Cassazione, è una lettura attenta e consapevole dei fatti, tanto quelli esplicitamente narrati quanto quelli che emergono grazie alla cooperazione istruttoria del giudice stesso e dunque attraverso la conoscenza delle informazioni sul paese di origine e dell COI e degli indicatori di tratta, l’audizione della persona interessata ed eventualmente il supporto del personale specializzato delle organizzazioni anti-tratta che possono coadiuvare il complesso processo di identificazione della persona ricorrente quale vittima di tratta.
[1] La Corte di Cassazione era già intervenuta sul punto con l’ordinanza del 4 maggio 2023 nel procedimento n. 21413/22 RG, sebbene non enunciando un principio di diritto ma cassando con rinvio un decreto del Tribunale di Brescia in quanto il giudice di prime cure non aveva ravvisato una vicenda di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo in danno di un cittadino nigeriano reclutato all’età di 15 anni e condotto a lavorare in condizioni di sfruttamento in Libia.
[2] Per un approfondimento su questo tema si veda F. Nicodemi, “Tratta di persone, schiavitù, sfruttamento lavorativo. Le diverse forme di protezione e di tutela accordabili in considerazione della varietà delle fattispecie e dei bisogni delle persone”, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, fasc. n. 1/2024.
[3] Dalla prospettiva istituzionale, numerose iniziative sono state poste in essere alla luce del crescente interesse al fenomeno: l’istituzione del Tavolo Caporalato, l’adozione del Piano Nazionale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-2022) e la pubblicazione delle Linee Guida nazionali del Ministero del Lavoro in materia di identificazione, protezione ed assistenza alle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura ed il cui ambito operativo è da intendersi esteso anche agli settori operativi (rinvenibili al seguente link: https://www.lavoro.gov.it/priorita/Documents/Linee-Guida%20vittime%20sfruttamento%20lavorativo_P_14_CU_Atto_Rep_n_146_7_ott_2021.pdf). Anche la versione aggiornata delle “Linee Guida sull’Identificazione delle vittime di tratta tra i richiedenti protezione internazionale e procedure di referral” contiene un approfondimento sul tema dello sfruttamento lavorativo definendo anche specifici indicatori su tale aspetto. In parallelo anche il sistema antitratta, in linea con quanto previsto dal Piano Nazionale Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani 2022-2025 e dal relativo Meccanismo Nazionale di Referral ha posto sempre più l’accento sul tema del grave sfruttamento lavorativo. Dall’altro, in termini quantitativi, i dati circa le persone richiedenti la protezione internazionale le cui esperienze sono riconducibili alle categorie delle vittime di tratta e/o sfruttamento lavorativo sono in aumento.
[4] Nel 2024 gli operatori del sistema anti-tratta, nell’ambito del lavoro di valutazione che svolgono in seguito alle segnalazioni da parte dei diversi interlocutori, hanno identificato quali vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo o comunque di grave sfruttamento lavorativo un numero di persone maggiore, in termini di percentuali (22,4%), rispetto alle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale (16,3%). Inoltre, tra le persone che hanno aderito al programma unico e che quindi sono state prese in carico dal sistema anti-tratta nello stesso anno il 38,5% sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo, a fronte del 24% delle persone che fuoriescono dallo sfruttamento sessuale. Si veda: Numero Verde contro la tratta degli esseri umani e/o Il grave Sfruttamento, Relazione annuale 2024, 2025, disponibile a: https://osservatoriointerventitratta.it/wp-content/uploads/2025/04/Relazione_2024-1.pdf.
[5] L’art. 10 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta stabilisce che “Ciascuna delle Parti si assicura che le autorità competenti dispongano di personale formato e qualificato per la prevenzione e la lotta alla tratta di esseri umani, nell’identificazione delle vittime, in particolare dei minori, e nell’aiuto a questi ultimi, e si assicura che le autorità competenti collaborino tra loro, così come con le organizzazioni che svolgono un ruolo di sostegno, al fine di permettere di identificare le vittime con una procedura che tenga conto della speciale situazione delle donne e dei minori vittime e, nei casi appropriati, che vengano rilasciati permessi di soggiorno nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 14 della presente Convenzione”.
Anche la direttiva europea 2024/1712 all’art. 11 richiama ai doveri degli Stati sotto tale profilo chiedendo che siano adottate “misure necessarie ad istituire, mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, uno o più meccanismi miranti alla rapida individuazione, all'identificazione, all'assistenza e al sostegno delle vittime identificate e presunte, in collaborazione con le organizzazioni di sostegno pertinenti, e a designare un punto di contatto per l'orientamento transfrontaliero delle vittime”.
[6] Per approfondire la prospettiva globale si rimanda a quanto esposto in UNODC, Global Report on Trafficking in Persons, 2024, disponibile a: https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/glotip/2024/GLOTIP2024_BOOK.pdf.
[7] Nonostante la forma di sfruttamento prevalente continui ad essere quella sessuale, tra il 2008 e il 2018 lo sfruttamento lavorativo si attesta tra il 14% e il 21%, mentre dal 2019 in poi raggiunge il 28% e il 41% del totale negli Stati Membri. EUROSTAT, Trafficking in human beings statistics, 2025, disponibile a: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Trafficking_in_human_beings_statistics&oldid=626610#The_prevalence_of_labour_exploitation_is_almost_equal_with_sexual_exploitation.
[8] Su questo aspetto si veda C.Cirillo e F.Nicodemi “ Toward effective protection of victims of trafficking in mixed migration flows: referral mechanisms shaped on individual need. The Italian experience and the European perspective” in “Frontiers in human Dynamics, 2024, (https://www.frontiersin.org/journals/human-dynamics/articles/10.3389/fhumd.2024.1436612/full).
[9] Secondo i dati del Ministero dell’Interno nel 2024 sono arrivate via mare 66.317 persone,13779 provenienti dal Bangladesh. Le persone provenienti dal Bangladesh sono circa un quinto di coloro che hanno raggiunto l’Italia via mare nel 2024 e nel 2023, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati del Ministero dell’Interno, costituiscono la principale nazionalità tra coloro che richiedono la protezione internazionale in Italia. Ministero dell’Interno, Cruscotto Statistico al 31 dicembre 2024,2024, disponibile a: http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/cruscotto_statistico_giornaliero_31_dicembre_2024.pdf. Ministero dell’Interno, Ufficio Centrale di Statistica, Richieste asilo dati 2023, 2025, disponibile a: https://ucs.interno.gov.it/ucs/allegati/Download:Richieste_asilo_dati_2023-21979949.htm.
[10] Numero Verde contro la tratta degli esseri umani e/o Il grave Sfruttamento, Relazione annuale 2023, 2024, disponibile a: https://osservatoriointerventitratta.it/wp-content/uploads/2024/08/Relazione_NV_2023-con-COPERTINA.pdf. Numero Verde contro la tratta degli esseri umani e/o Il grave Sfruttamento, Relazione annuale 2024, 2025, disponibile a: https://osservatoriointerventitratta.it/wp-content/uploads/2025/04/Relazione_2024-1.pdf.
[11] Numero Verde contro la tratta degli esseri umani e/o Il grave Sfruttamento, Relazione annuale 2024, 2025, pg 25, vedi nota 10.
[12] HRC - UN Human Rights Council (formerly UN Commission on Human Rights): Visit to Bangladesh; Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of human rights in the context of climate change, 2023, disponibile a: https://www.ecoi.net/en/file/local/2092311/G2307030.pdf.
[13] Il termine viene usato nel contesto internazionale per descrivere la specificità di questo ruolo sociale in un’ottica sensibile al genere anche in connessione con i rischi correlati alla tratta ed al grave sfruttamento. Per approfondire si veda: OSCE, Applying gender-sensitive approaches in combating trafficking in human being, 2021, disponibile a: https://www.osce.org/files/f/documents/7/4/486700_1.pdf.
[14] Per approfondire si veda: M.Ricca e T.Sbriccoli “Shylock del Bengala. Debiti migratori, vite in ostaggio e diritto d’asilo (Un approccio corologico-interculturale alle implicazioni anti-umanitarie del patto commissorio)” in CALUMET – intercultural law and humanities review, 2016, disponibile a https://www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/410/qg_2017-1_21.pdf.
[15] HRC - UN Human Rights Council (formerly UN Commission on Human Rights): Visit to Bangladesh; Report of the Special Rapporteur on extreme poverty and human rights, Olivier De Schutter, 2024 disponibile a: https://www.ecoi.net/en/file/local/2110046/g2406857.pdf;
DIDR - Division de l'information, de la documentation et des recherches (OFPRA), Bangladesh : La traite par l’exploitation par le travail, 2023, disponibile a: https://www.ofpra.gouv.fr/libraries/pdf.js/web/viewer.html?file=/sites/default/files/ofpra_flora/2309_bgd_traite_119273_web.pdf.
[16] L’analisi sul campo e le esperienze del sistema anti-tratta, dei progetti in materia di sfruttamento lavorativo sul territorio italiano e degli enti del settore rilevano numerose criticità riguardo allo strumento che regola i flussi di ingresso per quote. Dette analisi evidenziano come il decreto flussi nasconda situazioni riconducibili alla truffa della persona straniera che, dopo avere pagato per l’ingresso in Italia, una volta sul territorio, non può perfezionare il contratto di soggiorno in quanto il datore di lavoro non esiste o non è reperibile. Anche in ragione della precarietà giuridica in cui versa, la persona, priva di un titolo di soggiorno, scivola spesso in condizioni di marginalità sociale e di sfruttamento lavorativo. In alcuni casi tali modalità di ingresso nascondono situazioni di vera e propria tratta finalizzata allo sfruttamento lavorativo. Si vedano, tra gli altri, gli approfondimenti sul tema contenuti nell’ultima relazione del Numero Verde Antitratta (vedi nota 4) e dalla campagna Ero Straniero, disponibile a https://erostraniero.it/decreto-flussi-ero-straniero-nel-2022-solo-il-30-di-chi-ha-fatto-ingresso-in-italia-e-stato-assunto-e-ha-i-documenti-il-sistema-va-riformato-subito/.
[17] Nel 2024 sono arrivate via mare 3.284 persone provenienti dal Pakistan, 7677 dalla Tunisia, 4296 dall’Egitto.
Ministero dell’Interno, Cruscotto Statistico al 31 dicembre 2024,2024, disponibile a: http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/cruscotto_statistico_giornaliero_31_dicembre_2024.pdf. Nel 2023 le domande di protezione internazionale presentate da cittadini pakistani sono state 17077; 18296 da cittadini egiziani; 7785 per la Tunisia e 5223 per il Marocco. Ministero dell’Interno, Ufficio Centrale di Statistica, Richieste asilo dati 2023, 2025, disponibile a: https://ucs.interno.gov.it/ucs/allegati/Download:Richieste_asilo_dati_2023-21979949.htm.
[18] Per approfondire si vedano Numero Verde contro la tratta degli esseri umani e/o Il grave Sfruttamento, Relazione annuale 2023, 2024,cit. Numero Verde contro la tratta degli esseri umani e/o Il grave Sfruttamento, Relazione annuale 2024, 2025 cit.
[19] Si registra, infatti, una generale mancanza di dati aggregati che aiutino a raccogliere informazioni sulle donne o sulle persone LGBTIQ+ sfruttate nel settore lavorativo (per approfondimenti si rimanda a quanto eposto da M.G Giammarinaro, Understanding Severe Exploitation Requires a Human Rights and Gender-Sensitive Intersectional Approach’ in ‘Frontiers in Human Dynamics’, 2022 (https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fhumd.2022.861600/full). Tuttavia, un approccio intersezionale al tema porta ad affermare che le donne richiedenti asilo siano particolarmente vulnerabili allo sfruttamento, soprattutto in alcuni ambiti produttivi come il lavoro domestico. Quest’ultimo, anche per la specificità del luogo ove si avviene e l’inviolabilità del domicilio, è di per sé ancora più occulto, con significative lacune nell'implementazione di strategie di identificazione sensibili al genere- Per approfondire: P. Degani e F. Cimino, On the severe forms of labour exploitation of migrant women in Italy: an intersectional policy analysis, in ‘Rivista Italiana di Politiche Pubbliche’, n. 3/20, 2021 rinvenbile a: https://www.academia.edu/108607914/On_the_Severe_Forms_of_Labour_Exploitation_of_Migrant_Women_in_Italy_An_Intersectional_Policy_Analysis; L. Palumbo e A. Sciurba, The vulnerability to exploitation of women migrant workers in agriculture in the EU: the need for a human rights and gender based approach, European Parliament, 2018. rinvenibile a : (https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/IPOL_STU(2018)604966).
M.G. Giammarinaro e L. Palumbo Situational vulnerability in supranational and Italian legislation and case law on labour exploitation in VULNER-blog, 2022, disponibile a: https://www.vulner.eu/99788/Situational-Vulnerability.
[20] Sul punto, e nello specifico sul tema delle vittime di tratta, la Corte di Cassazione si è pronunciata in più occasioni. Tra le altre si vedano: Corte di Cassazione, sez. I civ., ordinanza 676 del 12.01.2022; Corte di Cassazione, sez. I civ., ordinanza 32083 del 15.06.21; Corte di Cassazione, sez. I civ. n. 1750 del 2021; Corte di Cassazione, sez. I civ., ordinanza n. 30402 del 28.05.21.
[21] Il testo delle Linee Guida è rinvenibile al seguente link: https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2021/01/Linee-Guida-per-le-Commissioni-Territoriali_identificazione-vittime-di-tratta.pdf.
[22] Come noto, la Corte di Cassazione si è soffermata più volte sugli elementi per il riconoscimento del rifugio alle persone sopravvissute a tratta a scopo di sfruttamento sessuale ed ha sviluppato una giurisprudenza gradualmente sempre più inclusiva. Tra le pronunce si vedano Corte di Cassazione, prima sezione civile ordinanza n. 32083 del 15.06.21; Corte di Cassazione, prima sezione civile ordinanza n. 30402 del 28.05.21 e da ultimo Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza del 4.08.23 n. racc. gen. 23883 (RG 4135/22). Analogamente Corte di Cassazione prima sezione civile del 22.09.23 n. racc. gen. 12010/22 (RG 30717/23).
[23] La nuova direttiva 2024/1712/UE, che ha modificato alcune disposizioni della precedente direttiva del 2011, ha mantenuto la definizione di vulnerabilità nell’art. 2.
[24] Le Linee Guida UNHCR “sull’applicazione dell’articolo 1A(2) della Convenzione di Ginevra del 1951 e/o del protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta” , nel tentativo di fornire un’interpretazione della Convenzione di Ginevra tale da poter ricomprendere nella definizione di rifugiato le vittime di tratta, evidenziano la frequente sovrapposizione tra smuggling e trafficking, sottolineando come, sebbene siano fenomeni distinti, siano spesso correlati “perché entrambi approfittano della vulnerabilità delle persone in cerca di protezione internazionale o di accesso al mercato del lavoro all’estero.(https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2020/07/linee_guida_protezione_int.pdf).
[25] Le Linee Guida UNHCR (par. 16) evidenziano l’opportunità di valutare la situazione individuale del richiedente anche ove, sebbene la persecuzione subita durante l’esperienza di tratta sia conclusa, essa sia stata “particolarmente atroce e l’individuo stia ancora soffrendo protratti effetti psicologici che potrebbero rendere intollerabile il suo ritorno nel paese”.
[26] L’art. 4 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo proibisce la schiavitù e il lavoro forzato prevedendo ai primi due paragrafi che Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù e che “Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio” (https://www.echr.coe.int/documents/d/echr/convention_ita).
[27] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Chowdury and Others v. Greece - 21884/15, pronuncia del 30.3.2017, disponibile a https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22002-11581%22]}.
[28] Si veda nota 5.
[29] Sulla possibilità di riconoscere la protezione internazionale pur in assenza di un’esplicita allegazione da parte della persona richiedente e dunque in assenza di una “auto-identificazione” quale vittima di tratta, o comunque in caso di dichiarazioni generiche o omissive, la Corte di Cassazione si è espressa ripetutamente. In particolare con l’ordinanza 676/2022 ha enunciato il principio di diritto per cui, in tema di tratta “il richiedente asilo ha l’onere di allegare i fatti, ma non di qualificarli, compito questo del giudice che deve, in adempimento del dovere di cooperazione, a tal fine analizzare i fatti allegati, senza modificarli né integrali, comparandoli con le informazioni disponibili, pertinenti e aggiornate sul paese di origine e sui paesi di transito, nonché sulla struttura del fenomeno, come descritto dalle fonti convenzionali ed internazionali, e dalle Linee guida per la identificazione delle vittime di tratta redatte dall’UNHCR e dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo”.
[30] Le procedure di referral sono divenute nel corso degli anni una prassi diffusa anche presso le sezioni specializzate dei Tribunali, in alcuni casi anche tramite la formalizzazione di Protocolli d’Intesa tra il Tribunale e gli enti del pubblico e del privato sociale che realizzano il programma unico ex art. 18 co. 3 bis D.lgs. 286/98. Tra i Tribunali che hanno sottoscritto il Protocollo vi sono Catanzaro, Roma, Bologna, Firenze, Torino, Trento, Salerno.
[31] In tal senso tra le più recenti, Sez. Spec. Trib. Torino, RG 3191/2023 decreto del 12/05/2025; Sez. Spec. Trib. Torino, RG 68/2024, decreto del 23/12/2024; Sez. Spec. Trib. Torino, RG 3459/2023 decreto del 04/03/2024; Sez. Spec. Trib. Torino, RG 17090/2023 decreto del 06/03/2025; Sez. Spec. Trib. Roma, RG 10182/2023 decreto del 28/07/2023; Sez. Spec. Trib. Firenze, RG 7486/2022, decreto del 24/05/2023; Sez. Spec. Trib. Salerno, RG 5147/2019, decreto del 28/11/2022; Sez. Spec. Trib. Salerno, RG 11731/2019, decreto del 19/10/2022; Sez. Spec. Trib. Milano, RG 11096/2019 decreto del 01/08/2023; Sez. Spec. Trib. Catanzaro RG 6346/2018, decreto del 18/02/2021.
[32] I contenuti ed il nome di detta forma di protezione complementare (in passato chiamata protezione umanitaria) sono stati oggetto di un susseguirsi di interventi normativi che ne hanno ridotto l’ambito applicativo ad oggi disciplinato dalla previsione di cui all’art. 19 comma 1, 1.1 e 1.2 D.Lgs. 286/1998 comma e riformato dal cd Decreto Cutro. Per una disamina si veda, tra gli altri contributi in materia,E. Masetti Zannini, La protezione nazionale post dl 20/2023, su Questione Giustizia, 2024, disponibile a:https://www.questionegiustizia.it/articolo/protezione-nazionale-post-dl-20-2023-2.
[33] Tra di esse, ad esempio, a tutela del diritto costituzionalmente garantito alla salute, il permesso di soggiorno per cure mediche.
[34] L’art. 18 d.lgs. 286/1998 prevede, come noto, la possibilità che la vittima di reati connessi alla tratta e dunque in particolare di cui agli artt. 600 e 601 c.p., che voglia sottrarsi alla condizione di sfruttamento e per tale ragione incorra in un pericolo concreto per la propria incolumità, ottenga il titolo di soggiorno anche al di là della volontà della stessa di cooperare nel procedimento penale contro chi l’ha sfruttata.
[35] La norma, introdotta dalla legge 187/24 che ha convertito il decreto legge 145/24, richiede quale presupposto applicativo operazioni di polizia o procedimenti penale per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo di cui all’art. 603bis c.p. nell’ambito delle quali venga accertata la condizione di sfruttamento, violenza o abuso della persona lavoratrice straniera o dei suoi famigliari. La persona vittima, tuttavia, deve fornire un “contributo utile alle indagini" e, al fine del rilascio del titolo da parte della Questura, è necessario una proposta o parere dell’autorità giudiziaria o dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Per ulteriori informazioni di natura sostanziale o procedurale si rimanda a quanto esposto nel FAQ del Ministero del Lavoro disponibili al seguente link: https://integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-news/Dettaglio-news/id/4194/Vittime-di-sfruttamento-lavorativo-chi-sono-e-quando-hanno-diritto-al-permesso-di-soggiorno.
[36] In questo senso Cass. Civ. Sez.I, sentenza n. 3393/23. Detta pronuncia, che muoveva proprio da un ricorso in materia di riconoscimento della protezione internazionale, si esprimeva riguardo alla tipologia di permesso di soggiorno prevista per le ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo che, al momento dei fatti, era disciplinata dall’art. 22.12quater D.lgs. 286/1998 ad oggi dall’art. 18ter D.lgs. 286/1998. In ragione del medesimo ambito applicativo ed esplicita intenzione del legislatore di sostituire detta fattispecia con la neo introdotta previsione, le considerazioni formulate su quella tipologia di titolo di soggiorno sono estendibili all permesso di cui all’art. 18ter e, per analogia, all’art. 18.
[37] Ci si riferisce per le ipotesi di tratta e quindi per il permesso di soggiorno di cui all’art. 18 alla Direttiva EU 2024/1712 e per l’ipotesi di sfruttamento lavorativo alla Direttiva EU 2009/52. Entrambe le fonti stabiliscono che alle vittime straniere che versano in condizione di irregolarità di soggiorno debba essere rilasciato un permesso ad hoc.
[38] Cass. Civ. Sez.I, sentenza n. 3393/2023. Conforme Cass. Civ. sentenza n. 23456/2019.
[39] Detti pareri, secondo la Corte di Cassazione, hanno natura di atti endoprocedimentali, e non sono vincolanti per l’autorità giudiziaria. Cass. Civ. Sez.I, Sentenza n. 3393; Cass. Sez. Unite, sentenza n. 30757/2018 e n. 32044/2018; Cass. Civ. Sez. I. sentenza n. 10291/2018.
[40] Sotto questo profilo assume rilievo una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato le condanne per riduzione in schiavitù nei confronti dei caporali che sfruttavano migranti durante la raccolta agricola nella zona di Nardò, in Puglia, con ciò mettendo in luce le condizioni disumane in cui operano molti lavoratori migranti ed evidenziando come le condotte perpetrate in loro danno dovessero ricondursi non tanto al reato di cui all’art. 603 bis c.p., bensì alla fattispecie ben più grave di cui all’art. 600 c.p. Si veda Cass. Pen. Sez. I, sentenza n. 16136 del 29.04.25.
[41] Nell’ambito della procedura di riconoscimento della protezione internazionale e tenuto conto delle disposizioni della normativa europea, un paese terzo viene considerato sicuro se, sulla base della situazione giuridica, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica complessiva, non vi sono generalmente e costantemente atti persecutori, tortura o trattamenti disumani o degradanti, né pericolo di vita, a causa di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Il concetto di “paese sicuro” è uno strumento di natura procedurale che è stato introdotto nell’ordinamento italiano dal D.L. 213/2018. Nella sua attuale formulazione l’art. 2bis D.Lgs. 25/08 indica quali paesi di origine sicura: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.
[42] Dette ipotesi sono disciplinate dalla previsione di cui all’art. 28bis D.Lgs. 25/08. Ciò determina non solo un tempo più rapido per convocare la persona ed intervistare , ma anche tempi più brevi per l’adozione della relativa decisione. Inoltre, in caso di rigetto dell’istanza esso può assumere la formulazione della manifesta infondatezza, con conseguente dimezzamento dei termini per l’impugnazione e mancanza di sospensiva automatica con la proposizione del ricorso dinanzi la Sezione Specializzata del Tribunale competente.