Premessa. Le ragioni della convocazione dell’Assemblea aperta
Introduzione all’Assemblea Generale dell’ANM del 30 aprile 2022 del presidente Giuseppe Santalucia
Cari colleghi,
ringrazio tutti della partecipazione, che è nutrita: è un'aula di mille e cento posti, quindi, gli spazi vuoti non sono segnale di scarsa partecipazione; era pressoché impossibile riempirli tutti.
Abbiamo convocato un'assemblea in tempi ristretti perché questo ci ha imposto il calendario dei lavori parlamentari per l’esame della riforma dell’ordinamento giudiziario, che oggi è oggetto della nostra valutazione.
Ringrazio tutti voi e ringrazio anche gli esponenti politici che abbiamo invitato - sono presenti la senatrice Rossomando, l'onorevole Sarti, l'onorevole Vitiello, ma altri hanno assicurato la loro presenza - e i rappresentanti dell'Avvocatura: è presente il Presidente delle Camere civili, il rappresentante dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, e so che interverrà anche il presidente delle Camere Penali.
Ovviamente li ringraziamo fortemente perché è un segno, un'attestazione della loro disponibilità all'ascolto; quando riterranno, se riterranno, di prendere la parola, la presidenza dell’Assemblea darà loro la parola e ascolteremo anche quanto riterranno di volerci dire.
Un ringraziamento anche alla signora ministra della Giustizia e ai Sottosegretari.
Anche loro sono stati invitati; la Ministra - ne dò attestazione perché mi ha autorizzato a farlo - non è intervenuta, al pari peraltro dei sottosegretari alla Giustizia, non per disattenzione o disinteresse ai temi che saranno dibattuti, alle voci della magistratura associata, ma per rispetto: è questa un'Assemblea che prevede alla fine anche una votazione su possibili eventuali ulteriori iniziative che diano concreto segno dell'agitazione della magistratura.
Il Comitato Direttivo Centrale ha affidato all'Assemblea di oggi il compito di eventualmente individuare ulteriori forme di agitazione e di protesta, oltre quelli che già deliberati. L’Assemblea dovrà pronunciarsi sulla proposta di indizione dello sciopero, e la signora Ministra ha detto che è forte la sua disponibilità all'ascolto, la sua attenzione. Ne è concreta attestazione il fatto che interverrà alla nostra Assemblea il Capo di Gabinetto, in modo da poter ascoltare direttamente le ragioni del dibattito e le ragioni della nostra preoccupazione.
L’odierna Assemblea si è aperta all’esterno ed è questo un segno della responsabilità della magistratura.
Il senso di responsabilità della magistratura associata.
Noi siamo fortemente responsabili; lo siamo dall'inizio di questo Comitato direttivo centrale che è nato in sostanza nel pieno, nel cuore della pandemia e dell’impegno del Governo e del Parlamento per l’individuazione dei programmi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Siamo pienamente consapevoli – e responsabili, quindi – dell’importanza delle riforme della giustizia.
Lo siamo ancora di più in un momento della Storia come quello che stiamo vivendo, funestato da un evento di portata epocale, a cui le generazioni a cui anch'io appartengo non erano abituate: la guerra sul suolo europeo.
Ragione per la quale siamo lontanissimi dal coltivare divisioni.
Noi vogliamo condividere, con un dialogo costruttivo, le nostre preoccupazioni, che è tutt'altro dal coltivare le divisioni.
È il modo con cui noi intendiamo la responsabilità nei confronti del servizio che rendiamo, e quindi dell'utenza che quel servizio riceve.
Se le riforme della giustizia sono parte essenziale del Piano nazionale di ripresa e resilienza - perché questo ci viene ripetuto e di questo noi abbiamo consapevolezza, e di qui anche i tempi stringenti dei lavori parlamentari – ebbene io credo che in un piano di ripresa centralità debba essere necessariamente riconosciuta all’obiettivo del miglioramento dell'efficienza della macchina giudiziaria, del recupero di qualità, non solo di quantità.
Dobbiamo mettere al centro - e noi questo stiamo cercando di fare, e cercando di farlo dialogando con le forze politiche - il cittadino, il soggetto portatore di una domanda di giustizia.
La persona che si reca nei palazzi di giustizia non deve avere paura di entrarvi, come qualcuno ha detto, ma deve avere fiducia che quel palazzo di giustizia saprà rispondere al suo bisogno di giustizia.
Fissato l'obiettivo, esso diventa criterio di valutazione dei contenuti del lavoro di riforma che sta conducendo il Parlamento sull'ordinamento giudiziario.
Noi abbiamo avuto vari incontri con la Ministra; l’abbiamo incontrata tre, quattro volte, forse anche di più; siamo stati sentiti in audizione informale alla Camera dei deputati, lo abbiamo fatto sempre con spirito costruttivo, non abbiamo mai chiuso alle riforme.
La volontà di una buona riforma.
Noi vogliamo una buona riforma.
Abbiamo attraversato un periodo di crisi di credibilità; ci viene ricordato anche dal Presidente della Repubblica; sappiamo che non ne usciremo se non anche dimostrando di poter rendere un servizio migliore.
Quindi è fuori da ogni logica pensare che i magistrati non vogliano le riforme, sarebbe suicida per la magistratura opporsi alle riforme.
Ovviamente, noi vogliamo una buona riforma; ed è quello che abbiamo cercato di rappresentare nelle varie interlocuzioni.
Siamo stati ascoltati in parte in modo insufficiente, perché fino al dodici marzo scorso, che è stata l'ultima riunione del Comitato Direttivo Centrale, il Comitato ha individuato nei contenuti del corposo emendamento governativo alla riforma del precedente ministro, dell'onorevole Bonafede, vari punti critici; e ciò ha fatto con un documento votato, se non erro, all'unanimità.
Abbiamo anche dato atto, perché non siamo chiusi al confronto e non abbiamo una volontà di scontro con la Politica, che su alcuni aspetti siamo stati ascoltati, seppure non a sufficienza.
L’Associazione a gennaio ha indetto un referendum consultivo tra i soci sui sistemi elettorali: sapete che la gran parte, la schiacciante maggioranza di coloro che si sono accostati al voto si è espressa per il proporzionale. Abbiamo registrato che dopo quel referendum la Ministra ha proposto un correttivo al suo emendamento introducendo una quota di proporzionale per il riparto dei seggi in un sistema elettorale di tipo maggioritario.
Nelle interlocuzioni che hanno preceduto l’approvazione dell'emendamento in Consiglio dei ministri avevamo fortemente criticato, e ci tornerò, il sistema delle pagelle: siamo stati in parte ascoltati perché il voto nei momenti delle valutazioni di professionalità è rimasto, ma si è ristretto al profilo della capacità organizzativa, e potrei continuare.
Quindi, noi abbiamo fiducia nella discussione, e pensiamo di avere buone ragioni: che, badate, non sono le ragioni di una casta, di un pezzo di un'élite del Paese che in un momento drammatico di crisi economica e di guerra intende conservare privilegi odiosi.
Questo è un luogo comune che ci schiaccia in un angolo da cui vogliamo uscire.
E stiamo cercando di farlo perseverando, in una costante propensione al dialogo, nel confronto.
Tutte le iniziative che hanno manifestato il disagio di questi giorni vanno in questa direzione, ivi compresa la criticata iniziativa del Comitato direttivo centrale di acquistare le pagine di due quotidiani per rappresentare all'opinione pubblica le ragioni del nostro disagio.
Noi non crediamo che l'opinione pubblica debba essere messa da canto in un dibattito che riguardi solo i tecnici, né che l'opinione pubblica non possa o non sappia capire.
Sono questioni elementari, che è bene che capisca la società, che capiscano i cittadini.
Noi non vogliamo solo ascolti riservati nelle stanze del potere del potere politico. Certo il Parlamento è il luogo della sovranità: e con le forze politiche ci confrontiamo, siamo onorati che il Parlamento ci voglia ascoltare, è espressione della maturità della nostra democrazia.
Il Parlamento lavora in assoluta autonomia, senza alcuna pressione: non saranno certamente le discussioni dei magistrati ad esprimere pressione.
E fa ottima cosa se si predispone all'ascolto, perché è il miglior strumento per legiferare bene.
Di ciò che avviene nelle aule del Parlamento, di ciò che avviene negli incontri tra gli esponenti politici e i rappresentanti di una categoria professionale come la magistratura deve essere consapevole anche il comune cittadino, colui che infine delle riforme di un pezzo fondamentale delle nostre Istituzioni democratiche, la Giustizia, patisce le conseguenze.
La centralità del servizio giustizia.
Ora, mettiamo da canto la Magistratura. In questo momento io non parlo per difendere, e non lo abbiamo mai fatto sul tema delle riforme, interessi nostri, di tipo sindacale.
Ci anima oggi la ragione costitutiva dell'associazionismo giudiziario, che ha ormai più di un secolo di storia: la volontà di contribuire al dibattito pubblico sull'ordinamento giudiziario e sulle riforme della giustizia.
Siamo coloro che sperimentano sul campo, insieme all'avvocatura - ed è una delle ragioni per le quali vogliamo dialogare con tutti i rappresentanti dell'avvocatura- la bontà e la capacità di tenuta delle riforme in tema di giustizia.
Siamo quelli che pagano di più in termini di immagine le inefficienze del servizio giudiziario, perché chi non riesce ad ottenere risposta in termini brevi individua immediatamente nel magistrato colui che quella risposta non ha saputo dare; per questo chiediamo alla politica una buona riforma e chiediamo alla politica le risorse necessarie perché la giustizia possa camminare su gambe salde.
Dopo il dodici marzo scorso, quando – come prima ho detto – abbiamo individuato alcuni punti critici - che però non hanno indotto il Comitato direttivo centrale a elevare i toni del disagio per i contenuti del disegno di legge in corso di approvazione (c'erano delle criticità, speravamo che potesse ancora trovarsi spazio) – siamo stati ricevuti dalla ministra alla luce dei subemendamenti che ancora il ventuno marzo non erano stati oggetto di discussione; e lì, in un confronto ancora una volta sereno, costruttivo, dialogante, con la Ministra, abbiamo spiegato che quelle criticità, individuate già nell'emendamento governativo, non trovavano soluzione nei subemendamenti, e che tutti i subemendamenti invece approfondivano ed acuivano quegli aspetti di criticità.
Ed è questa la ragione per cui dal quel momento in poi, da quando nei lavori parlamentari ha preso corpo l’accentuazione dei profili critici dell’emendamento governativo – che, approvato dal consiglio dei ministri, aveva portato, almeno me, a pensare che traducesse la linea programmatica delle forze di maggioranza che si riconoscono nel governo – e abbiamo assistito all'esasperazione dei dei profili di criticità – si è convocato d'urgenza un Comitato direttivo centrale, e quindi poi un'Assemblea generale, per dare modo ai magistrati tutti di confrontarsi con il testo licenziato dalla Camera e ragionare sui modi con cui non strutturare una protesta, una miope chiusura corporativa alla discussione, ma inventare forme di comunicazione all’esterno delle nostre fondate preoccupazioni.
Mi voglio ora soffermare su alcuni aspetti problematici - non su tutti perché la legge è corposa e il dibattito che seguirà ne potrà prendere in esame ancora molti -, che dimostrano che questa riforma non servirà a migliorare il servizio né ad abbreviare anche solo di un giorno i tempi della giustizia.
Questa riforma sarà inutile, io temo anche dannosa, perché su alcuni punti è farraginosa, crea ulteriori adempimenti che saranno attuati con un eccesso di burocratizzazione delle attività degli organi di autogoverno locale e della dirigenza giudiziaria.
Non miglioreranno quello che il Parlamento ritiene essere importante e che noi riteniamo al pari essere importante: il miglioramento del servizio e anche la valutazione della resa del servizio.
Non è questa la strada.
Cercherò, in poche battute, di dimostrarlo senza rubare più di tanto al dibattito e alla relazione del segretario che mi succederà.
Tre i temi: separazione delle funzioni, valutazione di professionalità, uso della leva disciplinare.
Separazione delle funzioni/delle carriere.
Oggi sono consentiti quattro passaggi all’interno di una intera carriera tra funzioni del pubblico ministero e del giudice.
La commissione Luciani, se non erro, e l'emendamento governativo portavano questi passaggi a due. La Camera ha ritenuto di individuarne uno solo.
La volontà è di separare i magistrati del pubblico ministero dai magistrati della giudicante. Un unico passaggio nella carriera.
A questa soluzione fanno seguito difficoltà enormi per chi fa il pubblico ministero ad accedere ai posti di legittimità, perché se non ho compreso male chi fa il pubblico ministero e vuole andare in Corte di Cassazione dovrà essere assegnato al settore civile della Corte Suprema. Scarsissima attenzione, dunque, all'esigenza di professionalità dei magistrati di legittimità e dell’elevata specializzazione delle funzioni della Corte Suprema di Cassazione, a cui si è di regola assegnati soltanto dopo avere acquisito sul campo una professionalità specifica di settore, civile o penale.
Ora, pensare che, data l’elevata complessità dell'ordinamento, un magistrato del pubblico ministero, e quindi con specializzazione esclusivamente nel settore penale, se destinato alla Corte di Cassazione, debba essere assegnato alle sezioni civili, per occuparsi di contratti, di famiglia, di fallimento, di societario, è un modo neanche tanto mascherato di scoraggiarlo, di disincentivarlo alla domanda per le funzioni di legittimità.
Si tagliano i magistrati del pubblico ministero fuori dall'accesso alla legittimità: se vanno alla Procura Generale dovranno occuparsi soltanto degli affari civili.
Non c'è alcuna attenzione alla importanza della giurisprudenza di legittimità, che è iperspecializzata.
Ma è questo lo spirito della Costituzione?
Ora la separazione funzionale sin dagli anni Novanta noi l'abbiamo intesa come esigenza di specializzazione; più l'ordinamento aumenta di complessità, più le tecniche d'indagine, le tecniche di argomentazione richiedono professionalità affinate, più la separazione funzionale risponde a un bisogno di capacità professionali specifiche che si coltivano negli anni.
E per questo, una cosa è l'esigenza di professionalità, altra è la separatezza dei magistrati del pubblico ministero dal giudice, che inevitabilmente diventa una separatezza di modi di intendere il processo e la giurisdizione.
La nostra Costituzione, con una intuizione e un'opzione felicissima, ha invece voluto che i magistrati, pur nella diversità delle funzioni, fossero un unico ordine.
Io non comprendo, l'ho detto molte volte agli amici avvocati, qual è la ragione per la quale pensano che un pubblico ministero schiacciato a vita a fare l'accusatore possa essere migliore di chi, come pubblico ministero, ha potuto sperimentare il punto di vista della giudicante!
La separazione dei ruoli in un processo accusatorio è netta; un'altra cosa è la separazione delle culture, del modo di vedere il processo, di intendere il processo.
A meno che - ed è questo il timore di fondo che ci muove, ma ancora una volta, guardate, non come funzionari dello Stato che guardano ai loro personali interessi, perché non veniamo toccati in quello che è come dire l'area delle prerogative che ogni pubblico funzionario di grado elevato come il magistrato ha, ma per quella prospettiva di interesse generale che ci sta guidando in questo momento, e vi prego ancora una volta, ribadisco fino alla nausea questo concetto, di crederci – non si voglia mortificare la cultura della giurisdizione, facendola venire meno con lo schiacciamento del pubblico ministero ad un unico passaggio.
La nostra idea è che sia una tappa di un percorso legislativo, che necessariamente ne avrà altre, di approfondimento di questo isolamento dalla giurisdizione.
Un pubblico ministero isolato. Che inevitabilmente poi sarà più vicino alle forze di polizia, che sono gli organi con cui l'esecutivo esprime il suo intervento negli indirizzi di politica criminale.
Non pensate che porterà inevitabilmente, tra qualche anno, non sono in grado di dire con precisione tra quanto, la necessità di interrogarsi se è possibile mantenere un potere del Pubblico ministero così lontano dalla giurisdizione, e così politicamente irresponsabile, con le stesse garanzie di autonomia e di indipendenza della giurisdizione?
Questa è la nostra preoccupazione.
Perché in questa legge noi notiamo una progressione secondo una linea di continuità con la legge precedente - che non fu scritta dai padri costituenti, con tutto il rispetto per il lavoro del legislatore, ma fu la legge degli anni Duemila, ancora quella una legge sofferta in un momento di contrasto forte tra politica e magistratura che noi non vorremmo si interrompesse.
Noi non siamo eredi della stagione dello scontro politica-giustizia dell’era di Mani Pulite; noi vogliamo uscire da questo cono d’ombra, noi non vogliamo portare il fardello di uno scontro con la politica, ma vogliamo anche non leggere nelle leggi di riforma i segnali di un tentativo di rivalersi sulla giurisdizione.
I magistrati hanno sbagliato, sbagliano e continueranno a sbagliare, ma a cuore deve essere l'Istituzione giudiziaria, che è altro dai singoli magistrati.
Si puniscano i magistrati che sbagliano ma si preservi l'importanza della giurisdizione così come consacrata in Costituzione.
E quindi noi cogliamo in questa separazione che va progressivamente accentuandosi i pericoli di una svolta costituzionale che in questo momento non c'è, ma c'è l'aggiramento del principio costituzionale.
Perché una Costituzione che disegna un unico ordine, estendendo le garanzie di indipendenza e autonomia della magistratura giudicante alla requirente, faccio fatica a riconoscerla, al di là dei tecnicismi con cui possiamo dire che è compatibile con la Costituzione anche una separazione delle carriere.
Noi cerchiamo di individuare lo spirito profondo del messaggio costituzionale, e io credo che, rispetto a quello spirito, perseguire una separazione funzionale con questa accentuazione non sia conforme a Costituzione.
Sarà forse compatibile con la Costituzione secondo uno scrutinio tecnico che potranno fare i giudici costituzionali, ma non risponde allo spirito di quella Costituzione che badate, e lo ricordiamo, lo sappiamo tutti, è figlia di una stagione tristissima del nostro Paese.
E le stagioni tristissime, lo stiamo sperimentando oggi, sono velocissime nel ritornare. Noi fino a gennaio non immaginavamo una guerra sul suolo europeo; a febbraio siamo ripiombati in un clima da anni ‘quaranta del secolo scorso.
Le tragedie si ripresentano a volte con estrema rapidità.
La saldezza dei principi costituzionali è la nostra unica àncora per impedire che si ripropongano meccanismi che hanno dato prova cattivissima di sé: un'azione penale che venga in qualche modo attratta nell'orbita della politica.
Perché la politica è scontro per il potere, ed è un legittimo scontro per il potere tra
partiti, tra fazioni, tra rappresentanze di interessi.
Questa è la politica nell’accezione a cui tutta la magistratura è estranea, ivi compresa la magistratura inquirente e l'azione penale.
Segnali di pericolo che io leggo anche in un passaggio normativo difficilmente spiegabile, che è quello del potere di consultazione del ministro sui programmi di organizzazione degli uffici di procura.
Noi abbiamo detto alla Ministra, e abbiamo detto alla Commissione referente della Camera, che è una buona cosa onerare i Capi degli uffici inquirenti del programma organizzativo delle Procure, per dare trasparenza, attraverso il procedimento di formazione del piano organizzativo, tra l’altro alle scelte di assegnazione e di revoca degli affari.
È un momento di trasparenza che va a beneficio della giurisdizione tutta, perché una un'azione penale trasparente è un'azione penale che può essere più credibile, più leggibile all'esterno.
Lo abbiamo apprezzato.
Ma oggi non capiamo perché a un certo punto, in Commissione e poi in Aula, sia stato introdotto - e solo per le tabelle di organizzazione degli uffici inquirenti, non anche per i giudicanti - il potere di consultazione del ministro. Allora se l'obiettivo è (saluto il capo di gabinetto Dottor Piccirillo) se l'obiettivo è “Il ministro è responsabile delle risorse e deve poter dire la sua quando le risorse sono allocate”, lo si faccia anche per gli uffici giudicanti.
Non si invochi l'articolo 11 della legge istitutiva del Consiglio dicendo, “beh, il potere di consultazione c'era già”.
Il “c'era già” è pericoloso quando ci sono queste progressioni normative che possono anche essere simboliche in questo momento, ma che potranno avere un'attuazione veramente pericolosa, nel momento in cui nelle tabelle di organizzazione della procura verranno inseriti, per la prima volta espressamente e chiaramente riconosciuti, i criteri di priorità dell'azione penale.
Abbiamo criticato la scelta di affidare i criteri di priorità al legislatore, ed è una critica che, come dire, si spiega col fatto che una legge, non si sa se periodica o una tantum, dovrà individuare per un territorio nazionale esteso ed eterogeneo i criteri di priorità valevoli per tutti.
Non abbiamo compreso come si possa coniugare predeterminazione generalizzata e attenzione alle specificità territoriali.
I criteri di priorità, infatti, saranno comunque individuati dal Procuratore; ed è giusto che sia così, perché il Procuratore, in riferimento al territorio di incidenza, potrà fare le più opportune scelte di distribuzione delle risorse di cui dispone, nel modo più funzionale ai bisogni di repressione.
Ma cosa c'entra il potere di consultazione del ministro?
Non lo comprendiamo, da qui il timore per questa progressione del lavoro parlamentare che acuisce aspetti critici (saluto anche la senatrice Bongiorno) di una normazione di ordinamento giudiziario che potrebbe invece essere ricondotta in binari rassicuranti.
Sulle valutazioni di professionalità.
Noi non siamo contrari alla valutazione dei magistrati. Siamo assolutamente favorevoli ad essere valutati.
Questo deve essere chiarissimo.
Noi siamo periodicamente valutati almeno dagli anni duemila; quattro quadrienni, sette volte in una carriera. Io non ho cognizioni per comparare le altre professioni; non so quante altre professioni intellettuali hanno la stessa scansione temporale di valutazioni periodiche.
Noi le abbiamo.
Si devono migliorare? Certo che si devono migliorare.
Bisogna arricchire il fascicolo di fatti, di fatti specifici più che di giudizi. Abbiamo sperimentato negli anni che i giudizi non servono se non sono accompagnati dai fatti.
Bene.
Il Parlamento ha introdotto vari pareri consultivi: nei casi di conferma nell’incarico direttivo, il parere del magistrato titolare dell'ufficio giudicante in ordine all’attività del dirigente dell’ufficio del pubblico ministero e viceversa, il parere anche dei dirigenti amministrativi, il parere dei magistrati dell’ufficio … tutto bene.
Si è però pensato - e non ci soddisfa il “c'era già nella legge del duemilacinque - duemilasei” – di agganciare le valutazioni periodiche di professionalità anche all'esito degli affari nei successivi gradi di giudizio.
Badate, oggi la norma c’è, ma la norma oggi è strutturata in un modo tutt'affatto diverso. Ha riguardo alla capacità professionale del magistrato sotto gli aspetti del possesso delle tecniche argomentative e delle capacità di indagine: in questo ambito possono essere presi inconsiderazione anche gli esiti degli affari nei gradi successivi di giudizio. Se la Corte d'appello mi dice che ho argomentato in modo del tutto sommario, bene, se ne può tener conto, non ci troviamo nulla di strano.
Ora però avete sganciato - mi rivolgo ai politici, scusatemi, in questo modo diretto ma è il bisogno di un confronto - avete sganciato dai profili di professionalità legati alle tecniche argomentative il riferimento all’esito dell’affare nei gradi successivi.
Il riferimento è allora ai contenuti delle decisioni?
Secondo quanto è scritto nel disegno di legge, al di là della grave anomalia – tutta poi da concretizzare e che il Consiglio giudiziario dovrà andare a ricercare, non come oggi ove il dato anomalo non è oggetto di una ricerca ma rileva in quanto capace di imporsi, appunto per la sua anomalia, all’attenzione del Consiglio giudiziario – in ogni caso dovranno essere acquisiti, a campione, gli esiti degli affari nei successivi gradi di giudizio mettendo dentro a questo fascicolo anche ogni altro documento utile alla valutazione.
State arricchendo il fascicolo già pesante di una tale quantità di roba che non lo leggerà nessuno!
Non state migliorando il sistema delle valutazioni di professionalità, lo state inceppando!
In più, con spunti assolutamente pericolosi, perché l'esito degli affari creerà, in un magistrato, il timore di poter essere valutato non per il possesso della tecnica dell'argomentazione giuridica, ma per non avere “indovinato” la decisione giusta perché fatta propria nei successivi gradi.
Ma noi non decidiamo secondo premesse necessitanti, questo lo sapete, è la logica del probabile che domina i processi. Noi argomentiamo nei processi, non operiamo sillogismi scientifici.
Guardiamo al settore penale.
Ogni processo è necessariamente un processo indiziario, non ci sono certezze!
E noi dobbiamo avere il coraggio di muoverci anche quando il verosimile non ci assiste, perché il verosimile non è la verità.
Noi dobbiamo avere coraggio nelle decisioni, e voi spegnete il coraggio!
Di fronte a un imputato che ha apparentemente tutto contro, il magistrato non deve affidarsi al verosimile, ma deve saper indirizzarsi, se necessario, all’opposto della direzione in cui si incammina l'opinione pubblica e il sentimento collettivo, deve sapere sperimentare il coraggio dell'accertamento che si fa nel processo, non curandosi del suo fascicolo personale, ma dell'unico fascicolo che sta sul suo tavolo, che è il fascicolo del processo!
Guardate che, così facendo, voi state solleticando il sentimento impiegatizio dei magistrati, e io temo che questo possa trovare risposta!
Noi vogliamo ribadire la vocazione altamente professionale della magistratura italiana, che sta scritta in Costituzione.
Noi vogliamo resistere al tentativo di un ingabbiamento nelle paure e nei desideri dell'impiegato.
Senza nulla togliere e senza nessun dileggio nei confronti dell'impiegato, ma noi siamo funzionari dello Stato a fortissima vocazione professionale. Non lo siamo per scelta, lo siamo per statuto costituzionale.
State attenti, lo dico alla politica, perché un magistrato attento a sé stesso, attento al suo profilo di carriera, impaurito, forse anche mi direte ingiustamente, ma le paure non sono sempre giustificate eppure esistono e fanno danno, non sarà un miglior giudice, quel miglior giudice a cui tutti noi dobbiamo tendere.
Quindi, noi non siamo contrari ad essere valutati, e dico all'onorevole Costa, perché è uno dei suoi temi ricorrenti, che si meraviglia che ci sono altissime percentuali di valutazioni positive: perfezionatele, inserite tutti i fatti specifici che occorrono.
L'avvocatura ha già, i consigli dell'ordine hanno già uno strumento formidabile nel loro
possesso, che è quello delle segnalazioni dei fatti specifici – e i fatti specifici segnalati ai Consigli giudiziari non possono essere messi sotto il tappeto da nessuno.
Non so quanti consigli giudiziari hanno sperimentato questo enorme potere di segnalare i fatti specifici; e non so perché gli avvocati si siano incaponiti a pretendere di esprimere il voto, il giudizio (poi solo gli avvocati, perché i professori universitari li avete tagliati fuori dal voto sulle valutazioni di professionalità, se non ho letto male la legge, quindi solo l'avvocatura sarà chiamata al voto sulle valutazioni di professionalità e non anche i professori universitari, questa è una lettura che non riesco a comprendere fino in fondo: perché una sola parte della componente laica?).
Le valutazioni di professionalità o sono intese nel loro autentico senso o sono distorte.
Noi abbiamo una carriera, ahimè accentuata dalla legge Castelli Mastella; l'abbiamo.
Le promozioni stanno in Costituzione: vogliamo andare in Cassazione, vogliamo andare a ricoprire un incarico direttivo: lì c'è una valutazione comparativa e lì si deve stabilire chi è il migliore, il più bravo, nelle valutazioni per il conferimento dei posti che segnano una promozione.
Ma le valutazioni periodiche hanno tutto un altro significato.
Hanno il significato di verificare costantemente e periodicamente se quel magistrato, che nel momento dell'accesso ha dimostrato di avere capacità tecnico-professionale, le capacità dell’equilibrio, della diligenza, della laboriosità, è in grado di mantenere quello standard di adeguatezza.
Io ho fatto già l’esempio in altre occasioni: ma vi rendete conto se tra la categoria dei medici avessimo valutazioni quadriennali che falcidiassero il trenta per cento, il venticinque per cento, il quaranta per cento dei medici?
Saremmo tutti sgomenti di fronte a una classe medica, interrogandoci di come sia possibile che il medico che ci ha curato il giorno prima, che ha curato il nostro parente, nostro figlio, il giorno dopo sia messo da canto da una commissione di valutazione perché professionalmente inadeguato! Vi aspettavate questo tipo di risposta dalle valutazioni periodiche?
Le valutazioni periodiche devono intercettare la lacuna patologica, e le patologie, grazie a Dio, in un corpo professionale che è ancora un corpo professionale culturalmente e tecnicamente attrezzato è giusto che siano ridotte a dati irrisori!
Dopodiché, aumentiamo la capacità di intercettare la lacuna patologica, ma non pretendiamo che le valutazioni periodiche di professionalità diventino una corsa ad ostacoli dove ad ogni giro devono cadere molte teste, perché se fosse così sarebbe un guaio per il Paese.
La moltiplicazione dell’intervento disciplinare.
C’è una enfatizzazione della risposta disciplinare.
Una moltiplicazione di fattispecie disciplinari (avremo tempo per studiare e approfondire, lo faranno gli organi deputati), con l’effetto probabile di sovrapposizione tra fattispecie che già ci sono o, forse, con pericolosi tentativi di affidare al momento disciplinare un sindacato sulla discrezionalità giudiziale che non gli appartiene, e ciò per principi già inseriti nella legge che voi state andando a rimodellare.
È scritto nella legge Castelli-Mastella che valutazione delle prove e attività di interpretazione sono fuori dal sindacato disciplinare.
Benissimo.
Allora, quando si aggiunge (si sovrappone? non so) la fattispecie disciplinare per il pubblico ministero che induce ad un provvedimento cautelare per non aver prodotto gli elementi rilevanti, è un rinvio a ciò che dice il giudice di quel procedimento, che individua lui, e solo lui, qual è l’elemento rilevante, l’elemento favorevole alla difesa, o è il tentativo di una sovrapposizione in sede disciplinare a valutazioni che spettano solo al sindacato della giurisdizione?
Non lo sappiamo, ma ci impauriamo di fronte a questo tentativo del disciplinare di andare oltre lo spazio del consentito, perché è ancora scritto, nella legge che state emendando e modificando, che quello non è lo spazio del disciplinare.
Sulle conferenze stampa.
Ci avete detto, o ci hanno detto: la nuova fattispecie disciplinare è un'estensione fisiologica: nel momento in cui si arricchisce il catalogo dei doveri del magistrato, quando parla con la stampa, si arricchisce il catalogo disciplinare.
Non ci convince e ci preoccupa.
Se il procuratore della Repubblica è chiamato ad individuare lui, e solo lui, con valutazione ampiamente discrezione, se c'è o meno l'interesse pubblico per indire una conferenza stampa, apprezzamento che dipende da fattori non ponderabili, non valutabili in via generale e astratta (dipende dal territorio, dal tipo di notizia, dal tipo di tessuto sociale in cui quel fatto criminoso o apparentemente tale si è verificato): chi fa poi il sindacato sulle valutazioni dell'interesse pubblico? Il titolare dell'azione disciplinare?
Ma non vi sembra che in questo modo si sta gerarchizzando, si sta dando un'impronta autoritaria a funzioni vitali della discrezionalità giudiziaria?
Parlare con la stampa non è un diritto: è un dovere!
La stampa deve potersi muovere liberamente ed essere effettivo momento di controllo del potere pubblico che si esprime anche con l'indagine e l'azione penale.
Noi vogliamo una stampa indipendente e vogliamo una Magistratura indipendente, una Magistratura che non sia soggetta alla paura della repressione disciplinare, utilizzata in modo scomposto.
Aumentate poi le fattispecie disciplinari: oggi si punisce chi viola le disposizioni relative ai servizi giudiziari.
Lo capiamo: se io abuso dell'autovettura di servizio, dei telefoni dell’ufficio, della carta in dotazione al mio ufficio, devo essere punito.
Ma date rilievo disciplinare anche alla violazione delle direttive.
Di chi, e su cosa?
E allora, quando noi parliamo di magistrati intimoriti, lo facciamo cognita causa: intimoriti dalle preoccupazioni di carriera, intimoriti dalle direttive di un capo che può riempire di contenuti prescrittivi spazi che non gli appartengono.
Noi vorremmo un disciplinare tassativo: non lo è.
Sono queste le ragioni della nostra preoccupazione.
Non chiediamo di essere liberati dalla paura perché staremo singolarmente meglio.
Un impiegato sa trovare l'accomodamento anche con le leggi che accentuano modelli organizzativi desueti, perché gerarchia e uso del disciplinare sono proprio ciò che tutte le organizzazioni complesse stanno abbandonando, e ciò che oggi anacronisticamente si ripropone, proprio per l’ordine giudiziario, in un momento in cui la ripresa non può fare a meno del coinvolgimento partecipativo di tutte le energie, e soprattutto della magistratura.
Se il servizio deve essere migliore e più rapido, dovete coinvolgere i magistrati, non guardarli come i primi sospettati delle inefficienze. E non impaurirli con il disciplinare: questo è il modo di rinverdire i guasti di un'organizzazione vecchia e improduttiva.
Il disciplinare, e chiudo qui, stando alla Corte costituzionale (sentenza degli anni ‘80 del secolo scorso, che sembrano molto lontani), non è l'espressione del predominio dell'apparato amministrativo sul pubblico impiegato - perché noi siamo soggetti alla legge, non ai capi - ma il modo con cui si orienta il comportamento dei magistrati verso un modello di magistrato più conforme a Costituzione e più capace di rendere una giustizia migliore.
Il disciplinare è una leva di promozione, non di autoritaria repressione.
Mi sono limitato ad esaminare solo due delle fattispecie disciplinari di nuova introduzione e che in me destano forte preoccupazione.
Traspare una logica vecchia, antica, quella di irregimentare nella gerarchia i magistrati.
In questa direzione non si rende un buon servizio al Paese.
Vi ringrazio.