Juanito Patrone. Essere magistrato, ieri e oggi. E domani?
intervista di P.Filippi e R.Conti
Giustizia Insieme prosegue il suo viaggio nel pianeta giustizia dando la parola a magistrati che hanno lasciato segni tangibili della loro esperienza professionale fino a condizionare il ruolo, la funzione e l’immagine della magistratura.
Juanito Patrone ha accettato di descrivere il mondo nel quale è approdato ed è vissuto. E lo ha fatto con quella serenità, sincerità e schiettezza che chi ha avuto la fortuna di conoscerlo un po’ più da vicino gli riconosce unanimemente.
Le risposte all'intervista sono proprio come lui vere e intelligenti. Anche quando denuncia il malaffare che ammalora il governo autonomo della magistratura riesce a sorridere e a farci sperare in un futuro migliore.
La sua esperienza di magistrato e di esponente di spicco di una delle correnti della magistratura percepita notoriamente come “di sinistra” offre elementi importanti di valutazione a chi vuole farsi un’idea dell’ordine giudiziario aliena da quel ragionare e pensare di pancia che distrugge piuttosto che costruire.
La “scoperta” del diritto sovranazionale che Patrone colloca per lui alla fine degli anni ’90 contiene, in pillole, la risposta al perché del fiorire di tante iniziative “culturali” che hanno via via messo al centro delle riflessioni e discussioni dei giuristi i diritti fondamentali.
L’interrogativo finale al quale Patrone non riesce o non si sente di dare risposta spetta dunque a chi legge riempirlo, forte delle conoscenze e delle memorie di persone come Juanito, all’esperienza delle quali i meno giovani e i giovani non dovrebbero rinunziare anche quando esse dimostrano che il sistema non ha funzionato, che gli ideali sono stati traditi e, in definitiva, che nessuno è perfetto.
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1. Ci piacerebbe che ripercorressi a ritroso il film degli avvenimenti più significativi del tuo lavoro, non tanto con la lente orientata verso la prospettiva personale, quanto in una prospettiva capace di mettere in luce, in modo obiettivo, alcuni temi che oggi ritornano nel dibattito politico e della società quando si pensa al ruolo ed alla funzione del magistrato, alla funzione di garanzia e alla tutela dei diritti fondamentali.
Ho sostenuto gli scritti del concorso nel gennaio del 1979. Un periodo terribile: proprio in quei giorni, mentre ero a Roma, venne assassinato Guido Rossa, non si contavano poi i magistrati uccisi dai terroristi in quegli anni: Tartaglione, Palma, Minervini, Alessandrini, e poi Galli e poi Bachelet ed altri ancora. E i carabinieri, i poliziotti, i giornalisti, gli avvocati. Mario Amato, sostituto procuratore a Roma, impegnato nelle indagini sui gruppi eversivi di estrema destra, venne freddato alla fermata dell'autobus il 23 giugno 1980, il giorno del mio ventottesimo compleanno: ero magistrato da pochi giorni. Non vi erano vere e proprie scorte né particolari cautele, neppure per i colleghi impegnati nelle indagini più delicate e scottanti: alcuni vennero assassinati su mezzi pubblici, altri come Alessandrini per strada, dopo aver accompagnato i figli a scuola, e Galli all'Università ove teneva dei corsi.
Quello era il clima nel Paese ed entrare in magistratura allora aveva perciò un significato ben preciso, era scegliere le istituzioni, la Costituzione, lo stato democratico contro la violenza e l'eversione. Oggi mi è difficile spiegare ai miei figli quel clima, quei giorni, quelle scelte. Genova poi, la mia città, era al centro dell'azione delle Brigate Rosse, era impossibile non imparare a convivere con posti di blocco, perquisizioni, violenze e minacce.
Eppure gli anni '70 sono stati in Italia anche quelli delle grandi riforme democratiche: lo Statuto dei lavoratori, 1970; la legge sul divorzio, 1970; la riforma del diritto di famiglia, 1975; la riforma penitenziaria, 1975; la legge sull'aborto, 1978; la legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi, 1978; la legge di riforma sanitaria, 1980. L'Italia in 10 anni o poco più era cambiata come mai era accaduto nei decenni precedenti. Per me entrare in magistratura significava anche essere una parte, piccola certo, di quel processo democratico, era una reazione al terrorismo, rosso e nero, era un impegno personale e diretto.
Le mie prime funzioni, per sei anni, furono di pretore mandamentale, un ufficio oggi dimenticato: tenevo udienza di lavoro il lunedì', di civile il mercoledì e di penale in venerdì: il sabato si andava in ufficio, ma non ero mica il solo a farlo: a raccontarlo oggi sembra impossibile questo eclettismo, ma in generale le norme processuali erano più semplici e i casi trattati in Pretura – tranne alcune eccezioni – di non complessa decisione: e poi c'era la nostra gioventù: entravamo in magistratura più giovani di quanto sia possibile fare oggi, ricordo che del mio concorso avevamo tutti, salvo pochi, meno di trent'anni e solo due colleghe avevano già figli.
La mia carriera successiva ? Giudice civile del Tribunale di Genova, sezione fallimentare e dell'esecuzione, poi PM minorile, PM della “Procurina”, sempre a Genova, quindi assistente di studio alla Corte costituzionale, infine alla Procura generale della cassazione e da ultimo un intermezzo di due anni a Parigi come magistrato italiano di collegamento. Per otto lunghi anni sono stato PM disciplinare alla Procura generale della cassazione, un'esperienza che ha cambiato, e non in meglio, la mia considerazione della capacità della magistratura di autogovernarsi senza spirito corporativo.
Non mi sono mai veramente specializzato in nulla, confesso che dopo un po' mi annoio a trattare lo stesso tipo di procedimenti e poi sono sempre stato curioso ed ogni volta mi piaceva ricominciare coi fondamentali di una nuova materia. Non ho neppure mai veramente deciso se sono un civilista o un penalista ed ormai per me il tempo per saperlo è scaduto. Non credo che ai colleghi più giovani sia possibile, oggi, fare tutte le scelte che ho potuto fare io: il cambio di funzioni era più semplice, il modello di giudice - e di PM - era quello di un professionista tendenzialmente adattabile a vari saperi e varie esperienze.
2.L’attenzione ai diritti fondamentali della persona e alle garanzie degli utenti del servizio giustizia in che modo hanno connotato le tue funzioni di giudice del merito e poi quelle di legittimità presso la procura generale della Cassazione?
3.Dagli anni ‘80 ad oggi come è cambiata la società civile, quale la diversa attenzione verso i diritti fondamentali? Quanto ha contributo la magistratura alla sensibilizzare in tema di diritti fondamentali? Quanto gli interventi della Cedu?
Quando sono entrato in magistratura, nel 1980, la nozione di “diritti fondamentali” non era, per quanto io possa ricordare, ancora in uso: piuttosto appariva centrale il dibattito sui diritti costituzionali, il cui pieno riconoscimento era affidato all'allora vivacissima giurisprudenza della Corte ed alle riforme, che alcuni definivano “di struttura”, che prima ho brevemente ricordato.
La società italiana aveva attraversato dagli anni '60 un lungo periodo di trasformazione, economica e non solo, e la giurisprudenza seguiva tali mutamenti sia attraverso le decisioni dei giudici che mediante le questioni che venivano sollevate davanti alla Corte costituzionale. Una caratteristica del tempo era la vivacità delle giurisdizioni di merito, specie dei pretori: alcuni giornalisti inventarono la definizione di “pretori d'assalto” per indicare quegli uffici, e quei colleghi, maggiormente impegnati nella scoperta dei beni collettivi da tutelare, l'ambiente, il territorio, la salute. Ci furono certamente invasioni del campo riservato all'amministrazione, alcuni episodi (evitabili) di protagonismo individuale, qualche forzatura interpretativa. Il dibattito però fu fecondo e fece scoprire agli italiani che la legge poteva essere davvero “uguale per tutti” o, almeno, che qualcuno ci provava a renderla tale.
Si scoprì anche un atteggiamento anticonformistico delle giurisdizioni di merito rispetto alla giurisprudenza della cassazione, che era vista, e giustamente, come il baluardo della conservazione e non solo di quella giudiziaria. Questa forma di disubbidienza diffusa, da parte dei giudici di livello meno elevato, ai vertici ordinamentali e giurisprudenziali della magistratura fu certamente resa possibile dalle leggi cd. Breganze e Breganzone che avevano sostanzialmente abolito la carriera per cooptazione dall'alto verso il basso. Negli anni '80 non avevamo quindi più alcun timore di esprimere una nostra linea giurisprudenziale alternativa (come si diceva allora).
Per far comprendere ai più giovani il clima di quegli anni farò un solo esempio, la tutela della salute nei luoghi di lavoro. L'art. 32 della Costituzione, insieme ad una nuova lettura dell'art. 2087 del codice civile, divennero i canoni interpretativi di disposizioni, peraltro già contenute in testi unici del 1955 e del 1956, che avevano avuto sino a quegli anni una ben limitata applicazione e sostanzialmente solo da parte di organi amministrativi come gli Ispettorati del lavoro. Attraverso interpretazioni sistematiche e – diremmo oggi – costituzionalmente orientate delle norme vigenti si giunse, sia pure a macchia di leopardo sul territorio nazionale, a forme di tutela e prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali sino ad allora impensabili.
Compiere ispezioni sui luoghi ove si erano verificati i più gravi infortuni divenne una prassi in molti uffici, compreso il mio: ricordo ancora lo sgomento e il panico degli addetti alla sicurezza aziendale (il mio mandamento era uno dei più industrializzati d'Italia) quando mi presentavo – senza alcun preavviso - ai cancelli, con un paio di carabinieri e i tecnici della ASL e dell'Ispettorato, dicendo loro che dovevano farmi entrare per eseguire una ispezione; nessuno aveva mai osato tanto ! Il sequestro penale di macchinari e di interi reparti divenne il mezzo per costringere il datore di lavoro ad ottemperare alle misure di protezione e di igiene.
La CEDU la scoprii dopo, quando ero assistente del giudice Fernanda Contri alla Corte costituzionale ed era entrato in vigore, nel 1998, il Protocollo addizionale che, abolendo il preventivo esame dei casi da parte della Commissione, aveva creato un rapporto diretto ed immediato tra il giudice europeo e i ricorrenti. Fu una rivoluzione non solo procedurale, ma soprattutto culturale.
Il mio interesse fu valorizzato dalla Corte e mi venne assegnata la redazione di una prima rassegna interna di giurisprudenza della CEDU. Ricordo in particolare l'incoraggiamento che mi venne da parte, oltre che del giudice Contri, del professor Onida e del professor Neppi Modona. Curai nel tempo anche qualche ricerca di diritto internazionale e di diritto comparato, favorito certamente dalla mia buona conoscenza di francese ed inglese. Ci fu, in parallelo, la battaglia (perché di battaglia si trattò) per mettere al giusto posto nel sistema delle fonti la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, approvata nel 2000 fra mille ostacoli e mille difficoltà e dalla collocazione allora incerta. Ma quante resistenze tra i magistrati ed i costituzionalisti, anche italiani, e quante difficoltà a far riconoscere valore giuridico alla Carta. Fu un periodo molto intenso, che ricordo con piacere, anche perché coincise con la nascita del Gruppo Europa di Magistratura democratica, di cui fui uno dei fondatori. Oggi vedo con grande gioia e soddisfazione che quel lavoro pionieristico ha dato frutti importanti e credo che il riconoscimento della posizione della giurisprudenza delle due Corti d'Europa anche sul piano dei rapporti interni e della tutela di quelli che sono divenuti, a tutti gli effetti, i diritti fondamentali sia un'acquisizione ormai riconosciuta da tutti.
4.Quando sei entrato in magistratura cosa rappresentavano le correnti? Il tuo ingresso in Magistratura democratica e in Medel. Come, quando e perché.
5.Nel 2005 hai assunto la carica di Segretario nazionale di Magistratura democratica, come era la magistratura associata e magistratura democratica quindici anni fa, cosa è cambiato da allora? (Come hai vissuto quell’esperienza?)
Le correnti nel 1980: bella domanda.
Sulla storia della magistratura associata in Italia c'è una biblioteca di saggi e di articoli e non intendo qui ripetere cose già dette e scritte, molto meglio, da altri.
Entrai subito in Md: venivo da esperienze politiche di sinistra e non ci avevo pensato su, avevo aderito sin dai primissimi giorni. Md voleva dire, allora, essere in minoranza, sempre e comunque, non avere prospettive di carriera, rischiare pure qualche azione disciplinare per commenti e prese di posizione non gradite ai capi degli uffici che, a loro volta, erano tutti o quasi di Magistratura indipendente. Ricordo la prima elezione di un componente di Md (era Claudio Viazzi) nel Consiglio giudiziario di Genova che fu vissuta come un grande successo, l'elezione di tre componenti del CSM (su trenta) nel 1981. In Md ho fatto molte cose, il segretario sezionale, il componente del Consiglio nazionale, poi dell'esecutivo e infine il segretario nazionale per due anni, dal 2005 al 2007. Mi dimisi dopo la sconfitta alle elezioni per il Consiglio del 2006: visto oggi, quel risultato sarebbe giudicato buono ma allora perdemmo un consigliere e la cosa non venne ben digerita. Vi fu poi, immediatamente dopo, un contrasto politico serio con la nostra rappresentanza nel Cdc della Anm, in particolare sull'atteggiamento da tenere nei confronti del Ministro Mastella e delle sue proposte di modifica della riforma Castelli-Berlusconi. Capii che il mio tempo era finito e me ne andai.
Quella Md – intendo quella degli anni 80 - non è paragonabile a quella di oggi, che poi non ho neppure capito bene se esiste, visto che ha ceduto ad Area la rappresentanza in Consiglio ed in Anm. Avrete capito che a me l'esperimento della fusione non è mai piaciuto, dietro ad esso a mio avviso stava la voglia di pesare di più numericamente, piuttosto che una vera proposta, culturale prima che politica, ma le cose vanno secondo una loro logica e credo di non aver mai fatto opposizione pubblica ad un progetto che andava avanti per volere della grande maggioranza degli aderenti ai due gruppi. La democrazia va rispettata, solo che non si può imporre una scelta a tutti: col tempo mi sono prima staccato dalla vita associativa attiva e poi, in silenzio, dimesso.
Ad essere franco, ho trovato le ultime esperienze consiliari francamente incomprensibili, visto che non ho più percepito la differenza tra i consiglieri di Area e gli altri, se non su questioni di mera bandiera o di astratto principio, che però lasciano il tempo che trovano: sulle nomine, sui fuori ruolo, sugli incarichi extragiudiziari onestamente mi sono sembrati tutti sullo stesso piano. Non ho però risentimenti né rimpianti, non ho mai fatto domanda per posti direttivi né ho chiesto favori ad alcuno, e sono contento così.
Medel. Il mio primo incontro con l'associazione europea fu casuale: era stata fissata una riunione del Consiglio a Berlino, nel 1998, e Bruti Liberati, rappresentate di Md, aveva chiesto di essere affiancato da qualcuno: sapevo l'inglese e un po' di francese e mi proposi.
Sono stato nella associazione europea sino al 2005, quando sono stato eletto segretario di Md e ancora oggi mi chiedo se non sarebbe stato meglio per me rimanere in Europa. Una volta cessata la carica nazionale, ho ripreso un'assidua attività internazionale: sono stato per sei anni componente del Gruppo di esperti della Commissione europea per le politiche penali, ho lavorato con Eurojust, ho partecipato a seminari, riunioni e congressi un po' ovunque, dalle Azzorre al Kazakistan, passando per il Medio Oriente. Tutto molto interessante e, devo dire, spesso anche divertente, partendo da quella riunione di Berlino che aveva risvegliato in me un sentimento federalista europeo che veniva dalla stessa mia cultura familiare.
6.Correnti e correntismo. Come sono cambiate le correnti della magistratura nel corso della tua esperienza lavorativa? Cosa non è andato ? Cosa si può fare?
7.Partecipare è stato per te un imperativo categorico. Quale il consiglio che riguardo alla partecipazione daresti ad un giovane che entra ora a far parte dell’ordine giudiziario? Riguardo all’esercizio delle funzione se dovessi dare tre suggerimenti cosa suggeriresti?
In questi mesi, in queste settimane, leggo spesso affermazioni del tipo: “occorre ripristinare il merito nelle nomine, basta con correnti e correntismo”, et similia.
A mio modesto avviso non c'è proprio nulla da ripristinare.
Se dovessi elencare le persone manifestamente inadatte o inidonee se non del tutto incapaci che in quaranta anni ho visto nominare a posti direttivi e semidirettivi non mi basterebbe una pagina: solo che un tempo queste nomine erano tutte espressione di un solo gruppo associativo, Magistratura indipendente, che ha avuto la maggioranza in Consiglio, anche assoluta, per molto tempo. Poi è subentrato un asse assai forte di MI con Unicost, quindi alla spartizione hanno iniziato a prendere parte, inizialmente con qualche difficoltà, poi con crescente successo, anche i due gruppi di Md e Movimento per la giustizia.
Dalle intercettazioni sinora note del caso Palamara emerge una realtà che i magistrati italiani conoscono bene, ma della quale – salvo pochissimi - preferiscono non parlare: quella della assoluta discrezionalità, ai limiti dell'arbitrio, che ha il CSM nel decidere le nomine: discrezionalità mascherata da motivazioni fondate su lunghissime ed indigeribili circolari sulle valutazioni di professionalità, sui pareri dei Consigli giudiziari, sulle relazioni dei dirigenti; tutte parole, buone solo a creare motivi per i successivi ricorsi al TAR e a stendere una cortina fumogena su accordi di ogni tipo, leciti e, come si è visto, illeciti. Le condotte che sono emerse non costituiscono una anomalia, qualcosa di estraneo alla storia del consiglio: al contrario si tratta dell'ultima degenerazione – certamente la più grave - di un sistema ampiamente compromesso da molti anni di pratica lottizzattoria e di opacità. I Palamara ed i Cosimo Ferri non vengono da Marte, non sono ultracorpi pronti ad impadronirsi di noi: essi sono il precipitato di un andazzo che dura da lungo tempo, mai seriamente contrastato da alcuno, anche se certamente c'è chi questo sistema l'ha praticato di più, chi di meno: ma nessuno è senza peccato, nessuno lo ha denunciato, almeno da quando anche MD, che era nata con una forte carica anticorporativa, ha deciso che occorreva saltare il fossato ed adeguarsi ai tempi: gli ultimi consigli, da questo punto di vista, sono stati spesso imbarazzanti.
Le circolari poi … esse un giorno valgono ed il giorno dopo vengono derogate, specie per quel che concerne gli incarichi extra-giudiziari e i collocamenti fuori ruolo, il tutto nelle forme del favore di corrente e clientelare e anche qui della più ampia discrezionalità. Discrezionalità che poi, inevitabilmente, è degenerata nel clientelismo, nella richiesta dell'omaggio vassallatico, nella continua necessità di andare a segnalare nel Palazzo di Piazza Indipendenza il proprio caso, la propria situazione meritevole di attenzione: per ottenere un trasferimento, una nomina da quattro soldi, una “gloria da stronzi” (cito da L'Avvelenata di Guccini) o un posto di vero comando. Colleghi per bene, stupiti di non essere stati neppure presi in considerazione nella valutazione in Commissione, si sono sentiti rispondere che “non avevano mica segnalato che erano davvero interessati” a quel posto. Si erano limitati a fare domanda nelle forme previste, gli ingenui.
E chi fra consiglieri ed ex-consiglieri dice “io non l'ho mai fatto, noi eravamo diversi”, mente sapendo di mentire, perché i casi sono due: o l'ha fatto mettendosi d'accordo e usando il vecchio sistema del “questo a te e questo a me”: o davvero non l'ha fatto e non l'ha saputo, ma allora ammette di essere un fesso totale, cui passano davanti agli occhi le pastette senza che se ne accorga.
Non c'è stata un'età dell'oro, della buona fede assoluta, della pulizia morale: ci sono stati periodi diversi della lottizzazione a seconda delle mutevoli maggioranze tra i componenti togati e quelli laici: tutto è distribuito secondo un Manuale Cencelli: dai posti di segretario al Consiglio a quelli alla Scuola della magistratura, dai trasferimenti agli uffici più ambiti sino ai posti di referente per l'informatica o della formazione distrettuale. Da anni, ad esempio, i concorsi al Massimario della cassazione sono oggetto di meticolose spartizioni col bilancino e vengono accompagnate da sucecssive polemiche.
Palamara non ha inventato nulla, solo ha portato un sistema già in atto da tempo alle sue estreme conseguenze. Non sono un appassionato lettore di trascrizioni in genere, ma ciò che mi ha colpito è stato proprio questa totale assenza di prudenza, questo ragionare solo in termini di “noi” e “loro”, questa sfacciata rivendicazione di potere.
Ma già da tempo la magistratura manifestava questa involuzione: in fondo Cosimo Ferri – il quale, non a caso, partecipava quale dominus di MI, ai dopo cena all'Hotel Champagne – da anni raccoglieva valanghe di consensi sulla base di programmi di mera protezione dei singoli ed aveva organizzato micidiali macchine di informazione sui lavori del Consiglio: del resto si è consentito, in difesa di una (per me inspiegabile) necessità di avere sempre e comunque l'unità associativa, di formare giunte con un gruppo, MI, diretto da un … sottosegretario alla giustizia, poi parlamentare: tutti lo sapevano e nessuno diceva nulla.