ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Il silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire tra esigenze di certezza giuridica e tutela dell’interesse pubblico (nota a Cons. St., sez. IV, 7 settembre 2022, n. 7631)
di Saul Monzani
Sommario: 1. Richiesta di permesso di costruire e silenzio della pubblica amministrazione: inquadramento normativo. –2. I requisiti di formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire: orientamenti giurisprudenziali a confronto. – 3. La tesi della formazione del silenzio-assenso per effetto del solo decorso del termine di conclusione del procedimento in una prospettiva sistematica. – 4. Conclusioni: silenzio-assenso ed annullamento d’ufficio dei titoli edilizi.
1. Richiesta di permesso di costruire e silenzio della pubblica amministrazione: inquadramento normativo.
La sentenza oggetto del presente commento si colloca nel dibattito giurisprudenziale avente ad oggetto l’individuazione delle condizioni in presenza delle quali si possa ritenere formato il silenzio-assenso sulla richiesta di permesso di costruire non riscontrata espressamente dalla pubblica amministrazione.
Come è noto, la fattispecie in questione è regolata attualmente dal comma 8 dell’art. 20 del d.P.R. 65 giugno 2001 s.m.i. (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il quale, capovolgendo la prospettiva di cui all’originario comma 9, il quale ricollegava la formazione del silenzio diniego all’inutile decorso del termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, dispone che, in tale ultimo caso, “ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali”.
Ma vi è di più: tramite l’art. 10, comma 1, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. nella l. 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. decreto semplificazioni 2020), proprio al fine di “semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese”, si è introdotto, sempre al comma 8 dell’art. 20 cit., un’ulteriore specificazione per cui “Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l'edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell'interessato, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all'interessato che tali atti sono intervenuti”.
Tale ultimo intervento legislativo è apparso funzionale a fornire all’interessato un elemento di certezza documentale rispetto alla fictio juris rappresentata dal silenzio assenso, in modo da consentire l’avvio dei lavori senza esporre a rischi i soggetti a vario titolo coinvolti nonché allo scopo di offrire un adeguato livello di sicurezza giuridica nei contratti di compravendita immobiliare o ai fini dell’accesso al credito[1].
2. I requisiti di formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire: orientamenti giurisprudenziali a confronto.
A fronte di un apparente, per non dire evidente, favor legislativo verso la prospettiva della formazione del silenzio-assenso in virtù del mero decorso del termine di conclusione del procedimento, fatta eccezione per le situazioni in cui sussistano particolari vincoli afferenti ad interessi pubblici particolarmente rilevanti[2], il panorama giurisprudenziale, entro cui si inserisce anche la sentenza oggetto del presente commento, continua a fornire un’interpretazione più rigorosa di quanto sembra emergere dal quadro normativo. In tale ottica, permane l’interpretazione per cui la formazione del silenzio-assenso nei confronti di una domanda di permesso di costruire richiede, non solo il decorso del termine previsto dalla legge senza l’avvenuta emissione di un provvedimento espresso, bensì anche la sussistenza della c.d. conformità urbanistica, ossia la contestuale presenza di tutti i requisiti e i presupposti per conseguire il bene della vita richiesto, consistente, nel caso, nel rilascio del titolo edilizio richiesto[3].
La giurisprudenza che si è espressa nel senso indicato ha assunto quale presupposto il principio per cui “non si possa ottenere per silentium quel che non sarebbe altrimenti possibile mediante l’esercizio espresso del potere da parte della pubblica amministrazione”[4] o, in altri termini, che, se così non fosse, il richiedente, sulla base dell'inerzia della pubblica amministrazione, verrebbe ad ottenere un ampliamento della propria sfera giuridica, in termini di assenso all'esercizio dello ius aedificandi, che non avrebbe potuto conseguire mediante l'ordinario procedimento espresso, il che significherebbe rimettere a un dato casuale (l’inerzia o l’attività della pubblica amministrazione) la formazione del titolo edilizio, in contrasto con il fondamentale principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.[5]
Per tale via, si ammette che la pubblica amministrazione conservi il potere di adottare, anche dopo la scadenza del termine di conclusione del procedimento, un provvedimento di diniego in modo da intervenire senza limiti di tempo a reprimere un’attività avviata in carenza dei presupposti di legge. In sostanza, la prospettazione appena illustrata poggia sulla considerazione dell’inerzia come un mero fatto giuridicamente rilevante, a cui l’ordinamento fa discendere la produzione di effetti equivalenti a quelli del provvedimento di accoglimento dell’istanza, con la conseguenza che, in quanto fatto, esso sarebbe qualificabile come esistente o inesistente in base alla conformità a legge sia della domanda che dell’attività da svolgere, quale requisito per la formazione del silenzio-assenso[6].
La fin qui riferita posizione giurisprudenziale, sebbene tenda a prevalere numericamente nelle pronunce più recenti, non appare incontrastata: anzi, si possono rinvenire, anche negli ultimi tempi, prese di posizione di segno opposto secondo le quali, viceversa, il silenzio-assenso si forma per effetto del vano decorso del termine di conclusione del procedimento, a prescindere dall’effettiva sussistenza dei requisiti e presupposti sostanziali richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo[7].
Quest’ultima interpretazione si è basata sulla considerazione generale per cui il silenzio-assenso costituisce un istituto che risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia equivale a provvedimento di accoglimento, con il naturale corollario per cui, ove sussistano i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può formarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme alla legge. Sempre secondo la interpretazione ora in commento, ritenere diversamente, ovvero che il silenzio-assenso sia produttivo di effetti solo in presenza dei requisiti posti dalla disciplina sostanziale, significherebbe vanificare in radice le finalità di semplificazione proprie di tale istituto: in tale ottica, il privato non trarrebbe alcun vantaggio ove la pubblica amministrazione fosse posta in grado, senza oneri e vincoli procedimentali ed in qualunque tempo, di disconoscere gli effetti della domanda non riscontrata nei termini, oltre i quali, invece, viene, meno il potere (primario) di provvedere e residua solo la possibilità di intervenire in autotutela, nei termini previsti dalla legge, sull’assetto degli interessi formatosi tacitamente.
3. La tesi della formazione del silenzio-assenso per effetto del solo decorso del termine di conclusione del procedimento in una prospettiva sistematica.
L’orientamento giurisprudenziale da ultimo riferito, che risulta il più aderente al dato testuale normativo come sopra ricordato nonché al chiaro intento legislativo nel senso della semplificazione, è stato basato anche su considerazioni di carattere sistematico, ossia traendo spunto da altre disposizioni di legge che si porrebbero in coerenza con la prospettiva della formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire per effetto del solo decorso del termine di conclusione del procedimento.
In tale quadro, è stato notato, in primo luogo, che, ai sensi dell’art. 20, comma 3, della l. n. 241 del 1990, ove il silenzio dell'amministrazione equivalga ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, nel senso della revoca o dell’annullamento d’ufficio. Da tale norma, si trarrebbe la conseguenza che la violazione di legge non incide sul perfezionamento della fattispecie, bensì rileva, secondo i canoni generali, in termini di illegittimità dell’atto. In altri termini, per quanto qui interessa, la norma citata deporrebbe per il fatto che il silenzio-assenso si perfeziona col decorso del termine di conclusione del procedimento anche in assenza dei presupposti di legge, determinando, in tale ipotesi, un risultato equivalente all’emissione di un provvedimento espresso illegittimo che, come tale, può essere oggetto, al più, di un’iniziativa in autotutela dell’amministrazione competente.
In secondo luogo, si è considerato, ai fini ora in questione, il disposto di cui all’art. 2, comma 8-bis, della l. n. 241 del 1990, come introdotto in forza della l. n. 120 del 2020, il quale è giunto a precisare che le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di conclusione del procedimento sono inefficaci, fermo restando il potere di annullamento d’ufficio, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni. Anche da questo angolo visuale, dunque, si confermerebbe che il provvedimento tacito si forma per effetto del silenzio, salvo che i relativi effetti possano risultare illegittimi in mancanza dei presupposti di legge, con la conseguenza che il provvedimento così formatosi diverrebbe passibile di annullamento d’ufficio.
La novella appena evidenziata, a fronte del citato confronto giurisprudenziale tra posizioni diverse, ha posto un ulteriore tassello a favore dell’interpretazione per cui, nel caso che qui preme considerare, la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di permesso di costruire rimasta inevasa si ricollega (unicamente) al mero decorso del termine di conclusione del procedimento. In tale ottica, il legislatore è giunto a precisare il carattere perentorio del termine predetto, ai fini della formazione del silenzio, nonché a sancire che l’eventuale provvedimento tardivo emanato dalla pubblica amministrazione non produce effetti, essendosi ormai consumato il relativo potere e residuando solo un eventuale intervento di secondo grado in autotutela. Proprio in quest’ultimo ordine di idee, sarebbe forse stato preferibile chiarire che un eventuale provvedimento tardivo sia affetto da nullità, piuttosto che da inefficacia, e ciò proprio in quanto, consumatosi il potere di decidere per effetto del decorso del termine di conclusione del procedimento, da intendersi appunto perentorio, la successiva attività provvedimentale dovrebbe, logicamente, considerarsi “tamquam non esset”, in ragione di una sopravvenuta carenza assoluta di potere[8].
In ogni caso, è stato osservato che pure nell’ipotesi della nullità, comunque, al privato destinatario di un provvedimento (di diniego) tardivo, residuerebbe l’onere, nell’incertezza derivante dal quadro giurisprudenziale in commento, di adire il giudice amministrativo entro 180 giorni dal provvedimento stesso, anche solo in via prudenziale, per sentirne dichiarare la nullità o, al limite, l’inefficacia[9].
In terzo luogo, militerebbe nel senso ora in commento la previsione generale di cui all’art. 20, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, come introdotta dal d.l. n. 77 del 2021, per cui, sulla falsariga di quanto già specificamente previsto proprio in materia edilizia, nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento e fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l'amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda, con l’ulteriore precisazione che decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da una auto-dichiarazione del privato.
Ancora, si è individuato un elemento di conferma alla prospettazione ora in considerazione nell’avvenuta abrogazione della norma di cui al comma 2 dell’art. 21 della l. n. 241 del 1990, la quale disponeva che le sanzioni previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza di atto di assenso dell’amministrazione o in difformità da esso si applicano anche a coloro che abbiano iniziato l’attività in forza della formazione del silenzio-assenso in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente.
Infine, sempre con riguardo all’art. 21 della l. n. 241 del 1990 ma con riferimento al disposto di cui al comma 1 e sempre a sostegno della teoria ora in commento, si è apprezzato, sul presupposto per cui l’interessato nella propria domanda deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti, che la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria sono escluse solo in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, e non in caso di dichiarazioni più semplicemente incomplete, nel qual caso, pertanto, il silenzio-assenso si perfezionerebbe comunque.
4. Conclusioni: silenzio-assenso ed annullamento d’ufficio dei titoli edilizi.
In conclusione, la giurisprudenza, di cui fa parte la sentenza in commento, che richiede la conformità urbanistica dell’intervento proposto, oltre al decorso del termine di conclusione del procedimento, ai fini della formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire appare decisamente criticabile.
Del resto, è stato anche svelato come l’argomentazione per cui non si potrebbe ottenere attraverso il silenzio un risultato contrario alla legge tradisca in realtà una confusione tra perfezionamento della fattispecie attraverso il silenzio-assenso, nei termini previsti dalla legge, ed effetti di quella fattispecie, i quali possono anche essere illegittimi per violazione delle norme urbanistiche, con conseguente possibilità di attivare i rimedi in autotutela, quale l’annullamento d’ufficio, la cui operatività è espressamente estesa, dall’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990 s.m.i., ai casi in cui il provvedimento si sia formato per silenzio assenso[10].
In definitiva, il quadro di incertezza che viene tuttora alimentato dalla giurisprudenza come quella in commento appare vanificare, almeno una certa misura, gli sforzi del legislatore, innegabilmente diretti verso la semplificazione, quale valore funzionale anche alla ripresa economica. In campo edilizio, peraltro, ove i valori in gioco sono rilevanti, sia dal punto di vista meramente economico che di quello occupazionale, le esigenze di certezza giuridica appaiono particolarmente significative al fine di non rendere difficoltosi i passaggi di proprietà degli immobili. Tenendo conto di ciò, appare ancora più criticabile che, in caso di inerzia dell’amministrazione, si lasci il privato nell’incertezza circa l’effettiva formazione del silenzio-assenso, nel momento in cui quest’ultimo sia ricondotto, non solo al mero decorso del termine di conclusione del procedimento, ma anche alla sussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla legge per il conseguimento del permesso di costruire, il cui accertamento non è affatto scontato in un quadro normativo, come quello relativo all’attività edilizia, multi-livello tra Stato, Regioni ed enti locali, attraversato da molteplici interessi pubblici, anche particolarmente sensibili, nonché in un ambito potenzialmente interessato anche dall’azione penale nei confronti di comportamenti in grado di integrare la fattispecie dell’abuso edilizio.
In altre parole, occorre che il privato possa confidare nell’effettiva acquisizione del titolo legittimante l’intervento edilizio, anche per il tramite del silenzio-assenso, la cui formazione non può ragionevolmente dipendere dall’accertamento della conformità urbanistica lasciata all’apprezzamento del privato stesso, invece che all’attività provvedimentale della pubblica amministrazione.
Proprio nella descritta direzione, ovvero quella della necessità della certezza dei rapporti giuridici, va collocata la, già segnalata, novella legislativa introdotta nel campo edilizio, e poi generalizzata, per cui la pubblica amministrazione è tenuta a rilasciare un’attestazione circa l’avvenuto decorso dei termini di conclusione del procedimento senza che siano intervenute richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e provvedimenti di diniego, la quale attestazione, come parimenti già rilevato, verrebbe a costituire un elemento di certezza maggiormente “tangibile” rispetto al provvedimento tacito e dunque in grado di rassicurare tutti i soggetti coinvolti nell’avvio e nello svolgimento dell’attività edilizia.
Del resto, la tutela dell’interesse pubblico a fronte di un permesso di costruire formatosi tacitamente appare comunque adeguatamente tutelato, in primo luogo, dall’esclusione dell’operatività del silenzio-assenso nei casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, nonché in secondo luogo, dalla possibilità di procedere all’annullamento d’ufficio di eventuali provvedimenti taciti formatisi in difetto dei presupposti di legge. Da quest’ultimo punto di vista, il (doveroso) equilibrio con il legittimo affidamento del privato che abbia confidato nell’ottenimento, sia pure in via tacita, del permesso di costruire, viene ottenuta grazie alle particolari condizioni e limiti che caratterizzano i provvedimenti di secondo grado adottati in via di autotutela da parte della pubblica amministrazione, senza che quest’ultima, viceversa, possa ritenersi abilitata ad emanare provvedimenti tardivi senza il rispetto di tali condizioni.
Pertanto, nel momento in cui la pubblica amministrazione intenda inibire un’attività edilizia tacitamente assentita per effetto del mero decorso del termine di conclusione del procedimento, non potrà farlo liberamente in maniera tardiva, ma dovrà necessariamente accertare, dandone conto in motivazione, la sussistenza dei presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, i quali presupposti sono da individuarsi nell'originaria illegittimità del provvedimento nonchè nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari[11].
[1] Sul punto cfr E. Boscolo, Semplificazioni e flessibilizzazioni nella disciplina dei titoli edilizi, in Riv. giur. urb., 2022, 185-188.
[2] Nel senso che ai fini della formazione del provvedimento implicito di assenso occorre verificare che, oltre all'inutile decorso del tempo necessario alla conclusione del procedimento, la domanda sia stata presentata dal soggetto legittimato alla richiesta, nonché corredata dalle attestazioni, dagli elaborati grafici e dalle asseverazioni espressamente richieste e che, infine, non sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientale, paesaggistici o culturali, si v. tra le altre e di recente, T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 3 novembre 2021, n. 910, in www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Nel senso indicato si sono espresse di recente, oltre alla sentenza in commento, anche, Cons. St., sez. IV, 28 gennaio 2022, n. 616, in www.giustizia-amministrativa.it.; Cons. St., sez., VI, 8 settembre 2021, n. 6235, in Riv. giur. edilizia, 2021, I, 1654; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 29 luglio 2022, n. 10792, in Riv. giur. edilizia, 2022, I, 1247; T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 22 novembre 2022, n. 1565, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 2 maggio 2022, n. 1462, ivi; T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 9 luglio 2021, n. 2229, ivi; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II,18 gennaio 2021, n. 105, ivi. Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali in tempi più risalenti, si v. A. Licci Marini, Silenzio assenso in materia edilizia, in Urb. e app., 2018, 850 ss.
[4] Cons. St., sez. IV, 29 novembre 2021, n. 7924, in www.giustizia-amministrativa.it.
[5] Così, di recente, T.A.R. Trentino-Alto Adige Trento, sez. I, 28 febbraio 2022, n. 44, in www.giustizia-amministrativa.it.
[6] Sul punto cfr. G. Mari, L’obbligo di provvedere e i rimedi preventivi e successivi ai silenzi provvedimentali e procedimentali della P.A., in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2020, 226. In tema si v. anche M. Calabrò, Silenzio assenso e dovere di provvedere: le perduranti incertezze di una (apparente) semplificazione, in www.federalismi.it, 2020.
[7] Così, di recente, Cons. St., sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746, in www.giustizia-amministrativa.it. Per un commento si v. anche P. Marzaro, Il silenzio assenso e l’infinito della semplificazione. La scomposizione dell’ordinamento nella giurisprudenza sui procedimenti autorizzatori semplificati, in Riv. giur. urb., 2022, 584-588.
[8] Sul punto M. Calabrò, Il silenzio assenso nella disciplina del permesso di costruire. L’inefficacia della decisione tardiva nel d.l. n. 76 /2020 (c.d. decreto semplificazioni), in questa Rivista, 26 novembre 2020. Sempre nel senso della ritenuta nullità di un provvedimento tardivo sull’istanza di permesso di costruire, G. Corso, Silenzio-assenso: il significato costituzionale, in Nuove autonomie, 2021, 9 ss., ha osservato come le recenti novelle legislative abbiano condotto all'attribuzione al silenzio-assenso di una forza limitativa del potere amministrativo, che con la formazione di questo si esaurisce, conseguendone una rinnovata connessione tra il piano della (in-)validità, sotto forma di nullità, e quello della (in-efficacia) della determinazione espressa tardiva.
[9] Così. M.A. Sandulli, Silenzio assenso e inesauribilità del potere, in www.giustizia-amministrativa.it, 24 maggio 2022.
[10] Così A. Travi, Silenzio-assenso e conformità urbanistica delle opere, in Foro it., 2022, 430 ss., il quale ha osservato come la individuazione delle condizioni per la maturazione del silenzio-assenso non siano rimesse alla giurisprudenza, essendo definite dalla legge, con la conseguenza che il giudice amministrativo non può sovrapporre valori diversi a quelli che la legge abbia sancito e stabilito nel prevedere e regolare l’istituto. In definitiva, in tale ottica, si è ribadito che se la legge non stabilisce che la conformità urbanistica rappresenti una condizione per la formazione del silenzio-assenso, quest’ultimo si forma anche in assenza di conformità urbanistica, fatta salva l’eventuale illegittimità degli effetti così prodotti e la loro conseguente annullabilità nei modi e nei termini previsti dalla legge.
[11] Così, di recente, Cons. St., sez. II, 17 ottobre 2022, n. 8840, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si è ulteriormente specificato che l'esercizio del potere di autotutela è espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione. Nello stesso senso anche Cons. St., sez. VI, 28 dicembre 2021, n.8641, ivi; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 14 marzo 2022, n. 135, ivi; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 1° ottobre 2021, n. 6150, ivi.
La Corte di appello di Palermo ha accolto solo in parte la richiesta di Contrada di riparazione per ingiusta detenzione
Con sentenza del 24.6.2022, la Corte di Cassazione ha annullato (per la 2^ volta) l’ordinanza con la quale un’altra Sezione della Corte di Appello di Palermo aveva respinto la richiesta avanzata dal dott. Bruno Contrada di riparazione per ingiusta detenzione, affidando al giudice di rinvio il seguente principio:
“Sulla scorta degli accertamenti in punto di fatto indicati nella ordinanza impugnata, determinare la ricorrenza del dolo o colpa grave, causa ostativa alla riparazione, in relazione non già alla fattispecie di reato di partecipazione all’associazione mafiosa, mai contestata e rispetto la quale il ricorrente non si è mai difeso nel processo, bensì rispetto a condotte sinergiche al favoreggiamento sia delle singole vicende accertate (ed elencate nella ordinanza impugnata) sia dell’associazione mafiosa”.
“Al giudice di rinvio è richiesto di valutare, sulla scorta delle individuate condotte ritenute rilevanti, già evidenziate nell’ordinanza impugnata, con autonomo giudizio, se le stesse con un giudizio ex ante rendevano prevedibile l’intervento dello Stato in relazione alla diversa fattispecie di reato di favoreggiamento”.
Con l’ordinanza del 15.12.2022 - depositata il 17.2.2023 - la Corte di Palermo, in sede di rinvio, ha ritenuto indubbio che fosse prevedibile per chiunque – a fronte dei gravi, reiterati, inequivoci comportamenti accertati nel corso di cinque giudizi divenuti definitivi, certamente ostativi in quanto gravemente colposi – la reazione preventiva e poi sanzionatoria dello Stato, sulla base di una valutazione ex ante e improntata secondo l’id quod plerumque accidit, tanto più per un Funzionario di polizia con molteplici esperienze investigative nel contrasto alla criminalità mafiosa.
È stato accertato, infatti, nei confronti del dott. Contrada, di avere contribuito – dapprima nella qualità di funzionario di p.s. della Questura di Palermo, poi in quella di dirigente presso l'Alto Commissariato per il coordinamento della lotta alla criminalità mafiosa e, infine, presso il SISDE – alle attività e agli scopi criminali dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, fornendo "ad esponenti della commissione provinciale di Palermo di Cosa Nostra notizie riservate, riguardanti indagini ed operazioni di polizia da svolgere nei confronti dei medesimi e di altri appartenenti all'associazione". E (prosegue la citata ordinanza) non può che ribadirsi che tale forma di collusione realizzata dall’imputato, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 378 c.p. <<deve considerarsi tanto più grave in quanto, da un lato particolarmente utile a "Cosa Nostra", e dall'altro espressione più alta del tradimento delle proprie pubbliche funzioni>> (sent. di condanna citata).
In altri termini, le pur divergenti definizioni giuridiche date a contegni del tipo di quelli addebitati al dott. Contrada rendevano comunque certamente conoscibile, in via anticipata al momento del compimento delle condotte, la possibilità concreta della incriminazione e della punizione, senza che la stessa potesse manifestarsi quale effetto a sorpresa, quale risposta giudiziaria postuma, improvvisa e inedita, tale da sorprendere l’affidamento del Contrada come formatosi al momento del compimento dei fatti, nei quali erano già presenti segnali discernibili, anticipatori del realizzarsi dell’incriminazione, della misura cautelare e della punizione, di talché sarebbe contrario al sistema disconoscere tale rilevanza causale a comportamenti del tenore di quelli posti in essere dal Contrada.
Le condotte del dott. Contrada sono state ritenute fattore condizionante la produzione dell'evento "detenzione", e dunque presupposto che ha ingenerato – ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente – la falsa apparenza della loro configurabilità come illecito penale […] così ingenerando una condizione ostativa alla riparazione, quantomeno con riferimento al periodo antecedente alla maturazione della prescrizione del reato di favoreggiamento aggravato.
In ordine alla prescrizione, la Corte ha ritenuto, poi, che il giudizio ex ante debba tener conto della normativa all’epoca vigente, rammentando che, in epoca antecedente al 2005, per la pena superiore ad anni cinque, come nel caso di specie, si applicava la prescrizione di anni dieci, aumentata della metà per effetto della previsione sulla prescrizione prorogata, contenuta nell’art. 161 c.p. dell’epoca.
Il termine della prescrizione decorreva, secondo la disciplina dell’epoca, non dalla data relativa ad ogni singola fattispecie, ma dal giorno in cui cessava la continuazione del reato, e dunque dal febbraio 1988.
Pertanto, in applicazione dei suddetti principi, all’epoca della emissione della misura cautelare il reato non era certamente prescritto, con la conseguenza che, per la ragioni suesposte con riferimento alla sussistenza (quantomeno) di una colpa grave rinvenibile nelle condotte del Contrada, il periodo di custodia sofferto in data antecedente alla prescrizione del reato – ossia per il periodo compreso tra il 24.12.1992 ed il 31.7.1995 – è stato ritenuto insuscettibile di riparazione.
A diverse conclusioni è giunta la Corte di appello per il periodo successivo alla condanna definitiva, intervenuta il 10.5.2007, epoca nella quale vigeva il diverso regime di prescrizione (cd. ex Cirielli) con il termine massimo, per il reato di favoreggiamento, di sette anni e sei mesi, più favorevole del precedente e, dunque, suscettibile di applicazione.
La pena scontata per un reato prescritto al momento della condanna, i cui effetti sono stati posti nel nulla (“dichiara ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza emessa nei confronti di Contrada Bruno dalla Corte di appello di Palermo in data 25.2.2006, irrevocabile il 10.5.2007”) dalla sentenza della Suprema Corte del 6.7.2017, che recepiva quella della Corte EDU del 14.4.2015, è stata invece ritenuta riparabile, non potendo applicarsi, in questo caso, i principi riguardanti il dolo e la colpa grave, che si riferiscono, comunque, ad un reato non estinto.
Focus sui programmi di scambio internazionale tra i magistrati - 4. Scambi EJTN di breve durata: una finestra sugli ordinamenti giuridici europei. Osservazioni a margine, in chiave comparativa, su quello olandese
di Sara Varazi
Da Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Agrigento ho avuto l’occasione di partecipare al programma EJTN nel giugno di quest’anno, con uno scambio di breve durata – pari a cinque giorni - con destinazione Olanda.
L’esperienza, seppur breve, è stata ricca di occasioni di confronto e ha fornito diversi spunti di riflessione, anche in chiave comparata, di particolare interesse.
Gli incontri frontali di gruppo, tenuti dai membri formatori della SSR - ossia l’ente responsabile della formazione permanente dei magistrati olandesi – sono stati finalizzati alla presentazione complessiva delle caratteristiche fondamentali del sistema giudiziario olandese, dalle modalità di accesso alla descrizione concreta dell’esercizio delle varie funzioni.
Questa parte del programma è stata gestita con eccezionale spirito pratico, fornendo gli elementi essenziali per poter impostare un proficuo confronto fra tutti i partecipanti, chiedendo a ciascuno di descrivere le principali differenze notate con i rispettivi sistemi giuridici di provenienza, invitando a una continua riflessione e permettendo di evidenziare, all’esito del dibattito continuo, eventuali criticità.
Ciò che più mi ha colpito di questa parte del programma, e che più mi ha fatto riflettere sull’importanza della partecipazione a programmi internazionali come l’EJTN, è stato notare come talvolta le considerazioni svolte da uno siano apparse agli occhi degli altri partecipanti quasi aliene. Ciò ha indotto ciascuno a riflettere sul come certe conclusioni e soluzioni percepite come ovvie, quasi naturali, agli occhi di altre culture giuridiche possano apparire assurde, del tutto inefficaci, o addirittura inspiegabili.
Siamo, per esempio, stati chiamati a confrontarci sull’assiomatica veridicità delle seguenti affermazioni: “un pubblico ministero o un giudice non dovrebbe mai rifiutarsi di seguire/decidere un procedimento in ragione del timore per la propria incolumità personale. Una persona non in grado di fare ciò non è qualificata all’esercizio della funzione”, ed ancora “l’integrità è il valore più importante in assoluto, anche più della sicurezza personale”, o “un pubblico ministero o un giudice non dovrebbero, in nessun caso, avere facoltà di utilizzare i social media (per ragioni di integrità, possibile apparenza di parzialità, sicurezza etc.)”.
Si tratta di temi particolarmente delicati, in relazione ai quali la cornice valoriale di riferimento - dettata anche da vicende extra o para giudiziarie e dal susseguirsi ed alternarsi di diversi momenti storici in ciascuno dei paesi di provenienza - ha condotto a risposte diverse, anche radicalmente opposte, eppure tutte ugualmente valide. L’evidente provocatorietà insita nel porre le affermazioni come categoriche, ha indotto un dibattito tutto fondato sulla valorizzazione ora di un aspetto, ora della sua antitesi, arrivando a considerazioni conclusive di sintesi il più possibile equilibrate, senza tuttavia poter colmare alcune di quelle distanze date dal confronto di persone provenienti da paesi con storie radicalmente diverse.
Di particolare interesse, poi, mi è sembrata la descrizione del processo di selezione dei nuovi magistrati olandesi che, per come ci è stato presentato, si basa prevalentemente sulla capacità dimostrata dal candidato di imparare, di applicarsi, di implementare le proprie conoscenze e abilità, più che sul bagaglio di conoscenza giuridica da questo già acquisito. Previa una necessaria e documentata esperienza lavorativa nel settore legale, il candidato, difatti, inizia un percorso di formazione – tanto più breve quanto più lunga è stata la pregressa esperienza sul campo - che pare assimilabile al nostro uditorato, all’esito del quale viene valutato come idoneo o meno. L’applicazione delle proprie conoscenze all’esercizio della funzione (o delle funzioni), dunque, precede e non segue la selezione dei magistrati.
Questo differente approccio ha indotto una riflessione sul delicato necessario equilibrio, nella selezione e formazione dei nuovi magistrati, fra l’acquisita conoscenza giuridica e la dimostrata capacità di farne un’applicazione ponderata ed efficiente, dimostrando flessibilità e capacità di mettersi in discussione.
Per quanto riguarda, poi, più da vicino la funzione del pubblico ministero, molteplici sono stati gli spunti di riflessione e confronto.
Una lezione, ad esempio, è stata dedicata alla riflessione sui valori nell’esercizio della funzione del Pubblico Ministero e sull’integrità dell’ufficio di Procura nell’esercizio del servizio. Esiste, in Olanda, un codice di condotta in cui sono statuiti cinque principi fondamentali: professionalità, diligenza, spirito di servizio pubblico, trasparenza e integrità (che potrebbe essere interessante confrontare con l’art. 13 del nostro Codice etico[1]).
Il gruppo è stato chiamato a riflettere, in relazione al concetto di integrità, sulle tensioni inevitabilmente esistenti fra i diversi livelli su cui il principio opera: quello più strettamente personale, quello professionale – inteso come esercizio della funzione individuale e all’interno delle dinamiche dell’ufficio nella sua dimensione gerarchica – e quello che attiene al rapporto fra l’esercizio della funzione e il rispetto della lettera della legge.
Per esempio, essere convinti ambientalisti può modificare il modo in cui si esercita la funzione? Incide su come interpretiamo la lettera della legge in tema di maltrattamenti di animali? Non dovrebbe? È inevitabile che lo faccia, anche inconsciamente? Come comportarsi se il Procuratore Capo caldeggia un’interpretazione diversa? Anche in questo caso il confronto fra le esperienze personali, inevitabilmente colorate dal contesto giuridico-culturale in cui si sono realizzate, è stato prezioso ed arricchente.
Ed ancora, a differenza dell’Italia l’Ufficio di Procura olandese è strettamente interconnesso con le forze di Polizia e il sindaco (che è nominato e non eletto, quasi più simile al nostro Prefetto per come ce ne sono state descritte le funzioni), in un sistema definito di “consultazione tripartita”, nell’ambito della quale vengono svolte riunioni di concertazione con regolarità, ad una delle quali ho avuto l’occasione di partecipare. Del tutto estranea alla mia, seppur breve, esperienza professionale è stata la prospettiva di vedere un Pubblico Ministero istituzionalmente chiamato a relazionarsi con gli altri enti responsabili dell’amministrazione e della sicurezza pubblica sui temi ritenuti congiuntamente come prioritari, confrontando numeri e statistiche alla ricerca di soluzioni condivise.
Ho trovato, inoltre, di particolare interesse l’occasione di confronto su di una sostanziale differenza fra il sistema giudiziario olandese e quello italiano, ossia la vigenza del principio di opportunità dell’azione penale. Come noto, in un siffatto sistema il pubblico ministero può decidere di non esercitare la potestà punitiva in considerazione di una serie di circostanze, legate alla personalità dell’agente o alla gravità dell’offesa, senza alcun vaglio giurisdizionale obbligatorio.
In Olanda, inoltre, il Pubblico Ministero ha anche facoltà di comminare autonomamente una sanzione pecuniaria, senza intervento del Giudice.
Sul punto vivo è stato il dibattito fra noi partecipanti, provenienti da sistemi eterogenei, tanto in relazione agli argomenti a sostegno e detrattivi dell’operatività del principio di opportunità o piuttosto di obbligatorietà dell’azione penale quanto, più in generale, in relazione alla necessarietà o meno del vaglio giurisdizionale sulle decisioni del pubblico ministero.
Del tutto estranea al nostro sistema giuridico, infine, è la possibilità per il Ministro della Giustizia olandese di dare indicazioni, cogenti, all’ufficio di Procura sulle determinazioni da adottare in casi specifici. In ogni evenienza l’indicazione deve essere motivata e formulata per iscritto. Nel caso in cui imponga all’ufficio di Procura di procedere, inoltre, deve essere posta al vaglio del Parlamento in seduta Pubblica. Un sistema, dunque, di c.d. “check and balance” radicalmente diverso, allo stato, dal nostro, anch’esso foriero di molteplici spunti di riflessione e confronto.
L’accoglienza nei singoli dipartimenti di un ufficio di Procura territoriale – da quelli di cooperazione internazionale a quelli di gestione dei c.d. affari semplici - e la partecipazione a diverse udienze, ci ha permesso di toccare con mano la quotidianità dell’esercizio della funzione, nonché di vedere applicate molte delle direttive di principio indicateci nei giorni precedenti.
Di massimo interesse, in particolare, è stato conoscere e vedere materialmente all’opera l’ufficio “ZSM”, ossia quello competente a seguire i processi cui si applica un nuovo rito, introdotto nel marzo del 2011, che ne garantisce la massima speditezza. Si tratta, chiaramente, di procedimenti aventi ad oggetto fattispecie di criminalità comune in cui sin dall’inizio (denuncia-querela, arresto o comunque apprensione della sussistenza di una notizia di reato) un pubblico ministero, le forze di polizia, un soggetto deputato a mantenere contatti con la vittima e a garantirne la massima tutela, e un soggetto competente ad accertare tempestivamente la situazione soggettiva del reo collaborano in modo strettissimo. Condividendo lo spazio dei medesimi uffici e sedendosi ogni mattina ad un tavolo per discutere i diversi casi occorsi – ciascuno sotto il profilo di propria competenza - si accordano, infine, in ordine alle determinazioni da assumere. Nel 41% dei casi la decisione viene presa nell’arco di un solo giorno e spesso i procedimenti di questo tipo si chiudono con soluzioni nella sostanza transattive, adottate anche autonomamente dal pubblico ministero.
Mi ha colpito la massima rilevanza che viene data, anche in questi procedimenti di pronta e rapida spedizione, alla ricerca sistematica ed efficiente della risposta sanzionatoria più confacente alla personalità del reo (verificandone i precedenti nonché effettuando un controllo sulla sua situazione personale e socioeconomica, evidenziandone eventuali problematiche note) e, contestualmente e pariteticamente, al miglior soddisfacimento dell’interesse della persona offesa.
In conclusione, ritengo che l’esperienza EJTN costituisca un’occasione eccezionale di confronto, che permette l’approfondimento di considerazioni su tematiche di vitale importanza nella riflessione sull’esercizio della funzione e sul sistema giudiziario generalmente inteso, muovendo da prospettive diverse, a volte radicalmente opposte a quelle proprie del contesto giuridico di provenienza, e dunque, costituisce un’unica occasione di crescita personale e professionale.
[1] Art. 13 - La condotta del pubblico ministero Il pubblico ministero si comporta con imparzialità nello svolgimento del suo ruolo. Indirizza la sua indagine alla ricerca della verità acquisendo anche gli elementi di prova a favore dell'indagato e non tace al giudice l'esistenza di fatti a vantaggio dell'indagato o dell'imputato.Evita di esprimere valutazioni sulle persone delle parti, dei testimoni e dei terzi, che non sia conferenti rispetto alla decisione del giudice, e si astiene da critiche o apprezzamenti sulla professionalità del giudice e dei difensori.Partecipa attivamente alle iniziative di coordinamento e ne cura opportunamente la promozione.Non chiede al giudice anticipazioni sulle sue decisioni, né gli comunica in via informale conoscenze sul processo in corso
Violenza di genere tra natura e cultura
di Gabriele Pinto, psicologo e psicoterapeuta, Associazione Senza Violenza
Ugo (nome fittizio) 45 anni, architetto, sposato nel 2017 dopo 8 anni di fidanzamento, ha usato violenza contra la moglie in tre occasioni, una nel 2018 e due nel 2019. Si rivolge al nostro Centro (Senza Violenza – http://www.senzaviolenza.it/) perché durante l’ultimo agito violento “non mi sento ascoltato… mi sento preso in giro”, si è reso conto “di aver stretto troppo” il collo della moglie e si è spaventato. “Ho delle esplosioni… Ho paura di perdere il controllo” – mi dice – e “ho bisogno di aiuto”.
Luca (idem) 67 anni, medico in pensione, sposato da più di 35 anni, due figli. Durante una discussione con la moglie le da uno “schiaffone” perché “quando mi ha detto così non ci ho visto più”. La moglie, con sua sorpresa, minaccia di andarsene, non si sente più sicura, ha paura di lui. La fiducia è infranta. Luca non vuole perdere la relazione con lei e decide di contattarci per iniziare un percorso.
Elio (idem) 26 anni, operaio, ha “sempre avuto relazioni difficili con le donne”. Durante una discussione con la sua ultima ragazza, oltre alle urla e alle offese, la spinge sul letto. “Voleva uscire, ma era tardi, allora l’ho bloccata prendendola per il collo”. Raccontando l’accaduto si giustifica… “non mi può prendere per il culo” e “quando fa così mi si chiude la vena”.
Alfredo (idem) 30 anni, impiegato, condannato per maltrattamenti, sceglie la sospensione condizionale della pena e ci contatta per iniziare un percorso. Mai agito violenza prima.
La ragazza con la quale aveva iniziato una relazione, in una situazione un po' ambigua, decide di interromperla. Lui l’aspetta nell’atrio del palazzo in cui abita e la sbatte contro il muro. Urlando la minaccia stringendole il viso con una mano… “non ti permettere di farlo mai più”.
Possiamo davvero ridurre i comportamenti violenti di questi diversi uomini a un unico e solo problema/disagio psicologico? A qualcosa che riguarda esclusivamente la loro biografia? La violenza che agiscono contro le partner può essere circoscritta unicamente alle esperienze di vita che li hanno condizionati nella costruzione della loro identità? Possiamo sostenere che esiste un divario irriducibile tra gli uomini che agiscono violenza e coloro che non la usano?
Affermare con certezza che i maschi che usano la violenza nelle relazioni intime appartengono a un mondo, concreto e simbolico, completamente altro da quello dei maschi che la usano?
Penso che qualsiasi riduzione della violenza maschile contro le donne ad un problema/disagio/patologia di ordine psichico è una ridefinizione ideologica e tradisce la verità che il sapere delle donne ha inconfutabilmente dimostrato, attraverso un immenso lavoro di analisi/ricerca/riflessione antropologica, sociale, politica e psicologica. Questo sapere, che ha il nome di femminismo, dimostra che la violenza maschile contro le donne è radicata profondamente nella cultura che chiama patriarcale.
Patriarcato è il potere dei padri: un sistema socio-familiare, ideologico, politico, in cui gli uomini – con la forza, con la pressione diretta, o attraverso riti, tradizioni, leggi, linguaggio, abitudini, etichetta, educazione e divisione del lavoro – determinano quale ruolo compete alle donne, in cui la femmina è ovunque sottoposta al maschio.
Adrienne Rich[1]
Il genere, come la sessualità, non è una proprietà dei corpi o qualcosa che esiste in origine negli esseri umani, bensì, “l’insieme degli effetti prodotti nei corpi, nei comportamenti e nelle relazioni sociali”, come dice Foucault, dallo spiegamento di “una complessa tecnologia politica”.
Teresa De Lauretis[2]
L’essere umano è un primate molto speciale. L’evoluzione ci ha portato a sviluppare una capacità cognitiva unica tra tutti gli altri animali, quella dell’autocoscienza che è la capacità di significare l’esperienza in modo simbolico e di comunicare le nostre rappresentazioni, i nostri vissuti, le nostre mappe del mondo ai nostri simili. Siamo la specie narrante. Il linguaggio, una nascita prematura e un tempo di crescita rallentato, una plasticità cerebrale unica e una capacità di apprendere eccezionale, sono i frutti straordinari della nostra biologia neotenica.
La nascita prematura e il rallentamento evolutivo ci rendono più esposti/e alle sollecitazioni ambientali, più aperti/e all’apprendimento e più dipendenti dalle cure parentali. Siamo animali biologicamente sociali e culturali[3]. Nasciamo e cresciamo in un mondo che qualcun altro/a ha già significato per noi e disciplinato in saperi e poteri che, uniti al bisogno di cure e di appartenenza, ci condizionano inevitabilmente nella costruzione della nostra identità sessuale e di genere. Saperi e poteri sono ancorati ad una rappresentazione simbolica del reale che chiamiamo cultura. A fondamento di tutte le culture c’è una interpretazione del Maschile e del Femminile come archetipo della differenza.
Si crede di stare continuamente seguendo la natura, e in realtà non si seguono che i contorni della forma attraverso cui la guardiamo. Un’immagine ci teneva prigionieri. E non potevamo venirne fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio e questo sembrava ripetercela inesorabilmente.
Ludwig Wittgenstein[4]
Qual è l’immagine del Maschile e del Femminile e della loro relazione che sta a fondamento del nostro linguaggio e della nostra cultura? E solo della nostra?
Un paradigma simbolico che sancisce la superiorità, il dominio, il primato del genere maschile su quello femminile, come legittimi e naturali. Secondo questo paradigma il Femminile è subordinato al Maschile per valore e possibilità. Il Femminile è posto come naturalmente ancillare rispetto al Maschile mentre il valore del Maschile è costruito sulla svalutazione del Femminile. Una differenza originaria che viene normata e narrata come naturale (in alcune versioni anche soprannaturale: Deus vult) disparità e diseguaglianza tra i generi.
In questo quadro simbolico la violenza contro il femminile è stata stabilita, per millenni, come ordinatore legittimo delle relazioni tra i generi e garante della distribuzione asimmetrica dei poteri e delle funzioni, cioè di ruoli e compiti.
La costruzione sociale dei generi procede dall’attribuzione ideologica del potere al Maschile. Il potere così attribuito alimenta il sapere che lo giustifica e lo conferma.
La violenza è la risposta che il sistema patriarcale ha normato per ristabilire il giusto ordine naturale quando il Femminile lo trasgredisce. Quando osa narrare un’altra possibile interpretazione di sé e della realtà; quando osa creare un linguaggio che veicoli una nuova immagine del Maschile e Femminile e quindi un nuovo ordine possibile di saperi e poteri, identità e relazioni, ruoli e compiti. Alla secolare normalizzazione della violenza contro le donne corrisponde la secolare impunità e deresponsabilizzazione degli uomini.
La violenza contro le donne è la logica conseguenza di questo paradigma simbolico, la matrice patriarcale che informa da sempre ogni ambito del nostro vivere. La strategia del potere/sapere che considera le donne come le uniche colpevoli delle violenze che subiscono perché uniche e sole responsabili della violazione dell’ordine naturale delle cose. Le narrazioni di questo tipo sono molteplici, da quelle dei media e dei giornali a quelle ricorrenti nelle varie professioni. In ambito giuridico, oltre ai riferimenti contenuti nel documentato articolo di Sara Posa e Lucia Spirito[5], è interessante ed emblematica la recente relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta su Feminicidio e Violenza di genere 2022[6].
Tornando alla nostra biologia neotenica, la nascita prematura, un cervello straordinariamente plastico, che si sviluppa per 2/3 anni dopo la nascita, l’infanzia prolungata, sono caratteristiche che ci rendono soggetti estremamente condizionati dalle esperienze che viviamo nella costellazione di relazioni di chi si prende cura di noi – genitori, famiglia, comunità, società – laddove, come già si diceva, la significazione delle nostre esperienze infantili avviene all’interno di una matrice sociale e culturale costruita a priori.
I legami sociali sono “la matrice originaria in cui si formano il sé, il ‘carattere’, la struttura della personalità di colui o colei che un giorno si rapporterà in modo più o meno felice con ‘le difficoltà del vivere’”[7] .
Considerato che uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano quando nasce e cresce è quello di sentirsi riconosciuto e di appartenere, i messaggi e le narrazioni che lo nutrono, oltre al cibo, diventano la materia vivente che il/la bambino/a utilizza per costruire la propria identità. E l’identità è sempre sessuata, mai neutra, e sempre relazionata ad una “famiglia affettiva” che l’ha condizionata con aspettative, divieti, ricompense, punizioni, permessi, privilegi, discriminazioni, critiche, valorizzazioni e svalutazioni. L’angoscia più tremenda per un/una bambino/a – ma anche per un/una adulto/a – è il rifiuto, l’abbandono, la solitudine, l’esclusione[8]. Pur di evitare questa angoscia il/la bambino/a è disposto/a a sacrificare parti importanti di sé e a plasmarsi sui modelli attesi dalla famiglia, dalle comunità (scolastica, religiosa, sportiva, dei pari…) e dalla società.
È una lunga costruzione creativa in cui le prime rappresentazioni sono di tipo affettivo-motorio[9], completate successivamente da quelle di tipo cognitivo. I significati che il/la bambino/a attribuisce alle sue esperienze sono inscritti nella sua mente e nel suo corpo, e vanno a costituire la percezione che ha di sé, come maschio e come femmina, in relazione al mondo che lo/a circonda.
Se dunque la matrice culturale allargata (società) e quella più ristretta (famiglia e comunità di appartenenza) ci hanno guidato nella costruzione della nostra identità – a volte implicitamente a volte esplicitamente – ad ancorare il nostro valore di maschi e di uomini ad un senso di superiorità/dominio rispetto al femminile, è più facile capire come Ugo, Luca, Elio, Alfredo, e la maggior parte degli uomini, possano sentirsi dolorosamente minacciati quando la loro partner li fronteggia affermando una soggettività libera di autodeterminarsi socialmente, economicamente e sessualmente. Quando il nostro valore, o il nostro rispetto, dipende da un elemento esterno a noi, siamo condannati a inseguirlo per riprenderlo continuamente, in un processo che avrà fine – forse – solo con la sua eliminazione; oppure in un percorso di ricostruzione della nostra identità maschile fondata su un’immagine del Maschile e del Femminile completamente altra da quella patriarcale, dove la differenza di genere non sia sinonimo di disparità e dove il nostro valore sia fondato su una nuova percezione di noi stessi e delle donne che ci stanno di fronte.
[1] Rich A., Nato di donna, Milano, Garzanti, 1976.
[2] De Lauretis T., Sui Generis. Scritti di teoria femminista, Milano, Feltrinelli, 1996.
[3] Gould S. J., Questa idea della vita, Torino, Codice edizioni, 2022.
[4] Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1953.
[5] https://www.giustiziainsieme.it/en/news/74-main/137-violenza-di-genere/2569-stereotipi-e-pregiudizi-di-genere-una-storia-ancora-attuale?hitcount=0
[6] https://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/docnonleg/42711.htm
[7] Gualandi A., Psicoanalisi neotenia e comunicazione, in Cavazzini A. et al., L’eterocronia creatrice, Milano, Unicolpi, 2013.
[8] Helliger B. e Ten Hovel G., Riconoscere ciò che è, Milano, Feltrinelli, 2001.
[9] Downing G., Il corpo e la parola, Roma, Astrolabio, 1995.
Focus sui programmi di scambio internazionale tra i magistrati - 5. Anticorruzione, realtà aumentata applicata alle indagini e molto altro oltre la “cortina di ferro”: lo scambio specializzato di breve durata in Lituania
di Andrea Zoppi
Grazie alla mia esperienza nella Themis Competition nel 2017 e a quella fatta con lo scambio generico di breve durata dell'EJTN in Svezia nel 2019 avevo avuto modo di sperimentare tutte le potenzialità positive delle iniziative internazionali intraprese tramite la Rete Europea di Formazione Giudiziaria. Soprattutto dalla seconda delle due esperienze avevo tratto spunti estremamente utili grazie all’osservazione e all'approfondimento delle peculiarità dell'ordinamento giudiziario svedese.
Tutto ciò ha costituito la motivazione per aderire con entusiasmo anche al bando per gli scambi specializzati di breve durata, selezionando come meta la Lituania, data la particolare affinità dell’argomento che avrebbe costituito la tematica principale delle attività svolte durante lo scambio, ovvero l'anticorruzione, con il tipo di reati di cui mi occupo quotidianamente presso la Procura di Palermo.
Lo scambio ha avuto luogo dal 27 settembre al 1° ottobre 2021 e ha avuto come sede principale la Procura Distrettuale di Vilnius.
Per quella che è stata la mia esperienza tanto in questo scambio specializzato, quanto nel precedente, quello generico, ho potuto osservare che l'istituzione ospitante cerca sempre di strutturare le attività durante lo scambio in maniera tale da affiancare all'illustrazione in termini più o meno generali della struttura dell'ordinamento giudiziario nazionale anche un approfondimento mirato sulle migliori tecniche e prassi d’indagine riguardanti le più significative tipologie di reato investigate.
Nel caso dello scambio specializzato in Lituania i reati contro la pubblica amministrazione e, soprattutto, la lotta alla corruzione hanno costituito l'oggetto principale di questi approfondimenti mirati, senza trascurare tuttavia la dovuta attenzione ad altri temi, ad esempio agli sviluppi più interessanti della scienza forense, che suscitano sempre notevole interesse, anche se spesso sono applicabili a tutt’altra tipologia di reati.
Come già avvenuto nello scambio generico in Svezia, anche in Lituania il primo giorno è stato dedicato alla prima accoglienza dei colleghi interessati dallo scambio - oltre a me, altri due Sostituti Procuratori provenienti dall'Italia, una collega dall'Estonia e una collega dalla Croazia - dopo cui siamo stati ricevuti dal Procuratore Generale della Repubblica della Lituania che, conclusi i saluti di rito, ha approfondito il tema della cooperazione del suo Ufficio con le istituzioni europee (e non solo) nell'ambito delle indagini di respiro transnazionale.
Immediatamente dopo ci è stata offerta una panoramica completa di quelle che sarebbero state le attività svolte durante lo scambio e la giornata si è conclusa con una visita completa degli uffici della Procura Generale.
Il secondo giorno si è aperto con la conoscenza di Sostituti Procuratori appartenenti alle divisioni specializzate della Procura Ordinaria di Vilnius che ci hanno illustrato le prassi e le tecniche investigative impiegate nelle indagini dei tipi di reati la cui commissione è più ricorrente nell'area della capitale lituana, entrando maggiormente nel dettaglio per ciò che riguarda i reati cosiddetti di “fasce deboli” e i reati contro la pubblica amministrazione.
Poi, nel pomeriggio, il nostro referente per l'organizzazione dello scambio ha proposto di guidarci in un giro turistico della città di Vilnius.
Sia nel caso dello scambio specializzato, sia ancora prima nello scambio generico ho trovato quest’ultimo uno degli aspetti più lodevoli delle iniziative della Rete di Formazione Giudiziaria Europea, ovvero quello di utilizzare il veicolo della formazione professionale per creare contatti fra i colleghi di tutta
Europa attraverso non soltanto l'approfondimento di tematiche giuridiche, ma anche attraverso la condivisione di esperienze che possono far conoscere la cultura, la storia e il territorio dei paesi ospitanti. Nello stesso spirito il giorno dopo è stata organizzata una visita agli Uffici della Procura della seconda città più importante della Lituania, ovvero Kaunas, la prima storica capitale della Lituania dal momento in cui il paese è diventato formalmente indipendente e, attualmente, la sede di una delle università più prestigiose del paese. Infatti, anche in questo caso, dopo un incontro con il Procuratore e i Sostituti Procuratori - in cui si è discusso della fenomenologia criminale più ricorrente nel territorio di Kaunas e delle buone prassi d’indagine sviluppate da un Ufficio più piccolo di quello di Vilnius per far fronte alla quotidianità - ci è stata data la possibilità prima di visitare il Tribunale per assistere ad un'udienza e poi di proseguire con una visita della città, che è stata scelta per essere la capitale europea della cultura proprio in questo 2022.
Le attività di maggior interesse si sono concentrate nel quarto giorno quando, durante la mattinata, abbiamo inizialmente fatto visita al Centro per le Scienze Forensi della Lituania. Oltre a sezioni similari a quelle che ho avuto occasione di vedere all'opera anche in Italia presso gli uffici della Polizia Scientifica o dei RIS dei Carabinieri – balistica, analisi chimico-fisiche, analisi di contraffazione, ricostruzione cinematica di un incidente, etc – è stato di particolare interesse vedere come attraverso i visori 3D e un software deputato a mappare con l'ausilio di apparecchi a fotocellule gli ambienti e catalogare gli oggetti ivi rinvenuti, la Polizia Scientifica lituana utilizza la realtà aumentata per studiare nei dettagli le scene del crimine caratterizzate da maggior complessità.
Durante la visita pomeridiana ci siamo recati presso gli uffici dei Servizi Speciali Investigativi della Repubblica lituana (STT), ove si sono svolti gli approfondimenti più interessanti e proficui sullo specifico tema dell'anticorruzione, oggetto dello scambio specializzato. Come ho avuto modo di vedere anche in Svezia, è prassi in uso presso i paesi nordici quella di accentrare in uffici centralizzati come questo, frequentemente collocati nella capitale e anche nelle città più grandi, il personale amministrativo e, a volte, giudiziario incaricato di sviluppare le competenze per investigare quei reati che spesso richiedono un elevato grado di specializzazione (come i reati contro la pubblica amministrazione).
La peculiarità di questi enti è quella di agire alla stregua di quelle che in Italia sarebbero autorità amministrative indipendenti, senza essere necessariamente incardinati nell'ordinamento giudiziario (come in Lituania, ove la SST non ha fra le sue fila magistrati, ma solo investigatori specializzati), affiancando ai funzionari figure di elevata competenza (soprattutto commercialisti, consulenti finanziari, tecnici informatici etc) che in Italia verrebbero impiegati dagli Uffici di Procura in qualità di consulenti mentre, in questo diverso modello organizzativo, fanno parte di un ente che, nel caso di specie, risponde al Presidente della Repubblica e al Parlamento lituano e ha come precipuo obiettivo quello di sviluppare le misure di anticorruzione e implementarle in tutti i plessi dell'amministrazione pubblica.
Dopo averci illustrato i dati e i numeri sulle indagini e sui processi riguardanti reati contro la pubblica amministrazione, i funzionari che ci hanno accolto si sono dilungati nell'illustrare l'attività di intelligence che ha consentito ai Servizi Investigativi di proporre un nuovo disegno di legge sulla prevenzione della corruzione, oggetto di discussione presso il parlamento della Repubblica lituana, dopo aver attentamente studiato il fenomeno corruttivo nelle otto aree più significative della pubblica amministrazione: finanza pubblica, gestione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti locali, autogoverno, sanità, urbanistica ed edilizia, protezione dell'ambiente, comunicazioni e agricoltura.
C'è stato fornito il dato degli atti normativi, regolamentari e di soft law che hanno tratto ispirazione da questi studi, oltre al disegno di legge prima menzionato, di cui l'84% è stato redatto con il contributo dei Servizi Speciali Investigativi.
Da ultimo, è stato posto l'accento in particolare sul processo di crescita in punto di consapevolezza ed educazione all'anticorruzione che i Servizi Speciali Investigativi lituani promuovono attraverso un canale YouTube che divulga video di cui vengono monitorate le visualizzazioni, in costante crescita, attraverso una piattaforma web dedicata e addirittura attraverso un ente strumentale, denominato "I support Transparency", che finanzia attività come letture, seminari e incontri sempre più partecipati.
L'ultimo giorno è stato impiegato per discutere con il Procuratore Generale che ci aveva accolto il primo giorno delle attività appena concluse e del nostro grado di soddisfazione rispetto all’approfondimento dell’ordinamento giudiziario lituano, soprattutto in quei suoi plessi maggiormente impegnati nella lotta alla corruzione.
L'esperienza è stata senza ombra di dubbio di grande spessore, anche e soprattutto perché mi ha dato l'occasione di entrare in contatto con un ordinamento che - a dispetto dell'assenza di eclatanti casi giudiziari coinvolgenti o situazioni di corruzione endemica, oppure episodi di corruttele che, pur nella loro singolarità, spiccano in quanto a gravità - ha deciso di impegnarsi da subito con grande serietà nel monitoraggio di questo fenomeno criminoso e di investire prima di tutto nella prevenzione.
Ho visto impiegare tutti gli strumenti di rilevazione più moderni e un costante riferimento alle statistiche più aggiornate per studiare i modelli organizzativi maggiormente efficaci in tema di anticorruzione, promuovendo attività divulgative e formative che prima di tutto mirano a consolidare nei cittadini il senso civico e delle istituzioni.
Non mi stancherò mai di consigliare a tutti i colleghi con cui mi trovo a parlare dell’argomento questo genere di esperienze e, in generale, le iniziative della Rete Europea di Formazione Giudiziaria, che sono un impareggiabile strumento di crescita professionale e soprattutto, personale.
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