ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Bruno Capponi intervista Michele Navarra
Michele Navarra è romano, romanista, cinquantatré anni (ma ne dimostra meno), sposato, due figlie, avvocato da quasi trent’anni, (pseudo) scrittore da quindici, otto romanzi all’attivo, l’ultimo dei quali ancora inedito e in uscita a giugno per l’editore Fazi. Esordisce nel 2007 con “L’ultima occasione”, cui seguono “Per non aver commesso il fatto” (2010), “Una questione di principio” (2013), “Solo la verità” (2015), “A Dio piacendo” (2018), “Solo Dio è innocente” (2020), “Nella tana del serpente” (2021), grazie al quale per la prima volta viene tradotto all’estero, in Spagna e nei paesi di lingua spagnola. Il protagonista di tutti i suoi romanzi – che hanno vinto numerosi premi letterari e i cui diritti cine-televisivi sono stati recentemente opzionati – è l’avvocato penalista Alessandro Gordiani.
Caro Michele, mi spiace quasi di dovertelo dire ma stai diventando uno scrittore di successo. Com’è stato possibile?
Guarda, Bruno, a volte non riesco a spiegarmelo nemmeno io. Non me ne capacito. Perseveranza forse, fortuna sicuramente, anche se ho dovuto faticare un bel po’ prima di riuscire ad arrivare al grande pubblico. Del resto, se una persona come te è riuscita a diventare uno stimato professore universitario, perché mai io non avrei dovuto diventare uno scrittore di successo?
Parlando con te mi sono reso conto che hai una conoscenza approfondita del legal thriller non soltanto italiano. Come mai, lavori poco come avvocato? Hai molto tempo libero?
In realtà, faccio l’avvocato nei ritagli di tempo, quando non sono impegnato a leggere o a giocare a tennis (peraltro con risultati abbastanza modesti). I romanzi e i film di ambientazione legale mi hanno sempre affascinato, fin da quando ero un lettore in erba. Mi piaceva quella dialettica processuale, una sorta di ars maieutica che portava l’avvocato a tirar fuori dal testimone, e di conseguenza dal processo, la verità. Poi ho scoperto che nella vita professionale reale questo avveniva molto di rado, quindi ho preferito tornare a rifugiarmi nei libri (e nel tennis).
Scrittori come te, che hanno poca inventiva, si affidano a rigidi schemi narrativi. Tu come costruisci una tua storia?
In genere, cerco di seguire i tuoi consigli e di scopiazzare i romanzi di autori più capaci di me, ma la maggior parte delle volte non sono nemmeno bravo a copiare. Quindi, mi tocca provare a inventare e quasi sempre mi vengono fuori storie talmente strampalate, che anche le tue in confronto sembrano un capolavoro di coerenza logica.
Perché hai inventato un personaggio seriale? Non temi che il pubblico lo trovi noioso?
Credo che la serialità sia uno dei segreti del mio inspiegabile successo. Il pubblico si affeziona al personaggio, ancorché (come nel mio caso) poco riuscito, e vuole seguirne l’evoluzione. Insomma, si crea una sorta di empatia tra lettore e protagonista del romanzo.
Succede spesso che gli scrittori, o aspiranti tali, scrivano un buon primo libro e poi non riescano a mantenersi a un buon livello. È successo anche a te?
Non saprei, perché io non ho mai scritto un buon libro, quindi il mio livello si è in realtà mantenuto sempre piuttosto bassino. Ma sono fiducioso che prima o poi riuscirò a scrivere qualcosa di decente.
Cosa ti spinge a scrivere, invece di fare cose più utili?
Per me scrivere non è affatto un’attività inutile, perché mi aiuta a capire quali sono le cose davvero utili. Insomma, scrivere è utile proprio perché inutile. Non ti distrarre come fai di solito e cerca di seguire il ragionamento, per favore.
Che rapporto c’è tra il te che non scrive e l’avvocato Alessandro Gordiani?
Il classico rapporto di odio-amore. Il me che non scrive fa l’avvocato (tennis a parte) e come avvocato non sopporta il coraggio di Gordiani e la sua capacità di riuscire a venir fuori dalle situazioni più complicate. Non sopporta che a Gordiani sia concessa anche la possibilità di sbagliare, tanto poi c’è qualcuno (l’io-Navarra che scrive) che riesce sempre a trovare qualcosa per tirarlo fuori dai guai (qualcosa di scopiazzato da altri autori, s’intende). D’altra parte, però, l’io che non scrive è grato ad Alessandro Gordiani per il fatto che, grazie a lui e alle storie di cui è protagonista, si è ritagliato un piccolo spicchio di notorietà, il che, da buon egocentrico, lo gratifica alquanto.
Una volta ti ho sentito dire che non sopporti gli scrittori di legal thriller che presentano storie poco realistiche, o addirittura in contrasto con le regole del processo penale. Perché questa avversità?
Perché il nostro processo penale è straordinariamente avvincente e non c’è alcun bisogno di inventare situazioni irreali, che per me risultano addirittura involontariamente comiche, o di scimmiottare schemi narrativi e giudiziari tipici di altri paesi (mi riferisco in particolare a quelli di stampo anglosassone). E questo sia per la letteratura che per la cinematografia. Insomma, da noi l’avvocato non si alza dalla sua sedia per andare vicino al banco del testimone a interrogarlo e incalzarlo di domande guardandolo negli occhi… Se facessi io una cosa del genere in aula, tempo due minuti e il giudice mi farebbe accompagnare al più vicino centro di igiene mentale…
Secondo te uno scrittore di successo deve essere anche un uomo affascinante?
Non necessariamente, anche se di certo non guasta. Ad esempio, se un giorno, per assurdo, tu dovessi diventare uno scrittore di successo, saresti entrambe le cose, un mix praticamente irresistibile. Uno scrittore di successo per giunta affascinante… tanta, tantissima roba insomma.
Perché gli scrittori italiani di legal thriller si prendono tanto sul serio?
Non tutti, caro Bruno. Per fortuna, c’è ancora qualcuno che non fa nemmeno finta di prendersi sul serio.
Se hai avuto successo tu, può averlo chiunque. Quali consigli dai a un penalista che voglia scrivere legal thriller?
Di provarci e riprovarci, perché un colpo di fortuna può sempre capitare, come è successo nel mio caso. Se poi fossero anche bravi a scrivere sarebbe meglio.
Caro Michele, mi fa sempre piacere parlare con te, nonostante tutto. È un fatto reciproco?
Se fossi sincero dovrei risponderti di no, ma siccome sono (a tempo perso) un avvocato – che, come ben sai, mente per definizione – ti risponderò di sì, anzi, bugia più bugia meno, ti ringrazio di cuore per questa bella intervista e ti confesso che mi sono molto divertito a rispondere alle tue domande. Parola di avvocato!
Legittimazione passiva nell’azione di condanna al risarcimento dei danni arrecati da un’ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco quale ufficiale del Governo (nota a Cons. Stato, sez. II, 20 dicembre 2021, n. 8438)
di Michele Trimarchi
1. La sentenza in commento affronta il tema della legittimazione passiva rispetto all’azione di condanna al risarcimento dei danni arrecati da un’ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco quale ufficiale del Governo (art. 54 d.lgs.18 agosto 2000, n. 267, Testo unico enti locali, d’ora in avanti “TUEL”).
La questione controversa è se la legittimazione passiva spetti al Comune, quale amministrazione in cui il Sindaco è incardinato, oppure allo Stato, visto che il Sindaco agisce quale ufficiale del Governo.
Nel caso di specie la domanda risarcitoria era stata intentata nei confronti del Comune ed era stata dichiarata inammissibile dal T.A.R. in ragione dell’orientamento giurisprudenziale prevalente alla cui stregua la legittimazione passiva spetta al Comune se col ricorso è chiesto l’annullamento dell’ordinanza, mentre spetta al Ministero dell’interno se è formulata richiesta risarcitoria.
Il Consiglio di Stato nella sentenza in commento aderisce alla posizione del T.A.R. richiamando la massima giurisprudenziale secondo cui, “affinché lo Stato non venga chiamato a rispondere dei danni senza aver potuto tempestivamente difendersi […], è applicabile il principio che lo Stato (e non il Comune) sia l’unico soggetto legittimato passivo all’azione risarcitoria proposta per il ristoro dei danni derivanti dall’esecuzione delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco”[1].
In altre parole, secondo la giurisprudenza richiamata adesivamente dalla sentenza in commento, la legittimazione passiva deve essere attribuita allo Stato in quanto, se legittimato passivo fosse il Comune, il primo potrebbe essere chiamato ad un esborso di danaro a titolo risarcitorio senza aver potuto contraddire in giudizio rispetto alla domanda di condanna.
La sentenza in commento adduce anche una giustificazione di carattere teorico della soluzione prescelta, richiamando l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui “il potere di ordinanza spettante al Sindaco per l’emanazione dei provvedimenti contingibili e urgenti a fini di pubblico interesse appartiene allo Stato, ancorché nel provvedimento siano coinvolti interessi locali, poiché il Sindaco agisce quale ufficiale del Governo”[2].
2. L’appartenenza del potere di ordinanza allo Stato, affermata a sostegno della legittimazione passiva dello stesso nei confronti della richiesta risarcitoria, costituisce un argomento non facilmente conciliabile con l’altro, al quale la giurisprudenza (e anche la sentenza in commento) ricorre per affermare che la legittimazione passiva spetta invece al Comune se con il ricorso è domandato l’annullamento dell’ordinanza adottata dal Sindaco nella qualità di ufficiale del Governo.
Per questa ipotesi, infatti, si ripete che la legittimazione passiva è del Comune, in quanto “l’imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell’atto dell’organo del Comune ha una natura meramente formale, nel senso che non per questo il Sindaco diventa organo di un’amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, senza che il suo status sia modificato”[3].
Ora, delle due l’una: o il potere appartiene allo Stato, nel qual caso il Sindaco che adotta l’ordinanza nella veste di ufficiale del Governo agisce quale organo dello Stato medesimo; oppure il Sindaco agisce quale organo dell’amministrazione in cui è incardinato, nel qual caso il potere di ordinanza appartiene al Comune. Se, come sembra, l’un modello esclude l’altro, allora non è coerente ragionare in termini di appartenenza del potere allo Stato allorché sia proposta la domanda risarcitoria e in termini di mera imputazione formale dell’atto sindacale allo Stato allorché sia proposta domanda di annullamento.
Per quanto ora detto, la questione della legittimazione passiva dovrebbe trovare una risposta unitaria, indipendentemente dal tipo di azione esperita dal ricorrente. O si accetta l’idea che il titolare del potere è lo Stato, sicché il Sindaco quale ufficiale del Governo agisce come organo dello Stato, e si conclude che legittimata passiva è sempre e comunque l’amministrazione centrale. Oppure si accede alla tesi che il Sindaco, anche quando agisce nella veste di ufficiale del Governo, è organo del Comune, quest’ultimo titolare del potere, e si conclude che la legittimazione passiva è sempre in capo all’ente locale.
Nella soluzione dell’alternativa così prospettata andrebbe svalutato un profilo che pare invece tenuto in grande considerazione dalla giurisprudenza, ovvero il fatto che il Sindaco è sempre e comunque incardinato nell’amministrazione comunale, anche quando agisce come ufficiale del Governo[4]. Questo dato, in sé ovvio, non appare decisivo perché “l’incardinazione” attiene all’aspetto statico-morfologico dell’organizzazione amministrativa, mentre l’immedesimazione organica attiene al diverso profilo dell’imputazione degli effetti e degli atti[5].
3. Non è questa la sede per approfondimenti e per prendere posizione a favore dell’uno o dell’altro modello sul piano teorico. La sentenza in commento, del resto, suggerisce una chiave di lettura realistica delle ragioni che attualmente si frappongono al raggiungimento della auspicabile soluzione unitaria del problema della legittimazione passiva.
Osserva il Consiglio di Stato che la scelta del legislatore di valorizzare sempre di più il potere di ordinanza dei Sindaci ha finito per generare un quadro normativo caratterizzato da non poche sovrapposizioni tra il potere di ordinanza di cui il Sindaco è titolare quale organo di vertice dell’amministrazione locale (art. 50 TUEL) e quello di cui è titolare quale ufficiale del Governo (art. 54): sicché i confini tra i due tipi di ordinanza “non sempre si palesano di immediata percepibilità, stante che un contesto di pericolo può attingere a vari fattori causali e minacciare plurimi interessi pubblici” (ad esempio, il disturbo della “vivibilità cittadina” legittima l’adozione di un’ordinanza del Sindaco quale rappresentante della comunità locale, ex art. 50 TUEL, ma può al contempo costituire un attentato alla “sicurezza urbana”, per la cui tutela è prevista l’adozione di ordinanze da parte del Sindaco quale ufficiale del Governo, ex art. 54 TUEL. O ancora: il rumore causato da una attività produttiva all’interno del centro urbano può legittimare l’adozione di un’ordinanza ex art. 50, comma 5, laddove è fatto riferimento alla tutela del riposo e della tranquillità dei residenti, ma al tempo stesso può giustificare l’adozione di una ordinanza da parte del Sindaco nella veste di ufficiale del Governo, visto che l’art. 54, comma 6, fa riferimento ad esigenze di tutela dall’inquinamento acustico).
Prosegue la sentenza: “la descritta esistenza di zone chiaroscurali, all’interno delle quali le esigenze di tutela possono anche sovrapporsi, giustifica ed esplicita la necessità di dare rilievo comunque alla riferibilità formale dell’atto al Sindaco che lo adotta, a prescindere dalla veste utilizzata, non venendo mai meno la sua posizione di soggetto incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, dei cui uffici si avvale per l’istruttoria […]”.
Il Consiglio di Stato lascia così intendere che la legittimazione passiva del Comune rispetto all’azione di annullamento trova la sua giustificazione pratica nella opportunità di semplificare l’accesso alla tutela del soggetto leso, il quale, pur a fronte di un quadro normativo frastagliato, al cui interno il potere di ordinanza assume diverse manifestazioni, ha la garanzia di poter invocare in giudizio sempre e comunque il Comune come legittimato passivo rispetto all’impugnazione.
Se ciò è vero, analoghe esigenze di certezza giuridica potrebbero essere validamente addotte per attribuire la legittimazione passiva al Comune anche quando l’azione proposta non è di annullamento, bensì di condanna al risarcimento dei danni prodotti dall’esecuzione dell’ordinanza contingibile e urgente.
Più a fondo, le considerazioni critiche del Consiglio di Stato sulla interferenza dei due poteri dovrebbero suggerire un intervento legislativo di riordino della materia, idoneo a tracciare una linea di confine chiara e definita tra i presupposti e le finalità delle ordinanze che il Sindaco può adottare come ufficiale del Governo e quelle che può adottare come rappresentate della comunità locale.
In un simile scenario la preoccupazione manifestata dalla sentenza in commento non avrebbe più ragion d’essere e il tema della legittimazione passiva nei giudizi contro le ordinanze adottate dal Sindaco quale ufficiale del Governo potrebbe essere impostato in modo sistematicamente più corretto.
In particolare, se è vero che in questa veste il Sindaco esercita un potere che è di appartenenza statale, tanto da essere sottoposto ad eventuali atti di indirizzo del Ministro degli interni (art. 54, comma 12) e, comunque, al coordinamento e al controllo prefettizio (art. 54, commi 4 ult. periodo, 5, 9 e 11), si potrebbe finalmente riconoscere a tutti gli effetti che il Sindaco agisce come organo dello Stato, con la conseguenza che la legittimazione passiva dell’amministrazione statale non è limitata al caso in cui sia proposta azione risarcitoria.
4. Auspicato il riordino della materia da parte del legislatore, riordino che potrebbe favorire una soluzione unitaria della problema della legittimazione passiva nel contenzioso contro le ordinanze sindacali adottate quale ufficiale del Governo, allo stato si deve certamente convenire con quanto la sentenza in commento rileva a proposito della tesi prospettata dalla ricorrente, secondo cui se la richiesta risarcitoria accede a quella demolitoria, come nel caso di specie, la prima andrebbe attratta alle regole procedurali che connotano la seconda, sicché sussisterebbe la sola legittimazione passiva della amministrazione comunale.
La tesi non può essere accolta in quanto l’azione di annullamento e quella risarcitoria sono diverse per causa petendi e petitum, nonché in considerazione dell’autonomia dell’azione risarcitoria da quella di annullamento guadagnata col superamento della pregiudiziale amministrativa. Questi due elementi, argomenta condivisibilmente il Consiglio di Stato, impediscono di ravviare tra le due azioni l’invocato rapporto di accessorietà che giustifica l’estensione del regime della legittimazione passiva nell’azione impugnatoria a quella risarcitoria.
La conseguenza è che l’azione risarcitoria proposta nei confronti del Comune per i danni arrecati dall’esecuzione di un’ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco nella veste di ufficiale del Governo è inammissibile. Né può essere invocato utilmente l’art. 27 c.p.a. sull’integrazione del contradditorio, in quanto il soggetto pretermesso, cioè lo Stato, non è un controinteressato beneficiario dell’atto illegittimo, bensì un’amministrazione resistente, legittimata passiva dell’azione di condanna al risarcimento dei danni.
[1] Ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 30 maggio 2017, n. 2902; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, n. 618 del 2021; T.A.R. Sardegna, sez. I, 4 maggio 2018, n. 406, cui adde Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2018, n. 866, che sembra limitare la legittimazione passiva dello Stato al caso in cui l’interesse perseguito dall’ordinanza sindacale sia “di portata nazionale e non meramente locale”.
[2] Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2019, n. 5970; Cass. civ., sez. I, 6 agosto 2014, n. 17715, secondo cui «dei danni derivanti dall’esercizio di tale potere risponde lo stato», nella specie, in conseguenza della requisizione di alloggi a favore di nuclei familiari di senzatetto per ragioni di grave necessità pubblica); Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2002, n. 11356; Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 1999, nn. 182 e 183.
[3] Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014 n. 2221; Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4529; Cons. Stato, sez. V, 13 maggio 2008, n. 4448.
[4] Ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2221.
[5] Sull’imputazione degli atti e dei loro effetti, da parte dell’organo (centro attivo) al soggetto giuridico (centro passivo), si vedano, per tutti, A. Falzea, Capacità, cit., 31 ss.; M. S. Giannini, Organi (teoria gen.), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, ad vocem; F.G. Scoca, Le amministrazioni come operatori giuridici, cit., in L. Mazzarolli – G. Pericu – A. Romano – F.A. Roversi Monaco – F.G. Scoca (a cura di),Diritto amministrativo, Bologna, 2001, 492 ss.
L’inserimento dell’ambiente in Costituzione non è né inutile né pericoloso
di Gianfranco Amendola
Come è noto, dottrina e giurisprudenza hanno dibattuto a lungo la delicata problematica relativa alla assenza della tutela dell’ambiente nella nostra Costituzione, cui, con una intelligente e travagliata elaborazione, aveva tentato di porre rimedio la Corte Costituzionale attraverso la lettura congiunta degli artt. 9 (paesaggio) e 32 (salute). Pochi giorni fa, tuttavia, dopo un laborioso iter parlamentare, con una votazione praticamente unanime, la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi sono state inserite nella Carta attraverso la modifica degli artt. 9 e 41.
Stupisce, tuttavia, che una riforma costituzionale di tale rilevanza sia passata quasi sotto silenzio e, pertanto, appare opportuno evidenziarne subito alcuni aspetti particolarmente significativi, anche per tentare sommessamente di rispondere alle critiche che, da più parti, sono state formulate nei suoi confronti, a volte ancor prima che questa importante riforma giungesse a compimento.
Sommario: 1. Premessa - 2. Ambiente e Costituzione prima della modifica. - 3. In particolare, il valore-ambiente nella giurisprudenza costituzionale. - 4. La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione - 5. Ambiente e paesaggio - 6. Conclusioni.
1. Premessa
Come è noto, dottrina e giurisprudenza hanno dibattuto a lungo la delicata problematica relativa alla assenza della tutela dell’ambiente nella nostra Costituzione, cui, con una intelligente e travagliata elaborazione durata decenni, aveva tentato di porre rimedio la Corte Costituzionale attraverso la lettura congiunta degli artt. 9 (paesaggio) e 32 (salute). Pochi giorni fa, tuttavia, con una votazione praticamente unanime, dopo un laborioso iter parlamentare che ha accorpato diversi disegni di legge costituzionale ed ha proceduto, nelle commissioni competenti, alla audizione di numerosi esperti[1], la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi sono state inserite nella Carta attraverso la modifica degli artt. 9 e 41.
Stupisce, tuttavia, che una riforma costituzionale di tale rilevanza sia passata quasi sotto silenzio e, pertanto, appare opportuno evidenziarne subito alcuni aspetti particolarmente significativi, anche per tentare sommessamente di rispondere alle critiche che, da più parti, sono state formulate nei suoi confronti, a volte ancor prima che questa importante riforma giungesse a compimento.
Resta solo da ricordare, in premessa, che, in realtà, come è noto, l’inserimento dell’ambiente in Costituzione era già formalmente avvenuto, anche se indirettamente, nel 2001 con la riscrittura dell’art. 117, ove compare per la prima volta “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, ma solo per sancire che si tratta di materia soggetta a legislazione esclusiva dello Stato unitamente alla potestà legislativa concorrente delle Regioni per la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. Senza, quindi, conferire in alcun modo all’ambiente quella tutela costituzionale giunta solo oggi con la modifica in esame.
2. Ambiente e Costituzione prima della modifica
In realtà, tuttavia, come si è accennato, attraverso un lungo processo di elaborazione, la tutela costituzionale dell’ambiente era stata affermata dalla Corte costituzionale leggendo congiuntamente l’art. 9 (tutela del paesaggio), rispetto al quale la Corte accoglieva «l’interpretazione data da Predieri del paesaggio come l’«ambiente naturale modificato dall’uomo» (Corte cost. n. 94 del 1985 e n. 151 del 1986)»; e l’art. 32 (diritto alla salute) «il quale ha permesso, dapprima alla Cassazione civile, poi alla stessa Corte costituzionale di affermare il diritto all’ambiente salubre (Cass. S.U. 6.10.1979, n. 5172; Corte cost. n. 167 del 1987)»[2].
Basta ricordare, a questo proposito, che già nel 1987 (sent. n. 210) la Corte si sforzava «di dare un riconoscimento specifico alla salvaguardia dell'ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività e di creare istituti giuridici per la sua protezione»; modellandola, quindi, sul diritto alla salute[3], e concludendo che «trattasi di valori che in sostanza la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32 Cost.), alla stregua dei quali, le norme di previsione abbisognano di una sempre più moderna interpretazione»; conclusione ribadita dopo la riforma del 2001, tra le altre, con sentenza n. 536/2002, secondo cui «già prima della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, la protezione dell’ambiente aveva assunto una propria autonoma consistenza … configurandosi l’ambiente come bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va pertanto salvaguardato nella sua interezza. La natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie di competenza di altri enti nella forma degli standards minimi di tutela, già ricavabile dagli artt. 9 e 32 della Costituzione, trova ora conferma nella previsione contenuta nella lettera s) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione, che affida allo Stato il compito di garantire la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema»; ricordando, infine, più di recente (sentenza n. 126 del 2016), che «è noto che, sebbene il testo originario della Costituzione non contenesse l’espressione ambiente, né disposizioni finalizzate a proteggere l’ecosistema, questa Corte con numerose sentenze aveva riconosciuto (sentenza n. 247 del 1974) la preminente rilevanza accordata nella Costituzione alla salvaguardia della salute dell’uomo (art. 32) e alla protezione dell’ambiente in cui questi vive (art. 9, secondo comma), quali valori costituzionali primari (sentenza n. 210 del 1987)».
3. In particolare, il valore-ambiente nella giurisprudenza costituzionale
Giova, a questo punto, soffermarsi brevemente sul significato che la giurisprudenza della Corte ha attribuito al termine ”ambiente” nel riconoscergli tutela costituzionale. Come già si intuisce dalle citazioni precedenti, infatti, per la Corte occorre far capo ad «una concezione unitaria del bene ambientale comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali. Esso comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni» (sentenza n. 210 del 1987, cit.[4]). Più in particolare, quindi, «l’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 della Costituzione) per cui essa assurge a valore primario ed assoluto» (sentenza n. 641 del 1987[5]). E peraltro, «come si evince anche dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, la biosfera viene presa in considerazione non solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra queste ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi, e così via. Occorre, in altri termini, guardare all'ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto» (sentenza n. 378 del 2007), tenendo conto che nella tutela dell’ambiente esiste «un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene, l'ambiente (sentenze n. 367 e n. 378 del 2007; n. 12 del 2009), e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso (vedi sentenze n. 104 del 2008; n. 10, n. 30 e n. 220 del 2009)» (sentenza n. 225 del 2009).
In sostanza, quindi, prima della riforma odierna, la Corte costituzionale aveva riconosciuto l’ambiente come «bene immateriale» e «valore costituzionale primario e assoluto» di tipo trasversale, comprensivo di tutte le risorse naturali e culturali con incidenza diretta sulla qualità della vita dell’uomo.
4. La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione
È pertanto in questo quadro sommariamente delineato che va letta la riforma degli artt. 9 e 41 di cui riportiamo il testo attuale (le modifiche in maiuscolo) insieme all’art. 32 (rimasto invariato):
art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. TUTELA L’AMBIENTE, LA BIODIVERSITÀ E GLI ECOSISTEMI, ANCHE NELL’INTERESSE DELLE FUTURE GENERAZIONI. LA LEGGE DELLO STATO DISCIPLINA I MODI E LE FORME DI TUTELA DEGLI ANIMALI. art. 41. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, ALLA SALUTE E ALL’AMBIENTE. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali E AMBIENTALI. art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. |
Già a caldo[6], sotto il profilo letterale, alcune osservazioni appaiono di tutta evidenza:
1) la tutela dell’ambiente viene equiparata alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della nazione;
2) insieme, ed accomunate alla tutela dell’ambiente, compaiono anche la tutela della biodiversità e quella degli ecosistemi;
3) queste tre nuove tutele sono qualificate dal richiamo (anche) all’interesse delle future generazioni;
4) aumentano i limiti alla libertà dell’iniziativa economica privata, che non solo non deve recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, ma (ora) neanche alla salute e all’ambiente;
5) in più, per l’attività economica pubblica e privata, si aggiunge che la legge deve indirizzarla e coordinarla a fini non solo sociali ma anche ambientali;
6) contestualmente si sancisce anche la tutela degli animali senza, però, attribuirle diretta rilevanza costituzionale ma rinviandone l’attuazione alla legge ordinaria.
Il primo interrogativo che si presenta attiene, ovviamente, alla portata di questa modifica, contro cui, ancor prima della sua approvazione, si erano levate diverse voci per sostenerne la inutilità (se non, come vedremo, la pericolosità) visto che, per merito della giurisprudenza sopra citata, la tutela dell’ambiente era, di fatto, già esistente in Costituzione.
Diciamo subito, a questo proposito, che, in ogni caso, la trasformazione di una condivisibile acquisizione giurisprudenziale in legge non può che essere vista con favore, dato che elimina ogni dubbio anche in vista di possibili oscillazioni giurisprudenziali. In più, anche a livello formale, vista la rilevanza della questione ambientale per la nostra stessa esistenza, è necessario e doveroso far risultare con chiarezza che la nostra Costituzione tutela direttamente l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi come valori a sé senza doverli ricavare in via interpretativa da altri valori e diritti costituzionali.
Ciò premesso, per comprendere a pieno la portata innovativa di queste modifiche, occorre leggerle e considerarle non separatamente ma nel loro insieme. Se, infatti, è certamente vero che la tutela della biodiversità e degli ecosistemi deve intendersi ricompresa nella tutela dell’ambiente, è altrettanto vero che aver elencato insieme la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, accomunandole tutte attraverso il richiamo (anche) all’interesse delle future generazioni fornisce dell’ambiente un quadro complessivo di ampio respiro sociale e politico che racchiude in sé sia l’elemento naturalistico (con particolare riferimento alla biodiversità ed agli ecosistemi) sia tutti gli altri elementi che, direttamente o indirettamente, sia oggi sia per il futuro, possono incidere sulla vita e sulla qualità della vita dell’uomo.
In tal modo, quindi, non solo si confermano le migliori conclusioni della giurisprudenza costituzionale ma si inserisce la novità del richiamo all’interesse delle future generazioni, altamente qualificante al fine di interpretare nel suo giusto valore l’ambito di applicazione di tutta la riforma[7].
Peraltro, a proposito dell’art. 41, la lettura complessiva delle modifiche apportate alla Costituzione porta a ritenere che esse, in sostanza, hanno anche introdotto il cd. principio dello “sviluppo sostenibile”, oggi tanto di moda (pare che ormai sia tutto “sostenibile”), chiarendo opportunamente che, poiché l’attività economica deve essere indirizzata e coordinata dalla legge “a fini sociali e ambientali” (e cioè, ex art. 9 novellato, tenendo conto anche dell’interesse delle future generazioni), la “sostenibilità” deve essere valutata e perseguita con riferimento alla tutela dell’ambiente e della collettività nel suo complesso e con un occhio al futuro, e non, come spesso si intende, alle esigenze dell’economia e del profitto immediato[8].
5. Ambiente e paesaggio
È, pertanto, sulla base di queste considerazioni che deve essere affrontato il difficile rapporto tra ambiente e paesaggio.
Abbiamo, visto, infatti che la tutela del paesaggio sancita dall’art. 9 (unitamente all’art. 32) è stato il fulcro su cui si è basata la giurisprudenza per pervenire alla tutela dell’ambiente; allargando, a tal fine, l’ambito del “paesaggio”[9], non più considerato solo come un valore estetico ma facendolo coincidere «con quello di habitat e con la tutela degli interessi ecologici e degli equilibri ambientali (sentt. nn. 302 e 356/1994), e dunque con la tutela ambientale nel suo complesso … comprensiva tanto dell'ambiente naturale che di quello antropizzato...» [10].
Adesso, tuttavia, la tutela dell’ambiente viene formalmente separata da quella del paesaggio che deve, quindi, ritenersi limitata al solo “aspetto visivo” relativo alla “morfologia del territorio” (sentenza n. 367 del 2007[11]). Proprio per questo “sdoppiamento”, ben prima che questa modifica costituzionale diventasse definitiva, si sono levate diverse voci preoccupate del possibile contrasto tra ambiente e paesaggio in quanto «si profila con ogni serietà il rischio che la modifica costituzionale possa provocare, quale suo immediato effetto tangibile, quello di subordinare la tutela paesaggistica alla straripante diffusione degli impianti industriali di produzione di energia da fonti rinnovabili». E pertanto, specie in considerazione delle esigenza di far fronte alla mutazione climatica, il diritto all’ambiente potrebbe trasformarsi, a fini di speculazione economica, in «un nuovo “interesse tiranno”, capace di facilmente travolgere la tutela paesaggistica», finendo per «veicolare senza remore la trasformazione industriale dei paesaggi agrari e appenninici del Paese» attraverso il massiccio collocamento di pale eoliche e sconfinate distese di pannelli fotovoltaici[12].
Trattasi, certamente, di preoccupazione legittima visto lo scempio e gli ecomostri che, nonostante l’art. 9, la speculazione edilizia ha sovente generato in alcune delle più belle località del nostro paese. Ma questa riforma non ha eliminato né depotenziato la tutela del paesaggio e, anzi, a nostro sommesso avviso, se ben applicata ed interpretata, potrebbe indurre elementi non di preoccupazione ma di cauto ottimismo.
In primo luogo, infatti, tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente, se pure ora sono formalmente distinte, hanno pari dignità costituzionale e fanno parte di uno stesso filone contenuto nell’art. 9 che comprende, come ben evidenziato dalla Corte, beni immateriali non monetizzabili ma necessari per garantire all’uomo e alle future generazioni una accettabile qualità della vita[13]. E, pertanto, si tratta di tutele che, in sostanza, non si contrappongono ma si integrano con la differenza che mentre prima, con qualche (benedetta) forzatura, la tutela dell’ambiente si ricavava da quella del paesaggio adesso, più propriamente, si tutelano insieme ambiente e paesaggio. Anzi, vista la pregressa giurisprudenza della Corte sull’ampiezza dell’ambiente e visto il richiamo all’ interesse delle future generazioni, si dovrebbe ritenere, al di là del dato formale, che, in realtà, la tutela dell’ambiente non può non ricomprendere anche quella del paesaggio. Osservazione particolarmente rilevante quando ambiente e paesaggio vengono messi in pericolo da attività economiche le quali non devono recar danno alla salute e all’ambiente e devono essere indirizzate e coordinate dalla legge a fini sociali ed ambientali. In altri termini la nuova formulazione degli artt. 9 e 41 porta a concludere che la tutela dell’ambiente non può essere perseguita a scapito della tutela del paesaggio e che è compito della legge attuare una programmazione tale da indirizzare e coordinare tutte le iniziative economiche in modo da “bilanciare”[14] opportunamente due esigenze di valenza costituzionale formalmente separate ma, in realtà, attinenti entrambe alla qualità della vita di oggi e delle future generazioni.
6. Conclusioni
Ci sarà tempo e modo per approfondire l’importanza di questa modifica della Costituzione, ma, a nostro sommesso avviso, vista la pessima qualità di gran parte della nostra normativa ambientale, sin da ora si può dire che una lettura complessiva della riforma alla luce degli importanti risultati cui era giunta la Corte costituzionale può portare sin da ora a prevedere rilevanti conseguenze di questa modifica costituzionale rispetto a numerose norme di legge esistenti troppo spesso più attente alle esigenze dell’economia che a quelle dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni; e, pertanto, oggi fondatamente sospette di illegittimità.
Si pensi solo, a titolo di esempio, al delitto di disastro ambientale che consiste (oltre all’offesa per la pubblica incolumità) in un danno rilevante o irreversibile per l’ambiente e l’ecosistema che sono beni oggi direttamente tutelati dall’art. 9 della Costituzione e che, tuttavia, viene punito solo se cagionato “abusivamente”; ipotizzando, quindi, che qualcuno possa attentare a beni costituzionalmente protetti, agendo non «abusivamente», e, quindi, in modo legittimo e consentito. In palese contrasto, peraltro, anche con il novellato art. 41, secondo cui, come abbiamo visto, nessuna iniziativa economica privata può recare danno alla salute e all’ambiente e, se si tratta di attività economica pubblica o privata, la legge deve determinare i programmi ed i controlli per indirizzarla e coordinarla «a fini…ambientali», evitando, ovviamente, che possa provocare addirittura un disastro ambientale[15].
[1] Per approfondimenti, si rinvia al nostro L’inserimento del diritto all’ambiente nella Costituzione all’esame del Senato, in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, 2019, n. 6, ricavato dalla rielaborazione degli appunti utilizzati dallo scrivente, nella audizione informale del 24 ottobre 2019 presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato, per la formulazione di alcune proposte fra cui quella di modificare anche l’art. 41 della Costituzione.
[2] S. Grassi, Ambiente e Costituzione, Riv. quadr. dir. amb. 2017, n. 3, p. 12, cui si rinvia per approfondimenti e richiami.
[3] Qualificato dall’art. 32 come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
[4] La quale valorizza anche la tutela costituzionale contro il danno ambientale definito come «pregiudizio arrecato, da qualsiasi attività volontaria o colposa, alla persona, agli animali, alle piante e alle risorse naturali (acqua, aria, suolo, mare), che costituisce offesa al diritto che vanta ogni cittadino individualmente e collettivamente».
[5] La quale aggiunge che l’ambiente è un «bene immateriale unitario, sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili ad unità. Il fatto che l’ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l’ordinamento prende in considerazione».
[6] Cfr. il nostro L’ambiente in Costituzione. Primi appunti, www.osservatorioagromafie.it, 14 febbraio 2022.
[7] «È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano. Inoltre, quando si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità dei poveri» (Enciclica Laudato si, n. 190).
[8] «In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine» (Enciclica Laudato si, n. 194).
[9] Da ultimo, sulla nozione di «paesaggio», cfr. Cons. Stato Sez. IV, n. 624 del 28 gennaio 2022, www.lexambiente.it, 10 febbraio 2022, secondo cui «in tema di tutela del paesaggio, la nozione accolta dalla Convenzione europea del paesaggio, stipulata dagli Stati membri del Consiglio d’Europa a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la l. 9 gennaio 2006, n. 14, introduce un concetto certamente ampio di “paesaggio”, non più riconducibile al solo ambiente naturale statico, ma concepibile quale frutto dell’interazione tra uomo e ambiente, valorizzando anche gli aspetti identitari e culturali, di modo che è pertanto la sintesi dell’azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni a contribuire a delineare la nozione, complessa e plurivoca, di “paesaggio”».
[10] R. Montaldo, Il valore costituzionale dell’ambiente tra doveri di solidarietà e prospettive di riforma, Forum di Quaderni Costituzionali, 2, 2021, p. 443, www.forumcostituzionale.it, cui si rinvia per citazioni e richiami di dottrina e giurisprudenza.
[11] La quale aggiunge che « è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale».
[12] G. Severini, P. Carpentieri, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’articolo 9 della Costituzione, in questa Rivista, 22 settembre 2021. Trattasi, peraltro, di preoccupazione largamente diffusa in parte del mondo ambientalista.
[13] Non a caso, l’art.117 richiama, insieme, “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, e cioè, in sostanza gli stessi valori tutelati dall’art. 9 novellato.
[14] “Bilanciamento”, peraltro, è il termine usato dalla Corte costituzionale nella sentenza sull’ILVA n. 85 del 2013 a fronte del contrasto tra diritto alla salute e diritto al lavoro (e alla produzione), unitamente alla precisazione che nella Costituzione non vi sono “diritti-tiranni” e che «il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». Si noti, in proposito, che, cinque anni dopo e sempre sull’ILVA, la stessa Corte, rifacendosi espressamente al disposto (di allora) dell’art. 41, specificava che l’attività di impresa «si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona.» (sentenza n. 58 del 2018). Conclusione valida, a maggior ragione, adesso che il divieto di recare danno è stato espressamente ampliato per comprendere, oltre alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, anche la salute e l’ambiente. Per approfondimenti e richiami, ci permettiamo rinviare al nostro L’ambiente in Costituzione. Primi appunti, cit..
[15] Per approfondimenti, citazioni e richiami, anche con riferimento ad altri casi, ci permettiamo di rinviare ancora al nostro L’ambiente in Costituzione. Primi appunti, cit.
Accertamento penale e valutazione amministrativa: pluriformi verità (nota Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, decreto presidenziale n. 544 del 3 agosto 2021)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini*
Sommario: 1. Cenni alla vicenda contenziosa - 2. Sul rapporto tra accertamento penale e valutazione amministrativa - 3. Osservazioni conclusive: la certezza del diritto e le cangianti verità.
1. Cenni alla vicenda contenziosa
Il decreto n. 544 del 3 agosto 2021 reso dal Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, successivamente confermato in sede collegiale, offre un’occasione per riflettere sul rapporto intrinseco tra accertamento penale e valutazione amministrativa lato sensu ed in particolare nei provvedimenti interdittivi [1].
Il giudice adito nella vicenda in commento rileva, nei limiti della sua sommaria cognizione, la contraddittorietà e l’inattualità di alcuni elementi fondanti il provvedimento impugnato. Si discorre, infatti, di denunce penali cui non ha mai fatto seguito una condanna del ricorrente, del rapporto parentale (fratelli) che lo lega a due collaboratori di giustizia, senza dimostrare che detti soggetti conservino la qualità di soggetto mafioso in grado di permeare l’attività imprenditoriale del congiunto.
L’unico elemento cui il giudice riconosce particolare rilevanza è la frequentazione con un soggetto pericoloso ponendo, però, oltre ai dubbi sulla sua attualità, dubbi anche circa la sua efficacia causale autonoma nel giudizio di prognosi di permeabilità mafiosa, poiché gli altri elementi concausali vengono ritenuti non pertinenti e risalenti nel tempo[2].
Significativa per il tema che ci occupa è l’autonoma valutazione svolta dal Prefetto sulle risultanze investigative penali e la motivazione dei relativi provvedimenti giurisdizionali. La necessità di coerenza dell’ordinamento giuridico impone un attento vaglio e forti motivazioni da parte dell’autorità amministrativa che decide di discostarsi da quanto già accertato in sede giudiziaria [3].
Per le motivazioni che precedono, con il decreto presidenziale in commento, veniva accolto parzialmente il ricorso consentendo le attività imprenditoriali connesse alla concessione balneare ed inibendo la eventuale erogazione di finanziamenti pubblici. Successivamente, come già detto, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede collegiale confermava ed accoglieva la domanda cautelare al limitato effetto di consentire ai ricorrenti la prosecuzione delle attività imprenditoriali connesse alla concessione demaniale già rilasciata.
2. Sul rapporto tra accertamento penale e valutazione amministrativa
È inerziale significare che il principio generale posto a garanzia della non contraddittorietà degli accertamenti giurisdizionali non può ammettere una ricostruzione di verità diverse solo perché accertate in sedi diverse [4].
Da tanto discende che il potere amministrativo è chiamato a determinarsi in base ai propri criteri di valutazione, caratterizzati da un minore grado di permeabilità rispetto al vaglio penale. Accade che un determinato fatto non rilevante in sede penale sia sufficiente in sede amministrativa a confermare la legittimità di un provvedimento interdittivo [5]. L’interdittiva dovrebbe trovare giustificazione in una serie di fatti gravi, precisi e concordanti mentre nel caso che ci occupa è solo un evento a determinare l’emissione del provvedimento prefettizio. Sul punto il Consiglio di Stato ha chiarito a più riprese che “Ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo antimafia, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri” [6].
Nel giudizio amministrativo, infatti, non si ricorre ad un integrale accertamento dei fatti, ma si è limitati alla verifica circa la logicità della ricostruzione operata dall’autorità in sede amministrativa per cui “il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame” [7].
Dalle caratteristiche intrinseche dei giudizi penale e amministrativo discende e si palesa una differente rilevanza dei fatti: in uno potrà determinare la legittimità del provvedimento interdittivo, nell’altro, invece, lo stesso fatto non determinerà nessuna condanna penale.
Si pensi alla valutazione del giudice sull’assenza di elementi che possano dimostrare un contatto attuale dell’impresa con la criminalità organizzata: il giudice penale, dovrà valutare un profilo diverso ed ulteriore rispetto alla ricognizione fondata sul principio del “più probabile che non” su cui invece trova principio il provvedimento prefettizio.
Il giudice della prevenzione penale fonda la propria decisione su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce, invece, l’essenza del provvedimento prefettizio. Le relative valutazioni sulle stesse circostanze di fatto portano, sovente, a conclusioni discordanti sul pericolo di infiltrazione, che, conseguono inevitabilmente alla differente impostazione dei due sistemi preventivi [8].
Le decisioni assunte percorrono processi argomentativi differenti portando a conclusioni talvolta opposte. È il caso del controllo giudiziario per il quale spesso accade che il giudice penale non ritenga gli elementi tali da poter ammettere la società al controllo preventivo e, medio tempore, gli stessi fatti risultano sufficienti per l’emissione del provvedimento interdittivo in base al criterio del “più probabile che non”.
Il rapporto tra la valutazione del rischio d’infiltrazione e l’accertamento della responsabilità penale si coglie nella diversa forza dimostrativa dell'inferenza logica di uno stesso elemento. È evidente che gli elementi vengono osservati con lenti di ingrandimento diverse ed i fatti vengono setacciati con reti diverse. Ciò che rileva ed è sufficiente in una sede non lo sarà necessariamente anche dinnanzi ad altro giudice [9].
Vero è che ogni risultanza penale dovrà essere valutata dall’amministrazione e sulla scorta di ciò unitamente ad altri elementi potrà, se lo ritiene, emettere un provvedimento interdittivo. Gli elementi fattuali che rilevano dinnanzi al Prefetto sono sfocati poiché solo sintomatici e indiziari e non ancora delineati come richiesti in sede giudiziaria.
Posto ciò, è ovvio che il Prefetto allorquando decida di discostarsi dalle risultanze investigative penali e dalla motivazione dei relativi provvedimenti giurisdizionali, deve compiere le proprie determinazioni con cautela anche alla luce del ne bis in idem per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo e dell’esigenza di coerenza interna dell’ordinamento giuridico, per cui non potrà considerare determinate condotte penalmente irrilevanti e al contempo rilevanti in un procedimento amministrativo che sfocia in un provvedimento para-penale. Pertanto una eventuale valutazione difforme di stralci di risultanze investigative penali richiede l’attento vaglio successivo del giudice amministrativo.
La valutazione svolta dalle diverse autorità avviene attraverso un’attribuzione di valore interferenziale differente e ciò si palesa a monte, nell’analisi strutturale e funzionale delle diverse valutazioni da svolgere.
3. Osservazioni conclusive: la certezza del diritto e le cangianti verità
In conclusione, il rapporto tra accertamento penale e valutazione amministrativa si rivela come un sistema di ‘vasi comunicanti’. L’accertamento penale condiziona inevitabilmente la valutazione amministrativa, trattandosi di un giudizio “oltre ogni ragionevole dubbio” degli elementi fattuali [10]. D’altro canto, invece, le valutazioni amministrative trattandosi di meri elementi indiziari, non trovano rilievo in sede penale essendo accertati secondo il principio del “più probabile che non” [11].
Nel caso che ci occupa, il quadro tracciato dall’autorità amministrativa, tendenzialmente non sorregge neppure la soglia posta dal criterio del “più probabile che non” fondandosi su denunce mai sfociate in condanne penali, sul rapporto parentale con due collaboratori di giustizia ed infine sulla frequentazione con un soggetto “pericoloso”. Volendo ritenere solo quest’ultimo elemento rilevante, il giudice non può che accogliere il ricorso, essendo necessari per sorreggere un provvedimento amministrativo diversi elementi sintomatici della permeabilità mafiosa dell’impresa [12].
Pertanto, la mancata condanna in sede penale, ha influenzato inevitabilmente la decisione del giudice amministrativo. L’autorità amministrativa è chiamata a determinarsi tenendo conto degli elementi fattuali del caso di specie e se nella sua valutazione ampiamente discrezionale tali elementi superano la soglia del “più probabile che non” emetterà provvedimento interdittivo, seppur, medio tempore, sul piano penale gli stessi fatti non trovano rilievo [13]. Nella cognizione piena, il giudice penale può non ritenere gli elementi di prova raccolti, “elementi certi” per affermare la responsabilità, tuttavia, ciò non comporta sic et simpliciter, la conseguente non rilevanza di tali elementi ai fini dell’emissione del provvedimento prefettizio che principia non da piena dimostrazione bensì dal più ampio e sfocato principio probabilistico.
Può accadere dunque che condotte penalmente irrilevanti siano al contempo rilevanti in un procedimento amministrativo che sfocia in un provvedimento che per i suoi dirompenti effetti ben può definirsi para-penale [14]. Tale ipotesi è frequente nella giustizia amministrativa che sovente prende in considerazione elementi irrilevanti in sede penale ma che unitamente ad altri elementi del quadro indiziario sorreggono il provvedimento amministrativo. Il Decreto presidenziale che qui si annota apre una finestra su una possibile inversione di rotta e ancoraggio del provvedimento interdittivo a elementi che possano effettivamente essere ritenuti rilevanti.
A valle delle considerazioni svolte è evidente come, seppur, abituati a pensare alla verità come un’unica entità, nella materia che ci occupa, essa è inevitabilmente pluriforme. “La verità” si palesa come una pietra sfaccettata con forme diverse a seconda dell’angolo di osservazione. Non si tratta di verità inconciliabili o contraddittorie, ma di stesse verità che risultano attraverso un diverso vaglio dell'inferenza logica di uno stesso elemento.
*Seppur frutto di un lavoro unitario è possibile attribuire il primo paragrafo a Renato Rolli e i restanti a Martina Maggiolini.
[1] si consenta il rinvio a R. Rolli- M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e giudicato penale (nota a Consiglio di Stato sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049), Giustizia Insieme, 2021
[2] Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, decreto presidenziale n. 544 del 3 agosto 2021
[3] Cfr. F. Francario, L’accertamento del fatto illecito nel giudizio amministrativo e nel giudizio penale: problemi ed interferenze, in Pubblica amministrazione diritto penale e criminalità organizzata (Atti del convegno), Milano, 2008, pag. 93 ss
[4] si consenta il rinvio a R.Rolli- M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e controllo giudiziario (nota a Consiglio di Stato, sez. III, 11 gennaio 2021, n. 319), Giustizia Insieme, 2021
[5] Si suggerisce F. Francario, illecito urbanistico o edilizio e cosa giudicata. Spunti per una ridefinizione della regola del rapporto tra processo penale ed amministrativo, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, Milano, 2015, pag 99 e ss
[6] Da ultimo v. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 9 settembre 2020, n. 5416
[7] v. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 9 settembre 2020, n. 5416
[8] v. M. Speciale, Interdittive antimafia tra vecchi confini e nuovi scenari, in giustizia-amministrativa, 2020
[9] Cfr. M. Mazzamuto, Interdittive prefettizie: rapporti tra privati, contagi e giusto procedimento, in Giurisprudenza italiana, 2020
[10] si consenta R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), giustizi insieme, 3 luglio 2020
[11] Cfr. F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in giustamm, 6, 2018
[12] A. LONGO, La ‘massima anticipazione di tutela’. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, Federalismi, n. 19/2019
[13] Cfr. M. Mazzamuto, Profili di documentazione amministrativa antimafia, in giustamm, 2017
[14] v. V. SALAMONE, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019
L’esordio operativo dell’Ufficio per il processo nei Tribunali.
Intervista di Ernesto Aghina a
Maria Giuliana Civinini, Presidente del Tribunale di Pisa
Antonella Magaraggia, Presidente del Tribunale di Verona
Francesco Mannino, Presidente del Tribunale di Catania
Pierluigi Picardi, Presidente del Tribunale di Napoli Nord
Dopo una partenza anticipata presso la Corte di Cassazione, il 21 febbraio inizieranno la loro attività negli uffici giudicanti di primo e secondo grado ben 7.264 addetti all’Ufficio per il Processo, che costituiscono il primo scaglione dei 16.500 laureati assunti dal Ministero della Giustizia a tempo determinato con l’obiettivo di abbattere l’arretrato civile e di ridurre la durata dei procedimenti civili e penali.
Dopo la sua istituzione nel 2014 ed un avvio non uniforme nei singoli uffici giudiziari, non sempre in grado di fare fronte all’implementazione di tale struttura per l’endemica carenza di risorse, quello messo in atto è un intervento del tutto inedito nel nostro panorama giudiziario, che per la sua peculiarità impegnerà tutti gli uffici, coinvolti in una vera e propria rivoluzione organizzativa di particolare complessità, a partire dai dirigenti degli uffici stessi, che hanno già predisposto a tal fine un progetto operativo.
Francesco Cottone, direttore generale per il coordinamento delle politiche di coesione del Ministero della Giustizia, ha affermato che il valore principale del progetto sugli Uffici per il Processo va oltre il raggiungimento degli obiettivi di efficienza giudiziaria previsti dal PNRR, in quanto “crea concime per l’innovazione del sistema giudiziario Paese e, speriamo che l’iniziativa lasci una eredità a regime, in termini di relazioni tra università e Uffici Giudiziari, di iniezione di capacità manageriali negli uffici giudiziari e di capacità predittiva della domanda di giustizia, per fornire le giuste risposte organizzative ma anche procedurali alla reale domanda di giustizia”.
Ed è proprio muovendo da queste premesse ed auspicando che questa rivoluzione porti ad un miglioramento del servizio giustizia, non solo in termini quantitativi (abbattimento dell’arretrato), ma anche qualitativi (contenuto del provvedimento giurisdizionale) che Giustizia Insieme ha deciso di aprire un focus sull’Ufficio per il Processo, inserendo nella pagina web della Rivista una rubrica dedicata nella quale, a partire da oggi, verranno pubblicate interviste ed approfondimenti, con l’obiettivo di monitorare il concreto evolversi di questo nuovo modello organizzativo che costituisce, ad oggi, la vera sfida per una riforma della giustizia.
Si sono già esaminati su questa rivista gli aspetti principali dell’U.P.P. e la sua genesi (vedi in proposito l’intervista a Barbara Fabbrini: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e risorse degli uffici giudiziari: il “nuovo” Ufficio per il processo) oggi, all’esordio di questo innovativo modello organizzativo, può essere utile porre a confronto le scelte adottate, su alcuni temi “topici”, da alcuni dirigenti di Tribunale, selezionati su un campione che tiene conto delle diverse aree geografiche e delle dimensioni degli uffici.
Non esistendo difatti un modello unico di Ufficio per Processo, quanto piuttosto uno schema flessibile che dovrà essere convenientemente adattato alle esigenze dei vari uffici giudiziari, si rilevano già sostanziali differenze strutturali che caratterizzano scelte gestionali diverse.
Di seguito le risposte offerte da Maria Giuliana Civinini (Presidente del Tribunale di Pisa), Antonella Magaraggia (Presidente del Tribunale di Verona), Francesco Mannino (Presidente del Tribunale di Catania) e Pierluigi Picardi (Presidente del Tribunale di Napoli Nord).
1. Nel progetto organizzativo depositato la distribuzione degli addetti all'UPP tra settore civile e penale è stata operata in modo equivalente, ovvero sulla base di quali criteri?
CIVININI Al Tribunale di Pisa sono stati assegnati 43 funzionari addetti all’UPP, un numero rilevante per un Ufficio che ha una pianta organica di 28 giudici, compresi Presidente di Tribunale e due Presidenti di Sezione, e che si spiega con la presenza di un arretrato civile molto rilevante.
La distribuzione del nuovo personale è stata effettuata sulla base degli obbiettivi del PNRR come tradotti in obbiettivi dell’Ufficio: eliminazione dell’arretrato civile pre 2020, contenimento della durata dei nuovi procedimenti civili nei limiti della ragionevole durata come stabilita ai fini della legge Pinto, diminuzione del disposition time dei procedimenti civili e penali. Poiché l’Ufficio presenta un arretrato civile ultratriennale pari al 40% delle pendenze e poiché il disposition time del settore penale, pur avendo avuto un picco a partire dall’inizio dell’emergenza sanitaria, negli anni precedenti si collocava ampiamente al di sotto della media nazionale, i nuovi funzionari sono stati destinati in misura di due terzi al settore civile e un terzo al settore penale. Più in dettaglio, 4 funzionari sono assegnati ai servizi amministrativi, 3 a servizi di staff del presidente e dei presidenti di sezione, 26 alla sezione civile (di cui 2 all’ufficio del giudice del lavoro, 1 al settore della crisi di impresa, 23 al contenzioso civile), 10 alla sezione penale (di cui 8 all’ufficio del dibattimento e 2 all’ufficio GIP/GUP).
MAGARAGGIA Premetto che la distribuzione degli addetti UPP è stata decisa all’esito di molte riunioni che hanno visto coinvolti i Presidenti di sezione, i giudici, la Dirigente amministrativa e i Direttori amministrativi. La soluzione trovata è stata, quindi, condivisa.
Non è stata fatta “a pioggia”, ma individuando i settori dell’ufficio in situazione di maggior criticità, per arretrato e tempistica dei procedimenti, e assegnando a questi un maggior numero di addetti.
Al Tribunale di Verona si è, quindi, privilegiato il settore penale (viste le elevate pendenze) e, nell’ambito del civile, la I sezione, che presenta un arretrato ultratriennale maggiore rispetto alle altre.
MANNINO Al Tribunale di Catania sono stati assegnati 130 addetti all’Ufficio Per il Processo. La distribuzione tra i settori penale e civile del personale addetto all’UPP si è tenuto conto delle attività che i predetti addetti potranno svolgere e dei progetti che i presidenti delle singole sezioni civili o penali hanno indicato e sono chiamati a coordinare.
L’assegnazione dei funzionari, pertanto, è avvenuta in relazione agli specifici progetti ed alle attività che essi, all’interno di ogni sezione e, quindi, di ogni settore, potranno svolgere.
Il prospetto è il seguente:
Sezione o ufficio | Principali materie trattate oggetto del progetto | Numero di addetti previsto |
SETTORE CIVILE |
|
|
I civile | Protezione Internazionale – Separazioni e divorzi contenziosi | 13 |
II civile | Lavoro - Previdenza | 13 |
III civile | diritti reali – successioni – condominio – opposizioni ad ordinanze ingiunzioni - contratti | 10 |
IV civile | societario - contratti - bancario – imprese – contenzioso endoconcorsuale | 13 |
V civile | Responsabilità extracontrattuale - risarcimento danni alla persona – locazioni – contratti – somministrazioni – appello a sentenze gdp – opposizioni a decreti di liquidazione degli onorari | 10 |
VI civile | esecuzioni – contenzioso endoesecutivo | 4 |
SETTORE PENALE | sub totale settore civile | 63 |
I dib. penale | come da competenza tabellare | 10 |
II dib. penale | come da competenza tabellare | 10 |
III dib. penale | come da competenza tabellare | 10 |
IV dib. penale | come da competenza tabellare | 10 |
GIP/GUP | Archiviazioni – decreti penali | 8 |
SERVIZI TRASVERSALI | sub totale settore penale | 48 |
Segr. Presid e Dir. Amm | Struttura di staff e coordinamento dei progetti civili e penali Monitoraggi – gestione personale | 4 |
Esec. penale postdibattimento | Struttura di staff e coordinamento di progetti penali
| 3 |
Esec. Penale GIP/GUP | Struttura di staff e coordinamento di progetti penali
| 3 |
Ufficio impugnazioni penali | Struttura di staff e coordinamento di progetti penali
| 3 |
Rilascio copie | Struttura di staff e coordinamento di progetti civili | 2 |
Gratuito patrocinio | Struttura di staff e coordinamento di progetti penali | 2 |
Mod. 1 SAG | Struttura di staff e coordinamento di progetti penali | 2 |
| sub totale servizi trasversali | 19 |
| TOTALE | 130 |
PICARDI Si è optato per una distribuzione di 2/3 a civile + lavoro e di 1/3 a penale in ragione della diversità degli obiettivi previsti dal PNRR.
I risultati che devono essere raggiunti , per quanto riguarda il civile presentano una complessità sicuramente maggiore. Peraltro con specifico riguardo alla situazione del Tribunale di Napoli Nord anche la distribuzione dei giudici togati segue la stessa proporzione.
2. I g.o.p. sono notoriamente contrari alla loro utilizzazione all'interno dell'U.P.P.: sono stati inseriti nel progetto organizzativo dell'ufficio?
CIVININI L’Ufficio ha una dotazione effettiva di giudici onorari molto ridotta, 7 su 12 previsti in pianta organica. Sin dalla costituzione dei primi Uffici per il Processo, avvenuta con una variazione tabellare del dicembre 2019, nei settori Contenzioso, Famiglia e soggetti deboli, Lavoro, Esecuzioni mobiliari, i GOP addetti a funzioni civili (5) sono stati inseriti nei nuovi moduli operativi. Contemporaneamente è iniziato un lavoro di precisazione delle funzioni dei vari componenti dell’UPP e sono state concordate tra giudici professionali e giudici onorati le linee guida per la trattazione dei procedimenti delegati. Il modello ha avuto successo operativo e sta dando risultati molto positivi.
MAGARAGGIA Al Tribunale di Verona non ho riscontrato questa contrarietà e tutti i GOP presenti nelle sezioni sono stati inseriti negli UPP.
All’UPP della Volontaria Giurisdizione (già previsto nella Tabella di organizzazione dell’ufficio) sono stati assegnati solo GOP e l’unico giudice togato è il coordinatore.
Negli UPP di recente istituiti si è pure prevista una loro redistribuzione tra il settore civile e quello penale. Stante la possibilità per gli addetti UPP di fare assistenza all’udienza, è stata implementata la sezione dibattimentale, più in sofferenza come pendenze.
MANNINO La previsione della realizzazione di progetti di smaltimento non a supporto di singoli giudici togati ma per sezioni, come individuati dai presidenti di queste ultime, prevede certamente anche il coinvolgimento dei g.o.p. in forza a ciascuna sezione, sia in relazione allo smaltimento di procedimenti loro assegnati quali titolari di ruoli autonomi, sia quali attuali componenti dei singoli Uffici per il Processo già tabellarmente costituiti presso la totalità delle sezioni del Tribunale.
PICARDI No. Sono molto pochi e la loro destinazione alla supplenza sui ruoli di magistrati assenti perché in aspettativa o in congedo non riesce nemmeno a coprire il fabbisogno dell’ufficio.
Forse sarà possibile una utilizzazione in campo penale per un progetto specifico.
Ovviamente l’eventuale incremento della copertura della pianta organica potrebbe consentire l’utilizzo dei GOP.
3. La previsione dell'U.P.P. è stata modulata con riferimento ai settori (civile/penale), alle sezioni, ai magistrati, ovvero in che altro modo? Quale il motivo della scelta?
CIVININI Gli UPP tabellarmente presenti nel Tribunale sono oggi 7; ai quattro già costituiti all’interno della Sezione Civile, ne sono stati aggiunti due nella Sezione Penale – uno per il dibattimento ed uno per l’ufficio GIP/GUP – con le Tabelle 2020-2022, e uno per il settore della crisi di impresa in vista della presa di servizio degli addetti.
L’organizzazione e composizione degli UPP prevede servizi trasversali (monitoraggio statistico e monitoraggio della lavorazione dei fascicoli, accompagnamento alla digitalizzazione e alla innovazione, raccolta degli indirizzi giurisprudenziali e banca dati per il settore civile e per il settore penale, supporto alla gestione dei processi monocratici penali, supporto alla tenuta degli albi periti e CTU) e servizi di supporto al giudice nelle attività giurisdizionali in senso stretto. Al momento dell’adozione, ormai prossima, degli ordini di servizio per la destinazione ai diversi servizi sarà indicato il numero di addetti all’assistenza dei magistrati. Come avviene anche nell’organizzazione dei servizi di cancelleria di supporto al lavoro giudiziario, sarà previsto quali funzionari assisteranno quali magistrati, ferma la destinazione anche a rotazione a servizi trasversali (in primis la creazione e gestione dell’archivio di giurisprudenza).
MAGARAGGIA Per l’istituzione dei nuovi UPP si è preferito fare riferimento alle articolazioni sezionali in quanto strutture già esistenti, che facilitano l’organizzazione e il controllo. Inoltre tale soluzione, pur nella prevedibile fidelizzazione giudice/addetto UPP, evita di sancire il rapporto one to one in quanto l’addetto UPP è assegnato alla sezione e non al magistrato.
È stato anche istituito un UPP trasversale a tutte le sezioni denominato “UPP di supporto alle rilevazioni statistiche, alla raccolta giurisprudenziale e alla gestione degli addetti UPP” che svolge le seguenti attività: “verifica la correttezza dei dati statistici ed effettui le eventuali bonifiche; controlla la corrispondenza dei dati dell’ufficio con quelli che verranno ente inviati dal Ministero della giustizia e predisponga le statistiche periodicamente richiesti; segnala eventuali ritardi nel deposito dei provvedimenti; provvede alla raccolta e alla catalogazione della giurisprudenza inviata dalle sezioni secondo le modalità che il Ministero della giustizia indicherà per la costituzione della Banca dati di merito; provvede al vaglio e allo smistamento -per competenza- alle sezioni delle sentenze della Corte d’Appello e costituisca una Banca dati per quelle che riguardano tutte le sezioni; provvede alla gestione amministrativa degli addetti UPP”.
MANNINO Si rinvia a quanto illustrato in risposta alla domanda 1.
PICARDI Le assegnazioni sono state miste e sono dipese dal tipo di progetto in cui sono stati coinvolti gli addetti (progetti modulati su sezioni o trasversali su settori o centralizzati). Il principio generale è stato che siamo in presenza di strutture finalizzate ad agevolare il processo come entità organizzata e non ad aiutare il singolo giudice.
In altri termini si è ritenuto che al centro dell’innovazione dovesse essere messo il “processo” e non il giudice. In conseguenza di questa scelta l’elemento organizzativo dello stesso lavoro del giudice ha assunto un ruolo preponderante.
4. Come si è pensato di differenziare all'interno dell'ufficio le attribuzioni dei tirocinanti ex art.73 da quelle degli addetti all'U.P.P.?
CIVININI I funzionari svolgono funzioni inquadrate in servizi nell’ambito di questa nuova figura professionale di supporto. Gli stessi svolgeranno le attività di cui ai servizi trasversali, dai quali sono generalmente esclusi i tirocinanti, per i quali può essere prevista solo una partecipazione alla costruzione della banca dati e alle ricerche giurisprudenziali a servizio dei singoli UPP. Ancora gli stessi svolgeranno servizi di supporto al giudice nelle attività di cancelleria strettamente connesse alla giurisdizione (quali ad es. scarico, deposito, adempimenti post-udienza) da cui sono esclusi i tirocinanti. Se i tirocinanti continueranno nell’opera di studio, ricerca, redazione di bozze di provvedimenti, i funzionari avranno una funzione più ampia, che include il monitoraggio del ruolo, la prioritarizzazione delle istanze, lo screening delle cause ultratriennali a fini di ricalendarizzazione e individuazione del canale di definizione oltre che predisposizione di bozze di provvedimenti. Peraltro, l’UPP è un modulo di lavoro in team e le funzioni di tutti, inclusi GOP, personale di cancelleria ordinario e giudici devono coordinarsi in modo flessibile ed efficace.
MAGARAGGIA Nella costituzione degli UPP non si è fatta alcuna differenziazione. Allo stato, l’idea è quella di inserire i tirocinanti (verificando, di volta in volta, il loro numero, la tipologia di tirocinio e la durata) nelle sezioni che sono state meno favorite nell’assegnazione degli addetti UPP.
MANNINO I presidenti di sezione coordinatori, per quanto riguarda gli addetti all’UPP, ed i tutor dei tirocinanti ex art.73, d’intesa con i presidenti coordinatori, secondo le direttive da questi ultimi impartite, assegneranno a questi ultimi ed agli addetti all’UPP gli opportuni compiti necessari per la realizzazione dei progetti e degli obiettivi programmati per ciascun progetto. Ciò concede sia a presidenti che a tutor, in relazione a ciascun progetto, ampia flessibilità nell’individuare le attribuzioni di ciascuno per fornire il miglior contributo per la realizzazione degli obiettivi.
PICARDI I tirocinanti continuano a svolgere le loro specifiche attività come previsto dalla legge.
Per gli addetti all’Ufficio per il Processo le mansioni sono quelle di cui al mansionario emanato dal Ministero nel senso che essi, a seconda dei progetti all’interno dei quali sono stati inseriti, possono svolgere anche funzioni molto simili a quelle dei tirocinanti. Questo principio non vale a parti invertite.
5. Come si è pensato di modulare le mansioni operative degli addetti all'U.P.P.? Saranno impiegati esclusivamente deputati a diretto supporto delle attività dei magistrati, ai servizi amministrativi, in modo promiscuo ovvero anche in altri compiti, e quali?
CIVININI Come si è già detto, sono previsti servizi trasversali e servizi di diretto supporto al giudice.
MAGARAGGIA Nel pensare alle attività degli addetti all’UPP si è posta attenzione a quella, prevalente, di ausilio al giudice, ma si sono anche individuate delle mansioni di natura amministrativa.
Questo sia perché alcuni adempimenti si pongono in stretta correlazione con l’attività del magistrato e contribuiscono all’attuazione del Progetto UPP sia perché la struttura amministrativa, già molto in sofferenza visti i vuoti di organico, non potrebbe supportare l’auspicato aumento di produttività dei giudici.
Nelle molteplici riunioni cui si è fatto cenno, si è cercato di individuare, in via condivisa tra componente giudiziaria e componente amministrativa, un mansionario, che è stato riportato nel Progetto UPP.
Quello degli addetti UPP delle sezioni civili è il seguente: “ricerche giurisprudenziali; compilazione e aggiornamento della scheda sintetica del processo; elaborazione di proposte conciliative; valutazione della possibilità di mediazione delegata; verifica del ruolo d’udienza; controllo e riordino fascicoli; affiancamento al magistrato in udienza ai fini della verbalizzazione; adempimenti ante e post udienza (accettazione degli atti di parte, esclusi gli atti introduttivi, e dei provvedimenti del magistrato, esclusi quelli definitori; accettazione dei verbali di udienza; accettazione degli atti del p.m.); predisposizione di bozze di provvedimenti; verifica del passaggio in giudicato delle sentenze ai fini dell’attestazione di irrevocabilità; verifica dell’esecutività dei titoli diversi dai decreti ingiuntivi e dei provvedimenti ex art. 657 e ss. c.p.c. ai fini dell’apposizione della formula esecutiva; redazione schede ISTAT”.
Il mansionario degli addetti UPP della sezione penale dibattimentale è il seguente: “ricerche giurisprudenziali; controllo delle notifiche nei procedimenti trattati alle udienze cd. filtro; compilazione e aggiornamento di scheda sintetica del processo; intestazione delle sentenze; compilazione dello “svolgimento del processo” per ogni tipologia di sentenza; predisposizione di bozze di provvedimenti (a titolo esemplificativo, ma non esaustivo: sentenze relative ai procedimenti più semplici, provvedimenti relativi agli incidenti di esecuzione senza udienza, decreti di ammissione al patrocinio a spese dello Stato - con relativi adempimenti ed eventuale attività istruttoria- e di liquidazione dei difensori di ufficio); assistenza in udienza; organizzazione, predisposizione e trasmissione ogni semestre del ruolo delle udienze cd. filtro provenienti dal GIP/GUP; organizzazione annuale del calendario dei turni per le udienze direttissime, ad eccezione di quelli estivi e natalizi; adempimenti concernenti le istanze di liquidazione dei difensori, periti, custodi giudiziari e testimoni; compilazione del modello 165 bis c.p.p. per le sentenze appellate; verifica della corretta indicazione ed eventuale regolarizzazione ed inserimento a SICP dei dati che riguardano le QGF prima della trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione; verifica ed eventuale regolarizzazione a SICP dei dati relativi alla fase esecutiva che segue il passaggio in giudicato della sentenza”.
Il mansionario degli addetti UPP della sezione GIP/GUP è il seguente: “ricerche giurisprudenziali; controllo del ruolo di udienza del magistrato, verifica dell’esecuzione degli adempimenti e delle notifiche; predisposizione di bozze di provvedimenti decisori (a titolo esemplificativo, ma non esaustivo: decreti penali di condanna, sentenze ex art. 444 c.p.p. (sia su decreto penale sia su decreto di giudizio immediato), sentenze in rito abbreviato richiesto in sede di opposizione a decreto penale, sentenze ex art. 129 c.p.p., ordinanze di estinzione di reato in seguito a positivo svolgimento dei lavori di pubblica utilità, provvedimenti del giudice dell’esecuzione semplici quali estinzione reato, estinzione pena, relativi a corpi di reato); predisposizione di decreti di fissazione di udienza, di interrogatori di garanzia e di rogatorie di interrogatori di garanzia, di citazione a giudizio in seguito a opposizione a decreto penale; predisposizione di ordinanze di ammissione alla messa alla prova e gestione della fase istruttoria di tale procedimento; predisposizione di bozze di decreti di archiviazione; opposizioni all’archiviazione: disamina preliminare dei fascicoli, predisposizione di bozze di decreti di inammissibilità; studio dell’udienza camerale dedicata a tali procedimenti; predisposizione della bozza delle ordinanze all’esito dell’udienza; -predisposizione di bozze di provvedimenti in materia di patrocinio a spese dello Stato”.
Per gli addetti UPP di tutte le sezioni sono previste le seguenti mansioni (di raccordo con l’UPP trasversale): “raccolta della giurisprudenza della sezione e invio all’UPP trasversale; vaglio delle sentenze della Corte d’Appello inviate dall’UPP trasversale”.
MANNINO Come evidenziato sub 1, un certo numero di funzionari è stato assegnato a servizi c.d. trasversali, ad una struttura di staff, di supporto alla segreteria della presidenza e della dirigenza amministrativa od alle cancellerie che, pur non legate specificamente ad una sezione, per l’auspicato aumento della produttività, vedranno parimenti aumentato il proprio carico di lavoro (esecuzione penale post-dibattimento e GUP, Rilascio copie, Ufficio impugnazioni penali, Gratuito patrocinio, Modello 1 SAG).
Nella distribuzione dei funzionari alle sezioni interessate alla realizzazione dei progetti dalle stesse indicate ed alla struttura di staff si è tenuto conto non solo e non tanto del numero dei magistrati in forza ad ogni sezione ma, in particolare, della specificità del progetto da attuare.
Dette assegnazioni ben potranno essere riviste in corso di attuazione dei singoli progetti, sulla base dello stato di realizzazione di ciascuno di essi e/o di peculiari criticità sopravvenute.
Sulla base delle concrete necessità che si riscontreranno, taluni addetti potranno essere destinati sia ad attività di progetti di sezione che ad attività trasversali.
PICARDI Come si è evidenziato in precedenza verranno utilizzati in una pluralità di mansioni che spaziano dal supporto alla giurisdizione fino ad attività puramente amministrative.
L’elemento unificante resta il supporto al processo nelle sue più varie articolazioni. In questo ampio concetto sono comprese anche le attività di acquisizione dei dati utili al monitoraggio e al controllo di gestione.
6. Si è ipotizzata la realizzazione di specifici progetti innovativi mediante l'utilizzazione dell'U.P.P. Quali?
CIVININI Oltre al “grande progetto” dell’eliminazione dell’arretrato, sono stati individuati anche specifici progetti dell’ufficio: Uniformazione dei moduli di lavoro; Implementazione del modulo operativo del lavoro in team Uniformazione attività tirocinanti Creazione e implementazione di una modalità di inserimento dei tirocinanti omogeneo; Organizzazione dei ruoli delle attività processuali in base ai target; Implementazione di modalità di gestione dei procedimenti civili e penali monocratici sulla base di criteri predefiniti (materia, difficoltà, tempi); Miglioramento della qualità e dei tempi della perizia e CTU; Individuazione buone prassi in materia penale; Individuazione e implementazione di prassi di riduzione dei tempi dei procedimenti penali e di valorizzazione del rapporto tra i criteri di esercizio dell’azione penale e gli esiti dibattimentali; Costruzione di indirizzi giurisprudenziali; Raccolta e classificazione delle decisioni ed estrazioni di punti di motivazione.
MAGARAGGIA Allo stato non si è ipotizzato alcun progetto innovativo. Vi si potrà pensare all’esito dell’inserimento degli addetti UPP, della valutazione delle loro competenze e dell’inizio del funzionamento della complessiva organizzazione. Si attende, inoltre, l’arrivo dell’ulteriore contingente di personale (5.410 unità) con qualifiche tecniche specifiche.
MANNINO Quelli realizzabili mediante il contributo dell’Università, di cui alla risposta successiva.
PICARDI Sicuramente il Controllo di gestione delle fasi processuali in tutti i settori. Un controllo non limitato alle valutazioni relative a sopravvenienze e definizioni, ma consistente in una radiografia costante di tutte le strutture in modo da poter intervenire sulle situazioni patologiche.
7. Molte facoltà di giurisprudenza hanno attivato un percorso di affiancamento e collaborazione degli uffici giudiziari per il miglior funzionamento dell'U.P.P.: quale tipo di supporto ritiene proficuo attendersi da parte del mondo accademico?
CIVININI La collaborazione tra il Tribunale e i poli universitari di eccellenza pisani (UNIPI e Scuola Superiore Sant’Anna) è ben sperimentata anche in settori coincidenti con il PNRR, come le banche dati.
Dal PON mi attendo un contributo alla costruzione di banche dati navigabili con criteri semantici e di strumenti digitali di gestione e monitoraggio. Mi aspetto anche che l’università sia capace di elaborare nuovi moduli didattici che siano funzionali alla preparazione di giuristi che, all’interno dell’amministrazione giudiziaria, non lavoreranno più come monadi ma come parti di team.
MAGARAGGIA L’Università di Verona fa parte del “Progetto o unitario per la diffusione dell’Ufficio per il Processo e l’implementazione di modelli operativi innovativi negli Uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato Scheda Progetto “UNI 4 JUSTICE” che vede come capofila l’Università di Bologna e partner altri 13 Atenei di varie Regioni.
La descrizione del progetto è la seguente: “UNI 4 Justice è un progetto complesso di collaborazione fra mondo scientifico e sistema della giustizia dei distretti delle corti di appello di Ancona, Bologna, Trento, Venezia e Trieste, ispirato dai principi della programmazione europea, che promuove il cambiamento organizzativo, tecnologico e professionale negli uffici giudiziari sulla base della conoscenza oggettiva e verificabile delle prassi di lavoro, delle modalità di utilizzo delle risorse e degli strumenti di monitoraggio. UNI 4 Justice costruisce modelli di organizzazione dell’ufficio per il processo testati in situ; elabora insieme col personale togato, amministrativo e tecnico le modalità di miglioramento delle routine di lavoro e di trattazione dei procedimenti, catalizza processi di innovazione organizzativa e funzionale generati dalla integrazione degli strumenti più innovativi approntati dalla ricerca socio-giuridica, di informatica giuridica, e di gestione nel campo delle intelligenze – umana e artificiale – e della qualità normativa – incluso il legal design. Intende lasciare una legacy forte: la capacità di costruire competenze rispondenti ai bisogni e la capacità di valorizzare le risorse assegnate – umane tecnologiche e infrastrutturali – in una prospettiva di sostenibilità, resilienza, efficienza”.
È di tutta evidenza che si tratta di un progetto tanto ampio nei contenuti quanto generico, che richiede di operare delle scelte e di concretizzare dei progetti. Prima dell’avvio dell’attività degli addetti UPP, tale progettazione è difficilmente ipotizzabile e, in ogni caso, il percorso deve essere condiviso con l’Università. Allo stato non è partita alcuna collaborazione con quella di Verona. Di recente ho preso contatto, ma mi è stato riferito che l’Ateneo non ha ancora definito il percorso.
Francamente non ripongo molte aspettative su questo progetto, non per mancanza di competenze degli Atenei (con quello di Verona il Tribunale ha attuato, da sempre, una proficua collaborazione), ma perché non mi pare si possa ricavare un vantaggio concreto. Probabilmente si riveleranno utili l’attività di monitoraggio e la possibilità di far circolare modelli operativi diversi che potranno contribuire al miglioramento dell’organizzazione degli UPP.
MANNINO La collaborazione con il mondo accademico prevede non solo il coinvolgimento degli studenti di giurisprudenza che svolgono tirocini e stage al Tribunale di Catania ma anche degli studenti e degli specializzandi di Scienze Politiche, con stage sia nell’ambito del gruppo specializzato immigrazione che all’interno delle cancellerie.
Sono stati anche avviati contatti da parte di questo Tribunale con la Facoltà di Ingegneria – dipartimento di Ingegneria Gestionale, per uno studio sulla razionalizzazione dell’organizzazione e gestione dei processi lavorativi e di taluni servizi, quali calendari di udienza e gestione aule. La finalità è lo sviluppo di progetti innovativi che, in particolare, potranno favorire l’attuazione del PNRR.
Inoltre, proprio in previsione dell’attuazione del PNRR, è in atto una collaborazione degli uffici giudiziari del distretto di Catania con l’università di Catania ed altre università siciliane nel progetto “Azioni di miglioramento dell’efficienza e delle prestazioni degli uffici giudiziari attraverso l’innovazione tecnologica, il supporto organizzativo alla informatizzazione e telematizzazione degli uffici giudiziari, disseminazione di specifiche innovazioni e supporto all’attivazione di interventi di change management”.
PICARDI Al momento non c’è stato alcun collegamento.
Mi aspetto un aiuto in termini di programmazione e gestione su attività del tutto estranee alla giurisdizione. Ad es. creazione di software per la gestione e il controllo delle attività di tutti i soggetti che collaborano con il giudice.
8. Quali sono le principali criticità che si frappongono nel suo ufficio, alla vigilia della sua partenza, al decollo operativo dell'U.P.P.?
CIVININI Allo stato vi sono tutte le premesse per un decollo sotto i migliori auspici. Le insidie riguardano il personale di magistratura e la stabilità dell’organico effettivo; alcuni pensionamenti alle porte sono elemento di preoccupazione, così come alcuni trasferimenti preannunciati di funzionari. Contiamo sulla rapida conclusione dei concorsi in magistratura per la copertura degli organici e sulla definizione del concorso per funzionari ordinari, la cui assegnazione ci consentirà di dar luogo ad una più efficace organizzazione dell’ufficio, permettendo il pieno dispiegamento delle potenzialità degli UPP.
MAGARAGGIA Fortunatamente al Tribunale di Verona arriveranno 47 addetti UPP sui 50 previsti. Non si ha, quindi, il problema di altri Tribunali (ad esempio Venezia) che hanno visto destinato un numero significativamente inferiore a quello atteso.
Per tempo si è effettuata la ricognizione degli spazi e la verifica dei punti rete e delle risorse tecnologiche necessarie. E’ stato un lavoro molto lungo, ma, allo stato, tutti gli addetti UPP dovrebbero avere una postazione lavorativa completa.
È stato, inoltre, predisposto un piano di accoglienza.
Al fine di distribuirli secondo le competenze, è stata pubblicata sul sito del Tribunale, oltre alla scheda anagrafica, anche una scheda professionale contenente curriculum, grado di alfabetizzazione digitale e preferenze di settore. Entrambe dovranno essere compilate dagli addetti UPP prima del loro arrivo.
Successivamente verranno organizzate dal Presidente e dal Dirigente amministrativo delle interviste che saranno materialmente gestite da una o più commissioni composte da un Presidente di sezione (civile e penale) o loro delegato e da un Direttore amministrativo (civile e penale). È prevista anche una prova pratica per verificare il grado di alfabetizzazione digitale.
Tutto questo dovrebbe attenuare le inevitabili difficoltà che si presenteranno. Prima fra tutte l’emanazione, da parte del Dirigente amministrativo, degli ordini di servizio, di non semplice predisposizione, stante l’elevato numero di addetti UPP e considerate le loro competenze “miste” (di ausilio al giudice e alle cancellerie).
Se devo ipotizzare delle criticità, ora e nel futuro, penso alle seguenti: che gli addetti UPP, per carenza di competenze iniziali o acquisite successivamente, non siano operativi in tempi brevi; che gli addetti UPP non garantiscano una presenza costante (fisiologica un’assenza per maternità, malattia, congedo al massimo del 5%); che il personale amministrativo, già in forte sofferenza viste le carenze di organico, non riesca a sostenere il prevedibile aumento dei carichi di lavoro; che non si attui un positivo rapporto di collaborazione tra il personale amministrativo esistente e gli addetti all’UPP; che la gestione amministrativa di 47 unità di addetti UPP gravi eccessivamente sull’ufficio di segreteria e sul Dirigente amministrativo; che inizino rivendicazioni sindacali sul mansionario degli addetti UPP.
MANNINO Ciascuna sezione ha specificamente indicato talune delle specifiche e peculiari criticità che sin d’ora ha individuato quali ostacoli alla realizzazione degli obiettivi programmati.
In particolare, per tutte, appaiono sussistenti le seguenti criticità:
- le carenze di spazi idonei e sufficienti per la collocazione degli addetti all’UPP in stanze che consentano un loro continuo e diretto contatto con i magistrati a fianco dei quali essi dovranno operare;
- i tempi che saranno necessari per il proficuo addestramento degli addetti all’interno delle sezioni di assegnazione, che, in concreto, incideranno, riducendoli, sui tempi di effettiva operatività per l’attuazione dei progetti ed il raggiungimento degli obiettivi.
PICARDI L’adeguamento ad un modello culturale di giudice molto diverso da quello attualmente esistente.
L’UPP per essere operativo richiede un giudice che sia innanzitutto capace di essere un team manager e non solo quello di essere un conoscitore della materia giuridica della quale si occupa.
A questo deve aggiungersi la necessità di un coordinamento anche cronologico fra le attività che concorrono alla creazione degli Uffici per il Processo.
In altri termini per essere operativo l’Ufficio per il Processo abbisogna che le strutture, l’impiantistica e l’attività di formazione siano tutte completate.
Prime Conclusioni
Come era del resto prevedibile, su molti argomenti oggetto di attenzione, dalle risposte dei dirigenti degli uffici si riscontrano soluzioni diversificate (ad es. sul coinvolgimento dei g.o.p. e dei tirocinanti nell’U.P.P.; sulla destinazione dei nuovi funzionari alle sezioni ovvero ai singoli giudici; sulle attribuzioni esclusive o promiscue dei componenti dell’U.P.P., ecc.).
Per quanto il campione oggetto di analisi sia necessariamente ridotto, sembra confermato il rilievo per cui nei tribunali saranno attivati moduli disparati di U.P.P., anche per una comprensibile sperimentazione sul campo della migliore soluzione organizzativa per le specificità dell’ufficio.
Appare significativa, di contro, la scelta coerente di una prevalente destinazione dei funzionari al settore civile, dove sicuramente risulta più arduo il conseguimento dei target previsti dal P.N.R.R.
Di rilievo anche la valorizzazione delle cd. “attività trasversali” (che costituiscono forse uno degli elementi di maggior interesse progettuale dell’ U.P.P.), molto variegate e potenzialmente efficaci.
Importante anche il diffuso impiego dei nuovi funzionari in tutti i settori del Tribunale, senza valutazioni settoriali esclusive.
Il contributo dell’Università, coinvolta in un ingente finanziamento a supporto dell’U.P.P., non appare comprensibilmente ancora tratteggiato compiutamente, ma i dirigenti degli uffici riconnettono a questo innovativo rapporto la prefigurazione di progetti innovativi allo stato non ancora delineati.
È auspicabile che il ministero possa elaborare un monitoraggio complessivo della struttura dei progetti organizzativi, fornendo elementi di conoscenza utili per apportare possibili modifiche in progress ad una struttura intrinsecamente duttile, anche e soprattutto per l’assoluta novità di sperimentazione.
Le verifiche sul campo ed un intenso e periodico monitoraggio, specie nella fase del decollo dell’U.P.P. offriranno certamente elementi di riscontro per utili correzioni di rotta.
In tale attività dovranno essere coinvolti tutti i soggetti operanti nei Tribunali, a partire dagli avvocati (forse sin qui non adeguatamente coinvolti nel progetto), e non a caso proprio dal mondo forense provengono le più marcate diffidenze nei confronti del’U.P.P.
Il tema della formazione (che impegnerà la fase di avvio dell’U.P.P.), resta sullo sfondo come fondamentale, e la domanda di moduli efficaci viene rimessa al Ministero ed alla Scuola superiore della magistratura (verosimilmente nelle articolazioni territoriali), che avranno un compito particolarmente impegnativo di fronte ad una platea così ampia di utenti.
Senza contare a parimenti indispensabile attività di raccordo ed interlocuzione con i dirigenti degli uffici.
Tanti aspetti che si intersecano e che troveranno un’auspicabile sintesi nei prossimi mesi.
Non sembri azzardato tuttavia cogliere elemento comune (e di non trascurabile rilievo) dalle risposte dei presidenti intervistati: pur nelle oggettive difficoltà (specie logistiche) che inevitabilmente caratterizzano l’esordio dell’Ufficio per il Processo, si evidenzia un corale ottimismo della volontà nel raccogliere la sfida proposta dall’U.P.P. e la determinazione di conseguire gli impegnativi obiettivi previsti.
Credo che possa essere valutata positivamente la circostanza che i dirigenti degli uffici giudiziari abbiano ben compreso l’importanza della posta in gioco, per passare dalla fase del dibattito teorico sull’ “an” dell’Ufficio per il Processo (con le perplessità relative alla scelta di puntare su questo specifico strumento operativo), ad un più realistico e concreto “quomodo”, inteso a dare la migliore attuazione della riforma, che necessariamente coinvolge, a partire da oggi, tutti i magistrati e i funzionari amministrativi che operano negli uffici giudiziari.
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