Bruno Capponi intervista Michele Navarra
Michele Navarra è romano, romanista, cinquantatré anni (ma ne dimostra meno), sposato, due figlie, avvocato da quasi trent’anni, (pseudo) scrittore da quindici, otto romanzi all’attivo, l’ultimo dei quali ancora inedito e in uscita a giugno per l’editore Fazi. Esordisce nel 2007 con “L’ultima occasione”, cui seguono “Per non aver commesso il fatto” (2010), “Una questione di principio” (2013), “Solo la verità” (2015), “A Dio piacendo” (2018), “Solo Dio è innocente” (2020), “Nella tana del serpente” (2021), grazie al quale per la prima volta viene tradotto all’estero, in Spagna e nei paesi di lingua spagnola. Il protagonista di tutti i suoi romanzi – che hanno vinto numerosi premi letterari e i cui diritti cine-televisivi sono stati recentemente opzionati – è l’avvocato penalista Alessandro Gordiani.
Caro Michele, mi spiace quasi di dovertelo dire ma stai diventando uno scrittore di successo. Com’è stato possibile?
Guarda, Bruno, a volte non riesco a spiegarmelo nemmeno io. Non me ne capacito. Perseveranza forse, fortuna sicuramente, anche se ho dovuto faticare un bel po’ prima di riuscire ad arrivare al grande pubblico. Del resto, se una persona come te è riuscita a diventare uno stimato professore universitario, perché mai io non avrei dovuto diventare uno scrittore di successo?
Parlando con te mi sono reso conto che hai una conoscenza approfondita del legal thriller non soltanto italiano. Come mai, lavori poco come avvocato? Hai molto tempo libero?
In realtà, faccio l’avvocato nei ritagli di tempo, quando non sono impegnato a leggere o a giocare a tennis (peraltro con risultati abbastanza modesti). I romanzi e i film di ambientazione legale mi hanno sempre affascinato, fin da quando ero un lettore in erba. Mi piaceva quella dialettica processuale, una sorta di ars maieutica che portava l’avvocato a tirar fuori dal testimone, e di conseguenza dal processo, la verità. Poi ho scoperto che nella vita professionale reale questo avveniva molto di rado, quindi ho preferito tornare a rifugiarmi nei libri (e nel tennis).
Scrittori come te, che hanno poca inventiva, si affidano a rigidi schemi narrativi. Tu come costruisci una tua storia?
In genere, cerco di seguire i tuoi consigli e di scopiazzare i romanzi di autori più capaci di me, ma la maggior parte delle volte non sono nemmeno bravo a copiare. Quindi, mi tocca provare a inventare e quasi sempre mi vengono fuori storie talmente strampalate, che anche le tue in confronto sembrano un capolavoro di coerenza logica.
Perché hai inventato un personaggio seriale? Non temi che il pubblico lo trovi noioso?
Credo che la serialità sia uno dei segreti del mio inspiegabile successo. Il pubblico si affeziona al personaggio, ancorché (come nel mio caso) poco riuscito, e vuole seguirne l’evoluzione. Insomma, si crea una sorta di empatia tra lettore e protagonista del romanzo.
Succede spesso che gli scrittori, o aspiranti tali, scrivano un buon primo libro e poi non riescano a mantenersi a un buon livello. È successo anche a te?
Non saprei, perché io non ho mai scritto un buon libro, quindi il mio livello si è in realtà mantenuto sempre piuttosto bassino. Ma sono fiducioso che prima o poi riuscirò a scrivere qualcosa di decente.
Cosa ti spinge a scrivere, invece di fare cose più utili?
Per me scrivere non è affatto un’attività inutile, perché mi aiuta a capire quali sono le cose davvero utili. Insomma, scrivere è utile proprio perché inutile. Non ti distrarre come fai di solito e cerca di seguire il ragionamento, per favore.
Che rapporto c’è tra il te che non scrive e l’avvocato Alessandro Gordiani?
Il classico rapporto di odio-amore. Il me che non scrive fa l’avvocato (tennis a parte) e come avvocato non sopporta il coraggio di Gordiani e la sua capacità di riuscire a venir fuori dalle situazioni più complicate. Non sopporta che a Gordiani sia concessa anche la possibilità di sbagliare, tanto poi c’è qualcuno (l’io-Navarra che scrive) che riesce sempre a trovare qualcosa per tirarlo fuori dai guai (qualcosa di scopiazzato da altri autori, s’intende). D’altra parte, però, l’io che non scrive è grato ad Alessandro Gordiani per il fatto che, grazie a lui e alle storie di cui è protagonista, si è ritagliato un piccolo spicchio di notorietà, il che, da buon egocentrico, lo gratifica alquanto.
Una volta ti ho sentito dire che non sopporti gli scrittori di legal thriller che presentano storie poco realistiche, o addirittura in contrasto con le regole del processo penale. Perché questa avversità?
Perché il nostro processo penale è straordinariamente avvincente e non c’è alcun bisogno di inventare situazioni irreali, che per me risultano addirittura involontariamente comiche, o di scimmiottare schemi narrativi e giudiziari tipici di altri paesi (mi riferisco in particolare a quelli di stampo anglosassone). E questo sia per la letteratura che per la cinematografia. Insomma, da noi l’avvocato non si alza dalla sua sedia per andare vicino al banco del testimone a interrogarlo e incalzarlo di domande guardandolo negli occhi… Se facessi io una cosa del genere in aula, tempo due minuti e il giudice mi farebbe accompagnare al più vicino centro di igiene mentale…
Secondo te uno scrittore di successo deve essere anche un uomo affascinante?
Non necessariamente, anche se di certo non guasta. Ad esempio, se un giorno, per assurdo, tu dovessi diventare uno scrittore di successo, saresti entrambe le cose, un mix praticamente irresistibile. Uno scrittore di successo per giunta affascinante… tanta, tantissima roba insomma.
Perché gli scrittori italiani di legal thriller si prendono tanto sul serio?
Non tutti, caro Bruno. Per fortuna, c’è ancora qualcuno che non fa nemmeno finta di prendersi sul serio.
Se hai avuto successo tu, può averlo chiunque. Quali consigli dai a un penalista che voglia scrivere legal thriller?
Di provarci e riprovarci, perché un colpo di fortuna può sempre capitare, come è successo nel mio caso. Se poi fossero anche bravi a scrivere sarebbe meglio.
Caro Michele, mi fa sempre piacere parlare con te, nonostante tutto. È un fatto reciproco?
Se fossi sincero dovrei risponderti di no, ma siccome sono (a tempo perso) un avvocato – che, come ben sai, mente per definizione – ti risponderò di sì, anzi, bugia più bugia meno, ti ringrazio di cuore per questa bella intervista e ti confesso che mi sono molto divertito a rispondere alle tue domande. Parola di avvocato!