ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. «Diritto vivente»: un'introduzione - 2. La «nomofilachia» e la forza del «precedente» - 3. I rapporti nel tempo fra Corte di Cassazione e Corte costituzionale.
1. «Diritto vivente»: un’introduzione
La dottrina del diritto vivente, in disparte la solidità dei riferimenti tecnico-giuridici del concetto, riflette la fluidità e il dinamismo del tessuto delle relazioni e delle tensioni fra Corte costituzionale e Potere giudiziario - in particolare la Corte di cassazione, ma anche il Consiglio di Stato e la Corte dei conti - e nello stesso tempo identifica e monitora la tenuta del modello italiano di giustizia costituzionale [1].
Risulta invero fluida e dinamica la stessa definizione del sintagma «diritto vivente», con riguardo alla identificazione della norma (non della disposizione, secondo la tradizionale lezione crisafulliana [2]), «come essa vive nell’esperienza giurisprudenziale»[3], perciò nell’effettività dell’ordinamento, che costituisce l’oggetto (e il presupposto interpretativo) dello scrutinio di costituzionalità delle leggi in via incidentale.
Con riguardo alla regola procedurale del giudizio di costituzionalità, la Corte qualifica come situazione di fatto, idonea ad attestare l’esistenza di un diritto vivente [4] l’interpretazione giurisprudenziale consolidata della norma, le cui coordinate sono offerte dal tenore univoco, reiterato, costante e conforme dell’orientamento del giudice di legittimità (soprattutto delle sezioni unite della Cassazione laddove compongono conflitti infrasezionali, ma anche di una sezione semplice se esclusivamente competente nella materia), nonché dalla specificità della questione di diritto attinta da quella opzione ermeneutica.
2. La «nomofilachia» e la forza del «precedente»
La dottrina del diritto vivente s’intreccia con il progressivo affermarsi nel tempo, anche nel lessico del legislatore, del ruolo di guida coerenziatrice della Corte suprema di cassazione nella formazione del «precedente» [5], con la conseguente logica conformativa ad esso.
In funzione della tendenziale certezza del diritto, particolarmente avvertita nella materia processuale, e degli elementi qualitativi della prevedibilità e omogeneità delle decisioni e della uguaglianza degli spazi di tutela dei diritti fondamentali della persona, il legislatore moderno (dall’ancora vigente art. 65 ord. giud. di cui al r.d. n. 12/1941 fino alle più recenti riforme del processo civile e penale di cassazione: d.lgs. n. 40/2006; d.l. n. 168/2016, conv. dalla l. n. 197/2016; l. n. 103 del 2017; d.lgs. n. 149 del 2022) riscopre il valore della «uniforme applicazione della legge», enfatizzando, per il perseguimento dell’obiettivo, lo strumento della «nomofilachia».
Le moderne teorie dell’interpretazione hanno messo in risalto la centralità della figura dell’interprete, il suo ruolo integrativo o parzialmente creativo della norma - sempre che non superi la linea di rottura con il dato positivo emergente dalla letteralità del testo («non contro ma oltre la legge» [6]) -, l’assetto multilevel delle fonti, sia legislative che giurisprudenziali, e il conseguente pluralismo delle letture ermeneutiche.
Sicché, a fronte del rischio di liquidità e incalcolabilità del diritto [7], il sistema di giustizia appresta, mediante la sapiente costruzione da parte della Corte di cassazione di una rete di autorevoli precedenti, «una bussola agli operatori del diritto per orientarsi in un contesto ordinamentale tanto fluido» [8].
Si avverte tuttavia che la nomofilachia, nella più larga e moderna accezione, orizzontale e circolare, «non è un valore assoluto ma metodologico» che, nell’inarrestabile evoluzione della giurisprudenza, confluisce dinamicamente nel «dovere funzionale di ragionevole mantenimento della soluzione ragionevolmente conseguita» [9].
Essa si atteggia nella veste di metodo discorsivo, ispirato al principium cooperationis, e si qualifica in termini di procedura di formazione del precedente, il cui vincolo ermeneutico, seppure indiretto e mediato [10], assume un carattere logico-argomentativo in forza delle ragioni che lo giustificano (auctoritas rerum similiter iudicatarum).
Ne discende, come lineare corollario, che i relativi canoni debbano essere assistiti da un rigoroso disciplinamento, anche deontologico, che assicuri il rispetto, insieme con la «legalità penale», anche della «legalità dell’interpretazione» [11].
3. I rapporti nel tempo fra Corte di cassazione e Corte costituzionale
Le relazioni fra le due Corti hanno vissuto fasi di tensioni e conflitti talora anche aspri. Dalla «prima» alla «seconda guerra», meglio: dalla concorrenza fra le due Corti per l’occupazione degli spazi di autonoma lettura interpretativa della norma, passando attraverso vari e progressivi assestamenti delle tecniche di composizione di volta in volta adottate (ad esempio: le sentenze interpretative di rigetto o di accoglimento, la doppia pronuncia e la teoria dell’interpretazione conforme), sembra intravedersi, dopo circa trent’anni, la transizione verso una più matura e virtuosa età del dialogo e della cooperazione, in coerenza sia con gli interventi legislativi che si sono sviluppati nel tempo a favore degli schemi e delle prospettive della nomofilachia, sia con la contestuale e operosa apertura al dialogo con le Corti europee di Strasburgo e Lussemburgo.
Appaiono, infatti, significativamente apprezzabili sia la progressiva valorizzazione da parte delle decisioni della Corte costituzionale degli approdi ermeneutici della Cassazione (soprattutto delle sezioni unite), sia il self restraint esercitato dalla stessa Corte a favore del rilievo nomofilattico del diritto vivente formatosi sulla questione controversa, fatti salvi in ogni caso il margine di apprezzamento degli indici rivelatori circa la effettiva «vivenza» della norma e la riserva di valutazione della compatibilità di questa con la Costituzione.
Si è perspicuamente affermato che fluidità, criticità e nuove declinazioni nella concreta applicazione della dottrina del diritto vivente rendono l’equilibrio sempre incerto e instabile quanto alle rispettive linee di confine. Si avverte tuttavia la comune consapevolezza che il modello italiano di giustizia costituzionale si andrà delineando storicamente anche alla stregua della qualità delle relazioni che s’instaureranno, di tempo in tempo, fra Corte costituzionale e Potere giudiziario, in particolare la Corte di cassazione.
[1] L’assunto è confermato dal titolo - “A che punto è la dottrina del diritto vivente?” - del confronto sul tema, aperto ai giovani studiosi dalla Direzione della Rivista Giurisprudenza costituzionale, i cui contributi saranno pubblicati nel n. 5/2023 della stessa Rivista.
[2] V. CRISAFULLI, voce Disposizione (e norma), in Enc. Dir., XIII, 1964, Milano, p. 195 ss.
[3] T. ASCARELLI, Giurisprudenza costituzionale e teoria dell’interpretazione, Cedam, 1957.
[4] L’espressione compare, per la prima volta, in C. cost., n. 276/74, cui adde, per gli indicatori dei caratteri del diritto vivente, C. cost., n. 89/2018 e n. 89/2021.
[5] M. TARUFFO, Precedente e giurisprudenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, p. 709 ss.; P. CURZIO, Il giudice e il precedente, in Quest. giust., n. 4/2018, p. 578 ss. Cfr., volendo, G. CANZIO, Legalità penale, processi decisionali e nomofilachia, Atti del convegno “Tra legge e giudice alla ricerca di un equilibrio per la legalità penale” (Firenze, 20 maggio 2022), in Sist. pen., n. 12/2022, p. 49 ss.; ID., La funzione nomofilattica fra dissenting opinion ed esigenze di trasparenza, in Scenari e trasformazioni del processo penale. Ricordando Massimo Nobili, a cura di C. Iasevoli, ESI, 2020, p. 125 ss.
[6] Si esprime esattamente e sorprendentemente in termini G. MATTEOTTI, Il concetto di sentenza penale, in Riv. Pen., 1918, vol. LXXXVIII, p. 362. Sul tema, v. Cass., sez. un. pen., n. 8770/2018, Mariotti e n. 18288/2010, P.G. in proc. Beschi.
[7] N. IRTI, Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, p. 11 ss. Sulla crisi del normativismo e sulle moderne tecniche di legistica, cons. AA.VV., Giudici e legislatori, in Dir. pubbl., 2016, p. 483 ss.
[8] B. SBORO, Il “diritto vivente” nel giudizio incidentale, in Quad. cost., n. 2/2023, p. 381 ss.
[9] G. BORRE’, L’evoluzione della Corte nel diritto commerciale e del lavoro, nel diritto pubblico e processuale civile, in La Corte di cassazione nell’ordinamento democratico, Milano, 1996, p. 252 ss.
[10] Sulla regola di raccordo fra sezioni semplici e sezioni unite della Cassazione, v. per il giudizio civile l’art. 374, comma 3, c.p.c., sost. dall’art. 8 d.lgs. n. 40 del 2006, e per il giudizio penale l’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., ins. dalla l. n. 103 del 2017, in coerenza con quanto analogamente previsto sia per il giudizio amministrativo dall’art. 99, comma 3, d.lgs. n. 104 del 2010 che per quello contabile dagli artt. 42, comma 2, l. n. 69 del 2009 e 117 d.lgs. n. 174 del 2016, con riguardo alle decisioni dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato e, rispettivamente, delle sezioni riunite della Corte dei conti. Per il positivo scrutinio di legittimità costituzionale della regola, C. cost. n. 30 del 2011.
[11] F. PALAZZO, Legalità penale, interpretazione ed etica del giudice, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2020, 1249; V. MANES, Dalla fattispecie al precedente: appunti di deontologia ermeneutica, in Dir. pen. contemp., 17/1/2018; A. SANTANGELO, Precedente e prevedibilità. Profili di deontologia ermeneutica nell’era del diritto penale giurisprudenziale, Torino, 2022.
[12] L. SALVATO, La nomofilachia nella dialettica tra Corte costituzionale e Corte di cassazione, in www.forumquaderni costituzionali.it, 9/11/2018; F. VIGANO’, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in Sist. pen., 19/1/2021.
*Intervento pronunciato in occasione del convegno, I Cento anni della Corte di cassazione "Unica", Roma 28 novembre 2023.
Nel primo decennale della Cassazione unificata Piero Calamandrei la definì «la porta, per la quale la scienza del diritto entra più liberamente nelle aule di giustizia». Resta tuttavia vivo il dibattitto sulla “questione cassazione”, che è anche quella dell’eccessivo numero di ricorsi, segnalato già alla fine del 1800 da Pisanelli, insito in una delle funzioni della Corte, attinente allo ius litigatoris: verificare la corretta applicazione della legge in ogni singola vertenza, in una sorta di terzo grado di giudizio. Radicandosi quest’ultimo, scrisse Mortara, nel «pregiudizio […] il quale canonizzò nel numero tre una mistica guarentigia di verità e di giustizia», questa mistica è causa della proliferazione dei ricorsi e di una crisi rimediabile con un accorgimento semplice: ripristinare le cassazioni regionali.
La questione è più complessa, specie con riferimento alla funzione inerente allo ius constitutionis: rendere principi uniformanti di interpretazione, quale organo supremo «custode della legge», in virtù di un’idea risalente, come lo è il dubbio sulla possibilità di tenerla unita alla prima e sulla sua attualità. La funzione si radica nel modello del giudice “bocca della legge”, fissato nel Corpus iuris di Giustiniano, non realizzato dall’onnipotenza dell’imperatore, assurto secoli dopo a fondamento della concezione della giurisdizione della modernità giuridica, improntata all’ideale illuministico del diritto chiaro e preciso, al primato della legge scritta.
Note ragioni hanno condotto al declino della identificazione del diritto nella legge, sembrando assegnare alla giurisdizione una funzione di creazione del diritto. Stabilire «qual è il “diritto” dello Stato di diritto» è diventato complicato; è entrata in crisi la giustificazione concettuale della funzione nomofilattica. Alla questione sono dedicate intere biblioteche; a noi spetta operare avendo quale faro la Costituzione.
La funzione nomofilattica, come configurata dal nostro ordinamento, ha recepito le intuizioni di Piero Calamandrei secondo cui «la norma che fa obbligo al giudice di giudicare secondo la legge, è una norma di diritto costituzionale che regola i rapporti tra la funzione giurisdizionale e la funzione legislativa»; «il carattere costituzionale del principio della “fedeltà del giudice alla legge”» giustifica un organo incaricato di verificarne l’osservanza. A questa concezione è ispirata la nostra Carta, che ci ha liberato dall’origine divina del potere dei governanti, che ha disarticolato, fissando un equilibrio tra diritti e doveri, sovranità popolare e pluralismo, tra i poteri dello Stato. L’antico dilemma del rapporto tra legiferare e giudicare è stato sciolto stabilendo (art. 101, secondo comma, Cost.): «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». La nozione di «legge» è stata resa riferibile all’ordinamento giuridico, interno ed internazionale, nella sua complessità, ma ne è stato mantenuto fermo il primato, fissando, mediante un sapiente sistema di raccordi, i cardini essenziali dello Stato costituzionale di diritto e di una moderna democrazia pluralista: i principi di separazione dei poteri e di legalità quali aspetti della forma democratica, garantiti anche dal primato della legge.
Nell’ordinamento costituzionale l’interpretazione della disposizione implica il potere-dovere di scegliere tra diverse possibili risposte, ma la scelta presuppone un quadro di diritto positivo che il giudice deve leggere nel miglior modo possibile, che preesiste alla sua decisione, non è creato da lui: è una funzione "dichiarativa", con esclusione di un’efficacia direttamente creativa.
La Costituzione ha stabilito il perdurante primato della legge; è, quindi, attuale la funzione nomofilattica, garanzia dell’equilibrio dei poteri, del principio di uguaglianza e del diritto fondamentale alla certezza, funzione che, per contenuto e finalità, deve spettare ad una Corte unica. Aveva ragione Piero Calamandrei quando nel corso dei lavori della Costituente esclamò: «voler parlare di una Cassazione plurima è una mostruosità!», certo lo è per la funzione nomofilattica.
Questa funzione dà ragione della configurazione del pubblico ministero di legittimità quale parte della Corte, non mero agente “presso” quest’ultima (art. 104, Cost.), portatore dell’interesse pubblico alla difesa del diritto e della sua unità, cui spetta, quale parte pubblica, fornire gli elementi per la corretta identificazione del significato e dell’applicazione della legge, per garantire una formazione dialettica del giudizio che deve prescindere dagli interessi specifici delle parti.
Il legislatore ha rivitalizzato la funzione nomofilattica, da ultimo, disegnando una Corte che opera a tre livelli, per dare risposte tempestive ed adeguate alle finalità per le quali è nata. Gli input sono stati valorizzati dalla Corte e dalla Procura generale con misure che stanno dando positivi risultati, di cui non posso dare conto.
Vi sono criticità della disciplina, ma involgono tecnicalità alle quali si può dare soluzione, purché siamo consapevoli della sfida da affrontare: recuperare la consapevolezza della nomofilachia quale funzione di garanzia dell’equilibrio costituzionale, che ha il suo fondamento nel primato della legge, cui solo spetta assicurare la razionalità politica e giuridica di cui ogni collettività ha bisogno; recuperare la fiducia nella capacità ordinante della scienza giuridica: coerenza sistematica e precisione dommatica sono irrinunciabili ai fini della certezza; ricordare che la cultura giuridica è di tutti gli operatori del diritto ed è centrale il dialogo, che vuol dire capacità di ascolto e rifiuto dell’autoreferenzialità; affermare che finalità del processo è accertare la «verità giudiziaria», che è tale solo se raggiunta nel rispetto dei principi del giusto processo, di cui custode ultimo è la Corte, baluardo contro il rischio della plebiscitarizzazione del giudizio, alimentato dalle nuove forme della comunicazione.
È una sfida difficile, che può, deve, essere vinta, non dalla sola Corte, ma da questa insieme al Foro ed all’Accademia, nel ricordo dell’affermazione di Pisanelli riportata da Calamandrei in apertura al II volume sulla Cassazione civile: la Corte è «una di quelle grandi conquiste che la civiltà non può più perdere senza indietreggiare essa stessa».
*Intervento pronunciato in occasione del convegno, I Cento anni della Corte di cassazione "Unica", Roma 28 novembre 2023.
[Immagine: Giorgio Vasari, Giustizia, 1542, Venezia, Gallerie dell'Accademia]
di Giuseppe Amara
Nel presente contributo verranno riportate le principali novità introdotte dalla legge 24 novembre 2023, n. 168 recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, sia all’interno del Codice penale che del Codice di rito che nell’ambito di altre norme, tra cui il testo unico in materia di misure di prevenzione. In nota, per comodità di lettura, verrà riportato il testo di legge.
Sommario: 1. Premessa - 2. Modifiche al Codice penale – 3. Modifiche al Codice di procedura penale - 4. Modifiche al Testo unico in materia di misure di prevenzione - 5. Ulteriori modifiche - 6. Conclusioni.
1. Premessa
Il 24 novembre scorso è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 168/2023 contenente disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, in vigore dal 9 dicembre.
A fronte dell’intento del Legislatore di porre un argine ad una piaga strutturale del nostro tessuto sociale che, in quanto tale, non può essere trattata alla stregua di un fenomeno emergenziale di nuova emersione, ad una prima rapida lettura del testo, si registrano talune incongruenze sistematiche che richiederanno un’attenta attività di sussunzione.
Il Legislatore, nell’ottica di un raccordo con la normativa sovranazionale (Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata ai sensi della legge 77/13) e la giurisprudenza CEDU, è intervenuto introducendo modifiche al Codice penale, al Codice di rito ed alla normativa in materia di misure di prevenzione e di ammonimento e di informazione alle vittime.
Di seguito una rapida carrellata di quelle di ritenuto maggior impatto pratico.
2. Modifiche al Codice penale
È stato riscritto il comma 5 dell’art. 165 c.p. [1], sulla sospensione condizionale della pena, con peculiare riferimento all’analitica descrizione dei percorsi di recupero cui deve sottoporsi l’imputato condannato per taluni reati come da – immutata – elencazione. In particolare, all’art. 15, il Legislatore ha introdotto un riferimento specifico alla frequenza richiesta nella partecipazione ai suddetti corsi (almeno bisettimanale), al contempo precisandone la natura di percorsi di recupero che andranno svolti presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero; ancora, si è posto l’accento sulla necessità che la verifica del positivo superamento sia demandata al Giudice il quale dovrà valutare i contenuti delle relazioni informative degli enti interessati, verificando la rispondenza degli obiettivi raggiunti dall’imputato alle prescrizioni impartite. È stata poi prevista una disciplina di coordinamento tra la cessazione della misura cautelare in caso di condanna con pena condizionalmente sospesa ai sensi dell’art. 300 comma 3 c.p.p., e le comunicazioni all’autorità di pubblica sicurezza deputata a valutare la necessità di adottare una delle misure di prevenzione di cui al d.lgs. 159/11. In particolare, è stata introdotta una tempistica alquanto stringente che impone all’autorità di P.S. di decidere “tempestivamente” sulla opportunità di avanzare la relativa richiesta ed al Tribunale di pronunciarsi entro 10 giorni, applicando, se del caso, una misura di prevenzione di durata non inferiore a quella dei corsi di recupero. Sul punto, come già puntualmente argomentato, la norma dovrà essere letta in stretto coordinamento con l’art. 166 comma 2 c.p. che prevede come la condanna a pena condizionalmente sospesa non possa costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, richiedendo pertanto la necessaria presenza di fatti nuovi sottostanti l’applicazione della misura di prevenzione. Ancora, viene sollecitata la tempestiva comunicazione di ogni violazione al P.M., così da consentirgli di attivare le facoltà di cui all’art. 168 comma 1 n. 1 c.p. afferenti alla revoca del beneficio.
Con il medesimo art. 15 (comma 2) è stato poi introdotto il secondo comma dell’art. 18 bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie del Codice penale che, nei casi di cui sopra, ha previsto un sistema di controlli e comunicazioni tra cancelleria del Giudice, UEPE ed ufficio del Pubblico Ministero, funzionale a verificare l’effettiva partecipazione ai suddetti corsi ed eventuali violazioni rilevanti ai fini della revoca della sospensione.
Spostandosi sul libro II del Codice, il Legislatore è intervenuto coprendo una lacuna emersa nella prassi quotidiana, in particolare è stata prevista l’estensione dell’oggettività della fattispecie di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all’art. 387 bis c.p., adesso integrata anche dalla violazione dell’ordine di protezione previsto dall’art. 342 ter c.p., primo comma, del codice civile, ovvero di un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale di coniugi o nel procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Ancora, il Legislatore è intervenuto sulla pena della fattispecie, aumentando nel massimo la cornice edittale (che passa da 3 anni a 3 anni e 6 mesi), così da consentire l’adozione di misure cautelari, ad oggi non consentite nonostante si vertesse in ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza di reato cui, pertanto, seguiva sempre l’immediata liberazione dall’arrestato. Tale previsione, peraltro, andrà letta in coordinamento con quelle processuali, di seguito riportate, ed in particolare con l’art. 280 comma 3 bis c.p.p. che, di fatto, consentirà l’adozione di misure anche di natura custodiale e con la modifica dell’art. 391 comma 5 c.p.p. tramite inserimento della fattispecie di cui all’art. 387 bis c.p. nel novero di quelle che consentono l’applicazione di misura anche al di fuori dei limiti di pena.
Stante il riflesso sostanziale, si riporta all’attenzione la modifica dell’art. 8 (ammonimento del Questore) del d.l. 23/11/09 n. 11, convertito in l. 38/09, modifica consistita nell’estendere la portata dell’aggravante specifica e la procedibilità d’ufficio nei delitti di cui agli artt. 612 bis e ter c.p. anche alle ipotesi in cui il fatto sia stato commesso in danno di persona offesa diversa da quella tutelata attraverso la precedente procedura di ammonimento. Sul punto, si segnala che la modifica ha inteso inoltre estendere la portata applicativa dell’ammonimento d’ufficio del Questore, aumentando il novero delle fattispecie presupposto
3. Modifiche al Codice di procedura penale
Le modifiche al Codice di procedura penale risultano molteplici e particolarmente incisive: disciplinano istituti processuali di nuovo conio e ne ampliano la portata di altri già noti. Di seguito, si riporteranno quelle di maggior rilievo pratico.
Innanzi tutto, si richiamano talune norme che, unitariamente lette, hanno come chiaro intento quello di inasprire il trattamento cautelare relativamente ai reati di cui all’art. 387 bis c.p. (violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) e di lesioni aggravate dagli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del Codice penale.
In particolare, all’art. 275 comma 2 bis c.p.p. in tema di criteri di scelta delle misure è stato aggiunto un periodo che estende anche ai reati anzidetti la deroga alla disciplina che esclude l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere in caso di prognosi di condanna non superiore ai tre anni di reclusione.
Ancora, nella medesima ottica, è stato introdotto il comma 3 bis all’art. 280 c.p.p. che esclude l’applicazione dei commi 1, 2 e 3 in relazione al medesimo elenco di reati (articoli 387 bis e 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma c.p.). La portata di questa norma, all’evidenza, risulta amplissima risultando ammissibile, in ipotesi, applicare anche la custodia carceraria per fattispecie che in passato erano prive di copertura cautelare anche non custodiale ovvero per fattispecie che, quanto meno in astratto, potrebbe non riguardare strettamente casi di violenza domestica o sulle donne (si pensi, ad esempio, alle lesioni aggravate dal rapporto di parentela in assenza di convivenza).
Ancora, è stato aggiunto un periodo al comma 6 dell’art. 282 bis c.p.p. (allontanamento dalla casa familiare) che prevede la possibilità di applicare la misura anche a talune fattispecie che, in astratto, non lo consentirebbero, precisando, inoltre, l’utilizzo obbligatorio delle modalità di controllo previste dall’art. 275 bis c.p.p., il c.d. “braccialetto elettronico”, il cui diniego all’applicazione può comportare anche l’applicazione congiunta di misure più gravi, con la prescrizione al cautelato del divieto di avvicinarsi, ad una distanza inferiore ai 500 metri, alla casa familiare e ad altri luoghi frequentati dalla persona offesa (prevedendo deroghe per ragioni lavorative). Si rileva come tale margine spaziale risulti alquanto ampio e, unitamente, alla previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza per violazione dell’art. 387 bis c.p., con contestuale applicazione di misure cautelari ora consentite, potrà generare talune criticità operative ed interpretative, specie nei comuni di minore estensione. Analoga formulazione (distanza minima – applicazione obbligatoria del braccialetto elettronico – applicazione congiunta di misure più gravi in caso di rifiuto o impossibilità tecnica) è stata poi ripresa nel successivo art. 282 ter c.p.p. (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).
Ancora, con l’art. 7 è stata introdotta una norma che, per la prima volta, prevede una crono scansione dell’iter di adozione di una misura cautelare. In particolare, con l’introduzione dell’art. 362 bis c.p.p., è previsto che il Pubblico Ministero, effettuate le indagini ritenute necessarie, senza ritardo e comunque entro trenta giorni dall’iscrizione della notizia di reato a carico dell’indagato, valuti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di misure cautelari e, nei venti giorni successivi al deposito della richiesta, il Giudice per le Indagini Preliminari provveda sulla suddetta richiesta. Non è chiara la necessità di introdurre nel Codice di rito un termine (peraltro ben più ampio di quello in cui nella prassi, usualmente, avvengono le determinazioni in questo ambito), privo di alcun apparente rilievo – quanto meno – di natura processuale in caso di sua violazione (con controllo demandato alla Procura Generale presso la Corte d’Appello e Procura Generale presso la Corte di Cassazione, come da modifica illustrata nel paragrafo 5).
Si rimanda a quanto rappresentato nel paragrafo precedente in relazione alla modifica dell’art. 391 comma 5 c.p.p. tramite inserimento della fattispecie di cui all’art. 387 bis c.p. nel novero di quelle che consentono l’applicazione di misura anche al di fuori dei limiti di pena.
È inoltre stato aggiunto l’art. 382 bis c.p.p. (arresto in flagranza differita) che consente agli ufficiali di Polizia Giudiziaria di procedere ad arresto dell’indagato per i reati di cui agli artt. 387 bis – 572 – 612 bis c.p. anche al di fuori dai casi di flagranza, entro le 48 ore successive dalla commissione del fatto e qualora emerga l’inequivoca attribuibilità del fatto alla persona offesa sulla base di documentazione video fotografica o altra documentazione legittimamente acquisita da dispositivi informatici e telematici. Si è fatto, dunque, ricorso ad un istituto, quello della flagranza differita, già conosciuto dall’ordinamento (vedasi normativa di contrasto alla violenza commessa in occasione o a causa di manifestazioni sportive) ed oggetto di ampio dibattito, tenendo a mente i contenuti della riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost.
Altra norma di portata innovativa introdotta dal Legislatore è quella di cui al comma 2 bis dell’art. 384 bis c.p.p. (allontanamento d’urgenza dalla casa familiare dal Pubblico Ministero) che introduce un’ipotesi di misura precautelare di natura non custodiale. Ed in particolare, anche al di fuori dell’ipotesi di flagranza del reato, il P.M., con decreto motivato, può disporre l’allontanamento dalla casa familiare, con divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa agli indiziati dei delitti di cui agli artt. 387 bis – 572 – 612 bis - 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, sulla scorta di fondati motivi che inducono a ritenere sussistente l’esigenza cautelare di cui alla lettera c) dell’art. 274 c.p.p., esigenza che viene ritenuta preponderante sulla tempistica necessaria per richiedere e, in ipotesi, ottenere un’ordinanza cautelare dal G.I.P. Segue la procedura di convalida al G.I.P. sulla falsariga di quella dell’arresto/fermo (richiesta di convalida entro le 48 ore successive all’esecuzione e provvedimento del giudice competente nelle ulteriori 48 ore successive). In ordine a tale, innovativa, previsione di legge, si segnala una scollatura fra il novero dei reati che consentono l’adozione del provvedimento (fra cui anche il reato di atti persecutori) e l’apparente impossibilità di richiedere la misura del solo divieto di avvicinamento, se non come prescrizione ulteriore a quella dell’allontanamento dalla casa familiare che, evidentemente, presuppone un rapporto di convivenza, difficilmente ipotizzabile nei reati di cui all’art. 612 bis c.p. Ancora, si rileva come sia prevista l’adozione della sola misura non custodiale, non potendo il pubblico ministero disporre l’applicazione di una misura custodiale né l’applicazione provvisoria del braccialetto elettronico, limiti questi idonei ad incidere negativamente sull’effettività della tutela della persona offesa.
La previsione di un binario privilegiato per la definizione dei procedimenti iscritti per reati afferenti alla “violenza sulle donne e domestica” è confermata dalla modifica di due norme delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, ovvero l’art. 127 che prevede la necessità di comunicare al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, con cadenza trimestrale, i dati relativi ai procedimenti iscritti di cui all’art. 362 bis c.p.p. (la norma che, come detto, prevede una crono scansione cautelare di non chiaro rilievo, quanto meno processuale) dati che, almeno semestralmente, in un’ottica verticistica dei rapporti tra magistrati dell’ufficio del Pubblico Ministero, andranno comunicati al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nonché l’art. 132 bis che, come noto, disciplina i criteri di priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi, ai quali sono stati aggiunti quelli per reati di cui agli artt. 387 bis, 558 bis, 572, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, I comma, numero 1, e II comma, 583 quinquies, 593 ter, 609 bis-octies, 612 bis, 612 ter III comma c.p.
Si segnala, da ultimo, come siano aumentati gli scambi informativi tra A.G. ed Autorità di Pubblica Sicurezza deputata all’applicazione di misure di prevenzione e di vigilanza della persona offesa (vedasi la modifica dell’art. 299 c.p.p. in tema di revoca e sostituzione delle misure cautelari, con introduzione dei commi 2-ter e 2-quater, ovvero quella già menzionata di cui all’art. 165 c.p.).
4. Modifiche al testo unico in materia di misure di prevenzione
Il Legislatore, nella medesima ottica di tutela delle donne e delle vittime di violenza domestica, è intervenuto potenziando le misure di prevenzione; lo ha fatto ampliando il novero dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione di cui all’art. 4 d.lgs. 159/11, estendendo il novero delle fattispecie spia della pericolosità, prevedendo l’applicabilità, nella sorveglianza speciale, delle misure di controllo di cui all’art. 275 bis c.p.p. (inserimento del comma 3 ter dell’art. 6 d.lgs. 159/11). Ancora, è stata disciplinata, espressamente, all’art. 8 comma 5 del d.lgs. 159/11 la possibilità che il Tribunale, relativamente alla nuova casistica di soggetti pericolosi, imponga il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione, e l'obbligo di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi e da tali persone. Infine, è stata aggiunta la previsione dell’adozione di provvedimenti d’urgenza per la medesima categoria di soggetti pericolosi (art. 9 d.lgs. 159/11) ed in particolare, il Tribunale può disporre la temporanea applicazione, con le particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275 bis c.p.p., del divieto di avvicinarsi alle persone cui occorre prestare protezione o a determinati luoghi da esse abitualmente frequentati e dell'obbligo di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi e da tali persone, fino a quando non sia divenuta esecutiva la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. È stato, inoltre, potenziato il novero degli obblighi informativi in favore della persona offesa.
5. Ulteriori modifiche
La legge 168/2023 ha, inoltre, previsto talune modifiche di natura ordinamentale, al fine di valorizzare, ulteriormente, quelle codicistiche sopra riportate.
A tal proposito, l’art. 5 della legge ha previsto l’aggiunta di un periodo al comma 4 dell’art. 1 del d.lgs. 106/06 in materia di organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, ove è stato prevista anche a livello normativo, precisandola, la necessità che i reati di “violenza contro le donne e domestica” siano trattati da magistrati inseriti in un gruppo.
Di rilievo, inoltre, l’introduzione dell’art. 13 bis alla legge 7 luglio 2016, n. 122 che prevede una provvisionale sulla domanda di indennizzo da richiedere, ai sensi della medesima legge, al Prefetto territorialmente competente.
6. Conclusioni
Il contrasto alla violenza domestica ed in particolare sulla donna è – e deve restare – una priorità del Legislatore.
A fronte di tale ineludibile esigenza, l’intervento normativo qui esaminato pone una specifica attenzione all’inasprimento del trattamento sanzionatorio e soprattutto cautelare, in linea con le esigenze pubbliche di sicurezza.
Vengono inoltre previste norme che, seppur prive di rilievo processuale, introducono una tempistica serrata nella valutazione del rilievo cautelare di vicende spesso nebulose, tempistica la cui violazione, seppur priva di alcun rilievo processuale, potrà determinare altre forme di responsabilità.
A fronte di tale esigenza securitaria, marcata invece è l’esigenza di una crescita culturale e sociale che passi dalle formazioni intermedie e di cui, evidentemente, non potrà farsene carico il Magistrato nell’esercizio delle sue funzioni ma ciascun cittadino che potrà farlo, a mente un passaggio del preambolo della citata Convenzione di Istanbul: “Riconoscendo che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne; Riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione; Riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.
Analogamente, si evidenzia un’esigenza di formazione specifica e multisettoriale fortemente avvertita dagli operatori ma che, allo stato, rimane programmatica e demandata a quanto previsto dall’art. 6 del testo di legge che, in parte, si limita a positivizzare pratiche virtuose già presenti nei programmi di formazione della Scuola Superiore della Magistratura ed alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione, per poi demandare all’Autorità politica delegata per le pari opportunità, la predisposizione di apposite linee guida nazionali, al fine di orientare una formazione adeguata e omogenea degli operatori che a diverso titolo entrano in contatto con le donne vittime di violenza.
[1] All'articolo 165 del codice penale, il quinto comma è sostituito dal seguente: « Nei casi di condanna per il delitto previsto dall'articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, nonché agli articoli 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è sempre subordinata alla partecipazione, con cadenza almeno bisettimanale, e al superamento con esito favorevole di specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, accertati e valutati dal giudice, anche in relazione alle circostanze poste a fondamento del giudizio formulato ai sensi dell'articolo 164. Del provvedimento che dichiara la perdita di efficacia delle misure cautelari ai sensi dell'articolo 300, comma 3, del codice di procedura penale è data immediata comunicazione, a cura della cancelleria, anche per via telematica, all'autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione, ai fini delle tempestive valutazioni concernenti l'eventuale proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali previste nel libro I, titolo I, capo II, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, fermo restando quanto previsto dall'articolo 166, secondo comma, del presente codice. Sulla proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali ai sensi del periodo precedente, il tribunale competente provvede con decreto entro dieci giorni dalla richiesta. La durata della misura di prevenzione personale non può essere inferiore a quella del percorso di recupero di cui al primo periodo. Qualsiasi violazione della misura di prevenzione personale deve essere comunicata senza ritardo al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 168, primo comma, numero 1) ».
[2] Vedasi Linee Guida della Procura di Tivoli nell’applicazione della legge 168/2023, reperibili al seguente link https://www.procura.tivoli.giustizia.it/documentazione/D_11031.pdf.
[3] All'articolo 18-bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, di cui al regio decreto 28 maggio 1931, n. 601, è aggiunto, in fine, il seguente comma: « Nei casi di cui all'articolo 165, quinto comma, del codice penale, la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza la trasmette, al passaggio in giudicato, all'ufficio di esecuzione penale esterna, che accerta l'effettiva partecipazione del condannato al percorso di recupero e ne comunica l'esito al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza. Gli enti o le associazioni presso cui il condannato svolge il percorso di recupero danno immediata comunicazione di qualsiasi violazione ingiustificata degli obblighi connessi allo svolgimento del percorso di recupero all'ufficio di esecuzione penale esterna, che ne dà a sua volta immediata comunicazione al pubblico ministero, ai fini della revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168, primo comma, numero 1), del codice penale ».
[4] a) All'articolo 387-bis: 1) dopo le parole: « tre anni » sono aggiunte le seguenti: « e sei mesi »; 2) è aggiunto, in fine, il seguente comma: « La stessa pena si applica a chi elude l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342-ter, primo comma, del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio».
[5] 3) Il comma 4 è sostituito dal seguente: « 4. Si procede d'ufficio per i delitti previsti dagli articoli 612-bis e 612-ter quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo, anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l'ammonimento previsto dal presente articolo »; b) all'articolo 11, comma 1, dopo la parola: « 572, » sono inserite le seguenti: « 575, nell'ipotesi di delitto tentato, 583-quinquies, » e le parole: « 609-octies o 612-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 7 » sono sostituite dalle seguenti: « 609-octies, 612-bis o 612-ter del codice penale ».
[6] a) all'articolo 275, comma 2-bis, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: « La disposizione di cui al secondo periodo non si applica, altresì, nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 387-bis e 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale »;
[7] «3-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 387-bis e 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale».
[8] All'articolo 282-bis, comma 6: 1) dopo la parola: « 572, » sono inserite le seguenti: « 575, nell'ipotesi di delitto tentato, »; 2) dopo le parole: « 582, limitatamente alle ipotesi procedibili di ufficio o comunque aggravate, » è inserita la seguente: « 583-quinquies, »; 3) le parole: « anche con le modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis » sono sostituite dalle seguenti: « con le modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis e con la prescrizione di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, dalla casa familiare e da altri luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale caso, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni »; 4) sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: « Con lo stesso provvedimento che dispone l'allontanamento, il giudice prevede l'applicazione, anche congiunta, di una misura più grave qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione delle modalità di controllo anzidette. Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi ».
[9] d) All'articolo 282-ter: 1) il comma 1 è sostituito dal seguente: « 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o dalla persona offesa, disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis. Nei casi di cui all'articolo 282-bis, comma 6, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 280. Con lo stesso provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prevede l'applicazione, anche congiunta, di una misura più grave qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione delle modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis. Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi »; 2) al comma 2, le parole: « una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone » sono sostituite dalle seguenti: « una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o da tali persone, disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis ».
[10] Dopo l'articolo 362 del codice di procedura penale è inserito il seguente: « Art. 362-bis (Misure urgenti di protezione della persona offesa). - 1. Qualora si proceda per il delitto di cui all'articolo 575, nell'ipotesi di delitto tentato, o per i delitti di cui agli articoli 558-bis, 572, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583-bis, 583-quinquies, 593-ter, da 609-bis a 609-octies, 610, 612, secondo comma, 612-bis, 612-ter e 613, terzo comma, del codice penale, consumati o tentati, commessi in danno del coniuge, anche separato o divorziato, della parte dell'unione civile o del convivente o di persona che è legata o è stata legata da relazione affettiva ovvero di prossimi congiunti, il pubblico ministero, effettuate le indagini ritenute necessarie, valuta, senza ritardo e comunque entro trenta giorni dall'iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato, la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure cautelari. 2. In ogni caso, qualora il pubblico ministero non ravvisi i presupposti per richiedere l'applicazione delle misure cautelari nel termine di cui al comma 1, prosegue nelle indagini preliminari. 3. Il giudice provvede in ordine alla richiesta di cui al comma 1 con ordinanza da adottare entro il termine di venti giorni dal deposito dell'istanza cautelare presso la cancelleria ».
[11] Dopo l'articolo 382 del codice di procedura penale è inserito il seguente: « Art. 382-bis (Arresto in flagranza differita). - 1. Nei casi di cui agli articoli 387-bis, 572 e 612-bis del codice penale, si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione video-fotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto ».
[12] All'articolo 384-bis del codice di procedura penale, dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti: « 2-bis. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 384, anche fuori dei casi di flagranza, il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, l'allontanamento urgente dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata di taluno dei delitti di cui agli articoli 387-bis, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, e 612-bis del codice penale o di altro delitto, consumato o tentato, commesso con minaccia o violenza alla persona per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l'integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice.
[13] a) all'articolo 4, comma 1, lettera i-ter), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: « o dei delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 575, 583, nelle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583-quinquies e 609-bis del medesimo codice ».
[14] Al fine di favorire la specializzazione nella trattazione dei processi in materia di violenza contro le donne e di violenza domestica, all'articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: « In caso di delega, uno o più procuratori aggiunti o uno o più magistrati sono sempre specificamente individuati per la cura degli affari in materia di violenza contro le donne e domestica ».
[15] Art. 6 Iniziative formative in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica «1. In conformità agli obiettivi della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'Autorità politica delegata per le pari opportunità, anche con il supporto del Comitato tecnico-scientifico dell'Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica, sentita l'assemblea dell'Osservatorio stesso, fermo restando quanto previsto in materia di formazione degli operatori di polizia dall'articolo 5 della legge 19 luglio 2019, n. 69, predispone apposite linee guida nazionali al fine di orientare una formazione adeguata e omogenea degli operatori che a diverso titolo entrano in contatto con le donne vittime di violenza. 2. Nella definizione delle linee programmatiche sulla formazione proposte annualmente dal Ministro della giustizia alla Scuola superiore della magistratura, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, sono inserite iniziative formative specifiche in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica.
[16] Vedasi documento varato lo scorso 3 maggio 2023 denominato “Orientamenti in materia di violenza di genere”.
di Francesco Volpe
Sommario: 1. Se l’azione di rivalsa preesistesse al codice dei contratti pubblici del 2023 – problemi di costituzionalità della nuova disciplina per violazione dell’art. 76 cost. – 2. La nozione di operatore economico. – 3. L’estensione dell’illecito commesso dall’operatore economico. – 4. Buona fede della stazione appaltante e azione di rivalsa. – 5. Il significato di responsabilità concorrente a raffronto con gli artt. 2055 e 1950 c.c. – 6. Dall’azione di rivalsa alla sussistenza di un rapporto di responsabilità solidale tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo, ai fini del risarcimento del danno. L’azione diretta nei confronti dell’aggiudicatario: giurisdizione ordinaria e diverso regime di diritto sostanziale. – 7. Giurisdizione e limiti dell’azione di regresso dell’aggiudicatario illegittimo nei confronti della stazione appaltante. Conseguenze della doverosità dell’autoannullamento dell’aggiudicazione riconosciuta illegittima dal giudice ordinario nell’azione risarcitoria intentata dall’offerente pretermesso verso l’aggiudicatario
1. Se l’azione di rivalsa preesistesse al codice dei contratti pubblici del 2023 – problemi di costituzionalità della nuova disciplina per violazione dell’art. 76 Cost.
Il nuovo codice dei contratti pubblici ha introdotto un’azione di rivalsa che la stazione appaltante, condannata al risarcimento del danno, può esercitare nei confronti dell’operatore economico quando costui, con un suo comportamento illecito, abbia cagionato l’illegittimità dell’aggiudicazione[1].
Già in sede di esame preliminare emergono alcuni profili d’incertezza a proposito di detta azione.
È incerto, in primo luogo, se si tratti di una vera e propria novità. Il codice dice, testualmente, che “resta ferma”[2] la responsabilità dell’operatore economico e questo potrebbe alludere a una sorta di retroattività travestita; vale a dire a uno di quei casi in cui s’intende introdurre una nuova disciplina che si applica anche per il passato, senza però volerlo esplicitare.
Forse, però, non è così, in questo caso. Che l’amministrazione possa rifarsi sull’operatore economico era questione già sostenuta da, pur non amplissima, giurisprudenza.
Ad esempio, una pronuncia del Consiglio di Stato[3] aveva ammesso tale forma di tutela, costruendo un ragionamento che passava per il richiamo operato dall’art. 41, comma 2, c.p.a. all’istituto del litisconsorzio necessario[4], mentre la stessa Plenaria[5] aveva riconosciuto l’azionabilità in astratto della pretesa alla rivalsa, salvo prospettare, dubitativamente, che la sede giurisdizionalmente competente non potesse essere quella del giudice amministrativo.
Se, dunque, la rivalsa forse preesisteva al nuovo codice dei contratti pubblici, la vera novità consiste nel fatto che oggi è esplicitamente ammessa la sua azionabilità proprio davanti al giudice speciale[6], il cui sindacato risulterebbe essere stato, in tal modo, ampliato.
Si pone, così, un problema di validità costituzionale della riforma, perché al legislatore delegato che ha emanato il nuovo codice non era stato affidato il mandato d’incidere sul criterio di riparto[7],[8].
Per la verità, anzi, non era stato consegnato neppure il più generale compito di riscrivere l’intero processo in materia di appalti[9].
2. La nozione di operatore economico.
Un secondo punto incerto attiene alla definizione di chi sia l’operatore economico su cui rivalersi.
Secondo l’allegato I,1 del codice, esso è qualsiasi soggetto capace di offrire sul mercato prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto di una procedura di evidenza pubblica[10]. Quel che qualifica l’operatore economico, dunque, è solo una sua attitudine: quella di operare sui mercati e nemmeno sui soli mercati pubblici.
A fronte di una definizione così ampia, non sembra che, anche ai fini dell’azione di rivalsa, la figura dell’operatore economico debba essere circoscritta al solo aggiudicatario illegittimo. Nella categoria potrebbero rientrare altre figure che pure potrebbero concorrere a cagionare un’aggiudicazione illegittima e, quindi, un risarcendo danno. Ad esempio, potrebbe essere tale l’impresa ausiliaria nelle ipotesi di avvalimento; potrebbe essere un offerente, diverso dall’aggiudicatario, che abbia falsato la media delle offerte economiche o la media per il calcolo delle anomalie. Potrebbe essere operatore economico anche il subfornitore dell’aggiudicatario, il quale abbia falsamente attestato le certificazioni inerenti ai beni scambiati.
Ma se è così, si pone ancora una volta un problema di giurisdizione.
È pur vero, infatti, che, in materia di appalti, il giudice amministrativo si occupa anche di diritti soggettivi (e la rivalsa attiene a un diritto soggettivo). Ma, con riguardo a questa più ampia platea di operatori economici, è difficile sostenere che le controversie siano tutte lambite da quell’esercizio del potere provvedimentale che, secondo la Corte costituzionale[11], è necessario affinché la fattispecie possa essere sindacata, ancorché si verta in una materia di giurisdizione esclusiva[12].
3. L’estensione dell’illecito commesso dall’operatore economico.
Un terzo punto incerto attiene ai confini del comportamento illecito che esporrebbe l’operatore economico a rivalsa.
In estrema sintesi, se è facile comprendere che rientra nella sfera dell’illecito il comportamento dell’aggiudicatario che abbia prodotto in gara dichiarazioni false o false certificazioni, può essere considerato illecito anche il comportamento di quell’operatore, che, senza mentire e senza tacere, abbia invece presentato un’offerta difforme dalla lex specialis[13]?
A ben vedere anche questo offerente viola il diritto oggettivo perché viola gli artt. 91[14] e 107[15] c.c.p. E, secondo quanto ha affermato la sentenza Preden[16], se vi è una violazione del diritto oggettivo accompagnata dalla lesione di una posizione giuridicamente qualificata, questo fatto costituisce causa di risarcimento del danno e quindi di illecito. Eppure, in questo caso, l’offerente non ha tenuto alcun comportamento fraudolento e l’errore ricade sulla stazione appaltante che ha valutato male l’offerta[17], cosicché non è incongruo chiedersi se sia corretto che la responsabilità dell’operatore economico debba essere a tal punto estesa.
4. Buona fede della stazione appaltante e azione di rivalsa.
Questi motivi di incertezza a cui sin qui si è accennato non si risolvono in minimalia.
Preme, però, soffermarsi su altre, più ampie, questioni.
Innanzi tutto, in che modo questa rivalsa e questa responsabilità concorrente avrebbero a che fare con il principio di buona fede, stante che di questa responsabilità si parla nell’art. 5 c.c.p.?
Questo profilo pare più chiaro: se il risarcimento e la conseguente rivalsa vengono correlati alla buona fede, ciò avviene in senso inverso rispetto a quello con cui si invoca (spesso in modo incauto) l’incidenza di tale clausola generale sul diritto amministrativo.
Qui non è in gioco, se non per aspetti marginali[18], la buona fede nutrita dal privato nei confronti dell’agire provvedimentale della pubblica amministrazione, ma, al contrario, la buona fede che la stazione appaltante ripone sul fatto che l’operatore economico non terrà comportamenti scorretti nel formulare la sua offerta[19]. Comportamenti che, poi, potrebbero condurre a un’aggiudicazione illegittima e a un danno da risarcire a terzi. Sicché, quando questi comportamenti si verificassero, l’Amministrazione che avesse sostenuto gli oneri del risarcimento avrebbe titolo per agire contro i soggetti di cui essa si fosse fidata.
5. Il significato di responsabilità concorrente a raffronto con gli artt. 2055 e 1950 c.c.
Inquadrata in questo modo la questione, resta, però, da affrontare il problema principale: che cosa voglia dire “rivalsa” e che cosa voglia dire “responsabilità concorrente”.
Questi termini alludono a una tutela civilistica o, almeno, para-civilistica[20].
Ma, se il richiamo alla rivalsa è piuttosto diffuso nel codice civile (ad esempio in materia di obblighi dei coeredi[21] o in materia di condominio[22]), i riferimenti testuali a una responsabilità concorrente nella disciplina codicistica sono rarefatti (per non dire quasi inesistenti), sì da generare il dubbio che il codice dei contratti pubblici, nell’enunciarla, abbia volutamente impiegato una formula ambigua, come tale capace di sottrarsi a categorie e a regimi già noti.
L’interprete, però, non può limitarsi a constatare che questa responsabilità concorrente sarebbe una cosa finora ignota, lasciando alla discrezionalità (o all’arbitrio) di chi poi giudicasse il compito di decidere come applicarla.
Un tentativo di ricostruzione va pur sempre compiuto.
Anche nella prospettiva di una esegesi analogica, osservo pertanto che sembra piuttosto simile a questa responsabilità quanto è previsto nell’art. 2055 del codice civile, che riguarda una fattispecie affine a quella ora in esame. Vale a dire quella in cui più persone siano responsabili dell’illecito aquiliano[23].
L’art. 2055 c.c., come è noto, riconosce a chi abbia risarcito il danno il regresso contro ciascuno degli altri soggetti che abbiano concorso a causarlo, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e del personale apporto eziologico.
Nel dubbio sulla gravità delle singole colpe, esse si presumono uguali, ma, ai nostri fini, potrebbe assumere rilievo la c.d. fiducia, a cui si riferisce l’art. 2 del codice dei contratti pubblici, che la stazione appaltante nutre, per volontà di legge[24], sul corretto comportamento degli offerenti. Forse, nel caso della responsabilità concorrente ora esaminata, questa presunzione iuris tantum sull’equiparazione delle colpe potrebbe avere, pertanto, un minor rilievo, quando non si debba riconoscere che essa sia stata addirittura rovesciata.
Vi è, anzi, da chiedersi se la rivalsa di cui parla il codice dei contratti pubblici significhi che la stazione appaltante possa rifarsi sull’operatore economico solo pro quota o se, piuttosto, essa implichi un regresso integrale per quanto corrisposto a titolo di risarcimento. Ché proprio a questa seconda soluzione sembra, in effetti, indirizzare il termine “rivalsa” e a questo sembra spingere, in verità, tutto l’impianto della riforma processuale in materia di appalti.
Vale a dire il favorire una sorta di neutralità della stazione appaltante rispetto al processo.
E così, in effetti, potrebbe concretarsi la questione, giacché, se l’aggiudicazione fosse annullata, l’appalto proseguirebbe con l’affidamento a un nuovo aggiudicatario (magari individuato dallo stesso giudice in sede di risarcimento in forma specifica); se, invece, la tutela costitutiva fosse sostituita o integrata da una tutela risarcitoria per equivalente, l’amministrazione potrebbe rivalersi, appunto, in modo integrale su quell’operatore economico che l’abbia spinta ad assumere un’aggiudicazione invalida. Conformemente al principio del risultato espresso nell’esordio del nuovo codice[25], in entrambe le ipotesi si procederebbe verso l’esecuzione dell’appalto, senza ulteriori oneri per l’ente pubblico[26].
Una tale impostazione, peraltro, sarebbe coerente anche con l’opinione, talora serpeggiante[27], secondo la quale le controversie in materia di appalti pubblici avrebbero sì carattere pubblicistico da un punto di vista formale, salvo il considerare che, da un punto di vista sostanziale, esse sarebbero invece controversie civilistiche che si agitano tra un ricorrente e un controinteressato impegnati a contendersi l’aggiudicazione, restando alla parte resistente quasi un ruolo di mera spettatrice della lite.
Se così fosse, il termine di riferimento, nel codice civile, all’azione di rivalsa dovrebbe forse individuarsi, più che nell’art. 2055 c.c., nell’art. 1950 c.c. La stazione appaltante, quando fosse chiamata a sostenere il risarcimento, finirebbe per somigliare a un fideiussore, o a un garante, che ha regresso integrale sul debitore principale. In questo caso, sull’operatore economico che ha cagionato l’illegittimo esito della gara.
6. Dall’azione di rivalsa alla sussistenza di un rapporto di responsabilità solidale tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo, ai fini del risarcimento del danno. L’azione diretta nei confronti dell’aggiudicatario: giurisdizione ordinaria e diverso regime di diritto sostanziale.
Allo stato, mi pare difficile stabilire se si tratti di un caso di concorso nell’illecito o di un caso di fideiussione: l’oscurità del sintagma “responsabilità concorrente” è pur sempre funzionale a qualcosa.
Approfondire la questione, tuttavia, è, entro certi limiti, poco importante, benché sembri preferibile la prima ipotesi, non fosse altro perché il richiamo al concetto di concorso è presente pure nell’art. 2055 c.c.
Tanto che si faccia capo all’art. 2055 c.c., tanto che valga l’art. 1950 c.c., il rapporto che corre tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo ricadrebbe, comunque, in un’ipotesi di responsabilità solidale[28].
Le implicazioni di questa conclusione sono evidenti.
Se si tratta di responsabilità solidale, questo significa che l’offerente illegittimamente pretermesso ha (come è consueto) azione risarcitoria diretta nei confronti della stazione appaltante.
Ma significa, pure, che egli ha azione diretta anche nei confronti dell’aggiudicatario illegittimo[29],[30].
S’inaugura così una nuova forma di tutela niente affatto trascurabile, non fosse altro perché l’aggiudicatario illegittimo può essere un debitore cospicuamente solvibile e perché i suoi beni, che non sono né demaniali né patrimoniali indisponibili, appaiono, almeno in astratto, più facilmente aggredibili.
Se, tuttavia, l’offerente volesse rivolgere gli strali risarcitori direttamente contro l’operatore economico concorrente, la controversia non sarebbe esperibile davanti al giudice amministrativo[31].
Vi si oppone sia il fatto che il nuovo art. 124 c.p.a parla solo dell’azione di rivalsa introdotta dalla stazione appaltante verso l’operatore economico (e non parla d’altro), sia il considerare che difetterebbe, ancora una volta, quell’esercizio del potere di cui il medesimo aggiudicatario, chiamato a rispondere in via diretta del danno, non può essere neppure astrattamente titolare, in quanto soggetto di diritto privato.
L’aggiudicatario illegittimo, d’altra parte, compare nel processo amministrativo come controinteressato e non come parte resistente. Non è quindi semplice concepirlo come principale legittimato passivo delle domande avanzate dal ricorrente.
Per queste ragioni, si deve dunque ipotizzare che l’offerente pretermesso debba agire contro l’aggiudicatario davanti al giudice ordinario.
Questo assunto non si riduce solo a un problema di giurisdizione.
Con il giudice, viene a mutare l’intero regime di diritto sostanziale della pretesa fatta valere, perché davanti al giudice ordinario non si applica la disciplina dell’art. 30 c.p.a. Non si applica dunque il termine decadenziale di centoventi giorni per la proposizione della domanda risarcitoria autonoma[32]; l’attore non è tenuto a dimostrare di avere azionato tutti i mezzi di tutela possibili per ridurre l’ammontare del danno. A ben vedere, del resto, il giudice ordinario, che non ha il potere di annullare, non sarebbe neppure chiamato a disapplicare l’aggiudicazione. Anzi, proprio la permanenza degli effetti provvedimentali sarebbe causa diretta del danno[33].
Viene, in ogni caso, a emergere un doppio binario di tutela per l’offerente illegittimamente pretermesso.
A suo arbitrio, egli potrà rivolgersi al giudice amministrativo, per chiedere preliminarmente l’annullamento dell’aggiudicazione, dichiarando di essere disponibile a subentrare nell’appalto, introducendo un’eventuale domanda risarcitoria per equivalente nei prescritti termini degli artt. 30 e 120 c.p.a. e avendo cura di rispettare gli speciali oneri di diligenza che escludono il suo concorso nel danno. Il tutto in un processo caratterizzato da una fase istruttoria che la disciplina vigente regola in modo, ancor oggi, embrionale.
Diversamente, quel medesimo offerente pretermesso potrà disinteressarsi degli effetti dell’aggiudicazione e, lasciando che gli stessi rimangano inattaccati, potrà agire in sede civile contro l’aggiudicatario illegittimo nel termine prescrizionale di cinque anni, limitandosi a rispettare l’art. 1227 c.c. nel suo contenuto ordinario e godendo di una fase istruttoria certamente più definita, il cui valore, in materia risarcitoria, è ben evidente, sia che si tratti di determinare l’an, sia che si tratti di determinare il quantum.
Questa seconda forma di tutela risulta davvero incoraggiante e forse proprio a questo tende, sia pure senza dichiararlo, il recepimento dell’azione di rivalsa: a portare il contenzioso in materia di appalti fuori persino dallo stesso processo amministrativo, una volta che ci si sia assicurati che gli effetti dell’aggiudicazione rimangano impregiudicati e che non si aggiungano oneri patrimoniali in capo all’ente pubblico[34].
7. Giurisdizione e limiti dell’azione di regresso dell’aggiudicatario illegittimo nei confronti della stazione appaltante. Conseguenze della doverosità dell’autoannullamento dell’aggiudicazione riconosciuta illegittima dal giudice ordinario nell’azione risarcitoria intentata dall’offerente pretermesso verso l’aggiudicatario.
Anche quest’ultima salvaguardia della stazione appaltante viene, infatti, concretamente a imporsi.
Invero, se la fattispecie dovesse essere inquadrata nell’art. 2055 c.c. (anziché nell’art. 1950[35]), si dovrebbe considerare anche la prospettiva che l’aggiudicatario, il quale abbia sostenuto in sede civilistica l’onere del risarcimento, possa agire lui stesso in regresso contro la stazione appaltante, nei limiti della quota di responsabilità di quest’ultima.
Quest’azione di regresso dell’operatore economico sulla stazione appaltante apparterrebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, perché la responsabilità della stazione dipende dall’aggiudicazione illegittima che essa stessa ha emanato. Ivi, non si potrebbe negare che il potere sia stato esercitato.
Tanto stabilito, una volta fatto valere il regresso sulla stazione appaltante davanti al giudice speciale, potrebbe essere contestato, in primo luogo, che la sentenza del giudice ordinario, pronunciata inter alios, non farebbe stato, secondo quanto previsto dall’art. 1306 c.c., e potrebbe, tra le altre cose, essere revocata in dubbio la stessa illegittimità dell’aggiudicazione già fatta oggetto di accertamento incidentale, e senza copertura di giudicato, da parte del giudice ordinario.
In ogni caso, la medesima stazione appaltante potrebbe riflettere sull’operatore economico le eccezioni personali che avrebbe potuto opporre se l’offerente si fosse rivolto direttamente contro di lei. E quindi potrebbe opporre sia l’eccezione sul termine decadenziale (nel frattempo inevitabilmente scaduto), sia l’eccezione relativa all’art. 1227 c.c. aggravato, quale recepito dall’art. 30 c.p.a. E, proprio per l’ipotesi assunta, quest’ultima eccezione si rivelerebbe verosimilmente fondata, perché il danneggiato che avesse agito per il risarcimento del danno contro l’aggiudicatario illegittimo mai avrebbe potuto chiedere al giudice ordinario, al quale si è rivolto, l’annullamento dell’aggiudicazione stessa.
In concreto, mentre la responsabilità solidale della stazione appaltante è assistita da regresso sull’operatore economico, la responsabilità economica dell’operatore economico, invece, non è assistita da un effettivo regresso sulla stazione appaltante.
La stessa irrilevanza della condanna civile dell’operatore economico dovrebbe confermarsi anche quanto alle sorti del provvedimento di aggiudicazione ancorché il medesimo provvedimento debba essere dichiarato illegittimo (sia pure incidenter tantum e senza conseguenze disapplicative) dal giudice ordinario per accogliere la domanda risarcitoria avanzata dall’offerente pretermesso contro l’aggiudicatario illegittimo, sì da generare ulteriori e indiretti effetti conformativi circa il dovere di autoannullamento da parte dell’autorità amministrativa[36].
A tal riguardo, quando pure questo problema si dovesse prospettare in concreto, l’appalto, molto probabilmente, sarebbe già stato eseguito. Quell’autoannullamento non sortirebbe così alcuna conseguenza di fatto. Esso, anzi, potrebbe addirittura costituire, forse, l’occasione per pretendere dall’aggiudicatario illegittimo la restituzione dell’importo equivalente alla differenza tra i compensi corrisposti e la minor somma inter expensum et melioratum, perché - caduta l’aggiudicazione e, eventualmente, caduti insieme anche gli effetti del contratto - l’aggiudicatario risulterebbe aver agito sine titulo e a lui non resterebbe che invocare, a ristoro della sua prestazione, l’art. 2041 c.c.
In conclusione, se l’azione di rivalsa rafforza la neutralità delle stazioni appaltanti rispetto al contenzioso in materia di appalti, essa comporta anche un significativo trasferimento delle responsabilità in capo all’aggiudicatario illegittimo.
D’ora in poi, pertanto, le ditte dovranno essere molto caute nel costruire le proprie offerte in gara.
[1] La nuova azione si ricava dal combinato disposto dell’art. 5, comma 4, d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36, secondo il quale “Ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito” con l’art. 124, comma 1, c.p.a, come riformato dal medesimo decreto legislativo e secondo il quale: “L'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione e di stipulare il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se non dichiara l'inefficacia del contratto, il giudice dispone il risarcimento per equivalente del danno subìto e provato. Il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo”.
[2] Si veda l’art. 5, citato alla nota precedente.
[3] Cons. di Stato, VI, 15 ottobre 2012, n. 5279.
[4] Così la pronunzia sopra citata: “Sotto il profilo processuale, l’accertamento della responsabilità concorrente dell’a.t.i. aggiudicataria e delle quote concorsuali di riparto interno tra quest’ultima e l’amministrazione, cui la Sezione è pervenuta per le ragioni innanzi esposte, deve, nel caso di specie, ritenersi ‘coperto’ non solo dai principi fondanti la giustizia amministrativa (in base ai quali la controversia va decisa con l’esercizio di poteri decisori e conformativi), e dal sopra richiamato art. 41, comma 2 (il quale ha previsto il litisconsorzio necessario del beneficiario dell’atto, in ragione dei peculiari poteri concernenti le statuizioni da adottare anche nei confronti del beneficiario dell’atto illegittimo), ma anche dalle domande, eccezioni e difese versate in giudizio, con il conseguente rispetto del generale principio processuale della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; ciò, sulla base di un’interpretazione sostanzialistica degli atti processuali di parte, formulati in modo onnicomprensivo e idoneo a ricomprendere nelle richieste e difese formulate dalle parti anche gli evidenziati momenti di accertamento”.
[5] V. Cons. di Stato, Ad. pl., 12 maggio 2017, n. 2. La lite concerneva un caso in cui l’offerente pretermesso aveva chiesto il risarcimento (peraltro, in sede di giudizio di ottemperanza e a seguito della sopravvenuta impossibilità di ottenere un risarcimento in forma specifica) con condanna diretta dell’aggiudicatario pretermesso. Sul punto, la Plenaria ha così statuito: “Tutte le richiamate norme processuali vanno coordinate ed interpretate alla luce dei limiti che incontra la giurisdizione amministrativa. Esse sono, infatti, norme sul rito, che presuppongono (e non pongono) la giurisdizione, che deve, quindi, desumersi dai criteri generali di riparto e non direttamente da esse. In punto di riparto, la domanda che la parte privata danneggiata dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione in forma specifica del giudicato proponga nei confronti dell’altra parte privata, beneficiaria del provvedimento illegittimo, esula dall’ambito della giurisdizione amministrativa.
Si tratta, infatti, di una controversia tra due soggetti privati, avente ad oggetto un diritto soggettivo di contenuto patrimoniale. Sul punto va ricordato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, anche di recente (cfr. Cass. Sez. Un. ord. 3 ottobre 2016, n. 19677), hanno ribadito che, in base agli articoli 103 Cost. e 7 c.p.a., il giudice amministrativo ha giurisdizione solo per le controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione o un soggetto ad essa equiparata; con la conseguenza che esula dalla sua giurisdizione la domanda di risarcimento del danno proposta da un privato contro un altro privato, ancorché connessa con una vicenda provvedimentale (nella specie, si trattava della domanda di risarcimento del danno contro il funzionario autore materiale del provvedimento illegittimo). Tale lettura riduttiva dell’estensione della giurisdizione amministrativa viene fondata sul dato testuale dell’art. 103 Cost. e dell’art. 7 c.p.a., in specie laddove, nell’individuare la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie, di diritti soggettivi, riferisce tali controversie a «l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» e le afferma come «riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni». Tale ultimo inciso viene quindi valorizzato come limite all’estensione della giurisdizione amministrativa. 26. Né in senso contrario possono invocarsi ragioni di connessione, in quanto, come affermato anche da questa Adunanza plenaria con sentenza 29 gennaio 2014, n. 6, «salvo deroghe normative espresse, nell’ordinamento processuale vige il principio generale della inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione» (in termini cfr. Cass. Sez. Un. 19 aprile 2013, n. 9534; Cass. Sez. Un. 7 giugno 2012, n. 9185). 27. La carenza del presupposto processuale della giurisdizione risulta, quindi, risolutiva e costituisce, già di per sé, un ostacolo insormontabile all’interpretazione “sostanzialistica” sostenuta dall’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato. 28. Del resto, va osservato che l’art. 41, comma 2, ultimo periodo, c.p.a. non prevede, a rigore (e in senso tecnico), un litisconsorzio necessario nei confronti del privato beneficiario dell’atto illegittimo. Litisconsorzio la cui necessità è del resto esclusa, come è noto, anche nel caso di obbligazioni solidali. Nei confronti di tale soggetto, infatti, la citata norma processuale non consente la formale proposizione di una domanda risarcitoria, ma stabilisce solo che la domanda proposta contro l’amministrazione (che, quindi, è individuata come unica legittimata passiva), gli debba essere notificata, al fine di realizzare la c.d. denuntiatio litis. In base all’art. 41, comma 2, ultimo periodo c.p.a., in altri termini, il privato non è destinatario di una domanda di risarcimento del danno contro di lui diretta, ma solo destinatario della notificazione della domanda proposta contro l’amministrazione, al fine di rendere possibile l’opponibilità del giudicato. Lo scopo della norma in esame è, infatti, solo quello di fare in modo che l’eventuale giudicato di condanna tra il privato danneggiato dal provvedimento e l’amministrazione possa essere opposto anche al terzo beneficiario, come “fatto” che accerta l’antigiuridicità, nell’eventuale giudizio di “rivalsa”, quanto all’illegittimità dell’atto e ai presupposti della condanna risarcitoria subita dall’amministrazione”. Sul punto della esperibilità di una rivalsa fatta valere dalla stazione appaltante, la Plenaria non ha preso esplicita posizione: “La ricostruzione che precede non esclude che l’amministrazione, chiamata a risarcire il danno ai sensi dell’art. 112, comma 3, c.p.a., possa vantare un’azione nei confronti del beneficiario che ha tratto vantaggio dal provvedimento illegittimo travolto dal giudicato. Si tratta di azione di regresso collegata a un’obbligazione risarcitoria di natura solidale o di azione di ingiustificato arricchimento per il disequilibrio causale derivante dal collegamento tra le posizioni sostanziali in gioco, essa – secondo la disciplina sostanziale e processuale propria dell’azione che si ritenga esperibile – presupporrebbe l’accertamento (della sussistenza) della giurisdizione di questo giudice, della sua proponibilità nell’ambito del giudizio di ottemperanza, anzi che con azione ordinaria, ma, soprattutto, richiederebbe una domanda in tal senso dell’amministrazione”.
[6] Anche questa prospettiva, peraltro, aveva già ottenuto un riscontro positivo nella giurisprudenza. Così, Cons. Stato, II,13.12.2020, n. 8546.
[7] Il problema non era sfuggito al legislatore delegato, come dimostra la relazione al nuovo Codice dei contratti pubblici che ha cercato di risolvere la questione osservando che non è stato modificato il criterio di riparto, ma il regime di diritto sostanziale: “La prima questione che potrebbe porsi, in astratto, è quella di un possibile eccesso di delega della disposizione in esame. Essa, tuttavia, disciplina direttamente non un determinato rimedio processuale, ma un principio di diritto sostanziale (la cui applicazione ha poi inevitabili ricadute sul terreno dei rimedi): sicché non pare potersi ragionevolmente prefigurare un simile vizio della disposizione. In particolare, come ricorda la Relazione, l'articolo 1, comma 1, della legge delega prevede “l'adeguamento della disciplina vigente “ai principi espressi dalla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, interne ed internazionali”. In questo senso il comma 3 dell'articolo 5, “nell'escludere il carattere incolpevole dell'affidamento in caso di illegittimità agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”, recepisce i princìpi enucleati nella sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 20 del 2021, disciplinando le “condizioni” di risarcibilità del danno da provvedimento favorevole poi annullato. La disposizione, inoltre, cala nella specifica materia i princìpi da tempo pacificamente operanti in materia in punto di delimitazione dell'area di danno risarcibile (limitata al c.d. interesse negativo), e alla necessità che il danno di cui si chiede il risarcimento sia “effettivo e provato”. Sempre sul terreno della conformità al parametro costituzionale, potrebbe in tesi dubitarsi (avuto riguardo ai canoni tratteggiati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004) della conformità della scelta di riservare al giudice amministrativo la cognizione dell'azione di rivalsa dell'amministrazione. Tali dubbi, tuttavia, si superano solo che si abbia riguardo al collegamento, opportunamente sottolineato dalla Relazione al Codice, con l'esercizio del potere. La Relazione, invero, contiene tale riferimento in relazione all'ipotesi di lesione dell'affidamento del privato: “Pur non intervenendo sul riparto della giurisdizione (che non rientra nell'oggetto della legge-delega), la norma si basa, comunque, sul presupposto secondo cui la lesione dell'affidamento che viene in rilievo nell'ambito del procedimento di gara, anche quando realizzato attraverso comportamenti, presenta un collegamento forte con l'esercizio del potere e, pertanto, anche quando il privato lamenta la lesione della propria libertà di autodeterminazione negoziale, la relativa controversia risarcitoria non può che rientrare nella giurisdizione amministrativa, specie in considerazione del fatto che, nella materia degli appalti pubblici, il giudice amministrativo gode di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a.), che si estende, oltre che ai comportamenti amministrativi (in base alla previsione generale contenuta nell'art. 7 c.p.a.), anche alle “controversie risarcitorie”. Tuttavia, non può dubitarsi che, nel caso speculare, l'affidamento dell'amministrazione è leso in sede di esercizio del potere: e dunque l'azione di rivalsa non è proposta iure privatorum, ma ha la funzione di ristorare il danno subìto nella fase di esercizio del potere amministrativo”.
[8] Ritenere, come sostiene la Relazione, che il codice dei contratti pubblici non avrebbe modificato la giurisdizione, limitandosi a recepire nel diritto sostanziale, un principio generale, potrebbe portare, peraltro, a opinare che l’azione di rivalsa possa essere esperita – proprio in quanto principio generale – anche al di fuori del contenzioso sui contratti pubblici. V., in tema P. Patrito, Il nuovo codice dei contratti pubblici - Il nuovo “rito appalti” e il parere di precontenzioso dell’Anac, Giur. it., 2023, 1983: “Resta, ancora, da domandarsi se la regola di cui all’art. 124 c.p.a., riguardi le sole controversie in tema di contratti pubblici oppure se essa possa estendersi anche ad altre. Si pensi, ad esempio, all’impugnativa di un permesso di costruire con richiesta di risarcimento del danno: nel caso in cui risulti che il provvedimento lesivo, per cui l’Amministrazione è stata condannata al risarcimento, fosse stato originato da una falsa rappresentazione della realtà dipesa dall’istante, può ritenersi ammissibile l’esperimento da parte dell’Amministrazione della domanda riconvenzionale o quella in via principale in separato giudizio? Secondo un primo punto di vista, si potrebbe giustificare la giurisdizione amministrativa in tale fattispecie (e in altre simili) sulla base dell’eadem ratio: anche nell’ipotesi prospettata , è stato, per riprendere le espressioni di cui all’art. 124 c.p.a., il “comportamento illecito” del privato che “ha concorso a determinare” un provvedimento illegittimo e causativo del danno, per cui non dovrebbero ammettersi conclusioni diverse in punto di giurisdizione sulla domanda risarcitoria proposta dall’Amministrazione. Tale osservazione risulterebbe avvalorata se si ritenesse che l’art. 124 c.p.a. si è limitato a dare sanzione a orientamenti giurisprudenziali precedenti, che si sono quindi basati su principi generali, come tali percorribili anche per altri casi: nulla vieterebbe allora di considerare la disposizione in esame come la positivizzazione, in un ambito particolare, di una regola di portata generale. Va ancora osservato che, molto spesso, le regole processuali in tema di contratti pubblici vengono estese agli altri ambiti, fornendo l’appiglio normativo per offrire soluzioni, anticipate dal legislatore in tale materia, a fattispecie che ne fuoriescono: si pensi, ad esempio, all’orientamento del Consiglio di Stato in tema di modulazione degli effetti nel tempo della sentenza di annullamento, che, tra l’altro, motiva la possibilità per il giudice amministrativo di far decorrere tali effetti a partire da ora o per il futuro proprio con riferimento alla disciplina in tema di inefficacia del contratto ai sensi degli artt. 121 e seg., c.p.a. Tuttavia, è da dire che, nelle ipotesi prese ora in considerazione, manca l’espressa disposizione di diritto positivo che assegni la giurisdizione al giudice amministrativo, che, invece, sembra risultare necessaria, anche tenuto conto delle considerazioni, prima ricordate, dell’Adunanza Plenaria n. 2/2017, che dubitava della sufficienza dell’ermeneusi per radicare la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda riconvenzionale della stazione appaltante: da questo punto di vista, e alla luce del principio di stretta legalità processuale e della certezza o prevedibilità delle regole processuali, soprattutto nell’ottica della tutela del controinteressato o del privato asserito autore del danno, si dovrebbe concludere nel senso dell’esclusione – ed è questa la soluzione che pare più corretta – dell’estensione dell’art. 124 c.p.a., alle fattispecie ivi non espressamente considerate”.
[9] Circa i problemi di eccesso di delega, rispetto alla legge 21 giugno 2022, n. 78, v. M. Lipari, La tutela giurisdizionale amministrativa e il precontenzioso ANAC nel nuovo Codice dei contratti pubblici, lamministrativista.it, 2023
[10] Art. 1, All. cit: “Nel codice si intende per: (…) l) «operatore economico», qualsiasi persona o ente, anche senza scopo di lucro, che, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura pubblica o privata, può offrire sul mercato, in forza del diritto nazionale, prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto della procedura di evidenza pubblica”.
Nel previgente codice (art. 3, d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50), mancava, invece, la corrispondenza con l’oggetto della procedura: “Ai fini del presente codice si intende per: (…) p) «operatore economico», una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”.
[11] Il richiamo, ovviamente, è a Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204.
[12] Particolarmente rilevante, in questo senso, è l’esempio del subfornitore, il quale potrebbe essere anche del tutto ignaro del fatto che la sua controparte contrattuale intenda presentare la merce in una gara pubblica.
[13] La criticità è stata colta anche da M.A. Sandulli, Il contenzioso sui contratti pubblici, lamministrativista.it, 2023: “Per non dire del rischio che, con un'interpretazione allargata del concetto di illecito, le conseguenze degli errori del committente - e, a monte, dell'incertezza delle regole - siano fatte sostanzialmente ricadere in massima parte sull'aggiudicatario, disincentivando gli imprenditori a partecipare alle gare indette nel nostro Paese”.
[14] Art. 91, comma 5, cit.: “Le offerte tecniche ed economiche, redatte secondo le modalità di cui al comma 1, sono corredate dai documenti prescritti dal bando o dall'invito o dal capitolato di oneri. Nelle offerte l'operatore economico dichiara alla stazione appaltante il prezzo, i costi del personale e quelli aziendali per la sicurezza e le caratteristiche della prestazione, ovvero assume l'impegno ad eseguire la stessa alle condizioni indicate dalla stazione appaltante e dalla disciplina applicabile, nonché fornisce ogni altra informazione richiesta dalla stazione appaltante nei documenti di gara”.
[15] Art. 107, comma 1, cit: “1. Gli appalti sono aggiudicati sulla base di criteri stabiliti conformemente agli articoli da 108 a 110 previa verifica, in applicazione dell'articolo 91 e dell'allegato II.8, quest'ultimo con riguardo ai mezzi di prova e al registro online, della sussistenza dei seguenti presupposti: a) l’offerta è conforme alle previsioni contenute nel bando di gara o nell'invito a confermare l'interesse nonché nei documenti di gara”.
[16] Corte cass., Ss. Uu., 22 luglio 1999, n. 500: “Non può negarsi che nella disposizione in esame risulta netta la centralità del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia "ingiusto", mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene all'imputabilità della responsabilità. L'area della risarcibilità non è quindi definita da altre norme recanti divieti e quindi costitutive di diritti (con conseguente tipicità dell'illecito in quanto fatto lesivo di ben determinate situazioni ritenute dal legislatore meritevoli di tutela), bensì da una clausola generale, espressa dalla formula "danno ingiusto", in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione (non iure), che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento (altra opinione ricollega l'ingiustizia del danno alla violazione del limite costituzionale di solidarietà, desumibile dagli artt. 2 e 41, comma 2, Cost., in riferimento a preesistenti situazioni del soggetto danneggiato giuridicamente rilevanti, e sotto tale ultimo profilo le tesi sostanzialmente convergono). Ne consegue che la norma sulla responsabilità aquiliana non è norma (secondaria), volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bensì norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attività altrui. In definitiva, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., inteso nei sensi suindicati come norma primaria di protezione, è infatti la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un "danno ingiusto", ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza”.
[17] Una interpretazione a tal punto rigida è stata, dunque, esclusa dalla citata pronuncia Cons. di Stato, II,13.12.2020, n. 8546.
[18] Il richiamo al principio di buona fede non è sufficiente, peraltro, a configurare il rapporto corrente tra la Stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo in termini di responsabilità precontrattuale, ancorché questa sia verosimilmente la soluzione più convincente. Tale opinione era stata sostenuta, in effetti, da alcuni autori che esaminarono alcune delle poche sentenze sull’azione di rivalsa introdotte prima del nuovo codice dei contratti pubblici. Si veda così, in particolare, B. Biancardi, Responsabilità precontrattuale nei contratti pubblici - Responsabilità precontrattuale nelle procedure di evidenza pubblica: quali regole a parti invertite?, Giur. it., 2021, 1708 s.s. A favore di detta tesi milita il fatto che, con l’offerta, il futuro aggiudicatario illegittimo, il quale abbia indotto la stazione appaltante a false rappresentazioni e quindi l’abbia spinta a un esito della gara illegittimo, non ha ancora instaurato un vero rapporto contrattuale, destinato a sorgere in seguito all’aggiudicazione stessa. Peraltro, il principio di buona fede trova campo di applicazione anche nella responsabilità contrattuale propriamente detta (1375 c.c.).
[19] Se mai, la buona fede dell’aggiudicatario illegittimo può valere al fine di valutare un eventuale esonero della propria responsabilità verso la stazione appaltante che agisce in rivalsa. Acquisisce dunque valore l’inciso, pure contenuto nel citato art. 5, ma comma 3, secondo il quale “l'affidamento non si considera incolpevole se l'illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”.
[20] Si pone così il problema se l’azione di rivalsa sia esperibile anche al di fuori dell’ambito dei contratti pubblici, in tutte le occasioni in cui una Amministrazione sia chiamata a risarcire il danno a terzi per l’emanazione di un provvedimento favorevole nei confronti di altro soggetto. Così, ad esempio, se il risarcimento fosse conseguenza di un titolo edilizio illegittimo. Sul punto pare convincente la tesi sostenuta da P. Patrito, Il nuovo “rito”, cit., 1989, il quale propende per la soluzione favorevole, sul presupposto che la rivalsa fosse istituto preesistente al nuovo Codice e applicabile in virtù di principi generali, salvo dover riconoscere che la giurisdizione, in difetto di disposizioni che attribuiscano un sindacato anche di tipo esclusivo, non dovrebbe appartenere al giudice speciale. Cosicché – si ritiene qui di dover osservare – davanti al giudice ordinario potrebbero contrapporsi due liti: quella introdotta dall’autorità amministrativa nei confronti del beneficiario illegittimo per il suo concorso nella generazione del risarcito danno e la lite introdotta invece dal medesimo beneficiario che, una volta visto annullato il provvedimento a sé favorevole, potrebbe invocare il risarcimento del proprio danno, nei confronti della amministrazione pubblica, per la lesione della propria buona fede. Le due liti, il cui accoglimento sembra reciprocamente escludente, verrebbero dunque a poggiare sull’individuazione di quale tra i due soggetti fosse effettivamente in buona fede e, a tal riguardo, si deve dubitare che i contorni con cui l’art. 5 del codice descrive la buona fede stessa (in particolar modo la clausola secondo la quale “l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”) possa estendersi alla generalità delle altre fattispecie provvedimentali.
[21] Art. 754 c.c.
[22] Artt. 1129 e 1132 c.c.
[23] Il richiamo all’art. 2055 c.c. era già presente nella citata sentenza Cons. di Stato, VI, 15 ottobre 2012, n. 5279: “Va fatta applicazione di un principio generale dell’ordinamento giuridico (cui si ispira anche l’art. 2055 del codice civile), per il quale vi è la solidarietà anche quando il danno sia stato concausato da due autori del fatto, le cui condotte siano rispettivamente una colposa e una dolosa”.
[24] Art. 2, d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36: “L'attribuzione e l'esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell'azione legittima, trasparente e corretta dell'amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici”.
[25] Così, l’art. 1 del codice.
[26] Una prima lettura di detto principio, soprattutto con riferimento a nuove accezioni del principio di buon andamento a cui l’art. 1 del codice lo associa, è resa da A.M. Chiarello, Una nuova cornice di principi per i contratti pubblici, Dir. econ., 148 s. Spunti, nel senso qui prospettato, sono proposti anche da G. Napolitano, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: i principi generali, Giorn. dir. amm., 2023, 287: “L’affermazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale mira a codificare una disciplina generale da applicare per la gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili tali da determinare una sostanziale alternazione nell’equilibrio contrattuale. Si tratta, peraltro, di ipotesi diventate molto frequenti nella congiuntura economica e sociale segnata dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina. La relazione dichiara che le soluzioni al problema che nei vari ordinamenti giuridici va sotto il nome di frustration of purpose, Wegfall der Geschäftsgrundlage, imprévision, individuate nel Codice traggono ispirazione dai principi e dalla prassi internazionale dei rapporti commerciali tra privati, in particolare alla disciplina contenuta nei Principi Unidroit e nel Codice europeo dei contratti. Come è stato subito evidenziato da attenta dottrina, la scelta del legislatore di fare riferimento al diritto comune dei contratti commerciali invece che al diritto speciale dei contratti pubblici di altri ordinamenti indica una precisa opzione normativa, nel senso di una tendenziale parificazione della posizione delle parti e addirittura di una tutela rafforzata dell’esecutore anche rispetto a quanto attualmente previsto dal codice civile italiano. Invece della tutela meramente demolitoria apprestata dal codice civile, infatti, il nuovo Codice dei contratti pubblici mira a garantire la sopravvivenza del contratto e la salvaguardia degli interessi economici delle parti. Si intende così conciliare lo speciale interesse dell’amministrazione committente alla continuità delle prestazioni e delle forniture con quello degli operatori alla tutela dell’equilibrio economico-finanziario (a garanzia anche dei loro lavoratori e fornitori)”.
[27] La tesi è riportata anche da M.A. Sandulli, Il contenzioso, cit.: “Come rilevato in altre occasioni, non posso non esprimere serie preoccupazioni per la riferita disposizione, che, se letta nel contesto di un sistema di tutela giurisdizionale che indebitamente privilegia la tutela risarcitoria per equivalente rispetto a quella soprassessoria e caducatoria (in evidente spregio anche alla qualità della prestazione), corre il rischio di ridurre il contenzioso sui contratti de quibus a una controversia tra privati. Il che, oltretutto, farebbe dubitare della ratio della sua attribuzione alla giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, che ha, invece, la sua ragion d'essere nel garantire la “giustizia nell'amministrazione”, a necessaria e imprescindibile tutela dell'effettività dei principi enunciati dall'art. 97 e dalle altre disposizioni costituzionali che regolano e limitano l'esercizio del potere amministrativo”.
[28] In questi termini, espressamente, si era già espressa la citata pronuncia Cons. di Stato, VI, 15 ottobre 2012, n. 5279.
[29] A meno che non si intenda esprimersi, in questo caso, in termini di una sorta di “responsabilità azzoppata”, come pure è stato suggerito, in epoca antecedente al codice dei contratti pubblici, da P. Patrito, La responsabilità solidale dell’amministrazione e del beneficiario del provvedimento illegittimo: profili sostanziali e processuali, Giur. it., 2013, 1428 s. Altro tema è quello di valutare le ragioni di una solidarietà, in senso proprio o improprio, tra la stazione appaltante e il privato beneficiario della aggiudicazione illegittima; se, cioè, essa miri, come è di consueto nella teoria delle obbligazioni, a favorire la scelta del patrimonio aggredibile, da parte del creditore, oppure se si ispiri a una sorta di corresponsabilità nell’esercizio della funzione pubblica (M. Bombardelli, La determinazione procedimentale dell’interesse pubblico, Torino, 1996, 175; P. Patrito, ibidem, il quale ultimo, peraltro, richiama le tesi opposte a detta ultima prospettazione, sostenute da A. Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997, 14 e da S. Tarullo, Il principio di collaborazione procedimentale. Solidarietà e correttezza nella dinamica del potere amministrativo, Torino, 2008, 344).
[30] A favore dell’esperibilità dell’azione risarcitoria diretta dell’offerente illegittimamente pretermesso nei riguardi dell’aggiudicatario si esprime, esplicitamente, anche la Relazione di accompagnamento al Codice (pag. 246): “L’innovazione punta a rafforzare la tutela risarcitoria sia del terzo pretermesso, leso dall'aggiudicazione illegittima, il quale può agire direttamente, oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche nei confronti dell'operatore economico che, contravvenendo ai doveri di buona fede, ha conseguito una aggiudicazione illegittima; sia della stessa stazione appaltante, che può agire in rivalsa nei confronti di quest'ultimo o dell’eventuale terzo concorrente che abbia concorso con la sua condotta scorretta a determinare un esito della gara illegittimo”.
[31] Il rilievo è stato colto anche da G. Pesce, Le istanze di tutela nel nuovo codice dei contratti pubblici, tra principio dispositivo e interesse pubblico: prime riflessioni, judicium.it, 2023. V. anche P. Patrito, Il nuovo codice dei contratti pubblici - Il nuovo “rito appalti” e il parere di precontenzioso dell’Anac, cit. e P. Tonnara, Le modifiche al “rito appalti e concessioni” a seguito del nuovo Codice dei contratti pubblici, lamministrativista.it, 2013: “Rimane, invece, esclusa dalla giurisdizione amministrativa l'eventuale domanda risarcitoria che un concorrente volesse esperire nei confronti di un altro partecipante alla procedura di affidamento, atteso che “l'art. 103 Cost. non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una P.A., o soggetti ad essa equiparati”.
Si consideri anche Cass., Ss.Uu., 9 marzo 2020, n. 6690, con riguardo alla domanda di risarcimento introdotta verso il funzionario preposto a un organo svolgente, nella specifica fattispecie, funzioni amministrative: “In tal senso, deve trovare applicazione il principio secondo cui "l'art. 103 Cost., non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una P.A., o soggetti ad essa equiparati, sicchè la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti del funzionario in proprio, cui si imputi l'adozione del provvedimento illegittimo, va proposta dinanzi al giudice ordinario, non ostando a ciò la proposizione della domanda anche nei confronti dell'ente pubblico sotto il profilo della responsabilità solidale dello stesso, stante l'inderogabilità per ragioni di connessione della giurisdizione" (Cass., S.U., 13 giugno 2006, n. 13659).
A tal riguardo (come, segnatamente, messo in risalto da Cass., S.U., 3 ottobre 2016, n. 19677), il presupposto della giurisdizione amministrativa alla luce dell'art. 103 Cost., "è, infatti, che la tutela giurisdizionale coinvolgente le situazioni giuridiche nella giurisdizione di legittimità ed in quella esclusiva debba avere luogo con la partecipazione in posizione attiva o passiva della pubblica amministrazione" o "del soggetto che, pur non facendo parte dell'apparato organizzatorio di essa, eserciti le attribuzioni dell'Amministrazione, così ponendosi come pubblica amministrazione in senso oggettivo".
Il dettato costituzionale - che radica la giurisdizione del giudice amministrativo "nei confronti della pubblica amministrazione" - è confermato dallo stesso codice del processo amministrativo, il cui art. 7, comma 1, riferisce alle "pubbliche amministrazioni" (e in base del medesimo art. 7, al comma 2, anche ai soggetti ad esse "equiparati") l'esercizio del potere suscettibile di incidere sulle posizioni di interesse legittimo e (nelle particolari materie) di diritto soggettivo e, quindi, di attivare la cognizione del giudice amministrativo a tutela di dette situazioni soggettive.
In tal senso, il perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo non può estendersi anche alle controversie in cui il potere amministrativo "venga in discussione in quanto esercitato dai soggetti all'Amministrazione legati da rapporto organico, cioè considerandosi il solo dato che il loro agire si è esplicato formalmente come espressione del potere amministrativo".
Il riferimento esplicito e chiaro alle forme dell'esercizio del potere in quanto poste in essere da "pubbliche amministrazioni" evidenzia come "soggettivamente la controversia esige che una delle parti sia la pubblica amministrazione e l'altra il soggetto che faccia la questione sull'interesse legittimo o sul diritto soggettivo”.
[32] È opportuno rammentare che, ai fini della notificazione del ricorso con cui si faccia valere una domanda risarcitoria autonoma, non vale il dimezzamento dei termini previsto dall’art. 120, comma 2, c.p.a., perché esso si applica alle sole domande costitutive di annullamento.
[33] La tesi fu sostenuta da chi scrive anche per contestare la fondatezza della c.d. pregiudiziale amministrativa, in epoca anteriore all’emanazione del codice di rito. Ci si permette, così, di rinviare a F. Volpe, Norme di relazione, norme d’azione e sistema italiano di giustizia amministrativa, Padova, 2004, 388 s.
[34] Peraltro, si prospetterebbe, così, l’ipotesi che rimanga in essere una aggiudicazione illegittima, a favore di soggetto che non avrebbe potuto beneficiarne, in contrasto con i principi ispiratori sostenuti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di ricorsi (introduttivo e incidentale) reciprocamente escludenti (CGUE, 4 luglio 2013, in C-100/12; CGUE, 5 aprile 2016, in C- 689/13; CUGE, 10 maggio 2017, inC- 131/16; CGUE 5 settembre 2019, in C‑333/18. Il problema del carattere obiettivo del giudizio amministrativo in materia di appalti, quale suggerito da siffatta giurisprudenza sovranazionale (sul punto, v. F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), giustiziainsieme.it, 2020., verrebbe, in tal modo eluso, trasferendo la decisione sostanziale della controversia dal giudice amministrativo al giudice ordinario.
[35] L’ipotesi che la rivalsa presupponga un regresso integrale della stazione appaltante sull’aggiudicatario illegittimo non merita neppure di essere presa in considerazione, al fine di dimostrare la neutralità dell’autorità amministrativa al processo, perché proprio l’integralità del regresso la implica.
[36] L’esistenza di tale figura sembra essere sopravvissuta all’art 21 – nonies, legge 7 agosto 1990, n. 241 anche nelle enunciazioni della giurisprudenza. Così, Cons. di Stato, V, 7 gennaio 2019, n. 130: “In taluni casi però, l’annullamento d’ufficio ha carattere doveroso, nel senso che può essere attivato a fronte di mero vizio di legittimità del provvedimento di primo grado, senza il concorso della sussistenza attuale di un interesse pubblico ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata: la causa esaminata era per il Tar uno di questi, il caso dell’esecuzione di una decisione del giudice ordinario passata in giudicato che avesse ritenuto illegittimo un atto amministrativo”. Tra gli autori recenti sembra contestare la figura N. Posteraro, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e della Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), federalismi.it., 2017, 6, alla nota n. 11.
Il ricorso incidentale per l’accesso ai documenti amministrativi ex art. 116, co. 2, c.p.a.: questioni perplesse sull’onere di notifica ai soggetti controinteressati (nota a Cons. Stato, sez. III, ord. 28 luglio 2023, n. 7399)
di Stefano Vaccari
Sommario: 1. Premessa: ricorso autonomo vs. ricorso incidentale in materia di accesso ai documenti amministrativi. - 2. Il caso concreto: la proposizione del ricorso incidentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. con notifica a un solo controinteressato. - 3. (Segue): La decisione del Consiglio di Stato e la lettura ‘differenziante’ tra le fattispecie processuali ex art. 116, co. 1 e 2, c.p.a. - 4. Alcuni rilievi critici in favore di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 116, co. 2, c.p.a
1. Premessa: ricorso autonomo vs. ricorso incidentale in materia di accesso ai documenti amministrativi.
La tutela avverso le determinazioni o il silenzio in materia di accesso ai documenti amministrativi si esplica attraverso un’azione tipica con petitum ‘ordinatorio’[1] trattata – per ragioni di peculiarità delle sottese posizioni sostanziali[2] – nell’ambito di un rito speciale (art. 116 c.p.a.) di natura camerale (art. 87, co. 2, lett. c, c.p.a.).
Sul piano strettamente processuale, l’art. 116, co. 1, c.p.a. regola anzitutto l’ipotesi del ricorso autonomo, da proporre «entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato», specificando espressamente che – anche nell’ambito dell’anzidetto rito speciale – «[s]i applica l’articolo 49» del Codice in tema di integrazione del contraddittorio[3].
Per ragioni di economia processuale, avverso le medesime decisioni amministrative (espresse o tacite) l’art. 116, co. 2, c.p.a. accorda la facoltà di proposizione del ricorso in via incidentale[4], e segnatamente nelle forme di un’«istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati». Verificata la sussistenza del presupposto legale della ‘connessione’ della richiesta di accesso con il giudizio già pendente, la domanda incidentale è decisa con ordinanza[5]separatamente dal giudizio principale ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.
2. Il caso concreto: la proposizione del ricorso incidentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. con notifica a un solo controinteressato.
Nell’ambito di un giudizio avente a oggetto l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione di un accordo quadro per l’affidamento del servizio di assistenza domiciliare integrata da parte di una A.S.L., la ricorrente principale proponeva con motivi aggiunti azione incidentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. avverso il provvedimento di diniego parziale disposto dall’amministrazione resistente in relazione all’istanza di accesso alla documentazione di gara, alle domande di partecipazione e alle offerte degli operatori economici controinteressati.
Avendo riscontrato che il suddetto ricorso per l’accesso ai documenti amministrativi in corso di causa era stato notificato a un solo controinteressato (i.e. la Società mandataria del raggruppamento aggiudicatario), oltre che – ovviamente – all’amministrazione resistente, il T.a.r. per l’Abruzzo-Pescara ordinava l’integrazione del contraddittorio exart. 49 c.p.a. nei confronti dell’ulteriore controinteressato sostanziale (i.e. la Società ‘seconda classificata’). Integralmente costituito il contraddittorio, il T.a.r. annullava l’impugnato diniego e ordinava all’amministrazione resistente di ostendere la documentazione richiesta, limitatamente al soggetto aggiudicatario, e di riesaminare l’istanza di accesso con riguardo alla Società seconda classificata[6].
Avverso la richiamata ordinanza di accoglimento, il raggruppamento aggiudicatario proponeva ricorso in appello, lamentando in particolare l’erronea applicazione dell’art. 49 c.p.a. da parte del giudice di prime cure, il quale avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso incidentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. per violazione del principio del contraddittorio. In altri termini, secondo la prospettazione dell’appellante, la Società ricorrente in primo grado avrebbe dovuto notificare – a pena di inammissibilità – l’istanza per l’accesso in corso di causa a ‘tutti’ i soggetti controinteressati, e non soltanto a ‘uno’, non potendo supplire a tale omissione l’istituto dell’integrazione del contraddittorio iussu iudicis,pena un’impropria ‘rimessione in termini’ della parte.
3. La decisione del Consiglio di Stato: una (criticabile) lettura ‘differenziante’ tra le fattispecie processuali ex art. 116, co. 1 e 2, c.p.a.
La terza Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 7399 del 28 luglio 2023, ha accolto l’appello e, per l’effetto, ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. proposto dalla parte ricorrente in primo grado sulla base delle seguenti argomentazioni.
Come già anticipato nelle premesse, il Giudice amministrativo ricostruisce innanzitutto le due distinte ipotesi regolate dall’art. 116 c.p.a.: il ricorso autonomo (art. 116, co. 1) per la tutela avverso le determinazioni negative (espresse o tacite) dell’amministrazione rispetto a istanze di accesso proposte ‘ante causam’ e indipendentemente dalla pendenza di un giudizio connesso; e il ricorso incidentale (art. 116, co. 2) per ottenere l’ostensione di documenti amministrativi nelle more di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa. Le anzidette fattispecie si differenziano, secondo il Consiglio di Stato, per il fatto che «solo nel primo caso, è ammessa la notifica ad un solo controinteressato, dovendosi ritenere, viceversa, tenuta la parte ricorrente alla notifica del ricorso per l’accesso in corso di causa a tutti i controinteressati».
Di talché, non si ritiene applicabile alle domande incidentali di accesso ex art. 116, co. 2, c.p.a. l’istituto dell’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 49 c.p.a. (richiamato espressamente –per la sola specie del ricorso autonomo – dall’art. 116, co. 1, c.p.a.), onde evitare una non consentita rimessione in termini della parte ricorrente rispetto a un onere di notificazione stabilito a pena di decadenza. Di conseguenza, il ricorso incidentale di accesso deve essere notificato all’amministrazione e agli ‘eventuali controinteressati’, che l’ordinanza in esame fa coincidere con «tutti i soggetti individuati dalla p.a. come controinteressati».
Una siffatta lettura dell’art. 116, co. 2, c.p.a. viene giustificata (anche) in relazione al canone di ragionevole durata del processo (art. 111, co. II, Cost.). A tale riguardo, si sostiene che – in presenza di processi già instaurati – non appare ‘eccessivamente onerosa’ una subordinazione dell’ampliamento del c.d. thema decidendum all’immediata assicurazione della completezza del contraddittorio, sotto forma di un onere di notifica (a pena di decadenza) del ricorso incidentale in materia di accesso a tutti i controinteressati sostanziali[7]. Il che consentirebbe di evitare l’imposizione «al giudice e alle parti [di] un ulteriore passaggio processuale per l’integrazione del contraddittorio».
Per queste ragioni, il Collegio ha ritenuto che la mancata notifica della domanda incidentale di accesso ex art. 116, co. 2, c.p.a. a tutti i controinteressati già individuati dall’amministrazione resistente nel corso del procedimento «ha reso la domanda in radice inammissibile, senza che vi fosse spazio alcuno per un ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’articolo 49 c.p.a.».
4. Alcuni rilievi critici in favore di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 116, co. 2, c.p.a.
La soluzione espressa dal Consiglio di Stato è passibile di critica sotto plurimi profili.
In primo luogo, la decisione in commento sembrerebbe sovrapporre istituti processuali che risultano distinti sul piano teorico e applicativo, quali le condizioni di ammissibilità del ricorso (che rappresentano un ‘prius’ logico-giuridico nella valutazione del giudicante) rispetto al successivo incombente dell’integrazione del contradditorio disposto per ordine del giudice. Il Consiglio di Stato, invece, interpreta l’art. 116, co. 2, c.p.a. nel senso di imporre al ricorrente incidentale un onere di instaurazione completa del contraddittorio quale condizione di ammissibilità dell’azione, senza alcuna possibilità di integrazione successiva iussu iudicis.
In proposito, è possibile osservare che la natura (anche, ma non solo) impugnatoria[8] del giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi fa sì che esso sia regolato dalle disposizioni processuali ordinarie, fatta eccezione per le deroghe espresse poste dal rito speciale ex art. 116 c.p.a. Il che si giustifica in ragione del meccanismo del c.d. rinvio interno (art. 38 c.p.a.), in forza del quale «[i]l processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del Libro II che, se non espressamente derogate, si applicano anche […] ai riti speciali».
Tra le disposizioni del Libro II dedicate al processo amministrativo di primo grado si rinviene la regola generale di cui all’art. 41, co. 2, c.p.a.[9], secondo cui «[q]ualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge». Ai fini dell’ammissibilità del ricorso, pertanto, è sufficiente la notifica a un solo controinteressato[10], anche laddove tali soggetti esistano sul piano sostanziale in numero maggiore. Di conseguenza, nelle fattispecie processuali in cui il contraddittorio non risulti ‘integro’ sin dalla (ammissibile) proposizione dell’azione di annullamento nei confronti della sola amministrazione resistente e di (almeno) un controinteressato, è il giudice a dover ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli ulteriori controinteressati sostanziali. Anche questa regola generale trova un fondamento positivo nel Libro II del Codice, e segnatamente nell’art. 49, co. 1, ove si dispone che «[q]uando il ricorso sia stato proposto solo contro taluno dei controinteressati, il presidente o il collegio ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri».
Ebbene, rispetto alla suddetta disciplina ordinaria, non pare che il rito speciale in materia di accesso ai documenti amministrativi introduca ‘deroghe espresse’. Non lo fa senz’altro con riferimento all’ipotesi del ricorso autonomo ex art. 116, co. 1, c.p.a., ove addirittura si richiama espressamente – in funzione rafforzativa[11] – il modello generale appena descritto («mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l’articolo 49»). Ma non è neppure possibile ritenere che la lettera dell’art. 116, co. 2, c.p.a. («previa notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati»), dedicata alla proposizione della medesima azione in forma incidentale, introduca un regime derogatorio tale da imporre alla parte ricorrente un onere di notifica – a pena di inammissibilità – a ‘tutti’ i controinteressati sostanziali senza possibilità alcuna di integrazione successiva del contraddittorio.
Una siffatta lettura, fatta propria dall’ordinanza che si annota, non sembra superare il vaglio di ragionevolezza, se non altro in considerazione dell’assenza di diversità di ‘oggetto’ tra le fattispecie del ricorso autonomo e di quello incidentale in materia di accesso ai documenti amministrativi. In entrambe le ipotesi, infatti, il ‘petitum’ veicolato in giudizio è pur sempre l’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente di visionare ed estrarre copia di documenti detenuti da una pubblica amministrazione. Sicché, non è dato comprendere la ratio di un’eventuale differenza di disciplina processuale in punto di onere di notifica, e – di riflesso – di ammissibilità, tra i due ricorsi.
A tale conclusione non è possibile pervenire neppure richiamando il diffuso orientamento giurisprudenziale[12]dedicato all’individuazione dei controinteressati sostanziali in sede procedimentale ex art. 3, co. 1, del d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184[13], ove si prevede che «la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione». Com’è noto, la finalità di un siffatto incombente procedimentale è di permettere ai controinteressati di presentare una ‘motivata opposizione’ alla richiesta di accesso entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione da parte dell’amministrazione procedente (art. 3, co. 2, d.P.R. cit.).
Sulla scorta di tale disciplina, l’ordinanza in esame correla l’onere di notificazione (a pena di inammissibilità) del ricorso incidentale a tutti i soggetti controinteressati individuati dall’amministrazione nel corso del procedimento. Sennonché, ferma restando la differenza corrente tra le discipline normative dedicate al procedimento (art. 3 d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184) e al processo amministrativo (artt. 41, 49 e 116 c.p.a.), non passibili di indebite sovrapposizioni concettuali, emerge comunque un’errata lettura della richiamata giurisprudenza dedicata ai rapporti tra l’art. 3 del d.P.R. n. 184/2006 e la successiva tutela giurisdizionale. Invero, il giudice amministrativo si è limitato unicamente a rimarcare la regola per cui, laddove l’amministrazione non abbia individuato alcun controinteressato in sede sostanziale, il ricorso giurisdizionale deve essere considerato ammissibile anche in difetto della notifica ad almeno un soggetto (eventualmente) controinteressato. A contrario, non è possibile ricavare dal citato orientamento di matrice garantistica prescrizioni processuali divergenti dalle regole generali per l’opposta ipotesi in cui siano presenti più soggetti controinteressati già individuati dall’amministrazione in sede procedimentale: in questi casi, il ricorso è da ritenersi ammissibile ove notificato (ex artt. 41 e 116 c.p.a.) all’amministrazione resistente e ad almeno un controinteressato, fatta salva la successiva integrazione del contraddittorio secondo le modalità stabilite dall’art. 49 c.p.a.
Diversamente opinando, si legittimerebbe una costruzione di fonte giurisprudenziale di regole sul contraddittorio processuale derogatorie rispetto al modello codicistico generale e giustificate sulla scorta di disposizioni normative dedicate al procedimento amministrativo, come tali rivolte alla dinamica dell’esercizio del potere sostanziale e non alla conformazione del rapporto processuale avanti al giudice amministrativo. Inoltre, è noto che il c.d. giusto processo debba essere necessariamente regolato dalla ‘legge’, nell’accezione di disposizioni di fonte primaria statale (art. 111, co. I, in combinato disposto con l’art. 117, co. 1, lett. l, Cost.), risultando senz’altro inidonee allo scopo previsioni di rango secondario quali quelle incluse nel regolamento governativo di cui al d.P.R. n. 184/2006.
In aggiunta, qualora fosse rilevante l’individuazione dei controinteressati in sede sostanziale per inferire un onere di notifica – a fini di ammissibilità – del ricorso incidentale (art. 116, co. 2, c.p.a.) a ‘tutti’ i soggetti destinatari delle comunicazioni procedimentali ex art. 3 del d.P.R. n. 184/2006, non si riuscirebbe a comprendere perché un’analoga regola non debba valere ugualmente per la proposizione in via autonoma del medesimo ricorso (art. 116, co. 1, c.p.a.): anche in tal caso, l’azione processuale segue pur sempre a un procedimento amministrativo di accesso regolato dalle stesse regole sostanziali, ivi incluse quelle oggetto del richiamato art. 3 del d.P.R. n. 184/2006[14]. Il che dimostra, una volta di più, l’irragionevolezza di una lettura ‘differenziante’ tra le due possibili manifestazioni processuali del ricorso in materia di accesso ai documenti amministrativi, che – a più attento esame – denota un carattere sostanzialmente ‘unitario’.
Del resto, l’introduzione di un regime processuale differenziato richiede necessariamente l’esistenza di una ragione giustificatrice sostanziale, non ravvisabile – pure ammettendosi una certa ‘ambiguità’ nella formulazione letterale – nella fattispecie di cui all’art. 116, co. 2, c.p.a.
Anche il ricorso all’argomento c.d. per absurdum consente di confermare le osservazioni sinora svolte. Immaginando un caso ove fossero presenti decine di soggetti controinteressati sostanziali già individuati dall’amministrazione nel corso del procedimento, secondo l’interpretazione sostenuta dal Consiglio di Stato nella decisione qui annotata il ricorrente incidentale sarebbe onerato – ai fini dell’ammissibilità dell’azione, e non della (successiva) integrazione del contraddittorio processuale – di un numero sproporzionato di notifiche da effettuare entro il breve termine decadenziale di trenta giorni previsto dal rito speciale[15]. Sul piano metodologico, tuttavia, è preferibile verificare la ragionevolezza di una data soluzione interpretativa in astratto e con riferimento a tutte le sue possibili manifestazioni, a differenza dell’ordinanza in commento nella quale il Consiglio di Stato si è basato principalmente sulle caratteristiche della singola fattispecie concreta per affermare che la presenza di due soli controinteressati sostanziali non avrebbe determinato un ‘onere eccessivo’ in capo alla parte ricorrente in primo grado.
Allo stesso modo, il fondamento della criticata soluzione riposto sul principio di ragionevole durata del processo pare contraddetto dal regime di ‘facoltatività’[16] che regola il rapporto tra la proposizione del ricorso ex art. 116 c.p.a. in forma incidentale ovvero in via autonoma. Essendo sempre riconosciuta la possibilità di instaurare un autonomo giudizio per far valere la pretesa all’accesso di determinati documenti amministrativi, l’affermazione della tesi dell’onere di integrale instaurazione del contraddittorio ai fini dell’ammissibilità dell’azione si tradurrebbe in un incentivo alla proposizione del ricorso ex art. 116, co. 1, c.p.a., con conseguente vulnus alle esigenze di concentrazione sottese alla previsione dell’alternativa forma incidentale della domanda (per ragioni di connessione) nell’ambito del giudizio già pendente.
Alla luce delle suddette considerazioni, la lettura ‘differenziante’ dell’art. 116 c.p.a. potrebbe dar luogo a seri dubbi di costituzionalità per irragionevolezza e disparità di trattamento (art. 3 Cost.), nonché per un’eccessiva limitazione del diritto di azione (artt. 24 e 113 Cost.) [17], anche sul versante dell’effettività della tutela (art. 111 Cost.) e dell’‘equo processo’ (art. 6 Cedu)[18].
Ed è proprio sulla base dei richiamati parametri di rango costituzionale che trova fondamento l’assunto per cui le cause di inammissibilità in sede processuale debbono considerarsi tassative e soggette a un canone di stretta interpretazione[19], attesa la loro natura di potenziali ‘barriere’ ostative all’ottenimento di una decisione sul merito delle domande giudiziali. Di qui l’altrettanto nota enfasi riposta sul carattere ‘strumentale’ delle regole processuali rispetto all’obiettivo principale della tutela delle pretese sostanziali veicolate in giudizio: le prime non assurgono mai a ‘fine a sé stante’, giustificandosi in coerenza con la funzionalizzazione costituzionale (artt. 24 e 113 Cost.) agli obiettivi di effettività e satisfattività della tutela giurisdizionale[20].
Rassegnate le critiche all’interpretazione affermata dal Consiglio di Stato, occorre valutare la praticabilità di un’ermeneutica alternativa e ‘secundum constitutionem’ dell’art. 116, co. 2, c.p.a. In particolare, il riferimento letterale alla ‘notificazione agli eventuali controinteressati’ potrebbe essere correlato ai soggetti che sono già parte del giudizio in quanto destinatari della notificazione del ricorso principale, a condizione che essi coincidano con coloro cui è riferibile la connessa richiesta di accesso in forma incidentale. Diversamente, nelle fattispecie ove sussista una diversità tra l’amministrazione e i controinteressati sostanziali alla domanda di accesso, da un lato, e le parti già evocate in giudizio[21], dall’altro, dovrebbero trovare applicazione – per le richiamate ragioni di ordine sistematico – le regole processuali generali sulle condizioni di ammissibilità dell’azione e sull’integrazione del contraddittorio[22]: a questa stregua, non si recherebbe alcun pregiudizio al diritto di difesa e al contraddittorio di tali soggetti, e in particolar modo dei controinteressati, i quali – se non ricompresi tra i destinatari della notifica del ricorso incidentale – sarebbero in ogni caso chiamati in giudizio nelle forme dell’adempimento all’ordine giudiziale ex art. 49 c.p.a.[23]
[1] A prescindere dall’ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa la natura della situazione giuridica (diritto soggettivo o interesse legittimo) oggetto del giudizio in materia di accesso, nonché della sua natura propriamente impugnatoria ovvero direttamente riferita alla pretesa sostanziale, è importante precisare che l’art. 116, co. 4, c.p.a. accorda una tutela giudiziale non meramente costitutiva, bensì di tipo ‘ordinatorio’ (il giudice «sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione e, ove previsto, la pubblicazione, dei documenti richiesti»).
[2] Cfr. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, XV ed., Torino, 2023, p. 360. Per ogni ulteriore approfondimento si v., ex multis, A. Simonati, Commento all’art. 116 c.p.a., in G. Falcon - F. Cortese - B. Marchetti (a cura di), Commentario breve al Codice del processo amministrativo, Padova, 2021, p. 902 e ss.; F. Figorilli, Il rito dell’accesso, in B. Sassani - R. Villata (a cura di), Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012, p. 735 e ss.; M. Lipari, Commento all’art. 116 c.p.a., in A. Quaranta - V. Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, Milano, 2011, p. 914 e ss.; L. Bertonazzi, Note sulla consistenza del c.d. diritto di accesso e sul suo regime sostanziale e processuale: critica alle decisioni nn. 6 e 7 del 2006 con cui l’Adunanza plenaria, pur senza dichiararlo apertamente e motivatamente, opta per la qualificazione della pretesa ostensiva in termini di interesse legittimo pretensivo, in continuità con la decisione n. 16 del 1999, in Dir. proc. amm., 2007, I, p. 165 e ss.; M. Clarich, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996, III, p. 430 e ss.; F. Figorilli, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e processuali del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Dir. proc. amm., 1994, II, p. 206 e ss.
[3] Cfr., in giurisprudenza, Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 2018, n. 7319, in Giustizia-amministrativa.it. Per ogni ulteriore approfondimento sull’istituto cfr., per tutti, G. Mannucci, Commento all’art. 49 c.p.a., in G. Falcon - F. Cortese - B. Marchetti (a cura di), Commentario breve al Codice del processo amministrativo, cit., p. 548 e ss.
[4] Una siffatta possibilità era già ammessa, prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, dall’art. 25, co. 5, della l. 7 agosto 1990, n. 241, nella versione seguita alle modifiche apportate dall’art. 17, co. 1, lett. b), della l. 11 febbraio 2005, n. 15; e, ancora prima, dall’art. 21, co. 1, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, come introdotto dall’art. 1, co. 1, della l. 21 luglio 2000, n. 205.
[5] A tale riguardo, si segnala che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 4 del 24 gennaio 2023, in Foro amm., 2023, I, p. 21 e ss., ha di recente affermato il principio di diritto dell’appellabilità innanzi al Consiglio di Stato dell’ordinanza resa nel corso del processo di primo grado sull’istanza di accesso documentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. in ragione della sua natura propriamente ‘decisoria’.
[6] Cfr. T.a.r. Abruzzo-Pescara, sez. I, ord. 9 giugno 2023, n. 239, in Giustizia-amministrativa.it, in particolare nella parte in cui si afferma che «nell’ipotesi in cui, come nella specie, dal diniego impugnato siano identificabili più di un soggetto controinteressato, trova applicazione la regola generale di cui al comma 1 dell’art. 49 c.p.a. secondo cui ‘Quando il ricorso sia stato proposto solo contro taluno dei controinteressati, il Presidente o il Collegio ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri’».
[7] Cfr. l’ulteriore passaggio dell’ordinanza in commento ove si sostiene che la diversa formulazione lessicale dei co. 1 e 2 dell’art. 116 c.p.a. non è ‘casuale’, ma risponde alla ratio di «costituire immediatamente e ritualmente il giusto contraddittorio, anche perché, a contrario, nella misura in cui il legislatore avesse ritenuto sufficiente la notifica ad un solo controinteressato, con possibilità di integrare il contraddittorio, lo avrebbe espressamente previsto, dovendosi ritenere che il riferimento agli ‘eventuali controinteressati’, unitamente all’omesso richiamo all’art. 49 c.p.a., deponga nel senso dell’indispensabilità dell’immediata e tempestiva notifica della domanda incidentale in materia di accesso proposta ai sensi dell’articolo 116, comma 2, c.p.a., a tutti coloro già coinvolti nel relativo procedimento e che, come nel caso in esame, potrebbero essere pregiudicati dall’ostensione».
[8] In questo senso cfr. T.a.r. Piemonte, sez. I, 16 dicembre 2010, n. 4556, in Foro amm. T.a.r., 2010, XII, p. 3764 e ss., ove si precisa che il tenore letterale dell’art. 116 c.p.a., «a prescindere dalla qualificazione della posizione giuridica soggettiva azionata, ricostruisce il rito in materia sulla scorta dell’ordinario rito impugnatorio, come per altro già ritenuto dalla giurisprudenza pregressa»; ma anche Cons. Stato, Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6, e Id., 20 aprile 2006, n. 7, in Dir. proc. amm., 2007, I, p. 156 e ss. (con nota critica di L. Bertonazzi). Si v., anche, M. Lipari, Commento all’art. 116 c.p.a., cit., p. 924, ove si evidenzia che «[l]a struttura formalmente impugnatoria del giudizio risulta densa di importanti conseguenze in ordine alla disciplina della formazione del contraddittorio e alla individuazione dei destinatari della notificazione».
[9] Per ogni approfondimento si rinvia, per tutti, ad A. Giannelli - M. Renna, Commento all’art. 41 c.p.a., in G. Falcon - F. Cortese - B. Marchetti (a cura di), Commentario breve al Codice del processo amministrativo, cit., p. 443 e ss.
[10] Per la nozione di controinteressato in materia di diritto di accesso agli atti cfr. l’art. 22, co. 1, lett. c), l. n. 241/1990: «per ‘controinteressati’, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza».
[11] Ma anche per superare l’alternativa ricostruzione della fattispecie quale ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. (sulla quale si v. in giurisprudenza, per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 1997, n. 643, in Cons. Stato, 1997, I, p. 683 e ss.). Per ogni approfondimento cfr., quantomeno, L. Bertonazzi, Accesso ai documenti e contraddittorio, in Dir. proc. amm., 1999, III, p. 823 e ss.; e F. Figorilli, Il contraddittorio nel giudizio speciale sul diritto di accesso, in Dir. proc. amm., 1995, III, p. 584 e ss.
[12] Cfr., ex multis, T.a.r. Sicilia-Catania, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 979, in Giustizia-amministrativa.it, ove si richiama l’orientamento «che induce la giurisprudenza amministrativa a non ritenere inammissibile, ai sensi dell’art. 3 co. 1 D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184, il ricorso avverso il rifiuto di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione per omessa notifica ai controinteressati, ogniqualvolta la stessa Amministrazione non abbia ritenuto di consentire la partecipazione in sede procedimentale di altri soggetti che potrebbero o avrebbero potuto subire un pregiudizio dall’accoglimento dell’istanza di accesso»; Cons. Stato, sez. III, 11 giugno 2019, n. 3903, in Foro amm., 2019, VI, p. 1017 e ss., ove si è ribadito che «non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per l’accesso, per omessa notifica al controinteressato, quando la stessa amministrazione non abbia ritenuto di dover consentire la partecipazione di altri in sede procedimentale»; C.g.a.r.s., sez. giur., 16 marzo 2017, n. 104, in Foro amm., 2017, III, p. 680 e ss., ove si afferma che «in sede giurisdizionale non possa essere dichiarato inammissibile per omessa notifica al controinteressato un ricorso per l’accesso allorché, in precedenza, la stessa Amministrazione non avesse ritenuto di consentire, in occasione del proprio procedimento, la partecipazione di coloro che avrebbero potuto subire un pregiudizio dall’accoglimento dell’istanza di trasparenza»; Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2012, n. 677, in Giustizia-amministrativa.it; e Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2093, in Foro amm. C.d.S., 2010, IV, p. 822 e ss.
[13] Regolamento recante la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi.
[14] Cfr. F. Figorilli, Il rito dell’accesso, cit., p. 744, ove si chiarisce che in entrambe le ipotesi disciplinate dall’art. 116 c.p.a. «il soggetto interessato parrebbe comunque tenuto a presentare un’istanza di accesso all’autorità competente e, solo in seguito all’inerzia o al rifiuto di quest’ultima, si creerebbero le condizioni per richiedere l’intervento del giudice».
[15] Cfr. L. Bertonazzi, Il regime dell’istanza incidentale di accesso, con particolare riferimento al termine perentorio per la sua proposizione e alla corretta instaurazione del contraddittorio, in Dir. proc. amm., 2003, I, p. 327 e s., ove si espone l’argomento di ‘taglio pratico’ per cui «imporre al ricorrente di notificare l’istanza incidentale di accesso a tutti i controinteressati entro un termine perentorio che è già dimezzato rispetto a quello ordinario (trenta anziché sessanta giorni), potrebbe, in taluni casi, rendere estremamente arduo il rispetto del breve termine per proporre la domanda di accesso svolta nelle forme dell’istanza incidentale».
[16] Cfr. l’art. 116, co. 2, c.p.a. nella parte in cui il legislatore utilizzare la locuzione ‘può’ per l’alternativa proposizione in forma incidentale del ricorso disciplinato dal precedente co. 1. Si v., anche, M. Lipari, Commento all’art. 116 c.p.a., cit., p. 928, ove si chiarisce che la disposizione cit. del Codice conferma «la facoltatività dello strumento. Pertanto, la parte interessata può sempre decidere se proporre un ricorso separato e autonomo, oppure introdurre la propria domanda nell’ambito di un giudizio principale in corso»; e L. Bertonazzi, Il regime dell’istanza incidentale di accesso, con particolare riferimento al termine perentorio per la sua proposizione e alla corretta instaurazione del contraddittorio,cit., p. 317, ove si deduce dal ‘parallelismo’ tra l’autonoma actio ad exhibendum e l’istanza incidentale di accesso la rimessione al privato della scelta «tra i due differenti strumenti processuali che l’ordinamento pone a presidio del diritto di accesso ai documenti».
[17] Cfr., per tutte, Corte cost. 9 luglio 2021, n. 148, in Foro amm., 2022, I, p. 6 e ss., ove si rinviene il richiamo alla costante giurisprudenza costituzionale secondo cui «il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, che viene superato qualora emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio (ex multis, sentenze n. 102 del 2021, n. 253, n. 95, n. 80, n. 79 del 2020 e n. 271 del 2019)». Con particolare riferimento all’art. 24 Cost., la Corte ha altresì specificato che «esso non comporta che il cittadino debba conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti, purché non vengano imposti oneri o prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale (tra le tante, sentenze n. 271 del 2019, n. 199 del 2017, n. 121 e n. 44 del 2016)».
[18] Sulla natura ‘concreta’ ed ‘effettiva’ del diritto di accesso a un tribunale, nonché sulla necessità di un rapporto di proporzionalità tra i ‘mezzi impiegati’ e lo ‘scopo perseguito’, cfr., per tutte, Corte Edu, sez. V, 9 maggio 2022, in C-15567/20 (‘Xavier Lucas c. Francia’), ove si rimarca che «le droit d’accès à un tribunal doit être ‘concret et effectif’ et non ‘théorique et illusoire’ (Bellet c. France, 4 décembre 1995, § 36, série A no 333‑B). […] Néanmoins, les limitations appliquées ne sauraient restreindre l’accès ouvert à l’individu d’une manière ou à un point tels que le droit s’en trouve atteint dans sa substance même. En outre, elles ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, entre autres, Zubac c. Croatie [GC], no 40160/12, § 78, 5 avril 2018)».
[19] Cfr., ex multis, T.a.r. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 3 marzo 2022, n. 70, in Giustizia-amministrativa.it, ove si rinviene l’affermazione per cui «[i] principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale esigono tendenzialmente che il giudizio si concluda con una risposta di merito alle domande portate alla cognizione del giudice amministrativo, con la conseguenza che una pronuncia di inammissibilità può essere adottata solo nelle ipotesi tassativamente previste dal codice di rito»; e Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2022, n. 771, in Giustizia-amministrativa.it, nella parte in cui si richiamano i principî di tassatività delle cause di inammissibilità del ricorso e di effettività della tutela giurisdizionale per rimarcare il divieto «di introdurre in via ermeneutica cause ostative all’accesso ad una decisione giurisdizionale di merito».
[20] Cfr. Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77, in Foro amm. C.d.S., 2007, III, p. 753 e ss., ove si ricorda che «[a]l principio per cui le disposizioni processuali non sono fine a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressoché costantemente – nel regolare questioni di rito – il vigente codice di procedura civile».
[21] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 4/2023 cit., nella parte in cui si è chiarito che nella fattispecie ex art. 116, co. 2, c.p.a. l’amministrazione e gli eventuali controinteressati «potrebbero anche essere diversi dalle parti già evocate in giudizio, il che evidenzia come il rispetto delle regole del contraddittorio sia coerente con la logica della natura decisoria dell’ordinanza». Si v., anche, L. Bertonazzi, Il regime dell’istanza incidentale di accesso, con particolare riferimento al termine perentorio per la sua proposizione e alla corretta instaurazione del contraddittorio, cit., p. 323 e ss., in part. p. 325 ove si rileva che «affermare la necessaria coincidenza tra i controinteressati nel giudizio ‘principale’ e i controinteressati rispetto all’istanza incidentale di accesso (in guisa che i secondi vengano meccanicamente individuati attraverso un semplice riferimento ai primi) significherebbe vanificare quei principi che la giurisprudenza amministrativa ha elaborato al precipuo fine di garantire tutela giurisdizionale ai titolari dell’interesse alla riservatezza, a fronte dell’azione esperita dal titolare dell’interesse all’accesso a determinati documenti amministrativi».
[22] In dottrina, si v. L. Bertonazzi, Il regime dell’istanza incidentale di accesso, con particolare riferimento al termine perentorio per la sua proposizione e alla corretta instaurazione del contraddittorio, cit., p. 327, ove si ritiene senz’altro preferibile la lettura richiamata in corpo per ragioni di ‘coerenza interna’ del sistema processuale amministrativo. Ad avviso dell’a., infatti, occorre raggiungere risultati «coincidenti con quelli cui si perverrebbe muovendo dal più volte menzionato ‘parallelismo’ tra autonoma azione in tema di accesso e istanza incidentale di accesso, che devono ritenersi sottoposte ad identica disciplina anche per il profilo della corretta instaurazione del contraddittorio». In senso analogo, già M. Andreis, Commento all’art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, in A. Romano (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2001, p. 760, ove si suggeriva di interpretare il riferimento alla notifica ai ‘controinteressati’ incluso nell’art. 21, co. 1, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 «in sintonia con la norma generale posta dalla prima parte del 1° co. dell’art. 21 in esame secondo la quale, il ricorso deve essere notificato ‘ai controinteressati ai quali l'alto direttamente si riferisce, o almeno ad alcuno tra essi’».
[23] A tale riguardo, l’art. 49, co. 4, c.p.a. ha cura di precisare che «[i] soggetti nei cui confronti è integrato il contraddittorio ai sensi del comma 1 non sono pregiudicati dagli atti processuali anteriormente compiuti».
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