La riforma Cartabia ha aggiunto, a innovazioni normative esplicitamente dirette a decongestionare il dibattimento monocratico, una nuova regola che, in modo assai netto ed energico, indica ai magistrati inquirenti i presupposti per l’esercizio dell’azione penale (art. 408 c.p.p.): il pubblico ministero potrà procedere solo quando gli esiti delle indagini preliminari consentano di formulare “una ragionevole previsione di condanna”. Una mossa forse inaspettata, ma più che opportuna: l’esperienza degli operatori ed i dati statistici sugli esiti dei giudizi monocratici segnalano che uno degli snodi per razionalizzare e contenere i flussi in arrivo è quello di sorvegliare la ‘qualità’ dell’esercizio dell’azione penale. I numeri dicono infatti che, da più lustri, sono in aumento le assoluzioni nel merito nei procedimenti instaurati a seguito di citazione diretta e di opposizione a decreto penale e che, parallelamente, diminuiscono le richieste di archiviazione: si tratta anomalie statistiche che è bene analizzare. Il problema trova principalmente origine nelle strutture interne per lo “smaltimento degli affari semplici”, e quindi in scelte organizzative fatte per gestire la quantità di lavoro; non è ovviamente realistico ipotizzare uno smantellamento di tale sistema, ma occorre acquisire consapevolezza della questione ed approntare accorgimenti per evitare gli attuali sprechi di risorse dibattimentali. Il cambiamento necessario interpella non soltanto le Procure presso i Tribunali, ma anche il Consiglio Superiore e tutto il sistema di vigilanza sul ‘corretto esercizio dell’azione penale’ (Procure generali della Cassazione e dei distretti): tutti dovranno fare la loro parte, le norme primarie e secondarie necessarie già esistono.
Sommario: 1. La riforma Cartabia ed il nuovo art. 408 c.p.p.: un monito per le Procure? - 2. La qualità delle azioni penali promosse tramite decreto di citazione diretta a giudizio e decreto penale - 3. Gli esiti delle diverse tipologie di giudizio: un tema che non interessa a nessuno - 4. Conoscere i dati per migliorare. Il ruolo del DGSIA, del CSM e delle Procure Generali - 5. L’utilità delle interlocuzioni tra uffici requirenti e giudicanti - 6. Organizzazione del lavoro delle Procure e monitoraggio della qualità.
1. La riforma Cartabia ed il nuovo art. 408 c.p.p.: un monito per le Procure?
La c.d. riforma Cartabia indica, tra i suoi obiettivi, quello di accelerare i tempi di durata del processo penale, mediante la diminuzione delle pendenze degli uffici giudicanti. I dati statistici segnalano un progressivo aumento delle pendenze in particolare nei Tribunali monocratici: secondo una rilevazione del Ministero dell’agosto 2023 sono passate da 334.649 nel 2003 a 522.286 nel 2013 a 624.461 nel 2021, per poi attestarsi a 597.080 nel 2022: numeri che evidenziano un ‘eccesso’ di produzione da parte delle Procure a fronte di una limitata potenzialità di smaltimento di quegli uffici.
È noto che gli uffici di Procura hanno visto nel passato una forte diminuzione delle loro sopravvenienze, grazie a ripetute depenalizzazioni[1] e che, negli ultimi anni, possono contare su un trend di iscrizioni al registro mod. 21 sostanzialmente stabile o talora in lieve diminuzione[2]. È altresì rilevabile che questi uffici, anche in virtù di una efficiente organizzazione, hanno da tempo aumentato la loro capacità di definizione delle indagini preliminari, raggiungendo un buon equilibrio tra ‘entrate’ ed ‘uscite’: da dati del Ministero risulta a livello nazionale, nel 2009, un sopravvenuto pari a 1.603.600 ed un definito pari a 1.609.362 (dati di dettaglio segnalano, per esempio, che la Procura della Repubblica di Genova già nel 2005 riceveva 56.121 segnalazioni e ne definiva 59.628): sostanzialmente un bilancio che si mantiene costante nel tempo e che – fatte salve criticità specifiche, dovute in alcuni casi a pesanti scoperture di organici o alla pendenza di indagini preliminari particolarmente impegnative – consente di considerare gli uffici inquirenti, nel loro complesso, sufficientemente efficienti dal punto di vista della gestione dei flussi di lavoro. Ma questa prima valutazione positiva, e limitata al piano di una analisi puramente quantitativa, va approfondita.
Se si apre il confronto a livello europeo, si nota per esempio un dato suggestivo, che concerne il rapporto tra sopravvenienze degli uffici inquirenti e definizioni in termini di esercizio dell’azione penale: rispetto alle consorelle europee le Procure italiane ricevono meno segnalazioni di reato, ma trasmettono più procedimenti a giudizio. Dal data base CEPEJ emerge che nel 2018 in Italia sono pervenute ai pubblici ministeri 4,2 notizie di reato ogni 100 abitanti, cifra assai inferiore rispetto ad esempio a quella francese (6,12 ogni 100 abitanti) e tedesca (5,99 ogni 100 abitanti); mentre nel 2018 ai giudici dibattimentali italiani sono sopraggiunti 1.332 processi a testa, a fronte di una media europea di 398[3].
C’è un ulteriore dato (nazionale, e quindi più significativo) che induce ad approfondire le modalità di definizione ad opera delle nostre Procure: almeno dal 2007 la percentuale di richieste di archiviazione “noti” è in diminuzione: nel 2019 è stata del 37%, mentre nel 2005 era del 39,80 e nel 2001 addirittura del 59,52%[4]. Insomma, può essere utile affrontare il tema delle ‘eccessive’ pendenze davanti ai Tribunali anche ponendo una attenzione critica alla qualità delle azioni penali esercitate dagli uffici inquirenti.
Tanto più utile risulta questa prospettiva, se si pone attenzione che, accanto ai molteplici strumenti deflattivi messi in campo dalla riforma Cartabia (ampiamento del numero dei reati punibili a querela, allargamento delle ipotesi di messa alla prova, potenziamento dell’archiviazione per tenuità del fatto), compare un tassello forse inaspettato: la ridefinizione dei presupposti necessari per l’esercizio dell’azione penale; è significativo notare che, prima della modifica, non si era discusso specificatamente sulla necessità di intervenire sul tema.
Ci riferiamo al nuovo art. 408 cpp e alla soppressione dell’art. 125 disp. att. cpp: un duplice intervento che chiarisce, sottolinea ed enfatizza la soglia, in termini di risultati dell’attività investigativa, che deve presidiare la scelta dell’azione penale; la nuova norma impone la richiesta di archiviazione, quando gli elementi probatori acquisiti “non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca”. Viene quindi eliminata la preesistente duplicazione della regola per la scelta tra azione ed archiviazione (la generica ed ambigua “infondatezza della notizia di reato” dell’art. 408 cpp e la “inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio” dell’art. 125 disp. att. cpp), con una formulazione perentoria: il pubblico ministero potrà esercitare l’azione penale solo se l’esito delle indagini preliminari gli consente di formulare una ragionevole prognosi di condanna.
In realtà, il nuovo art. 408 cpp, pur distinguendosi per la chiarezza e la forza della formulazione, a nostro parere non ‘rivoluziona’ la definizione del criterio selettivo (tra azione ed archiviazione) previsto per il magistrato inquirente: essendo ragionevole pensare che la necessaria “idoneità degli elementi probatori raccolti per sostenere l’accusa al dibattimento” sia molto vicina alla (e comunque non possa essere troppo distante dalla) ragionevole previsione della condanna; sicché il passaggio dall’uno all’altro criterio dovrebbe, astrattamente, ‘spostare pochi numeri’. Astrattamente, scriviamo, perché la decisione di intervenire con questa inusuale nettezza (“ragionevole previsione di condanna”: una formula scelta per farsi ben capire) a nostro parere è motivata dalla necessità di indicare alle Procure, una volta per tutte, il criterio da seguire: ‘l’azione penale si esercita solo in questi casi’.
Non è nostra intenzione approfondire in questa sede l’interpretazione del nuovo art. 408 cpp, o disegnarne i confini con il previgente art. 125 disp. att. cpp: ci pare importante però sottolineare che la prescrizione attiene al “corretto esercizio dell’azione penale” da parte dei Procuratori della Repubblica (art. 1 d.lgs. n. 106 del 2006) ed è affidato alla vigilanza dei Procuratori Generali, essendo diretta ad evitare azioni penali superflue, gravose per i cittadini e per tutta l’organizzazione giudiziaria; e che, sul piano della ‘politica del diritto’, richiedendo al pubblico ministero una prognosi sulla valutazione che il giudice farà del compendio probatorio, presuppone una attitudine che motiva fortemente l’ appartenenza dell’inquirente, insieme ai giudici, ad un unico ordine.
L’analisi che interessa proporre è quella che collega questa scelta normativa con l’obiettivo primario della riforma Cartabia, e quindi con l’intento di ridurre i tempi dei dibattimenti penali: non a caso la modifica normativa accompagna il potenziamento di istituti a valenza deflattiva, il che consente di ipotizzare ragionevolmente che il nuovo art. 408 cpp intenda (anche) intervenire sui numeri di procedimenti che le Procure riversano sui Tribunali.
2. La qualità delle azioni penali promosse tramite decreto di citazione diretta a giudizio e decreto penale.
È sufficiente esaminare i dati statistici sulle assoluzioni nel merito, nei procedimenti trasmessi dagli uffici inquirenti ai Tribunali monocratici per rilevare un problema: sono dati, infatti, che devono destare allarme (e che risultano in sostanziale costante crescita: dal 23% nel 2012 e 2013, al 39% nel 2019[5]), e speculari alla contestuale flessione delle percentuali di richiesta di archiviazione: occorre chiedersi se sia ormai ineludibile procedere ad una realistica valutazione della qualità della ‘produzione’ di azioni penali, soprattutto ex art. 550 c.p.p., ad opera delle Procure, e se il legislatore abbia inteso fare un ultimo sforzo per indicare ai pubblici ministeri la regola da rispettare[6].
È doverosa una premessa, e cioè che si sta ragionando sul piano di macro-dati, e che l’anomalia statistica che stiamo approfondendo concerne non il singolo magistrato, ma in generale l’organizzazione del lavoro nelle Procure: questa, infatti, compare solo negli esiti dei procedimenti a competenza monocratica, e non collegiale: il confronto ci pare percorribile, stante la marginalità delle declaratorie di non doversi procedere in udienza preliminare; e la modifica dell’art. 425 c.p.p., coerente con quella dell’art. 408 c.p.p., appare più che opportuna.
Occorre essere schietti e ragionare, nel commentare la portata della nuova norma, sulle troppo elevate percentuali delle assoluzioni nel merito nei procedimenti segnalati: un dato di fatto che pone domande e sollecita un approfondimento; un dato, si ripete, che non trova una convincente spiegazione in una ipotetica insufficienza della previgente disciplina: considerato che, come si è detto, già l’art. 125 disp. att. cpp imponeva comunque una valutazione razionale circa la sufficienza del materiale accusatorio per motivare una richiesta di condanna.
È esperienza diffusa tra i magistrati giudicanti che un numero significativo di procedimenti mandati al giudizio monocratico è sprovvisto di qualsiasi indagine; ne è prova l’applicazione massiccia (diremmo anomala) dell’art 507 c.p.p., norma che dovrebbe avere un impiego eccezionale e che troppo spesso il giudicante si è trovato costretto a utilizzare al fine di colmare lacune dell’impianto accusatorio: tra le più gravi e ricorrenti, la mancata indicazione di testimoni chiave e la mancata produzione di documenti essenziali, la cui esistenza era nota all’inquirente[7].
Anche dati statistici scorporati confermano ciò. Un’analisi dettagliata delle sentenze assolutorie, effettuata presso il Tribunale di Genova negli anni 2020 e 2021 con l’ausilio indispensabile di alcuni addetti all’Ufficio per il processo e di tirocinanti (è infatti impossibile estrarli direttamente tramite SICP), ha fatto emergere come oltre il 50% del totale delle assoluzioni fosse motivato da ragioni di merito[8]: tutte per carenza di prove, numerosissime quelle conseguenti ad opposizione a decreti penali (che sovente vengono emessi senza alcun vaglio preventivo); molte relative a reati formali, laddove una semplice più attenta analisi dei documenti avrebbe evitato il dibattimento[9]: in definitiva, una quota del lavoro della Procura che si è risolta in gravi disagi per gli imputati assolti ed in un evidente spreco di tempo e di risorse; si pensi ai costi di difesa, all’immenso lavoro delle cancellerie per le notifiche e gli scarichi sui registri, al numero delle udienze dibattimentali, alle liquidazioni per patrocini a spese dello Stato; e, paradossalmente, a fronte del massiccio numero di assoluzioni, le impugnazioni da parte della Procura sono praticamente inesistenti, a conferma del totale disinteresse per la sorte di questi procedimenti. Ma allora, perché non cambiare la rotta?
La descrizione che abbiamo appena proposto può sembrare impietosa: ma consideriamo che lo stesso legislatore, con la recente introduzione dell’art. 544-bis c.p.p. e con la previsione, nei giudizi a citazione diretta, di un’udienza predibattimentale all’esito della quale il giudice dovrà pronunziare sentenza di non doversi procedere quando “gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”, ha preso atto della gravità del problema e ne ha valutato così necessario il ridimensionamento da prevedere un meccanismo specifico per eliminare dal carico del dibattimento i procedimenti impropriamente proposti dagli uffici inquirenti: un rimedio oneroso, in termini organizzativi (soprattutto per i Tribunali medio-piccoli) ed in termini per così dire ‘culturali’, perché comporta la necessità di uno specifico ‘giudice predibattimentale’ che si ‘contamini’ con la lettura integrale del fascicolo del pubblico ministero, al fine di eliminare una ‘zavorra’ evidentemente ritenuta non più tollerabile.
3. Gli esiti delle diverse tipologie di giudizio: un tema che non interessa a nessuno
La scarsa qualità delle azioni penali di cui si tratta costituisce un problema diffuso, risalente nel tempo e noto agli operatori del settore; ma, nonostante questo, praticamente nessuno discute o scrive su questo tema. I progetti organizzativi dei Procuratori della Repubblica si confrontano con i flussi in entrata, le pendenze e le definizioni dei loro uffici, ma mai con gli esiti dei procedimenti.
Neppure il Consiglio Superiore ritiene rilevante, per valutare sia i progetti dei Procuratori, sia le proposte organizzative formulate dai candidati ai posti direttivi, il tema dei risultati: nella relazione riassuntiva degli esiti di una approfondita verifica esperita dal Consiglio sui progetti di tutte le Procure italiane per il triennio 2020/2022 (la si legge nel “L’albero dei progetti”, pubblicato sul sito Cosmag) non compare neppure un accenno al tema: dalla lettura delle 190 pagine di dettagliatissime osservazioni risulta, da un lato, che nessun progetto organizzativo riferisce, seppure sommariamente, degli esiti dei procedimenti; e, d’altro canto, che il Consiglio non dedica neppure una riga all’omissione; viene rilevato, tra i molteplici appunti critici, che nel progetto manca una analisi sullo stato delle pendenze, che non vengono indicati i flussi dei singoli gruppi di lavoro, che è carente il dettaglio dei flussi del triennio precedente ed altro: ma non una parola sulla questione dei risultati.
Eppure, proprio il Consiglio, già nella sua circolare sulle Procure del 16 novembre 2017 (confermata sul punto nella riedizione del 16 giugno 2022), aveva previsto (art. 3, co. 1) che “allo scopo di garantire la ragionevole durata dei processi, il Procuratore della Repubblica assicura un’attenta e particolareggiata analisi dei flussi e delle pendenze dei procedimenti ed il loro costante monitoraggio, anche avvalendosi della Commissione Flussi(…), nonché dei dati acquisiti dai Presidenti dei Tribunali sul ricorso ai riti speciali e sugli esiti delle diverse tipologie di giudizio”. Una previsione, questa, che richiedeva una ricerca di dati e una valutazione dei risultati delle azioni penali promosse, distinte per rito: nessun procuratore, a quanto risulta, vi ha provveduto e nessun componente del CSM se ne è lamentato.
La reticenza è stupefacente, quasi l’argomento fosse un tabu, come dimostra il fatto che statistiche affidabili sugli esiti neppure esistono: le molteplici tabelle elaborate dal Ministero o utilizzate dal Consiglio espongono soltanto dati spuri, inidonei ad evidenziare le assoluzioni nel merito (l’unico indicatore significativo – a livello statistico di ‘grandi numeri’ – per valutare la qualità del lavoro delle Procure): sono disponibili soltanto dati comprensivi talora delle improcedibilità per motivi processuali, talaltra dell’estinzione del reato per esito favorevole della messa alla prova o altro. Ma forse è ingenuo stupirsi di questo: è ovvio che nessuno si dolga per la mancanza di un dato che non interessa a nessuno.
Quali le ragioni di un così evidente ‘strabismo’?
In realtà, le origini di questa ‘finalizzazione’ delle Procure a produrre numeri sono evidenti: l’organizzazione degli uffici inquirenti da molti anni (almeno dalla soppressione delle Procure presso le Preture) è stata centrata sulla necessità di gestire più agilmente la quantità, al fine di evitare prescrizioni nel corso delle indagini preliminari, e di consentire lo svolgimento di attività di indagini complesse ad opera di gruppi di lavoro specializzati, alleggeriti dal carico della gestione di molteplici procedimenti semplici, ripetitivi e di minore rilievo. Un obiettivo benemerito, che oggi si può considerare grosso modo raggiunto: ora è il momento di prendere atto del problema che stiamo segnalando, innanzitutto acquisendo i dati necessari per esserne consapevoli.
L’obiettivo della gestione delle quantità è stato realizzato attraverso la creazione di strutture interne dedicate alla trattazione di “affari semplici”; ciò non raramente ha dato vita ad una sorta di sub-appalto permanente ad ufficiali di polizia giudiziaria e a vice Procuratori onorari, forniti di moduli per la produzione in serie di decreti di citazione a giudizio e di decreti penali, poi firmati da un magistrato, il quale, oberato da altri gravosi impegni, non è in grado di controllare le enormi quantità di atti prodotti; queste strutture ‘di smaltimento’ sono state non di rado affidate a collaboratori non specificamente preparati ad affrontare il nuovo ruolo, e motivati (i magistrati onorari talvolta anche sulla base dei criteri retributivi applicati dalle Procure) soprattutto a proporre azioni penali in massa.
A ciò si aggiunga, come si è detto, che normalmente solo i p.m. onorari gestiscono in udienza (con turni che prescindono dall’avere trattato l’uno o l’altro fascicolo) questi processi e che nessun pubblico ministero togato si informa dell’esito dei decreti di citazione sottoscritti: insomma, nessuno ‘ci mette la faccia’, e quindi nessuno si sente responsabile.
È poi da sottolineare un ulteriore importante profilo negativo: questa organizzazione produce non solo scarsa qualità, ma anche una costante, massiccia e parrebbe inconsapevole violazione dei criteri di priorità: anche nel caso in cui il Procuratore abbia indicato nel proprio progetto organizzativo criteri di priorità coerenti con quelli previsti dall’art. 132 disp. att. cpp, ne abbia proficuamente discusso col Presidente del Tribunale e ne abbia infine preteso il rispetto da parte dei sostituti, questi gruppi di lavoro ‘a smaltimento rapido’ continueranno a sfornare, sotto forma di decreti di citazione a giudizio e di decreti penali (massicciamente opposti), azioni penali ‘a prescindere’ da qualsiasi razionalità, che andranno a impattare su calendari di udienza già fittissimi e che dovrebbero lasciare spazio alle priorità indicate dal legislatore.
4. Conoscere i dati per migliorare. Il ruolo del DGSIA, del CSM e delle Procure Generali
Le nostre osservazioni non intendono proporre un ‘ritorno al passato’ né uno smantellamento di alcune scelte organizzative che hanno dimostrato efficienza: vogliono però suggerire la necessità di una maggiore consapevolezza dei problemi che possono derivare (ed oggi derivano) da alcune soluzioni organizzative adottate in passato, ed i cui effetti non sono mai stati monitorati.
È ormai necessario un cambiamento di prospettiva: primariamente nel Consiglio Superiore, che deve utilizzare in tutta la loro potenzialità gli strumenti che pure si è già dato con il riferimento agli ‘esiti dei procedimenti’ contenuto nelle circolari sulle Procure; poi nel sistema di vigilanza delle Procure Generali; e infine nelle Procure presso i Tribunali: l’orizzonte organizzativo del sistema degli uffici inquirenti e requirenti pare oggi fermarsi allo smaltimento ai numeri ‘in uscita’ dall’ufficio, e non valuta i suoi risultati avendo di mira l’intero procedimento e i suoi effetti, in termini di giustizia e riparazione; la cultura della giurisdizione (cui il P.M. ‘non separato’ vuole continuare ad appartenere) impone un profondo mutamento.
Ma è difficile porre rimedio a un problema, se non lo si vuole conoscere: il primo passo indispensabile è quindi quello di voler, finalmente, acquisire, elaborare e conoscere i dati sugli esiti: ragionarci sopra sarà poi inevitabile.
Spetterà al Consiglio Superiore, prima di tutto, pretendere dalle elefantiache strutture ministeriali a ciò deputate (v. DGSIA) applicativi che permettano di estrarre tutti i dati necessari. È infatti indispensabile che sia gli inquirenti che i giudicanti abbiano a disposizione strumenti informatici e statistici snelli e veloci, che permettano di scorporare e incrociare i dati per materie, per fasi, per tipologie di reati, di riti, di formule assolutorie, senza essere costretti ad elaborarli “manualmente”[10].
Senza queste conoscenze nessun proficuo colloquio tra inquirenti e giudicanti può aver luogo.
Il C.S.M. dovrà poi valutare i progetti organizzativi dei Procuratori richiedendo una adeguata analisi degli esiti (si noti al proposito che la riforma Cartabia, nel modificare sul punto il d.lgs. 106 del 2006, ha indubbiamente messo a disposizione dell’organo di governo autonomo poteri ben più incisivi rispetto al passato); dovrà inserire tra i parametri, in base ai quali valutare i dirigenti in sede di conferma o scegliere i futuri dirigenti, quelli idonei a premiare l’attenzione per la qualità delle azioni penali, e non solo per le quantità.
Il ruolo del Consiglio Superiore, rispetto al tema di cui stiamo discutendo, è essenziale: è banale ricordare che i valori che si affermano in una organizzazione sono (anche) quelli che risultano significativi ai fini della ‘valutazione professionale’ dei suoi componenti, e per converso che valori magari fortemente proclamati, ma di fatto insignificanti nella vita lavorativa degli operatori, restano totalmente marginali.
Anche il complessivo ‘sistema’ di vigilanza affidato alle Procure Generali nei distretti e coordinato dalla Procura Generale della Cassazione dovrà fare la sua parte; l’art. 6 del d. l.gs. 106 cit. affida al Procuratore Generale presso la Corte di appello la verifica del “corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale” e gli attribuisce a tal fine il potere di richiedere “dati e notizie” ai Procuratori della Repubblica, relazionandone al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione: e correttezza ed uniformità non possono che consistere nel rispetto del ‘nuovo’ art. 408 c.p.p., che detta la regola fondamentale per l’esercizio dell’azione punitiva. Anche in questo caso ha senso una agevole previsione: se il Procuratore Generale chiederà ai Procuratori della Repubblica, tra mille tabelle e statistiche, anche i numeri sugli esiti dei procedimenti, se studierà questi dati, se ne discuterà con i dirigenti delle Procure, l’attenzione dei dirigenti di costoro per i risultati dei giudizi non mancherà.
Ma saranno in particolare le Procure che potranno attivare strumenti utili per migliorare i risultati della loro attuale organizzazione.
Sul punto è da ribadire che occorre, prima di tutto, conoscere il problema: gli uffici inquirenti sono già in grado, con un limitato impegno aggiuntivo, di acquisire e fornire ai magistrati togati e onorari coinvolti i dati sui risultati delle azioni promosse; e siamo certe che questa consapevolezza costituirà una motivazione forte per intervenire al fine di limitare sprechi di risorse preziose ed irrazionalità.
5. L’utilità delle interlocuzioni tra uffici requirenti e giudicanti
L’esperienza di qualche ufficio giudiziario ha dimostrato che già la sola conoscenza del problema può portare ad una razionalizzazione delle prassi e ad un miglioramento.
Numerose sono state negli anni le circolari consiliari sui rapporti tra uffici requirenti e giudicanti, soprattutto in materia di criteri di priorità (delibere del 9.7.2014, del 11.5.2016 ed altre); eppure le interlocuzioni tra gli uffici sono rimaste per lo più a livello formale: la Procura esprime un parere preventivo sulle tabelle del Tribunale, spesso senza approfondirle. Dove invece questi confronti sono stati reali e costanti, hanno dimostrato la loro massima utilità; un’esperienza in tal senso è stata sperimentata in Liguria negli anni 2016-2020 presso il Tribunale di Imperia.
Qui, supportati dalle circolari del CSM e a fronte dell’abnorme pendenza che in quel momento il Tribunale si trovava a gestire sul versante monocratico (concausa l’accorpamento del Tribunale di Sanremo a quello di Imperia), dopo un’attenta analisi dei tempi medi di definizione e una valutazione degli esiti dei procedimenti da citazione diretta, Tribunale e Procura concordarono alcuni passaggi:
- furono identificate tipologie di reati prioritari, alla luce dell’art.132-bis disp att. c.p.p. e di altra normativa secondaria, e si stabilì inoltre che ogni p.m. poteva segnalare al Presidente della sezione del Tribunale altri processi che per varie ragioni presentavano in concreto ragioni di priorità.
- nel predisporre i calendari di udienze si decise di destinare la metà delle udienze alle priorità, sebbene queste costituissero circa il 15-20 % del totale, e le restanti agli altri procedimenti, così creando un reale canale privilegiato;
- nelle udienze con priorità, grazie a rigide calendarizzazioni e seguendo il c.d. metodo sequenziale, si cercò di ottenere le presenza del p.m. togato che aveva seguito le indagini (le altre udienze monocratiche continuarono ad essere gestite da VPO).
Nell’arco di neppure un anno i tempi medi di definizione per reati prioritari (ad esempio da c.d. codice rosso, colpe professionali e infortuni sul lavoro) si dimezzarono, fino a raggiungere, negli anni successivi, un tempo di definizione di circa un anno, a fronte dei quattro o cinque anni precedenti.
I risultati positivi si concretizzarono, in sostanza, in una maggiore efficienza e celerità nei processi per i reati monocratici più importanti, che ebbe come effetto benefico anche l’aumento di riti alternativi per quella stessa tipologia di reati presso l’ufficio GIP- GUP (non potendo più l’imputato sperare nella prescrizione) e quindi una deflazione dibattimentale.
Un secondo risultato positivo fu l’abbattimento delle assoluzioni nel merito, grazie, in parte, alla presenza del p.m. togato alle udienze prioritarie e in parte a una selezione più accurata sugli ‘affari semplici’ da parte della Procura, consapevole che, più era elevato il numero degli invii a dibattimento e più sarebbe stata elevata la probabilità di prescrizione.
Questi risultati portarono il CSM ad inserire il progetto nelle ‘best practices’.
6. Organizzazione del lavoro delle Procure e monitoraggio della qualità
Non si propone, ovviamente, di rinunziare alla ormai consolidata scelta organizzativa di costituire gruppi di lavoro per la trattazione in serie dei fascicoli meno complessi e più ripetitivi; ma è necessario accompagnare questa opzione con una serie di cautele che ne minimizzino le controindicazioni: tutti accorgimenti che andranno misurati sulle dimensioni e sulle risorse disponibili nei singoli uffici, e che -seppur (non molto) impegnativi per la singola Procura- produrranno risparmi per il sistema complessivo: d’altra parte, non appare razionale che l’organizzazione che si dà l’ufficio inquirente penalizzi l’intero sistema della giurisdizione.
Sono possibili correttivi molteplici.
Negli uffici più strutturati potrebbero prevedersi più magistrati togati a coordinare le diverse équipes di smaltimento, a seconda del settore loro assegnato (es.: furti in supermercato, violazioni del codice della strada, violazioni dell’art. 650 c.p. ed altro), in modo da contenere il numero dei fascicoli seriali su cui dover mantenere, per così dire, un ‘controllo’. In ogni caso, il magistrato incaricato di sopraintendere al gruppo di lavoro dovrà dare vita a prassi o a protocolli adeguati; dovrà conoscere i dati sugli esiti dei procedimenti e la giurisprudenza del Tribunale nelle singole materie; dovrà monitorare le udienze predibattimentali che, ai sensi del nuovo art. 544-bis c.p.p., pronunzieranno sentenze di non doversi procedere quando “gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”. Questa verifica, in particolare, sarà utile per conoscere le diverse valutazioni del Tribunale in ordine alla quantificazione di determinate ‘soglie’ rilevanti ai fini della punibilità (per esempio nel caso di irrilevanza del fatto), in modo da risolvere la diversità di valutazione (di cui sovente la Procura non si cura) o con una impugnazione o con un motivato adeguamento alla giurisprudenza del giudicante.
È poi possibile un’attività di formazione specifica degli addetti alla trattazione di questi ‘affari semplici’: la Scuola Superiore della Magistratura e in particolare la formazione decentrata a livello distrettuale hanno strutture apposite dedicate ai magistrati onorari; e gli uffici di Procura sono da sempre disponibili a partecipare ad azioni formative dedicate alla polizia giudiziaria: in queste ipotesi sarà utile privilegiare il metodo casistico, per dare concretezza alle iniziative. Ovviamente, anche il corrispettivo (in termini di modalità di calcolo dei compensi per i vice Procuratori onorari, e di valutazioni professionali per gli operatori di polizia giudiziaria) dovrà valorizzare il ‘lavoro ben fatto’, e non la scelta dell’azione penale ‘a prescindere’: è evidente che una richiesta di archiviazione in linea con ‘nuovo’ art. 408 c.p.p. merita assai più di una richiesta di decreto penale o di una citazione diretta a giudizio non adeguatamente vagliate.
Ma soprattutto: presupposto essenziale di ogni miglioramento è la disponibilità delle Procure a conoscere e valutare, anche confrontandosi con i colleghi giudicanti, i dati sugli esiti delle azioni penali promosse; è augurabile che ogni ufficio, anche prima di avere a disposizione statistiche ministeriali affidabili (che è presumibile si faranno attendere), voglia dedicare una qualche attenzione ai risultati del proprio lavoro. Non sarà facile superare questa antica reticenza: ma, se il Consiglio Superiore e le Procure Generali della Cassazione e dei distretti daranno il dovuto rilievo al tema, questo cambiamento di prospettiva diventerà meno difficile, meno urticante, e si diffonderà.
[1] Da fonti ISTAT e del Ministero della Giustizia risulta che si è passati da 4.770.653 sopravvenienze totali (noti ed ignoti) del 1990 a 2.620.542 (noti ed ignoti) nel 2019.
[2] Per esempio, da dati del Ministero della Giustizia risultano 1.603.600 iscrizioni nel 2009 e 1.588.379 nel 2012.
[3] Dato estratto da “Giustizia per nessuno” di M. Gialuz e J. Della Torre, Giappichelli 2022 p. 57.
[4] Dato estratto da “Giustizia per nessuno” di M. Gialuz e J. Della Torre, Giappichelli 2022 p. 94.
[5] Dato estratto da “Giustizia per nessuno”, cit., p. 149.
[6] La Procura di Genova da molti anni ormai provvede ad una analisi molto dettagliata delle modalità di definizione dell’ufficio e degli esiti, consapevole della insufficienza delle tabelle ministeriali e della non immediata confrontabilità tra le statistiche elaborate dai diversi uffici giudiziari: un lavoro ponderoso, che potrebbe costituire un’utile base di discussione non solo all’interno dell’ufficio, ma anche con i magistrati che operano nel settore penale del Tribunale. Sulla base dei dati contenuti in tale analisi, da noi rielaborati, risultano, tra gli altri, i seguenti dati: percentuali di richieste di archiviazione sul totale delle definizioni della Procura: 40% per gli anni 2013 e 2014, 39% nel 2019, 46% nel 2020 e 45% nel 2021; esiti dei procedimenti collegiali 2021: assoluzioni 20%; ndr e prescrizioni 4%; condanne totali o parziali: 76%; percentuale di assoluzioni nei giudizi monocratici (comprendendo tra le ‘assoluzioni’ anche le sentenze conseguenti all’esito favorevole della messa alla prova e tra il ‘totale delle sentenze’ quelle di condanna, di assoluzione, di abbreviato e di patteggiamento, di ndp e di prescrizione): nel 2017 assoluzioni pari al 35,3% delle sentenze totali; nel 2019: 37,62%; nel 2021: 38,81%.
[7] Cfr. Cass. 26/6/2014, n. 27879, in cui si parlò di “deriva applicativa” dell’art 507 c.p.p.
[8] Nel primo semestre del 2021 si sono avute 739 assoluzioni nel merito su 1.461 totali e nel primo semestre 2020 486 assoluzioni nel merito su 828.
[9] Quali: mancate analisi di sanatorie urbanistiche già concesse, di documenti che avrebbero attestato che la violazioni alla autorizzazioni amministrative contestata era inesistente, in quanto la stessa era stata rettificata e ampliata prima dell’accertamento; di documenti contabili prodotti dall’indagato già in sede di memoria ex art 415-bis c.p.p.
[10] Si noti inoltre che la mancanza di elaborazioni attendibili di dati impedisce una corretta valutazione dell’effetto di riforme importanti: ricordiamo come, a seguito di ogni modifica normativa, lo stesso Ministero e spesso il Parlamento sollecitino report semestrali sugli esiti, chiedendo dati che SICP non permette di estrarre e che pure sono contenuti nelle sentenze; ad esempio quando, a seguito della riforma sui reati da c.d. codice rosso, sono state sollecitate informazioni sull’età delle vittime, sulla maturazione o meno della violenza in ambito familiare, sulla presenza di minori: insomma, ricerche che con l’inserimento di parole chiave, in presenza di strumenti informatici minimamente adeguati, si potrebbero estrarre in un lampo, mentre è necessario chiedere uno sforzo “manuale” enorme alle cancellerie già oberate da mille impegni e stremate dalle carenze di organico. Nel 2023 questo è inaccettabile!
(Immagine via Smithsonian Institution)