Angelo Costanzo: Questa Rivista ha ripubblicato di recente un articolo di qualche anno fa sulle motivazioni dei test psicoattitudinali ai magistrati. In questi giorni la questione è stata riproposta con diverse posizioni (alcune dai toni polemici). Fra gli altri, è stato pubblicato un articolo sui test che potrebbero essere usati per i magistrati, con riferimento specifico al test MMPI. Nella sua qualità di docente di psicometria e di past-president della Associazione Italiana di Psicologia, che ne pensa?
Santo Di Nuovo: Cominciamo col precisare che il test MMPI di cui tanto si parla non è un test psicoattitudinale (come detto fin dal titolo dell’articolo citato), ma appartiene alla categoria dei test di personalità.
Attitudinali sono i test che valutano specifiche capacità in settori delle competenze cognitive, potenzialità che favoriscono gli apprendimenti in quei settori. Le attitudini riguardano capacità verbali (di comprensione e uso del linguaggio), di applicare la logica induttiva o deduttiva, di ragionare usando calcoli numerici o immagini, di rispondere accuratamente agli stimoli presentati, ecc.
Invece il test MMPI riguarda caratteristiche di personalità, dunque emotive, motivazionali, con riferimento a potenziali patologie psichiche. Le scale di base misurano tendenze a deviazioni patologiche quali ad esempio ipocondria, depressione, paranoia, spunti psicotici, introversione sociale. Oltre il profilo di base, con le scale di patologia e quelle di controllo dell’attendibilità delle risposte, la versione più recente contiene altri due differenti profili (non citati nell’articolo) che quantificano diverse condizioni e disagi psichici, come ansia, debolezza dell’Io, ostilità latente, responsabilità sociale, incertezza nei ruoli sessuali, stress post-traumatico, tossicodipendenza, disagio sociale, difficoltà familiari e lavorativi, e tanto altro.
Nell’articolo precedente ho discusso gli aspetti tecnici e i presupposti teorici di questo tipo di valutazione psicometrica, e i limiti che gli esperti in queste tecniche da tempo hanno ribadito: l’inquadramento diagnostico dei “tratti” di personalità su base auto-valutativa (come avviene nel test) è una condizione necessaria ma non sufficiente, e va integrato con altri criteri e strumenti diversi di analisi miranti a “comprendere” globalmente e in modo dinamico il funzionamento della persona, che può essere predittivo del comportamento in ambito lavorativo. Questi strumenti psicodiagnostici implicano modalità di uso molto più complesse e articolate rispetto ad un questionario con domande a risposte prefissate e valutate con scoring algoritmico (la formulazione dei profili MMPI-2 e di altri test di personalità avviene adesso in modo completamente automatizzato).
Inoltre, il fatto che - come dice l’articolo - “in rete ci sono tanti siti che forniscono consigli per come effettuare il test” non gioca certo a favore della attendibilità dello strumento per un uso generalizzato finalizzato a scopi selettivi, favorendo i tentativi di falsificazione delle risposte a scopo “difensivo”.
Non sta a me ovviamente valutare se la diagnosi della personalità sia opportuna o no per selezionare i magistrati. Ricordo che le caratteristiche della personalità non vengono esaminate di norma nella selezione del personale, mentre si usano i test psicoattitudinali.
In generale, la legislazione italiana, per quanto riguarda gli adulti, è molto cauta sulla valutazione della personalità.
Come è noto, l’art. 220 del c.p.p. esclude che si possano valutare “il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche”: è proprio al fine di valutare le potenziali componenti di patologia psichica che – come dice l’articolo citato - vengono utilizzati test come il MMPI. Ma si tratta di fattispecie comparabile con la valutazione delle persone aspiranti a diventare magistrati, o di accedere a qualunque altra categoria di lavoratori?
L’art. 473-bis.25 del codice procedura civile, recentemente modificato dalla legge Cartabia, circa la CTU sui genitori precisa che “nella consulenza psicologica le indagini e le valutazioni su caratteristiche e profili di personalità delle parti sono consentite nei limiti in cui hanno ad oggetto aspetti tali da incidere direttamente sulle capacità genitoriali”. Però, mentre la psicologia e la pedagogia hanno chiarito quali caratteristiche influiscono sulle capacità di essere buoni genitori, non è stato definito esattamente dalla letteratura scientifica quali aspetti emotivi e di personalità incidono direttamente sull’esercizio della professione di un magistrato (mentre è stato fatto per le competenze cognitive attinenti al ragionamento giuridico).
Dunque, prima di discutere se la valutazione della personalità è opportuna o no per l’immissione in una certa categoria professionale, bisognerebbe ragionare su quale personalità è la più adatta per esercitare quella professione. A meno di non voler limitare la valutazione all’accertamento che nell’aspirante professionista non ci siano componenti patologiche attuali o potenziali: ma questa logica andrebbe allora estesa ad altre professioni altrettanto delicate per le conseguenze sugli utenti, come quelle di insegnamento, educative e sanitarie (e, perché no, gli stessi psichiatri e psicologi…). Questa logica di ispezione generalizzata sulla salute mentale di chi sostiene dei concorsi è sostenibile sul piano dei diritti delle persone, giuridicamente garantiti? Peraltro, nel lungo periodo, nulla garantisce che, cambiando le condizioni di vita e del contesto ambientale del lavoratore, la diagnosi iniziale su certe caratteristiche di personalità non possa cambiare, in positivo o in negativo, escludendo a priori chi attraversa un periodo – magari transitorio – di disagio e includendo invece chi poi si rivelerà più fragile rispetto a quanto inizialmente prognosticato.
Angelo Costanzo: Nei paesi dell’Unione Europea vi sono posizioni e soluzioni diversificate (che sarebbe utile approfondire e valutare senza pregiudizi) su questo tema. Fra le pratiche basate sulla somministrazione di test, o su colloqui con psicologi, o sulla partecipazione di questi professionisti a commissioni miste (composte prevalentemente da magistrati), per le valutazioni attitudinali degli aspiranti magistrati, quali reputa metodologicamente corrette e scientificamente attendibili?
Santo Di Nuovo: Prescindendo dal problema se l’esame psicologico debba riguardare anche la personalità, e limitandoci all’esame strettamente psicoattitudinale per l’immissione nella carriera – dunque in fase “selettiva” per diventare magistrati – la pratica psicodiagnostica deve considerare la validità degli strumenti tecnici, intendendo per validità la capacità dello strumento di raggiungere lo scopo per cui viene usato. Gli esempi olandesi e francesi spesso citati mostrano esiti diversi rispetto all’efficacia (fortemente contestata nel caso francese).
È sul piano tecnico che dunque il problema va spostato, a partire dalla chiara e univoca definizione di test psicoattitudinali di cui ho detto in precedenza. Ammesso che le attitudini possono essere legittimamente valutate per l’accesso ad una professione, resta da stabilire accuratamente quali “attitudini” psichiche servono per fare il magistrato.
Definire delle attitudini necessarie è più facile per professioni tecniche (attenzione, memoria, prontezza di riflessi, ecc.), mentre meno agevole è capire quali competenze cognitive sono specificamente utili per assumere funzioni inquirenti o giudicanti, oltre le conoscenze della materia e le capacità generali di comprensione ed espressione verbale e di ragionamento logico-deduttivo, che peraltro sono elementi utili per far bene tutte le professioni, e che proficuamente possono essere valutate per accedere ad esse.
Esistono strumenti psicometrici adeguati per valutare queste caratteristiche (ben diversi dal test MMPI impropriamente citato al riguardo!) e le società scientifiche di psicologia potrebbero contribuire a definire delle linee-guida al riguardo se si decidesse di inserire test psicoattitudinali nella valutazione concorsuale per l’accesso alle professioni giuridiche. Inoltre si dovrebbe valutare empiricamente – con attendibili studi scientifici longitudinali - l’efficacia a lungo termine di queste modalità di selezione, come proposto in altri Paesi, e come è stato fatto per altri profili professionali.
Angelo Costanzo: Oltre la fase di selezione iniziale, per cui usare i test attitudinali, cosa pensa dell’opportunità di verificare periodicamente la sussistenza di una idoneità psicologica, applicando a chi già esercita le funzioni giurisdizionali verifiche sulla “tenuta psichica”?
Santo Di Nuovo: Valutare la “tenuta psichica” di chi è già magistrato implica sottoporre periodicamente ad esame psicodiagnostico tutto il personale in servizio (non solo chi ha evidenziato rilevanti problemi comportamentali, come attualmente avviene per tutte le professioni, magistrati compresi).
E la valutazione deve avvenire su aspetti non legati al mantenimento delle competenze attitudinali ─ come avviene per piloti di aerei o macchinisti ferroviari, valutati periodicamente ─ ma alla sussistenza di “equilibrio mentale”. Aspetto certamente utile per esercitare bene una (qualunque) professione, ma dai confini talmente labili e indefinibili in generale, da rendere poco valida la valutazione, ai fini di eventuali decisioni pratiche in caso di esito negativo.
Nel caso della selezione ex ante, la conseguenza sarebbe l’esclusione dalla professione. Nel caso di una verifica periodica in servizio, quali sarebbero le sanzioni oltre il discredito dell’immagine personale del magistrato definito “psichicamente poco equilibrato”? Una censura che peserebbe sulla carriera? Il trasferimento ad altri uffici? Un trattamento psicoterapeutico obbligatorio? la sospensione dal servizio in attesa di una “rivedibilità” del giudizio? Ma le sentenze emesse da questo giudice “psichicamente squilibrato” resterebbero valide o potrebbero essere impugnate?
Non è mia competenza valutare la legittimità giuridica di tali valutazioni (e delle loro conseguenze) quando vengono effettuate con un sintetico screening di massa e non per specifici motivi di un disagio già conclamato, come nei casi di stress e “burnout” lavorativo su cui già si interviene. Segnalo però che i controlli generalizzati di “tenuta psichica” sono stati contestati quando si è provato a proporli per altre professioni come insegnanti o personale sanitario; e che pure l’aspetto tecnico è in questo caso molto più problematico.
Come già detto, i tratti di personalità che si dovrebbero valutare non sono statici, ma su di essi incidono dinamiche contestuali, continuamente variabili e in evoluzione. Dinamiche attinenti alla sfera di vita personale del soggetto da valutare, su cui difficilmente si potrebbe indagare ed eventualmente intervenire.
L’uso di test come il MMPI o altri analoghi non assicurano da soli l’affidabilità di una valutazione complessa per l’incidenza di tanti fattori dinamici interni ed esterni alla psiche del valutato, quando l’obiettivo della valutazione non è comprendere i problemi di una persona per eventualmente curarla, ma valutarne l’incidenza sull’efficienza professionale.
Aggiungo una ulteriore considerazione: in questo complesso contesto valutativo molte persone sottoposte a giudizio tenderebbero ad assumere un atteggiamento difensivo che inficerebbe l’esecuzione stessa del test. Esistono dei metodi di controllo della attendibilità delle risposte, ma nel caso in cui questi metodi evidenziassero problematicità, il test dovrebbe essere dichiarato non valido (e con quali alternative, se in uno screening di massa non è possibile prevederne?)
Va ribadito che il test psicometrico dovrebbe sempre essere inserito all’interno di una valutazione collegiale ampia ed articolata, in cui i confini dell’aspetto psicologico vanno definiti più chiaramente di quanto non avvenga nelle dichiarazioni e nei dibattiti che ascoltiamo quotidianamente. E questa definizione andrebbe fatta in base a criteri scientifici più che astrattamente ideologici o, peggio, politici.
(Immagine: Gustave Caillebotte, Ritratto di un uomo che scrive nel suo ufficio, olio su tela, 1885)