ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La giurisdizione amministrativa sull’impugnazione dell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni (Nota a Cass. Sez. Un. 25 novembre 2024, n. 30220)
di Sonia Caldarelli
Sommario: 1. L’antefatto: la limitazione della giurisdizione contabile sull’elenco Istat delle p.a. “ai soli fini della normativa di spending review”; 2. Il fatto: il ricorso dinanzi alla Corte dei conti e le questioni di giurisdizione ivi sollevate; - 3. Il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice contabile secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione; - 4. Considerazioni conclusive
1. L’antefatto: la limitazione della giurisdizione contabile sull’elenco Istat delle p.a. “ai soli fini della normativa di spending review”
Ai sensi del vigente art. 11 comma 6 lett. b) del c.g.c., come novellato dall’art. 23 quater comma 2 del d.l. n. 137/2020 convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176[i], la Corte dei conti a sezioni riunite in speciale composizione ha giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall'ISTAT “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica”.
Si rammenta che l’ISTAT provvede annualmente[ii], ai sensi del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell'Unione europea (SEC 2010) di cui al regolamento (UE) n. 549/2013[iii], alla redazione di un elenco delle pubbliche amministrazioni (c.d. elenco ISTAT) i cui bilanci concorrono alla formazione del conto economico consolidato. La ricognizione dei soggetti rientranti nel perimetro delle p.a. avviene in base ai criteri economici e statistici previsti dal citato Regolamento 549/2013 Ue (Sec 2010) e comporta l’inclusione nell’elenco non solo dei soggetti formalmente pubblici, ma anche di quelli che, sebbene abbiano la veste giuridica formale di soggetti di diritto privato, debbano essere ascritti – sulla scorta dei criteri classificatori previsti nel regolamento europeo - nel settore delle pubbliche amministrazioni[iv].
La mera collocazione all’interno dell’elenco Istat (considerata la sua funzione meramente statistica) non comporterebbe di per sé alcun effetto lesivo; è piuttosto l’utilizzazione da parte del legislatore nazionale di quell’elenco (in sé neutrale) quale perimetro applicativo di norme diverse (ossia quelle in materia di spending review nonché in materia di equilibrio di bilancio e sostenibilità del debito) da quelle meramente statistiche o di controllo da parte dell’Unione europea del rispetto dei vincoli di bilancio imposti allo Stato, ad essere alla base della sua lesività e del conseguente contenzioso sull’esatta collocazione, nel settore della finanza pubblica, di soggetti formalmente privati all’interno della categoria delle amministrazioni pubbliche[v].
In una prima fase, si è sostenuto che la predisposizione annuale dell'elenco delle p.a. da parte dell’Istat avesse natura provvedimentale di “accertamento costitutivo” (con margini di discrezionalità tecnica) della qualità di amministrazioni pubbliche[vi] e che i peculiari effetti giuridici derivanti da una simile qualità (segnatamente la sottoposizione alle norme sul contenimento della spesa pubblica), se ritenuti lesivi della posizione vantata dal privato, in quanto meritevoli di tutela in sede giurisdizionale, avrebbero legittimato l’azione impugnatoria dinanzi al giudice amministrativo, nell’ambito della sua giurisdizione generale di legittimità ex art. 7 c.p.a.
Con il comma 169 dell’art.1 della legge 2012, n.228, il legislatore è intervenuto attribuendo la cognizione giurisdizionale su tale materia a favore della Corte dei Conti: si è difatti stabilito che “avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è ammesso ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti, in speciale composizione, ai sensi dell'articolo 103, secondo comma, della Costituzione”, nonché all’art. 11 comma 6 lett. b) del CGC che “Le sezioni riunite in speciale composizione, nell'esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica, decidono in unico grado sui giudizi: b) in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall'ISTAT”. Il presupposto implicito della disposizione è che essa interveniva per modificare un sistema di tutela giurisdizionale comunque assicurato dell’ordinamento, semplicisticamente individuato (in origine) nella giurisdizione amministrativa; il richiamo all’art. 103 comma 2 Cost., ai sensi del quale la Corte dei Conti ha “giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica ed in quelle individuate dalla legge”, si è reso, invece, necessario ai fini della esatta collocazione costituzionale della garanzia giurisdizionale apprestata, così riconoscendosi l'attinenza alle “materie di contabilità pubblica” delle questioni concernenti l'elenco delle amministrazioni pubbliche tenuto dall'Istat.
Da ultimo, l’art. 23 quater comma 2 del d.l. n. 137/2020 ha novellato l’art. 11 comma 6 lett. b) del Codice di Giustizia contabile, tramite l’aggiunta “dopo le parole: "operata dall'ISTAT" delle seguenti: ", ai soli fini dell'applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica"[vii]. Attraverso la novella normativa, i poteri della Corte dei Conti sezioni riunite in speciale composizione nell’esercizio della “giurisdizione esclusiva”[viii] in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT, sono stati limitati alla sola applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica, così escludendo che l’accertamento giurisdizionale da essa operato della insussistenza, con riferimento ad un dato soggetto, dei criteri stabiliti dal Sec2010, possa incidere sulla consistenza formale e sostanziale dell’Elenco Istat delle PA (in altri termini, l’accertamento giurisdizionale non incide sulla status di PA, ma soltanto sull’applicazione della normativa di spending review) e sull’obbligo di rispetto delle altre previsioni normative a cui sono astretti i soggetti ivi inclusi (tra cui le disposizioni di derivazione europea in materia di equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito delle amministrazioni pubbliche, di cui agli artt. 81 e 97 Cost., nonché articoli 3 e 4 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 e disposizioni in materia di obblighi di comunicazione dei dati e delle informazioni rilevanti in materia di finanza pubblica[ix]).
Da ciò è scaturito il problema dell’effettiva tutela degli enti inseriti nel predetto elenco aventi interesse all’espunzione dallo stesso ovvero dell’esistenza di una giurisdizione, diversa da quella contabile (ossia quella amministrativa), competente ad annullare in parte qua il relativo elenco.
2. Il fatto: il ricorso dinanzi alla Corte dei conti e le questioni di giurisdizione ivi sollevate
La Società Autostrade del Brennero SpA presentava ricorso dinanzi alla Corte dei conti per ottenere, nei confronti dell’Istat, l’accertamento e la declaratoria di non applicazione nei suoi confronti della disciplina nazionale sul contenimento della spesa pubblica ai sensi dell’art. 11 c.g.c. e comunque della insussistenza dei presupposti per la sua qualificazione come “amministrazione pubblica” in violazione dell’art. 1 comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e della disciplina europea di cui al regolamento 549/2013/UE; inoltre, chiedeva l’annullamento dell’elenco Istat nella parte in cui aveva inserito la predetta società tra le amministrazioni ivi rientranti. La ricorrente sollevava altresì la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 quater del d.l. n. 137/2020, per aver limitato la giurisdizione della Corte dei conti in materia di elenco Istat ai soli effetti della disciplina nazionale in materia di spending review, escludendo la possibilità di incidere sulla validità dell’atto (mediante il suo annullamento in parte qua) ovvero vincolare l’Istat alla sua modifica, attribuendo – in ipotesi – alla concorrente giurisdizione amministrativa la verifica della legittimità dell’inclusione nell’elenco, per violazione dell’art. 103 comma 2 Cost. che riconoscerebbe alla Corte dei conti giurisdizione esclusiva sulle controversie di cui trattasi in quanto afferenti alla materia della “contabilità pubblica”.
Nelle more del giudizio, la CGUE con la sentenza della Prima Sezione, 13 luglio 2023, Cause riunite C‑363/21 e C‑364/21, Ferrovienord e Federazione Italiana Triathlon, resa all’esito del rinvio pregiudiziale disposto con due ordinanze della Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, ossia la n. 5/2021/RIS del 3 giugno 2021 e la n. 6/2021/RIS del 10 giugno 2021[x], si pronunciava sulla compatibilità europea dell’art. 23 quater del d.l. n. 137/2020, escludendo che il quadro normativo sovranazionale di riferimento osti ad una normativa nazionale che limiti la competenza del giudice contabile a statuire sulla fondatezza dell’iscrizione di un ente nell’elenco delle amministrazioni pubbliche purché, tuttavia, siano garantiti l’effetto utile dei regolamenti e della direttiva summenzionati nonché la tutela giurisdizionale effettiva imposta dal diritto dell’Unione.
Secondo il giudice europeo, in adesione al noto principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro disciplinare le modalità procedurali dei mezzi di ricorso nel rispetto dei principi di equivalenza e effettività[xi]. La Cgue, ha tuttavia indicato precisi criteri e parametri a cui il giudice nazionale deve attenersi al fine di verificare se l’art. 23 quater rispetti i limiti della equivalenza e dell’effettività, precisando che per il diritto dell’Unione europea l’esistenza di una doppia giurisdizione (contabile e amministrativa) non potrebbe ritenersi in contrasto con il diritto alla effettività della tutela giurisdizionale[xii], purché un ente che contesti la decisione di qualificazione adottata nei suoi confronti possa limitarsi a proporre un unico ricorso per veder esaminata la propria domanda (c.d. autosufficienza del ricorso)[xiii]; viceversa, qualora il giudice nazionale dovesse ritenere che la novella legislativa “determina l’assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale delle decisioni dell’ISTAT relative all’iscrizione di enti nel settore delle amministrazioni pubbliche, come definito nel regolamento n. 549/2013, bisognerebbe in tal caso considerare che tale disposizione rende impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del suddetto regolamento e, pertanto, non permette di garantire l’effetto utile della direttiva 2011/85. Infatti, in una simile ipotesi, detti enti non potrebbero adire alcun giudice ai fini del controllo delle misure adottate dall’ISTAT in applicazione del regolamento di cui sopra[xiv]”.
Alla luce della intervenuta sentenza del Giudice europeo, la Corte dei conti – nel ricorso promosso dalla Società Autostrade del Brennero -, si pronunciava con sentenza non definitiva n. 17 del 2023[xv] ed, utilizzando gli spazi interpretativi lasciati aperti dal giudice europeo, disapplicava l’art. 23 quater comma 2 per contrasto con il diritto UE, accedendo alla tesi interpretativa secondo cui per effetto di tale previsione normativa si sarebbe determinato un irriducibile vuoto di tutela. Secondo il Giudice contabile l’art. 23 quater del d.l. n. 137/2020 non avrebbe introdotto peculiari riparti di giurisdizione in base al tipo di tutela richiesta, poiché sulla stessa materia la giurisdizione del giudice contabile è rimasta “esclusiva” (art. 11, co., 6 c.g.c.). L’effetto innovativo dell’art. 23 quater, dunque, non riguarderebbe l’an della giurisdizione, ma il quomodo avendo il legislatore ridefinito l’oggetto della tutela attraverso la limitazione dei “fini” (cioè degli effetti) della giurisdizione contabile, così escludendo la disponibilità di mezzi di tutela, quali l’annullamento (produttivo di effetti erga omnes) o la disapplicazione a garanzia di altri effetti/fini, tra cui, quelli del diritto Ue. Inoltre, si è rilevato che sul piano costituzionale, ai sensi degli artt. 103 e 100 Cost., la giurisdizione in materie di contabilità pubblica, ed in particolare sul bilancio, competerebbe alla giurisdizione “generale” della Corte dei conti mentre, viceversa, non esisterebbe una giurisdizione generale dell’autorità giurisdizionale amministrativa per l’annullamento degli atti.
Sulla scorta delle argomentazioni sopra sintetizzate, le Sezioni riunite escludevano la giurisdizione generale e residuale per l’annullamento degli atti amministrativi a favore del G.A. sulle controversie di cui trattasi e, di conseguenza, disapplicato l’art. 23-quater del d.l. n. 137/2020 in base alla sentenza CGUE, Prima Sezione, Cause riunite C‑363/21 e C‑364/21, Ferrovienord e Federazione Italiana Triathlon, affermavano la propria giurisdizione piena ed effettiva sulla materia ai sensi del depurato art. 11, co. 6, c.g.c.
3. Il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice contabile secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione
Avverso la sentenza n.17/2023 della Corte dei conti, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Istat proponevano ricorso in cassazione deducendo un unico motivo di impugnazione, ossia la violazione dell’art. 7 c.p.a. e dell’art. 11 del c.g.c., per aver ritenuto la Corte dei conti ricompresa nella sua giurisdizione la competenza ad annullare l’elenco Istat. In altri termini, secondo le amministrazioni ricorrenti, contrariamente a quanto affermato dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, per effetto della limitazione della sua giurisdizione nella materia dell’elenco Istat - introdotta con l’art. 23 quater del d.l. n. 137/2020 – “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica”, dovrebbe ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo per gli ulteriori profili. Non si delineerebbe pertanto alcun vuoto di tutela (tale da determinare il contrasto del sistema giurisdizionale nazionale con la normativa europea), stante la possibilità per l’ente leso dall’inclusione nell’elenco Istat, di esperire l’azione di annullamento in parte qua dinanzi al Giudice amministrativo nell’ambito della sua giurisdizione generale di legittimità [xvi].
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 25 novembre 2024, n. 30220, pur avendo dichiarato inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 360 comma 3 c.p.c. in ragione della natura non definitiva della sentenza impugnata (vertente solo sulla questione di giurisdizione), hanno affrontato funditus il riparto di giurisdizione tra giudice contabile e giudice amministrativo nella specifica materia dell’impugnazione dell’elenco Istat delle PA ritenendo sussistenti i presupposti per l’enunciazione del principio di diritto ex art. 363 c.p.c.: nella sentenza in commento, la Corte ha accolto un’opzione interpretativa dell’art. 23 quater comma 2 del d.l. n. 137/2020 alternativa e diversa rispetto a quella fatta propria dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, affermando che, per effetto della limitazione della giurisdizione contabile nelle controversie relative all’elenco Istat “ai soli fini dell’applicazione della normativa sul contenimento della spesa pubblica”, non si è creato alcun vuoto di tutela, essendo rimessa alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, quale giudice naturale delle controversie in cui vengono in rilievo interessi legittimi, la tutela avverso l’impugnazione dell’elenco Istat.
Una simile conclusione è stata raggiunta dalle Sezioni Unite in base a due fondamentali argomenti: il primo, è che l’inclusione nell’elenco Istat avrebbe natura provvedimentale, cui si contrapporrebbe, in capo agli enti coinvolti, una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, con conseguente naturale giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7 c.p.a.; il secondo, è che la “riserva di giurisdizione” in favore della Corte dei conti di cui all’art. 103 comma 2 Cost., non sarebbe tale da escludere la competenza generale e residuale del giudice amministrativo, incontrando il limite funzionale della interpositio legislatoris.
Ne deriverebbe che, a fronte della contrazione dell’ambito di giurisdizione contabile (limitata alla sola disciplina nazionale sul contenimento della spesa pubblica), dovrebbe ritenersi “riespansa” la giurisdizione del giudice amministrativo chiamato, nell’ambito della sua giurisdizione generale di legittimità, ad operare il vaglio della legittimità dell’azione amministrativa e la tutela degli interessi legittimi alla luce degli usuali vizi del provvedimento. La riespansione della giurisdizione del giudice amministrativo porterebbe altresì ad escludere la possibile lesione dell’autosufficienza del ricorso (rilevante come violazione dell’effettività della tutela secondo la giurisprudenza della Cgue): ciò in quanto, la tutela di annullamento è attribuita al solo giudice amministrativo, con la conseguente autosufficienza del ricorso, senza necessità di duplicazione dello stesso dinanzi alla Corte dei conti.
Sempre secondo la Corte, una simile soluzione non porrebbe il rischio di un contrasto tra giudicati in quanto la giurisdizione contabile avrebbe “un oggetto differente (….) rispetto alla disciplina eurounionale”, né potrebbe rinvenirsi un contrasto con la Costituzione (artt. 100 e 103) in quanto “non viene in rilievo una attribuzione necessaria del giudice contabile, ma una determinazione il cui ambito può essere disegnato, in concreto dal legislatore”.
4. Considerazioni conclusive
La decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sollecita alcune riflessioni in relazione alla ricostruzione del “criterio” di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e contabile nella specifica materia dell’elenco Istat delle p.a.
Nell’affermare la giurisdizione amministrativa sull’impugnazione dell’elenco Istat le Sezioni Unite hanno, anzitutto, ritenuto che gli enti ivi inclusi sarebbero titolari di interessi legittimi con conseguente radicamento, ai sensi dell’art. 103 comma 1 Cost. e art. 7 c.p.a., della generale giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.
Si tratta tuttavia di una affermazione non argomentata, non facendosi carico la pronuncia di indicare le ragioni per le quali a fronte dell’attività espletata dall’Istat di ricognizione degli enti che rientrano nel conto economico consolidato, i soggetti interessati da detta ricognizione sarebbero titolari di una posizione di interesse legittimo[xvii], e comunque non persuasiva, anche alla luce della giurisprudenza del giudice contabile che ha ricostruito l’interesse sotteso a siffatte controversie in termini di “status”[xviii].
In effetti, l’inserimento di un ente all’interno dell’elenco Istat assume valore ai fini della qualificazione in termini pubblici del soggetto ivi incluso; tale qualificazione giuridica, costituisce la condizione da cui derivano un complesso di situazioni giuridiche attive e passive; si tratta quindi dell’attribuzione di uno status – ossia quello di pubblica amministrazione (o meglio, di pubblica amministrazione ai fini della finanza pubblica)-, dal quale discendono obblighi e vincoli ricadenti sugli enti che vi figurano iscritti, come tali potenzialmente pregiudizievoli. Nelle controversie relative all’elenco Istat, l’interesse sotteso è quello alla corretta attribuzione ad un ente della qualificazione giuridica pubblica per effetto dell’accertamento della sussistenza dei requisiti, nelle specie di derivazione europea, all’uopo richiesti. Così ricostruita la vicenda non pare riducibile all’interesse legittimo quale criterio attributivo della “residuale” giurisdizione amministrativa venendo, piuttosto, in rilievo un tertium genus (rispetto al binomio interesse legittimo e diritto soggettivo), cioè quello dell’accertamento di uno “status” [xix].
Vero è che sino alla legge n. 228/2012 il giudice amministrativo si era ritenuto munito di giurisdizione sulle azioni di annullamento in parte qua dell’elenco Istat: tuttavia, dall’analisi della relativa giurisprudenza si ricava che, seppur dietro la veste impugnatoria, il giudizio era diretto all’accertamento dei presupposti per l’attribuzione della qualificazione del soggetto come pubblica amministrazione; in altri termini, la ritenuta natura provvedimentale dell’elenco Istat a fronte della quale si collocherebbero interessi legittimi, era in realtà il portato di una esigenza “contingente”, cioè quella di assicurare una qualche forma di tutela giurisdizionale agli enti interessati dall’inclusione nell’elenco, non basata su una accorta ricostruzione giuridica dell’interesse sotteso.
Alla luce di ciò, l’affermazione contenuta nella sentenza in commento secondo cui in base alla natura dell’interesse sotteso dovrebbe riespandersi la giurisdizione amministrativa generale di legittimità, appare piuttosto un escamotage per introdurre un nuovo riparto di giurisdizione tra Corte dei conti e giudice amministrativo basato, non già sulla natura della posizione soggettiva sottesa, bensì su “materia residuale”: criterio, tuttavia, non coperto dalla Costituzione.
Ulteriori riflessioni possono anche svolgersi in relazione al secondo pilastro su cui si regge la conclusione a cui sono pervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione, ossia l’insussistenza di una giurisdizione esclusiva del giudice contabile nella materia di contabilità pubblica in base alla tradizionale giurisprudenza della Corte costituzionale che si è sviluppata con riferimento alla giurisdizione contabile in materia di responsabilità per danno erariale.
Al riguardo, si deve rammentare che l’art. 1, comma 196 della legge n.228 del 2012, quale norma attributiva della giurisdizione al giudice contabile nella materia che ci occupa, non si è limitata a trasferire un ambito di competenza dal plesso giurisdizionale amministrativo alla giurisdizione della Corte dei Conti (mantenendo inalterati poteri cognitivi e forme del rimedio giustiziale), ma al contrario, attraverso l’esplicito richiamo all’art. 103, comma 2 Cost., ha riconosciuto l’attinenza alle “materie di contabilità pubblica” delle questioni concernenti l’elenco delle amministrazioni pubbliche tenuto dall’Istat, espressamente qualificata come “giurisdizione esclusiva” dall’art. 11 comma 6 del c.g.c. Il riferimento testuale all’esclusività di tale giurisdizione in quanto afferente alla materia di “contabilità pubblica”, non modificato dal d.l. 137/2020, depone nel senso di escludere la natura concorrente di altre giurisdizioni e quindi anche di quella amministrativa; nello stesso senso depone anche la lettura congiunta dei commi 1 e 2 dell’art. 23 quater, alla luce dei relativi lavori preparatori[xx]: il primo comma dell’art. 23 quater del d.l. n. 137/2020 ha difatti sostituito alle decisioni giurisdizionali della Corte dei conti di espunzione di determinati soggetti dall’elenco ISTAT, il riconoscimento ex lege della loro natura di unità che, secondo i criteri i criteri del SEC 2010, concorrono alla determinazione dei saldi di finanza pubblica del conto economico consolidato: in altri termini, il legislatore (con una norma che ha il tenore di una norma-provvedimento) ha sterilizzato, con riguardo ai soggetti puntualmente indicati nell’elenco ivi accluso, le sentenze passate in giudicato della Corte dei conti che avevano invece espunto i predetti enti dell’elenco Istat, perché ritenuti privi dei requisiti per la loro qualificazione come pubbliche amministrazioni ai sensi del Regolamento 549/13/UE; il secondo comma ha, invece, limitato pro futuro i poteri di accertamento e decisori del giudice contabile al fine di rendere insensibile l’elenco Istat a decisioni di annullamento parziale dell’autorità giudiziaria. Si tratta di disposizioni normative chiaramente volte a preservare l’integrità dell’elenco Istat dalle decisioni di accoglimento delle domande giudiziali di annullamento in parte qua dell’elenco: da esse, emerge la volontà del legislatore di escludere in modo assoluto che l’esercizio dei poteri giurisdizionali (in astratto quindi anche del giudice amministrativo) possa condurre ad una modifica dell’elenco Istat.
Le Sezioni Unite per superare il dato letterale (e pur riconoscendo le “indubbie ambiguità” del dato normativo), hanno richiamato i principi elaborati dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 204/2004 secondo cui il legislatore può ampliare l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo con “riguardo a materie (in tal senso particolari) che, in assenza di tale previsione, comporterebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità”: tuttavia, la richiamata giurisprudenza costituzionale, elaborata con riferimento all’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sui diritti soggettivi, per un verso non sembra possa superare il predetto dato testuale rimasto inalterato (sicché la interpositio legislatoris appare chiara nel senso di aver attribuito solo al giudice contabile le controversie sulla ricognizione annuale delle PA effettuate dall’Istat) e per altro verso non sembra poter in sé giustificare la ritenuta legittima sottrazione al giudice contabile delle controversie in materia di elenco Istat per fini diversi (ossia per fini “europei” secondo le locuzioni utilizzate dalla Cassazione) da quelli relativi all’applicazione della normativa in materia di spending review. Sotto tale ultimo profilo, si deve rammentare che ai sensi dell’art. 103 comma 2 della Costituzione “La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”: il criterio di collegamento evocato dalle Sezioni Unite mediante il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004 potrebbe riguardare le “altre materie specificate dalla legge” rispetto alle quali l’interpositio legislatoris incontrerebbe il limite della loro afferenza alla materia della contabilità pubblica, ma anche la libertà nella definizione della loro ampiezza. Là dove, invece, un ambito ordinamentale abbia consistenza di materia di contabilità pubblica, la specificità della giurisdizione contabile nel disegno costituzionale di composizione del sistema giurisdizionale in una pluralità di plessi magistratuali, potrebbe condurre a ritenere che essa sia esclusiva, nel senso di unica, cioè tale da escludere il concorso con altre giurisdizioni. In dottrina si è invero sostenuto che l’esclusività della giurisdizione della Corte dei conti potrebbe argomentarsi quale portato della peculiare afferenza di un giudizio alla materia della contabilità pubblica in senso stretto: in altri termini, mentre per le materie di contabilità pubblica la giurisdizione contabile escluderebbe il concorso di altre giurisdizioni, per le materie solo collegate alla contabilità pubblica, la giurisdizione contabile potrebbe concorrere con le altre[xxi]. La tesi appare condivisibile in quanto conferisce uno specifico significato al comma 2 dell’art. 103 che, nella definizione dell’ambito materiale della giurisdizione contabile, distingue la giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica dalle altre individuate dalla legge. Distinzione questa che può trovare una ratio proprio nella esclusività della giurisdizione contabile sulle materie di contabilità pubblica in senso stretto e sulla, invece, potenziale concorrenza della giurisdizione contabile con le altre giurisdizioni in caso di materie solo collegate alla prima.
Occorre quindi chiedersi se le controversie relative alla corretta perimetrazione del settore delle pubbliche amministrazioni che concorrono alla definizione del conto economico consolidato costituisca o meno una materia di contabilità pubblica in senso stretto, come tale sottratta alla concorrente giurisdizione del giudice amministrativo[xxii]. La risposta sembra dover essere positiva in quanto la delimitazione del perimetro dei soggetti qualificati come pubbliche amministrazioni in base al regolamento Sec 2010, coincide con l’ambito soggettivo di applicazione delle previsioni normative sugli obblighi di equilibrio di bilancio e di compartecipazione alla garanzia della sostenibilità del debito pubblico di matrice europea nonché costituzionale[xxiii].
Neppure appare pienamente convincente la tesi sostenuta dalla Corte di cassazione in ordine all’assenza di criticità, sub specie di potenziale contrasto tra giudicati (ossia quello contabile e quello amministrativo), stante il differente “oggetto” delle controversie (l’uno relativo alla disciplina nazionale in materia di contenimento della spesa pubblica, l’altro invece esteso alle fonti europee): il ragionamento omette di considerare che tanto la Corte dei conti, quanto il giudice amministrativo, sarebbero chiamati a valutare la ricorrenza in capo al ricorrente dei requisiti per essere incluso nell’elenco Istat in base ai criteri del Sec 2010. Si potrebbe obiettare che un simile accertamento da parte del giudice amministrativo sarebbe mediato dai motivi di impugnazione “a critica vincolata” in quanto necessariamente relativi ad uno dei tre vizi di illegittimità del provvedimento; tuttavia, nella prassi (soprattutto attraverso il vizio dell’eccesso di potere e delle sue figure sintomatiche, come dimostra il contenzioso anteriore al 2012), il giudice amministrativo sarà comunque portato a valutare, entro i limiti del proprio sindacato, il corretto accertamento da parte dell’Istat della ricorrenza in capo all’ente dei criteri di matrice europea per essere qualificato come PA; esattamente lo stesso accertamento a cui sarebbe chiamato - stavolta attraverso un ben più pregnante sindacato di merito - il giudice contabile, sebbene “ai soli fini dell’applicazione della normativa in materia di contabilità pubblica”, con conseguente palese rischio di contrasto tra giudicati; né potrebbe validamente affermarsi (come si legge nella sentenza in commento) che sarebbe preclusa (anche solo in via incidentale) al giudice contabile l’applicazione del diritto europeo (segnatamente del Regolamento 549/13/UE e della Direttiva 85/2011/UE): una simile conclusione (tenuto conto della derivazione europea della normativa di cui trattasi, rispetto alla quale non appare percorribile una netta scissione dei profili di diritto interno da quelli europei), si porrebbe in frontale contrasto con il noto principio del primato del diritto sovranazionale.
Infine, la tesi sviluppata nella sentenza in ordine alla autosufficienza dell’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo (argomento che ha consentito di escludere una potenziale violazione del diritto europeo, come interpretato dalla Cgue) rende in sostanza inutile l’art. 23 quater comma 2 del d.l. n. 137/2020 (inteso come norma limitativa dell’ambito della giurisdizione contabile): ciò in quanto, una volta riconosciuto il concorso della giurisdizione amministrativa sulla controversie in materia di elenco Istat e in particolare la sola competenza del giudice amministrativo ad annullare il predetto elenco, il solo ricorso dinanzi al g.a. sarebbe sufficiente per ottenere l’annullamento per ogni scopo dell’elenco.
[i] Decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19” convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (in S.O. n. 43, relativo alla G.U. 24/12/2020, n. 319). Per un commento all’art. 23 quater del d.l. 137/2020 si v. C. Russo, Annotazioni a margine dell’art. 23 quater D.L. 137/2020 alla luce della rilevanza generale e sistematica dell’elenco Istat, in Rass. Gen. Avv. dello Stato, 2021, 1 ss. Sia anche consentito rinviare a S. Caldarelli, Elenco Istat delle PA e giurisdizione della Corte dei Conti: i confini soggettivi della finanza pubblica alla luce delle misure connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, in Territori e istituzioni. Problemi e prospettive nel tempo della Ripartenza, a cura di G. Colombini, M. D’Orsogna e L. Giani, Ed. Scientifica, Napoli, 2023, 389 ss.
[ii] Nel nostro ordinamento l’art. 1 della legge n.196/2009 ha disciplinato la ricognizione delle amministrazioni pubbliche che rientrano nel conto economico consolidato affidando all’Istat il relativo compito, che vi provvede tramite un proprio atto pubblicato ogni anno in Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre (c.d. “elenco Istat”)
[iii] Il sistema europeo dei conti nazionali e regionali è disciplinato dal Regolamento 549/2013/UE, pubblicato il 26 giugno 2013 e operativo dal 1° settembre 2014 (“Sec 2010”). Il sistema europeo dei conti (Sec) è definito all’art. 1, par. 1 del Regolamento n. 549/2013 come un sistema contabile comparabile a livello internazionale, che descrive in maniera sistematica e dettagliata il complesso di una economia. La funzione del Sec è essenzialmente di natura statistica, ossia quella di documentare la realtà economica prescindendo dalla forma giuridica: difatti, i criteri per la sussunzione di un soggetto nel settore delle pubbliche amministrazioni ai sensi del sistema europeo dei conti hanno natura sostanziale di parametri economici e monetari, in ragione dei quali anche soggetti formalmente privati - secondo le qualificazioni dell’ordinamento nazionale - possono essere configurati come pubblici ai fini dell’inserimento nel conto economico consolidato In dottrina, cfr. S. Del Gatto, Sistema “Sec 95” ed elenco Istat. Sull'incerto confine della sfera pubblica, in Giorn. dir. amm., 2013, p. 960 ss.; M. Di Lullo, Soggetti privati “pubbliche amministrazioni” ai sensi delle norme di contabilità e finanza pubblica, in Foro amm. C.d.S., 2013, 3579 ss.; M. Luciani, Indagine conoscitiva delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio, seduta di lunedì 17 ottobre 2011, resoconto stenografico, in www.camera.it 25 ss.
[iv] I criteri classificatori del regolamento europeo non si basano su criteri giuridici, quanto, piuttosto, sull’effettivo comportamento economico degli operatori, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica e dalla loro veste formale. Ciò che appare dirimente ai fini qualificatori è, difatti, l’accertamento della “capacità di determinarsi autonomamente” da parte dell’ente, che va valutata con le specifiche modalità prescritte dalla disposizione che la prevede, e cioè “lungo le linee definite dagli altri indicatori”, e con riferimento ad un criterio economico e non strettamente giuridico, come espressamente dispone il par. 2.02, secondo cui “Le unità e gli insiemi di unità da prendere in considerazione nell'ambito della contabilità nazionale sono definiti in relazione al tipo di analisi economica a cui sono destinati e non in termini di unità abitualmente utilizzate per effettuare le rilevazioni statistiche”.
[v] Nel nostro ordinamento, per scelta del legislatore nazionale, i criteri definitori contenuti nel Sec 2010 hanno assunto un valore del tutto peculiare, da ultimo influenzando la nozione costituzionale di pubbliche amministrazioni: il comma 6 dell’art. 81 Cost., al fine di individuare i soggetti astretti dall’obbligo di rispetto della normativa europea in materia di finanza pubblica, utilizza la locuzione “complesso delle pubbliche amministrazioni”, rimettendone la puntuale definizione alla legge di attuazione approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale; l’art. 2 lett. a) della legge n.243/2012 (legge rinforzata di attuazione del comma 6 dell’art. 81 comma 6 Cost.), prevede che “si intendono: per «amministrazioni pubbliche» gli enti individuati con le procedure e gli atti previsti, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, dalla normativa in materia di contabilità e finanza pubblica, articolati nei sotto-settori delle amministrazioni centrali, delle amministrazioni locali e degli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale” e precisa che” Per conto economico consolidato” si intende “il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche formato dagli aggregati contabili delle entrate e delle spese di tali amministrazioni, classificati in conformità alle modalità stabilite dall’ordinamento dell’Unione europea”. Seppur non in via diretta l’art. 2 lett. a) della legge n.243/2012, si riferisce all’art. 1 della legge n.196/2009 che disciplina, a sua volta, conformemente alle previsioni sovranazionali, la ricognizione annuale ad opera dell’Istat delle amministrazioni pubbliche che rientrano nel conto economico consolidato. Per approfondimenti sulla nozione di pubblica amministrazione nel settore della finanza pubbliche e sul relativo contenzioso, sia consentito rinviare a S. Caldarelli, I vincoli al bilancio dello Stato e delle pubbliche amministrazioni, L’Unità del Diritto n. 29, Roma Tre Press, 2020, in particolare Cap. II, Sez. II e III, 148 ss.
[vi] Cons. St., Sez. VI, 10 dicembre 2015, n.5617.
[vii] L’art. 23 quater del citato d.l. n. 137/2020 si compone di due commi: il primo avente portata (almeno apparentemente) sostanziale (nel senso di definizione di uno status e del relativo regime giuridico) là dove prevede che “1. Agli enti indicati nell'elenco 1 annesso al presente decreto, in quanto unità che, secondo criteri stabiliti dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell'Unione europea (SEC 2010), di cui al regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, concorrono alla determinazione dei saldi di finanza pubblica del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, si applicano in ogni caso le disposizioni in materia di equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito delle amministrazioni pubbliche, ai sensi e per gli effetti degli articoli 3 e 4 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, nonché quelle in materia di obblighi di comunicazione dei dati e delle informazioni rilevanti in materia di finanza pubblica”; il secondo comma, invece, avente portata processuale, segnatamente attinente ai limiti della giurisdizione contabile nelle controversie sulla ricognizione annuale operata dall’Istat delle pubbliche amministrazioni da inserire nel conto economico consolidato.
[viii] La locuzione “giurisdizione esclusiva” è utilizzata dal legislatore: si veda in tal senso, art. 11 comma 6 del Codice di giustizia contabile che, sotto questo profilo, non è stato modificato per effetto dell’art. 23 quater comma 2 del d.l. n. 137/2020.
[ix]Le ragioni di tale intervento normativo sono ricavabili dalla lettura dei lavori preparatori: lo scopo è quello di preservare l’integrità dell’elenco Istat dalla decisioni di accoglimento delle domande giudiziali e annullamento in parte qua dell’elenco, sul rilievo che “l’esclusione dal conto economico consolidato di specifiche unità per le quali vi è stato un giudizio in tal senso della Corte dei Conti, ma che Eurostat, in accordo con ISTAT, considera dal punto di vista statistico appartenenti al perimetro delle amministrazioni pubbliche, comporterebbe l’immediata apposizione da parte di Eurostat di una riserva sulla qualità delle statistiche di finanza pubblica con evidenti conseguenze negative per il Paese. Gli esoneri prodotti dalle sentenze, per quanto sopra evidenziato, hanno impatto negativo sui saldi di finanza pubblica, atteso che le entrate e le spese degli enti continueranno ad essere consolidate nel conto della pubblica amministrazione”: cfr., Relazione governativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 154/2020, che aveva originariamente introdotto la norma poi tradotta nell’art. 23 quater del d.l. 137/2020.
[x] Corte dei Conti, Sez. Riun., sede giur., spec. comp., ordinanze nn. 5/2021/RIS del 3 giugno 2021 e 6/2021/RIS del 10 giugno 2021. A tali ordinanze di rinvio pregiudiziale alla CGUE, sono susseguite plurime sospensioni improprie dei giudizi avverso l’atto di ricognizione delle PA adottato dall’Istat nel 2020, dopo l’entrata in vigore dell’art. 23 quater del D.L. 137/2020, in attesa della risoluzione della questione interpretativa sottoposta al giudice europeo. Per un commento all’Ordinanza n.5/2021 cit., si v. E. Tomassini, Alla Corte di giustizia l’interpretazione della norma che ha limitato la giurisdizione delle Sezioni riunite della Corte dei conti in materia di inserimento nell’elenco Istat, in Riv. Corte Conti, 2021, 3, 191 ss.
[xi] Si v. l’art. 19 par. 1 del TUE, ai sensi del quale “La Corte di giustizia dell'Unione europea (….) assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati” mentre “Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione” e l’art. 4 par. 3 del TFUE, secondo cui “Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione.”. Il principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri è stato declinato per la prima volta dalla Corte di Giustizia nel 1976 e, successivamente, costantemente ribadito nella propria giurisprudenza: cfr. sentenza 16 dicembre 33/76, Rewe, punto 5 secondo cui “in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziaria intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta”. In dottrina, sull’autonomia procedurale degli Stati membri, si rinvia all’approfondita ricostruzione di D.U. Galetta, L'autonomia procedurale degli Stati membri dell'Unione Europea. Paradise Lost? Studio sulla c.d. autonomia procedurale: ovvero sulla competenza procedurale funzionalizzata, Torino, 2009. Più di recente, si v. anche S. Civitarese Matteucci e G. Gardini, Il primato del diritto comunitario e l'autonomia processuale degli Stati membri: alla ricerca di un equilibrio sostenibile, in Dir. pubbl., 2013; G. Greco, A proposito dell'autonomia procedurale degli Stati membri, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, 1 e ss.
[xii] Cgue, Prima Sezione, 13 luglio 2023, Cause riunite C‑363/21 e C‑364/21, Ferrovienord e Federazione Italiana Triathlon, par. 95.
[xiii] Ivi par. 98.
[xiv] Ivi par. 94.
[xv] Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, 19 ottobre 2023, n.17/2023/RIS. Per un commento, si v. S. Florian, Sull’ammissibilità di una doppia giurisdizione speciale in materia di ricognizione delle Amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT (nota a Corte dei conti, sez. riunite, 19 ottobre2023, n.17), in questa Rivista, 18 luglio 2024.
[xvi] Cfr. Corte Cass. Sez. Un., n.3220/2024 cit., punto 7 dei Considerato in cui si legge che la questione controversa “si incentra sull’esistenza o validità di un riparto di giurisdizione tra la Corte dei conti e il giudice amministrativo ai sensi dell’art. 23 quater d.l. 137/2020 in relazione all’impugnazione dell’elenco delle amministrazioni pubbliche da inserire nel conto economico consolidato, redatto dall’Istat in attuazione della disciplina eurounitaria contenuta nel SEC 2010 (Sistema dei conti economici integrati), previsto e regolato dal reg. n. 549/2013/UE ed inserito nella cornice normativa delineata da una pluralità di atti unionali (in specie, la direttiva 85/2011/UE e il reg. n.473/2013/UE”
[xvii] Le Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 30220/2024, si riferiscono semplicisticamente alla giurisprudenza amministrativa anteriore all’art. 1 co. 196 della legge n. 228/2012 che, per assicurare una qualche forma di tutela agli enti inseriti nell’elenco Istat, aveva affermato la natura provvedimentale di quest’ultimo con conseguente ammissibilità dell’azione di annullamento nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità su interessi legittimi spettanti al GA. La predetta giurisprudenza è stata tuttavia superata proprio dalla norma del 2012 attributiva della giurisdizione contabile: la devoluzione alla Corte dei conti, sezioni riunite, in speciale composizione ed unico grado, costituisce difatti la naturale conseguenza della qualificazione sostanziale dell’interesse sotteso alle controversie di cui si tratta di una qualità giuridica (status) non riducibile ad un interesse legittimo di natura oppositiva.
[xviii] Si v. Corte conti, Sez. riun., 19 giugno 2020, n. 17/2020/RIS, in cui si legge che “la situazione giuridica soggettiva, posta in gioco, non è di interesse legittimo, bensì una situazione giuridica a carattere assoluto, consistente in uno status” ovverosia nella “qualificazione di una istituzione come ‘pubblica amministrazione’ che concorre alla formazione del conto economico consolidato e, con l’osservanza di specifiche norme di finanza pubblica, al coordinamento finanziario della Repubblica rispetto agli impegni comunitari”, da ciò derivando che “il bene della vita e il tipo di relazione soggettiva evocata con il ricorso, attengono al Bilancio, quale ‘sistema di informazioni’ funzionale alla sintesi e alle scelte di allocazione delle risorse, (C. cost. sent. n. 184/2016) ed in particolare alla certezza della perimetrazione del bilancio della Repubblica (art. 114 Cost.), rilevante nel sistema delle relazioni con l’Unione europea”; di qui “l’interesse ad un’azione di accertamento per la quale non è richiesta la stessa concretezza e attualità che è richiesta per gli interessi legittimi e per situazioni giuridiche soggettive relative (…) il ‘pregiudizio’ che muove l’interesse al ricorso (alle SS.RR.) è […] l’incertezza che deriva per chi agisce, rispetto agli oneri di solidarietà e di coordinamento che sono connessi al concorso dei soggetti dell’ordinamento al bilancio pubblico”; in ragione del carattere esclusivo e pieno della giurisdizione contabile la Corte dei Conti deve «assicurare una tutela piena ed effettiva al ricorrente e, per questa via, ripristinare la certezza sul ‘bene pubblico’ del Bilancio (Corte Cost., sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 274/2017, n. 80/2017 e n. 49/2018 nonché Cons. Stato, Sez. IV, sentenze nn. 2200 e 2201/2018)”, anche mediante l’annullamento parziale dell’elenco”.
[xix] Sia consentito rinviare, per approfondimenti sulla tesi qui sinteticamente esposta, a S. Caldarelli, I vincoli al bilancio dello Stato e delle pubbliche amministrazioni, op. cit., 184 ss.
[xx] In questo senso, cfr. Corte Conti, Sez. Riun., sede giuri. Spec. Comp., Ordinanza n.5/2021 cit., punto 7.1. secondo cui “la volontà del legislatore, come oggettivata nella disposizione in esame, sia quella di escludere qualsiasi sindacato sul conto consolidato dello Stato italiano, eliminando qualsiasi verifica sulla corretta individuazione degli enti che, essendo stati inclusi nell’elenco ISTA, concorrono alla sua determinazione”.
[xxi] A. Manzione, I principi del giudizio in materia di responsabilità amministrativa, in A. Canale, F. Freni, M. Smiroldo (a cura di), Il nuovo processo davanti alla Corte dei conti, Giuffré, Milano, 2017, 73 ss.
[xxii] È indicativa dell’importanza del tema la circostanza che le Sezioni Unite della cassazione, abbiano in più passaggi rilevato che l’elenco Istat avrebbe valore generale per la definizione della soggettiva pubblica e non solo in funzione della normativa nazionale ed europea in materia di finanza pubblica. In altri termini, la Corte sembra aver voluto escludere la “sola” afferenza di tali controversie alla materia della contabilità pubblica per “giustificare” ex post la ritenuta attribuzione della giurisdizione concorrente del giudice amministrativo.
[xxiii] La recente dottrina ha affermato che sulla scorta di una interpretazione evolutiva e dinamica, la nozione di “contabilità pubblica” di cui al comma 2 dell’art. 103 Cost., dovrebbe oggi essere intesa in accezione moderna come “finanza pubblica”: in questo senso, si v. A. Carosi, Linee evolutive delle funzioni della Corte dei conti alla luce della recente giurisprudenza costituzionale, atti Convegno su L’evoluzione della contabilità pubblica al servizio della collettività. Giornata di studio in memoria di Salvatore Buscema, Roma, Corte dei conti 10 marzo 2016, in Riv. Corte dei conti, n. 3-4-2016, p. 459 ss.; G. Colombini, Brevi riflessioni sul debito e pubblico e giudice contabile, in questa Rivista, 2019, 2, 7 ss. secondo cui nella nozione di contabilità pubblica rientrano le norme sul “rispetto dei principi dell’equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico introdotti dalla riforma costituzionale del 2012 per lo Stato, per le amministrazioni non territoriali e per gli enti territoriali (artt.81,97,117,119), apresidio della unitarietà della finanza pubblica”.
Una delle conquiste di questi anni negli uffici giudiziari, ma più in generale nella giustizia, è la consapevolezza di come l’organizzazione sia elemento determinante che condiziona sia l’efficacia dell’intervento e la bontà del servizio, sia il benessere di tutti gli operatori. L’organizzazione non può essere patrimonio solo di chi dirige, ma deve essere una cultura diffusa che inevitabilmente investe tutti i soggetti che vi operano, dal magistrato che deve gestire il proprio ruolo, al cancelliere e funzionario che disciplina il lato amministrativo ed è, spesso, a diretto contatto con il pubblico, all’avvocato alle prese con un proprio studio e ai rapporti con la clientela e con l’autorità giudiziaria.
Non c’è dubbio che in tempi brevi sono stati fatti moltissimi passi in avanti anche grazie alla sinergia che si è creata con l’Università e con la consulenza organizzativista e al fondamentale apporto che hanno dato professori e studiosi (come i professori Zan e Butera che di recente ci hanno lasciato).
Un percorso non facile e lineare che di recente è stato rilanciato dal Progetto Unitario per l’Innovazione degli Uffici per il processo cui hanno lavorato, grazie a fondi europei di coesione, tutti gli uffici giudiziari e tutte le Università pubbliche italiane che nel giro di un anno e mezzo tra il marzo 2022 ed il settembre 2023 hanno accompagnato e supportato l’organizzazione degli Uffici per il processo e prodotto decine di progetti relativi a modelli organizzativi, banche dati giurisprudenziali, strumenti di supporto digitale.
Uno dei frutti di questo percorso per merito dell’Università di Milano Bicocca e di due suoi professori, Andrea Rossetti e Luca Verzelloni, è il lancio di una nuova rivista Quaderni di Organizzazione e Trasformazione Digitale della Giustizia reperibile on line: “una pubblicazione dedicata all’analisi e alla riflessione sui processi di innovazione tecnologica e organizzativa che stanno ridefinendo il volto della giustizia in Italia, in Europa e a livello internazionale.”
Come i due promotori della Rivista scrivono nella presentazione “La digitalizzazione dei processi, l'implementazione di nuovi strumenti informatici e la riorganizzazione delle strutture e dei processi di lavoro rappresentano non solo sfide operative, ma anche opportunità per ripensare profondamente il modo in cui la giustizia viene amministrata nel nostro Paese, così da poter garantire una risposta efficace e di qualità, entro un tempo ragionevole, alla domanda di giustizia proveniente dai cittadini.
La trasformazione digitale dell’amministrazione della giustizia non è solo una questione tecnica, ma anche etica e sociale. Richiede un dialogo costante tra diverse discipline e una visione inclusiva che tenga conto delle esigenze degli addetti ai lavori, ma anche dei cittadini, delle imprese e delle diverse componenti della società, intesa nel suo insieme.”
La nuova Rivista reperibile on line copre un enorme vuoto, dopo che i Quaderni di Giustizia e Organizzazione del COMIUG avevano cessato le pubblicazioni nel 2010, e apre una prospettiva di collaborazioni multidisciplinari strategica in questa fase di trasformazioni tumultuose e difficili prima ancora che da controllare, da capire.
Difatti in un contesto di rapidi cambiamenti tecnologici e di crescente domanda di efficienza e trasparenza, il sistema giustizia sta attraversando una trasformazione senza precedenti, particolarmente evidente nel nostro Paese.
La tentazione che molti possono avere di arrendersi alle tecnologie e di plasmare l’organizzazione sulle tecnologie è illusoria e perdente. È emblematico come anche a livello aziendale molti progetti di Intelligenza Artificiale (oltre l’80 %) falliscano semplicemente per il fatto che sin dall’inizio non erano chiari obiettivi e modalità del progetto, oltre che per la bassa qualità dei dati utilizzati. L’IA e le tecnologie vengono troppo spesso visti ed utilizzati come una sorta di bacchetta magica che risolve i problemi e non come la risposta tecnica a problemi organizzativi. L’interazione tra organizzazione di una struttura e la tecnologia nell’era dell’Intelligenza Artificiale non può essere impostata come l’iniezione di tecnica in una realtà stratificata, ma chiede un cambiamento di paradigma che richiede spesso un ripensamento profondo dei processi organizzativi e delle strategie operative.
Per questo la sfida dell’organizzazione è sempre più centrale e strategica ed una nuova rivista sul tema non può che essere la benvenuta.
I Quaderni di Organizzazione e Trasformazione Digitale della Giustizia (Q-Digito) nascono e vengono presentati come uno strumento per esplorare opportunità e potenzialità generate dall’incontro tra giustizia, tecnologia e innovazione organizzativa e come spazio di confronto tra magistrati, avvocati, funzionari e studiosi, promuovendo la condivisione di esperienze e buone pratiche, con un approccio multidisciplinare e comparativo.
Il primo numero raccoglie sette contributi che offrono una panoramica aggiornata e concreta delle trasformazioni in atto: dalla leadership dei presidenti di tribunale durante l’emergenza pandemica, alla governance degli uffici nell’era del PNRR, fino agli scenari aperti dall’intelligenza artificiale nella giustizia europea.
La rivista si nutre dell’esperienza ed è strettamente collegata al corso executive “Organizzazione e Trasformazione Digitale della Giustizia”, completamente gratuito rivolto a magistrati e personale amministrativo che l’Università propone da ormai 3 anni con l’intento di superare la frammentazione che caratterizza i percorsi formativi di magistrati e personale di cancelleria e, dall’altro, di diffondere specifiche conoscenze e competenze, anche non strettamente giuridiche, che attengono ad altri saperi (sociologia dell’organizzazione, psicologia, statistica, informatica, economia, ecc.).
Una rivista (ed un corso) che ci mostrano come a dispetto dell’immagine che spesso abbiamo della giustizia, come un pachiderma difficile da cambiare, la trasformazione sia in atto e come le Università possano avere un ruolo importante e strategico in questo cambiamento.
Un grazie all’Università di Milano – Bicocca e un benvenuto alla nuova Rivista: Quaderni di Organizzazione e Trasformazione Digitale della Giustizia.
Sommario: 1. Introduzione - Parte I A) 2. Il Consiglio d’Europa, la Convenzione europea dei diritti umani e la Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) con sede a Strasburgo - 3. La Corte EDU - 4. Il giudizio davanti alla Corte EDU e l’esecuzione delle sentenze - 5. La Convenzione europea dei diritti umani e l’ordinamento italiano - B) 6. L’Unione europea, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) e la Corte di Giustizia dell’unione europea (CGUE) con sede in Lussemburgo - 7. Le fonti del diritto dell’unione europea - 8. Le istituzioni dell’Unione europea - 9. Il sistema di tutela giurisdizionale: la CGUE e la sua giurisprudenza - 10. Le competenze dell’Unione europea 11. Le competenze espressamente attribuite all’Unione europea dai Trattati - 12. Le competenze per valori, scopi e le disposizioni di applicazione generale poste a fondamento dell’Unione europea - 13. Le competenze per principi: la tutela dei diritti fondamentali e i rapporti tra la Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (CDFUE) e la Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) - 14. L’Unione europea e l’ordinamento italiano - Parte II C)15. Quante e quali competenze sono state realmente cedute a livello sovranazionale? - 16. La cessione di competenze basata sul principio di attribuzione - 17. La cessione di competenze in favore dell’ordinamento sovranazionale basata sui valori, sugli scopi, sulle disposizioni di applicazione generale del TFUE e sui principi generali - 18. La cessione di competenze basata sulla tutela dei diritti fondamentali - 19. Una nuova gerarchia delle fonti - 20. Le operazioni che deve compiere il giudice comune - 21. Conclusioni.
1. Introduzione
La disciplina sovranazionale ha un impatto sempre maggiore nella nostra esperienza quotidiana.
Guardando alle riforme degli ultimi anni, in qualsiasi settore, si scopre che, a monte della nuova disciplina, vi è un atto dell’Unione europea oppure una sentenza della CGUE, che ne detta i principi o ne impone l’adozione.
Lo scopo di questo contributo è quello di cercare di fare il punto sulla situazione e di comprendere quale sia il margine di manovra che è rimasto agli ordinamenti nazionali, come il nostro, che hanno aderito sia all’Unione europea che al Consiglio d’Europea.
A tal fine, mi è sembrato opportuno suddividere lo scritto in due parti.
Una prima parte, di natura istituzionale, nella quale si descrive, prima, il Consiglio d’Europa e la CEDU, con sede a Strasburgo e, poi, l’Unione europea e la Corte di giustizia dell’unione europea, con sede in Lussemburgo.
Nella seconda parte, di natura più critica e valutativa, si focalizza l’attenzione sulla reale estensione delle competenze dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa (e quindi della CEDU), confrontandole con le competenze previste dal nostro art. 117 Cost.
Infine, si rappresenta che è in atto un vero e proprio mutamento di paradigma - dallo stato costituzionale di diritto, verso uno stato costituzionale di diritto sovranazionale - e si rassegnano delle conclusioni che, in realtà, più che altro, vorrebbero essere uno spunto per l’apertura di un dibattito, teso a coniugare le nostre categorie giuridiche tradizionali con le fonti sovranazionali e sovraordinate.
PARTE I A)
2. Il Consiglio d’Europa, la Convenzione europea dei diritti umani e la Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) con sede a Strasburgo
Nel 1948 si svolse il Congresso dell’Aia sotto la presidenza di Winston Churchill e con la partecipazione dei più importanti leader europei, tra i quali merita menzione, Altiero Spinelli.
Il Congresso dell’Aia diede il via ai lavori per l’istituzione del Consiglio d’Europa che si conclusero con la sottoscrizione del Trattato di Londra del 5 maggio 1949, ratificato dall’Italia con legge 23 luglio 1949, n. 433.
Con il Trattato di Londra venne approvato lo Statuto del Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo.
Gli organi del Consiglio d’Europa sono i seguenti:
- Il Segretario generale: guida l'Organizzazione, fornendo una gestione strategica;
- Il Comitato dei Ministri: è il principale organo decisionale e rappresenta gli Stati membri;
- L’Assemblea parlamentare: è il forum democratico per il monitoraggio e il dibattito tra i parlamenti nazionali;
- Il Congresso dei poteri locali e regionali: rafforza la democrazia locale e regionale;
- La Corte europea dei diritti dell’uomo: pronuncia sentenze su ricorsi individuali o contro gli Stati membri;
- il Commissario per i diritti umani: promuove il rispetto dei diritti umani negli Stati membri;
- Gli organismi di monitoraggio e consulenza: guidano gli Stati membri e controllano che rispettino gli impegni assunti.
Oggi il Consiglio d’Europa conta ben 46 Stati membri (la Russia era entrata nel 1996 e ne è uscita nel 2022)[1].
L’azione del Consiglio d’Europa si dirige in tre direzioni:
a) la tutela della democrazia tra i paesi membri;
b) la tutela dello Stato di diritto;
c) la tutela dei diritti umani;
Primo e tuttora più importante documento prodotto dal Consiglio d’Europa è la Convenzione (europea) dei diritti umani (CEDU), aperta alla firma degli Stati membri (art. 59 Conv.)[2].
La Convenzione venne firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed è stata ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848.
La Convenzione è suddivisa in tre titoli:
-il titolo I, rubricato “diritti e libertà” prevede i c.d. diritti fondamentali (art. 2-18).
- il titolo II istituisce e regola la Corte Europea dei diritti dell’Uomo[3] (art. 19-51)
- il titolo III è rubricato “disposizioni varie” (art. 52-59)
Il testo originario della Convenzione ha subito nel tempo integrazioni e modifiche attraverso vari protocolli[4].
Solo nel 1998, a seguito dell’entrata in vigore del protocollo emendativo n. 11, ogni Stato parte della Convenzione ha accettato (senza più poterla discrezionalmente evitare) la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la possibilità per ogni persona (fisica o giuridica) o ente non governativo di presentare un ricorso alla Corte direttamente e senza filtri.
3. La Corte EDU
La Corte è composta da tanti giudici quanti sono gli stati membri del Consiglio d’Europa (attualmente 46).
I giudici sono eletti dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa sulla base delle liste di tre candidati proposte da ciascuno Stato scelti tra giudici e giureconsulti di riconosciuta competenza.
Il mandato, non rinnovabile, è della durata di nove anni (art. 22 e 23 CEDU)
La CEDU è competente per risolvere ogni questione di interpretazione e applicazione della Convenzione (art. 32 Conv.). Con le sue sentenze essa risolve controversie relative ai diritti e alle libertà convenzionali, sollevate da ricorsi individuali (art. 34 Conv.) o da ricorsi interstatali (art. 33 Conv.).
Accanto alla propria funzione di decidere il caso concreto, la giurisprudenza CEDU ha un valore più generale che si esplica in questi tre punti:
- la sentenza ha valore di precedente al quale la CEDU si richiama per decidere i successivi casi analoghi;
- la sentenza ha valore di cosa giudicata nel caso concreto che è stato deciso;
- la sentenza ha valore di “cosa interpretata” in quanto tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa ricevono, dalle sentenze e dalle decisioni della Corte, l’indicazione vincolante del contenuto attuale che la Corte assegna ai singoli diritti e libertà.
A fronte di una sentenza della CEDU, tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa sono tenuti ad adeguarsi alla sua ratio decidendi (art. 41 e 46 CEDU).
In forza dello Statuto del Consiglio d’Europa, degli artt. 1, 19, 32 CEDU, e del regolamento interno della CEDU, gli Stati membri sono tenuti a osservare la Convenzione, nell’interpretazione che ne dà la CEDU.
4. Il giudizio davanti alla Corte EDU e l’esecuzione delle sentenze
La Corte EDU è chiamata a valutare la proporzione in concreto dell’interferenza statale che il ricorrente lamenta, in relazione ad un suo diritto tutelato dalla CEDU.
La CEDU non sussume il fatto in un’astratta previsione di legge, bensì confronta il fatto (per come ricostruito nei giudizi precedenti e comprensivo del diritto che gli è stato applicato in ambito nazionale) con le esigenze di tutela che derivano dalla Convenzione.
Di regola, la Corte non svolge attività istruttoria.
Nel giudizio della Corte EDU è necessario distinguere due fasi.
4.1. La prima coincide con l’applicazione dei criteri sulla competenza
Il ricorrente deve indicare di aver subito un’ingerenza in uno dei diritti previsti dalla Convenzione e che lo Stato debba rispondere di tale lesione.
Se la Convenzione è applicabile e la Corte competente a esaminare il ricorso, si può ritenere che il ricorrente abbia accesso alla protezione.
La Corte EDU è competente a esaminare il ricorso qualora si verifichino le seguenti condizioni:
a) la violazione sia avvenuta nell’ambito della giurisdizione dello Stato (competenza ratione loci);
b) gli atti che danno luogo all’asserita violazione siano avvenuti successivamente alla ratifica della Convenzione da parte dello stato convenuto e prima della sua denuncia (competenza ratione temporis);
c) il diritto di cui il ricorrente lamenta la lesione sia previsto dalla Convenzione (competenza ratione materia);
d) il ricorrente sia la vittima della lesione di un diritto di cui è titolare o di cui è comunque è portatore (competenza ratione personae);
e) l’asserita violazione sia imputabile a uno degli Stati parte (competenza ratione personae).[5]
Successivamente, la Corte valuta i criteri di ricevibilità in senso stretto del ricorso[6] e, in caso di riscontro positivo, termina così la prima fase del giudizio.
4.2. La seconda fase è quella della c.d. giustificazione della condotta dello Stato.
Lo Stato, in relazione all’azione o omissione che ha posto in essere in relazione ad un diritto previsto dalla Convenzione è chiamato a dimostrare, congiuntamente, i seguenti requisiti:
a) la base legale della propria condotta (o interferenza attiva e/o omissiva): la condotta dello Stato deve essere stata realizzata in attuazione di una normativa interna e deve essere rispettosa degli obblighi negativi (di non ingerenza sul diritto tutelato dalla CEDU) e/o positivi (di adottare misure idonee a proteggere il diritto tutelato dalla CEDU)[7];
b) la propria condotta (o interferenza) deve essere attuata per uno scopo legittimo previsto dalla Convenzione (art. 18 CEDU[8]);
c) la propria condotta deve aver inciso in maniera proporzionata e non discriminatoria sul diritto tutelato dalla Convenzione: il test di proporzionalità è il cuore del giudizio davanti alla CEDU. Lo Stato deve dimostrare di aver adottato (o non adottato), in attuazione degli obblighi negativi o positivi previsti dalla CEDU, misure adeguate a perseguire gli scopi legittimi previsti dalla Convenzione, con il minor sacrificio possibile per il diritto tutelato.
Infine, una volta affrontati tutti questi aspetti, la CEDU stabilisce se, nel caso concreto, con la sua condotta lo Stato ha violato o meno gli obblighi (positivi o negativi) previsti dalla Convenzione in relazione al diritto di cui si discute.
All’esito del giudizio, la CEDU può pronunciare decisioni e/o sentenze.
Tendenzialmente, la decisione non definisce il merito, mentre la sentenza, si.
La sentenza può essere di rigetto o di accoglimento del ricorso.
In caso di accoglimento, se la Corte dichiara che vi è stata violazione della CEDU o dei suoi protocolli, l’art. 41 CEDU prevede:
- la CEDU può condannare lo Stato membro a rimuovere le conseguenze della violazione (restitutio in integrum);
-in subordine, qualora lo Stato dimostri che la restitutio in integrum è materialmente impossibile o che impone un onere eccessivamente sproporzionato, la CEDU accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. Si tratta di un indennizzo che nella pratica si articola solitamente in danno patrimoniale e non patrimoniale. Le sentenze devono essere motivate (art. 45 Conv,) e divengono definitive decorsi tre mesi ai sensi dell’art. 44 Conv.
4.3. La fase esecutiva delle sentenze della CEDU è disciplinata dall’art. 46 e coinvolge lo Stato convenuto inadempiente, il Comitato dei Ministri (organo del Consiglio d’Europa) e la Corte EDU.
Gli Stati si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della CEDU adottando le misure generali idonee ad impedire la reiterazione della violazione (art. 46 par. 1 CEDU).
Tutti gli organi dello stato sono chiamati a tale attività.
Nell’ordinamento italiano, l’art. 5 comma 3, lett. a-bis della legge 400/1988 prevede che il presidente del Consiglio dei ministri promuova gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte EDU nei confronti dello Stato italiano[9].
La procedura relativa al controllo dell'esecuzione delle sentenze è condotta, ai sensi dell’art. 46 CEDU dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con il supporto del servizio dell'esecuzione delle sentenze della Corte e del Segretariato del Consiglio d'Europa.
Il Comitato dei ministri è un organo politico intergovernativo.
Esso è composto dai ministri degli esteri o da loro delegati. Il comitato si riunisce a porte chiuse e dedica quattro sessioni all'anno alla sorveglianza dell'esecuzione delle sentenze.
A partire dal 1 gennaio 2011, il controllo viene esercitato con due modalità: la sorveglianza standard e la sorveglianza rafforzata.
La sorveglianza standard ha ad oggetto le sentenze che lo Stato può eseguire senza la necessità dell’intervento del Comitato dei ministri che si limita a verificare che i piani di bilancio d'azione siano depositati nei termini previsti.
La procedura di sorveglianza rafforzata riguarda i casi che meritano un'attenzione prioritaria da parte del comitato dei ministri: casi che necessitano l'adozione di misure individuali urgenti, le c.d. sentenze pilota, le sentenze che individuano dei problemi strutturali e/o complessi.
La procedura di sorveglianza rafforzata comporta che il comitato dei ministri incarichi il segretariato di mettere in moto una cooperazione più approfondita e attiva nei confronti dello Stato, fornendo tra l'altro: un'assistenza nell'elaborazione e messa in pratica dei piani d'azione; pareri di esperti sulle misure da adottare; programmi di cooperazione bilaterale e multilaterale in relazione a casi che riguardano questioni complesse.
Il comitato dei ministri può fare ricorso a strumenti di pressione politica: dall'invio di lettere e comunicazioni al governo da parte del segretariato, all'adozione di risoluzioni interinali.
5. La Convenzione europea dei diritti umani nell’ordinamento italiano
Con le due storiche sentenze nn. 348 e 349/2007 la Corte Cost. ha affermato:
a) che il contenuto dell’obbligo internazionale derivante dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali corrisponde a quanto si ricava dall’interpretazione datane dalla Corte europea, nella giurisprudenza elaborata nell’esercizio della sua competenza a interpretare e applicare la Convenzione (art. 32 CEDU);
b) che il giudice nell’applicare la legge italiana deve interpretarla in modo da assicurane la compatibilità con la Convenzione;
c) che in caso di impossibilità di interpretazione conforme, è esclusa la possibilità che il giudice disapplichi la legge interna;
d) che in tal caso, invece, il giudice deve sollevare questione di costituzionalità, per il contrasto della legge con l’art. 117 Cost. rispetto al quale la Convenzione opera come norma interposta;
e) che l’incompatibilità della legge interna con la Convenzione determina la sua incostituzionalità, salvo che la Convenzione stessa, nell’interpretazione datane dalla CEDU, sia in contrasto con la Costituzione[10].
Infatti, spetta alla Corte costituzionale verificare se le stesse norme CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte EDU, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali, almeno equivalente, al livello garantito dalla Costituzione italiana, poiché occorre tener presente che la maggior tutela che la CEDU può accordare a un diritto fondamentale, significa minor tutela di altri diritti concorrenti previsti dalla Costituzione.
Per questa ragione, il controllo della Corte costituzionale deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento, tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall’art. 117 comma 1 Cost., e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti, contenuta in altri articoli della Costituzione.
5.1. Quanto sopra espresso al punto e), rappresenta la c.d. teoria dei controlimiti elaborata dalla Corte costituzionale.
In sostanza, il Giudice delle leggi si riserva la possibilità, a certe condizioni, ed entro certi limiti, di affermare che il diritto sovranazionale (CEDU oppure dell’Unione europea) non può trovare ingresso nell’ordinamento italiano.
I controlimiti sono più estesi nei confronti della normativa CEDU e meno estesi per la normativa UE.
Infatti, la normativa CEDU non può trovare applicazione in Italia se contrasta con una qualsiasi norma di rango costituzionale, mentre, la normativa europea non può trovare ingresso in Italia solo se contrasta con i principi fondamentali della Costituzione (artt. da 1 a 11 e 139 Cost.) e i diritti inalienabili della persona (art. 2 Cost.)[11].
5.2. Merita qui segnalare che la Corte costituzionale ha cercato di ridurre l’impatto della giurisprudenza evolutiva della Corte EDU con la sentenza n. 49/2015.
La Corte Cost. ha affermato che il vincolo delle norme CEDU deriverebbe sì dall’interpretazione datane dalla Corte EDU, ma solo quando essa abbia dato luogo a “una giurisprudenza consolidata” oppure nel caso delle c.d. “sentenze pilota”[12]
La successiva giurisprudenza della Corte costituzionale non sembra seguire, costantemente, il criterio indicato dalla sentenza 49/2015 ed è prevalente un’analisi di tutta la giurisprudenza CEDU, senza guardare solo a quella “consolidata” (v. Corte Cost. 68/2017, 32/2021, 33/2021).
Questa situazione rischia di esporre l’Italia a responsabilità nell’ambito del sistema della Convenzione europea. Sul piano degli obblighi internazionali dello Stato, infatti, opera l’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, secondo il quale, una parte non può invocare le disposizioni della propria legislazione interna (anche costituzionale) per giustificare la mancata esecuzione di un trattato.
B) 6. L’Unione Europea, la Carta dei diritti fondamentali (CDFUE o Carta di Nizza) e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sede in Lussemburgo
Il secondo percorso intrapreso dall’Italia è quello che l’ha condotta ad essere membro dell’Unione europea.
L’Unione europea è il risultato di un processo di unificazione, iniziato con la creazione negli anni Cinquanta, delle Comunità europee.
Nel 1951 con il Trattato di Parigi venne istituita la CECA (comunità europea del Carbone e dell’acciaio);
Nel 1957 con i trattati di Roma, ratificati in Italia con la legge 14 ottobre 1957, n. 1203, venne creata sia la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom) sia la Comunità economica europea (CEE).
Il primo trattato (istitutivo della CECA) è andato a scadenza naturale nel 2002 e la sua materia è stata considerata assorbita nel mercato comune.
Il secondo trattato (istitutivo della CEEA o Euratom) è ancora in vigore e tale organizzazione internazionale esiste tutt’oggi.
Sebbene i membri appartenenti all'Euratom siano gli stessi dell'Unione europea, l'Euratom non si è mai fuso con essa nelle varie ratifiche dei trattati europei e mantiene tuttora una personalità giuridica separata, nonostante condivida con essa anche l'organo governativo stesso (Commissione europea).
Il terzo trattato (istitutivo della CEE) è stato modificato più volte negli anni fino a giungere all’attuale assetto dell’Unione Europea: nel 2007 con la firma del Trattato di Lisbona, ratificato in Italia con la legge 2 agosto 2008, n. 130 si perviene all’ordinamento dell’Unione europea attualmente vigente.
Ad oggi, i Trattati hanno dato vita ad un ordinamento (comunitario prima e, poi, unionale) autonomo rispetto a quello degli Stati membri, sebbene in questi integrato secondo il principio dell’efficacia diretta e del primato dell’applicazione del diritto dell’Unione europea.
In quanto ordinamento autonomo, quello dell’Unione europea è un sistema dotato di:
- proprie fonti del diritto;
- proprie istituzioni;
- un proprio sistema di tutela giurisdizionale;
- proprie competenze che risultano dalle cessioni di sovranità effettuate dagli Stati membri, in favore dell’Unione.
Vediamo, ad uno ad uno, questi aspetti.
7. Le fonti del diritto dell’Unione europea
L’ordinamento europeo è fondato sulla seguente gerarchia delle fonti:
7.1. gli atti giuridici di diritto primario sono:
a) il Trattato istitutivo dell’Unione Europea (TUE);
b) il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE);
c) la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE o Carta di Nizza) che ha lo stesso valore giuridico dei trattati (v. art. 6 par. 1 TUE);
d) i principi generali di diritto dell’Unione europea elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (art. 6 TUE e art. 340 TFUE);
e) le norme di diritto internazionale consuetudinario e pattizio dell’Unione europea con gli stati terzi.
7.2. gli atti di diritto derivato sono (ex art. 288 TFUE):
f) i regolamenti: sono atti giuridici che si applicano automaticamente e in modo uniforme a tutti i paesi dell'UE non appena entrano in vigore, senza bisogno di essere recepiti nell'ordinamento nazionale. Sono vincolanti in tutti i loro elementi per tutti i paesi dell'UE.
g) le direttive: impongono ai paesi dell'UE di conseguire determinati risultati, lasciando al tempo stesso la libertà di scegliere come realizzarli. Gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per recepire le direttive nell'ordinamento nazionale e conseguire gli obiettivi stabiliti. Le autorità nazionali devono comunicare tali misure alla Commissione europea.
Il recepimento nel diritto nazionale deve avvenire entro il termine fissato quando la direttiva viene adottata (generalmente entro 2 anni). Quando un paese non recepisce correttamente una direttiva, la Commissione può avviare una procedura d'infrazione.
h) le decisioni: sono vincolanti in tutti i loro elementi. Se designano i destinatari sono vincolanti soltanto nei confronti di questi.
i) le raccomandazioni ed i pareri (che non sono atti vincolanti)
7.3. gli atti non legislativi sono (v. art. 289 TFUE):
- gli atti delegati: sono atti giuridicamente vincolanti che consentono alla Commissione di integrare o modificare elementi non essenziali degli atti legislativi dell'Unione, ad esempio per definire misure dettagliate; gli atti delegati sono adottati dalla Commissione e, se il Parlamento europeo e il Consiglio non sollevano obiezioni, entrano in vigore.
- gli atti di esecuzione: sono atti giuridicamente vincolanti che consentono alla Commissione, sotto la supervisione di comitati composti da rappresentanti dei paesi membri, di creare le condizioni per garantire l'applicazione uniforme delle norme dell'UE.
8. Le istituzioni dell’Unione europea
L’Unione ha personalità giuridica (art. 47 TUE).
Il quadro istituzionale dell’Unione europea è costituito dai seguenti organi (art. 13 TUE):
-Il Parlamento europeo: rappresenta i cittadini dei paesi dell'UE, che lo eleggono direttamente. Adotta decisioni sulle leggi europee congiuntamente con il Consiglio dell'Unione europea. Approva inoltre il bilancio dell'UE. (v. art. 14 TUE; artt. 223-234 TFUE);
-Il Consiglio europeo: è un organo di Stati; è composto dai capi di Stato e di governo degli Stati membri designati secondo i propri ordinamenti costituzionali. Non ha funzioni legislative. È un supremo organo di indirizzo dell’intera Unione (v. art. 15 TUE; artt. 235-236 TFUE):
-Il Consiglio dell’Unione europea: rappresenta i governi dei paesi dell'UE. Il Consiglio dell'Unione europea è il luogo in cui i ministri nazionali di ciascun governo si riuniscono per adottare leggi e coordinare le politiche. I ministri si riuniscono in formazioni diverse a seconda dell'argomento da discutere. Il Consiglio dell'UE adotta decisioni sulle leggi europee congiuntamente con il Parlamento europeo. (v. art. 16 TUE; artt. 237-243 TFUE)
-La Commissione europea: rappresenta gli interessi comuni dell'UE ed è il principale organo esecutivo dell'UE. Utilizza il suo "diritto di iniziativa" per presentare proposte di nuove leggi, che sono esaminate e adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea (art. 17 TUE; artt. 244-250 TFUE)
-La Corte di Giustizia dell’Unione europea: La Corte garantisce il rispetto del diritto dell'UE e la corretta interpretazione e applicazione dei trattati (art. 19 TUE; artt. 251-281 TFUE).
- La Corte dei conti: contribuisce a migliorare la gestione finanziaria dell'UE e a promuoverne la rendicontabilità e la trasparenza, e funge da custode indipendente degli interessi finanziari dei cittadini dell'UE (artt. 285-287 TFUE)
-La Banca centrale europea (BCE) e il Sistema europeo di banche centrali hanno la responsabilità di mantenere stabili i prezzi nella zona euro. Sono inoltre responsabili della politica monetaria e dei tassi di cambio nella zona euro e sostengono le politiche economiche dell'UE. (artt. 282-284 TFUE)
9. Il sistema di tutela giurisdizionale: la CGUE e la sua giurisprudenza
La Corte di Giustizia[13] ha il compito di assicurare “il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati” (art. 19 TUE) sui quali si fonda l'Unione europea, controllando la legittimità degli atti delle istituzioni dell'Ue, vigilando sull’osservanza da parte degli Stati membri degli obblighi derivanti dai trattati e interpretando il diritto dell'Unione su domanda dei giudici nazionali.
La CGUE ha competenza in quattro aree:
-ricorso per infrazione: avente ad oggetto il mancato rispetto del diritto UE da parte delle istituzioni e degli stati membri (art. 258 TFUE);
-ricorso in annullamento: avente ad oggetto l’invalidità di atti adottati dalle istituzioni UE (art. 263 TFUE);
-ricorso in carenza: avente ad oggetto le omissioni da parte delle istituzioni UE (art. 265 TFUE);
- risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale delle istituzioni e degli agenti UE (art. 268 e 340 TFUE).
A queste quattro competenze, nelle quali la CGUE agisce come giudice investito della questione da un ricorso di parte (sia essa pubblica o privata) e giudica su atti e comportamenti di organi e/o istituzioni dell’Ue, oppure di atti e comportamenti dei singoli Stati, pronunciando sentenze di accertamento, costitutive o di condanna, si aggiunge un’ulteriore competenza della CGUE che è quella del c.d. rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE).
La forma di interlocuzione con la Corte di giustizia che ha conosciuto maggiore fortuna e ha consentito l'autentica realizzazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dell'ordinamento Ue è il rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE) esperibile dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri.
Queste ultime hanno la facoltà - oppure l'obbligo, se giurisdizioni di ultima istanza[14]- di sottoporre alla Corte questioni di interpretazione dei trattati, o di validità e/o interpretazione degli atti di istituzioni, organi organismi Ue[15], che vengano in rilievo nell'ambito di procedimenti giurisdizionali nazionali.
Il procedimento di rinvio pregiudiziale mira ad assicurare l'unità di interpretazione del diritto dell'unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l'autonomia di tale diritto.
Tramite il rinvio pregiudiziale il giudice nazionale diviene giudice comune del diritto Ue.
Le sentenze interpretative della Corte sono generalmente funzionali alla verifica, da parte del giudice nazionale, della compatibilità del diritto interno con il diritto Ue.[16]
La competenza interpretativa della Corte di Lussemburgo può esplicarsi, a condizione che la controversia rientri nell'ambito applicativo del diritto dell'Unione e che sia effettiva e non irrilevante.
Quanto ai canoni interpretativi utilizzati dalla Corte di giustizia, assumono particolare rilievo l'interpretazione teleologica e il principio dell'effetto utile specie in considerazione delle difficoltà insite nell'impiego del solo criterio dell'interpretazione letterale a fronte di disposizioni normative di diritto primario e derivato, redatte in 24 lingue ufficiali ugualmente facenti fede.
In base a detti criteri l'interpretazione privilegiata dalla Corte Ue è quella meglio atta a realizzare gli obiettivi perseguiti dai trattati istitutivi e dal legislatore europeo[17]. La Corte combinando il criterio sistematico con quello comparativo, è inoltre pervenuta all'elaborazione di nozioni giuridiche autonome da utilizzare nell'interpretazione degli atti di diritto primario e derivato dell'Ue.[18]
Va infine evidenziato come le sentenze della Corte di giustizia siano vincolanti nel procedimento a quo, ma abbiano altresì efficacia erga omnes rispetto a qualsiasi altro caso ove debba farsi applicazione della medesima disposizione di diritto Ue interpretata dalla Corte[19].
Tratteggiati i compiti e le funzioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea, cerchiamo ora di comprendere quale sia l’effettiva estensione della sua giurisdizione (cioè su quali materie essa si pronuncia). Per farlo, bisogna andare a vedere quali sono le competenze dell’Unione europea.
10. Le competenze dell’Unione europea
L’azione dell’Unione europea si distingue in esterna (politica estera) ed interna.
Tralasciando l’azione esterna dell’Unione europea, concentriamoci ai nostri fini sull’azione interna.
Volendo semplificare, le competenze dell’Unione europea si fondano, da un lato, sulla tutela dei diritti fondamentali della persona e, dall’altro, sul diritto pubblico dell’economia (regolamentazione del mercato interno e gestione unitaria della politica monetaria).
Più nel dettaglio, per comprendere che cosa l’Unione europea può fare occorre guardare in tre direzioni.
I) L’Unione europea ha competenza nei settori che le sono attribuiti dai Trattati (art. 4 e 5 TUE e artt. 1 - 6 TFUE)
II) L’Unione europea si fonda su certi valori, persegue certi scopi (art. 2, 3 e 7 TUE) e prevede talune disposizioni di applicazione generale (artt. 8-25 TFUE)
III) L’Unione europea si fonda su certi principi soprattutto in materia di diritti fondamentali (art. 6 TUE)
11. Le competenze espressamente attribuite all’Unione europea dai Trattati
Quanto ai criteri di riparto delle competenze tra Unione e stati membri vengono in rilievo gli articoli 4 e 5 TUE come regole generali e poi, nello specifico quelle del TFUE (art. 2-6).
La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione e l’esercizio delle competenze sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. (art. 5 TUE). Questo significa che
all’Unione spetta solo quello che le è attribuito nei trattati, agli stati membri è riservata in via esclusiva la sicurezza nazionale.
La portata del principio di attribuzione risulta attenuata dalla c.d. teoria dei poteri impliciti elaborata dalla CGUE[20].
Nei Trattati, le competenze sono ripartite in: a) esclusiva; b) concorrente; c) generale su definizione di politiche economiche, occupazionali e sociali; d) di sostegno e completamento dell’azione degli Stati membri; e) competenze parallele e non escludenti quelle degli Stati membri.
Vediamole ad una ad una.
a) La competenza esclusiva dell’Unione: solo l’Unione può legiferare e adottare atti vincolanti nei seguenti settori (v. art. 3 TFUE):
a) unione doganale;
b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno
c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro;
d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca;
e) politica commerciale comune.
L'Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata.
b) La competenza concorrente dell’Unione con quella degli stati membri: gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria. Se e quando l’Unione esercita la propria competenza, la normativa nazionale cede il passo a quella unionale. Ciò avviene nelle seguenti materie (art. 4 TFUE):
a) mercato interno;
b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato
c) coesione economica, sociale e territoriale;
d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare;
e) ambiente;
f) protezione dei consumatori;
g) trasporti;
h) reti transeuropee;
i) energia;
j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato.
c) La competenza generale sulla definizione delle politiche economiche, occupazionali e sociali (v. art. 2 par. 3 TFUE) che viene poi esplicitata nell’art. 5 TFUE che recita:
“1. Gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche nell'ambito dell'Unione. A tal fine il Consiglio adotta delle misure, in particolare gli indirizzi di massima per dette politiche.
Agli Stati membri la cui moneta è l'euro si applicano disposizioni specifiche.
2. L'Unione prende misure per assicurare il coordinamento delle politiche occupazionali degli Stati membri, in particolare definendo gli orientamenti per dette politiche.
3. L'Unione può prendere iniziative per assicurare il coordinamento delle politiche sociali degli Stati membri”
d) una competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro competenza in tali settori.
Gli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione adottati in base a disposizioni dei trattati relative a tali settori non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (art. 2 par. 5 TFUE e poi l’art. 6 TFUE):
I settori di tali azioni, nella loro finalità europea, sono i seguenti:
a) tutela e miglioramento della salute umana;
b) industria;
c) cultura;
d) turismo;
e) istruzione, formazione professionale, gioventù e sport;
f) protezione civile;
g) cooperazione amministrativa.
e) Infine, l’art. 4 TFUE prevede altre due competenze a favore dell’Unione che sono parallele e non escludenti quelle degli Stati membri: nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio ed in quelli della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario.
Nei settori sopra richiamati, l’Unione europea può emanare propri atti legislativi (di diritto derivato: regolamenti, direttive e decisioni) e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha competenza ad interpretare ed emanare le proprie sentenze.
12. Le competenze per valori, scopi e le disposizioni di applicazione generale poste a fondamento dell’Unione Europea
L’art. 2 TUE indica i valori sui quali si fonda l’Unione europea ed afferma che si tratta di valori comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.
Tali valori sono indicati nel rispetto: della dignità umana, della libertà, della democrazia; dell’uguaglianza, dello Stato di diritto, dei diritti umani.
La violazione dei valori previsti nell’art.2. TUE dà luogo alla sanzione prevista dall’art. 7 TUE: l’Unione, in caso di riscontrata violazione di tali valori può sospendere alcuni diritti che spetterebbero allo Stato interessato in base ai trattati.
L’art. 3 TUE indica gli scopi dell’Unione europea nel perseguimento della pace, dei propri valori e del benessere dei popoli attraverso l’instaurazione di un mercato interno e di una politica monetaria comuni.
Per quanto riguarda il TFUE vengono in rilievo le seguenti disposizioni di applicazione generale che l’Unione è chiamata a perseguire, sempre, attraverso le sue azioni:
-eliminare le ineguaglianze e favorire la parità di genere (art. 8 TFUE);
-promuovere un elevato livello di occupazione, di protezione sociale, di tutela della salute umana (art. 9 TFUE);
-combattere le discriminazioni ingiustificate (art. 10 TFUE);
-tutelare l’ambiente e promuovere lo sviluppo sostenibile (art. 11 TFUE);
-la protezione dei consumatori (art. 12 TFUE);
-il benessere degli animali (art. 13 TFUE);
-promuovere e disciplinare i servizi di interesse economico generale (art. 14 TFUE)
- perseguire la più ampia trasparenza possibile nell’azione (art. 15 TFUE)
- tutelare il diritto di ogni persona alla protezione dei dati personali che la riguardano (art. 16 TFUE)
- divieto di ogni discriminazione basata sulla nazionalità all’interno dell’UE (art. 18 TFUE)
- le norme sulla cittadinanza dell’unione (art. 20-25 TFUE)
13. Le competenze per principi: la tutela dei diritti fondamentali e i rapporti tra la Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (CDFUE) e la Convenzione europea dei diritti umani (CEDU).
I diritti umani sono citati dall’art. 2 TUE come valori sul rispetto dei quali si fonda l’Unione.
Allo stesso tempo, l’art. 6 par. 3 TUE afferma che, i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e quelli risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali.
I principi generali del diritto dell’Unione sono elaborati dalla Corte di Giustizia dell’unione europea e sono fonte primaria al pari dei trattati istitutivi dell’unione europea e della CDFUE.
La tipologia dei principi generali è ampia. Si distinguono secondo il seguente schema.
13.1. I principi generali del diritto dell’Unione: essi trovano fondamento in varie norme dei Trattati. Ne sono esempio:
a) il principio di non discriminazione;
b) il principio generale di parità di trattamento e di uguaglianza;
c) il principio di libera circolazione;
d) il principio della tutela giurisdizionale effettiva che, in materia processuale, si declina nei principi di effettività e di equivalenza[21].
13.2. I principi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri (v. art. 340 par. 2 TFUE). Ne sono esempi:
a) il principio di legalità;
b) il principio della certezza del diritto;
c) il principio del legittimo affidamento;
d) il principio del contraddittorio;
e) il principio di proporzionalità.
13.3. Tra i principi generali del diritto dell’Unione rientra anche la protezione dei diritti fondamentali.
L’art. 6 TUE par. 1 afferma che l’Unione riconosce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza del 7 dicembre 2000) e che essa ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Al par. 2 afferma che l’Unione aderisce alla CEDU. Tuttavia, tale adesione ancora non è avvenuta poiché l’Unione europea non ha sottoscritto il relativo trattato internazionale[22]
Ad oggi, pertanto, i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU, e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali (art. 6 par. 3 TUE).
13.4. La Carta europea dei diritti dell’uomo (CDFUE) è a tutti gli effetti fonte primaria del diritto dell’Unione Europea (v. art. 6 par. 1 TUE).
Il suo contenuto è molto ampio poiché oltre ai diritti di libertà enuncia un catalogo di diritti fondamentali attinenti a ogni settore giuridico (diritto costituzionale, civile, penale, della famiglia, del lavoro, della protezione sociale ecc.) e non limitati alle sole materie di competenza della UE[23].
La CDFUE, in quanto parte del diritto dell’Unione europea è interpretata e applicata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE).
Quanto all’analisi dei rapporti tra CEDU e CDFUE si rinvia agli artt. 51-54 CDFUE, limitandoci qui a rappresentare quanto segue:
- il cittadino può lamentare, direttamente, davanti al proprio giudice nazionale, una lesione di un diritto fondamentale previsto dalla CDFUE, a patto che la lesione sia stata realizzata dallo Stato membro o dall’organo Ue “in attuazione del diritto dell’Unione.” (art. 51 CDFUE);
- L’art. 52 par. 3 CDFUE afferma una clausola di equivalenza per cui, i diritti che si trovano sia nella CEDU che nella CDFUE, hanno lo stesso significato e devono essere interpretati dalla Corte di Giustizia in maniera coerente con la giurisprudenza della Corte EDU.
Le spiegazioni relative alla CDFUE (pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 14.12.2007), sub art. 52, riportano un dettagliato elenco dei diritti equivalenti tra quelli CEDU e quelli CDFUE (che in definitiva sono quasi tutti i diritti previsti dalla CEDU).
L’art. 53 CDFUE vieta un’interpretazione delle disposizioni della Carta che si risolva in una limitazione o lesione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti dalla CEDU.
Muovendo da questi parametri, la Corte di Giustizia dell’unione europea afferma, sul piano teorico, che il livello di protezione dei diritti fondamentali apprestato dalla CEDU costituisce un minimum standard inderogabile, rispetto al quale la CDFUE può solo apprestare un livello di tutela più elevato.
L'applicazione pratica di tale meccanismo non è altrettanto semplice, essendo evidente la difficoltà di stabilire, in ciascun caso concreto, quale sia lo standard di tutela più elevato poiché, generalmente, e salvo il caso di diritti assoluti e inderogabili, ogni innalzamento del livello di protezione di un diritto è controbilanciato dalla corrispondente limitazione di altri diritti fondamentali concorrenti.
14. L’Unione europea e l’ordinamento italiano
Questo tema va affrontato, distinguendo il punto di vista della CGUE, da quello della Corte costituzionale italiana.
È bene premettere che la CGUE adotta una concezione (prevalentemente) monista del rapporto tra ordinamento unionale e ordinamento degli stati membri, mentre, la Corte costituzionale tende a sposare una concezione (prevalentemente) dualista[24].
14.1 La posizione della Corte di Giustizia (CGUE).
La Corte di Giustizia UE afferma il principio del primato del diritto dell’Unione e dell’effetto diretto.
Sono provviste di effetto diretto tutte le disposizioni di diritto Ue che siano sufficientemente chiare, precise e incondizionate e non richiedano pertanto l'emanazione di ulteriori atti di esecuzione o integrativi.
Detto carattere è stato riscontrato dalla Corte di giustizia:
- in talune disposizioni del TFUE.
- nelle disposizioni dei regolamenti e delle decisioni.
- nelle direttive non attuate, o non correttamente attuate, dagli Stati membri, che siano sufficientemente chiare e precise e incondizionate (si tratta di tre casi: direttive che enuncino un obbligo negativo, direttive che ribadiscano un obbligo già enunciato nei trattati, direttive dettagliate).
La Corte di Giustizia ha distinto tra effetto diretto verticale e orizzontale delle direttive non attuate.
L’effetto diretto verticale è limitato alle direttive il cui termine di attuazione sia scaduto e alle fattispecie nelle quali il singolo invoca un diritto nei confronti dello Stato.[25]
L’effetto diretto orizzontale, ossia l’invocabilità tra privati delle disposizioni di direttive dotate di effetto diretto ma non attuate, viene esclusa in linea di principio, benché in alcuni casi, ad esempio relativi ai divieti di discriminazione in materia di condizioni di lavoro, esso è stato riconosciuto.
Invece, qualora non ricorrano i presupposti per riconoscere l'effetto diretto delle direttive né per attuare un'interpretazione conforme del diritto interno, i singoli possono far valere dinanzi all'autorità giudiziaria nazionale la responsabilità dello Stato per mancata attuazione del diritto Ue.
E ciò a tre condizioni:
-che la direttiva attribuisca loro diritti soggettivi;
-che il contenuto di questi ultimi sia individuabile sulla base delle disposizioni della direttiva;
- e che sussista un nesso di causalità, tra la violazione dell'obbligo di attuazione a carico dello Stato e il danno prodottosi.[26]
Il rimedio risarcitorio può essere esperito anche a fronte di una violazione del diritto Ue da parte delle autorità nazionali non più emendabile a causa del passaggio in giudicato della decisione giudiziaria interna[27].
14.2. La posizione della Corte costituzionale italiana
La Corte costituzionale italiana, dopo un iniziale atteggiamento di chiusura, ha riconosciuto il principio del primato del diritto comunitario[28], oggi diritto Ue, sia pure in base a una concezione dualistica del rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali.
La Corte costituzionale ha puntualizzato che la possibilità di disapplicare il diritto interno é riservato alle sole ipotesi di contrasto con le norme comunitarie provviste di effetto diretto[29].
Diversamente, in caso di conflitto tra norma interna e norma comunitaria non direttamente applicabile, il giudice è tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale della prima, in riferimento agli articoli 11 e 117 comma 1 Cost., assumendo la norma unionale come il parametro interposto del giudizio di legittimità costituzionale[30].
Con riferimento all'efficacia dei diritti fondamentali della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), la Corte costituzionale, negli ultimi anni, ha elaborato un orientamento differente, rispetto a quello sopra delineato.
In base al nuovo orientamento inaugurato da Corte Cost. 269/2017[31] quando una disposizione di legge viola, al contempo, un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e da una norma Ue (della Carta o comunque espressiva di principi riconducibili a disposizioni della Carta), il giudice, anche ove quest'ultima sia direttamente applicabile, può, invece di disapplicare il diritto interno contrastante, sollevare questione di legittimità costituzionale[32].
La Corte costituzionale ha precisato che il previo promovimento dell'incidente di legittimità costituzionale, in fattispecie di doppia pregiudizialità, risulta “opportuno” ma non obbligatorio.
Questo orientamento giurisprudenziale, incentrato sul c.d. concorso dei rimedi, si è andato consolidando ed ampliando nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
Ad oggi, in presenza di una normativa interna che sia in contrasto con “il diritto dell’Unione dotato di efficacia diretta, allorché la questione presenti “un tono costituzionale” per il nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale”[33], il giudice comune è libero di scegliere se:
-disapplicare la normativa interna in contrasto con il diritto UE;
- sollevare rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE;
- rimettere la questione di legittimità alla Corte Costituzionale.
PARTE II C)
15. Quante e quali competenze sono state realmente cedute a livello sovranazionale?
A questo punto, occorre confrontare le materie dell’art. 117 Cost. con le competenze del Consiglio d’Europa e con quelle dell’Unione europea per apprezzare quanta e quale sovranità è stata realmente ceduta.
16. La cessione di competenze basata sul principio di attribuzione
Se si confrontano, ad una, ad una, le competenze legislative previste dall’art. 117 Cost. con le competenze attribuite all’Unione europea dai Trattati (artt. 4 e 5 TUE e da 2 a 6 TFUE), notiamo che la competenza dell’Unione tende ad azzerare quella nazionale. Si pensi ai seguenti aspetti.
- molte delle competenze attribuite coincidono già a livello letterale o lessicale con quelle previste dall’art. 117 Cost. (ad es. ambiente, salute, istruzione, formazione professionale, protezione civile, la concorrenza, energia, immigrazione, la profilassi internazionale e i problemi comuni in materia di sanità pubblica, etc.): in queste materie la cessione di competenze è totale poiché la materia è la stessa (anche nominalmente) e il diritto europeo prevale sempre e comunque su quello nazionale;
- altre competenze attribuite sono designate con una terminologia diversa da quella dell’art. 117 Cost., ma quella dei Trattati è più ampia. Prendiamo ad esempio le competenze attribuite all’Unione che fanno riferimento alla parola “politica”. Ad esempio: a) la politica commerciale comune; b) le politiche economiche nell’ambito dell’Unione; c) le politiche occupazionali degli Stati membri; d) le politiche sociali degli Stati membri.
Il termine “politica” (previsto dal TUE e TFUE) è molto più ampio di quello di “materia” (ex art. 117 Cost.) e quindi, di fatto, il secondo resta assorbito nel primo.
In questi settori, l’Unione ha un potere di indirizzo e coordinamento ma il principio del primato del diritto dell’Unione e dell’effetto diretto conferiscono alle norme Ue un’efficacia pervasiva all’interno degli ordinamenti degli Stati membri.
- La competenza esclusiva attribuita all’Ue in materia di concorrenza per il funzionamento del mercato interno UE è una competenza trasversale e fortemente pervasiva.
La CGUE la utilizza come valore sovraordinato che plasma e ridefinisce molti istituti giuridici di diritto interno guardando più alla sostanza economica delle cose che non ai loro aspetti giuridici e formali (ad es. la nozione di pubblica amministrazione, quella di organismo di diritto pubblico, la nozione di pubblico servizio, la nozione di concessione di diritto amministrativo, la nozione di consumatore, la nozione di dipendenza economica).
- la competenza esclusiva attribuita all’UE in materia di politiche monetarie è una competenza che crea vincoli stringenti poiché tutta l’azione statale si trova a doversi misurare con i vincoli di bilancio (è stato costituzionalizzato anche l’equilibrio tra le entrate e le spese e la sostenibilità del debito pubblico con la modifica degli artt. 81 e 97 Cost.).
Anche questa competenza esclusiva è molto pervasiva e finisce, di fatto, per incidere su tutte le residue competenze statali.
- Per comprendere la pervasività delle competenze attribuite all’Ue basti porre mente alle ultime novità normative introdotte a seguito di atti unionali sovraordinati.
Si rammenta, a titolo di esempio: il codice dei contratti pubblici di cui al D. lgs. 36/2023; il codice dei consumatori di cui al D. Lgs. 206/2005; il codice del turismo di cui al d. lgs. 79/2011; la nuova class action; il regolamento generale sulla protezione dei dati personali GDPR n. 679/2016.
In tutti questi settori, vi sono a monte, normative molto dettagliate di diritto dell’unione europea e quindi è ridotta la sfera di decisione dei pubblici poteri interni.
- A tutto quanto sopra si aggiunga che la giurisprudenza della CGUE ha elaborato la teoria dei c.d. poteri impliciti che si fonda sull’assunto che, anche se un potere non è stato espressamente attribuito ma è comunque funzionale e necessario a perseguire una finalità legittima e collegata ad altro potere attribuito, allora esso può essere validamente esercitato.
Anche questo modus procedendi, in ogni settore, altera e riduce lo spazio residuo di manovra dei decisori interni.
17. La cessione di competenze in favore dell’ordinamento sovranazionale basata sui valori, sugli scopi, sulle disposizioni di applicazione generale del TFUE e sui principi generali
Lo Stato italiano è membro del Consiglio d’Europa ed è membro dell’Unione europea.
L’adesione a queste due istituzioni sovranazionali, diverse e parallele, munite di proprie giurisdizioni comporta una sottoposizione dell’Italia a giudizi di conformità del proprio operato politico in relazione a concetti vaghi ed indeterminati come i valori, gli scopi ed i principi.
Quale membro del Consiglio d’Europa si trova soggetto alla costante valutazione politica e giuridica del Consiglio soprattutto in relazione alla procedura di esecuzione delle sentenze della CEDU (v. art. 46 CEDU).
Quale membro dell’Unione europea, lo Stato italiano è esposto al costante monitoraggio delle Istituzioni europee sul rispetto dei valori di cui all’art. 2 TUE (norma che prevede anche la sua espressa sanzione nell’art. 7 TUE) nonché degli scopi di cui all’art. 3 TUE.
L’ancoraggio del diritto UE a valori e scopi generici contribuiscono al fenomeno dell’ampliamento del diritto UE a discapito delle prerogative nazionali.
A rendere ancora più ampio lo spettro di azione del diritto Ue vi sono le disposizioni di applicazione generale previste nel TFUE (artt. 7 – 25) che prevedono norme di rango fondamentale per il diritto UE e che la Corte CGUE applica agli Stati membri nella loro massima estensione semantica possibile.
Infine, vi sono i principi generali di diritto dell’Unione europea elaborati dalla CGUE e che sono fonte primaria del diritto UE al pari dei Trattati istitutivi.
Tali principi sono individuati, elaborati e costruiti dalla giurisprudenza della CGUE alla quale, in questo frangente, è veramente arduo non riconoscere una vera e propria funzione creativa del diritto.
L’applicazione diretta dei principi di diritto ha un effetto dirompente nel nostro ordinamento che, invece, è tradizionalmente fondato sul concetto di regola e sussunzione del caso concreto nella fattispecie astratta.
Le regole sono diverse dai principi[34].
Una regola è un enunciato condizionale che connette una qualunque conseguenza giuridica a una classe di fatti: “Se F, allora G”. La conseguenza giuridica può essere una sanzione, o la nascita di un obbligo o di un diritto.
Di fronte alla regola opera il meccanismo della sussunzione del fatto nella fattispecie, si ha maggiore certezza del rispetto della regola e il giudice si limita ad applicare la legge.
Al contrario, un principio, è una norma: a) fondamentale; b) caratterizzata da una particolare indeterminatezza connotata a sua volta dalla fattispecie aperta, dalla defettibilità e dalla genericità.
Inoltre, se due principi entrano in collisione tra loro (ad es. salute e lavoro, impresa e ambiente) si tratta di comprendere quale sia la tecnica di risoluzione del problema atteso che non sono applicabili i criteri previsti dall’art. 15 prel. c.c. (gerarchico, cronologico e specialità).
La tecnica generalmente impiegata dai giudici costituzionali in casi del genere va sotto il nome di ponderazione (o bilanciamento) dei principi, e consiste nell’istituire tra i due principi coinvolti una gerarchia assiologica e mobile.
Questa panoramica sui principi, ci fa comprendere quanto margine di discrezionalità abbia la CGUE nell’elaborazione e applicazione degli stessi ai casi concreti sottoposti alla sua attenzione.
In definitiva, in materia di valori, scopi e principi la cessione di competenze nazionali è molto ampia e basata su confini incerti e indeterminati rimessi alla valutazione discrezionale delle istituzioni sovranazionali.
18. La cessione di competenze basata sulla tutela dei diritti fondamentali
Un terzo ambito di intervento – forse il più importante – è quello in materia di diritti fondamentali.
Si parla di tutela multilivello dei diritti fondamentali e di dialogo tra le Corti (CEDU, CGUE e Corte costituzionale, Cassazione e Consiglio di Stato).
Proviamo a fare il punto.
La CEDU offre il minimum standard inderogabile per i diritti e le libertà in essa previste (art. 53 CEDU). A tal fine, la giurisprudenza della Corte EDU, a partire da tali diritti e libertà (sono circa quindici i diritti e le libertà sancite), elabora via via obblighi negativi e positivi a carico degli Stati membri volti alla protezione dei diritti fondamentali.
La CEDU impone al giudice comune che egli effettui, sempre, un’interpretazione convenzionalmente orientata delle proprie norme interne.
La CDFUE contempla (quasi) tutti gli stessi diritti fissati dalla CEDU (v. per l’equivalenza l’art. 52 CDFUE con le relative Spiegazioni) e anche molti altri diritti di natura sociale, economica e politica con una struttura tipicamente costituzionale.
La giurisprudenza della CGUE, a partire dalla Carta, e spesso recependo la giurisprudenza della Corte EDU, anche in questo caso, ha ricostruito obblighi negativi e positivi a carico degli Stati membri volti alla (maggior) protezione dei diritti fondamentali rispetto alla CEDU.
Anche la CDFUE e la giurisprudenza della CGUE impongono sempre, in ogni caso, al giudice comune che egli effettui un’interpretazione comunitariamente orientata delle proprie norme interne.
La Corte Costituzionale si è resa, negli anni, interlocutore privilegiato della CEDU e della CGUE ritagliandosi il ruolo di custode in ambito nazionale, dello sviluppo equilibrato del sistema dei diritti fondamentali e del controllo del rispetto dello standard di tutela su un singolo diritto fondamentale visto nell’ottica di insieme con gli altri.
Occorre infatti tener presente che la maggior tutela accordata a un diritto, supponiamo dalla CEDU o dalla CGUE, significa, automaticamente, minor tutela per altri diritti concorrenti o confliggenti.
Anche la Corte costituzionale è obbligata all’interpretazione convenzionalmente e comunitariamente orientata delle norme di diritto interno e ha il potere di sollevare rinvio pregiudiziale alla CGUE.
Per comprendere quanta sovranità è stata ceduta in questo ambito da parte degli ordinamenti nazionali, bisogna partire da una premessa.
Dove c’è un diritto, non c’è un potere.
La proliferazione di diritti fondamentali, a vari livelli, restringe l’ambito di azione dei poteri pubblici.
La creazione giurisprudenziale di veri e propri obblighi positivi e negativi a carico degli Stati, a tutela dei diritti fondamentali, elimina, di fatto, i poteri pubblici. In teoria generale del diritto, solo quattro sono le posizioni fondamentali: l’obbligo al quale corrisponde la pretesa e la soggezione al quale corrisponde il potere. Se si creano nuovi obblighi, si creano nuove pretese e, di conseguenza si restringe l’area che prima era occupata dai poteri.
Per cercare di fare almeno il punto sulla situazione si passa, ora, ad esporre, quella che a me sembra possa essere, una possibile ricostruzione della attuale gerarchia delle fonti, per poi passare a quelle che sono le operazioni che deve svolgere il giudice comune in relazione ad esse.
D) 19. Una nuova gerarchia delle fonti
Di seguito, si riporta una breve ricostruzione schematica della nuova gerarchia delle fonti.
1. Al vertice, ci sono i c.d. principi fondamentali della Costituzione italiana (art. 1-12 e 139 Cost.) e i diritti inalienabili della persona, secondo quella che è stata definita dalla Corte costituzionale come la c.d. teoria dei controlimiti
2. poi, abbiamo, le norme consuetudinarie di diritto internazionale che trovano ingresso automatico nel nostro ordinamento tramite l’art. 10 Cost. e che devono essere conformi soltanto ai c.d. controlimiti.
3. In virtù del c.d. effetto diretto e del primato del diritto dell’Unione Europea, ci sono le fonti del diritto dell’Unione europea che trovano ingresso nel nostro ordinamento tramite l’art. 11 e l’art. 117 comma 1 Cost.:
3.a) atti di diritto primario dell’Unione europea:
- i Trattati istitutivi dell’Unione europea (TUE e il TFUE);
- la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE);
- i principi generali di diritto dell’Unione europea elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea;
3.b) atti di diritto derivato dell’Unione europea:
-i regolamenti;
-le direttive;
-le decisioni.
4. Di seguito, vi sono le altre disposizioni della Costituzione italiana (diverse dai principi fondamentali) e le altre leggi costituzionali.
5. Poi, abbiamo, le norme pattizie di diritto internazionale (i cd. trattati di diritto internazionale), tra le quali rientra anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la relativa giurisprudenza della Corte EDU, che è vincolante per tutti gli stati che hanno sottoscritto il relativo trattato.
6. Solo a questo punto, ci sono le leggi statali e gli atti aventi forza di legge, nonché le leggi regionali, secondo le rispettive competenze ex art. 117 Cost.
7. In posizione sub-legislativa troviamo gli Statuti degli Enti locali
8. I regolamenti governativi (v. art. 17 legge 400/1988)
9. I regolamenti degli Enti locali
10. Gli usi e le consuetudini
Terminata l’esposizione di questo tentativo di ricostruzione delle fonti del diritto, vediamo cosa debba fare il giudice comune, di fronte a questo complesso quadro ordinamentale.
20. Le operazioni che deve compiere il giudice comune
Oggi un giudice comune, che è chiamato ad applicare la legge per risolvere una controversia, si trova di fronte al problema di comprendere quale sia la norma applicabile.
Poniamo che egli individui una norma di diritto interno, applicabile al caso di specie.
La prima cosa che deve fare è verificare se tale norma sia in potenziale contrasto con altre norme sovranazionali o sovraordinate.
26.1. Una volta appurato che vi è una norma di rango sovraordinato in contrasto con quella interna, il giudice comune deve comprendere se il contrasto è solo potenziale oppure reale.
Il criterio per comprendere se il contrasto è solo potenziale oppure reale è quello della c.d. interpretazione conforme alla quale il giudice interno è sempre e comunque tenuto sia verso il diritto UE che verso la CEDU.
Il contrasto è solo potenziale quando, dalla disposizione di diritto interno è possibile ricavare, in via interpretativa, una norma in contrasto con la fonte sovraordinata;
il contrasto diventa reale quando, dalla disposizione interna non è possibile ricavare, in via interpretativa, neppure una norma che non sia in contrasto con la fonte sovraordinata.
Il giudice è obbligato a sollevare la questione solo in caso di contrasto reale[35].
Fatta questa precisazione, in caso di contrasto reale, il giudice comune deve effettuare le seguenti operazioni nelle varie ipotesi che gli si possono prospettare:
a) in caso di contrasto tra una norma del diritto UE e i principi supremi della Costituzione italiana (attivazione dei controlimiti nei confronti del diritto UE), il giudice deve rimettere la questione di legittimità alla Corte Costituzionale chiedendo che la legge di ratifica del Trattato UE venga dichiarata incostituzionale indicando come parametri:
- la norma del principio fondamentale della Costituzione che sarebbe violata;
-l’art. 11 e 117 comma 1 Cost. che consentono alla normativa UE di fungere da c.d. parametro interposto;
- la legge di recepimento del Trattato UE, cioè la legge 1203/1957 limitatamente alla parte in contrasto;
b) in caso di contrasto tra norma interna e diritto internazionale consuetudinario, il giudice deve rimettere la questione di legittimità alla Corte costituzionale chiedendo che la norma interna venga dichiarata incostituzionale indicando tre parametri:
-la norma interna censurata;
-l’art. 10 Cost. che consente al diritto internazionale consuetudinario di fungere da c.d. parametro interposto;
-la norma di diritto internazionale consuetudinario che sarebbe violata.
c) in caso di c.d. doppia pregiudizialità (norma di diritto interno contemporaneamente in contrasto con la Costituzione e la CDFUE e/o con altra norma di diritto UE, dotata di efficacia diretta, che abbia un nesso con interessi o principi di rango costituzionale), il giudice deve rimettere, (preferibilmente, ma non è obbligato) prima, la questione di legittimità alla Corte Costituzionale e, poi, una volta che la Corte Costituzionale abbia deciso, deve valutare se sollevare il rinvio pregiudiziale alla CGUE in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 267 TFUE.[36]
d) in caso di contrasto tra norma interna e diritto dell’Ue il giudice deve comprendere se la norma di diritto europeo è direttamente applicabile oppure no nell’ordinamento interno, attraverso i canoni della chiarezza, della precisione e dell’incondizionatezza della disposizione UE.
d1) se la norma è direttamente applicabile (sufficientemente precisa e incondizionata e/o per i regolamenti e le direttive self-executing), possono darsi due eventualità:
- se ci sono ragionevoli dubbi sulla compatibilità della norma interna con il diritto dell’Unione europea, il giudice può rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea con il meccanismo del rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE);
- se non ci sono dubbi e il giudice ritiene l’incompatibilità della norma interna al diritto UE, può disapplicare la norma interna in contrasto con il diritto dell’unione europea;
d2) se la norma non è direttamente applicabile (non precisa o condizionata, ad es. direttive non self-executing), il giudice è chiamato a rimettere la questione di legittimità alla Corte costituzionale chiedendo che la norma interna venga dichiarata incostituzionale indicando tre parametri:
-la norma interna censurata;
-l’art. 11 e l’art. 117 comma 1 Cost. che consentono alla normativa UE di fungere da c.d. parametro interposto;
-la norma di diritto europeo, non direttamente applicabile, che sarebbe violata.
e) in caso di contrasto tra norma interna e Costituzione il giudice è chiamato a rimettere la questione di legittimità alla Corte Costituzionale chiedendo che la norma venga dichiarata incostituzionale indicando due parametri: la norma censurata e la norma della Costituzione che sarebbe violata;
f) in caso di contrasto tra norma interna e CEDU il giudice deve rimettere la questione di legittimità alla Corte costituzionale chiedendo che la norma interna venga dichiarata incostituzionale indicando tre parametri:
-la norma interna censurata;
-l’art. 117 comma 1 Cost. che consente il recepimento nel nostro ordinamento del diritto internazionale pattizio (tra cui rientra anche la CEDU per come interpretata dalla Corte Edu) e che permettono alle norme CEDU di fungere da c.d. parametro interposto;
-la norma di diritto della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo che sarebbe violata.
g) in caso di contrasto tra CEDU (per come interpretata dalla Corte EDU) e norme costituzionali (attivazione dei controlimiti nei confronti della CEDU), il giudice deve rimettere la questione di legittimità alla Corte Costituzionale chiedendo che la legge di recepimento della CEDU venga dichiarata incostituzionale indicando come parametri:
- la norma della Costituzione che sarebbe violata;
- l’art. 117 comma 1 Cost. che consente il recepimento nel nostro ordinamento del diritto internazionale pattizio (tra cui rientra anche la CEDU per come interpretata dalla Corte Edu) e che permettono alle norme CEDU di fungere da c.d. parametro interposto;
- la legge di ratifica della CEDU e cioè la legge n. 848/1955 limitatamente alla parte in contrasto.
Come si vede, i compiti del giudice comune sono altamente discrezionali e complessi e mi pare evidente che tutto questo rischia di entrare in collisione con due valori fondanti le moderne democrazie costituzionali: il principio di legalità e quello di certezza del diritto.
21. Conclusion
La sovranità degli Stati membri del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea si trova ad essere stata ceduta e comunque molto limitata.
Tale assunto trova giustificazione in quattro fenomeni convergenti che riducono lo spazio di decisione dei pubblici poteri interni (legislativo, esecutivo e giudiziario):
-la sovranazionalizzazione del diritto interno;
-l’affermarsi del primato dell’economia e del mercato sul diritto;
-la sovranazionalizzazione della tutela dei diritti fondamentali;
- la creazione giurisprudenziale del diritto.
Tentiamo di analizzare ognuno di questi fenomeni.
21.1. Si assiste a una progressiva sovranazionalizzazione del nostro diritto nazionale dovuta all’appartenenza dell’Italia al Consiglio d’Europa e all’Unione europea.
Le competenze attribuite espressamente all’Unione europea dai Trattati (artt. 4-5 TUE e artt. 2-6 TFUE), combinate con il principio della primazia e dell’effetto diretto del diritto unionale, ci fanno comprendere come ormai l’unica operazione mentale da effettuare per capire quali siano le residue competenze nazionali sia quella per sottrazione dall’art. 117 Cost..
Dal confronto che abbiamo tentato di fare è emerso che allo stato italiano, in via esclusiva, resta la sicurezza nazionale e la tutela dell’ordine pubblico.
Il resto, ormai, è di competenza diretta o indiretta dell’unione europea.
21.2. Siamo di fronte all’affermarsi del primato dell’economia sulla politica e sul diritto nazionale.
La globalizzazione dell’economia ha capovolto il rapporto tra Stati e mercati.
Non sono più gli Stati che garantiscono la concorrenza tra le imprese, ma sono le grandi imprese multinazionali che mettono in concorrenza gli Stati privilegiando, per i loro investimenti, i paesi nei quali possono maggiormente sfruttare il lavoro, pagare meno imposte e sfruttare l’ambiente. Gli Stati sono assoggettati alle valutazioni di affidabilità delle agenzie di rating e sono portati sempre più a ragionare secondo logiche aziendalistiche.
A ciò si aggiunga il fatto che l’evoluzione del capitalismo finanziario e la sempre maggiore necessità degli Stati di reperire risorse, ha fatto esplodere il problema del peso dei debiti pubblici.
Proprio per rispondere a questa problematica, l’Italia ha aderito alla Comunità europea, prima, e all’Unione europea, poi.
In conseguenza di quanto sopra, gli stati membri si sono dati dei parametri da rispettare a pena di sanzione: i) sono tenuti a rispettare il limite del 3% per la spesa in deficit; ii) gli Stati devono mantenere il rapporto tra debito pubblico e PIL entro il 60%.
Per adeguarsi, l’Italia ha anche modificato la propria Costituzione (art. 81 e 97 Cost.) introducendo il principio dell’equilibrio di bilancio tra entrate e spese e modificando la propria contabilità pubblica attraverso la c.d. legge di bilancio (legge 196/2009).
Il ciclo annuale della legge di bilancio è suddiviso, ora, in due semestri: il semestre europeo (dove il governo dialoga con Commissione e Consiglio Ue) e il semestre nazionale (che si conclude con l’approvazione della legge di bilancio da pare del Parlamento).
Attualmente, quindi lo stato ha come obiettivo il rispetto dei vincoli di bilancio e dei parametri fissati in ambito europeo e se non li rispetta, è suscettibile di essere sanzionato.
A ciò si aggiunga un ulteriore vincolo: il c.d. PNRR approvato con Reg. 241/2021[37].
Ad oggi, in definitiva, la sfera di azione dei poteri pubblici è limitata, in negativo, dai vincoli europei di bilancio e, in positivo, dall’attuazione del PNRR. Lo Stato è chiamato a perseguire anche un altro obiettivo che si trova spesso in potenziale contrasto con il rispetto dei vincoli di spesa: la tutela dei diritti fondamentali.
Anche in questo ambito si assiste a una compressione dei poteri degli Stati membri.
21.3. La sfera di azione dei pubblici poteri è limitata dalla sovranazionalizzazione dei diritti fondamentali.
Le fonti sovranazionali che prevedono diritti fondamentali sono in aumento e hanno forza sempre più vincolante nei confronti degli Stati.
A livello internazionale, si rammenta la Dichiarazione universale dei diritti umani proclamata dall’Onu nel 1948 e il patto dei diritti civili e politici dell’ONU del 1966.
Inoltre a livello regionale, vi è da considerare una pluralità di fonti:
- la nostra Carta costituzionale;
- la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU);
- la Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (CDFUE).
I diritti fondamentali diventano il nuovo perimetro attorno a cui ruotano i pubblici poteri: tali diritti, corredati da veri e propri obblighi di tutela, negativi e positivi, posti a carico degli Stati, diventano il limite invalicabile oltre il quale i poteri pubblici non possono prendere decisioni.
In altre parole: per i pubblici poteri, la sfera del decidibile è ristretta dall’espandersi e dalla nuova centralità, che viene riconosciuta ai diritti fondamentali.
Si tratta di un vero e proprio mutamento di paradigma nel rapporto tra autorità e libertà.
Nello stato di diritto (anche costituzionale) era l’autorità a creare la legge e poi ad applicarla secondo la propria discrezionalità che doveva essere esercitata entro i canoni di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e del neminem ledere.
Nel moderno neocostituzionalismo[38], è l’autorità a dover dimostrare che le norme, da lei create e poi attuate, rispettano gli obblighi di tutela imposti a salvaguardia dei diritti fondamentali.
Gli Stati, sottoponendosi alla giurisdizione obbligatoria di ben due Corti sovranazionali (CEDU e CGUE), che con la loro giurisprudenza creativa abbracciano, di fatto, tutta l’azione dei pubblici poteri, hanno finito per consentire che l’esercizio della loro sovranità sia condizionato e sottoposto al controllo costante di poteri giurisdizionali esterni.
Si potrebbe eccepire che tutto questo è fatto solo per consentire una maggior tutela dei diritti fondamentali delle persone e che tutto questo è un bene.
Si tratta di eccezione fondata ma che tuttavia deve essere ragionata e alla quale occorre porre dei limiti a tutela di altri valori, che al momento sembrano piuttosto negletti, come, ad esempio, quello della c.d. certezza del diritto.
Lo spostamento del baricentro del diritto, dal momento creativo-legislativo a quello giurisprudenziale-applicativo, ci porta all’ultimo fenomeno da analizzare.
21.4. Si assiste ad una sempre maggiore creazione giurisprudenziale del diritto, sia dall’esterno, che all’interno dei vari ordinamenti nazionali.
A) Dall’esterno, abbiamo, oggi due Corti sovranazionali, la CEDU e la CGUE, che ragionano, in maniera autonoma, secondo meccanismi di common law ed emanano sentenze alle quali gli Stati membri si devono adeguare.
È in atto una continua elaborazione giurisprudenziale di nozioni giuridiche autonome e principi che incidono e trasformano le categorie giuridiche-dogmatiche interne del diritto degli Stati membri[39].
Si tratta di diritto giurisprudenziale che si impone come vincolante per tutti i poteri pubblici (legislativo, amministrativo e giudiziario).
Le due Corti CGUE e CEDU, a loro volta, nella creazione del diritto, tendono a privilegiare i fini e gli scopi per i quali sono state istituite: l’economia e il libero mercato per la CGUE, ed i diritti fondamentali per entrambe le Corti.
Per quanto concerne l’economia e la massimizzazione del libero mercato, la CGUE effettua costruzioni giuridiche basate su categorie economiche e sulla prevalenza della sostanza economica dei fenomeni sulla forma giuridica degli stessi.
Le categorie economiche, che divengono così prevalenti su quelle giuridiche, sono:
-i bisogni economici e la nozione di beni e servizi economici;
-i soggetti economici (le famiglie, le imprese, lo Stato, e il resto del mondo) e le loro attività economiche (il lavoro, il consumo, il risparmio e l’investimento);
-la centralità del concetto di mercato in generale e, in particolare, del mercato del lavoro e di quello della moneta, con attenzione alle banche e alle imprese assicurative.
Anche lo Stato e la p.a. vengono considerati come operatori economici con prevalente attenzione alle entrate e alle spese pubbliche e alla tutela del mercato e della concorrenza (v. codice dei contratti pubblici d. lgs. 36/2023, legge antitrust n. 287/1990, TUF d.lgs. 58/1998, il divieto di aiuti di Stato).
Per quanto riguarda i diritti fondamentali, la CGUE e la Corte EDU intervengono, nei loro rispettivi ambiti, dettati dalla Carta dei diritti fondamentali Ue (CDFUE) e dalla CEDU, con sentenze vincolanti per tutti gli ordinamenti nazionali, che sono obbligati ad adeguarsi e a far prevalere il contenuto di tali sentenze, persino sulle loro leggi ordinarie.
Le due Corti creano veri e propri obblighi di tutela positivi e negativi a carico degli stati membri.
Le modalità di creazione degli obblighi a partire da norme di principio e le valutazioni effettuate dalle Corti (EDU e CGUE) su termini generici ed elastici come la proporzionalità e la ragionevolezza, rendono, di fatto, il diritto una creazione giurisprudenziale come avviene nei sistemi di common law.
Le tecniche di bilanciamento tra principi e diritti fondamentali sono più vicine a quelle di un legislatore che a quelle di un interprete, che si limita ad applicare una regola che trova già precostituita.
B) Anche all’interno degli ordinamenti nazionali, si assiste a fenomeni di creazione giurisprudenziale del diritto.
La Corte costituzionale è sempre più giudice della discrezionalità legislativa attraverso i parametri dedotti dall’art. 3 Cost. della c.d. ragionevolezza, proporzionalità e affidamento.
Verso l’esterno, la Corte costituzionale sta assumendo sempre più il ruolo di custode dell’equilibrio degli istituti costituzionali esposti al potere conformativo delle due Corti sovranazionali.
L’esempio più eclatante è l’elaborazione della teoria dei controlimiti.
Le autorità giurisdizionali interne si trovano di fronte ad un triplice problema.
In primo luogo, nella mutata gerarchia delle fonti, le operazioni che devono compiere per individuare la norma applicabile, conferisce loro ampia discrezionalità nel valutare e decidere cosa fare.
In secondo luogo, una volta individuata una sentenza della CGUE o della CEDU che esprime un principio prevalente su una legge ordinaria hanno il potere, a seconda dei casi, di effettuare interpretazioni conformative ai dati sopranazionali e possono arrivare persino a disapplicare la legge.
In terzo luogo, sono spesso costretti ad effettuare operazioni di re-interpretazione delle loro categorie giuridiche tradizionali, forzando, talvolta anche in modo palese, il dato normativo, per far prevalere gli scopi e i principi fissati dal diritto unionale. Si pensi a Cass. S.U. 6 aprile 2023 n. 9479 che, per adeguarsi ai principi di primazia della tutela del consumatore fissati dalla CGUE, ha effettuato un’interpretazione creativa (quasi ortopedica) delle norme del codice di procedura civile in materia di opposizione a decreto ingiuntivo[40].
21.5. Tutto quello che ho esposto e analizzato vuol essere una ricognizione, e un momento di riflessione, che costituisca un punto di partenza e non di arrivo.
La somma di tutti i sovraesposti fenomeni convergenti sta generando un mutamento radicale di paradigma.
Così come, dallo stato assoluto si è passati allo stato di diritto e, dallo stato di diritto, a quello costituzionale di diritto, allo stesso modo, adesso, stiamo assistendo alla progressiva sovranazionalizzazione dello stato costituzionale di diritto.
Potremo parlare, oggi, di stato costituzionale conformato al diritto sovranazionale o di stato costituzionale di diritto sovranazionale.
I principi classici di separazione dei poteri, quello di legalità e di certezza sono messi in crisi[41] dalla creazione giurisprudenziale del diritto ad opera delle Corti.
Il mutamento di paradigma è evidente: da quello in cui il Parlamento fa una legge e il potere esecutivo e giudiziario la applicano al caso concreto, si passa a quello in cui, due Corti sovranazionali emettono sentenze vincolanti anche per il Parlamento che può (e a volte deve) fare la legge, adeguandosi ai principi contenuti in tali sentenze.
Il potere esecutivo e giudiziario, poi, non si limitano ad applicare tale legge, al caso concreto, ma sono chiamati, prima di tutto, a dubitare della conformità di tale legge con il diritto sovranazionale.
In definitiva:
-tutti i poteri pubblici sono compressi dalle fonti sovraordinate, dal prevalere delle logiche economiche su quelle giuridiche e dall’affermarsi della intangibilità dei diritti fondamentali per come interpretati in via evolutiva, giorno per giorno, dalle pronunce della CGUE e della CEDU;
-il potere politico-legislativo dei singoli Stati tende a trasformarsi anch’esso in un potere esecutivo di decisioni prese a livello sovranazionale, e il potere giurisdizionale, attraverso l’autonomo dialogo con la CGUE e la CEDU, tende a trasformarsi in potere legislativo (con la c.d. interpretazione creativa di norme dalle disposizioni).
La constatazione di questo mutamento di paradigma impone, a mio avviso, una riflessione seria e profonda, a tutti i livelli, del nostro ordinamento giuridico.
Lo scopo di questo contributo è quello di aprire un dibattito su queste tematiche e stimolare la ricerca per cercare di controllare, prevedere e governare questi mutamenti, anziché subirli in maniera passiva e acritica.
Gli spunti possono essere moltissimi[42].
In definitiva, si tratta di intraprendere una vera e propria opera di rifondazione di tutte le categorie del nostro ordinamento nazionale, alla luce della sua conformazione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e al diritto dell’unione europea.
[1] Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Repubblica di Moldova, Monaco, Montenegro, Paesi Bassi, Macedonia del Nord, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Regno Unito.
[2] La Convenzione dei diritti fondamentali si raccorda con lo Statuto del Consiglio d’Europa, come dimostra il richiamo ai poteri che esso assegna al Comitato dei Ministri (art. 54 Conv.) e l’attribuzione al Segretario generale del Consiglio del potere di svolgere inchieste nel corso delle quali gli Stati devono fornire risposta alle domande su come il loro ordine interno assicuri l’applicazione effettiva di tutte le disposizioni della Convenzione (art. 52 Conv.).
[3] Un’ulteriore fonte normativa fondamentale è il Regolamento della Corte dei diritti dell’uomo che consta di 117 articoli e 8 allegati.
[4] Si distingue tra protocolli aggiuntivi e protocolli emendativi.
I protocolli aggiuntivi integrano l’elenco dei diritti e delle libertà e sono i seguenti: protocolli n. 1, 4, 6, 7, 12, 13.
I protocolli emendativi modificano le regole di procedura e di funzionamento del sistema (protocolli n. 2, 3, 5, 8, 9, 10, 11, 14, 14 bis, 15 e 16).
[5] Si veda in questi termini, ZAGREBELSKY, CHENAL, TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, il Mulino, 2022, pag. 129-130.
[6] I criteri di ricevibilità in senso stretto sono i seguenti (v. art. 35 CEDU):
a) L’essere il ricorrente vittima (diretta, indiretta, potenziale) di una violazione della Convenzione;
b) Il previo esaurimento delle vie di ricorso interne
c) Il rispetto del termine per la presentazione del ricorso
d) La non manifesta infondatezza del ricorso
e) La presenza di un pregiudizio importante
f) Che il ricorso non sia anonimo
g) Che il ricorso non sia essenzialmente identico a uno precedentemente esaminato dalla Corte e non contenente fatti nuovi
h) Che il ricorso non sia già sottoposto a un’altra istanza internazionale di inchiesta o di risoluzione e non contenente fatti nuovi
i) Che il ricorso non sia abusivo
[7] Nel valutare la c.d. base legale (cioè se la misura dello Stato è fondata su una base legale interna) è necessario chiarire che il concetto di legge e di legalità è del tutto autonomo per la CEDU.
Ad esempio, l’art. 1 CEDU afferma: “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”. Per la Corte EDU, il concetto di legge equivale, più o meno, alla nostra ampia nozione di “diritto oggettivo”.
La nozione autonoma di diritto e di legge propria della CEDU è di tipo sostanziale e qualitativo e ricomprende la giurisprudenza tra le fonti.
[8] Art. 18 CEDU “Restrizione dell’uso di restrizioni ai diritti”: “Le restrizioni che, in base alla presente Convenzione, sono poste a detti diritti e libertà possono essere applicate solo allo scopo per cui sono state previste.”
Riportiamo alcuni scopi legittimi di restrizione dei diritti, previsti dalla CEDU:
- l’integrità territoriale;
- la sicurezza nazionale;
- la sicurezza pubblica;
- l’ordine e la prevenzione delle violazioni della legge penale;
- il benessere economico del paese: è scopo che giustifica limitazioni nel diritto al rispetto della vita privata e familiare;
- l’esigenza di protezione della salute;
[9] Si veda in questi termini, ZAGREBELSKY, CHENAL, TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, il Mulino, 2022, pag. 543.
[10] Si veda in questi termini, ZAGREBELSKY, CHENAL, TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, il Mulino, 2022, pag. 66.
[11] Così Corte Cost. 1146/988.
[12] Le sentenze pilota (che hanno variegata natura e struttura) non presentano a loro volta una speciale forza. Esse si caratterizzano solo per il fatto che decidono un caso in vista della decisione di altri numerosi casi identici (seriali) già pendenti, la cui trattazione viene sospesa in modo da consentire al governo interessato di introdurre soluzioni nazionali riparatorie e preventive di violazioni ripetute o strutturali (art. 61 Regolamento della Corte EDU).
[13] Attualmente, La Corte di giustizia dell'Unione europea, la cui sede è fissata a Lussemburgo comprende tre organi giurisdizionali: La Corte di giustizia, il tribunale e il tribunale della funzione pubblica. tra i tre organi riveste rilievo preponderante la Corte di giustizia, composta da 28 giudici e 11 avvocati generali, designati di comune accordo dai governi degli Stati membri, per un mandato di sei anni, rinnovabile e scelti tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio nei rispettivi paesi delle più alte funzioni giurisdizionali ovvero il seno in possesso di competenze notorie.
[14] Detto obbligo può essere derogato qualora la la questione pregiudiziale da sottoporre sia identica ad altre già decisa dalla Corte di giustizia; ove sul punto sussista una giurisprudenza costante del giudice dell'unione (anche non emessa a seguito di rinvio pregiudiziale e anche in mancanza di una stretta identità di materia); ove non vi sia alcun ragionevole dubbio interpretativo per la chiarezza del dettato normativo europeo (Corte giust., 6 ottobre 1982, in causa 283/81, CILFIT, §§ 13-17; 6 ottobre 2021 in causa C-561/19, Consorzio Italian management). Al di fuori di dette ipotesi, il mancato esercizio del rinvio pregiudiziale obbligatorio può determinare la responsabilità dello Stato membro anche nel quadro del ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 258 TFUE (Corte giust., 4 ottobre 2018, in causa C-416/17, Commissione c. Francia).Anche i giudici non di ultima istanza sono tenuti a proporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ove venga in questione la validità di un atto dell'unione (Corte giust., 22 ottobre 1987, in causa C314/85 Foto-Frost).
[15] Le sentenze in tema di validità di atti di diritto derivato, rese a titolo di interpretazione pregiudiziale, comportano l'esame degli stessi vizi dell'atto delibabili in sede di ricorso per annullamento ex articolo 263 TFUE. La validità di un atto di un'istituzione, organo o organismo dell'unione può pertanto essere incidentalmente esaminata anche oltre il decorso del termine bimestrale previsto dall'articolo 263 Tfue, per l'impugnazione diretta con il ricorso in annullamento.
[16] Secondo la formula utilizzata dalla Corte di giustizia, nel procedimento ex articolo 267 TFUE, La Corte di giustizia non valuta essa stessa la conformità della legislazione nazionale e il diritto Ue, ma fornisce al giudice del rinvio tutti gli elementi ermeneutici propri del diritto dell'unione che possano consentire a quest'ultimo di valutare una siffatta conformità. (Corte giust. 18 settembre 2019, in causa C-222/18, VIPA, § 28.)
[17] Si veda in questi termini, ZAGREBELSKY, CHENAL, TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, il Mulino, 2022.
[18] Cfr. ad es. Corte giust., 22 novembre 2001, in cause riunite C-541/99 e C-542/99, Cape snc e Idealservice MN RE sas sulla nozione di “consumatore”.
[19] Corte giust. 9 giugno 2016, in causa C-586/14, Budisan, § 45. Nella giurisprudenza interna v. Cass. 11 dicembre 2012, n. 22577/2012; Cass. 17 maggio 2019, n. 13425/2019. Si veda in questi termini, ZAGREBELSKY, CHENAL, TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, il Mulino, 2022, pag. 79-82.
[20] La teoria prevede che pur in mancanza di un’espressa attribuzione di poteri, l’Unione possa essere considerata competente quando l’esercizio di un certo potere risulti indispensabile per l’esercizio di un potere espressamente previsto ovvero per il raggiungimento degli obiettivi dell’ente, V. Corte giust. 31 marzo 1971, in causa 22/70.
[21] In materia processuale, vige il principio di autonomia procedurale degli Stati membri con il solo rispetto dei limiti dell’equivalenza e dell’effettività. Il principio di equivalenza esige che alle azioni fondate sul diritto dell’Unione si applichino i medesimi mezzi di ricorso e le medesime norme processuali disponibili per le azioni analoghe di natura puramente nazionale. Il principio di effettività, o della tutela giurisdizionale effettiva, obbliga i giudici degli Stati membri ad assicurare che i mezzi di ricorso e le norme processuali nazionali non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile la proposizione di azioni fondate sul diritto dell’Unione
[22] Si tratta della questione relativa alla firma del protocollo emendativo n. 16 alla CEDU in relazione al quale la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha espresso parere contrario (parere 2/13 della Corte (Seduta Plenaria) del 18 dicembre 2014).
[23] Si veda ad esempio: art. 24 CDFUE che prevede i diritti dei minori; art. 25 diritti degli anziani; art. 36 accesso ai servizi di interesse economico generale; art. 37 tutela dell’ambiente; art. 38 protezione dei consumatori.
[24] La distinzione non è meramente teorica poiché, ad esempio, in presenza di antinomie tra norme dei diversi ordinamenti, nella concezione monista, si possono applicare i criteri di gerarchia e della lex posterior per abrogare o rendere invalide le norme sotto ordinate o precedenti, nella concezione dualista tali criteri non sono applicabili.
[25] Non è viceversa possibile per lo Stato far valere nei confronti del singolo un obbligo imposto da una direttiva prima della trasposizione della stessa.
[26] Corte giust, 19 novembre 1991, in cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich
[27] In tal caso, infatti, il diritto dell'unione non impone agli Stati membri di prevedere la possibilità di riapertura del processo. Ai singoli, tuttavia, deve essere concesso di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere con tale mezzo la tutela dei propri diritti.
[28] Nella giurisprudenza degli anni 70 la Corte ha ritenuto che il primato del diritto comunitario, la cui copertura costituzionale si rinviene nell'articolo 11 cost - che consente limitazioni alla sovranità nazionale necessaria per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni - dovesse essere garantito mediante la rimozione nel giudizio di costituzionalità del diritto interno contrastante con il diritto comunitario (parametro interposto) per violazione dell'articolo 11 cost.”
[29] Si veda in questi termini, ZAGREBELSKY, CHENAL, TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, il Mulino, 2022, p. 116-117.
[30] Corte cost. n. 227/2010; n. 75/2012; n. 207/2013; n. 269/2017.
[31] V. anche successive sentenze Corte Cost. nn. 20/2019, 63/2019, 11/2020, 44/2020, 254/2020
[32] Si veda in questi termini, ZAGREBELSKY, CHENAL, TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, il Mulino, 2022, p. 121.
[33] Così espressamente ex multis Corte cost. 181/2024.
[34] Vedi GUASTINI, La sintassi del diritto, 2014, Giappichelli, Torino, pag. 67-75.
[35] Tale impostazione è seguita, anche a livello interno, per le questioni di legittimità costituzionale. V. Corte Cost. 356/1996: il giudice non è obbligato a rimettere la questione di legittimità costituzionale quando da una disposizione può ricavare una norma incostituzionale, ma soltanto quando da una disposizione non può ricavare neppure una norma che sia costituzionale.
[36] v. Corte Cost. 269/2017; 20/2019; 63/2019; 181/2024.
[37] Lo Stato italiano ha predisposto un piano di riforme per ottenere i finanziamenti previsti dal c.d. Next Generation UE (alcuni, a fondo perduto, altri, sotto forma di prestiti onerosi). L’azione dei pubblici poteri è quindi limitata dal dover adempiere a quanto previsto nel piano ed entro le scadenze prestabilite, pena la perdita dei finanziamenti.
[38] Si tratta di una concezione del diritto che si fonda su una base giuspositivistica ma che dà ingresso anche ai valori e ai fatti attraverso la tutela multilivello dei diritti fondamentali. Tutto questo avviene tramite l’utilizzo di strumenti interpretativi basati sulla formulazione di principi e sul loro bilanciamento attraverso tecniche argomentative diverse da quella della classica sussunzione legale.
[39] Su tutti mi limito a citare un esempio.
Sulla base dell’art. 6 CEDU la Corte di Strasburgo ha elaborato una propria nozione di sanzione penale basata sui c.d. criteri Engels.
In base alla suddetta nozione, la Corte di Strasburgo ha spesso riqualificato quelle che per il diritto interno erano sanzioni amministrative in sanzioni penali, ponendosi quanto meno in rapporto di tensione con il principio di riserva di legge parlamentare e di democraticità.
Tali criteri, che nella causa Engel vengono riferiti all’ambito del diritto militare, sono resi criteri generali e consolidati dalla giurisprudenza della stessa Corte nella sentenza Öztürk contro Germania del 21 febbraio 1984. Tali sono: la qualificazione giuridica interna, secondo la quale «occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l’illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o entrambi assieme»; la natura dell’illecito e la funzione del conseguente provvedimento previsto, che deve essere applicabile in modo generale e avere scopo preventivo e repressivo; in ultimo, la gravità della sanzione, che non deve necessariamente essere privativa della libertà personale, come confermato in successive sentenze (Cfr. A e B contro Norvegia, Grande Camera, 15.11.2016; Johannesson contro Islanda, 18.5.2017).
[40] V. Cass. Sez. Un. 9479/2023: “la clausola del contratto resta abusiva anche se il consumatore non si è opposto all’ingiunzione. Spetta quindi al giudice dell’esecuzione controllare se la clausola ha natura vessatoria, ad esempio perché deroga al foro del consumatore.”
[41] Si veda L. FERRAJOLI, Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, 2022, pag. 80-83, il quale ha operato una riformulazione della teoria della separazione dei poteri:
-al centro e prima di tutto vi sono i diritti fondamentali, che delimitano, per i poteri, la sfera del decidibile;
-poi abbiamo le istituzioni politiche e di governo, legittimate dal consenso elettorale, che attraverso la discrezionalità legislativa, hanno il potere di creare nuove norme, nel rispetto dei propri obblighi negativi e positivi di tutela dei diritti fondamentali;
- dopo di che abbiamo le istituzioni di garanzia primaria e secondaria, legittimate dal principio di legalità:
Le istituzioni di garanzia primaria (come ad esempio la pubblica amministrazione) devono esercitare la propria discrezionalità amministrativa, entro i limiti fissati dalle istituzioni politiche e per adempiere ai loro obblighi di tutela dei diritti fondamentali;
le istituzioni di garanzia secondaria (la giurisdizione) intervengono quando sono stati violati i diritti fondamentali nei rapporti orizzontali (Corte di Cassazione) oppure, nei rapporti verticali, quando è stata male esercitata la discrezionalità legislativa (la CEDU, la CGUE, la Corte Costituzionale) o amministrativa (il Consiglio di Stato).
[42] Solo per citarne alcuni:
- tentare di fornire una ri-classificazione sistematica del nostro diritto interno alla luce del diritto sovranazionale: ad esempio, a partire dal concetto di “principi costituzionali comuni agli Stati membri” ex art. 6 par. 3 TUE, approfondire quali sono questi principi e studiarli nell’ambito del diritto civile, penale, amministrativo;
- adottare un approccio euronitario alla ricostruzione delle varie materie affrontandole come diritto privato europeo, diritto penale europeo, diritto amministrativo europeo;
- approfondire quali sono le categorie utilizzate dalle Corti sovranazionali e cercare di metterle a sistema;
-discutere dell’attualità del principio della separazione dei poteri e di quello di certezza del diritto all’interno di un sistema multilivello che ha una visione dialogica ed argomentativa del diritto che si crea dal basso, caso per caso, in antitesi alla visione del diritto imperativistica come comando che si crea dall’alto, e che si applica, per sussunzione, alla fattispecie.
Attorno a questo corpo dalle mille paludi.
Introduzione al V Convegno di Giustizia insieme, Roma 6 giugno 2025
Il corpo umano ha da sempre rappresentato un mistero.
Le radici più antiche del pensiero occidentale ne hanno tramandato la considerazione alternata tra il platonico carcere dell’anima e la singolare e indissolubile combinazione aristotelica di materia e forma.
Un’ambivalenza che la prima cristianità ha saputo tradurre, a partire dal mistero dell’incarnazione divina, in modelli teologici esemplari e in raffinati sistemi morali.
A questa costitutiva ambivalenza ontologica del corpo umano il pensiero scientifico moderno ha ritenuto di potersi sottrarre sollecitando una visione del corpo dominata dall’esclusiva considerazione dei suoi elementi quantitativi (o artificialmente quantificabili), e relegandone ogni dimensione qualitativa (la mente, il pensiero, l’anima o lo spirito) al dominio della metafisica o della religione.
Proprio in questo contesto del pensiero moderno, con riguardo alla considerazione del corpo, il diritto ha smarrito la sua strada: perdutamente distratto, negligente o disinteressato, ha presupposto il Soggetto (di ascendenza cartesiana) come datità trascendentale, ne ha arredato il mondo con il caleidoscopio dei beni scambiabili o producibili, e ha abbandonato la sorte del corpo agli arbìtri dei giovani Stati sovrani, ai disegni manipolatori della loro biopolitica, e alla disciplina morale delle chiese.
Nella misura in cui il contenuto dei codici borghesi andava costruendo il governo delle società moderne attorno alla regolazione dell’autonomia del Soggetto nella gestione economica del suo patrimonio, il corpo scompariva da ogni orizzonte della giuridicità civile, per ricomparire, ora brutalizzato, torturato, più spesso rinchiuso, tra gli arnesi punitivi del potere pubblico, quelli correttivi dei sanatori o delle istituzioni manicomiali, quando non mortificato dalle severe censure morali delle autorità religiose.
Quando finalmente riapparve in un testo normativo ufficiale (fuori dai misteriosi regolamenti o dalle nascoste circolari del potere), il codice civile italiano del 1942 guardò al corpo (o più propriamente, alle sue parti) al solo fine di regolarne la disponibilità da parte del suo ‘titolare’; una disponibilità riconosciuta e consentita nei rigorosi limiti della sua pur sempre preservata integrità, a beneficio degli interessi della collettività o della Nazione, secondo i toni consueti della stanca retorica del tempo.
Il corpo come mero oggetto, dunque, affidato alle mani del suo ‘padrone’ spirituale, in coerenza ai canoni classici della tradizione idealistica.
Ma sono, quelli, gli anni in cui la riduzione del corpo a mero oggetto veniva rivelando il suo risvolto più oscuro e terrificante, attraverso il racconto del corpo (o, meglio, dei corpi) orrendamente ritratti dalla pagina di Primo Levi.
È, dunque, un uomo quello il cui corpo diventa programmaticamente la ‘cosa’ voluta dagli altri? L’oggetto che (in contrasto con ogni imperativo di ascendenza kantiana) è destinato a fornire il mezzo per la realizzazione d’interessi altrui?
Sono queste le premesse storico-culturali che, dalla metà del secolo scorso, hanno ispirato e animato l’elaborazione delle carte giuridiche di respiro internazionale per cui al singolo è restituito (o, forse, realmente consegnato per la prima volta nella storia) l’esercizio di una piena sovranità su se stesso: il principio del consenso informato della persona per ogni azione che ambisca a toccarne il corpo; la considerazione della salute, non più come assenza di patologie funzionali di una quantità materiale, ma come completo stato di benessere fisico, psicologico e sociale.
Se, dunque, corpo e mente non appaiono ormai più districabili agli occhi del più avvertito pensiero scientifico contemporaneo, neppure al diritto (come all’orizzonte della cultura contemporanea) è più consentito guardare al corpo come a qualcosa di dissociabile dalla ‘persona’ in cui consiste: la conferma, l’ennesima, dell’insufficienza o della banalità della frusta distinzione categoriale di un mondo arredato di soli soggetti e oggetti tra loro ontologicamente contrapposti.
Eppure, il racconto del mondo contemporaneo ci ammonisce che la considerazione del corpo alla stregua di una cosa, la sua oggettivazione; lo sforzo di ridurlo a pura quantità biologica; il recupero di una sua pretesa natura meramente strumentale, costituiscono i tratti di una tentazione permanente, o quantomeno ricorrente, nella storia dell’uomo; il segno, quasi, della fatale attrazione a cui conducono i sotterranei percorsi della volontà di potenza; ora travestita degli interessi della politica, talora dei panni della tecnica, più spesso della cupa avidità del denaro, fino a precipitare nel travestimento abissale dell’istintualità ferina.
È, in definitiva, il ‘potere’ (nelle multiformità delle sue manifestazioni) il vero antagonista, foucaultianamente, della libertà del corpo; la minaccia che insidia senza tregua i progetti della persona e gli spazi della sua fioritura.
Sullo sfondo di queste considerazioni, il convegno che oggi si presenta ambisce a sollecitare una comune riflessione sullo stato attuale del corpo alla luce degli assetti dei poteri contemporanei.
Si tratta di tornare a guardare i contesti o le situazioni della vita individuale o collettiva all’interno dei quali la vita del corpo rinnova il suo confronto con le criticità più antiche, o si avvia all’incontro con quelle proprie del tempo nuovo, secondo una dialettica che guarda, da un lato, all’esercizio delle libertà della persona e delle sue prerogative di liberazione e, dall’altro, alle forme della coercizione, della sua istituzionalizzazione e dei sistemi che la gestiscono.
Da qui l’interrogativo sui poteri che minacciano la condizione del corpo sofferente, segnato dal dolore fisico o dai tormenti del disagio psicologico; sui limiti entro i quali le esigenze morali o il sentimento religioso della collettività o le ambizioni del pensiero scientifico valgano ancora a giustificare l’imposizione, contro ogni volontà o convinzione personale, di trattamenti o cure non accettate né sollecitate da chi sperimenta direttamente, sulla propria persona, l’esperienza del dolore.
E ancora, gli interrogativi sulla condizione del corpo della donna o di quello, in formazione, del minore, sulla consistenza delle esigenze, nuove o antiche, che quei corpi continuamente esprimono e sulle forme in cui si manifesta la violenza delle culture, delle ideologie e delle forme di sfruttamento o di soggezione che ancora quei corpi opprimono o si propongono di farlo.
Sul piano della coercizione agìta in chiave istituzionale (o latamente politica), la riflessione che intende sollecitarsi vorrebbe fermarsi sui limiti entro i quali la detenzione all’interno delle istituzioni carcerarie, l’imprigionamento o il trattamento generale delle popolazioni civili nei contesti bellici, e ancora la gestione politica dei fenomeni migratori (sul cui ‘contrasto’ sin troppo disinvoltamente appaiono costruiti percorsi e programmi strumentali di natura politica) possano considerarsi ancora compatibili con quel ‘senso di umanità’, che pure l’art. 27 della Costituzione italiana richiama come limite (non solo negativo) dei trattamenti sanzionatori interni, e che, riferito all’esperienza della guerra, conferisce almeno uno dei significati del suo ‘ripudio’ come strumento di offesa alla libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11 della Costituzione).
Il desolante racconto della cronaca dei giorni presenti richiama la nostra attenzione sul dovere della ‘sacralità’ e, dunque, sul dovere di avvertire il senso del limite che la barriera del corpo pur sempre esprime sul piano simbolico, a fronte delle troppe stragi che tornano a raffigurare masse di corpi straziati, trasformati (ora in chiave offensiva, talora in chiave difensiva) alla stregua di strumenti umani nelle mani di un odio che appare inestinguibile.
Se una responsabilità è oggettivamente imputabile all’essere umano, questa è senz’altro la negligente dissipazione delle proprie memorie storiche e culturali; se ancora non è distinguibile un senso del mondo a venire - la pronuncia della parola profetica - è tuttavia senz’altro doveroso il discernimento di ciò che, per comune e generalizzata nozione, ha reso la memoria materia di giustizia; che ha scolpito sulla carne dei nostri corpi ciò “che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Attorno a questo corpo dalle mille paludi è il titolo che abbiamo scelto per il nostro Convegno di quest'anno. Si tratta di un prestito da un verso di Amelia Rosselli da Serie ospedaliera, 1969. L'immagine è La danse di Henri Matisse, dipinto nel 1909, esposto al MOMA di New York.
Questo è il programma del Convegno, che si terrà nella Sala Alessandrina presso S.Ivo alla Sapienza, sede dell'Archivio di Stato di Roma, il 6 giugno 2025.
Nel corso della giornata sarà presentato il volume L’amore in gabbia. La ricerca della libertà di un reduce dal carcere di Donatella Stasio (Castelvecchi, 2025).
9.00
Saluti di Antonella Parisi (vicedirettrice Archivio di Stato di Roma)
Introduzione di Paola Filippi (direttrice scientifica di Giustizia Insieme)
Presentazione del restauro e della digitalizzazione di un registro generale della Corte di assise speciale di Roma a cura di Alessandra Terrei (restauratrice)
SESSIONE I
9.25-10.35
IL CORPO DELLA DONNA discussant Marco Dell'Utri (consigliere della Corte di Cassazione)
Marilisa D’Amico (professoressa ordinaria di diritto costituzionale Università di Milano)
Valentina Calderai (professoressa associata di diritto privato Università di Pisa)
10.35-11.45
IL CORPO SOFFERENTE discussant Corrado Caruso (professore ordinario di diritto costituzionale Università di Bologna)
Stefano Canestrari (professore ordinario di diritto penale Università di Bologna)
Paolo Flores D’Arcais (filosofo e giornalista)
11.45-12.55
IL CORPO DEL MINORE discussant Gabriella Luccioli (già presidente di sezione della Corte di Cassazione)
Mirzia Bianca (professoressa ordinaria di diritto civile Università di Roma Sapienza)
Elisabetta Lamarque (professoressa ordinaria di diritto costituzionale Università di Milano Bicocca)
12.55-14 pausa pranzo
SESSIONE II
14-15.10
IL CORPO DETENUTO discussant Donatella Stasio (giornalista)
Susanna Marietti (coordinatrice nazionale Associazione Antigone)
Mario Serio (componente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale)
15.10-16.20
IL CORPO PRIGIONIERO discussant Paola Filippi (sostituta procuratrice generale della Corte di Cassazione)
Emanuela Fronza (professoressa associata di diritto penale Università di Bologna)
Raffaele Piccirillo (sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione)
16.20-17.30
IL CORPO MIGRANTE discussant Sibilla Ottoni (giudice del Tribunale di Tivoli)
Luigi Patronaggio (procuratore generale di Cagliari)
Giovanna Pistorio (professoressa associata di diritto costituzionale Università Roma Tre)
17.30-17.45
Conclusioni di Costantino De Robbio (vicedirettore scientifico di Giustizia Insieme)
La partecipazione è gratuita, ma è necessaria l’iscrizione.
È prevista la possibilità di partecipare anche da remoto grazie a Radio Radicale.
Il convegno è accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Roma e dà diritto a 8 crediti formativi ordinari.
Per informazioni e iscrizioni:
Comitato scientifico per il convegno: Paola Filippi, Costantino De Robbio, Michela Petrini, Sibilla Ottoni, Riccardo Ionta, Marco Dell'Utri, Angelo Costanzo, Corrado Caruso, Gabriella Luccioli, Giuliano Scarselli.
Comitato organizzatore: Margherita Occhilupo, Michela Petrini, Sibilla Ottoni, Riccardo Ionta, Costantino De Robbio, Paola Filippi, Corrado Caruso.
Immagine: Henri Matisse, La danse, olio su tela, 1909, MOMA, New York.
Dopo averci raccontato, sempre per i tipi di Laterza, di brigate rosse (Colpirne uno. Ritratto di Famiglia con Brigate Rosse, 2022) e di anarchici (La pista anarchica. Dai pacchi bomba al caso Cospito, 2023), Mario Di Vito ci racconta dei Nar e della galassia del terrorismo fascista.
Con il piglio del cronista giudiziario (l’autore segue i temi della giustizia per Il Manifesto) e con molta sicurezza nel maneggiare materiale giudiziario e di archivio, Di Vito ci racconta la storia di Mario Amato, magistrato.
Dopo la prima sede a Rovereto, arriva nel giugno del 1977 alla Procura di Roma, il “porto delle nebbie”, come l’avevano battezzata.
Arriva in un ufficio senza personale, senza schedari o banche dati dove conservare ed organizzare i dati emersi nel corso delle indagini, con i centralinisti assenti sin dal pomeriggio. Lui però tornava per pranzo a casa e sbobinava da solo le intercettazioni telefoniche.
Arriva a Roma ed eredita i fascicoli sull’eversione neofascista romana che furono di Vittorio Occorsio, pubblico ministero, ammazzato da mano fascista quasi un anno prima, il 10 luglio 1976. Agghiacciante la rivendicazione dell’omicidio di Occorsio accusato di «avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi erano portatori». Nonostante questo, i fascicoli sul terrorismo nero rimangono “orfani”, per quasi un anno, finché vengono assegnati ad Amato, l’ultimo arrivato.
Come Occorsio, Amato non ha colleghi che lo affiancano, nonostante i mille rivoli delle indagini sulle organizzazioni neofasciste ed il sangue che scorreva per le strade della Capitale. Un solo magistrato per seguire le trame nere mentre erano in quattro per seguire lo scandalo del calcio scommesse esploso quella stessa estate, fa notare Di Vito.
Come Occorsio, Amato gira senza scorta, senza auto di servizio.
Come Occorsio, Amato viene ammazzato, il 23 giugno 1980, mentre è solo, sulla strada verso il lavoro. Il primo a bordo della sua auto, il secondo mentre attende un autobus perché la sua auto era in panne.
Come Occorsio, Amato viene ammazzato da terroristi fascisti: gli spara Gilberto Cavallini, che poi scappa a bordo di una moto guidata da Luigi Ciavardini, entrambi nei Nuclei Armati rivoluzionari, come i fratelli Fioravanti e la Mambro. Tutti, poi, condannati per la strage di Bologna.
Nei due anni in cui ha lavorato a Roma, Amato ha incrociato, fra indagini e processi, tutti i personaggi della galassia fascista romana, da Concutelli, anello fra i vecchi ed i nuovi fascisti, agli esponenti dei NAR come i fratelli Fioravanti e la Mambro, e poi Carminati, Signorelli, Semeraro. Fanatici fascisti e delinquenti comuni e poi fanatici fascisti che, a furia di consumare rapine per finanziarsi, sono diventati delinquenti comuni. Ha attraversato la parte finale della strategia della tensione, la stagione romana degli omicidi politici, l’età della sottovalutazione della capacità militare ed eversiva dei gruppi neofascisti.
Ha dovuto lavorare nello stesso ufficio di Antonio Alibrandi, magistrato e padre di Alessandro, detto Ali Babà, militante del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale, poi componente dei NAR, i “nuovi” fascisti dopo la stagione di Ordine Nuovo, coinvolto in tutti i fatti più eclatanti di quella stagione criminale, latitante per anni, poi, morto in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. Con un figlio così, il padre interveniva per fermare le perquisizioni delle sedi del Movimento Sociale, insolentiva i colleghi che indagavano fino a compiacersi dell’omicidio di Emilio Alessandrini “giudice della Repubblica”, minacciava i poliziotti che notificavano avvisi a comparire per il figlio, interrompeva i dibattimenti a carico dei terroristi neri. Chi sa cosa direbbero di un uno così, oggi, i tifosi dell’apparenza di imparzialità dei magistrati. Allora, venne condannato dalla sezione disciplinare del CSM alla censura, ma solo dopo che Amato era stato ucciso.
Ha dovuto lavorare con il Procuratore Giovanni De Matteo, che scriveva sulla rivista Politica e Strategia, vicina alla destra radicale, e non riassegnò tempestivamente i fascicoli di Occorsio dopo dopo il suo omicidio, non affiancò nessuno ad Amato per consentirgli di lavorare meglio, contribuì al suo isolamento in ufficio e nei rapporti con la polizia giudiziaria, fino a concludere, dopo avere appreso della sua morte, «Mario Amato è morto per un eccesso di zelo. Se non si fosse tanto preoccupato di arrivare puntuale in aula, lunedi mattina avrebbe avuto la scorta».
Amato ha sopportato una campagna di delegittimazione del foro e della stampa locale. Meno di dieci giorni prima di essere ammazzato l’Ordine degli avvocati di Roma ha diffuso, sui giornali, un documento in cui lo criticava per un ordine di cattura.
Insomma, a Roma allora la destra non era solo quella delle spranghe, delle pistole e delle bombe.
Amato era consapevole di indagare su un «ambiente con legami e diramazioni dappertutto», e di essere «solo…esposto ad attacchi della stampa e dei legali che sono legati a certa gente», come raccontava nella sua audizione innanzi alla prima commissione del CSM.
Fra fascisti, rivoluzionari o borghesi che fossero, Mario Amato è rimasto un giudice normale che cercava di fare il suo lavoro. Tutta la sua umanità traspare dalla continua ricerca di aiuto fra i colleghi, dalle richieste al Procuratore di essere affiancato dai colleghi od esonerato da parte del lavoro, dalla restituzione di fascicoli che non riusciva a lavorare.
Ha continuato il suo lavoro con scrupolo come quando, tornato dalle ferie, ha scovato per caso un fascicolo che la Procura romana stava inviando per competenza altrove e, consultando i suoi appunti personali, ha scoperto che riguardava bombe a mano già usate in attentati consumati a Roma.
Un uomo normale ma determinato, sempre alla ricerca di una “verità di assieme”. Innanzi al CSM ha invitato a non sottovalutare la pressione degli ambienti eversivi sul movimento giovanile del Movimento sociale: «ci sono ragazzi e ragazzini… come i nostri figli… figli di persone per bene, che vengono armati o comunque istigati ad armarsi e che poi ci trovano e ci ammazzano».
Ed in effetti dieci giorni dopo quell’audizione venne ammazzato mentre aspettava un autobus per andare al lavoro.
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