Sommario: 1. Il tema “cittadinanza” oggi – 2. La sentenza della Corte di giustizia Commissione c. Malta. La cittadinanza per estensione. La violazione del diritto UE – 3. Il contenuto della sentenza – 3.1. La rilevanza della solidarietà e della fiducia reciproca – 3.2. La rilevanza della leale cooperazione – 3.3. Il contrasto della “commercializzazione” con la solidarietà, la fiducia reciproca e la leale cooperazione – 4. La sentenza e l’effettività. Le conclusioni dell’avvocato generale, la giurisprudenza precedente sulla perdita della cittadinanza, la proporzionalità – 5. La sentenza della Corte costituzionale n. 142/2025. I problemi posti – 6. La sentenza e la rilevanza del diritto internazionale – 7. La sentenza e la rilevanza del diritto UE – 7.1. Le norme rilevanti e la discrezionalità dello Stato – 7.2. Il possibile rinvio pregiudiziale.
1. Il tema “cittadinanza” oggi
Il tema cittadinanza ha suscitato, negli ultimi mesi di quest’anno, un interesse particolare nel contesto giuridico nazionale ed europeo: nel primo, nazionale, perché il legislatore è intervenuto a modificare la legge vigente 5.2.1992, n. 91 con il d.l. 28.3.2025, n. 36, poi conv. in l. 23.5.2025, n. 74 e perché la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza del 31.7.2025, n. 142.vNel secondo, europeo, è la sentenza della Corte di giustizia Commissione c. Malta del 29.4.2025 ad avere suscitato l’attenzione soprattutto perché la materia “cittadinanza” è sempre stata ritenuta materia di domestic jurisdiction, riservata dunque alla competenza nazionale, e sottratta a quella di organizzazioni internazionali o a norme internazionali ed europee. E ciò malgrado il TUE (art. 9) e il TFUE (articoli 20-25) prevedano espressamente norme sulla cittadinanza, precisamente sulla cittadinanza europea, indicando alcune caratteristiche della stessa ma senza fornirne una definizione[1]. La cittadinanza europea, dispone l’art. 9 TUE (e l’art. 20 TFUE) “si aggiunge alla cittadinanza nazionale”, essendo cittadino dell’Unione “chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”. Non sostituisce la cittadinanza nazionale, gli Stati membri avendolo ben chiarito, nella Dichiarazione n. 2 sulla cittadinanza di uno Stato membro allegata all’atto finale del Trattato di Lisbona ove si afferma che la cittadinanza è definita “soltanto in relazione al diritto nazionale dello Stato membro interessato”[2].
Anche a livello di diritto UE, dunque, si deve tenere conto di questa duplice “anima” o natura della cittadinanza. Sono gli Stati che, con norme nazionali se del caso modificate o integrate da convenzioni internazionali, disciplinano l’attribuzione e la perdita della cittadinanza[3].
2. La sentenza della Corte di giustizia Commissione c. Malta. La cittadinanza per estensione. La violazione del diritto UE
Qual è la rilevanza della sentenza Commissione c. Malta, qui assunta come punto di riferimento per l’esame dell’orientamento della Corte in materia?
La Repubblica di Malta prevedeva (norme del 2020) l’acquisto della propria cittadinanza ovvero la naturalizzazione grazie alla prestazione di “servizi eccezionali tramite investimenti diretti”: gli investitori stranieri, sulla base di un programma nazionale di naturalizzazione, potevano chiedere di essere naturalizzati se soddisfacevano a una serie di requisiti, principalmente di natura finanziaria. La Commissione, ritenendo violato il diritto UE, avviava una procedura di infrazione, lo Stato non si adeguava (art. 258, secondo comma TFUE), diversamente da altri Stati come Bulgaria e Cipro che non avevano adottato norme sui c.d. golden passports[4]. Ne scaturiva quindi la causa conclusasi con la sentenza ricordata, poiché secondo la Commissione la naturalizzazione avveniva in presenza di un pagamento o di un investimento, senza che sussistesse un vincolo effettivo (secondo la tesi della Commissione) fra lo straniero e lo Stato, così violando sia l’art. 20 TFUE sulla cittadinanza (che istituisce la cittadinanza dell’Unione, par. 1 ed elenca, par. 2, una serie di diritti e di doveri), sia l’art. 4, par. 3 TUE sul principio di leale cooperazione (in virtù del quale “l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati”).
L’avvocato generale concludeva per il rigetto del ricorso (perché la Commissione non aveva dimostrato l’esistenza di un vincolo effettivo o di un precedente vincolo effettivo fra lo Stato e il singolo); la Corte accoglieva invece il ricorso perché i requisiti della naturalizzazione (tre dei cinque previsti dalla legge maltese) avevano un carattere commerciale, non assumendo rilevanza quelli (gli altri due) della residenza effettiva nello Stato e della verifica dell’idoneità del richiedente a presentare una domanda di cittadinanza. Inoltre, non veniva imposto un requisito successivo alla naturalizzazione, al fine del mantenimento della cittadinanza, e la particolarità della procedura, ritenuta, appunto, di natura commerciale, era confermata dal fatto che la domanda poteva essere presentata solo tramite agenti autorizzati che promuovevano la presentazione delle domande di ottenimento della cittadinanza, prospettando i vantaggi conseguenti: principalmente il diritto di circolare, risiedere, studiare, lavorare negli altri Stati membri anche a favore dei familiari del richiedente. La Corte afferma che l’acquisto della cittadinanza o naturalizzazione è una cittadinanza “per estensione” rispetto a quella nazionale, propria dello Stato di appartenenza: la cittadinanza europea è, insomma, una estensione della cittadinanza nazionale[5].
3. Il contenuto della sentenza
Ritiene la Corte che Malta abbia violato l’art. 20 TFUE e l’art. 4, par. 3 TUE perché è stata istituita “una procedura avente natura di transazione assimilabile a una commercializzazione della concessione […] sfruttando i diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione al fine di promuovere tale procedura”. Una concessione, dunque, che avviene “in cambio di pagamenti o di investimenti predeterminati[6], con ciò sottolineando lo “sfruttamento” della situazione privilegiata di cui gode il cittadino UE rispetto al cittadino di Paese terzo.
3.1. La rilevanza della solidarietà e della fiducia reciproca
Non sono quindi ritenuti essenziali gli elementi che riconducono all’effettività del vincolo (residenza e verifica della idoneità), ma altri. Questi devono essere conformi alla ratio della cittadinanza europea, al suo contenuto, al complesso di diritti, principalmente di libera circolazione e soggiorno, ai diritti politici che sono espressione della partecipazione democratica ovvero della democrazia che è uno dei valori (ex art. 2 TUE) dell’Unione. Le norme sulla cittadinanza riguardano lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, hanno importanza fondamentale perché lo spazio si realizza in quanto fondato sui principi della fiducia reciproca fra Stati e del mutuo riconoscimento. Si tratta di norme che si inseriscono nella realizzazione del processo di integrazione che costituisce la ragion d’essere dell’Unione stessa e fanno quindi parte integrante del suo quadro costituzionale[7].
Lo status di cittadino dell’Unione “costituisce lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri”, è anzi “una delle principali concretizzazioni della solidarietà che è alla base stessa del processo di integrazione”, ma anche di quella “identità dell’Unione in quanto ordinamento giuridico peculiare, accettato dagli Stati membri a condizione di reciprocità” (la Corte ricorda in proposito la -storica- sentenza Costa-Enel)[8].
3.2. La rilevanza della leale cooperazione
La solidarietà non è il solo elemento che deve essere tenuto presente. Oltre alla solidarietà, che si esprime in un complesso di diritti che costituiscono un legame fra Stati che condividono gli stessi valori, assume rilievo il principio di leale cooperazione che obbliga gli Stati ad “astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione”[9].
Allo Stato è riconosciuta una competenza in materia di cittadinanza, che tuttavia non è “illimitata”, perché che si tratti di perdita o revoca (finora oggetto della giurisprudenza della Corte), ma anche di concessione come nella specie, lo Stato deve rispettare il diritto dell’Unione, il suo primato[10]. È competenza, sì, esclusiva dello Stato, in conformità al diritto internazionale, ma “nel rispetto del diritto dell’Unione” come affermato anche in precedente giurisprudenza[11]. Il margine discrezionale dello Stato è ampio, ma i criteri devono essere applicati nel rispetto del diritto UE.
3.3. Il contrasto della “commercializzazione” con la solidarietà, la fiducia reciproca e la leale cooperazione
La cittadinanza si fonda sulla fiducia reciproca, sulla solidarietà, sulla leale cooperazione. La commercializzazione della concessione della cittadinanza viola tali principi perché viene compiuta una transazione: incompatibile con la concessione di uno status fondamentale che deriva dai Trattati. Questo status, come si è detto, deriva “per estensione” da quello di cittadino nazionale[12]. Lo Stato, pur competente in materia, ha dei limiti in quanto è membro dell’Unione. I suoi obblighi sono, appunto, di diritto UE. La commercializzazione è vietata perché è in contrasto con valori, con principi comuni fondamentali agli Stati membri che si esprimono nell’art. 2 TUE, nell’art. 20 TFUE, nell’art. 4, par. 3 TUE. Lo status civitatis europeo viene dunque valorizzato come espressione intrinseca della natura del processo di integrazione (costituisce, come si è detto, “una delle principali concretizzazioni della solidarietà che è alla base stessa del processo di integrazione”) e come tale non è commerciabile ovvero oggetto di transazione commerciale[13].
4. La sentenza e l’effettività. Le conclusioni dell’avvocato generale, la giurisprudenza precedente sulla perdita della cittadinanza, la proporzionalità
L’insegnamento da trarre da questa sentenza che (lo si ribadisce) è la prima in materia di concessione-attribuzione della cittadinanza (a seguito di naturalizzazione), è la conferma di un orientamento della Corte di giustizia sul modo di “combinare” le competenze dello Stato e gli impegni derivanti dal diritto UE, senza tuttavia coinvolgere ovvero ricorrere a quel criterio dell’effettività che l’avvocato generale ben aveva sottolineato facendo riferimento alla nota giurisprudenza della C.I.G. nel caso Nottebohm (Liechtenstein c. Guatemala)[14]. Il diritto UE non definisce né richiede l’esistenza del vincolo di effettività al fine di acquisire o mantenere (cioè non perdere) la cittadinanza. Le norme nazionali possono esigere la prova dell’esistenza di un vincolo effettivo, ma, precisa l’avvocato generale, non lo fanno quelle di diritto UE. Così (d’altra parte) si era espressa la Corte, in casi di perdita della cittadinanza, quando ha ritenuto “legittimo” che uno Stato, nell’esercizio della sua competenza, possa sia “tutelare il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà fra esso e i suoi cittadini, nonché la reciprocità di diritti e di doveri che costituiscono il fondamento del vincolo di cittadinanza”, sia “considerare che la cittadinanza sia espressione di legame effettivo con tale Stato membro”: quindi con se stesso, “e ricollegare, di conseguenza, all’assenza o alla cessazione di un siffatto collegamento effettivo la perdita della sua cittadinanza”. La valutazione dell’esistenza o assenza del collegamento (per esempio luogo di nascita, residenza, condizioni di soggiorno) e quindi dell’effettività, appartiene allo Stato. Il diritto dell’Unione “non osta” alla perdita, purché sia rispettato “il principio di proporzionalità per quanto riguarda le sue conseguenze sulla situazione dell’interessato e, se del caso, su quella dei suoi familiari, sotto il profilo del diritto dell’Unione”[15].
Secondo l’avvocato generale sarebbe stato onere della Commissione, nella fattispecie, dimostrare il contrario, ma anche dimostrare che le norme maltesi erano in contrasto con il diritto internazionale e con quelle poste a tutela dei diritti umani e procedurali degli interessati. Di qui la richiesta di rigetto del ricorso della Commissione, che poi è stato accolto, ma per ragioni diverse, che fondano non sull’effettività ma (come si è detto) sulla solidarietà e leale cooperazione. L’avvocato generale aveva insistito sia sulle affermazioni contenute nella sentenza Micheletti (di cui si dirà poco oltre), sia sul contenuto della già ricordata Dichiarazione n. 2 allegata all’atto finale del Trattato sull’Unione europea: “gli Stati membri”, sottolinea, “avrebbero potuto decidere di riunire le loro competenze e di conferire all’Unione europea il potere di determinare i soggetti legittimati a diventare cittadini dell’Unione”, ma “hanno scelto di non farlo”[16].
È necessario ricordare che, malgrado la diversa posizione dell’avvocato generale, le premesse della più recente presa di posizione della Corte sono le medesime della giurisprudenza del passato che ha riguardato, in primo luogo, il significato delle norme del Trattato in materia[17].
a) In primo luogo, si afferma che la cittadinanza europea (art. 9 TUE, art. 20, par. 1 TFUE) si aggiunge a quella nazionale, non la sostituisce, perché è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro.
b) In secondo luogo, non vi sono norme di diritto UE che definiscono chi abbia la cittadinanza dello Stato membro. Tale cittadinanza è definita solo in base alle norme nazionali (come è confermato dalla Dichiarazione n. 2 cit.).
c) In terzo luogo, ferma tale competenza dello Stato, in conformità al diritto internazionale, nel determinare i modi di acquisto e perdita della cittadinanza, tale competenza deve essere esercitata nel rispetto del diritto dell’Unione[18]. Rispettare il diritto dell’Unione significa non consentire un esercizio illimitato della competenza dello Stato, perché lo Stato appartiene a un sistema integrato, dominato da valori comuni. Il caso affrontato nella sentenza Micheletti ne è un esempio: la Spagna non poteva imporre, come condizione per esercitare il diritto di stabilimento, il possesso della residenza abituale nel proprio Paese a un cittadino bipolide, italiano e argentino. Il riconoscimento del diritto di stabilimento, che è diritto fondamentale per il cittadino della UE, non può essere subordinato a tale requisito: rappresenterebbe una negazione del riconoscimento dello status di cittadino UE. Afferma la Corte che “Non spetta […] alla legislazione di uno Stato membro limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza al fine dell’esercizio delle libertà fondamentali previsto dal Trattato”[19].
d) In quarto luogo, proprio perché tale sistema europeo è integrato, lo status di cittadino UE, come già si è detto, “costituisce lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri”[20].
e) In quinto luogo, fra i principi che integrano il rispetto del diritto in materia di cittadinanza, vi è il rispetto del principio di proporzionalità, affermato con riguardo ai casi di perdita o revoca. Non affermato in materia di concessione o attribuzione, salvo ritenere che i vincoli di solidarietà e leale cooperazione, ritenuti essenziali in Commissione c. Malta, non integrino un’espressione della proporzionalità. E cioè che una attribuzione “commercializzata” sia espressione dell’esercizio, eccessivo, e quindi sproporzionato, di una competenza dello Stato.
La perdita della cittadinanza è disciplinata dallo Stato, ma poiché comporta la perdita dello status di cittadino dell’Unione, deve essere conforme al principio di proporzionalità, come si è detto, “per quanto riguarda le sue conseguenze sulla situazione dell’interessato e, se del caso, su quella dei suoi familiari”. Una perdita ipso iure, per motivi di interesse generale, “sarebbe incompatibile” se non fosse consentito “un esame individuale delle conseguenze determinate da tale perdita, per gli interessati, sotto il profilo del diritto dell’Unione” dovendo comunque essere consentita la presentazione di una domanda per “conservare la propria cittadinanza o di riacquistarla ex tunc”, prevedendo modalità [21]procedurali che garantiscano (nel rispetto del principio dell’effettività) la tutela dei diritti spettanti ai singoli[22]. Principi, questi, da tenere in considerazione nel valutare (come si dirà oltre) le conseguenze delle nuove norme nazionali, la cui legittimità costituzionale è stata recentemente sollevata, e nel valutare la formulazione di quesiti pregiudiziali alla Corte di giustizia.
5. La sentenza della Corte costituzionale n. 142/2025. I problemi posti
La sentenza n. 142/2025 della Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le censure rivolte da vari tribunali (Bologna, Roma, Milano, Firenze) all’art. 1 della legge 91/1992: precisamente nella parte in cui si prevede che è cittadino per nascita il figlio di padre o di madre cittadini, senza tuttavia prevedere alcun limite all’acquisizione della cittadinanza iure sanguinis. La Corte ha anche dichiarato non fondate alcune questioni circa la irragionevole disparità di trattamento rispetto ad altri meccanismi di acquisizione della cittadinanza e ha respinto alcune richieste sulle norme medio tempore approvate.
La sentenza prende in esame alcuni profili di diritto internazionale e diritto UE, così come sono stati posti dai giudici rimettenti, i quali non hanno contestato l’idoneità del vincolo della filiazione per giustificare, alla luce dei principi costituzionali, l’acquisto della cittadinanza, ma hanno espresso dubbi sulla discrezionalità dello Stato. Dubbi che così si possono riassumere: è sufficiente la sola discendenza da cittadino (o cittadina) italiano per acquisire tale status? Le norme successivamente approvate non sono stato oggetto delle questioni di legittimità, anche se queste sono state sollevate dalle parti negli atti depositati in Corte (oltre che in occasione della discussione; la Corte non ha ritenuto che sussistessero i presupposti per restituire gli atti ai giudici rimettenti, né di rimettere avanti a sé delle questioni di legittimità, punti 7 e 8 della sentenza).
La questione di legittimità sulle nuove norme è stata poi sollevata dal Tribunale di Torino, con ordinanza del 25.6.2025 che censura non la riforma in sé, ma la portata retroattiva delle nuove norme e la mancanza di una normativa intertemporale che consenta agli interessati di presentare (entro un termine ragionevole) la domanda di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, così evitando la perdita della stessa a seguito delle nuove norme.
I dubbi espressi, in generale (in particolare dai giudici rimettenti) sulla disciplina della cittadinanza riguardano l’esistenza di limiti, o non, nella attribuzione della cittadinanza. È legittimo prevedere requisiti aggiuntivi rispetto al -semplice- rapporto di filiazione? Le nuove norme prevedono, in linea di principio, che non sia cittadino italiano chi è nato all’estero e possieda un’altra cittadinanza, con alcune eccezioni, che si riferiscono -tre- alla avvenuta presentazione delle domande di riconoscimento entro una certa data (27 marzo) e due con riferimento alla discendenza, poiché è comunque italiano a) sia chi ha un ascendente di primo o secondo grado che possiede (o possedeva al momento della morte) esclusivamente la cittadinanza italiana; b) sia chi ha un genitore (o adottante) che è stato residente in Italia per almeno due anni continuativi successivamente all’acquisto della cittadinanza italiana e prima della nascita (o adozione) del figlio.
Il nuovo limite è, essenzialmente, generazionale: le nuove norme hanno introdotto il limite della seconda generazione (nonno), che prima non esisteva. La censura sollevata dai giudici rimettenti riguarda la mancanza di un collegamento effettivo con l’ordinamento italiano perché la discendenza è senza limiti, salvo quello temporale rappresentato dalla creazione del Regno d’Italia (17.3.1861): mancanza che sarebbe censurabile, appunto, anche in riferimento al diritto internazionale e al diritto UE.
6. La sentenza e la rilevanza del diritto internazionale
L’inammissibilità riferita alla presunta violazione dell’art. 117, 1°comma Cost. (“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”) per quanto riguarda gli obblighi di diritto internazionale, è giustificata dal fatto che il giudice rimettente (Tribunali di Bologna, Milano, Firenze, non quello di Roma) non aveva indicato quale fosse la norma internazionale da cui discenderebbe il mancato rispetto di tali obblighi. È una censura condivisibile perché il rinvio al diritto internazionale è generico, non solo non precisando la norma convenzionale rilevante, ma neppure la consuetudine internazionale che pure sarebbe rilevante in virtù dell’art. 10, 1°comma Cost. (“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto”) nonché i principi generali riconosciuti dalle nazioni civili che, osserva la Corte (punto 13), “sono fonti del diritto internazionale ai sensi dell’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia” (art. 38, lett. c).
Preciso è, invece, il richiamo giurisprudenziale (non normativo, dunque) alla sentenza della C.I.G. Nottebohm a sostegno della tesi della necessaria esistenza dell’effettività. La Corte, tuttavia, censura tale richiamo, poiché distingue l’ipotesi, per così dire “interna”, di attribuzione della cittadinanza, che è quella che rileva nella fattispecie sottoposta alla Corte, nonché nella disamina, in generale, delle norme (vecchie e nuove) sulla cittadinanza, dall’ipotesi, per così dire “esterna”, “di far valere la cittadinanza nelle relazioni internazionali”, che consiste cioè nell’esercizio della protezione diplomatica. La C.I.G. evoca il criterio dell’effettività nel caso Nottebohm e nel più recente Qatar contro Emirati Arabi Uniti (4.2.2021)[23], ma con riferimento a tale seconda ipotesi “esterna”: “solo a tali fini”, afferma la Corte cost., le sentenze della Corte “presuppongono l’esistenza di un vincolo effettivo e di un legame genuino con l’ordinamento statale”. Il genuine link, insomma, è richiesto (a livello internazionale), per quei fini, verificandosi altrimenti una sovrapposizione indebita (“sovrapponendo indebitamente”, afferma la Corte) del “piano dei criteri attributivi della cittadinanza con quello, nient’affatto equivalente, che attiene alla possibilità di far valere la cittadinanza nelle relazioni internazionali”. La Corte non distingue, tuttavia, l’ipotesi dell’acquisto della cittadinanza “per nascita” da quella dell’acquisto “per naturalizzazione” i cui presupposti sono diversi (filiazione ovvero discendenza; concessione in presenza di determinati requisiti).
Il criterio dell’effettività imposto dal diritto internazionale, insomma, per essere rilevante come parametro interposto determinato da norme internazionali, avrebbe dovuto essere meglio definito in norme internazionali o, comunque, da una giurisprudenza diversa da quella evocata.
L’ordinanza del Tribunale di Torino deduce, invece, e quindi precisa il contrasto con l’art. 15, 2°comma della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (nessun individuo può essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza) e nella fattispecie si verificherebbe un’ipotesi di revoca implicita, arbitraria, nonché dell’art. 3, 2°comma del 4° Protocollo alla CEDU (nessun individuo può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino), poiché nella fattispecie vi sarebbero cittadini italiani fin dalla nascita che si vedrebbero privati del diritto di entrare nel territorio italiano.
7. La sentenza e la rilevanza del diritto UE
Più articolata è la dichiarazione di inammissibilità, con riferimento allo stesso art. 117, 1°comma Cost. per quanto riguarda gli obblighi di diritto UE, più precisamente gli obblighi e i vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE, avendo riguardo agli articoli 9 TUE e 20 TFUE.
7.1. Le norme rilevanti e la discrezionalità dello Stato
Le norme di diritto UE ricordate, evocate dai giudici rimettenti (tre, non dal Tribunale di Roma), avrebbero dovuto confermare nell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, il contrasto esistente con il criterio di attribuzione della cittadinanza previsto dall’art. 1, 1°comma l. 91/92. Non è il vincolo della filiazione (già si è detto) ad essere messo in discussione come elemento di collegamento, ma il fatto che questo sia sufficiente “alla funzione che è chiamato a svolgere quale fondamento della cittadinanza” (punto 12), e che quindi non siano richiesti altri elementi di collegamento in aggiunta allo ius sanguinis. La filiazione, insomma, sarebbe un criterio sufficiente, senza limiti di tempo e generazionali?
Le questioni di legittimità, anche con riferimento al diritto UE, vengono risolte dalla Corte con una dichiarazione di inammissibilità. Le verrebbe infatti richiesto “un intervento manipolativo oltremodo complesso” (punto 12.3.) che comporterebbe una sostituzione al legislatore, prevedendo -in aggiunta alla filiazione- requisiti vari, non ben determinati. Per esempio, un “legame culturale e linguistico con la comunità statale, tenendo conto dei cittadini residenti all’estero”, oppure il requisito di “prediligere un collegamento con il territorio”, o forse una combinazione di più criteri, ove si tenga conto del luogo (Stato) di nascita e di residenza, dell’avvenuto acquisto, o non, della cittadinanza in altro Stato (combinandolo, o non, con la residenza), ma anche della residenza dell’ascendente (con riferimento ad un certo momento storico).
Non emerge con sufficiente chiarezza, tuttavia, per quale ragione il diritto UE (secondo il giudice rimettente) si porrebbe in contrasto con il diritto nazionale in materia di attribuzione della cittadinanza iure sanguinis, e quindi per quale ragione la Corte avrebbe dovuto ritenere fondata la questione di legittimità costituzionale adottando come parametro interposto le norme di diritto UE o per quale ragione avrebbe dovuto operare un intervento manipolativo anche in base a tali norme. Secondo i giudici rimettenti (punto 6.2. sentenza) il diritto UE impone il rispetto del principio di effettività e il carattere genuino della cittadinanza nazionale, le norme UE prevedendo una serie di diritti e doveri che compongono (e definiscono) la cittadinanza europea. In particolare, il Tribunale di Milano ritiene che sia presupposto, ai fini della libera circolazione, un legame territoriale fra il cittadino e il Paese di origine; i Tribunali di Bologna e Firenze riterrebbero violato dalla norma nazionale il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Il principio di proporzionalità, tuttavia, è invocato dalla Corte in casi in cui si discuteva della perdita della cittadinanza a causa di norme nazionali[24]. La perdita è ritenuta compatibile con il diritto UE se viene rispettato il principio di proporzionalità, se si tiene conto, cioè (come già si è detto), delle conseguenze che essa provoca per l’interessato ed eventualmente per i suoi familiari[25]. La valutazione del caso singolo spetta, come sempre, al giudice nazionale che deve tener conto di alcuni elementi che definiscono in che cosa consiste il rispetto del diritto UE quando il legislatore nazionale detta norme in materia di cittadinanza. È legittimo, afferma la Corte di giustizia, che uno Stato voglia proteggere il particolare rapporto di solidarietà e lealtà fra se stesso e i propri cittadini, nonché la reciprocità di diritti e di doveri che stanno alla base del vincolo di cittadinanza. È legittimo, per uno Stato membro, considerare che la cittadinanza sia espressione di un legame effettivo tra se stesso e i propri cittadini e collegare, quindi, la perdita della cittadinanza all’assenza o cessazione di tale legame, così come è legittimo che uno Stato voglia tutelare l’unità della cittadinanza all’interno di una stessa famiglia. Rispettare il principio di proporzionalità significa dunque valutare il caso singolo: per esempio la gravità di un’infrazione che porti alla perdita; il periodo di tempo trascorso dopo tale comportamento; la possibilità di riacquisto dopo la perdita; le conseguenze sulla vita familiare e professionale. È il carattere fondamentale di tale status che comporta una valutazione del genere, caso per caso[26].
La domanda che ci si pone ora è se tali criteri che integrano il principio di proporzionalità nei casi di perdita siano utilizzabili anche nel caso di attribuzione della cittadinanza: se cioè l’autorità nazionale, che ha competenza esclusiva ma che deve rispettare il diritto dell’Unione, incontri limiti nel riconoscere tale status. La risposta che sembra corretto dare è di ritenere legittimo introdurre dei limiti, di ritenere legittimo prevedere dei requisiti di effettività, ma non è un obbligo imposto dal diritto UE. La Corte di giustizia nella sentenza Commissione c. Malta non collega l’attribuzione della cittadinanza al principio di proporzionalità, per esempio affermando che è eccessivo, sproporzionato, concedere la cittadinanza dietro pagamento di somme o di investimenti, che configurano una commercializzazione (“transazione assimilabile a una commercializzazione”). Afferma, come già si è ricordato, che tale comportamento viola l’art. 20 TFUE e l’art. 4, par. 3 TUE perché “viola in modo manifesto la necessità del particolare rapporto di solidarietà e lealtà, caratterizzato dalla reciprocità dei diritti e degli obblighi tra lo Stato membro e i suoi cittadini, e fa in tal modo venir meno la fiducia reciproca su cui si fonda la fiducia dell’Unione”[27].
7.2. Il possibile rinvio pregiudiziale
Le domande che ci si potrebbe porre nel contesto di un rinvio pregiudiziale, che il giudice comune o la Corte costituzionale “può” o “è tenuto” (secondo la distinzione di cui all’art. 267 TFUE) disporre, sussistendo dubbi interpretativi, sono le seguenti (almeno le principali).
a) È contrario al diritto UE, e quindi ai principi affermati più recentemente nella sentenza Commissione c. Malta, attribuire, da parte di uno Stato, la propria cittadinanza, senza prevedere dei requisiti di residenza o generazionali che rappresenterebbero pertanto dei limiti alla discrezionalità dello Stato?
b) Se è vero che il diritto UE impone che siano rispettati (e quindi ne sia verificata, in primo luogo, l’esistenza) sia il rapporto di solidarietà e lealtà esistente fra lo Stato e i propri cittadini, sia la reciprocità di diritti e di doveri, sia la leale cooperazione fra Stati, il riconoscimento della cittadinanza per filiazione da un lato, e l’attribuzione o concessione della cittadinanza per naturalizzazione dall’altro lato, incontrano gli stessi limiti imposti dal diritto dell’Unione europea oppure possono essere diversi? Nel primo caso non essendo previsti dei limiti (oppure se previsti, sono del tutto eccezionali), nel secondo caso invece la discrezionalità essendo più ampia?
Si deve, invero, tenere presente che limiti alla concessione (considerato che il cittadino nazionale diventa per estensione cittadino dell’Unione) possono essere introdotti, ma nel rispetto di quei principi (solidarietà, lealtà, reciprocità, leale cooperazione).
c) La previsione di limiti alla concessione è consentita, e quindi è proporzionata, se si rispettano quei principi? Il giudizio di proporzionalità potrebbe, dunque, essere incluso, come parte integrante, cioè, del giudizio di conformità a quei principi?
d) Premesso che le nuove norme introdotte con il d.l. n. 36/2025, conv. in l. n. 74/2025 hanno un effetto retroattivo nei confronti di coloro che, nati all’estero anche prima dell’entrata in vigore delle nuove norme e in possesso di altra cittadinanza, sono considerati non avere mai acquistato la cittadinanza italiana, salvo casi eccezionali espressamente indicati (per esempio il limite di ascendenza di due generazioni), sono compatibili con il diritto dell’Unione europea e con la giurisprudenza della Corte di giustizia? Ciò in considerazione del fatto che hanno l’effetto di privare della cittadinanza dei soggetti già italiani, e pertanto hanno l’effetto di revocare la cittadinanza, senza che sia prevista una procedura nazionale che a) disponga un periodo transitorio, b) preveda un esame individuale circa la perdita e la eventuale volontà (da esprimere entro un certo periodo di tempo) di mantenere la cittadinanza italiana.
e) Le nuove norme, che producono gli effetti sopra ricordati (punto d), sono conformi ai principi di proporzionalità e di legittimo affidamento?
I quesiti formulati sono semplici proposte: spetta al giudice, come sempre, valutare la rilevanza, quanto a estensione, contenuto e forma.
Il testo riproduce, con alcune modifiche e integrazioni, la relazione tenuta il 22.9.2025 in occasione del corso della Scuola Superiore della Magistratura “La cittadinanza e le cittadinanze. Spunti di riflessione de iure condito e de iure condendo”. I riferimenti bibliografici sono limitati ai più recenti.
[1] Sul tema della cittadinanza europea, in riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia, cfr. più recentemente la sentenza (la prima in ordine di tempo, sull’attribuzione della cittadinanza) Commissione c. Malta, causa C-181/23, EU:C:2025:283, conclusioni dell’avvocato generale Collins, in EU:C:2024:849, si vedano, fra gli altri, B. Nascimbene, Cittadinanza: riflessioni su problemi attuali di diritto internazionale ed europeo, in Riv.dir.priv.proc., 2025, p. 5 ss. (ivi riferimenti); J. Re, Aspetti internazionali e sovranazionali del riconoscimento dello status di cittadino italiano per discendenza, in C. Campiglio (a cura di), Il riconoscimento dello status di cittadino per discendenza nelle sue molteplici dimensioni, Milano, 2025, in corso di pubblicazione. Sulla sentenza della Corte costituzionale, anche con riferimento alle nuove norme, Umberto L.C.G. Scotti, La Corte costituzionale si pronuncia sulla cittadinanza. Osservazioni a prima lettura della sentenza 142 del 2025, in Giustizia Insieme, 2025. Cfr. inoltre G. Bonato, Il decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025: la “Grande Perdita” della cittadinanza italiana, in Judicium, 2025; F. Corvaja, Quando i nodi vengono al pettine. Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis senza limiti, tra vincoli di diritto internazionale, condizionamenti europei e ordinamento costituzionale italiano, in eurojus, fasc. 2/2025, p. 25 ss.; C. delli Carri, La cittadinanza dell’Unione europea come parametro interposto nella valutazione della legittimità costituzionale della legge n. 91/1992, in eurojus, fasc. 2/2025, p. 1 ss.; S. De Nardi, La cittadinanza nella Costituzione della Repubblica italiana, in corso di pubblicazione; C. Panzera, A. Rauti, La cittadinanza tra Stato e comunità, in Diritto e Società, 2025, p. 619 ss.; A. Rauti, Cittadinanza europea, vincoli per gli Stati membri e genuine link. La specificazione del “limite Micheletti” fino alla sentenza della CGUE sulla “cittadinanza per investimento, in eurojus, 2025, in corso di pubblicazione. Si veda pure la nota 4.
[2] La Dichiarazione è ricordata nelle conclusioni dell’avvocato generale Collins, punti 44-45, gli Stati avendo deciso di non mettere in comune le loro competenze, a conferma del fatto che le rispettive concezioni della cittadinanza concernono l’essenza stessa della loro sovranità e identità nazionale. Cfr. pure la sentenza 5.9.2023, C-689/21, Udlændinge- og Integrationsministeriet (d’ora in poi Perdita della cittadinanza danese), EU:C:2023:626, punti 26-27 (viene ricordata anche la “decisione di Edimburgo” adottata al Consiglio europeo di Edimburgo (sezione A della decisione dei capi di Stato e di governo riuniti in sede di Consiglio europeo di Edimburgo dell’11 e 12 dicembre 1992, concernente alcuni problemi sollevati dalla Danimarca, in GU 1992, C 348, p. 1; la Dichiarazione n. 2 cit. è in GU 1992, C 191, p. 98).
[3] Per un riferimento a norme internazionali rilevanti, pattizie, si veda oltre, quanto alla dichiarazione di inammissibilità della Corte cost.: riferimento peraltro generico da parte dei giudici rimettenti. Avrebbero potuto essere citati, per esempio, l’art. 15 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; l’art. 20 Convenzione americana dei diritti dell’uomo; l’art. 8 Convenzione EDU -protezione per via indiretta, la norma riguardando il rispetto della vita privata e familiare-; le varie norme contenute nella Convenzione europea sulla nazionalità del Consiglio d’Europa del 6.11.1997 (ratificata da ventuno Stati, non dall’Italia che l’ha soltanto firmata).
[4] Sulla procedura di infrazione avviata anche contro Bulgaria e Cipro cfr. C. Sanna, La cittadinanza UE non è in vendita: la Corte dichiara incompatibili con il diritto UE i programmi di naturalizzazione per investimenti della Repubblica di Malta. Le implicazioni della sentenza sul criterio dello ius sanguinis previsto dalla legislazione italiana, in eurojus, 2025.
[5] Cfr. il punto 121 della sentenza.
[6] Cfr. i punti 120, 121 della sentenza.
[7] Cfr. i punti 84, 91 della sentenza.
[8] Cfr. punto 93 della sentenza; il riferimento è alle pagine da 1143 a 1145 della sentenza 15.7.1964, Costa-Enel, C-6/64, EU:C:1964:66.
[9] Cfr. il punto 94 della sentenza.
[10] Cfr. i punti 95, 83, ove viene richiamato, sul primato, il parere 2/13 del 18.12.2014, in EU:C:2014:2454, punto 166, sulla adesione dell’Unione alla CEDU.
[11] Cfr. il punto 81 della sentenza, ove si ricordano le sentenze Micheletti, 7.7.1992, causa C-369/90, EU:C:1992:295, punto 10; Rottmann, 2.3.2010, causa C-135/08, 2.3.2010, EU:C:2010:104, punto 45; Perdita della cittadinanza danese cit., punto 30 (con riferimenti ivi).
[12] Cfr. il punto 100 della sentenza.
[13] Cfr. il punto 93 già cit. della sentenza.
[14] Cfr. Affaire Nottebohm (deuxième phase), Arrêt du 6 avril 1955 : C.I.J. Recueil 1955, p. 4.
[15] Sulle affermazioni ricordate cfr. la sentenza Perdita della cittadinanza danese cit., punti 30-31, 35-38, che richiama le sentenze Rottmann cit., punti 42, 45, 55-56, Tjebbes e a., causa C-221/17, 12.3.2019, EU:C:2019:189, punti 32, 33, 35-41; Wiener Landesregierung, causa C-118/20, 18.1.2022, EU:C:2022:34, punto 52. Successivamente la sentenza Stadt Duisburg, causa C-684/22, 25.4.2024, EU:C:2024:345, punti 36-45.
[16] Conclusioni dell’avvocato generale Collins cit., punti 45, 65.
[17] Cfr. i punti 79 ss. della sentenza Commissione c. Malta cit..
[18] Cfr. punto 81 Commissione c. Malta cit.
[19] Cfr. sentenza Micheletti cit., punti 10-11.
[20] Sentenza Commissione c. Malta cit., punto 92, in precedenza sentenza 20.9.2001, C-184/99, Grzelczyk, EU:C:2001:458, punto 31; Rottmann cit., punto 43; Wiener Landsregierung cit., punti 38, 58; Perdita della cittadinanza danese cit., punti 29, 38; Stadt Duisburg cit., punto 42.
[21] Si veda oltre, par. 5.
[22] Cfr. la sentenza Perdita della cittadinanza danese cit., punti 38-47, ove si richiamano le sentenze Rottmann cit., punti 55, 56; Tjebbes e a. cit., punti 40-42. Cfr. pure la sentenza Stadt Duisburg cit., punti 64-65, e sulla perdita della cittadinanza, uno Stato intendendo evitare, per motivi di interesse generale, la pluralità di cittadinanze, ibidem, punti 38, 41, 51 essendo imposto il rispetto di diritti e vincoli di diritto UE, per esempio il rispetto della vita familiare previsto dall’art. 7 Carta dei diritti fondamentali.
[23] Si permette rinviare ai rilievi svolti in Cittadinanza: riflessioni cit., p. 5 ss.
[24] Si vedano i casi, ricordati nella sentenza della Corte cost., Rottmann, Tjebbes e a. citt.
[25] Si veda quanto si è detto prima, riferimenti nella nota 15.
[26] Cfr. i riferimenti nella nota 15, spec. la sentenza Perdita della cittadinanza danese cit., punti 33-35.
[27] Cfr. la sentenza cit., punto 99.
